Untitled - CPA Fi-Sud
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Basi USA e Nato Sommario 3. Introduzione 4. Le basi USA in Italia 6. Basi militari americane: una storia di crimini e soprusi 13. Camp Derby era il “centro logistico” USA per la Gladio 15. Contributo del Comitato Unitario contro Aviano 2000 18. Contributo del Comitato dei 2 No Taranto 21. Corsi per i lavoratori della Ederle: così sparisce il ricatto occupazionale 23. Ordigni nucleari USA e Nato in Italia 2 26. La marina militare americana ha riversato acqua radioattiva nel Parco internazionale dell Bocche di Bonifacio 28. Due esempi di lotte internazionali: la Sardegna e la Corea 31. Conferenza internazionale Per l’Abolizione delle Basi Straniere in Ecuador, dal 5 al 9 marzo 2007 Basi USA e Nato Introduzione La presenza delle basi militari non rappresenta solo un problema locale ma si inserisce pienamente nella politica globale di aggressione imperialista. Così come il problema dell’occupazione militare dei territori investe tutto il pianeta dalla Germania alla Corea fino all’Australia e l’Equador, anche la lotta contro la presenza delle basi assume oramai una condizione globale Il loro riposizionamento, il loro ampiamento è da considerarsi pienamente in dialettica con quelle che sono le esigenze di proiezione verso i nuovi fronti di guerra. Così come rappresentano lo strumento di occupazione di quei territori che, successivamente alla fine dell’URSS e alla sua frammentazione, sono diventate nuove zone di conquista per l’imperialismo americano e non solo. Non fa differenza se queste siano americane o Nato, dato che quest’ultima rappresenta chiaramente lo strumento all’interno del quale la predominanza Usa e dei suoi interessi ne determina la linea politica e militare. Le basi militari non rappresentano unicamente i trampolini attraverso i quali lanciare operazioni di aggressione ma assumono un ruolo primario come carceri extragiudiziali nella guerra sporca al cosiddetto terrorismo internazionale, dalla più famosa Guantanamo, alle più sconosciute basi polacche e asiatiche all’interno delle quali sono stati detenuti, interrogati e torturati molti presunti esponenti della resistenza alla aggressione imperialista in Afghanistan e Iraq. Se non bastassero le basi, come per il rapimento di Abu Omar detenuto nella base di Aviano per poi essere trasferito in Egitto, diventano carceri segrete della stessa repressione sul fronte interno. Questa raccolta è il risultato del lavoro del gruppo nato dall’Assemblea del Centro Popolare con lo scopo di valorizzare al massimo tutto quel materiale che da anni viene archiviato e organizzato all’interno del Centro di Documentazione Angiolo Gracci, la Biblioteca che negli anni ha saputo diventare un patrimonio a disposizione di tutto il movimento di classe e antagonista e che per questo deve essere al massimo utilizzato. In un momento in cui la repressione sia militare, sia ideologica tende a voler distruggere e omologare, rimettere in gioco ciò che la nostra realtà come altre producono rappresenta sicuramente un tassello della battaglia per contrastare tutto questo. Fatene buon uso!! 3 Basi USA e Nato Le basi USA in Italia di Manlio Dinucci La dimensione della presenza militare Usa in Italia viene illustrata dal rapporto ufficiale del Pentagono Base Structure Report 2003: le forze armate statunitensi posseggono nel nostro paese oltre 2.000 edifici, con una superficie di oltre un milione di metri quadri, e hanno in affitto 1.100 edifici, con una superficie di 780mila m2. Il personale addetto a tali basi ammonta a 15.500 militari e 4.500 civili, per un totale di circa 20mila. BASI TERRESTRI L’esercito Usa ha proprie basi in Veneto e Toscana. Alla Caserma Ederle di Vicenza è stanziata la 173a brigata aviotrasportata, che opera nel quadro della Setaf, la task force del sud Europa agli ordini del Comando europeo delle forze armate Usa, la cui «area di responsabilità» include 91 paesi e territori da Capo Nord al Capo di Buona Speranza. Fu la 173a brigata, nel marzo 2003, ad essere proiettata per prima nel Kurdistan iracheno. A Camp Darby (Livorno) vi è la base logistica che rifornisce le forze terrestri e aeree impegnate nell’area mediterranea, nordafricana e mediorientale. 4 BASI AEREE L’aeronautica Usa ha proprie basi in Friuli-Venezia Giulia, soprattutto ad Aviano (Pordenone). Qui sono schierate la 31st Fighter Wing e la 16th Air Force che, dotata di caccia F-16 e F-15, ha il compito di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo anche in Medio Oriente. BASI NAVALI La marina Usa ha il suo centro principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartiere generale delle Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra: la sua «area di responsabilità» comprende 89 paesi in tre continenti (Europa, Africa e Asia, Medio Oriente compreso), da Capo Nord al Capo di Buona Speranza e, ad est, fino al Mar Nero. La marina Usa dispone inoltre della base aeronavale di Sigonella e di quella della Maddalena, alla cui funzione di base di appoggio per i sottomarini nucleari si è aggiunta quella di base di appoggio delle operazioni belliche in Medio Oriente e nei Balcani: all’inizio della seconda guerra contro l’Iraq, i sottomarini Usa di stanza alla base della Maddalena hanno attaccato dal Mediterraneo, con missili da crocie ra, Baghdad e altri obiettivi. BASI NATO A DISPOSIZIONE DEGLI USA Le strutture Nato a disposizione degli Usa sono molteplici. Al primo posto è il Basi USA e Nato Joint Force Command di Napoli: lo comanda un ammiraglio statunitense, il quale è allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e comandante della «Forza di risposta della Nato» che, composta attualmente di 17mila uomini, potrà essere «dispiegata in qualsiasi parte del mondo entro 5 giorni». A Taranto, vi è il quartiere generale della High Readiness Force (Maritime), una forza maritti ma di rapido spiegamento che, al momento dell’impiego, sarebbe come le altre inserita nella catena di comando del Pentagono. L’importanza del porto di Taranto per la marina Usa trova conferma nel fatto che una società statunitense, la Westland Security, intende acquistare una parte dell’area portuale da destinare, oltre che a non precisate attività commerciali, a servizi per la Sesta flotta Usa nel Mediterraneo, composta da 40 navi, 175 aerei e 21mila uomini. RUOLO DELLE BASI Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano, sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi meccanismo decisionale italiano. In tal modo Washington sta trasformando sempre più l’Italia in trampolino di lancio della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso est, nel quadro della ridislocazione delle forze Usa dall’Europa settentrionale e centrale a quella meridionale e orientale. È una strategia non solo militare, ma politica: per superare le resistenze che vengono da quella che Rumsfeld definisce la «vec chia Europa» (impersonificata da Germania e Francia), Washington fa leva sugli amici più fedeli (e soprattutto ossequienti), tra cui si distingue l’Italia, e, contemporaneamente, sulla «nuova Europa» impersonificata dai paesi dell’Est appena entrati nella Nato. Tratto dalle relazioni del convegno “Mediterraneo para bellum”, pag. 7 5 Basi USA e Nato Basi militari americane: una storia di crimini e soprusi di Antonella Randazzo 6 Gli Stati Uniti hanno oltre 800 basi militari sparse nel mondo. Tale livello di militarizzazione globale viene giustificato con l'esigenza di "sicurezza e protezione". Ma da chi? Chi sono i nemici? E se gli Usa non sono capaci di proteggere nemmeno se stessi da attentati aerei, a cosa possono servire questi enormi arsenali? Di sicuro gli effetti della militarizzazione sono devastanti ovunque. Con le basi militari, gli Usa introducono una cultura di guerra, di dominio e di violenza. Ovunque avvengono crimini contro la salute, l'ambiente, reati sessuali e di altro genere. Nell'esercito americano avvengono almeno 14.000 casi di violenza sessuale ogni anno. Raramente i responsabili subiscono un processo perché vige ovunque il principio dell'extraterritorialità. Nella base della Maddalena, in Sardegna, i danni ambientali sono enormi. Nel settembre del 2005 è stato rivelato che i sottomarini di attacco americani avevano gettato acqua radioattiva dai reattori, inquinando il Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio. Invano l'allora deputato Mauro Bulgarelli chiese al Ministro italiano della Difesa: "Quali i provvedimenti presi durante questa delicatissima operazione?"1[1] Già nel dicembre del 2003, Bulgarelli aveva sollevato domande sull'operato dei militari della base, ma incredulo si era trovato di fronte ad un atteggiamento arrogante: sapete cosa ci ha risposto il comando del corpo militare italiano quando ci siamo allarmati per il modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla Marina americana alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure relative allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: "No comment". E' un insulto alla nostra sovranità nazionale!2[2] Nell'ottobre del 2003 si era verificano un incidente al sottomarino nucleare Hartford, che aveva prodotto gravi danni. Le conseguenze dell'incidente sono state tenute segrete, ma gli abitanti avevano sentito un enorme boato. Anche nel 2000 si era verificato un incidente nella base di Camp Darby, in seguito al quale furono evacuate diverse armi, forse 1[1] http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=82 1[2] http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/soumarin/eauradioact_901.htm 1[3] Fonte: La Nuova Sardegna , 13-2-04 1[4] Liberazione, 9 settembre 2006. 