Balla ma non salta, la riforma del senato appesa a Forza Italia

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Balla ma non salta, la riforma del senato appesa a Forza Italia
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46)
ART.1, COMMA 1, DCB ROMA
VENERDÌ 27 GIUGNO 2014
ANNO XII • N°126 € 1,00
C
CONSIGLIO EUROPEO
DIRITTI CALCIO
D
R
RIFORMA GIUSTIZIA
O la nomina di Juncker. Si
Oggi
llavora per evitare lo scontro con
C
A PAGINA 2
Cameron
S
S’erano
tanto odiati. Alla fine
S
Sky e Mediaset siglano un patto
p
A PAGINA 2
per lo status quo
O
Orlando
già dialoga. In arrivo
n
norme non aggressive verso
i magistrati
A PAGINA 2
■ ■ IMMUNITÀ
RIFORME COSTITUZIONALI
LA SETTIMANA DECISIVA A PALAZZO MADAMA
Alcune idee
per sciogliere
il rebus
Ora sul campo
di calcio
tocca a Renzi
STEFANO
CECCANTI
STEFANO
MENICHINI
S
ulle immunità la prima riflessione è delimitare l’oggetto.
Oggi, concretamente, stiamo discutendo solo di autorizzazione
all’arresto. Infatti l’insindacabilità di opinioni e voti nell’esercizio
del mandato non è messa in discussione da nessuno e, quando le
aule si trovano a deliberare, sanno
benissimo quali margini hanno
per non rischiare di perdere nel
possibile conflitto di attribuzione
che possono sollevare in seguito i
giudici. I casi relativi alle intercettazioni sono ormai minimi.
N
SEGUE A PAGINA 4
■ ■ RICERCA
La spesa che
non aumenta
il debito
ROBERTO
SOMMELLA
C’
è un vincolo europeo che non
fa male e purtroppo in Italia
ignoriamo. È il rapporto tra gli investimenti in ricerca scientifica e Pil
che, secondo il Trattato di Maastricht, dovrebbe essere almeno al 3
per cento. Molti paesi del Nord Europa si avvicinano a questo limite,
l’Italia, come in tante altre graduatorie, è ferma all’1,1. I motivi sono
quelli legati a un’economia che non
innova e a sistemi industriali vetusti,
ma a frenare questa spesa c’è anche
il fatto che viene computata nei rapporti deficit e debito-Pil.
SEGUE A PAGINA 4
■ ■ EUROPA
Gli “stati falliti”
e la debolezza
dell’Occidente
Balla ma non salta, la riforma
del senato appesa a Forza Italia
Berlusconi deve tenere insieme i suoi, i tempi per la prima approvazione slittano
ancora. Anche perché dentro il Pd “tiene” l’opposizione al progetto del governo
FRANCESCO
LO SARDO
B
erlusconi invia il suo mastino
da guerra tra i riottosi senatori azzurri. L’ambasciatore Romani, intanto, torna a sentire il ministro Boschi chiedendo la proporzionalità dei seggi del nuovo senato. Fibrilla sul patto del Nazareno
il gruppo di Forza Italia a palazzo
Madama. Al punto che dopo aver
spedito ieri il plenipotenziario Denis Verdini a rimettere in riga i
dissidenti azzurri che fan da sponda a quelli nel Pd spalleggiati da
Sel e M5S, sarà Berlusconi in persona a presiedere l’assemblea dei
deputati e senatori di FI, giovedì
prossimo, facendo slittare il previsto arrivo in aula il 3 luglio, che
dovrà prendere una decisione definitiva sulla riforma del senato,
mentre da lunedì iniziano i primi
voti sugli emendamenti al testo
Boschi e si torna a parlare di un
faccia a faccia, risolutivo, tra Renzi e il Cavaliere. Ieri il fronte della
riforme ha ribollito tutto il giorno.
I dissidenti del Pd guidati da Chiti e Casson, Sel e M5S al seguito,
han presentato il pacchetto dei
loro emendamenti, tra cui quello
per l’elezione diretta del nuovo
senato, sottoscritto da 35 senatori, 18 della maggioranza: scendono
così a 151 i sostenitori del patto del
Nazareno nella maggioranza, rendendo ancor più necessario il voto
di FI e Lega per ottenere la maggioranza dei due terzi sulle riforme
costituzionali. Ncd fa due parti in
Vocabolari,
che passione
L’
SEGUE A PAGINA 4
commedia: presenta un subemendamento per l’elezione diretta del senato con listino regionale,
ma assicura che «non pone diktat
e vuole che le riforme escano da
palazzo Madama entro metà luglio». Sul versante forzista c’è
subbuglio: il bubbone dell’elezione
diretta da parte dei cittadini è
esploso nel corso dell’assemblea
dei senatori in cui cinque parlamentari forzisti, tra cui Minzolini,
hanno espresso dissenso sull’elezione di secondo grado. Quasi due
terzi del gruppo sarebbero sulla
posizione dei dissidenti e lo stesso
Paolo Romani, capogruppo di FI,
ha depositato due emendamenti
opposti, uno dei quali per l’elezione diretta «per rappresentare tutte le posizioni». «Ma – dice– sarà
) SAGGI POLITICI _
CAPIRERENZI
EUGENIO
SOMAINI
Unione europea ha dei confini problematici e pericolosi. Tra i paesi confinanti, compresi quelli rivieraschi del Mediterraneo, contiamo: a) diversi
casi di “stati falliti”, in Europa
l’Ucraina e la Moldova, lungo il
Mediterraneo la Siria, il Libano,
il secondo termine della coppia
Israele-Palestina e la Libia; b) un
grande paese, la Russia, che ha
visto nell’allargamento dell’Ue
una lesione alla sua integrità territoriale e/o l’invasione della sua
sfera di influenza.
