Untitled - CPA Fi-Sud

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Basi USA e Nato
Sommario
3. Introduzione
4. Le basi USA in Italia
6. Basi militari americane: una storia di crimini e soprusi
13. Camp Derby era il “centro logistico” USA per la Gladio
15. Contributo del Comitato Unitario contro Aviano 2000
18. Contributo del Comitato dei 2 No Taranto
21. Corsi per i lavoratori della Ederle: così sparisce il ricatto occupazionale
23. Ordigni nucleari USA e Nato in Italia
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26. La marina militare americana ha riversato acqua radioattiva nel Parco
internazionale dell Bocche di Bonifacio
28. Due esempi di lotte internazionali: la Sardegna e la Corea
31. Conferenza internazionale Per l’Abolizione delle Basi Straniere in Ecuador,
dal 5 al 9 marzo 2007
Basi USA e Nato
Introduzione
La presenza delle basi militari non rappresenta solo un problema locale ma si
inserisce pienamente nella politica globale di aggressione imperialista.
Così come il problema dell’occupazione militare dei territori investe tutto il pianeta
dalla Germania alla Corea fino all’Australia e l’Equador, anche la lotta contro la
presenza delle basi assume oramai una condizione globale
Il loro riposizionamento, il loro ampiamento è da considerarsi pienamente in
dialettica con quelle che sono le esigenze di proiezione verso i nuovi fronti di
guerra.
Così come rappresentano lo strumento di occupazione di quei territori che,
successivamente alla fine dell’URSS e alla sua frammentazione, sono diventate
nuove zone di conquista per l’imperialismo americano e non solo.
Non fa differenza se queste siano americane o Nato, dato che quest’ultima
rappresenta chiaramente lo strumento all’interno del quale la predominanza Usa
e dei suoi interessi ne determina la linea politica e militare.
Le basi militari non rappresentano unicamente i trampolini attraverso i quali
lanciare operazioni di aggressione ma assumono un ruolo primario come carceri
extragiudiziali nella guerra sporca al cosiddetto terrorismo internazionale, dalla
più famosa Guantanamo, alle più sconosciute basi polacche e asiatiche all’interno
delle quali sono stati detenuti, interrogati e torturati molti presunti esponenti
della resistenza alla aggressione imperialista in Afghanistan e Iraq.
Se non bastassero le basi, come per il rapimento di Abu Omar detenuto nella
base di Aviano per poi essere trasferito in Egitto, diventano carceri segrete della
stessa repressione sul fronte interno.
Questa raccolta è il risultato del lavoro del gruppo nato dall’Assemblea del Centro
Popolare con lo scopo di valorizzare al massimo tutto quel materiale che da anni
viene archiviato e organizzato all’interno del Centro di Documentazione Angiolo
Gracci, la Biblioteca che negli anni ha saputo diventare un patrimonio a
disposizione di tutto il movimento di classe e antagonista e che per questo deve
essere al massimo utilizzato. In un momento in cui la repressione sia militare,
sia ideologica tende a voler distruggere e omologare, rimettere in gioco ciò che
la nostra realtà come altre producono rappresenta sicuramente un tassello della
battaglia per contrastare tutto questo. Fatene buon uso!!
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Basi USA e Nato
Le basi USA in Italia
di Manlio Dinucci
La dimensione della presenza militare Usa in Italia viene illustrata dal rapporto
ufficiale del Pentagono Base Structure Report 2003: le forze armate statunitensi
posseggono nel nostro paese oltre 2.000 edifici, con una superficie di oltre un
milione di metri quadri, e hanno in affitto 1.100 edifici, con una superficie di 780mila
m2. Il personale addetto a tali basi ammonta a 15.500 militari e 4.500 civili, per un
totale di circa 20mila.
BASI TERRESTRI
L’esercito Usa ha proprie basi in Veneto e Toscana. Alla Caserma Ederle di
Vicenza è stanziata la 173a brigata aviotrasportata, che opera nel quadro della
Setaf, la task force del sud Europa agli ordini del Comando europeo delle forze
armate Usa, la cui «area di responsabilità» include 91 paesi e territori da Capo
Nord al Capo di Buona Speranza. Fu la 173a brigata, nel marzo 2003, ad essere
proiettata per prima nel Kurdistan iracheno. A Camp Darby (Livorno) vi è la base
logistica che rifornisce le forze terrestri e aeree impegnate nell’area mediterranea,
nordafricana e mediorientale.
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BASI AEREE
L’aeronautica Usa ha proprie basi in Friuli-Venezia Giulia, soprattutto ad Aviano
(Pordenone). Qui sono schierate la 31st Fighter Wing e la 16th Air Force che,
dotata di caccia F-16 e F-15, ha il compito di pianificare e condurre operazioni di
combattimento aereo anche in Medio Oriente.
BASI NAVALI
La marina Usa ha il suo centro principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartiere
generale delle Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra: la sua «area di
responsabilità» comprende 89 paesi in tre continenti (Europa, Africa e Asia, Medio
Oriente compreso), da Capo Nord al Capo di Buona Speranza e, ad est, fino al
Mar Nero. La marina Usa dispone inoltre della base aeronavale di Sigonella e di
quella della Maddalena, alla cui funzione di base di appoggio per i sottomarini
nucleari si è aggiunta quella di base di appoggio delle operazioni belliche in Medio
Oriente e nei Balcani: all’inizio della seconda guerra contro l’Iraq, i sottomarini
Usa di stanza alla base della Maddalena hanno attaccato dal Mediterraneo, con
missili da crocie ra, Baghdad e altri obiettivi.
BASI NATO A DISPOSIZIONE DEGLI USA
Le strutture Nato a disposizione degli Usa sono molteplici. Al primo posto è il
Basi USA e Nato
Joint Force Command di Napoli: lo comanda un ammiraglio statunitense, il quale
è allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e comandante
della «Forza di risposta della Nato» che, composta attualmente di 17mila uomini,
potrà essere «dispiegata in qualsiasi parte del mondo entro 5 giorni».
A Taranto, vi è il quartiere generale della High Readiness Force (Maritime), una
forza maritti ma di rapido spiegamento che, al momento dell’impiego, sarebbe
come le altre inserita nella catena di comando del Pentagono. L’importanza del
porto di Taranto per la marina Usa trova conferma nel fatto che una società
statunitense, la Westland Security, intende acquistare una parte dell’area portuale
da destinare, oltre che a non precisate attività commerciali, a servizi per la Sesta
flotta Usa nel Mediterraneo, composta da 40 navi, 175 aerei e 21mila uomini.
RUOLO DELLE BASI
Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano, sono
inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi
meccanismo decisionale italiano. In tal modo Washington sta trasformando
sempre più l’Italia in trampolino di lancio della «proiezione di potenza» statunitense
verso sud e verso est, nel quadro della ridislocazione delle forze Usa dall’Europa
settentrionale e centrale a quella meridionale e orientale.
È una strategia non solo militare, ma politica: per superare le resistenze che
vengono da quella che Rumsfeld definisce la «vec chia Europa» (impersonificata
da Germania e Francia), Washington fa leva sugli amici più fedeli (e soprattutto
ossequienti), tra cui si distingue l’Italia, e, contemporaneamente, sulla «nuova
Europa» impersonificata dai paesi dell’Est appena entrati nella Nato.
Tratto dalle relazioni del convegno “Mediterraneo para bellum”, pag. 7
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Basi USA e Nato
Basi militari americane:
una storia di crimini e soprusi
di Antonella Randazzo
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Gli Stati Uniti hanno oltre 800 basi militari sparse nel mondo. Tale livello di
militarizzazione globale viene giustificato con l'esigenza di "sicurezza e protezione".
Ma da chi? Chi sono i nemici? E se gli Usa non sono capaci di proteggere
nemmeno se stessi da attentati aerei, a cosa possono servire questi enormi
arsenali? Di sicuro gli effetti della militarizzazione sono devastanti ovunque. Con
le basi militari, gli Usa introducono una cultura di guerra, di dominio e di violenza.
Ovunque avvengono crimini contro la salute, l'ambiente, reati sessuali e di altro
genere. Nell'esercito americano avvengono almeno 14.000 casi di violenza sessuale
ogni anno. Raramente i responsabili subiscono un processo perché vige ovunque
il principio dell'extraterritorialità.
Nella base della Maddalena, in Sardegna, i danni ambientali sono enormi. Nel
settembre del 2005 è stato rivelato che i sottomarini di attacco americani avevano
gettato acqua radioattiva dai reattori, inquinando il Parco marino internazionale
delle Bocche di Bonifacio. Invano l'allora deputato Mauro Bulgarelli chiese al
Ministro italiano della Difesa: "Quali i provvedimenti presi durante questa
delicatissima operazione?"1[1]
Già nel dicembre del 2003, Bulgarelli aveva sollevato domande sull'operato dei
militari della base, ma incredulo si era trovato di fronte ad un atteggiamento
arrogante: sapete cosa ci ha risposto il comando del corpo militare italiano quando
ci siamo allarmati per il modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla
Marina americana alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure relative allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: "No comment".
E' un insulto alla nostra sovranità nazionale!2[2] Nell'ottobre del 2003 si era
verificano un incidente al sottomarino nucleare Hartford, che aveva prodotto gravi
danni. Le conseguenze dell'incidente sono state tenute segrete, ma gli abitanti
avevano sentito un enorme boato. Anche nel 2000 si era verificato un incidente
nella base di Camp Darby, in seguito al quale furono evacuate diverse armi, forse
1[1] http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=82
1[2] http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/soumarin/eauradioact_901.htm
1[3] Fonte: La Nuova Sardegna , 13-2-04
1[4] Liberazione, 9 settembre 2006.