1[5] Il Manifesto, 23 luglio 2006. 1[6] Perrone Nico, Perché uccisero Enrico Mattei, Edizioni L'Unità, Roma 2006, p. 58. 1[7] Nation, 1 luglio 1996. 1[8] Newsweek, 14 ottobre 1996. 1[9] Department of Defence, United States Security Strategy for the East Asia-Pacific Region, Washington , D.C. , Department of Defense, Office of International Security Affairs, febbraio 1995, pp. 23-24. 1[10] Johnson Chalmers, Gli ultimi giorni dell'impero americano, Garzanti, Milano 2001, p. 101. Basi USA e Nato nucleari. La popolazione è tenuta all'oscuro di ciò che avviene nelle basi, e non c'è alcuna protezione per la salute dei cittadini. In caso di incidenti, lungi dall'avanzare proposte di giusto risarcimento, gli americani non ammettono nemmeno i danni prodotti. La Sardegna veniva chiamata dal Pentagono, già nel 1954, “A pivotal geographic location”. Da molti anni il popolo sardo è privato di parte del territorio e subisce restrizioni e conseguenze di vario genere a causa delle basi militari americane. Nella base militare Capo S. Lorenzo-Quirra avvengono esercitazioni e sperimentazioni di tipo bellico. Il poligono si estende per più di 11.000 ettari , e le zone interdette o pericolose per la navigazione sconfinano in acque internazionali e coprono oltre 2.800.000 ettari , una superficie più estesa di quella dell'intera Sardegna. Periodicamente viene organizzato lo "shopping della morte", con aziende come la Thomson , la Fiat , la Aerospatiale e la Alenia , che presentano nuovi armamenti e materiali di guerra da testare e di cui promuovere l'acquisto in tutto il mondo. Nelle zone limitrofe ai poligoni si sono registrate morti strane e sospette. Ad esempio, a Quirra, un paesino di soli 150 abitanti, 20 persone sono morte di leucemia o tumori emolinfatici. Anche 10 persone che avevano lavorato nella base sono morte di cancro. A Escalaplano, un paesino di 2.600 abitanti, a nord del poligono, 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni genetiche e patologie rarissime. I militari americani non riferiscono i particolari delle loro esercitazioni, e si sospetta l'uso di proiettili all'uranio impoverito. Negli ultimi anni sono aumentati i casi di tumori ossei e alla mammella, proprio dove si trovano i sommergibili americani a propulsione nucleare, a La Maddalena. I casi di "anencefalia" e di "cranioschisi" sono già stati riscontrati in altre zone ad alto inquinamento radioattivo, come spiega una mamma al giornalista Piero Mannironi: “A cavallo tra il 1987 e il 1988... Ricordo che raccontai al genetista delle altre due donne della Maddalena che avevano avuto questo problema insieme a me. E lui mi disse che un'incidenza così alta di anencefalie, secondo uno studio scientifico internazionale, era stata riscontrata in una zona del Galles dove si effettuavano lavorazioni industriali che provocavano l'emissione continua di radiazioni.3[3] Nonostante i crimini e gli occultamenti da parte delle autorità militari americane, al ministro Arturo Parisi è bastata una vaga promessa di ritiro dalla Maddalena, avanzata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, per annunciare la "conferma (del)l'affidabilità dei rapporti che ci legano agli Usa con la conclusione in amicizia della presenza alla Maddalena".4[4] Ma le cose non sono da considerare così ottimisticamente come azzarda il ministro. Innanzitutto le autorità americane, non riconoscendo alcuna responsabilità di danni all'ambiente e alle persone, non parlano di bonifica né di risarcimento, e le intenzioni di ritiro sono vaghe e non escludono il permanere del 7 Basi USA e Nato 8 controllo militare americano sulla zona. Le dichiarazioni di Rumsfeld sono seguite alle proteste molto decise da parte della popolazione sarda, che è ormai stufa dell'occupazione militare che è costretta a subire. La Maddalena è stata istituita in seguito a trattati conclusi nel 1972, e al suo interno viene riconosciuta l'extraterritorialità e l'extragiurisdizionalità, cioè tutto quello che accade non può essere controllato o penalmente perseguito dallo Stato italiano. Il trattato è rimasto segreto, né i cittadini né i parlamentari possono conoscerne tutti i contenuti, in offesa al potere sovrano democratico del popolo. Dagli anni Settanta numerosi medici e scienziati denunciano strani fenomeni genetici e una percentuale elevata di tumori, che sarebbero causati da sostanze radioattive prodotte dai reattori. Il governo italiano non ha mai fronteggiato la situazione, e non ha mai autorizzato controlli sanitari o ambientali. Il nostro governo ha persino negato la presenza di armamenti atomici nella base della Maddalena, che il Congresso americano e l'Assemblea Atlantica hanno confermano. Dagli anni Cinquanta il governo italiano ha dato mano libera all'installazione di basi militari americane. Il potere attribuito agli Usa è enorme, se si pensa che non sono tenuti a precisare né l'ubicazione della base né le attività che si svolgono all'interno. Ciò è anticostituzionale perché viola gli articoli 80 e 87, che prevedono la sovranità su tutto il territorio dello Stato. Il nostro territorio è disseminato di basi americane: Ghedi, Sigonella, Aviano, Camp Darby, Pisignano ecc.; le basi sono complessivamente 113. In Sardegna c'è il triste primato della morte, col 66% delle installazioni militari. La base militare di Sigonella, in Sicilia, è fornita di bombe atomiche, e produce un alto grado di inquinamento, spreco di energie e di acqua. La base, creata nel 1984, ospita l'Helicopter Combat Squadron Four HC-4 Black Stallion, dotato di nove elicotteri pesanti MH-53E Sea Dragon per trasportare uomini, mezzi e munizioni. Lo squadrone partecipa alle operazioni militari americane in Europa, Africa e Medio Oriente. E' anche impegnato in operazioni belliche in Afghanistan e in Iraq. Le testate nucleari sono del tipo B 43, B 61, B 83, con potenza distruttiva variabile da 1 kiloton a 1,45 megaton. Sul territorio italiano sono presenti parecchi missili a testata nucleare. Soltanto nella navebalia Uss Emory S.Land, ormeggiata nelle acque di Santo Stefano ci sarebbero ben 34 missili a testata nucleare. Nel 2003 sono partiti i missili contro la popolazione irachena in spregio all'articolo 11 della nostra Costituzione che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Nel luglio del 2006 il governo israeliano chiese agli americani armi "speciali", che sarebbero partite dalla base italiana di Camp Darby (base posta fra il porto di Livorno e l'aeroporto di Pisa). Questa base nacque da accordi fra Italia e Stati Uniti conclusi nel 1951. Da Camp Darby sono partiti i missili contro l'Iraq e contro la Jugoslavia. Gli Stati Uniti hanno regalato ad Israele numerose armi di vario genere, come le bombe a guida laser (Gbu-28 ) che sono state sganciate nei raid notturni a Beirut durante l'aggressione al Libano del periodo luglio-agosto 2006. Le bombe partivano da Basi USA e Nato Camp Darby, senza che gli italiani ne avessero notizia. L'organizzazione statunitense Global Security ha dichiarato che "il 31° squadrone munizioni che opera a Camp Darby è responsabile del maggiore e più disseminato arsenale di munizioni convenzionali delle Forze aeree Usa in Europa, consistente in 21.000 tonnellate collocate in Italia, e di due depositi classificati situati in Israele".5[5] La base militare di Camp Darby ha assunto un ruolo importante nelle guerre del Mediterraneo, e rappresenta uno dei più grandi arsenali che gli Usa hanno all'estero. Nel 1991 quasi tutte le munizioni utilizzate durante la "Tempesta del deserto" provenivano da Camp Darby, come anche gran parte di bombe e granate utilizzate per la guerra in Kosovo e in Iraq. Dal 1990 al 1998 a Camp Darby sarebbero transitate almeno 22 mila tonnellate di munizioni e 3278 cluster bomb. L'uso bellico delle basi sul territorio italiano, di cui gran parte della popolazione è all'oscuro, è una delle tante prove che l'Italia è un "paese a sovranità limitata", le cui autorità sono corresponsabili dei crimini che gli Usa stanno commettendo in molti paesi del mondo. Ovunque nel mondo, in Iraq come in Afghanistan, in Romania, Bulgaria, Polonia, Italia, Pakistan, Singapore, Malesia, Filippine, India, Australia e persino in Vietnam, gli Stati Uniti stanno progettando nuove basi militari per accrescere il loro potere strategico e il dominio nel mondo. A Vicenza la popolazione è costretta a subire la creazione di un'altra base americana. Il nostro governo si è sentito obbligato a rispettare un trattato stipulato 60 anni fa e che oggi non ha più ragione d'essere. Il presidente del consiglio Romano Prodi ha sostenuto che l'Italia "deve rispettare gli accordi