EDITORIALE
l’aula a decidere». Per sondare la
reale portata della fronda e imbrigliarla, come esige il Cavaliere,
Romani e Verdini hanno lasciato
intendere che il patto del Nazareno, inclusivo dell’Italicum «senza
preferenze», prevede un’elezione
di secondo grado del senato: una
rottura del patto, ora o in seconda
lettura, porterebbe dritti alle elezioni anticipate. I senatori forzisti
sono avvisati: ove mai delegittimassero Berlusconi, che ha siglato
il patto con Renzi, andrebbero
tutti a casa. Anche per questo il
patto terrà. Dice in serata il vicesegretario del Pd Guerini: «Tutto
procede secondo la direzione e nei
tempi previsti». E però la riforma,
aspettando Berlusconi, slitta di
un’altra settimana. @francelosardo
■ ■ ROBIN
Asta
Il mio mercante in fiera di
Natale si offende se lo
■ ■ MASSIMILIANO PANARARI ■
paragonate all’asta dei diritti
S
Esce oggi in libreria
“IL Renzi”, 50 voci
scritte da 35 autori:
tutto quello che c’è
da sapere sul nuovo
premier
A PAGINA 3
e la forma-partito, da parecchio
tempo, non se la passa più molto
bene, la forma-dizionario pare godere invece di maggiore e migliore fortuna. Come dimostrano le uscite di
alcuni vocabolari-lemmari volti ad
aiutare l’opinione pubblica a districarsi nel labirinto borgesiano della
politica nazionale e dei nostri public
affairs. Oggi esce infatti IL Renzi, curato da Mario Lavia (Editori Internazionali Riuniti), un lavoro a più voci
e più mani di scomposizione del prisma rappresentato dal premier e di
rilevazione del sisma che ha innescato nelle liturgie e nelle consuetudini
del sistema politico nostrano. Da
poco sono stati pubblicati Alfabeto
Grillo. Dizionario critico ragionato del
Movimento 5 Stelle (a cura di Marco
Laudonio, Mimesis) e Virus. Dizionario essenziale del M5S (di Alberto Di
Majo, Editori Internazionali Riuniti).
SEGUE A PAGINA 3
televisivi della Serie A.
elle ore della disfatta della nazionale di Prandelli la rete e
l’etere sono state invase da commenti stupidi sulla prima sconfitta
del renzismo e altre banalità del
genere. Battute che esiteresti a fare
con gli amici, mentre Carlo Freccero, per dirne uno, le proponeva come pensose analisi politico-sociologiche nel prime time televisivo.
In realtà, l’eliminazione dai
Mondiali fa cadere il velo che altrimenti avrebbe continuato a coprire una situazione seria. Che davvero riguarda Matteo Renzi.
Il giorno dopo la tragica serata
del 3 maggio, finale di Coppa Italia
Napoli-Fiorentina, messo alle
strette dalle polemiche sullo strapotere delle tifoserie violente, il
presidente del consiglio aveva promesso un intervento duro e risolutivo a tutela del calcio e dei frequentatori degli stadi. Misure da
adottare non a stagione sportiva in
corso bensì «in estate».
Ora è arrivato il tempo. Perché
i Mondiali per l’Italia sono finiti. E
soprattutto perché la morte di Ciro
Esposito spalanca un baratro di ritorsioni possibili che lo straordinario atteggiamento della famiglia
del giovane napoletano da solo
non potrà scongiurare.
A peggiorare il quadro, dopo il
Brasile il potere politico calcistico
è vacante, e le società di Serie A
escono ridicolizzate (ancorché
gonfie di soldi) dalla farsa dell’asta
dei diritti televisivi, nella quale
ogni regola è stata capovolta, manipolata, ignorata, fino a un aggiustamento imbarazzante e italiota.
Tutto ciò riguarda il governo.
Lo riguarderebbe anche se non
fosse guidato da un premier che
del proprio essere appassionato di
calcio ha fatto un marchio distintivo, addirittura un veicolo di diplomazia interna e internazionale
(pensiamo alle maglie scambiate
con D’Alema e Merkel).
Oggi Scampia, luogo drammaticamente evocativo, seppellisce
un ragazzo della curva del Napoli.
Se non altro per evitare altri lutti,
la civiltà, l’intelligenza e il cuore di
napoletani e romani dovrebbero
compiere il miracolo di gesti di pace, di giustizia, di riconciliazione
dopo l’odio che dalle parole e dagli
striscioni è passato ai fatti, al sangue. Ma purtroppo solo con la
buona volontà, ammesso che si
manifesti, non si va lontani. Saranno inevitabili misure draconiane.
E anche in questo caso, forse
più che in altri, è da Renzi, dal papà che accompagna i figli al campo
di Settignano, che ci si aspetta il
miracolo di ridare alle famiglie la
voglia, il gusto e la libertà di seguire lo sport che amano. @smenichini
Chiuso in redazione alle 20,30
giovedì
27 giugno
2014
2
< N E W S
A N A L Y S I S >
CONSIGLIO UE
Commissione a trazione tedesca, Juncker presidente. Renzi lotta sui contenuti
RAFFAELLA
CASCIOLI
O
ggi Jean-Claude Juncker sarà ufficialmente nominato presidente
della Commissione europea dal consiglio Ue dei capi di stato e di governo. Il
restante pacchetto di nomine (dall’alto
rappresentante per la politica estera al
presidente del consiglio europeo) sarà
invece deciso in un consiglio europeo
straordinario tra il 16 e il 17 luglio subito
dopo l’elezione del successore di Barroso da parte dell’europarlamento.
Ieri prima le riunioni delle grandi
famiglie europee, poi l’avvio del Consiglio europeo ad Ypres, dove i 28 hanno
osservato un minuto di silenzio per commemorare le vittime della prima Guerra
mondiale, hanno dato il segno che su
programma e successore di Barroso i
giochi sono già fatti. Se Renzi, che ha
successivamente visto la cancelliera te-
desca e l’olandese Rutte, e Hollande al
prevertice del Pse hanno insistito su una
legislatura di crescita e occupazione attraverso la flessibilità, la Merkel al Ppe
ha ammonito che la flessibilità è già nel
patto ma che sul programma e sulla nomina di Juncker l’accordo è stato raggiunto.
L’incognita resta ancora il premier
britannico David Cameron che è tornato a sostenere che Juncker non è il cambiamento e non potrà essere la voce
delle riforme ma anzi sarà un errore per
l’Europa. Qualora oggi a fine vertice
Cameron dovesse chiedere il voto sulla
nomina di Juncker si procederà a maggioranza. Una maggioranza qualificata,
come peraltro richiedono i trattati, visto
che su Juncker convergono la quasi totalità dei capi di stato e di governo. Ma,
come ha avuto modo di dichiarare la
cancelliera tedesca Angela Merkel anche
qualora si arrivasse al voto non sarebbe
tuttavia come «sia passato il messaggio
un dramma. Semmai la Merkel si è preitaliano di più crescita e più lavoro» al
occupata di tendere una mano al collega
netto della flessibilità che il patto di
inglese in difficoltà e isolato in Europa
stabilità concede. Tuttavia, sebbene non
dopo che il premier olandese e quello
si faranno nomi, salgono le
finladese hanno annunciato
quotazioni dell’italiana Fedeanche loro di appoggiare Junrica Mogherini agli esteri
cker.
