newsletter 42-2013

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(www.eltamiso.it)
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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
IL PREZZO DA PAGARE PER LA LIBERTA'
(DECRESCITA CON MARX)
di SERGE LATOUCHE
Diciamolo in maniera ancora più chiara: il prezzo da pagare per la libertà è la distruzione
dell'economico in quanto valore centrale e, di fatto, unico. È un prezzo davvero tanto alto? Per
me, certamente no: preferisco infinitamente avere un nuovo amico piuttosto che
un'automobile nuova. Preferenza soggettiva, senza dubbio. Ma «oggettivamente»? Lascio
volentieri ai filosofi politici il compito di «fondare» lo (pseudo)-consumo in quanto valore
supremo.
Uscire dal vicolo cieco della società della crescita, significa trovare le vie
che ci consentano di costruire il mondo «altro» della sobrietà volontaria e
dell'abbondanza frugale che noi riteniamo possibile; prima però bisogna
uscire dai solchi del pensiero «critico», ossia di quelle vecchie idee
preconfezionate che costituiscono il valore d'avviamento delle sinistre, di
tutte le sinistre.
Inventare modi nuovi di fare politica significa ripensare la politica e trovare una soluzione allo
stallo della politica politicante. Una delle ragioni, forse la principale, del fallimento del
socialismo, è stata la volontà egemonica di un discorso e di un modello. Non che non ve ne
fossero parecchi, tra leninismo, stalinismo, maoismo, trotskismo e socialdemocrazia, ma
nessuna corrente di pensiero e nessun modello concreto è riuscito ad accogliere la pluralità
della verità e la diversità delle soluzioni concrete.
Certo, Marx, nella sua celebre lettera del 1881 a Vera Zasulic, evocava la possibilità di un
passaggio diretto dalla comunità contadina tradizionale russa, il mir, al socialismo, saltando la
tappa capitalista. La possibilità di un percorso diverso è stata ripresa anche per l'Africa, dopo
l'indipendenza; ed è stata nuovamente evocata a proposito degli zapatisti e delle comunità
indigene del Messico.
Tuttavia, è noto che Engels, dieci anni dopo la morte di Marx, si mostrava molto più scettico
sull'argomento e che dopo altri venti anni Lenin attaccava teoricamente e praticamente queste
«sopravvivenze», che Stalin avrebbe spietatamente liquidato. I vari «marxismi reali» del Terzo
Mondo non si sono mostrati più teneri nei riguardi delle strutture comunitarie precapitaliste.
La modernizzazione «socialista» ha fatto tabula rasa del passato con una violenza e un
accanimento perfino maggiori di quelli della modernizzazione capitalista, facilitando così il
compito della globalizzazione ultraliberista seguita alle sconfitte delle esperienze socialiste. La
straordinaria varietà di vie e di voci del primo socialismo (frettolosamente liquidato con
l'etichetta di socialismo romantico o utopistico) era stata infatti ridotta al pensiero unico del
materialismo storico, dialettico e scientifico.
Di conseguenza, la tolleranza della pluralità poteva essere accettata solo come concessione
provvisoria tattica, che non modificava l'intolleranza di fondo. Tuttavia, si potrebbe presentare
paradossalmente la decrescita come un progetto radicalmente marxista, progetto che il
marxismo, e forse lo stesso Marx, avrebbero tradito.
La crescita, infatti, non è che il nome «volgare» del fenomeno che Marx ha analizzato come
accumulazione illimitata di capitale, fonte di tutti i guasti e le ingiustizie del capitalismo. È già
tutto, o quasi, contenuto nella famosa formula, spesso citata e commentata (e infine
rinnegata) dai guardiani del tempio: «Accumulate, accumulate! Questa è la Legge e questo
dicono i profeti!». L'essenza del capitalismo risiede nell'accumulazione del capitale, resa
possibile dall'estorsione del plusvalore ai salariati. Assicurarsi un profitto soddisfacente è una
condizione dell'accumulazione che ha a sua volta come unico fine la realizzazione di un profitto
ancora maggiore.