presi", ma non ha precisato che si tratta di accordi stipulati nel dopoguerra, e che appaiono oggi semplicemente assurdi. Anche in molti altri paesi del mondo le popolazioni sono costrette a subire l'occupazione militare americana. L'isola di Okinawa, nell'arcipelago giapponese, è di fatto una colonia militare americana da oltre 58 anni, occupata da ben 38 basi militari americane. Le basi americane assolvono a diversi scopi: sono basi strategiche da cui far partire le operazioni belliche, ma sono anche punti militarizzati per controllare la popolazione. Per assolvere quest'ultima funzione sono maggiormente militarizzati i paesi sconfitti durante l'ultima guerra mondiale (Germania, Italia, Giappone), e quelli in cui attualmente gli Usa stanno cercando di sottomettere la popolazione (Afghanistan, Iraq, alcuni paesi dell'Africa e dell'Asia). Dal dopoguerra, l'Italia (come la Germania e il Giappone) è considerato un paese da "proteggere", che nel linguaggio delle autorità americane significa da tenere sotto stretto controllo. Nel periodo della "Guerra Fredda" gli Usa giustificarono la militarizzazione dell'Italia con il pericolo di "minaccia sovietica". In un rapporto segreto americano del maggio 1962 si legge: La presenza delle forze americane in Italia garantisce un importante sostegno psicologico ai governi filo-occidentali di fronte alla minaccia dell'aggressione sovietica e costituisce l'evidente testimonianza dell'alleanza americana. Ciò d'altro canto contribuisce alla stabilità politica. Il ritiro delle forze sarebbe seguito da 9 Basi USA e Nato 10 La portaerei del Mediterraneo: basi USA e Nato in Italia Basi USA e Nato uno sviluppo di sentimenti neutralisti.6[6] Per "stabilità politica", le autorità americane intendevano "subordinazione agli Usa". Si trattava di occupare militarmente zone la cui popolazione doveva essere costretta a subire la presenza di militari americani, come un continuo avvertimento su chi avesse il vero dominio del territorio. Di fatto, dopo la Seconda guerra mondiale, l'Italia cedeva la sua sovranità alle truppe americane, che potevano commettere impunemente ogni sorta di illegalità. Così accadde anche per la Germania e il Giappone. Nella base di Okinawa, da quando è stata istituita (1945), avvengono ogni sorta di violenze e crimini. Per giustificare la massiccia militarizzazione del Giappone, le autorità americane parlavano di "garanzia di sicurezza e pace", ma le popolazioni vivevano il fenomeno come un'occupazione militare, che perdura ancora oggi. L'articolo 5 del trattato di sicurezza nippoamericano sosteneva che lo scopo delle basi militari era di "difendere il Giappone", ma non si specificava né da chi né come, ed era implicito che dovessero farlo necessariamente le truppe americane. Negli anni Sessanta soltanto ad Okinawa c'erano 117 basi militari, diventate 42 negli anni Novanta. Fra il 1972 e il 1995 i soldati americani commisero 4716 crimini, in parte si trattava di violenze sessuali. I casi di violenza sessuale erano molto maggiori di quelli denunciati, in quanto molte donne si vergognavano a sporgere denuncia. Il Pentagono permetteva che i soldati colpevoli di violenze sessuali non subissero alcuna condanna. La rivista Nation denunciò che "coprire crimini sessuali è una precisa linea politica del Pentagono".7[7] Nel settembre del 1995 suscitò molta rabbia e indignazione lo stupro di una bambina di dodici anni da parte di tre soldati americani. La polizia di Okinawa identificò i tre colpevoli, ma non poté arrestarli perché doveva rispettare il principio di "extraterritorialità", secondo il quale i soldati americani possono essere processati soltanto da tribunali americani. Ciò permette alle autorità americane di rendere impunibili i loro soldati. Nonostante le proteste della popolazione, i soldati americani non pagarono per lo stupro della bambina, e dopo il 1995 i casi di violenza sessuale aumentarono. Un insegnante di scuola media superiore, Ben Takara, chiese alle sue alunne se fossero mai state molestate dai soldati americani e un terzo delle ragazze rispose di sì.8[8] Nella base di Okinawa avvengono esercitazioni con granate d'obice, che provocano gravi danni ambientali e incendi nelle foreste. Inoltre, viene prodotto inquinamento acustico, che ha provocato danni all'udito in molti abitanti dell'isola. Sull'isola di Torishima, a 100 chilometri da Okinawa, fra il dicembre 1995 e gennaio 1996 sono state esplose 1520 granate all'uranio impoverito. I cittadini giapponesi non sono mai stati informati del tipo di munizioni utilizzate nei poligoni. Oggi nelle basi americane continuano le esercitazioni che producono danni alla salute e all'ambiente, e le violenze e prepotenze contro la popolazione. La retorica di Washington vorrebbe far credere che le basi hanno motivazioni etiche: “La nostra presenza preventiva garantisce la stabilità... La presenza delle forze armate americane... favorisce anche lo sviluppo democratico... offrendo un 11 Basi USA e Nato esempio chiaro e tangibile del ruolo apolitico dei militari americani.”9[9] Per capire la verità occorre considerare i fatti, cioè che ogni base americana rappresenta un pericolo per la vita e il benessere delle popolazioni, e che i militari americani sono posti al di sopra delle leggi del paese che li ospita. Occorre temere il proliferare di questi centri della morte e del segreto che aleggia in essi. Si tratta di luoghi di potere e di guerra. Come osserva lo studioso Chalmers Johnson: "(C'è) una grande strategia volta a preservare o addirittura accrescere il potere americano... Ciò diventa chiaro allorché volgiamo la nostra attenzione ad alcune delle attività segrete in tutto il globo... di cui il Pentagono è a perfetta conoscenza ma di cui altri organi del governo e la popolazione tutta sono completamente all'oscuro”.10[10] Tratto da www.disinformazione.it - 18 gennaio 2007 12 Basi USA e Nato Camp Derby era il “centro logistico” USA per la Gladio Sulla base degli accordi, la CIA provvide ad inviare il materiale che doveva servire a costituire le scorte di prima dotazione dei nuclei e delle unità di pronto impiego. Il materiale USA proveniva sia direttamente dagli Stati Uniti sia dai depositi dell’esercito americano in Germania. La base di raccolta era a Camp Derby (Livorno). Il materiale fu inviato in vari tempi. Subito, nel 1963, una prima parte, poi nel 1969 una seconda e più rilevante parte. Tra il materiale inviato nel 1963: 198 pacchi esplosivi in contenitori metallici, 180 pacchi trappole in contenitori di composto plastico, 106 pacchi armi (ciascuno con uno Sten, 2 pistole, 6 bombe a mano), 364 bombe al fosforo, 24 mortai da 60, 12 cannoni da 57, 120 carabine calibro 30, 245 fucili a cannocchiale. Il materiale esplosive il munizionamento vennero concentrati nel reparto munizioni di Campo Mele (Sassari). Parte del materiale venne destinato all’Ufficio D del Sifar (e questo pone il problema del controllo che se ne è avuto). Il grosso del materiale giunse già confezionato in speciali involucri, al fine di assicurare il perfetto stato di conservazione nel tempo, dato che era previsto che fossero poi racchiusi in contenitori da interrarsi in appositi nascondigli (Nasco) nelle zone prescelte. L’armamento era suddiviso in “convenzionale” e “non convenzionale”: quest’ultimo era costituito da materiale proveniente da Paesi del Patto di Varsavia, al cui uso era previsto che i gladiatori si addestrassero. Camp Derby non è stata quindi una seconda base della Gladio, ma il centro logistico USA per la Gladio. Secondo le carte ufficiali, la posa dei contenitori nei vari Nasco ebbe inizio nel 1963. Il grosso dei Nasco fu costituito fra il ’63 e il ’64, ma si continuò anche negli anni seguenti. I Nasco non erano ovviamente tutti uguali. A seconda di chi vi doveva attingere (sabotatori o specialisti di evasione e fuga o esperti di propaganda e così via) nei vari contenitori che costituivano i Nasco era collocato il materiale che serviva alla specializzazione degli uomini. L’esplosivo (di vario tipo) era prevalentemente contenuto nei Nasco dei nuclei di sabotaggio. Alcuni contenitori destinati alla “propaganda” contenevano risme di carta bianca e macchine riproduttrici. Complessivamente furono costituioti139 Nasco in gran parte nell’Italia del Nord, con una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord-Est. L’ubicazione dei Nasco era indicata su apposite carte geografiche depositate presso la sezione Sad. Era anche depositato il dettaglio del materiale di ogni contenitore di ciascun Nasco (ad eccezione del numero di matricola delle armi, che venne registrato in 13 Basi USA e Nato 14 un secondo tempo, all’epoca dello smantellamento della rete Nasco e dello sconfezionamento dei contenitori). Due Nasco per sabotatori furono costituiti nella prima decade di dicembre del 1969 nella zona di Napoli. Due Nasco erano stati costituiti nel 1965 anche nella zona di Taranto. Il materiale destinato alla rete clandestina non era però solo quello interrato nei Nasco in contenitori sigillati. L’armamento e il materiale per le unità di pronto impiego era anche “in superficie”. Parte di questo materiale