Salgono le
mentre la Merkel vorrebbe
L’obiettivo, a cui si è lavorato per tutta la notte è stato quotazioni per offrire a Cameron in segno di
pace il commissario al comquello di trovare un compro- la Mogherini
mercio che firmerebbe l’acmesso sul programma che
possa soddisfare Londra per agli esteri, ma cordo con gli Usa, fonti del
evitare che Cameron, come ha la nomina solo Ppe hanno rivelato che il partito punterebbe ad avere, olminacciato, finisca per non
tre al presidente della Comfirmare le conclusioni del ver- a metà luglio
missione, anche la guida del
tice. In particolare fonti euroConsiglio Ue per la quale era
pee facevano notare come il
candidata la socialdemocratica danese
programma di liberalizzazioni economiThorning-Schmidt.
che a cui dovrà attenersi Juncker è molMa qui i giochi si complicherebbero.
to vicino alle posizioni inglesi.
Non solo perchè la nuova commissione
Renzi, pur non riuscendo ad incassi presenterebbe totalmente a trazione
sare per oggi la definizione dell’intero
tedesca con Martin Selmayr possibile
pacchetto delle nomine, ha registrato
capo di gabinetto di Juncker e Johannes
Laitenberger guardiano dei bilanci nazionali. Ma anche perchè se i liberali
dell’Alde dovessero, come sembra, entrare nella maggioranza del nuovo parlamento sostenendo Juncker potrebbero ambire per Verhofstadt almeno alla
vicepresidenza di Strasburgo e alla presidenza di una commissione di peso.
L’Italia dal canto suo oltre alla Mogherini punterebbe a candidare Roberto
Gualtieri alla presidenza della commissione parlamentare dedicata agli affari
economici e monetari, mentre lo spagnolo De Guindos guiderebbe l’Eurogruppo. C’è poi l’incognita di un’altra
nomina: qualora il presidente del consiglio Ue fosse un rappresentante di un
paese non di Eurolandia, sarebbe creata
un’altra carica: il presidente del Consiglio dell’Eurozona. In quel caso l’Italia
non potrebbe stare a guardare.
@raffacascioli
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Orlando già dialoga, in arrivo una riforma non aggressiva verso i magistrati
FABRIZIA
BAGOZZI
S
e non proprio lunedì, le linee guida della
riforma sulla giustizia andranno presto in
consiglio dei ministri per approdare realisticamente dopo le ferie (sotto forma di decreto per
quanto riguarda il civile e di disegni di legge,
anche delega per il resto) nelle aule parlamentari e molto dipenderà anche dalla tabella di
marcia già prevista nelle medesime. Il metodo
è sperimentato: prima un confronto all’interno
dell’esecutivo, poi i testi. Nei quali in ogni caso
non è prevista una stretta sull’aspetto investigativo delle intercettazioni, ma sulla loro riservatezza, anche alla luce dei rilievi del Garante
per la privacy, Antonello Soro. Una cosa che lo
stesso ministro ha avuto modo di dire al presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli e al segretario
Maurizio Carbone che ha incontrato ieri in via
Arenula.
Orlando non elude i nodi delicati, ma procede con cautela. Sulle intercettazioni entra nel
merito della diffusione e non dei presupposti
investigativi, sulla responsabilità civile non
prende in considerazione quella diretta però
rende più stringente quella indiretta (fino al 50%
dello stipendio delle toghe) e molto più fluida
l’ammissibilità dei ricorsi (il cosiddetto filtro)
sulla prescrizione pensa al blocco nel primo
grado di giudizio. E ha in mente di cambiare il
sistema di voto del Csm mentre prende in con-
siderazione l’idea dell’Alta Corte, mista, per la
seconda istanza della giustizia disciplinare dei
magistrati. Materia altamente infiammabile per
i magistrati.
L’Anm intanto «apprezza la disponibilità al
dialogo del ministro», sottolinea a Europa il
vicepresidente Valerio Savio. Riunita ieri in
giunta ha avuto modo di discutere delle questioni in campo ed è probabile che presto rilanci il
suo punto di vista. «Cose su cui del resto le
nostre posizioni sono note da tempo», nota
Savio. Per quanto riguarda le intercettazioni,
l’Anm era preoccupata che si toccassero come
strumento investigativo «ma l’esigenza di riservatezza la condividiamo da sempre, anche se
vietare che le intercettazioni finiscano nell’or-
dinanza di custodia cautelare non risolve il problema, perché vanno depositate insieme alla
custodia cautelare ed è un arretramento sul
piano delle strategie difensive». Di responsabilità civile, ma in forma indiretta, si può discutere: «Purché sia affrontata per tutelare i cittadini e non con un ottica punitiva nei confronti
della magistratura». Il problema è il filtro «di
cui si può ragionare ma che non può essere
cancellato». Quanto alla prescrizione, dice Savio, «per noi il nodo è arrivare ad abbreviare i
processi». E sull’Alta Corte, che dovrebbe essere mista, con competenza per tutte le magistrature, il tema è capire di che cosa si tratta esattamente: tanto più che le magistrature «hanno
regole disciplinari diverse».
@gozzip011
M5S
A Bruxelles il rimorso dei Cinquestelle: tra sei mesi saranno con i Verdi?
FRANCESCO
MAESANO
S
embrava la prima, repentina scissione in seno al gruppo dei Cinquestelle. Un’indiscrezione da corridoio
brussellese, per definizione più credibile del corrispettivo nostrano, che
aveva trovato voce nelle parole di Ulrike Lunacek, del gruppo dei Verdi-Ale.
L’europarlamentare austriaca, interrogata dalla collega Silvia Costa del Pd,
s’era lasciata sfuggire uno «stiamo
vagliando l’ingresso nel gruppo di alcuni deputati M5S più vicini alle posizioni ambientaliste». Lo scricchiolio
nella struttura tutta in formazione degli onorevoli cittadini di stanza a Bruxelles s’era avvertito forte e chiaro fino
a Roma.