1[5] Il Manifesto, 23 luglio 2006.
1[6] Perrone Nico, Perché uccisero Enrico Mattei, Edizioni L'Unità, Roma 2006, p. 58.
1[7] Nation, 1 luglio 1996.
1[8] Newsweek, 14 ottobre 1996.
1[9] Department of Defence, United States Security Strategy for the East Asia-Pacific Region,
Washington , D.C. , Department
of Defense, Office of International Security Affairs, febbraio 1995, pp. 23-24.
1[10] Johnson Chalmers, Gli ultimi giorni dell'impero americano, Garzanti, Milano 2001, p. 101.
Basi USA e Nato
nucleari. La popolazione è tenuta all'oscuro di ciò che avviene nelle basi, e non
c'è alcuna protezione per la salute dei cittadini.
In caso di incidenti, lungi dall'avanzare proposte di giusto risarcimento, gli americani
non ammettono nemmeno i danni prodotti.
La Sardegna veniva chiamata dal Pentagono, già nel 1954, “A pivotal geographic
location”. Da molti anni il popolo sardo è privato di parte del territorio e subisce
restrizioni e conseguenze di vario genere a causa delle basi militari americane.
Nella base militare Capo S. Lorenzo-Quirra avvengono esercitazioni e
sperimentazioni di tipo bellico. Il poligono si estende per più di 11.000 ettari , e le
zone interdette o pericolose per la navigazione sconfinano in acque internazionali
e coprono oltre 2.800.000 ettari , una superficie più estesa di quella dell'intera
Sardegna. Periodicamente viene organizzato lo "shopping della morte", con
aziende come la Thomson , la Fiat , la Aerospatiale e la Alenia , che presentano
nuovi armamenti e materiali di guerra da testare e di cui promuovere l'acquisto in
tutto il mondo.
Nelle zone limitrofe ai poligoni si sono registrate morti strane e sospette. Ad
esempio, a Quirra, un paesino di soli 150 abitanti, 20 persone sono morte di
leucemia o tumori emolinfatici. Anche 10 persone che avevano lavorato nella base
sono morte di cancro. A Escalaplano, un paesino di 2.600 abitanti, a nord del
poligono, 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni genetiche e patologie
rarissime.
I militari americani non riferiscono i particolari delle loro esercitazioni, e si sospetta
l'uso di proiettili all'uranio impoverito.
Negli ultimi anni sono aumentati i casi di tumori ossei e alla mammella, proprio
dove si trovano i sommergibili americani a propulsione nucleare, a La Maddalena.
I casi di "anencefalia" e di "cranioschisi" sono già stati riscontrati in altre zone ad
alto inquinamento radioattivo, come spiega una mamma al giornalista Piero
Mannironi:
“A cavallo tra il 1987 e il 1988... Ricordo che raccontai al genetista delle altre due
donne della Maddalena che avevano avuto questo problema insieme a me. E lui
mi disse che un'incidenza così alta di anencefalie, secondo uno studio scientifico
internazionale, era stata riscontrata in una zona del Galles dove si effettuavano
lavorazioni industriali che provocavano l'emissione continua di radiazioni.3[3]
Nonostante i crimini e gli occultamenti da parte delle autorità militari americane,
al ministro Arturo Parisi è bastata una vaga promessa di ritiro dalla Maddalena,
avanzata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, per annunciare la "conferma
(del)l'affidabilità dei rapporti che ci legano agli Usa con la conclusione in amicizia
della presenza alla Maddalena".4[4]
Ma le cose non sono da considerare così ottimisticamente come azzarda il
ministro. Innanzitutto le autorità americane, non riconoscendo alcuna
responsabilità di danni all'ambiente e alle persone, non parlano di bonifica né di
risarcimento, e le intenzioni di ritiro sono vaghe e non escludono il permanere del
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Basi USA e Nato
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controllo militare americano sulla zona. Le dichiarazioni di Rumsfeld sono seguite
alle proteste molto decise da parte della popolazione sarda, che è ormai stufa
dell'occupazione militare che è costretta a subire.
La Maddalena è stata istituita in seguito a trattati conclusi nel 1972, e al suo
interno viene riconosciuta l'extraterritorialità e l'extragiurisdizionalità, cioè tutto
quello che accade non può essere controllato o penalmente perseguito dallo
Stato italiano. Il trattato è rimasto segreto, né i cittadini né i parlamentari possono
conoscerne tutti i contenuti, in offesa al potere sovrano democratico del popolo.
Dagli anni Settanta numerosi medici e scienziati denunciano strani fenomeni
genetici e una percentuale elevata di tumori, che sarebbero causati da sostanze
radioattive prodotte dai reattori. Il governo italiano non ha mai fronteggiato la
situazione, e non ha mai autorizzato controlli sanitari o ambientali. Il nostro governo
ha persino negato la presenza di armamenti atomici nella base della Maddalena,
che il Congresso americano e l'Assemblea Atlantica hanno confermano.
Dagli anni Cinquanta il governo italiano ha dato mano libera all'installazione di
basi militari americane. Il potere attribuito agli Usa è enorme, se si pensa che
non sono tenuti a precisare né l'ubicazione della base né le attività che si svolgono
all'interno. Ciò è anticostituzionale perché viola gli articoli 80 e 87, che prevedono
la sovranità su tutto il territorio dello Stato.
Il nostro territorio è disseminato di basi americane: Ghedi, Sigonella, Aviano,
Camp Darby, Pisignano ecc.; le basi sono complessivamente 113. In Sardegna
c'è il triste primato della morte, col 66% delle installazioni militari.
La base militare di Sigonella, in Sicilia, è fornita di bombe atomiche, e produce un
alto grado di inquinamento, spreco di energie e di acqua. La base, creata nel
1984, ospita l'Helicopter Combat Squadron Four HC-4 Black Stallion, dotato di
nove elicotteri pesanti MH-53E Sea Dragon per trasportare uomini, mezzi e
munizioni. Lo squadrone partecipa alle operazioni militari americane in Europa,
Africa e Medio Oriente. E' anche impegnato in operazioni belliche in Afghanistan
e in Iraq. Le testate nucleari sono del tipo B 43, B 61, B 83, con potenza distruttiva
variabile da 1 kiloton a 1,45 megaton.
Sul territorio italiano sono presenti parecchi missili a testata nucleare. Soltanto
nella navebalia
Uss Emory S.Land, ormeggiata nelle acque di Santo Stefano ci sarebbero ben 34
missili a testata nucleare. Nel 2003 sono partiti i missili contro la popolazione
irachena in spregio all'articolo 11 della nostra Costituzione che "ripudia la guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali".
Nel luglio del 2006 il governo israeliano chiese agli americani armi "speciali", che
sarebbero partite dalla base italiana di Camp Darby (base posta fra il porto di
Livorno e l'aeroporto di Pisa). Questa base nacque da accordi fra Italia e Stati
Uniti conclusi nel 1951.
Da Camp Darby sono partiti i missili contro l'Iraq e contro la Jugoslavia. Gli Stati
Uniti hanno regalato ad Israele numerose armi di vario genere, come le bombe a
guida laser (Gbu-28 ) che sono state sganciate nei raid notturni a Beirut durante
l'aggressione al Libano del periodo luglio-agosto 2006. Le bombe partivano da
Basi USA e Nato
Camp Darby, senza che gli italiani ne avessero notizia. L'organizzazione
statunitense Global Security ha dichiarato che "il 31° squadrone munizioni che
opera a Camp Darby è responsabile del maggiore e più disseminato arsenale di
munizioni convenzionali delle Forze aeree Usa in Europa, consistente in 21.000
tonnellate collocate in Italia, e di due depositi classificati situati in Israele".5[5] La
base militare di Camp Darby ha assunto un ruolo importante nelle guerre del
Mediterraneo, e rappresenta uno dei più grandi arsenali che gli Usa hanno all'estero.
Nel 1991 quasi tutte le munizioni utilizzate durante la "Tempesta del deserto"
provenivano da Camp Darby, come anche gran parte di bombe e granate utilizzate
per la guerra in Kosovo e in Iraq. Dal 1990 al 1998 a Camp Darby sarebbero
transitate almeno 22 mila tonnellate di munizioni e 3278 cluster bomb.
L'uso bellico delle basi sul territorio italiano, di cui gran parte della popolazione è
all'oscuro, è una delle tante prove che l'Italia è un "paese a sovranità limitata", le
cui autorità sono corresponsabili dei crimini che gli Usa stanno commettendo in
molti paesi del mondo. Ovunque nel mondo, in Iraq come in Afghanistan, in Romania, Bulgaria, Polonia, Italia, Pakistan, Singapore, Malesia, Filippine, India,
Australia e persino in Vietnam, gli Stati Uniti stanno progettando nuove basi militari
per accrescere il loro potere strategico e il dominio nel mondo.
A Vicenza la popolazione è costretta a subire la creazione di un'altra base
americana. Il nostro governo si è sentito obbligato a rispettare un trattato stipulato
60 anni fa e che oggi non ha più ragione d'essere. Il presidente del consiglio
Romano Prodi ha sostenuto che l'Italia "deve rispettare gli accordi presi", ma non
ha precisato che si tratta di accordi stipulati nel dopoguerra, e che appaiono oggi
semplicemente assurdi.