proveniva dal “contingente CIA”, ma la parte più rilevante proveniva dalle disponibilità create in seguito allo scioglimento del “Raggruppamento O” (ex Osoppo). Agli atti esiste una lettera del 6 marzo 1956 del colonnello Luigi Olivieri, che era stato il Comandante nell’Organizzazione O fino al suo scioglimento, diretta al senatore Raffaele Cadorna. Nella lettera, Olivieri dice che era stato ultimato il recupero delle armi e delle munizioni che lo stesso generale Cadorna gli aveva affidato nel 1946 “per armare diecimila uomini, organizzati in unità pronte a intervenire qualora la Jugoslavia avesse invaso il territorio nazionale”. Ricorda il colonnello Olivieri che nel 1946, con l’appoggio del generale Cadorna, era sorta l’”Organizzazione O” con gli elementi della disciolta formazione partigiana “Osoppo Friuli”. L’organizzazione - scrive sempre il colonnello Olivieri - era segreta e le “superiori autorità militari non dovevano figurare di fronte agli alleati, che l’appoggiavano”. CHE COS’ERA LA GLADIO Gladio nasce nel 1951 in seguito ad una serie di accordi tra i servizi segreti italiani (Sifar) e quelli statunitensi. Si tratta di una struttura parallela e occulta che ha operato all'interno del Sifar fino a gli anni '90 con lo scopo, secondo le dichiarazioni dell'allora prsidente del consiglio Andreotti, di predisporre tutte quelle attività che “sul modello Nato, erano state messe in atto per l'ipotesi di un attacco e di un'occupazione dell'Italia o di alcune regioni italiane”. In realtà si è trattato di una rete clandestina paramilitare anticomunista volta a mantenere la struttura conservartrice dell'allora governo italiano e impedire con ogni mezzo ai comunisti di giungere al potere. Basi USA e Nato Contributo del Comitato Unitario contro Aviano 2000 Il Comitato è sorto nel marzo del 1996, raggruppando un vasto arco di forze e soggetti impegnati in provincia di Pordenone sui temi della pace, dell’antimilitarismo, dell’ambientalismo. Nel gennaio del 1997 abbiamo organizzato un convegno dal titolo GETTIAMO LE BASI, da cui è partita poi una campagna nazionale che ora si tenta, tutti assieme, di ril anciare, all’i nterno del più vasto movimento pacifista ed antiliberista che ha animato in questi anni le piazze di tutto il mondo. SCHEDA SUL PROGETTO DI AVIANO 2000 Il progetto Aviano 2000, concepito nel 1995 ha l’obiettivo di migliorare la funzionalità della base, sia dal punto di vista strettamente operativo che da quello della “qualità della vita” dei militari e delle loro famiglie. Il progetto fruisce di un finanziamento di complessivi 530 milioni di dollari, di cui 352 fondi NATO e 178 USA. La parte più rilevante del progetto viene realizzata sull’area dell’ex Caserma Zappalà, a cavallo fra i comuni di Aviano e Roveredo concessa agli americani con accordo “tecnico” che risale al 1994. È stata prevista anche la realizzazione, in 11 comuni della provincia, di 530 alloggi per i militari e famiglie al seguito. È del tutto evidente che un simile investimento, secondo un piano decennale destinato a concludersi nel 2005, implica il permanere indefinito di questa installazione. In più occasioni preoccupate cronache locali hanno fatto balenare l’ipotesi di un trasferimento della base in uno dei paesi dell’est. Anche se è vero che esistono già numerose installazioni militari americane in paesi quali l’Ungheria, la Bosnia, il Kosovo è altrettanto vero che, come osserva il generale Angioni “sarebbe azzardato sistemare basi in paesi che non hanno infrastrutture e non offrono garanzie sul territorio, cosa ben diversa dal legittimo svolgersi di qualche manifestazione pacifista” (intervento in commissione affari esteri della Camera del 13 aprile 1999). Le garanzie sul territorio qui certo non mancano: le amministrazioni locali, coinvolte sempre più da abili campagne di public relations, si prodigano nel migliorare la qualità della vita delle truppe alleate (I 20 miliardi di finanziamento strappati al governo quale “indennizzo” per il progetto Aviano 2000 verranno intera mente spesi per la viabilità che conduce alla Base, della cui pericolosità si lamentano soprattutto gli statunitensi. La qualità della vita delle popolazioni locali viene un pò dopo. È sintomatica, su questo punto, la vicenda della strada di Pedemonte. Le aree 1 e 2 della base di Aviano (vedi cartina qui sopra) sono divise dalla vecchia strada di Pedemonte, che collega la frazione con il centro di Aviano e poi sbuca nella 15 Basi USA e Nato strada Pedemontana, all’altezza della strada per il Piancavallo. Alcuni anni fa gli statunitensi hanno realizzato un sottopasso per collegare le due aree, ma ancora non basta: il senato americano ha deciso che “per motivi di sicurezza” le due aree devono essere unite e la strada pubblica spostata, “replaced”. Il finanziamento di sei milioni di dollari è pronto! Il Sindaco (di centrosinistra) di Aviano Rellini aveva talmente introiettato il meccanismo di comando militare da sostenere come sua l’idea di stravolgere la viabilità cittadina per favorire la “sicurezza” della forza militare. Poco gli importava se il parere dei suoi concittadini è nettamente contrario: questi lo hanno punito eleggendo pochi mesi fa un Sindaco ed una Giunta di centrodestra che aveva contestato il progetto! LOCALE E GLOBALE 16 La tensione fra le dinamiche locali e quelle globali ha sempre improntato la nostra analisi e guidato le nostre iniziative. La lotta per la riconquista del proprio territorio (beninteso senza logiche di esclusione) rischia sempre di cadere preda della sindrome di NIMBY (Not In My BackYard, non nel mio giardino) se non è accompagnata da una conoscenza del quadro complessivo entro cui si inserisce. Per noi è sempre stato naturale partire però dai danni, dai disagi e dai pericoli che l’installazione militare provoca: inquinamento acustico, inquinamento dell’aria, inquinamento del suolo e delle falde, militarizzazione del territorio. Nell’affrontare questi temi, che riguardano la vita e la salute dei singoli cittadini, questi hanno modo di ricercare le cause prime di questi fenomeni e spesso scoprono come questi fatti “locali”, confinati nelle cronache cittadine di Aviano, abbiano in realtà origine da questioni di rilevanza molto più vasta. Indicativo, a questo proposito è il caso dell’inquinamento da Bromacile, diserbante sospettato di effetti cancerogeni e perciò vietato in Italia dal 2003, impiegato normalmente negli agrumeti e nel diserbo totale di aree industriali, massicciate ferroviarie ed aree militari. L’inquinante è stato scoperto nel 2000 in numerosi pozzi delle falde di Roveredo, Fontanafredda e Porcia. Le indagini per scoprirne l’origine, da quanto si sa, hanno preso varie direzioni, compresa l’installazione militare. Per conto mio ho impiegato pochi minuti a “scoprire” che il Bromacile, dopo il Glifosato, è il secondo diserbante più impiegato nelle basi dell’Air Force negli Stati Uniti. I militari, dopo insistenze, hanno ammesso di averlo impiegato fino al 1995. È interessante notare che proprio in quell’anno un massiccio quantitativo è stato impiegato per diserbare le aree per la tendopoli destinata ad accogliere le truppe impegnate nelle operazioni militari nell’ex Yugoslavia. LE DEROGHE OVVERO LA LICENZA DI INQUINARE Nell’affrontare i temi dell’inquinamento è stato sconcertante scoprire come, nella legislazione italiana per la protezione dell’ambiente siano abbondanti le deroghe riferite alle attività militari. Basi USA e Nato Clamorosa è quella che riguarda i serbatoi interrati di carburante, una delle fonti di inquinamento più pericolose, comprovata dall’esistenza di una ventina di siti inquinati (ufficialmente notificati alle autorità) all’interno della Base di Aviano. Il Decreto ministeriale che regola la materia (ora cassato dalla Corte Costituzionale, ma non per questo motivo, ahimè) prevede norme di cautela ambientale, che non si applicano alle installazioni militari. Si assume per principio che un serbatoio militare non possa inquinare! Sul tema delle deroghe, veramente importanti, sarebbe bene che il movimento contro le basi militari trovasse opportuna rispondenza in alcuni parlamentari che volessero farsi carico di proporre l’eliminazione di queste deroghe. LA CONVERSIONE PREVENTIVA Il tema è stato affrontato nel corso del convegno tenutosi a Pordenone lo scorso 18 settembre. Molto sinteticamente esponiamo il concetto di conversione preventiva. Dal 1989 in poi abbiamo assistito, indipendentemente dal definirsi degli scenari della guerra globale permanente, ad una consistente riduzione (con ridislocazioni) dell’apparato militare. Nella sola Germania sono migliaia i siti militari abbandonati e convertiti ad usi civili. Dal presupposto che una base militare è pur sempre una sorta di accampamento, dal carattere transitorio, abbiamo pensato che proporre un’alternativa concreta , specie sui versanti economico ed ambientale, potesse essere un passo verso la smilitarizzazione del territorio, verso la nascita di una coscienza diffusa di ostilità alle basi militari. Ecco allora che la proposta di riusare le imponenti installazioni di Aviano (la sola area dell’aeroporto è pari a