Un falso allarme. Ma il punto, se
possibile, è anche più profondo, più
vicino al nocciolo della loose association
tra i Cinquestelle e lo Ukip di Nigel
Farage. Se da una parte il capo-delegazione del M5S si è affrettato a spiegare che «non c’è niente di vero, con i
Verdi i contatti ci sono, ma per cercare
convergenze sul lavoro da fare nelle
commissioni e nessuno di noi è intenzionato a passare nel loro gruppo»,
dall’altra, con lo stesso candore, ha
aggiunto: «Faremo un check, diciamo
tra sei mesi per vedere se le cose vanno
bene. Se non fosse così siamo pronti a
ripensare la nostra collocazione».
Sei mesi. L’accordo tra Grillo e Farage ha trovato la sua data di scadenza.
Se il diarca genovese ha costruito in
fretta e furia un’alleanza con lo Ukip
all’indomani del deludente voto europeo, per non perdere il treno del gruppo europarlamentare e per ribadire da
subito la sua leadership nel Movimento, i meno convinti della scelta tra i suoi
parlamentari a Bruxelles e Roma han-
no iniziato a tessere una tela alternativa.
I deputati Iannuzzi e Vignaroli,
quest’ultimo è il responsabile Ambiente del Movimento, hanno incontrato
Rebecca Harms, co-presidente dei Ver-
di europei e nel pomeriggio di ieri sono
state fatte filtrare due ricostruzioni che
volevano una parte degli euro-deputati pronti a sfiduciare il responsabile
della comunicazione Claudio Messora,
accusato di essere il regista dell’accor-
do con i nazionalisti inglesi e, per questo, si annunciava un primo giro di
euro-espulsioni nel gruppo.
Tutto smentito con forza sul blog di
Grillo, preoccupato di tenere la tensione con l’alleato Farage entro il livello di
guardia in un momento delicato nel
quale deve avvenire la spartizione degli
incarichi nelle commissioni. Il gruppo
Efdd di M5S e Ukip avrà la presidenza
di quella preposta alle petizioni, una
prima vicepresidenza in quella per l’agricoltura, una seconda in quella per
l’ambiente, una terza i quella della pesca e due quarte, nel budget e negli
affari esteri. Un bottino ottenuto grazie
all’accordo raggiunto per formare il
gruppo, ma dopo il primo luglio il senso dei Cinquestelle per i Verdi potrebbe
tornare a farsi sentire e il matrimonio
di interesse con Farage potrebbe non
vedere l’alba del prossimo anno.
@unodelosBuendia
DIRITTI CALCIO
S’erano tanto odiate. Ma alla fine Sky e Mediaset patteggiano per lo status quo
NICOLA
MIRENZI
L
a tregua viene firmata alle 16 di ieri. Dopo
giorni passati a minacciare ricorsi ai tribunali, scrivere diffide e controdiffide, annunciare che
la trattativa, no, mai: Sky e Mediaset si siedono
a un tavolo e trovano un accordo per risolvere la
questione dei diritti televisivi della Serie A, con
tanti saluti ai principi solenni sbandierati sino a
qualche ora prima, tipo la libertà di mercato, la
certezza delle regole, eccetera, eccetera.
È un accordo all’italiana, quello trovato dai
due colossi televisivi, dopo tre rinvii della decisione. Prevede che a Sky vadano – per il triennio
2015-2018 – i diritti sul satellite delle otto più
grandi squadre della Serie A (pacchetto A) più le
altre dodici minori (pacchetto C) e le esclusive
degli spogliatoi e delle interviste dopo partita
(pacchetto D), mentre a Mediaset vanno le otto
grandi sul digitale terrestre (pacchetto B). Il pasticcio è dato dal fatto che non c’è (quasi) nessuna attinenza tra l’esito dell’asta e quello dell’accordo trovato dai concorrenti. Stando alle cifre
offerte alla Lega, i pacchetti A e B sarebbero
dovuti andare a Sky, quello C a Mediaset. Per
l’assemblea dei club della Serie A però questa
soluzione configurava una violazione della legge
Melandri, che proibisce a un solo operatore di
prendere tutti i pacchetti. Sky non era affatto
d’accordo con tale interpretazione della norma,
e non era la sola. L’impasse è nata su questo
punto. E si è potuta sciogliere solo grazie a una
lunga, estenuante trattativa.
meglio del calcio sul digitale terrestre. Come è
Sky e Mediaset hanno usato tutto il peso
stato finora.
delle loro società per far pendere l’ago della biCon l’accordo trovato, Sky pagherà
lancia dalla loro parte. Nella notte di
alla Lega 572 milioni di euro, la stessa
ieri, e ancora di più nella mattina, quando è scattato l’ultimo rinvio ( spostando Agli americani cifra che ha pagato per il triennio precedente. Mediaset sborserà 373 milioil termine ultimo della decisione da
ni, cioè 105 milioni in più della volta
mezzogiorno a mezzanotte), il network tutta la A
scorsa. Gli incassi complessivi della
di Murdoch ha cercato di includere nel- sul satellite,
Lega raggiungeranno la cifra di 945
la trattativa anche la Champions Leamilioni, 116 milioni in più rispetto al
gue, conquistata a sorpresa dal Biscio- al Biscione
campionato 2013/2014, ma 150 milioni
ne. Mediaset è riuscita a bloccare il il digitale
in meno rispetto a quelli che avrebbe
tentativo. Circoscrivendo l’intesa alla
ottenuto se avesse fatto decidere al
sola Serie A e cedendo su altri punti. terrestre
mercato, dando i pacchetti ai miglior
Sky potrà dire, infatti, di offrire ai suoi
offerenti. Ma tutto ha un prezzo: anche
clienti tutte le gare del campionato in
gli accordi politici per mantenere lo status quo.
esclusiva, arricchite dai fuori campo e dai dietro
@nicolamirenzi
le quinte. Mentre chi sceglierà il Biscione avrà il
primo piano 3
venerdì
27 giugno
2014
Capire Renzi
“IL RENZI”
Il libro
50 voci, 35 autori
Stralci dall’introduzione
“Anatomia di un enigma”:
«Molti pensano che sia
l’ultima spiaggia ma la
strada ha molte incognite:
dove sta portando l’Italia
il nuovo leader?»