Questa logica, come notava già Marx, s'impone ai singoli capitalisti, e chi non vi si adegua sarà
eliminato dalla concorrenza tra i capitali. In ultima analisi, dire che la crescita o accumulazione
del capitale è l'essenza stessa del capitalismo, la sua finalità, è tanto corretto quanto dire che
esso si fonda sulla ricerca del profitto. Il fine e i mezzi sono in questo caso intercambiabili. Il
profitto è il fine dell'accumulazione del capitale così come l'accumulazione del capitale è il fine
del profitto.
Parlare di una crescita o di un'accumulazione del capitale buone, di uno sviluppo buono –
come, per esempio, una mitica «crescita messa al servizio di una migliore soddisfazione dei
bisogni sociali»–, equivale pertanto a dire che esistono un capitalismo buono (verde o
sostenibile, magari) e uno sfruttamento buono.
Per uscire da una crisi che è inestricabilmente ecologica e sociale, bisogna uscire dalla logica
dell'accumulazione infinita del capitale e dalla subordinazione di tutte le decisioni essenziali alla
logica del profitto. È per questo che la sinistra, se non vuole rinnegare se stessa, dovrà
abbracciare senza riserve le tesi della decrescita.
Tratto da «Incontri di "un obiettore di crescita"» edito in Italia da Jaca Book che presenta una
serie di articoli di Serge Latouche pubblicati sul settimanale francese «Politis»
Sul tema c'è anche l'articolo di Jappe DECRESCENTI ANCORA UNO SFORZO...!
(da Come Don Chisciotte – ottobre 2013)
TORNANO LE FATTORIE DIDATTICHE APERTE
Domenica 13 ottobre 2013 si svolge l’undicesima
edizione della manifestazione organizzata dalla Regione
Veneto, in collaborazione con le Organizzazioni
professionali agricole e il Coordinamento GAL del
Veneto.
L’iniziativa si inserisce nel “Progetto Fattorie
Didattiche”, che la Regione sostiene con lo scopo di
valorizzare l’identità territoriale, l’economia locale e le
produzioni tipiche, creando una rete di relazioni fra
agricoltori e giovani cittadini, attraverso la preziosa
mediazione del mondo della scuola.
Le 150 fattorie che partecipano a questa giornata sono tutte iscritte all'Elenco regionale delle
fattorie didattiche e quindi rispondono ai requisiti previsti dalla "Carta della qualità", in termini
di sicurezza, accoglienza e didattica.
Quest’anno il filo conduttore comune della Giornata si collega al riconoscimento del 2013 come
“Anno europeo contro lo spreco alimentare”. Le Fattorie, presentando i propri percorsi e le
proprie attività con particolare attenzione all’uso consapevole e sostenibile di cibo, acqua ed
energia, si propongono come luogo di educazione in senso ampio: dall’educazione alimentare
all’educazione ambientale fino all’educazione alla cittadinanza attiva. Le visite didattiche sono
gratuite, ma è obbligatoria la prenotazione presso la fattoria didattica prescelta.
Per localizzare ciascuna fattoria sulla cartina geografica del Veneto, entrare nel loro sito
internet e conoscere le attività e i percorsi didattici che offrono alle scuole durante l’anno,
vedere gli orari di apertura e i programmi particolari organizzati per la Giornata.
Per avere i riferimenti telefonici e di e-mail per prenotare la visita direttamente presso le
fattorie didattiche, clicca su:
• Provincia di Belluno -- • Provincia di Padova -- • Provincia di Rovigo -- • Provincia
di Treviso -- • Provincia di Venezia -- • Provincia di Verona -- • Provincia di Vicenza
Ulteriori informazioni sono disponibili sulla pagina: Facebook - Fattorie didattiche aperte.
In caso di maltempo, l'iniziativa viene rinviata a domenica 20 ottobre.