dieci volte una delle maggiori aree industriali della nostra provincia) per farne un centro di ricerca per le energie rinnovabili (c’è spazio anche per la concreta applicazione del fotovoltaico) diventa un argomento da sottoporre all’intera società civile e non solo al popolo dei pacifisti. Tratto dai contributi dei comitati al Covegnp “Mediterraneo para bellum” pagg. 61, 62, 63 17 Basi USA e Nato Contributo del Comitato dei 2 No Taranto di Salvatore De Rosa, Giovanni Matichecchia 18 Nel convegno delle città militarizzate, svoltosi a Taranto il 20 novembre scorso, la proposta che ricevuto maggiori consensi, sottolineata positivamente anche dalla parte parlamentare presente all’incontro, è stata quella di costruire una vertenza nazionale delle realtà militarizzate. Questa proposta trae la sua ragione principale dalla necessità di reagire collettivamente alla condizione di sudditi che la militarizzazione di fatto impone ai cittadini di ciascuna area interessata: esponendo la loro salute a rischi e nocività per i quali nega il diritto di tutelarsi e perfino di informarsi compiutamente; prevedendo una esenzione dal rapporto con le leggi italiane per i militari stranieri ospitati dalle basi che dovessero commettere dei reati sul suolo italiano (v. Cermis); limitando lo sviluppo economico con i gravami imposti sul territorio; non prevedendo che le popolazioni di una zona interessata da un progetto di servitù militare possano esprimersi sulla sua fattibilità o possano chiedere delle garanzie. La vertenza dovrebbe essere elaborata collettivamente dai cittadini interessati (e interessabili), avvalendosi anche dell’aiuto di esperti. Non azzardiamo quando riteniamo che il convegno di Taranto sulla militarizzazione, sulla sempre più invasiva presenza delle basi militari in Italia, voluto dal Comitato dei 2 No (al nucleare e ad ogni ulteriore insediamento militare a Taranto), è stato un grande momento di riflessione e di studio. Nelle fasi di sofferenza della economia mondiale, prendono fiato i fautori di una economia di guerra. Per quanto possa apparire azzardato, la guerra, così come per altri versi il crimine, produce un fiorente indotto per le minoranze che detengono il potere, il potere di decidere sulle maggioranze. Quindi non di guerra preventiva è lecito parlare quanto piuttosto di una precisa scelta di potenziamento dell’apparato bellico con la prospettiva di una endemia bellica che abbia per scenario l’intero pianeta. Siamo alla preventiva guerra continua. Ci raccontano che così facendo rispondono all’esigenza di portare la democrazia nel mondo. Tutti riconosciamo purtroppo che la democrazia scarseggia un po’ovunque. Che il potenziamento dell’apparato bellico sia il prioritario impegno dei governi è dimostrato dalle più recenti scelte. La Russia, con i suoi sistemi missilisticonucleari (sono i nuovi missili balistici Topol-M, che dovrebbero essere consegnati all’esercito nel 2006. I loro 10 mila chilometri di gittata li rendono unici al mondo. La loro estrema manovrabilità e velocità sono a prova di scudo anti-missile, il sistema di protezione fortemente voluto dal presidente americano Bush). Gli Usa, con il riposizionamento delle forze navali e terrestri in Europa ma anche con l’assegnazione della Segreteria di Stato ad un “falco”. L’Italia con il potenzia mento delle basi militari di terra e di mare ma soprattutto con l’emblematica scelta di una legge liberticida in tema di diffusione di notizie militari. Il paravento dietro cui si nascondono è la lotta a quel terrorismo che indirettamente alimentano Basi USA e Nato quotidianamente. È questa la chiave di lettura per capire lo stato in cui versano le regioni meridionali martoriate dalla presenza militare. La Puglia e la Sardegna rappresentano il massimo della pervasività militare in un territorio. La Sardegna, come la Puglia, con la presenza dei poligoni di tiro e dei sottomarini a propulsione nucleare sta pagando un altissimo prezzo nella salute pubblica determinato dall’incremento delle neoplasie. Alla Maddalena sono già numerose le nascite di bambini con problemi. I sardi hanno già chiesto agli americani di togliere il disturbo. A Gaeta sono felicissimi che gli americani vadano via. Il Cermis lo ricordano tutti. Aviano e Sigonella rappresentano le classiche città martoriate da un aeroporto da cui decollano jet a reazione. Brindisi ha conosciuto e continua a conoscere la “discreta” presenza americana che tutto osserva. Decine di città sono soffocate dalla ingombrante presenza militare. Taranto ha già dato e continua a da re. L’inaugurazione di giugno della più grande base navale italiana è solo il suggello di una lunga tradizione. Pensare di dare ospitalità ad un nuovo insediamento americano, di supporto logistico, è pura follia. Da un punto di vista economico, da un punto di vista sociale e, non ultimo, dal punto di vista della agibilità democratica. Il Comitato dei 2 No è impegnato da circa un anno a scoraggiare uno strisciante consenso socio-culturale orchestrato da alcune agenzie miranti a realizzare a Taranto un nuovo insediamento militare. In Puglia non mancano i poligoni di tiro; è presente la più grande base navale italiana, presidio dei sistemi informativi e comunicativi Italia-Usa. Viene ipotizzata, ma è molto più di una ipotesi, una base logistica americana di appoggio all’imminente trasferimento della VI flotta Usa da Gaeta a Taranto. Ciò significa che Taranto è candidata ad essere un’altra La Maddalena del Mediterraneo. Con questa mossa il Mediterraneo diventa Mare Loro. Il Mediterraneo è strategicamente il miglior osservatorio-base militare possibile. Dal Mediterraneo possono monitorare il Nord Africa, il Medio-Oriente, i Balcani e l’Europa, naturalmente. A queste popolazioni viene garantita “sicurezza” e “democrazia”. Il prezzo da pagare è la salute delle popolazioni. Un sottomarino nucleare in avaria, con inevitabile dispersione di sostanze radioattive, staziona a Gibilterra da 4 anni e minaccia le buone relazioni con la Spagna. Oltre la salute degli abitanti di quelle terre. A sottolineare la propensione all’incidente dei sottomarini nucleari, pressoché quotidiana, i quotidiani Corriere della Sera e Liberazione,il giorno del convegno riportavano notizia dell’ennesimo incidente al sottomarino nucleare il Podolsk. Che l’agibilità democratica sia compromessa è provato. Di recente era stata organizzata una conferenza stampa in prossimità di un obbiettivo sensibile, il Comando in Capo del Basso Adriatico e dello Ionio. L’incredibile spiegamento di forze dell’ordine ci ha consigliato di dirottare i giornalisti. Lo stato di allerta delle forze dell’ordine ha ormai una soglia molto più bassa. È facilmente prevedibile un intensificarsi delle attività di vigilanza sulla vita politica e associativa. Le normali manifestazioni studentesche potrebbero essere viste come elemento di pericolosità che non hanno mai avuto e che intrinsecamente non hanno. Per tornare però alla legge liberticida in tema di diffusione di notizie militari, v’è da chiedersi perché il legislatore abbia introdotto in questo momento storico una 19 Basi USA e Nato 20 norma così illiberale. Perché oggi non vuole che si parli di problemi militari, perché in questo momento gli serve uno strumento legislativo che faccia calare il sipario su scelte e strategie che si stanno delineando. C’è da chiedersi perché ci si vergogni delle “missioni di pace”. A nostro avviso è già presente una sorta di autocensura delle forze politiche e sindacali che hanno da sempre un comportamento elusivo nei confronti dei problemi legati alle forze armate e alla loro funzione. Questo loro atteggiamento non favorisce una presa di coscienza della maggioranza dei cittadini ai quali vengono invece presentati come degni di interesse solo irrisorie riduzioni del fisco (ci riferiamo naturalmente ai redditi più bassi). I problemi della tutela della salute, dalle aggressioni del nucleare militare, sembrano non entrare nelle agende dei partiti. E questo induce la stampa a glissare l’argomento con il risultato che se ad una manifestazione parte cipano alcuni cittadini preoccupati, i giornalisti si limitano ad una notarile annotazione. Non sono mai stati fatti approfondimenti seri su quello che respirano le popolazioni delle città militarizzate o quello che respirano i cittadini delle campagne laddove sono presenti i poligoni di tiro. Circa il ruolo della Chiesa Cattolica (quella valdese ha fatto propria la causa della pace tra i popoli) sono in molti a nutrire perplessità. Tra la pace e il battesimo delle navi c’è l’abisso. Il convegno di Taranto ha stabilito inequivocabilmente che è necessaria una rete delle città militarizzate. Per monitorare ogni modifica-potenziamento, per respingere l’attentato alla nostra salute e quindi per promuovere una civile opposizione ad un processo che mortifica e offende il nostro essere cittadini consapevoli e responsabili. Creare una nuova rete che affianchi l’esistente sembra poco opportuno e impolitico. Si tratta di potenziare la rete dandole un nuovo assetto e soprattutto nuovi strumenti di comunicazione. Peacelink sta realizzando una sezione capace