Il titolo è quello dei vocabolari di una volta, “IL”, con
l’aggiunta “Renzi”, cioè l’oggetto del libro che esce oggi nelle
librerie (Editori Internazionali Riuniti, 16 euro) a cura di
Mario Lavia. È un’opera a più voci. Ecco l’indice: Sofia
Ventura, Adesso – Jacopo Iacoboni, Baricco, Grillo –
Fabrizio Rondolino, Berlusconi, Nazareno – Goffredo De
Marchis, Bersani – Laura Cesaretti, Bipolarismo – Elisa
Calessi, Boschi, Renziane – Marco Damilano, Boy scout,
Cattolici – Simona Bonfante, Burocrazia, Leopolda – Giorgio
Meletti, Cgil – Marianna Rizzini, Da Empoli, Nomfup –
Stefano Menichini, D’Alema, Quaranta per cento – Fabio
Martini, Decisionismo – Angela Mauro, Delrio, Letta – David
MARIO
LAVIA
Allegranti, Eataly, Firenze – Maria Teresa Meli, Elezioni –
Stefania Carini, Fonzie, Tv – Massimiliano Panarari, Gente,
N
ell’era della grande crisi della politica, probabilmente
solo un “politico antipolitico” poteva occupare la scena. Solo uno capace di
prendere il Senato per il
bavero può contenere la
spinta antiparlamentare
che esiste nel paese. Nel momento storico in cui gli
italiani paiono davvero sul punto di mandare a quel
paese la politica, il parlamento, i partiti, solo uno
pronto a prendere a calci le porte, come quel personaggio di Tennessee Williams, riesce a stare in
campo e a fronteggiare i furori antipolitici.
Per questo – non lo dicono solo i politologi ma
il senso comune – la sensazione diffusa è che, tolto Renzi di mezzo, ci sarebbe il salto in qualcosa
che potrebbe cambiare la faccia della nostra democrazia o come minimo radicalizzare l’estraneità dei
cittadini alla cosa pubblica, alle istituzioni.
Naturalmente quello che viene definito il populismo di Renzi è anche figlio della crisi della politica. Se la Seconda repubblica non agonizzasse,
dopo il crollo tragico della Prima, se le coalizioni
avessero trovato un loro equilibrio, se la destra non
fosse ancora dominata, dopo vent’anni, da un Berlusconi inesorabilmente al tramonto e la sinistra si
fosse data programmi e leadership convincenti e
riconosciuti, oggi non ci sarebbe un leader con
caratteristiche del tutto nuove.
Il renzismo è la conclusione della crisi di quella che Pietro Scoppola chiamava la «repubblica dei
partiti», avendo nel contempo nebulizzato la repubblica senza partiti del berlusconismo. Una conclusione, per fortuna, che non ha nulla di drammatico, non è accompagnata da tumulti né produce
dittature. Renzi chiude una fase mediante una
inedita personalizzazione del suo stesso partito: ci
troviamo dinanzi a un pigliatutto, un “rompi-schemi”, un politico molto laico eppure intriso di cultura cattolica, un inafferrabile, come abbiamo detto. È un’uscita sorprendente dalla crisi delle due
repubbliche che abbiamo alle spalle. Che beninteso non salverà l’Italia da guai immani qualora egli
stesso dovesse subire quelle involuzioni di cui, ad
esempio, la sinistra più radicale o gruppi intellettuali più “liberal” o i vertici sindacali già vedono i
Merito – Lorenzo Biondi, Gran Bretagna – Rudy Francesco
Calvo, Hashtag, Tweet – Alessandro De Angelis, Italicum –
Alessandra Sardoni, Leadership – Salvatore Merlo,
Montecitorio – Lina Palmerini, Napolitano – Francesco
Cundari, Partito – Mario Adinolfi, Poker – Antonello
Caporale, Populismo – Marco Ferrante, Poteri forti –
Francesco Bei, Quirinale – Nino Bertoloni Meli, Stampa –
Roberto Sommella, Ue – Federico Orlando, Velocità – Carlo
Bertini, Zavorra.
segni (la “torsione democratica” evocata da Susanna Camusso). Il renzismo, secondo questa interpretazione, sarebbe infatti l’ultimo stadio di una
linea ben presente nella storia italiana, da Crispi a
Craxi. In questa linea, a maggior ragione dopo la vittoria strabiliante del
25 maggio, c’è addirittura chi intravede i prodromi di un sistema autoritario di stampo sudamericano.
Si tratta di un problema che il
giovane presidente del Consiglio si
porterà sul groppone forse per sempre e di fronte al quale a poco varranno le sue rimostranze in senso
contrario. Non basterà proclamare
«sono di sinistra». Si è visto alle elezioni europee che il famoso “popolo
di sinistra” (che è più cambiato in
questi sei mesi che in sei anni) gli
crede. Gli ha dato via libera. Renzi è
il capo della sinistra italiana o – se si
preferisce – degli eredi della sinistra
italiana. (…)
Infine, non si sa nemmeno bene se ci troviamo
dinanzi a un “libertino”, come ha scritto Eugenio
Scalfari – che certo non lo ama – oppure a un newcomer che legittimamente sogni un paese disincrostato e più pulito. Certo, di libertino o “dongiovannesco” Renzi possiede quella dose di cinismo che
però è comune a qualunque leader di vaglia, essendo peraltro convinto, come il Valmont delle Relazioni pericolose, che «conquistare è il nostro destino». Malgrado il suo forte ancoraggio al cattolicesimo politico, Renzi è certamente un uomo politico molto laico. Lo si vede nel gusto quasi morboso
che prova nel gettare il guanto di sfida: al Senato,
alla Rai, ai sindacati, agli avversari interni al suo
partito, alla burocrazia. Nel cercare il corpo a corpo. Nel suo rapporto fisico-psicologico con la gente, giocato con abilità nell’ultima
campagna elettorale contra Grillo.
Nel “metterci la faccia”. Tutto molto poco gesuitico. (…)
A questo punto, le strade sono
due, che – a differenza di quelle
proustiane – non si riconnetteranno mai.