Anche in molti altri paesi del mondo le popolazioni sono costrette a subire
l'occupazione militare americana.
L'isola di Okinawa, nell'arcipelago giapponese, è di fatto una colonia militare
americana da oltre 58 anni, occupata da ben 38 basi militari americane.
Le basi americane assolvono a diversi scopi: sono basi strategiche da cui far
partire le operazioni belliche, ma sono anche punti militarizzati per controllare la
popolazione. Per assolvere quest'ultima funzione sono maggiormente militarizzati
i paesi sconfitti durante l'ultima guerra mondiale (Germania, Italia, Giappone), e
quelli in cui attualmente gli Usa stanno cercando di sottomettere la popolazione
(Afghanistan, Iraq, alcuni paesi dell'Africa e dell'Asia). Dal dopoguerra, l'Italia (come
la Germania e il Giappone) è considerato un paese da "proteggere", che nel
linguaggio delle autorità americane significa da tenere sotto stretto controllo. Nel
periodo della "Guerra Fredda" gli Usa giustificarono la militarizzazione dell'Italia
con il pericolo di "minaccia sovietica". In un rapporto segreto americano del maggio
1962 si legge:
La presenza delle forze americane in Italia garantisce un importante sostegno
psicologico ai governi filo-occidentali di fronte alla minaccia dell'aggressione
sovietica e costituisce l'evidente testimonianza dell'alleanza americana. Ciò d'altro
canto contribuisce alla stabilità politica. Il ritiro delle forze sarebbe seguito da
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Basi USA e Nato
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La portaerei del Mediterraneo: basi USA e Nato in Italia
Basi USA e Nato
uno sviluppo di sentimenti neutralisti.6[6]
Per "stabilità politica", le autorità americane intendevano "subordinazione agli
Usa". Si trattava di occupare militarmente zone la cui popolazione doveva essere
costretta a subire la presenza di militari americani, come un continuo avvertimento
su chi avesse il vero dominio del territorio. Di fatto, dopo la Seconda guerra mondiale,
l'Italia cedeva la sua sovranità alle truppe americane, che potevano commettere
impunemente ogni sorta di illegalità. Così accadde anche per la Germania e il
Giappone.
Nella base di Okinawa, da quando è stata istituita (1945), avvengono ogni sorta di
violenze e crimini. Per giustificare la massiccia militarizzazione del Giappone, le
autorità americane parlavano di "garanzia di sicurezza e pace", ma le popolazioni
vivevano il fenomeno come un'occupazione militare, che perdura ancora oggi.
L'articolo 5 del trattato di sicurezza nippoamericano sosteneva che lo scopo delle
basi militari era di "difendere il Giappone", ma non si specificava né da chi né
come, ed era implicito che dovessero farlo necessariamente le truppe americane.
Negli anni Sessanta soltanto ad Okinawa c'erano 117 basi militari, diventate 42
negli anni Novanta. Fra il 1972 e il 1995 i soldati americani commisero 4716
crimini, in parte si trattava di violenze sessuali. I casi di violenza sessuale erano
molto maggiori di quelli denunciati, in quanto molte donne si vergognavano a
sporgere denuncia. Il Pentagono permetteva che i soldati colpevoli di violenze
sessuali non subissero alcuna condanna. La rivista Nation denunciò che "coprire
crimini sessuali è una precisa linea politica del Pentagono".7[7] Nel settembre
del 1995 suscitò molta rabbia e indignazione lo stupro di una bambina di dodici
anni da parte di tre soldati americani. La polizia di Okinawa identificò i tre colpevoli,
ma non poté arrestarli perché doveva rispettare il principio di "extraterritorialità",
secondo il quale i soldati americani possono essere processati soltanto da tribunali
americani. Ciò permette alle autorità americane di rendere impunibili i loro soldati.
Nonostante le proteste della popolazione, i soldati americani non pagarono per lo
stupro della bambina, e dopo il 1995 i casi di violenza sessuale aumentarono. Un
insegnante di scuola media superiore, Ben Takara, chiese alle sue alunne se
fossero mai state molestate dai soldati americani e un terzo delle ragazze rispose
di sì.8[8]
Nella base di Okinawa avvengono esercitazioni con granate d'obice, che provocano
gravi danni ambientali e incendi nelle foreste. Inoltre, viene prodotto inquinamento
acustico, che ha provocato danni all'udito in molti abitanti dell'isola.
Sull'isola di Torishima, a 100 chilometri da Okinawa, fra il dicembre 1995 e gennaio
1996 sono state esplose 1520 granate all'uranio impoverito. I cittadini giapponesi
non sono mai stati informati del tipo di munizioni utilizzate nei poligoni.
Oggi nelle basi americane continuano le esercitazioni che producono danni alla
salute e all'ambiente, e le violenze e prepotenze contro la popolazione. La retorica
di Washington vorrebbe far credere che le basi hanno motivazioni etiche:
“La nostra presenza preventiva garantisce la stabilità... La presenza delle forze
armate americane... favorisce anche lo sviluppo democratico... offrendo un
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Basi USA e Nato
esempio chiaro e tangibile del ruolo apolitico dei militari americani.”9[9]
Per capire la verità occorre considerare i fatti, cioè che ogni base americana
rappresenta un pericolo per la vita e il benessere delle popolazioni, e che i militari
americani sono posti al di sopra delle leggi del paese che li ospita. Occorre
temere il proliferare di questi centri della morte e del segreto che aleggia in essi.
Si tratta di luoghi di potere e di guerra. Come osserva lo studioso Chalmers
Johnson:
"(C'è) una grande strategia volta a preservare o addirittura accrescere il potere
americano... Ciò diventa chiaro allorché volgiamo la nostra attenzione ad alcune
delle attività segrete in tutto il globo... di cui il Pentagono è a perfetta conoscenza
ma di cui altri organi del governo e la popolazione tutta sono completamente
all'oscuro”.10[10]
Tratto da www.disinformazione.it - 18 gennaio 2007
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Basi USA e Nato
Camp Derby era il “centro
logistico” USA per la Gladio
Sulla base degli accordi, la CIA provvide ad inviare il materiale che doveva servire
a costituire le scorte di prima dotazione dei nuclei e delle unità di pronto impiego.
Il materiale USA proveniva sia direttamente dagli Stati Uniti sia dai depositi
dell’esercito americano in Germania. La base di raccolta era a Camp Derby
(Livorno).
Il materiale fu inviato in vari tempi. Subito, nel 1963, una prima parte, poi nel
1969 una seconda e più rilevante parte.
Tra il materiale inviato nel 1963: 198 pacchi esplosivi in contenitori metallici, 180
pacchi trappole in contenitori di composto plastico, 106 pacchi armi (ciascuno
con uno Sten, 2 pistole, 6 bombe a mano), 364 bombe al fosforo, 24 mortai da
60, 12 cannoni da 57, 120 carabine calibro 30, 245 fucili a cannocchiale.
Il materiale esplosive il munizionamento vennero concentrati nel reparto munizioni
di Campo Mele (Sassari).
Parte del materiale venne destinato all’Ufficio D del Sifar (e questo pone il problema
del controllo che se ne è avuto).
Il grosso del materiale giunse già confezionato in speciali involucri, al fine di
assicurare il perfetto stato di conservazione nel tempo, dato che era previsto che
fossero poi racchiusi in contenitori da interrarsi in appositi nascondigli (Nasco)
nelle zone prescelte.
L’armamento era suddiviso in “convenzionale” e “non convenzionale”: quest’ultimo
era costituito da materiale proveniente da Paesi del Patto di Varsavia, al cui uso
era previsto che i gladiatori si addestrassero.
Camp Derby non è stata quindi una seconda base della Gladio, ma il centro
logistico USA per la Gladio.
Secondo le carte ufficiali, la posa dei contenitori nei vari Nasco ebbe inizio nel
1963. Il grosso dei Nasco fu costituito fra il ’63 e il ’64, ma si continuò anche
negli anni seguenti.
I Nasco non erano ovviamente tutti uguali. A seconda di chi vi doveva attingere
(sabotatori o specialisti di evasione e fuga o esperti di propaganda e così via) nei
vari contenitori che costituivano i Nasco era collocato il materiale che serviva alla
specializzazione degli uomini. L’esplosivo (di vario tipo) era prevalentemente
contenuto nei Nasco dei nuclei di sabotaggio. Alcuni contenitori destinati alla
“propaganda” contenevano risme di carta bianca e macchine riproduttrici.
Complessivamente furono costituioti139 Nasco in gran parte nell’Italia del Nord,
con una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord-Est. L’ubicazione dei
Nasco era indicata su apposite carte geografiche depositate presso la sezione
Sad. Era anche depositato il dettaglio del materiale di ogni contenitore di ciascun
Nasco (ad eccezione del numero di matricola delle armi, che venne registrato in
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Basi USA e Nato
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un secondo tempo, all’epoca dello smantellamento della rete Nasco e dello
sconfezionamento dei contenitori).
Due Nasco per sabotatori furono costituiti nella prima decade di dicembre del
1969 nella zona di Napoli.
Due Nasco erano stati costituiti nel 1965 anche nella zona di Taranto.
Il materiale destinato alla rete clandestina non era però solo quello interrato nei
Nasco in contenitori sigillati. L’armamento e il materiale per le unità di pronto
impiego era anche “in superficie”.