di raccogliere tutto il materiale città per città. Conta, più del nome, delle etichette, delle primogeniture, la funzionalità di alcuni servizi e di alcuni sistemi comunicativi. Quando potremo contare su una rete efficace ed efficiente (si sta lavorando perché ciò avvenga nel volgere di un paio di settimane), potremo pensare ad una vertenza a livello nazionale delle realtà soggette a servitù militari. Questa rete va sostenuta con manifestazioni locali (stesso giorno, stessa ora) perché possa essere percepita come univoca volontà dell’intero Paese. Ogni realtà cittadina promuove e realizza varie iniziative di sensibilizzazione e informazione locale legate alle situazioni locali (pensiamo al presidio del 25 giugno scorso, all’ingresso della base navale, il giorno dell’inaugurazione, che ha dato a molti lavoratori e cittadini la possibilità di conoscere voci fuori dal coro delle celebrazioni). Le forme di lotta vanno progettate collettivamente. È ipotizzabile un primo raduno delle delegazioni locali, a Roma, per la presentazione della vertenza. Tratto dai contributi dei comitati al Convegno “Mediterraneo para bellum” pagg. 71, 72 Basi USA e Nato Corsi per i lavoratori della Ederle: così sparisce il ricatto occupazionale Nonostante qualche commentatore si sia affrettato a definire “conclusa” la vicenda della costruzione di una nuova base di guerra all’aeroporto Dal Molin, la questione è invece evidentemente per molte ragioni aperta. L’assenso del governo italiano, debole e diviso, può anche essere interpretato come una mossa per prendere tempo di fronte al governo USA che ha i giorni contati e fretta di concludere “il lavoro in Iraq” secondo l’orrenda emblematica espressione del presidente americano? Più che un’analisi sarebbe un auspicio rispetto agli atti politici del governo di Roma, che ha tra l’altro già aumentato le spese militari con i voti dei pacifisti. I risultati delle guerre dei “grassi contro i magri” intanto, comunque stiano realmente le cose, sono centinaia di migliaia di vittime civili in Medio Oriente e i territori colpiti senza tregua devastati a livello ambientale, come si sapeva prima della guerre in Afghanistan e Iraq, che continuano peraltro da anni (2001-2007). L’ok del governo italiano, sorprendente per certi versi, e certamente molto grave, non cambia di molto la situazione sul campo a Vicenza. Non è dal governo purtroppo, evidentemente compromesso ed esitante, che si può aspettare aiuti. Resta invece il fatto che oggi è sempre più difficile imporre ai cittadini di un territorio opere tanto dannose: le lotte popolari a Scanzano, in Val di Susa, in Sardegna … sono luoghi in cui le proteste diffuse hanno ottenuto risultati considerevoli. Resto del parere che a Vicenza, se la “protesta unita alla proposta” si manterrà forte, libera e vivace, la nuova base non si farà, in quanto non si sono più le condizioni di ospitalità. Servono, uniti alle grandi manifestazioni internazionali come quella del 17 febbraio anche boicottaggi mirati di lungo periodo, iniziative nonviolente di massa organizzate, scioperi e assemblee dei lavoratori, come avvenuto altrove. Con queste tecniche la protesta vince: in Europa, sia pure con limiti e contraddizioni che meriterebbero un approfondimento critico, sono stati fatti persino cadere regimi autoritari negli ultimi anni, fatti che confermano che cambiare le decisioni dei governi resta quindi possibile. 1. I comitati contro le basi militari in Italia sono molti, per una panoramica si veda il sito www.vialebasi.net. 2. Comitato Unitario contro Aviano 2000 http://cuca2000.noblogs.org/. 3. Comitato per lo smantellamento e la riconversione ad usi esclusivamente civili della base di Camp Darby http://www.viacampdarby.org/. 4. Tra le ipotesi in discussione quella della nascita di un’associazione ad hoc che si occupi della questione. 21 Basi USA e Nato 22 Abbiamo letto recentemente che uno dei luoghi di progettazione della guerra in Iraq sarebbe stata proprio la caserma Ederle di Vicenza, fatto che non può lasciare indifferenti i milioni di pacifisti delusi dal governo italiano, ma sempre contrari senza se e senza ma alle disastrose guerre in atto. Per questa ragione la nascita di un forte Comitato a Vicenza Est che propone la chiusura e riconversione ad usi civili della Caserma Ederle, la base USA già operativa, è un’ottima notizia, non solo per Vicenza ma per il mondo intero. E’ il terzo importante comitato libero1 per la chiusura e conversione ad usi civili di un sito militare USA dopo quelli che si oppongono alla base nucleare di Aviano2 in Friuli e al pericolosissimo deposito di munizioni di Camp Darby3 in Toscana: le tre basi militari sono collegate e fanno parte di un unico progetto bellico. Il comitato di Vicenza Est ha rilanciato la sua attività con un’assemblea molto partecipata il 26 gennaio durante la quale è stato avanzato un progetto interessante: la programmazione4 in tempi brevi di corsi di riqualificazione per lavori civili utili in vista della possibile chiusura della Caserma Ederle. All’estero iniziative simili si sono rivelate importanti nell’affrontare la crisi occupazionale: va sottolineato che altrove la conversione dal militare al civile ha riguardato decine e decine di migliaia di lavoratori e centinaia di siti. Qui sarebbe tutto molto più facile, visti i numeri contenuti. Ci sono inoltre davvero pochi dubbi, dopo la comparazione con le migliaia di strutture militari riqualificate nel mondo, sul fatto che la chiusura dei siti militari a Vicenza aprirebbe anche in questo caso la strada a nuove forme di economia civile con interessanti prospettive di aumenti occupazionali e benefici diffusi. Basi USA e Nato Ordigni nucleari USA e Nato in Italia Traduzione di Gianfranco Zecchino Sei paesi europei - Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi,Turchia e Regno Unito - ospitano, in base agli accordi NATO sulla “condivisione nucleare”, 480 bombe sotto il controllo diretto degli degli Stati Uniti. Ognuna di queste bombe rappresenta un pericolo evidente e reale, comporta il rischio di incidenti ed è un potenziale obiettivo. In Italia, le basi di Aviano e Ghedi Torre - che possono essere operativamente impiegate sia per obiettivi in Medio Oriente che per quelli nella Federazione Russa - rappresentano un bersaglio militare che mette potenzialmente in grave rischio le popolazioni di una vasta area. Dopo l’ultima revisione del Nuclear Posture Review del Pentagono, gli USA non escludono la possibilità di impiegare armi nucleari per prevenire un attacco nucleare imminente o potenziale o per evitare che altri paesi possano dotarsi di capacità nucleare militare. Un recente articolo a firma di Seymour Hersh su “The New Yorker” rivela l’esistenza, all’interno del Pentagono, di una linea a favore dell’utilizzo dell’arma atomica per un attacco preventivo alle installazioni nucleari iraniane. La guerra atomica è, allo stato dei fatti, una minaccia reale. E i piloti statunitensi possono decollare con armamenti atomici dalle basi italiane senza che sia necessaria alcuna decisione del nostro governo. L’Italia, che ha sempre giocato un ruolo positivo per il disarmo nucleare, deve intervenire in sede diplomatica per ricostruire un clima e una sensibilità politica favorevole al disarmo e alla non proliferazione atomica. L’Europa deve essere libera da armi nucleari. Senza il disarmo nucleare delle potenze atomiche attuali, sarà difficile perseguire la non proliferazione in Paesi come la Corea del Nord, l’Iran o il Giappone che si sentiranno legittimati a proseguire nella direzione sbagliata. Occorre mettere in discussione la presenza sul territorio italiano delle 90 testate atomiche che, con una potenza complessiva pari a 900 volte quella di Hiroshima, sono ancora presenti ad Aviano e Ghedi Torre, in virtù di un trattato segreto Stone Ax - mai comunicato al Parlamento. Gli europei non sono costretti ad accettare queste armi in Europa ed hanno il potere di richiederne la rimozione. Gli ordigni nucleari USA-NATO sono stati rimossi dal Canada, dalla Grecia, dalla Danimarca e dall’Islanda. Eppure ognuno di questi paesi continua a far parte in maniera attiva della NATO. Quando l’Europa non verrà più considerata come un teatro di possibili guerre nucleari, un deposito o una portaerei degli Stati Uniti, la Guerra Fredda sarà finalmente conclusa. 