(da Regione Veneto - Agricoltura e Foreste – ottobre 2013)
SISTEMI ALIMENTARI SOSTENIBILI PER LA SICUREZZA ALIMENTARE E
LA NUTRIZIONE
Il tema i “Sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione” sarà al
centro della Giornata Mondiale dell’Alimentazione del 2013. Il tema prescelto, annunciato
all’inizio di ogni anno dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura
(FAO), mette in rilievo le celebrazioni della Giornata Mondiale dell’Alimentazione e crea
consapevolezza e conoscenza riguardo alle misure necessarie per porre fine alla fame nel
mondo.
Ad oggi sono quasi 870 milioni le persone nel mondo che soffrono di malnutrizione cronica.
Modelli di sviluppo non sostenibili stanno degradando l’ambiente naturale, minacciando gli
ecosistemi e la biodiversità di cui abbiamo bisogno per le provviste alimentari future. Un
sistema alimentare è costituito dall’ambiente, le persone, le istituzioni ed i processi con cui le
derrate agricole vengono prodotte, trasformate e portate ai consumatori.
Ogni elemento del sistema alimentare produce un effetto sull’accessibilità e sulla disponibilità
finale dei vari alimenti nutrienti e, quindi, sulla possibilità per i consumatori di adottare diete
sane. Inoltre, le politiche e gli interventi in materia di sistemi alimentari sono raramente
progettati tenendo in considerazione la nutrizione come obiettivo primario.
Per combattere la malnutrizione occorre un’azione integrata e interventi complementari in
agricoltura e nel sistema alimentare, nella gestione delle risorse naturali, nell’istruzione e nella
sanità pubblica, nonché in settori strategici più ampi.
Come deve essere un sistema alimentare sostenibile? E’ un obiettivo raggiungibile
considerando la situazione attuale? Cosa dovrebbe cambiare per spingerci in quella direzione?
La Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2013 è un’opportunità per esplorare queste e altre
domande e per creare il futuro che desideriamo.
Il disegno di quest'anno
L'artista austriaco Friedensreich Hundertwasser (1928-2000) utilizzava colori vivi
e forme organiche per esprimere la riconciliazione degli esseri umani con la
natura, nozione che riflette il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione di
quest'anno.
(Immagine per cortesia della Fondazione Hundertwasser).
(scarica QUI l’immagine ingrandita)
(dalla FAO - Organizzazione ONU per Alimentazione e Agricoltura - ottobre 2013)
OCEANI ACIDI: VERSO L’ESTINZIONE DI
MASSA DELLE SPECIE MARINE
L'acidificazione delle acque degli oceani ha raggiunto
un livello davvero record: è il più alto da ben 300
milioni di anni e a quanto pare la colpa è in gran
parte di inquinamento e pesca eccessiva.
É questo l'allarme che lancia il rapporto dell'International
Programme on the State of the Ocean (IPSO), secondo cui
l'estinzione di massa delle specie marine potrebbe ormai
essere inevitabile.
Il calcolo dei 300 milioni di anni è stato fatto in base alle rilevazioni geologiche attualmente
disponibili: dal raffronto emerge anche che il rilascio di CO2 negli oceani è attualmente dieci
volte più veloce di quello durante la 'grande estinzione' delle specie del Paleocene-Eocene di 55
milioni fa. "La salute del mare sta avendo un andamento discendente molto più rapido ed
esteso di quanto avevamo finora pensato - ha commentato, presentando il rapporto, il biologo
Alex Rogers dell'università di Oxford, che ha partecipato allo studio -. Ciò dovrebbe essere un
motivo di grande preoccupazione per tutti, perché proprio tutti saranno influenzati dalla
diminuita capacità dell'oceano di sostenere la vita sulla Terra".
L'IPSO è coordinato dall'Università di Oxford e si basa sul contributo di scienziati di tutto il
mondo. Nel rapporto, intitolato "Lo stato degli oceani 2013: pericoli, prognosi e proposte", è
emerso che gli ecosistemi marini si stanno degradando per diretta conseguenza delle attività
umane, soprattutto per colpa della CO2 prodotta dai combustibili fossili e dalla pesca eccessiva.