Parte di questo materiale proveniva dal “contingente CIA”, ma la parte più
rilevante proveniva dalle disponibilità create in seguito allo scioglimento del
“Raggruppamento O” (ex Osoppo).
Agli atti esiste una lettera del 6 marzo 1956 del colonnello Luigi Olivieri, che
era stato il Comandante nell’Organizzazione O fino al suo scioglimento,
diretta al senatore Raffaele Cadorna.
Nella lettera, Olivieri dice che era stato ultimato il recupero delle armi e delle
munizioni che lo stesso generale Cadorna gli aveva affidato nel 1946 “per
armare diecimila uomini, organizzati in unità pronte a intervenire qualora la
Jugoslavia avesse invaso il territorio nazionale”.
Ricorda il colonnello Olivieri che nel 1946, con l’appoggio del generale
Cadorna, era sorta l’”Organizzazione O” con gli elementi della disciolta
formazione partigiana “Osoppo Friuli”.
L’organizzazione - scrive sempre il colonnello Olivieri - era segreta e le
“superiori autorità militari non dovevano figurare di fronte agli alleati, che
l’appoggiavano”.
CHE COS’ERA LA GLADIO
Gladio nasce nel 1951 in seguito ad una serie di accordi tra i servizi segreti
italiani (Sifar) e quelli statunitensi. Si tratta di una struttura parallela e occulta
che ha operato all'interno del Sifar fino a gli anni '90 con lo scopo, secondo le
dichiarazioni dell'allora prsidente del consiglio Andreotti, di predisporre tutte quelle
attività che “sul modello Nato, erano state messe in atto per l'ipotesi di un attacco
e di un'occupazione dell'Italia o di alcune regioni italiane”.
In realtà si è trattato di una rete clandestina paramilitare anticomunista volta a
mantenere la struttura conservartrice dell'allora governo italiano e impedire con
ogni mezzo ai comunisti di giungere al potere.
Basi USA e Nato
Contributo del Comitato Unitario
contro Aviano 2000
Il Comitato è sorto nel marzo del 1996, raggruppando un vasto arco di forze e
soggetti impegnati in provincia di Pordenone sui temi della pace, dell’antimilitarismo,
dell’ambientalismo.
Nel gennaio del 1997 abbiamo organizzato un convegno dal titolo GETTIAMO LE
BASI, da cui è partita poi una campagna nazionale che ora si tenta, tutti assieme,
di ril anciare, all’i nterno del più vasto movimento pacifista ed antiliberista che ha
animato in questi anni le piazze di tutto il mondo.
SCHEDA SUL PROGETTO DI AVIANO 2000
Il progetto Aviano 2000, concepito nel 1995 ha l’obiettivo di migliorare la funzionalità
della base, sia dal punto di vista strettamente operativo che da quello della “qualità
della vita” dei militari e delle loro famiglie.
Il progetto fruisce di un finanziamento di complessivi 530 milioni di dollari, di cui
352 fondi NATO e 178 USA.
La parte più rilevante del progetto viene realizzata sull’area dell’ex Caserma
Zappalà, a cavallo fra i comuni di Aviano e Roveredo concessa agli americani con
accordo “tecnico” che risale al 1994. È stata prevista anche la realizzazione, in
11 comuni della provincia, di 530 alloggi per i militari e famiglie al seguito.
È del tutto evidente che un simile investimento, secondo un piano decennale
destinato a concludersi nel 2005, implica il permanere indefinito di questa
installazione. In più occasioni preoccupate cronache locali hanno fatto balenare
l’ipotesi di un trasferimento della base in uno dei paesi dell’est. Anche se è vero
che esistono già numerose installazioni militari americane in paesi quali l’Ungheria,
la Bosnia, il Kosovo è altrettanto vero che, come osserva il generale Angioni
“sarebbe azzardato sistemare basi in paesi che non hanno infrastrutture e non
offrono garanzie sul territorio, cosa ben diversa dal legittimo svolgersi di qualche
manifestazione pacifista” (intervento in commissione affari esteri della Camera
del 13 aprile 1999).
Le garanzie sul territorio qui certo non mancano: le amministrazioni locali, coinvolte
sempre più da abili campagne di public relations, si prodigano nel migliorare la
qualità della vita delle truppe alleate (I 20 miliardi di finanziamento strappati al
governo quale “indennizzo” per il progetto Aviano 2000 verranno intera mente spesi
per la viabilità che conduce alla Base, della cui pericolosità si lamentano soprattutto
gli statunitensi. La qualità della vita delle popolazioni locali viene un pò dopo.
È sintomatica, su questo punto, la vicenda della strada di Pedemonte. Le aree 1
e 2 della base di Aviano (vedi cartina qui sopra) sono divise dalla vecchia strada di
Pedemonte, che collega la frazione con il centro di Aviano e poi sbuca nella
15
Basi USA e Nato
strada Pedemontana, all’altezza della strada per il Piancavallo. Alcuni anni fa gli
statunitensi hanno realizzato un sottopasso per collegare le due aree, ma ancora
non basta: il senato americano ha deciso che “per motivi di sicurezza” le due
aree devono essere unite e la strada pubblica spostata, “replaced”. Il finanziamento
di sei milioni di dollari è pronto! Il Sindaco (di centrosinistra) di Aviano Rellini
aveva talmente introiettato il meccanismo di comando militare da sostenere come
sua l’idea di stravolgere la viabilità cittadina per favorire la “sicurezza” della forza
militare. Poco gli importava se il parere dei suoi concittadini è nettamente contrario:
questi lo hanno punito eleggendo pochi mesi fa un Sindaco ed una Giunta di
centrodestra che aveva contestato il progetto!
LOCALE E GLOBALE
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La tensione fra le dinamiche locali e quelle globali ha sempre improntato la nostra
analisi e guidato le nostre iniziative.
La lotta per la riconquista del proprio territorio (beninteso senza logiche di
esclusione) rischia sempre di cadere preda della sindrome di NIMBY (Not In My
BackYard, non nel mio giardino) se non è accompagnata da una conoscenza del
quadro complessivo entro cui si inserisce. Per noi è sempre stato naturale partire
però dai danni, dai disagi e dai pericoli che l’installazione militare provoca:
inquinamento acustico, inquinamento dell’aria, inquinamento del suolo e delle
falde, militarizzazione del territorio.
Nell’affrontare questi temi, che riguardano la vita e la salute dei singoli cittadini,
questi hanno modo di ricercare le cause prime di questi fenomeni e spesso
scoprono come questi fatti “locali”, confinati nelle cronache cittadine di Aviano,
abbiano in realtà origine da questioni di rilevanza molto più vasta.
Indicativo, a questo proposito è il caso dell’inquinamento da Bromacile, diserbante
sospettato di effetti cancerogeni e perciò vietato in Italia dal 2003, impiegato
normalmente negli agrumeti e nel diserbo totale di aree industriali, massicciate
ferroviarie ed aree militari. L’inquinante è stato scoperto nel 2000 in numerosi
pozzi delle falde di Roveredo, Fontanafredda e Porcia. Le indagini per scoprirne
l’origine, da quanto si sa, hanno preso varie direzioni, compresa l’installazione
militare. Per conto mio ho impiegato pochi minuti a “scoprire” che il Bromacile,
dopo il Glifosato, è il secondo diserbante più impiegato nelle basi dell’Air Force
negli Stati Uniti. I militari, dopo insistenze, hanno ammesso di averlo impiegato
fino al 1995. È interessante notare che proprio in quell’anno un massiccio
quantitativo è stato impiegato per diserbare le aree per la tendopoli destinata ad
accogliere le truppe impegnate nelle operazioni militari nell’ex Yugoslavia.
LE DEROGHE OVVERO LA LICENZA DI INQUINARE
Nell’affrontare i temi dell’inquinamento è stato sconcertante scoprire come, nella
legislazione italiana per la protezione dell’ambiente siano abbondanti le deroghe
riferite alle attività militari.
Basi USA e Nato
Clamorosa è quella che riguarda i serbatoi interrati di carburante, una delle fonti
di inquinamento più pericolose, comprovata dall’esistenza di una ventina di siti
inquinati (ufficialmente notificati alle autorità) all’interno della Base di Aviano. Il
Decreto ministeriale che regola la materia (ora cassato dalla Corte Costituzionale,
ma non per questo motivo, ahimè) prevede norme di cautela ambientale, che non
si applicano alle installazioni militari. Si assume per principio che un serbatoio
militare non possa inquinare! Sul tema delle deroghe, veramente importanti, sarebbe
bene che il movimento contro le basi militari trovasse opportuna rispondenza in
alcuni parlamentari che volessero farsi carico di proporre l’eliminazione di queste
deroghe.
LA CONVERSIONE PREVENTIVA
Il tema è stato affrontato nel corso del convegno tenutosi a Pordenone lo scorso
18 settembre.
Molto sinteticamente esponiamo il concetto di conversione preventiva.
Dal 1989 in poi abbiamo assistito, indipendentemente dal definirsi degli scenari
della guerra globale permanente, ad una consistente riduzione (con ridislocazioni)
dell’apparato militare. Nella sola Germania sono migliaia i siti militari abbandonati
e convertiti ad usi civili. Dal presupposto che una base militare è pur sempre una
sorta di accampamento, dal carattere transitorio, abbiamo pensato che proporre
un’alternativa concreta , specie sui versanti economico ed ambientale, potesse
essere un passo verso la smilitarizzazione del territorio, verso la nascita di una
coscienza diffusa di ostilità alle basi militari.