23 Basi USA e Nato 24 Gli armamenti nucleari presenti in Europa: tratto da greenreport Basi USA e Nato 25 Basi USA e Nato La marina militare americana ha riversato acqua radioattiva nel Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio di Enrico Porsia 26 Nel settembre 2005 abbiamo incontrato un ufficiale della Marina militare americana che era in servizio presso la base nucleare americana della Maddalena in Sardegna (vedere la nostra edizione del 15/11/2005). Nel corso della nostra lunga conversazione, il militare ci aveva preannunciato, molto prima che la notizia diventasse ufficiale, il ritiro dei sottomarini di attacco dello Zio Sam dall’arcipelago sardo. Un ritiro che dovrebbe essere effettivo nel corso del 2007 (vedere la nostra edizione del 25/11/2005 e del 29/05/2006). L’ufficiale della Marina ci aveva anche confidato un’informazione allarmante. Aveva affermato che i militari americani effettuavano lo scolo dell’acqua radioattiva contenuta nei reattori dei sottomarini. Questa operazione molto pericolosa, soggetta a rigidi protocolli, era effettuata con surrealistica nonchalance dalla Marina americana nel bel Parco internazionale delle Bocche di Bonifacio. In seguito alla pubblicazione delle nostre informazioni, il deputato italiano (oggi senatore) Mauro Bulgarelli aveva pubblicamente interrogato il Ministro italiano della Difesa: “Quali i provvedimenti presi durante questa delicatissima operazione?” L’ufficiale della Marina americana che aveva accettato di parlarci restando anonimo aveva ugualmente affermato che l’acqua radioattiva era stoccata sulla barca di supporto, la Emory Land, in attesa che navi americane, equipaggiate per questo tipo di trasporto, si incaricassero successivamente di portare l’acqua irradiata negli Stati Uniti. Oggi un sottufficiale della Marina militare italiana in servizio per due anni nell’arcipelago sardo smentisce categoricamente queste parole. “E’ una fesseria” ci dice, “gli americani non hanno mai riportato negli Stati Uniti l’acqua radioattiva dei loro reattori, ma l’hanno sempre riversata in mare, nal Parco marino internazionale!”. “Sono stato in servizio alla Maddalena per due anni” ci racconta il militare italiano che, come il suo collega americano ha accettato di parlarci restando anonimo“Ero in servizio alla base italiana di Santo Stefano, che è nelle vicinanze immediate della banchina dove si trovano i sottomarini americani e la nave di supporto logistico Emory Land. Il testo originale in francese si trova al link: http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/ soumarin/eauradioact_901.htm Tradotto da Francesca Quarta per www.peacelink.it Il testo è liberamente utilizzabile, per fini non commerciali, citando la fonte, l’autore e il traduttore. Basi USA e Nato Alcune mattine, sul presto, la Emory Land e un sottomarino nucleare lasciavano l’isola senza allontanarsi molto perchè la sera erano già di ritorno. Tutti lo sapevano. Gli americani andavano a scaricare l’acqua del reattore... ma, contrariamente a quanto vi ha detto l’ufficiale americano, l’acqua radioattiva non era nè stoccata in qualche luogo, nè portata negli Stati Uniti. Del resto, in due anni di servizio nell’arcipelago, io non ho mai visto nè sentito parlare di una nave arrivata espressamente per rimpatriare l’acqua radioattiva dei reattori negli Stati Uniti. La verità è molto più semplice: l’acqua radioattiva era riversata in mare. Durante la nostra conversazione, il sottufficiale italiano era in compagnia di un collega, anch’egli sottufficiale che assentiva silenzioso. “Come militare dovrei tacere, ma la mia divisa non mi impedirà di ricordarmi che sono anche un cittadino. E il cittadino vi dice che è orribile sbarazzarsi dell’acqua radioattiva in pieno Mediterraneo. E per di più nelle acque territoriali di un paese amico mentre la Marina militare americana è nostra ospite. E’ una vergogna. Ancor più se si pensa che tutti al’’interno della Marina militare italiana erano al corrente di queste pratiche. Lo scolo dell’acqua radioattiva dei sottomarini americani nel Parco marino internazionale era un segreto di Pulcinella. Tutti hanno taciuto, è una vergogna!”. Nel dicembre 2003, il deputato italiano Mauro Bulgarelli ci diceva senza perifrasi: “Sapete cosa ci ha risposto il comando del corpo militare italiano quando ci siamo allarmati per il modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla Marina americana alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure relative allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: “No comment. E’ un insulto alla nostra sovranità nazionale!”. Nel 2004 il laboratorio indipendente francese della CRIIRAD aveva scoperto un tasso elevato in modo anormale di torio 234 nelle alghe prelevate in prossimità della base Usa della Maddalena (vedere la nostra edizione del 14/01/2004). Da dove proveniva dunque questo derivato dell’uranio 238? A tutt’oggi la domanda resta senza risposta. Tratto da www.amnistia.net - 26 ottobre 2006 27 Basi USA e Nato Due esempi di lotte internazionali: la Sardegna e la Corea CONTRIBUTO DEL COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI 28 Il comitato sardo Gettiamo le Basi valuta con grande interesse l’iniziativa del convegno focalizzato sull’interconnessione tra la lotta per la Pace, il No alla guerra e le strutture logistiche e operative, le basi militari, che rendono praticabile l’opzione bellica. Contrastare e recidere le basi della guerra, i suoi poligoni, i suoi arsenali che pullulano nella penisola consente di uscire dal generico “No alla guerra” e di tracciare percorsi praticabili per costruire scenari diversi da quelli attuali. Per acquisire maggiore efficacia, capacità d’incidere e forza propulsiva le lotte che vanno nascendo in tutta la penisola contro le basi della guerra hanno bisogno di costruire canali di comunicazione e di collegamento non occasionali in modo da compartire il patrimonio diffuso ma frantumato di informazioni, esperienze, conoscenze e competenze diverse. È imprescindibile attivare sinergie, attivare la comunicazione per ricollocare le lotte “locali” nel quadro globale dell’opposizione planetaria alla guerra e ai suoi strumenti. Le lotte che abbiamo innescato e che hanno contribuito ad accendere la scintilla di rivolta contro l’oppressione militare che strangola la Sardegna si sono avvalse di preziosi contributi provenienti da ambienti e luoghi diversi. Il sostegno attivo del comitato Scienziate/i contro la guerra è stato determinante per contrastare e far fallire i continui tentativi d’imporre il silenzio sull’impatto sanitario e ambientale della base Usa di La Maddalena, sulla “sindrome di Quirra” e sulla “sindrome dei Balcani”. Il lavoro di La Spezia e di Peacelink è stato fondamentale per portare alla luce l’inquietante realtà di Cagliari condannata, come le altre 11 città italiane, ad ospitare i mezzi a propulsione nucleare e armamento atomico di potenze straniere giuridicamente e politicamente irresponsabili delle catastrofi determinate dalle loro attività come scandalosamente dimostra la strage del Cermis. L’attenzione e la sensibilità di alcuni parlamentari ha dato rilevanza nazionale alle lotte confinate nell’isola e ha investito le istituzioni. Il patrimonio d’informazioni e di lotte della lontana isoletta di Vieques ha permesso di sapere che la 2° Flotta Usa dell’Atlantico, cacciata dal Portorico dalla determinata e coraggiosa disobbedienza della società civile, fin dal 2000 ha traslocato i suoi giochi di morte nel Mediterraneo privilegiando il poligono di Capo Teulada. La solidarietà del Portorico e del Giappone ha dato forza alla lunga lotta dei pescatori di Teulada e ha contribuito a “internazionalizzare” la loro lotta pluriennale. Basi USA e Nato La guerra infinita e preventiva, oggi e ancora di più nel futuro da incubo programmato dall’unica Potenza globale, è lo strumento privilegiato per garantire la continuità del saccheggio delle risorse del pianeta (attuata con il classico e mai obsoleto controllo delle risorse e delle materie prime e con la più moderna e raffinata tecnica del controllo valutario e la dollarizza zione globale), terreno fertile per regressioni politiche, sociali e culturali che spianano la strada a svolte autoritarie. Le élites al potere sanno bene che i processi di globalizzazione sono devastanti, non solo per i Sud del pianeta, ma anche per ampi strati sociali degli stessi Stati Uniti e della ricca Europa e si sono preparate ad affrontarli ben prima del tragico 11 settembre. Hanno scelto la deterrenza militare contro i popoli restii a sottomettersi e l’erosione feroce e metodica delle conquiste democratiche per tenere a bada le propria popolazione esclusa dalla spartizione della torta. Da sempre agitare la minaccia del Nemico, lo spettro della Patria in pericolo o la “missione civilizzatrice della Patria” consente di compattare il fronte interno e fare accettare alla popolazione la rinuncia ai diritti civili e sociali faticosamente conquistati. Il “Patrioct Act” è un esempio lampante dell’involuzione civile e democratica così come lo sono leggi e leggine varate dal governo Berlusconi (e ancor prima dal governo D’Alema), apparentemente slegate tra loro ma che di fatto concorrono a depotenziare l’opposizione popolare e a facilitare il dispiegarsi dell’opzione bellica. I diversi e sfaccettati aspetti in cui si articola il rigurgito potente della barbarie bellicista vanno ricollocati in un quadro unitario di radicale contrasto di tutti gli strumenti della guerra, un quadro che riporti in primo piano lo strumento fondante: le basi militari che materialmente sostengono e sostanziano la guerra. L’attenzione si è puntata su questo tassello – relegato sullo sfondo oscuro e indistinto del quadro - solo frammentariamente e per un tempo infinitesimale, nel momento dell’esplodere dei conflitti e in occasione delle grandi catastrofi come le stragi di Casalecchio e del Cermis. Il popolo della Pace stenta a fare sua la lotta per estirpare le basi della guerra. Se vuole essere credibile e vincente non può prescindere da un’opposizione decisa e radicale contro le strutture che rendono effettiva la possibilità e la capacità tecnica di scatenare guerre. La “distrazione” complessiva del movimento è il risultato dell’uso massiccio di tecniche ben collaudate mirate a proteggere l’anello debole della macchina bellica: il consenso popolare o perlomeno il silenzio-assenso delle popolazioni condannate a convivere con le basi e le attività militari. COREA DEL SUD – ESPANSIONE DELLA BASE AMERICANA CAMP HUMPHEREY Nel Luglio 2005 circa 12000 residenti di Pyeongtaek, piccola cittadina a 60 km da Seul, si sono uniti a agricoltori, allevatori e attivisti no war per protestare al piano di espansione di Camp Humphrey, base militare americana situata nelle vicinanze. 