Lungo la prima strada, la sensazione di solitudine si dirada e
Renzi aumenta il suo credito nell’opinione pubblica, in quel popolo a
cui è destinato a rivolgersi sempre
più direttamente, nel senso di riuscire a stabilire quella “connessione sentimentale” che tuttora gli
manca: non si tratta solo di recuperare quella legittimazione elettorale (che peraltro le europee hanno sancito) ma
proprio di essere vissuto come il leader affidabile
e riconosciuto da tutto il paese, cosa che, beninteso, non significa che “tutti” ne condividano l’operato. E parallelamente, mentre i suoi avversari
declinano e la geografia politica dell’Italia si ridisegna ancora una volta, Renzi riesce a mettere al
centro della scena una nuova Casa democratica –
una Casa, non l’ennesima “Cosa” –, un partito che
“poggia” sul Pd ma di fatto ne trascende i confini
attuali, un Partito democratico non più “a vocazione” ma effettivamente maggioritario, in grado di
guidare il processo politico e di governo per i pros-
simi lustri,
nuolustri lasciando una nuova destra e una nuo
va sinistra (se qualcuno saprà costruire l’una e
l’altra) ai margini del sistema. Un Pd capace, come
mai prima d’ora è accaduto ad alcun partito progressista italiano, di fare i conti con il tempo nuovo, essendo chiaro che se la sinistra non dovesse
acciuffarlo e interpretarlo bene nemmeno questa
volta, ben difficilmente conoscerà altre prove d’appello.
È per questo che molti “vivono” Renzi come
l’ultima spiaggia. Ma nessuno può ragionevolmente escludere – ecco la seconda strada – che il giovane segretario fiorentino, come lo chiamò Il Foglio,
venga sconfitto da una Grande armée destrorsa e,
questa sì, genuinamente populista. Da una risacca
più che moderata, da un’onda anomala densa di
apatia e chiusura, fomentata e diretta da chissà
quale personaggio. O che cadrà più semplicemente per i suoi stessi errori, per una sottovalutazione
di quanto sia difficile governare l’Italia e gli italiani. Per la sua incapacità di stabilire quella connessione con il popolo, che è la premessa di ogni vera
svolta politica. Per la scarsa inclinazione a includere, a costruire gruppi dirigenti, a modellare una
nuova forma di partito.
Le incognite sono tante, e la strada di Matteo
Renzi non è dunque segnata. Come scrive Simone
de Beauvoir, in un bellissimo e un po’ dimenticato
romanzo di tanti anni fa dal titolo casualmente
renziano – I Mandarini –: «Quanto a quello che
accadrà più tardi, in fondo a questa lunga preistoria, dobbiamo confessarci di non saperne niente.
L’avvenire non è sicuro: né quello prossimo né
quello più lontano».
@mariolavia
••• SAGGI POLITICI •••
Vocabolari, che passione
SEGUE DALLA PRIMA
MASSIMILIANO
PANARARI
L’
analisi per voci della cultura politica vanta nel nostro paese una
tradizione gloriosa, a partire da quella
vetta indiscussa che coincide con il Dizionario di politica di Norberto Bobbio,
Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino (Utet), o, in altro ambito, con il memorabile Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano (Utet), ambedue fedeli,
per tanti versi, alla matrice originaria e
più illustre da cui scaturisce ogni ambiziosa operazione di catalogazione di
qualche settore del sapere, vale a dire
l’Encyclopédie ou dictionnaire raisonné
des sciences, des arts et des métiers par
une société de gens de lettres. Un monumento imperituro edificato alla Ragione, la prima iniziativa di organizzazione culturale di così ampio respiro nella
storia della modernità e l’autentico
“manifesto” dell’Illuminismo, di cui risultano debitrici anche, con le rispettive specificità, le successive tassonomie
e ripartizioni partorite dal positivismo.
E, mutatis mutandis, senza ovviamente farsi suggestionare da parallelismi improbabili, è proprio l’impianto
illuministico a fare da sfondo alla forma-dizionario che ritorna sugli scaffali
delle librerie. Non tanto sotto le insegne della volontà classificatoria, perché le intricate fenomenologie politiche
di cui IL Renzi e i dizionari sul pentastellismo si trovano a cercare di dipa-
nare i fili si dispiegano davanti ai lettori-cittadini (e ai cittadini-elettori)
all’insegna del mutamento continuo.
Ma, giustappunto, sotto il profilo
dell’anelito alla comprensione e alla
decifrazione del non precisamente o
non ancora conosciuto che attiene
all’esercizio della razionalità (e della
critica della ragione), e rimanda a un’ascendenza di tipo enciclopedico-illuministico. Di qui scaturisce lo sforzo
dei dizionari di provare a dare forma a
ciò che appare sicuramente informe se
osservato con gli occhiali di certe categorie interpretative usuali dell’analisi
giornalistica e politologica, come il
“renzismo” e il “grillismo”.
Tendenze da vari punti di vista
post-politiche e post-ideologiche (e
forse anti-politicistiche più che antimappati mediante lemmi intendono,
in maniera differente, fornire delle ripolitiche, si può oggi aggiungere) e,
sposte). Perché, nel frattemsoprattutto, tuttora in itinere
po, e rispetto agli augusti
e in progress, tali da non
predecessori, la forma-diconsentire dunque i bilanci
Lo sforzo
zionario di cui stiamo didisciplinari definitivi effetscorrendo esprime e si fa
tuati dai grandi dizionari ci- moderno
portatrice di una razionalità
tati in precedenza. Là si fis- e antico di
più “debole”, inevitabilmensavano definizioni destinate
catalogare
te passata sotto le forche
a valere per le generazioni
caudine del postmoderno.
seguenti di studiosi, e si tira- fenomeni
Una ragione “topografivano, in maniera autorevolispolitici
camente” più limitata, anche
sima, delle somme; qui si
se nient’affatto debolista, e
tracciano coordinate per una
desiderosa di tirare fuori
navigazione in un mare aperto
dalla cassetta degli attrezzi desueti il
e in una politica fattasi assai liquida,
rasoio di Occam, per impugnarlo in
scivolosa e incerta (come la società
versione riveduta e corretta – e assoche fatica sempre di più a venire raplutamente contemporanea.
presentata, e a cui i due “movimenti”
giovedì
27 giugno
2014
dalla prima 4
• • • I M M U N I TÀ • • •
SEGUE DALLA PRIMA
STEFANO
CECCANTI
conflitti politici (ma lo possiamo ancora temere come un qualcosa che non esiste oggi quando decide in maniera forte persino sulle leggi
elettorali?) si possono immaginare soluzioni
analoghe ma diverse: il senatore Tonini qualche
tempo fa (Il Foglio del 23 luglio 2011) aveva problea del genere, con quei numeri, non andrebbe
posto un giurì formato da tre presidenti emeriti
tutelata quanto la camera?