Ecco allora che la proposta di riusare le imponenti installazioni di Aviano (la sola
area dell’aeroporto è pari a dieci volte una delle maggiori aree industriali della
nostra provincia) per farne un centro di ricerca per le energie rinnovabili (c’è spazio
anche per la concreta applicazione del fotovoltaico) diventa un argomento da
sottoporre all’intera società civile e non solo al popolo dei pacifisti.
Tratto dai contributi dei comitati al Covegnp “Mediterraneo para bellum”
pagg. 61, 62, 63
17
Basi USA e Nato
Contributo del Comitato dei 2
No Taranto
di Salvatore De Rosa, Giovanni Matichecchia
18
Nel convegno delle città militarizzate, svoltosi a Taranto il 20 novembre scorso,
la proposta che ricevuto maggiori consensi, sottolineata positivamente anche
dalla parte parlamentare presente all’incontro, è stata quella di costruire una
vertenza nazionale delle realtà militarizzate. Questa proposta trae la sua ragione
principale dalla necessità di reagire collettivamente alla condizione di sudditi
che la militarizzazione di fatto impone ai cittadini di ciascuna area interessata:
esponendo la loro salute a rischi e nocività per i quali nega il diritto di tutelarsi e
perfino di informarsi compiutamente; prevedendo una esenzione dal rapporto
con le leggi italiane per i militari stranieri ospitati dalle basi che dovessero
commettere dei reati sul suolo italiano (v. Cermis); limitando lo sviluppo economico
con i gravami imposti sul territorio; non prevedendo che le popolazioni di una
zona interessata da un progetto di servitù militare possano esprimersi sulla sua
fattibilità o possano chiedere delle garanzie. La vertenza dovrebbe essere elaborata
collettivamente dai cittadini interessati (e interessabili), avvalendosi anche
dell’aiuto di esperti.
Non azzardiamo quando riteniamo che il convegno di Taranto sulla militarizzazione,
sulla sempre più invasiva presenza delle basi militari in Italia, voluto dal Comitato
dei 2 No (al nucleare e ad ogni ulteriore insediamento militare a Taranto), è stato
un grande momento di riflessione e di studio.
Nelle fasi di sofferenza della economia mondiale, prendono fiato i fautori di una
economia di guerra. Per quanto possa apparire azzardato, la guerra, così come
per altri versi il crimine, produce un fiorente indotto per le minoranze che detengono
il potere, il potere di decidere sulle maggioranze. Quindi non di guerra preventiva
è lecito parlare quanto piuttosto di una precisa scelta di potenziamento
dell’apparato bellico con la prospettiva di una endemia bellica che abbia per
scenario l’intero pianeta. Siamo alla preventiva guerra continua. Ci raccontano
che così facendo rispondono all’esigenza di portare la democrazia nel mondo.
Tutti riconosciamo purtroppo che la democrazia scarseggia un po’ovunque. Che
il potenziamento dell’apparato bellico sia il prioritario impegno dei governi è
dimostrato dalle più recenti scelte. La Russia, con i suoi sistemi missilisticonucleari (sono i nuovi missili balistici Topol-M, che dovrebbero essere consegnati
all’esercito nel 2006. I loro 10 mila chilometri di gittata li rendono unici al mondo.
La loro estrema manovrabilità e velocità sono a prova di scudo anti-missile, il
sistema di protezione fortemente voluto dal presidente americano Bush). Gli
Usa, con il riposizionamento delle forze navali e terrestri in Europa ma anche
con l’assegnazione della Segreteria di Stato ad un “falco”. L’Italia con il potenzia
mento delle basi militari di terra e di mare ma soprattutto con l’emblematica
scelta di una legge liberticida in tema di diffusione di notizie militari. Il paravento
dietro cui si nascondono è la lotta a quel terrorismo che indirettamente alimentano
Basi USA e Nato
quotidianamente. È questa la chiave di lettura per capire lo stato in cui versano
le regioni meridionali martoriate dalla presenza militare. La Puglia e la Sardegna
rappresentano il massimo della pervasività militare in un territorio. La Sardegna,
come la Puglia, con la presenza dei poligoni di tiro e dei sottomarini a propulsione
nucleare sta pagando un altissimo prezzo nella salute pubblica determinato
dall’incremento delle neoplasie.
Alla Maddalena sono già numerose le nascite di bambini con problemi. I sardi
hanno già chiesto agli americani di togliere il disturbo. A Gaeta sono felicissimi
che gli americani vadano via. Il Cermis lo ricordano tutti. Aviano e Sigonella
rappresentano le classiche città martoriate da un aeroporto da cui decollano jet
a reazione. Brindisi ha conosciuto e continua a conoscere la “discreta” presenza
americana che tutto osserva. Decine di città sono soffocate dalla ingombrante
presenza militare. Taranto ha già dato e continua a da re. L’inaugurazione di
giugno della più grande base navale italiana è solo il suggello di una lunga
tradizione. Pensare di dare ospitalità ad un nuovo insediamento americano, di
supporto logistico, è pura follia. Da un punto di vista economico, da un punto di
vista sociale e, non ultimo, dal punto di vista della agibilità democratica. Il Comitato
dei 2 No è impegnato da circa un anno a scoraggiare uno strisciante consenso
socio-culturale orchestrato da alcune agenzie miranti a realizzare a Taranto un
nuovo insediamento militare. In Puglia non mancano i poligoni di tiro; è presente
la più grande base navale italiana, presidio dei sistemi informativi e comunicativi
Italia-Usa. Viene ipotizzata, ma è molto più di una ipotesi, una base logistica
americana di appoggio all’imminente trasferimento della VI flotta Usa da Gaeta a
Taranto. Ciò significa che Taranto è candidata ad essere un’altra La Maddalena
del Mediterraneo. Con questa mossa il Mediterraneo diventa Mare Loro. Il
Mediterraneo è strategicamente il miglior osservatorio-base militare possibile.
Dal Mediterraneo possono monitorare il Nord Africa, il Medio-Oriente, i Balcani e
l’Europa, naturalmente. A queste popolazioni viene garantita “sicurezza” e
“democrazia”. Il prezzo da pagare è la salute delle popolazioni. Un sottomarino
nucleare in avaria, con inevitabile dispersione di sostanze radioattive, staziona a
Gibilterra da 4 anni e minaccia le buone relazioni con la Spagna. Oltre la salute
degli abitanti di quelle terre. A sottolineare la propensione all’incidente dei
sottomarini nucleari, pressoché quotidiana, i quotidiani Corriere della Sera e
Liberazione,il giorno del convegno riportavano notizia dell’ennesimo incidente al
sottomarino nucleare il Podolsk. Che l’agibilità democratica sia compromessa è
provato. Di recente era stata organizzata una conferenza stampa in prossimità
di un obbiettivo sensibile, il Comando in Capo del Basso Adriatico e dello Ionio.
L’incredibile spiegamento di forze dell’ordine ci ha consigliato di dirottare i
giornalisti. Lo stato di allerta delle forze dell’ordine ha ormai una soglia molto più
bassa. È facilmente prevedibile un intensificarsi delle attività di vigilanza sulla
vita politica e associativa. Le normali manifestazioni studentesche potrebbero
essere viste come elemento di pericolosità che non hanno mai avuto e che
intrinsecamente non hanno.
Per tornare però alla legge liberticida in tema di diffusione di notizie militari, v’è
da chiedersi perché il legislatore abbia introdotto in questo momento storico una
19
Basi USA e Nato
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norma così illiberale. Perché oggi non vuole che si parli di problemi militari,
perché in questo momento gli serve uno strumento legislativo che faccia calare
il sipario su scelte e strategie che si stanno delineando. C’è da chiedersi perché
ci si vergogni delle “missioni di pace”. A nostro avviso è già presente una sorta di
autocensura delle forze politiche e sindacali che hanno da sempre un
comportamento elusivo nei confronti dei problemi legati alle forze armate e alla
loro funzione. Questo loro atteggiamento non favorisce una presa di coscienza
della maggioranza dei cittadini ai quali vengono invece presentati come degni di
interesse solo irrisorie riduzioni del fisco (ci riferiamo naturalmente ai redditi più
bassi). I problemi della tutela della salute, dalle aggressioni del nucleare militare,
sembrano non entrare nelle agende dei partiti. E questo induce la stampa a
glissare l’argomento con il risultato che se ad una manifestazione parte cipano
alcuni cittadini preoccupati, i giornalisti si limitano ad una notarile annotazione.
Non sono mai stati fatti approfondimenti seri su quello che respirano le popolazioni
delle città militarizzate o quello che respirano i cittadini delle campagne laddove
sono presenti i poligoni di tiro. Circa il ruolo della Chiesa Cattolica (quella valdese
ha fatto propria la causa della pace tra i popoli) sono in molti a nutrire perplessità.
Tra la pace e il battesimo delle navi c’è l’abisso. Il convegno di Taranto ha stabilito
inequivocabilmente che è necessaria una rete delle città militarizzate. Per
monitorare ogni modifica-potenziamento, per respingere l’attentato alla nostra
salute e quindi per promuovere una civile opposizione ad un processo che mortifica
e offende il nostro essere cittadini consapevoli e responsabili. Creare una nuova
rete che affianchi l’esistente sembra poco opportuno e impolitico. Si tratta di
potenziare la rete dandole un nuovo assetto e soprattutto nuovi strumenti di
comunicazione. Peacelink sta realizzando una sezione capace di raccogliere
tutto il materiale città per città. Conta, più del nome, delle etichette, delle
primogeniture, la funzionalità di alcuni servizi e di alcuni sistemi comunicativi.