Attraverso una combinazione letale di forze distruttive - il cosiddetto "trio mortale" costituito
da acidificazione, riscaldamento e deossigenazione - gli scienziati avvertono che "l'estinzione di
massa delle specie chiave presenti in mare può essere inevitabile", mettendo così a rischio
anche il sostentamento di miliardi di persone.
"L'acidificazione - spiega all'Ansa Anna Luchetta, ricercatrice all'Istituto di Scienze Marine del
CNR di Trieste - produce un abbassamento del ph che cambia la concentrazione di carbonato
presente nell'acqua. In questo modo, diminuisce la capacità di calcificazione di questi piccoli
organismi che si ritrovano conchiglie più deboli e sottili e quindi conseguentemente più
facilmente soggetti a predatori e malattie". "La grande capacità degli oceani di assorbire CO2 è
stata da un certo punto di vista un bene per il pianeta - aggiunge l'oceanografa - ma a
rimetterci tuttavia è stato proprio il mare, che ha una potenzialità seppure grande ma finita di
assorbimento”.
I ricercatori dell'IPSO hanno infatti evidenziato come gli oceani abbiano svolto un ruolo positivo
proteggendo gli esseri umani dagli effetti peggiori del riscaldamento globale. Hanno rallentato
il ritmo dei cambiamenti climatici sulla Terra, ma ne sono derivati profondi effetti negativi sulla
vita marina. Molti studi hanno già dimostrato l'effetto negativo che l'acidificazione produce
direttamente su alcune creature marine, tra questi gli organismi che utilizzano il carbonato
disciolto nell'acqua, per costruire scheletri e conchiglie. "A meno che non si ripristini la salute
degli oceani - conclude lo studio - ci saranno conseguenze pesanti. I governi devono
intervenire urgentemente, proprio come se si trattasse di una minaccia alla sicurezza
nazionale".
(scarica QUI la versione integrale del rapporto in formato .pdf)
(da Terra Nuova – ottobre 2013)
VIVERE A “CUORE APERTO”
Noi tutti desideriamo sentirci connessi ad un’altra persona. È il modo in cui siamo che
ci spinge a cercare la connessione con l’altro.
Noi vogliamo tutti l’amore nelle sue molteplici forme. Vogliamo l’intimità. Vogliamo che il senso
di interezza e di completezza che nasce dal legame con un altro essere umano porta. Allora
perché così tanti di noi hanno difficoltà a trovare l’amore o a mantenerlo una volta trovato?
Beh, c’è un grosso errore che tutti noi, nessuno escluso,
commettiamo: ci chiudiamo fuori dai legami profondi,
spesso senza saperlo, e questo diventa il più grande e
potente sabotatore del nostro vivere l’amore e la vita.
In queste poche righe, vorrei parlarvi di questo modo di
relazionarci agli altri che è così comune ultimamente in tutti
noi: murare inconsciamente i nostri cuori, mantenendo
l’amore fuori dalle nostre vite. Partiamo da questo: siamo
stati tutti male vivendo delle relazioni affettive. Tutti noi.
Senza eccezioni.
Sia che il dolore si sia manifestato nei primi anni di vita, sia che il nostro cuore si sia spezzato
con il nostro primo amore, sia che si stia attualmente attraversando e vivendo un “mal
d’amore”, tutti noi abbiamo sperimentato il dolore che deriva da una separazione, da una
rottura delle relazioni affettive. Naturalmente, quando ci si fa male, così male, si entra in una
modalità di protezione. Certo! Vogliamo portarci fuori da situazioni che potrebbero farci sentire
dolore, non vogliamo sentire questo dolore da frantumi di nuovo!