della Corte (il più recente di provenienza parlaCosa trarne in termini de iure condendo? Io
mentare, il più recente di nomina prepartirei da chi sta per deliberare, cioè
sidenziale e il più recente proveniente
i membri delle giunte, attribuendo
dalla magistratura) competente sia
solo a loro il potere di decidere e da- Pensiamoci
per le autorizzazioni di cui all’articolo
rei poi sia al giudice sia al parlamentare la possibilità di ricorrere in bre- bene prima di 68 sia per i procedimenti disciplinari
relativi ai magistrati ex articolo 106,
vissimo tempo alla corte costituziorassegnarci
problema speculare sul versante
nale o a un organo analogo, a cavallo
allo status quo dell’ordine giudiziario.
tra potere giudiziario e potere legiPensiamoci bene prima di rasseslativo.
o alla non
gnarci all’alternativa tra lo status quo
Dal punto di vista del singolo saper entrambe le camere e una soluziorebbe una procedura più garantista di sindacabilità
ne che farebbe della nostra l’unica sequella attuale col voto segreto. Da
conda camera che si limita solo a gaquello del parlamento ci sarebbe corantire l’insindacabilità. Negli altri casi euromunque una decisione motivata di un organo in
pei, infatti, anche di tutte le seconde camere
grado di assumerla con piena conoscenza di
non direttamente elettive, la protezione a tutecausa. Da quello della Corte essa dovrebbe dela della separazione dei poteri non si ferma lì e
cidere, chiarire i parametri e la ponderazione
la magistratura non è altrettanto indipendente
effettuata: ma se lo fa già sull’insindacabilità
e attiva. Non credo che il nostro nuovo senato
cosa osta che 1-2 volte l’anno debba farlo anche
debba stare fuori da una logica di equilibri.
per un arresto? In alternativa alla Corte, se te@StefanoCeccanti
miamo che essa sia coinvolta in presa diretta in
Idee per sciogliere il rebus
S
i riferiscono a qualche caso limitato relativo alle autorizzazioni ex post per intercettazioni indirette, su altre utenze.
Stiamo quindi solo discutendo di autorizzazione all’arresto, in sostanza di una decina di
casi per legislatura e di un sistema che, ad oggi, sia per la camera sia per il senato funziona
malissimo da qualsiasi punto di vista lo si voglia vedere. I soli parlamentari della giunta
competente hanno l’idea effettiva del caso in
questione, potendo leggere tutti i documenti
(segretati per i parlamentari “semplici”) e potendo essere parte attiva nel contraddittorio
col parlamentare coinvolto in prima persona. Il
parlamentare “semplice”, se vuole essere davvero coscienzioso nel deliberare in aula e non
vuole solo decidere sulla base di valutazioni
politiche o della lettura dei giornali o per simpatie e antipatie personali, è quindi costretto
ad una sorta di stalking nei confronti di membri della giunta di cui si fida, in sostanza per
aggirare il segreto e acquisire conoscenze più
rigorose.
A questi problemi si è aggiunta poi in questa legislatura la scelta opinabile di votare con
voto palese: una scelta che certo protegge da
alcune strumentalizzazioni politiche (in genere
di gruppi di opposizione radicale che si dichiarano a parole per gli arresti ma che poi votano
contro per poter accusare gli altri di logiche di
casta, come nel ben noto caso Craxi del 1993),
ma che indubbiamente apre problemi diversi
sul grado di autonomia del singolo, non solo e
non tanto rispetto al suo gruppo, ma rispetto a
campagne mediatiche ispirate al populismo
giudiziario.
A ciò poi si accompagna l’incertezza obiettiva sui criteri per negare l’autorizzazione:
quando nelle assemblee parlamentari la maggioranza è comunque netta (come lo era al senato nella scorsa legislatura) si usa di fatto solo il criterio del fumus persecutionis; ma se i numeri sono incerti, serrati, come evitare anche
di considerare gli equilibri politici del plenum
bilanciando tale criterio con la gravità del reato? E quest’ultimo non diventa ancor più forte
nel momento in cui discutiamo di un senato
composto solo di 100 membri, in cui 1 o 2 possono risultare in vari casi decisivi? Un’assem-
••• RICERCA •••
La spesa che non aumenta il debito
SEGUE DALLA PRIMA
ROBERTO
SOMMELLA
N
ella due giorni del Consiglio europeo
di Ypres e Bruxelles potrebbe arrivare una decisione fondamentale: scomputare dal calcolo del debito queste risorse,
fondamentali per la crescita e il benessere
di cittadini e paesi. Significa per noi poter
mettere sul piatto della bilancia fino a 30
miliardi di euro per incentivare ricerca e
sviluppo (appunto quei due punti percentuali che ci mancano per arrivare al 3 per
cento di Pil). A questa decisione, che sarebbe davvero importantissima, si aggiunge anche un’altra possibilità su cui la delegazione italiana a Bruxelles sta lavorando in vista del turno di presidenza: scomputare dal rapporto deficit-Pil la quota di
fondi tricolori che vengono stanziati per i
programmi cofinanziati con l’Unione europea. Questa opzione, che in ambienti
vicini alla Commissione uscente viene definita percorribile, e a cui tiene tantissimo
il governo Renzi, sarebbe ancora più importante perché ci permetterebbe di spendere fuori dai vincoli parecchi miliardi di
euro (almeno 15 nei prossimi sette anni di
programmazione) dando finalmente l’auspicata spinta alle Regioni per portare a
termine i piani legati ai fondi strutturali.
È forse la svolta determinante che il
nostro paese potrebbe cogliere al volo,
perché i fondi assegnati a Roma sono in
tutto circa 70 miliardi di euro nel prossimo settennato e, dall’altra parte, Roma
rischia di perdere il 40 per cento di quelli
ancora non utilizzati del passato programma se non verranno spesi entro la fine del 2015. Insomma, grazie all’applicazione della famosa golden rule (investi-
• • • E U RO PA • • •
SEGUE DALLA PRIMA
EUGENIO
SOMAINI
Gli “stati falliti” e l’Occidente debole
I
l termine “stato fallito” designa un’entità che è formalmente riconosciuta (da altri paesi e da organismi internazionali) come uno stato nazionale con
un territorio e una popolazione
chiaramente definiti, ma che è
privo di uno stato vero e proprio, e cioè di un governo che
eserciti effettivamente la sovranità su quel territorio e su quella popolazione.