Quando potremo contare su una rete efficace ed efficiente (si sta lavorando
perché ciò avvenga nel volgere di un paio di settimane), potremo pensare ad una
vertenza a livello nazionale delle realtà soggette a servitù militari. Questa rete va
sostenuta con manifestazioni locali (stesso giorno, stessa ora) perché possa
essere percepita come univoca volontà dell’intero Paese. Ogni realtà cittadina
promuove e realizza varie iniziative di sensibilizzazione e informazione locale
legate alle situazioni locali (pensiamo al presidio del 25 giugno scorso, all’ingresso
della base navale, il giorno dell’inaugurazione, che ha dato a molti lavoratori e
cittadini la possibilità di conoscere voci fuori dal coro delle celebrazioni). Le
forme di lotta vanno progettate collettivamente. È ipotizzabile un primo raduno
delle delegazioni locali, a Roma, per la presentazione della vertenza.
Tratto dai contributi dei comitati al Convegno “Mediterraneo para bellum”
pagg. 71, 72
Basi USA e Nato
Corsi per i lavoratori
della Ederle: così sparisce il
ricatto occupazionale
Nonostante qualche commentatore si sia affrettato a definire “conclusa” la vicenda
della costruzione di una nuova base di guerra all’aeroporto Dal Molin, la questione
è invece evidentemente per molte ragioni aperta.
L’assenso del governo italiano, debole e diviso, può anche essere interpretato
come una mossa per prendere tempo di fronte al governo USA che ha i giorni
contati e fretta di concludere “il lavoro in Iraq” secondo l’orrenda emblematica
espressione del presidente americano? Più che un’analisi sarebbe un auspicio
rispetto agli atti politici del governo di Roma, che ha tra l’altro già aumentato le
spese militari con i voti dei pacifisti. I risultati delle guerre dei “grassi contro i
magri” intanto, comunque stiano realmente le cose, sono centinaia di migliaia di
vittime civili in Medio Oriente e i territori colpiti senza tregua devastati a livello
ambientale, come si sapeva prima della guerre in Afghanistan e Iraq, che
continuano peraltro da anni (2001-2007). L’ok del governo italiano, sorprendente
per certi versi, e certamente molto grave, non cambia di molto la situazione sul
campo a Vicenza. Non è dal governo purtroppo, evidentemente compromesso
ed esitante, che si può aspettare aiuti.
Resta invece il fatto che oggi è sempre più difficile imporre ai cittadini di un
territorio opere tanto dannose: le lotte popolari a Scanzano, in Val di Susa, in
Sardegna … sono luoghi in cui le proteste diffuse hanno ottenuto risultati
considerevoli.
Resto del parere che a Vicenza, se la “protesta unita alla proposta” si manterrà
forte, libera e vivace, la nuova base non si farà, in quanto non si sono più le
condizioni di ospitalità. Servono, uniti alle grandi manifestazioni internazionali
come quella del 17 febbraio anche boicottaggi mirati di lungo periodo, iniziative
nonviolente di massa organizzate, scioperi e assemblee dei lavoratori, come
avvenuto altrove. Con queste tecniche la protesta vince: in Europa, sia pure con
limiti e contraddizioni che meriterebbero un approfondimento critico, sono stati
fatti persino cadere regimi autoritari negli ultimi anni, fatti che confermano che
cambiare le decisioni dei governi resta quindi possibile.
1. I comitati contro le basi militari in Italia sono molti, per una panoramica si veda il sito
www.vialebasi.net.
2. Comitato Unitario contro Aviano 2000 http://cuca2000.noblogs.org/.
3. Comitato per lo smantellamento e la riconversione ad usi esclusivamente civili della base di
Camp Darby
http://www.viacampdarby.org/.
4. Tra le ipotesi in discussione quella della nascita di un’associazione ad hoc che si occupi
della questione.
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Basi USA e Nato
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Abbiamo letto recentemente che uno dei luoghi di progettazione della guerra in
Iraq sarebbe stata proprio la caserma Ederle di Vicenza, fatto che non può
lasciare indifferenti i milioni di pacifisti delusi dal governo italiano, ma sempre
contrari senza se e senza ma alle disastrose guerre in atto.
Per questa ragione la nascita di un forte Comitato a Vicenza Est che propone la
chiusura e riconversione ad usi civili della Caserma Ederle, la base USA già
operativa, è un’ottima notizia, non solo per Vicenza ma per il mondo intero. E’ il
terzo importante comitato libero1 per la chiusura e conversione ad usi civili di un
sito militare USA dopo quelli che si oppongono alla base nucleare di Aviano2 in
Friuli e al pericolosissimo deposito di munizioni di Camp Darby3 in Toscana: le
tre basi militari sono collegate e fanno parte di un unico progetto bellico.
Il comitato di Vicenza Est ha rilanciato la sua attività con un’assemblea molto
partecipata il 26 gennaio durante la quale è stato avanzato un progetto
interessante: la programmazione4 in tempi brevi di corsi di riqualificazione per
lavori civili utili in vista della possibile chiusura della Caserma Ederle. All’estero
iniziative simili si sono rivelate importanti nell’affrontare la crisi occupazionale:
va sottolineato che altrove la conversione dal militare al civile ha riguardato decine
e decine di migliaia di lavoratori e centinaia di siti. Qui sarebbe tutto molto più
facile, visti i numeri contenuti.
Ci sono inoltre davvero pochi dubbi, dopo la comparazione con le migliaia di
strutture militari riqualificate nel mondo, sul fatto che la chiusura dei siti militari
a Vicenza aprirebbe anche in questo caso la strada a nuove forme di economia
civile con interessanti prospettive di aumenti occupazionali e benefici diffusi.
Basi USA e Nato
Ordigni nucleari USA e
Nato in Italia
Traduzione di Gianfranco Zecchino
Sei paesi europei - Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi,Turchia e Regno Unito
- ospitano, in base agli accordi NATO sulla “condivisione nucleare”, 480 bombe
sotto il controllo diretto degli degli Stati Uniti. Ognuna di queste bombe rappresenta
un pericolo evidente e reale, comporta il rischio di incidenti ed è un potenziale
obiettivo. In Italia, le basi di Aviano e Ghedi Torre - che possono essere
operativamente impiegate sia per obiettivi in Medio Oriente che per quelli nella
Federazione Russa - rappresentano un bersaglio militare che mette
potenzialmente in grave rischio le popolazioni di una vasta area.
Dopo l’ultima revisione del Nuclear Posture Review del Pentagono, gli USA non
escludono la possibilità di impiegare armi nucleari per prevenire un attacco
nucleare imminente o potenziale o per evitare che altri paesi possano dotarsi di
capacità nucleare militare. Un recente articolo a firma di Seymour Hersh su “The
New Yorker” rivela l’esistenza, all’interno del Pentagono, di una linea a favore
dell’utilizzo dell’arma atomica per un attacco preventivo alle installazioni nucleari
iraniane. La guerra atomica è, allo stato dei fatti, una minaccia reale. E i piloti
statunitensi possono decollare con armamenti atomici dalle basi italiane senza
che sia necessaria alcuna decisione del nostro governo.
L’Italia, che ha sempre giocato un ruolo positivo per il disarmo nucleare, deve
intervenire in sede diplomatica per ricostruire un clima e una sensibilità politica
favorevole al disarmo e alla non proliferazione atomica. L’Europa deve essere
libera da armi nucleari. Senza il disarmo nucleare delle potenze atomiche attuali,
sarà difficile perseguire la non proliferazione in Paesi come la Corea del Nord,
l’Iran o il Giappone che si sentiranno legittimati a proseguire nella direzione
sbagliata.
Occorre mettere in discussione la presenza sul territorio italiano delle 90 testate
atomiche che, con una potenza complessiva pari a 900 volte quella di Hiroshima,
sono ancora presenti ad Aviano e Ghedi Torre, in virtù di un trattato segreto Stone Ax - mai comunicato al Parlamento.
Gli europei non sono costretti ad accettare queste armi in Europa ed hanno il
potere di richiederne la rimozione. Gli ordigni nucleari USA-NATO sono stati
rimossi dal Canada, dalla Grecia, dalla Danimarca e dall’Islanda. Eppure ognuno
di questi paesi continua a far parte in maniera attiva della NATO. Quando l’Europa
non verrà più considerata come un teatro di possibili guerre nucleari, un deposito
o una portaerei degli Stati Uniti, la Guerra Fredda sarà finalmente conclusa.
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Basi USA e Nato
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Gli armamenti nucleari presenti in Europa: tratto da greenreport
Basi USA e Nato
25
Basi USA e Nato
La marina militare americana ha
riversato acqua radioattiva nel
Parco marino internazionale
delle Bocche di Bonifacio
di Enrico Porsia
26
Nel settembre 2005 abbiamo incontrato un ufficiale della Marina militare americana
che era in servizio presso la base nucleare americana della Maddalena in Sardegna
(vedere la nostra edizione del 15/11/2005). Nel corso della nostra lunga
conversazione, il militare ci aveva preannunciato, molto prima che la notizia
diventasse ufficiale, il ritiro dei sottomarini di attacco dello Zio Sam dall’arcipelago
sardo. Un ritiro che dovrebbe essere effettivo nel corso del 2007 (vedere la nostra
edizione del 25/11/2005 e del 29/05/2006).