200 persone ferite dalla polizia anti sommossa e circa un centinaio gli arresti. 29 Basi USA e Nato 30 Attraverso le immagini è stato mostrato il tentativo, da parte di donne, studenti di Pyeongtaek, di fermare fisicamente 6000 poliziotti che tentavano di entrare nel loro paese, mentre altri giovani li affrontavano armati di bastoni di bambu. La resistenza opposta con questo coraggio, di fronte ad una chiara superiorità di forze e di armi, ha dimostrato l’enorme supporto popolare di cui gode questo movimento. La resistenza del 10 Luglio è parte di una campagna nazionale che ha saputo catalizzare molte forze la “Get U.S. bases out of Korea in 2005’. I portavoci della campagna hanno affermato: “come parte del piano globale di riallineamento, il ruolo dei militari americani in Corea del Sud è quello di circondare l’Asia. A supporto del nuovo ruolo militare, il pianodi espansione della base, si aggiunge a quello di costruire una serie di basi per Missili Patriot con obiettivo la Cina”. I residenti di Pyeongtaek hanno lottato contro l’espansione della base perchè questa avrebbe voluto dire vedere espropriare i propri terreni. Per 310 giorni hanno vigilato con una sola idea: “No base expansion! U.S. troops out of Korea!’ e “No Korean war! Il 3 gennaio 2006 la resistenza degli agricoltori ha iniziato una marcia con i propri trattori per circa 1800 Km durata quasi 10 giorni, visitando fattorie e incontrando organizzazioni nazionali, dichiarando la propria opposizione all’allargamento della base. Nel mese di febbraio durante la marcia degli agricoltori a Pyeongtaek sono state bruciate le “carte di residenza” e rinunciato formalmente alla cittadinanza coreana dichiarando Daechuri una zona autonoma. Molti artisti, musicisti, attivisti contro la guerra e leader religiosi sono arrivati nella zona, e insieme con i residenti hanno restaurato e occupato case e creato un “Villaggio della Pace”. Nel mese di marzo la polizia ha attaccato in forze la città. Attivisti e agricoltori si sono barricati nella scuola elementare Dacheu, il cuore della protesta, per sfuggire al violento attacco di esercito e polizia. Nel mese di Giugno è stato arrestato il sindaco di Pyeongtaek mentre si recava per stipulare un accordo con due distretti che sarebbero interessati dalla espansione della base. In risposta a questo è stato immediatamente lanciato uno sciopero della fame di tutta la città. Nel mese di Settembre oltre le numerose scritte che sono comparse sulla esistente base, i dimostranti hanno tentato di bloccare i mezzi che dovevano iniziare le operazioni di demolizione cercando di stendersi davanti alle ruspe. La polizia ha bloccato tutte le strade di uscita dalla città in modo che altri non potessero raggiungere i dimostranti. La protesta ha accompagnato la visita del ministro sud coreano a Washington con la manifestazionedi numerosi sud coreani residenti in America. La lotta continua..... “Qui il problema non è di ricevere compensazioni, ma il diritto di rimanere sulla propria terra” Sardegna: tratto dai contributi dei comitati per il Convegno “Mediterraneo para bellum” Corea: http://www.workers.org/, http://us.oneworld.net/ Basi USA e Nato Conferenza internazionale Per l’Abolizione delle Basi Straniere in Ecuador, dal 5 al marzo 2007 Traduzione dallo spagnolo di FR per www.resistenze.org Un cordiale saluto da parte del Comitato Organizzatore Nazionale e Internazionale della Conferenza Inaugurale della Rete Mondiale per l’Abolizione delle Basi Militari in Paese Stranieri. Con la presente invitiamo a partecipare a questa importante Conferenza Mondiale che avrà luogo a Quito e Manta, in Ecuador, dal 5 al 9 Marzo del 2007. La conferenza vuole far risaltare gli impatti politici, sociali, ambientali ed economici delle basi militari straniere, dar voce ai movimenti ed organizzazioni che vi si oppongono, ed offrire la possibilità di consolidare formalmente la Rete Mondiale no - Basi, le sue strategie, struttura e piani d’azione. Abbiamo visto come le basi militari straniere ed altre forme di presenze militari siano usate per assicurare gli interessi di pochi stati e corporazioni a detrimento di democrazia, giustizia, sovranità e autodeterminazione. Tuttavia, le basi e i loro apparati distruttivi si stanno trovando ad affrontare forti movimenti di opposizione, a Vieques, Corea, Okinawa, Regno Unito, Guam, negli stessi Stati Uniti, e in molti altri paesi. Sono questi movimenti che desideriamo aggregare per arrivare ad un aiuto reciproco e facilitare la costruzione di strategie coordinate. Negli ultimi due anni, movimenti per la pace e la giustizia hanno costruito una Rete Internazionale che lavora per l’abolizione delle basi militari straniere nel mondo. Il prossimo passo nel consolidamento della Rete è la Conferenza Internazionale per l’Abolizione di tutte le Basi Militari Straniere. Ci auguriamo che questo sia il più grande incontro di attivisti anti-basi degli ultimi anni. I principali obiettivi della Conferenza sono: • Analizzare il ruolo delle Basi Militari Straniere ed altre forme di presenza militare straniera nel quadro delle strategie di dominazione globale, e i suoi impatti sulla popolazione e l’ecosistema. • Rendere visibile, condividere esperienze e solidarizzare con le lotte di resistenza attive contro le basi militari straniere nel mondo • Stabilire consensi su obiettivi, piani di azione, meccanismi di coordinamento, comunicazione e presa di decisioni nella rete globale per l’abolizione delle basi militari ed altre forme di presenza militare straniera. • Stabilire strategie e piani di azione globali che rafforzino le lotte locali e nazionali ed il loro coordinamento. 31 La Conferenza si svolgerà nell’arco di cinque giorni. Il primo giorno, lunedì 5 Marzo, ci saranno le presentazioni e le formazioni dei gruppi di lavoro che esplorino i contesti geo - strategici in cui si inseriscono le basi militari straniere e le altre forme di presenza militare, il loro ruolo come strategia di dominazione imperiale, i diversi impatti delle basi militari ed i movimenti esistenti per chiuderle. Il secondo e terzo giorno, la Conferenza si svolgerà con dibattiti aperti a tutti i partecipanti iscritti, i quali assisteranno alla presentazione di varia documentazione video per approfondire la conoscenza sulle basi militari e i movimenti anti-basi. Alcuni di questi gruppi di lavoro saranno stabiliti dal Comitato Organizzatore, altri saranno auto-organizzati dai movimenti sociali e organizzazioni. Per garantire la piena rappresentatività di ciascun paese afflitto da basi militari, il gruppo di Delegati sarà coadiuvato da 150 rappresentanti di movimenti che attivamente si oppongono a basi militari straniere o alla presenza militare straniera nel mondo. Questo gruppo ed i tavoli di lavoro dovranno essere numericamente limitati, affinché le discussioni e le decisioni siano prese nel breve tempo a disposizione. Speriamo che ci siano rappresentanti regionali che contribuiscano alle discussioni e decisioni mediante la socializzazione di documentazione prodotta in precedenza.. Il quarto giorno, che coincide con la Giornata Internazionale della Donna, sarà diretto da gruppi di donne ecuadoriane che si oppongono alle basi militari e alla guerra; viaggeremo in Carovana da Tolgo alla città portuale di Manta, svolgendo iniziative in paesi e città lungo la via, integrandole alla Carovana. Il quinto giorno della Conferenza ci saranno manifestazioni congiunte di ecuadoriani e delegati internazionali contro la presenza della Base Militare degli Stati Uniti a Manta. Nel corso della Conferenza non mancheranno eventi culturali, dove speriamo di condividere non solo espressioni della cultura ecuadoriana, ma anche quella delle altre culture presenti. Ci auguriamo che al termine della Conferenza, i delegati e partecipanti abbiano piani, idee, contatti, solidarietà ed ispirazione che fortifichino le loro lotte locali contro le basi militari. Da lunedì 16 Ottobre si può accedere al registro on-line della Conferenza (http:/ /www.no-bases.net) dove si possono trovare le informazioni sui progressi realizzati nell’organizzazione. Arrivederci in Ecuador. Gruppo di lavoro del Centro di Documentazione Centro Popolare Autogestito - Firenze Sud Fotocopiato in proprio, via Villamagna 27 A Firenze, 1 marzo 2007