Gli stati falliti possono assumere diverse forme ma sono in
genere caratterizzati dalla frammentazione in un serie di zone,
di segmenti della popolazione o
di sfere che non sono soggette al
potere di organi statali ma a
quello di gruppi particolari, che
esercitano il potere, spesso in
forme brutali, sulle popolazioni
e sulle aree che controllano.
Il fallimento di uno stato determina quasi sempre l’esplodere di violenze per l’assenza di un
potere unico che abbia il monopolio dell’uso della forza e per
la presenza di diversi gruppi o
fazioni che si confrontano militarmente per conquistare quel
potere, creando una situazione
di vuoto in cui spesso si inseri-
INFORMAZIONI
E
scono altri stati, confinanti o
non confinanti, che appoggiano
l’una o l’altra delle parti in lotta, fornendo loro sostegno armato e a volte intervenendo essi
stessi, in modo esplicito o variamente mascherato, con l’obiettivo di allargare la loro sfera
di influenza o addirittura di annettersi una parte dei territori
contesi.
La Russia ha svolto questo
ruolo nei confronti dell’Ucraina
e della Moldova (replicando
nella Transnistria l’annessione
della Crimea) e in una certa misura anche in Siria, dove il suo
intervento è stato accompagnato, su un versante della guerra
civile, da quello dell’Iran, degli
Hetzbollah libanesi e, sul versante opposto, da quello dei paesi del Golfo, mentre alcuni paesi occidentali sono intervenuti
militarmente nella crisi dello
stato libico.
Uno degli aspetti più insidiosi del fallimento degli stati è
rappresentato dal fatto che difficilmente essi escono integri
dalla condizione di fallimento,
ristabilendo la sovranità sui ter-
ANALISI
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Direttore responsabile
Stefano Menichini
Condirettore
Federico Orlando
Vicedirettore
Mario Lavia
Segreteria di redazione
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ritori e le popolazioni che formalmente sono loro soggette,
una circostanza le cui conseguenze sono aggravate dal fatto
che, a partire dalla fine della II
Guerra mondiale, il sistema delle relazioni internazionali si è
basato sul principio della intangibilità dei confini.
L’illegittimità, dal punto di
vista del diritto internazionale,
delle situazioni che emergono
dal fallimento degli stati fa sì
che, da un lato, lo stato di guerra, effettiva o potenziale, tende
a prolungarsi indefinitamente,
come dimostra il fatto empirico
che le guerre civili sono fenomeni ricorrenti per le stesse popolazioni e per gli stessi territori, e
che, dall’altro, una sorta di assenso popolare ex post ai confini emersi dalle guerre civili venga spesso cercato attraverso
forme di pulizia etnica, adeguando le popolazioni ai confini
e non i confini alle popolazioni,
e cioè allontanando dai territori
che un tempo occupavano le popolazioni che non condividono
il nuovo assetto.
Credo che nessuno sia in
Redazione e Amministrazione
via di Ripetta, 142 – 00186 Roma
Tel 06 684331 – Fax 06 6843341/40
anche indirette e legate per
esempio al fatto che le regioni
coinvolte nelle crisi occupano
posizioni cruciali per quanto riguarda le fonti e i canali di distribuzione dell’energia; il quarto, e a mio giudizio decisivo, è
che l’unità politica e militare
dell’Occidente, in primo luogo
attraverso la Nato, assume una
rilevanza paragonabile a quella
dei tempi che hanno preceduto
la fine della Guerra Fredda; il
quinto che è comunque possibile e necessario offrire una sponda e un sostegno a quella parte
dell’Ucraina che aspira a fare
parte dell’Occidente e non intende entrare come satellite
nell’orbita russa.
COMUNE DI PIOMBINO DESE
Provincia di Padova - Area Tecnica
AVVISO DI APPALTO AGGIUDICATO - ESTRATTO
AMM.NE AGGIUDICATRICE: Comune di Piombino Dese Piazza A. Palladio, 1
35017 Piombino Dese (PD) - Tel. 0499369450 – Fax 0499366727 – Area Tecnica
– Servizio Lavori Pubblici - Responsabile di Area: Arch. Bizzotto Gabriele –
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Registrazione
Tribunale di Roma
664/2002 del 28/11/02
grado di fare previsioni a breve
medio o lungo termine sull’evoluzione delle crisi da fallimento
degli stati che si stanno svolgendo sui confini dell’Ue, su alcuni punti credo si possa comunque convenire: il primo è
che, su tutti gli scacchieri attualmente aperti (dall’Ucraina,
alla Siria, alla Libia) l’Occidente si trova in una situazione di
relativa debolezza, nel senso
che non è in grado di proporre
soluzioni delle crisi che siano
insieme plausibili e ad esso favorevoli, e ancor meno dispone
dei mezzi per portarle a compimento; il secondo è che nemmeno i paesi che si trovano in una
condizione di relativa forza
sembrano in grado di conseguire
stabilmente i loro obiettivi; il
terzo, che deriva dai primi due,
è che l’Occidente può adottare
una strategia di attesa, contando sul logoramento delle forze
che a breve sembrano avere la
meglio, strategia che però richiede che si eviti il pericolo, in
alcuni casi assai concreto, di un
radicale deterioramento del
quadro o di reazioni a catena,
menti in infrastrutture e ricerca fuori dai
calcoli di bilancio) l’Italia potrebbe rimettersi sul cammino della crescita,
innovando i processi industriali e
mettendo un freno alla fuga dei
Scomputare
cervelli. A Bruxelles la discussione
dal calcolo del
è partita e non si può dare per
scontato che arriverà a buon fine a deficit questi
causa dei soliti sacerdoti del rigofondi permette
re. L’Italia per i motivi descritti,
ha il dovere di fare tutto il possibi- investimenti
le affinché questi buoni propositi
di 30 miliardi
non restino solo sulla carta.
Mario Cavallaro
Lorenzo Ciorba
Domenico Tudini
Guglielmo Vaccaro
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Democrazia è Libertà La Margherita in liquidazione
«La testata fruisce dei contributi
statali diretti di cui alla Legge 7
agosto 1990 n.250»