L’ufficiale della Marina ci aveva anche confidato un’informazione allarmante. Aveva
affermato che i militari americani effettuavano lo scolo dell’acqua radioattiva
contenuta nei reattori dei sottomarini. Questa operazione molto pericolosa,
soggetta a rigidi protocolli, era effettuata con surrealistica nonchalance dalla
Marina americana nel bel Parco internazionale delle Bocche di Bonifacio. In
seguito alla pubblicazione delle nostre informazioni, il deputato italiano (oggi
senatore) Mauro Bulgarelli aveva pubblicamente interrogato il Ministro italiano
della Difesa: “Quali i provvedimenti presi durante questa delicatissima
operazione?”
L’ufficiale della Marina americana che aveva accettato di parlarci restando anonimo
aveva ugualmente affermato che l’acqua radioattiva era stoccata sulla barca di
supporto, la Emory Land, in attesa che navi americane, equipaggiate per questo
tipo di trasporto, si incaricassero successivamente di portare l’acqua irradiata
negli Stati Uniti.
Oggi un sottufficiale della Marina militare italiana in servizio per due anni
nell’arcipelago sardo smentisce categoricamente queste parole.
“E’ una fesseria” ci dice, “gli americani non hanno mai riportato negli Stati Uniti
l’acqua radioattiva dei loro reattori, ma l’hanno sempre riversata in mare, nal
Parco marino internazionale!”.
“Sono stato in servizio alla Maddalena per due anni” ci racconta il militare italiano
che, come il suo collega americano ha accettato di parlarci restando anonimo“Ero in servizio alla base italiana di Santo Stefano, che è nelle vicinanze immediate
della banchina dove si trovano i sottomarini americani e la nave di supporto
logistico Emory Land.
Il testo originale in francese si trova al link: http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/
soumarin/eauradioact_901.htm
Tradotto da Francesca Quarta per www.peacelink.it Il testo è liberamente utilizzabile, per fini
non commerciali, citando la fonte, l’autore e il traduttore.
Basi USA e Nato
Alcune mattine, sul presto, la Emory Land e un sottomarino nucleare lasciavano
l’isola senza allontanarsi molto perchè la sera erano già di ritorno. Tutti lo
sapevano. Gli americani andavano a scaricare l’acqua del reattore... ma,
contrariamente a quanto vi ha detto l’ufficiale americano, l’acqua radioattiva non
era nè stoccata in qualche luogo, nè portata negli Stati Uniti. Del resto, in due
anni di servizio nell’arcipelago, io non ho mai visto nè sentito parlare di una nave
arrivata espressamente per rimpatriare l’acqua radioattiva dei reattori negli Stati
Uniti. La verità è molto più semplice: l’acqua radioattiva era riversata in mare.
Durante la nostra conversazione, il sottufficiale italiano era in compagnia di un
collega, anch’egli sottufficiale che assentiva silenzioso.
“Come militare dovrei tacere, ma la mia divisa non mi impedirà di ricordarmi che
sono anche un cittadino. E il cittadino vi dice che è orribile sbarazzarsi dell’acqua
radioattiva in pieno Mediterraneo. E per di più nelle acque territoriali di un paese
amico mentre la Marina militare americana è nostra ospite. E’ una vergogna.
Ancor più se si pensa che tutti al’’interno della Marina militare italiana erano al
corrente di queste pratiche.
Lo scolo dell’acqua radioattiva dei sottomarini americani nel Parco marino
internazionale era un segreto di Pulcinella. Tutti hanno taciuto, è una vergogna!”.
Nel dicembre 2003, il deputato italiano Mauro Bulgarelli ci diceva senza perifrasi:
“Sapete cosa ci ha risposto il comando del corpo militare italiano quando ci
siamo allarmati per il modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla Marina
americana alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure
relative allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: “No comment. E’
un insulto alla nostra sovranità nazionale!”.
Nel 2004 il laboratorio indipendente francese della CRIIRAD aveva scoperto un
tasso elevato in modo anormale di torio 234 nelle alghe prelevate in prossimità
della base Usa della Maddalena (vedere la nostra edizione del 14/01/2004). Da
dove proveniva dunque questo derivato dell’uranio 238?
A tutt’oggi la domanda resta senza risposta.
Tratto da www.amnistia.net - 26 ottobre 2006
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Basi USA e Nato
Due esempi di lotte
internazionali: la Sardegna
e la Corea
CONTRIBUTO DEL COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI
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Il comitato sardo Gettiamo le Basi valuta con grande interesse l’iniziativa del
convegno focalizzato sull’interconnessione tra la lotta per la Pace, il No alla
guerra e le strutture logistiche e operative, le basi militari, che rendono praticabile
l’opzione bellica. Contrastare e recidere le basi della guerra, i suoi poligoni, i
suoi arsenali che pullulano nella penisola consente di uscire dal generico “No
alla guerra” e di tracciare percorsi praticabili per costruire scenari diversi da
quelli attuali.
Per acquisire maggiore efficacia, capacità d’incidere e forza propulsiva le lotte
che vanno nascendo in tutta la penisola contro le basi della guerra hanno bisogno
di costruire canali di comunicazione e di collegamento non occasionali in modo
da compartire il patrimonio diffuso ma frantumato di informazioni, esperienze,
conoscenze e competenze diverse. È imprescindibile attivare sinergie, attivare
la comunicazione per ricollocare le lotte “locali” nel quadro globale dell’opposizione
planetaria alla guerra e ai suoi strumenti.
Le lotte che abbiamo innescato e che hanno contribuito ad accendere la scintilla
di rivolta contro l’oppressione militare che strangola la Sardegna si sono avvalse
di preziosi contributi provenienti da ambienti e luoghi diversi. Il sostegno attivo
del comitato Scienziate/i contro la guerra è stato determinante per contrastare e
far fallire i continui tentativi d’imporre il silenzio sull’impatto sanitario e ambientale
della base Usa di La Maddalena, sulla “sindrome di Quirra” e sulla “sindrome dei
Balcani”.
Il lavoro di La Spezia e di Peacelink è stato fondamentale per portare alla luce
l’inquietante realtà di Cagliari condannata, come le altre 11 città italiane, ad
ospitare i mezzi a propulsione nucleare e armamento atomico di potenze straniere
giuridicamente e politicamente irresponsabili delle catastrofi determinate dalle
loro attività come scandalosamente dimostra la strage del Cermis. L’attenzione
e la sensibilità di alcuni parlamentari ha dato rilevanza nazionale alle lotte
confinate nell’isola e ha investito le istituzioni.
Il patrimonio d’informazioni e di lotte della lontana isoletta di Vieques ha permesso
di sapere
che la 2° Flotta Usa dell’Atlantico, cacciata dal Portorico dalla determinata e
coraggiosa disobbedienza della società civile, fin dal 2000 ha traslocato i suoi
giochi di morte nel Mediterraneo privilegiando il poligono di Capo Teulada. La
solidarietà del Portorico e del Giappone ha dato forza alla lunga lotta dei pescatori
di Teulada e ha contribuito a “internazionalizzare” la loro lotta pluriennale.
Basi USA e Nato
La guerra infinita e preventiva, oggi e ancora di più nel futuro da incubo
programmato dall’unica Potenza globale, è lo strumento privilegiato per garantire
la continuità del saccheggio delle risorse del pianeta (attuata con il classico e
mai obsoleto controllo delle risorse e delle materie prime e con la più moderna e
raffinata tecnica del controllo valutario e la dollarizza zione globale), terreno
fertile per regressioni politiche, sociali e culturali che spianano la strada a svolte
autoritarie. Le élites al potere sanno bene che i processi di globalizzazione sono
devastanti, non solo per i Sud del pianeta, ma anche per ampi strati sociali degli
stessi Stati Uniti e della ricca Europa e si sono preparate ad affrontarli ben prima
del tragico 11 settembre. Hanno scelto la deterrenza militare contro i popoli
restii a sottomettersi e l’erosione feroce e metodica delle conquiste democratiche
per tenere a bada le propria popolazione esclusa dalla spartizione della torta. Da
sempre agitare la minaccia del Nemico, lo spettro della Patria in pericolo o la
“missione civilizzatrice della Patria” consente di compattare il fronte interno e
fare accettare alla popolazione la rinuncia ai diritti civili e sociali faticosamente
conquistati. Il “Patrioct Act” è un esempio lampante dell’involuzione civile e
democratica così come lo sono leggi e leggine varate dal governo Berlusconi (e
ancor prima dal governo D’Alema), apparentemente slegate tra loro ma che di
fatto concorrono a depotenziare l’opposizione popolare e a facilitare il dispiegarsi
dell’opzione bellica.
I diversi e sfaccettati aspetti in cui si articola il rigurgito potente della barbarie
bellicista vanno ricollocati in un quadro unitario di radicale contrasto di tutti gli
strumenti della guerra, un quadro che riporti in primo piano lo strumento fondante:
le basi militari che materialmente sostengono e sostanziano la guerra.
L’attenzione si è puntata su questo tassello – relegato sullo sfondo oscuro e
indistinto del quadro - solo frammentariamente e per un tempo infinitesimale, nel
momento dell’esplodere dei conflitti e in occasione delle grandi catastrofi come
le stragi di Casalecchio e del Cermis.
Il popolo della Pace stenta a fare sua la lotta per estirpare le basi della guerra.
Se vuole essere credibile e vincente non può prescindere da un’opposizione
decisa e radicale contro le strutture che rendono effettiva la possibilità e la
capacità tecnica di scatenare guerre.
La “distrazione” complessiva del movimento è il risultato dell’uso massiccio di
tecniche ben collaudate mirate a proteggere l’anello debole della macchina bellica:
il consenso popolare o perlomeno il silenzio-assenso delle popolazioni
condannate a convivere con le basi e le attività militari.
COREA DEL SUD – ESPANSIONE DELLA
BASE AMERICANA CAMP HUMPHEREY
Nel Luglio 2005 circa 12000 residenti di Pyeongtaek, piccola cittadina a 60 km
da Seul, si sono uniti a agricoltori, allevatori e attivisti no war per protestare al
piano di espansione di Camp Humphrey, base militare americana situata nelle
vicinanze. 200 persone ferite dalla polizia anti sommossa e circa un centinaio gli
arresti.
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Basi USA e Nato
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Attraverso le immagini è stato mostrato il tentativo, da parte di donne, studenti
di Pyeongtaek, di fermare fisicamente 6000 poliziotti che tentavano di entrare
nel loro paese, mentre altri giovani li affrontavano armati di bastoni di bambu. La
resistenza opposta con questo coraggio, di fronte ad una chiara superiorità di
forze e di armi, ha dimostrato l’enorme supporto popolare di cui gode questo
movimento.
La resistenza del 10 Luglio è parte di una campagna nazionale che ha saputo
catalizzare molte forze la “Get U.S. bases out of Korea in 2005’. I portavoci della
campagna hanno affermato: “come parte del piano globale di riallineamento, il
ruolo dei militari americani in Corea del Sud è quello di circondare l’Asia. A
supporto del nuovo ruolo militare, il pianodi espansione della base, si aggiunge a
quello di costruire una serie di basi per Missili Patriot con obiettivo la Cina”.
I residenti di Pyeongtaek hanno lottato contro l’espansione della base perchè
questa avrebbe voluto dire vedere espropriare i propri terreni. Per 310 giorni
hanno vigilato con una sola idea: “No base expansion! U.S. troops out of Korea!’
e “No Korean war!
Il 3 gennaio 2006 la resistenza degli agricoltori ha iniziato una marcia con i propri
trattori per circa 1800 Km durata quasi 10 giorni, visitando fattorie e incontrando
organizzazioni nazionali, dichiarando la propria opposizione all’allargamento della
base.
Nel mese di febbraio durante la marcia degli agricoltori a Pyeongtaek sono state
bruciate le “carte di residenza” e rinunciato formalmente alla cittadinanza coreana
dichiarando Daechuri una zona autonoma. Molti artisti, musicisti, attivisti contro
la guerra e leader religiosi sono arrivati nella zona, e insieme con i residenti
hanno restaurato e occupato case e creato un “Villaggio della Pace”.
Nel mese di marzo la polizia ha attaccato in forze la città. Attivisti e agricoltori si
sono barricati nella scuola elementare Dacheu, il cuore della protesta, per sfuggire
al violento attacco di esercito e polizia.
Nel mese di Giugno è stato arrestato il sindaco di Pyeongtaek mentre si recava
per stipulare un accordo con due distretti che sarebbero interessati dalla
espansione della base. In risposta a questo è stato immediatamente lanciato
uno sciopero della fame di tutta la città.
Nel mese di Settembre oltre le numerose scritte che sono comparse sulla
esistente base, i dimostranti hanno tentato di bloccare i mezzi che dovevano
iniziare le operazioni di demolizione cercando di stendersi davanti alle ruspe. La
polizia ha bloccato tutte le strade di uscita dalla città in modo che altri non
potessero raggiungere i dimostranti.
La protesta ha accompagnato la visita del ministro sud coreano a Washington
con la manifestazionedi numerosi sud coreani residenti in America.
La lotta continua.....
“Qui il problema non è di ricevere compensazioni, ma il diritto di rimanere sulla
propria terra”
Sardegna: tratto dai contributi dei comitati per il Convegno “Mediterraneo para bellum”
Corea: http://www.workers.org/, http://us.oneworld.net/
Basi USA e Nato
Conferenza internazionale
Per l’Abolizione delle Basi
Straniere in Ecuador,
dal 5 al marzo 2007
Traduzione dallo spagnolo di FR per www.resistenze.org
Un cordiale saluto da parte del Comitato Organizzatore Nazionale e Internazionale
della Conferenza Inaugurale della Rete Mondiale per l’Abolizione delle Basi Militari
in Paese Stranieri.
Con la presente invitiamo a partecipare a questa importante Conferenza Mondiale
che avrà luogo a Quito e Manta, in Ecuador, dal 5 al 9 Marzo del 2007.
La conferenza vuole far risaltare gli impatti politici, sociali, ambientali ed economici
delle basi militari straniere, dar voce ai movimenti ed organizzazioni che vi si
oppongono, ed offrire la possibilità di consolidare formalmente la Rete Mondiale
no - Basi, le sue strategie, struttura e piani d’azione.
Abbiamo visto come le basi militari straniere ed altre forme di presenze militari
siano usate per assicurare gli interessi di pochi stati e corporazioni a detrimento
di democrazia, giustizia, sovranità e autodeterminazione. Tuttavia, le basi e i
loro apparati distruttivi si stanno trovando ad affrontare forti movimenti di
opposizione, a Vieques, Corea, Okinawa, Regno Unito, Guam, negli stessi Stati
Uniti, e in molti altri paesi.
Sono questi movimenti che desideriamo aggregare per arrivare ad un aiuto
reciproco e facilitare la costruzione di strategie coordinate. Negli ultimi due anni,
movimenti per la pace e la giustizia hanno costruito una Rete Internazionale che
lavora per l’abolizione delle basi militari straniere nel mondo. Il prossimo passo
nel consolidamento della Rete è la Conferenza Internazionale per l’Abolizione di
tutte le Basi Militari Straniere.
Ci auguriamo che questo sia il più grande incontro di attivisti anti-basi degli
ultimi anni.
I principali obiettivi della Conferenza sono:
•
Analizzare il ruolo delle Basi Militari Straniere ed altre forme di presenza
militare straniera nel quadro delle strategie di dominazione globale, e i suoi
impatti sulla popolazione e l’ecosistema.
•
Rendere visibile, condividere esperienze e solidarizzare con le lotte di
resistenza attive contro le basi militari straniere nel mondo
•
Stabilire consensi su obiettivi, piani di azione, meccanismi di
coordinamento, comunicazione e presa di decisioni nella rete globale per
l’abolizione delle basi militari ed altre forme di presenza militare straniera.
•
Stabilire strategie e piani di azione globali che rafforzino le lotte locali e
nazionali ed il loro coordinamento.
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La Conferenza si svolgerà nell’arco di cinque giorni. Il primo giorno, lunedì 5
Marzo, ci saranno le presentazioni e le formazioni dei gruppi di lavoro che esplorino
i contesti geo - strategici in cui si inseriscono le basi militari straniere e le altre
forme di presenza militare, il loro ruolo come strategia di dominazione imperiale,
i diversi impatti delle basi militari ed i movimenti esistenti per chiuderle. Il secondo
e terzo giorno, la Conferenza si svolgerà con dibattiti aperti a tutti i partecipanti
iscritti, i quali assisteranno alla presentazione di varia documentazione video per
approfondire la conoscenza sulle basi militari e i movimenti anti-basi. Alcuni di
questi gruppi di lavoro saranno stabiliti dal Comitato Organizzatore, altri saranno
auto-organizzati dai movimenti sociali e organizzazioni.
Per garantire la piena rappresentatività di ciascun paese afflitto da basi militari,
il gruppo di Delegati sarà coadiuvato da 150 rappresentanti di movimenti che
attivamente si oppongono a basi militari straniere o alla presenza militare straniera
nel mondo. Questo gruppo ed i tavoli di lavoro dovranno essere numericamente
limitati, affinché le discussioni e le decisioni siano prese nel breve tempo a
disposizione. Speriamo che ci siano rappresentanti regionali che contribuiscano
alle discussioni e decisioni mediante la socializzazione di documentazione
prodotta in precedenza..
Il quarto giorno, che coincide con la Giornata Internazionale della Donna, sarà
diretto da gruppi di donne ecuadoriane che si oppongono alle basi militari e alla
guerra; viaggeremo in Carovana da Tolgo alla città portuale di Manta, svolgendo
iniziative in paesi e città lungo la via, integrandole alla Carovana.
Il quinto giorno della Conferenza ci saranno manifestazioni congiunte di
ecuadoriani e delegati internazionali contro la presenza della Base Militare degli
Stati Uniti a Manta. Nel corso della Conferenza non mancheranno eventi culturali,
dove speriamo di condividere non solo espressioni della cultura ecuadoriana, ma
anche quella delle altre culture presenti.
Ci auguriamo che al termine della Conferenza, i delegati e partecipanti abbiano
piani, idee, contatti, solidarietà ed ispirazione che fortifichino le loro lotte locali
contro le basi militari.
Da lunedì 16 Ottobre si può accedere al registro on-line della Conferenza (http:/
/www.no-bases.net) dove si possono trovare le informazioni sui progressi realizzati
nell’organizzazione.
Arrivederci in Ecuador.
Gruppo di lavoro del Centro di Documentazione
Centro Popolare Autogestito - Firenze Sud
Fotocopiato in proprio, via Villamagna 27 A
Firenze, 1 marzo 2007