Ma indovinate un po’? Bloccando noi stessi, escludendoci da ogni collegamento con altre
persone, creiamo un altro tipo di dolore – un dolore sordo, un dolore solitario, un dolore
nostalgico. Un dolore che non può essere soddisfatto o placato finché si rimane a distanza dagli
altri. Molti di noi fanno proprio questo – bloccano il cuore lontano dall’amore – e non lo sanno!
E lo fanno decidendo di non “entrare” nelle cose, non avvicinando il prossimo, agendo in
maniera non autentica e indossando maschere, cercando di essere qualcun’altro.
Diventiamo troppo duri con noi stessi e con gli altri. Oppure diventiamo troppo morbidi ed
accondiscendenti. Diventiamo troppo narcisisti. Spingiamo gli altri. Manipoliamo gli altri.
Vogliamo controllare la situazione usando la nostra forza invece di abbandonarci al momento.
E, di conseguenza, ci sentiamo distanti dall’amore, per non parlare di quanto ci sentiamo
esausti nel tenere il ritmo di questa commedia ed il peso di questa maschera.
In pratica, qualsiasi comportamento viene guidato dalla paura, che ci rende non autentici
mentre cerchiamo di proteggere noi stessi: è, in sostanza, questo ciò che blocca l’ingresso
dell’amore nelle nostre vite. Dobbiamo iniziare a capire questo: nessuno di noi vuole farsi male
di nuovo ma, purtroppo, accadrà. So che non lo si desidera, so che non viene fatto apposta,
nessuno di noi vuole realmente ferire e spezzare l’altro. Ma non c’è altra scelta. Se si sceglie di
vivere la vita con il cuore aperto, si sta decidendo di sperimentare tutto.
Abbiamo davanti essenzialmente due scelte: possiamo vivere la vita in modalità di protezione,
bloccando il cuore da tutto, ma non del tutto… e quello che ci rimane sono fili che non ci
collegano realmente agli altri. Oppure si può vivere con un cuore aperto e sentire la pienezza
della vita – tutta la gioia, tutta la connessione tra gli esseri viventi, affrontando tutte le
battaglie e provando tutta la sofferenza.
A voi la scelta. Vivere con il cuore aperto è un esercizio. Come ogni altra cosa, non è come
arrivare alla “terra dei cuori aperti” e lì rimanere per sempre. Bisogna continuare a scegliere di
aprire noi stessi, ogni giorno. I nostri corpi sono addestrati a chiudersi per allontanare il dolore.
Ma scegliendo ogni giorno, passo dopo passo, di allenare il nostro corpo a prendere anche quel
dolore, accettarlo, per poi lasciarlo andare via, possiamo vivere l’amore.
Il cuore si chiude. Si apre. Si chiude di nuovo. E si riapre di nuovo. Avanti e indietro. Come
tutte gli esercizi fisici, più lo si fa, meglio si arriva ad ottenere il risultato desiderato. Credo che
ci sia un desiderio innato in tutti noi: quello di essere strettamente collegati ad altri.
È ciò che vogliamo davvero. E l’unica cosa che ci frena è la nostra paura di farci male. Andare
oltre la paura. Aprirsi di nuovo alla vita. Scegliere la connessione con l’altro: solo allora la
pienezza della vita si espanderà notevolmente dentro di noi.
(da Vegan OK Network News di Promiseland – ottobre 2013)
SITO MATO?!
SERATA DI PRESENTAZIONE DELLA
PASSATA DI POMODORO
"APPREZZATA" ANNO 2013
Malgrado tutte le difficoltà che vi abbiamo raccontato le scorse settimane, finalmente
le nostre passate di pomodoro ‘apprezzate’ sono pronte!
Vi invitiamo a partecipare alla serata di presentazione del progetto di quest’anno che
si svolgerà all’Osteria di Fuori Porta lunedì 14 ottobre alle 19.00.
Ci faranno compagnia Severino Bozzolan, dell'Azienda Podere Clara, e Luca
Michieletto, agronomo della Cooperativa El Tamiso, nostri partner nel progetto.
Parleremo di come è andato il progetto quest'anno, ceneremo con una spaghettata
Sito Mato?!, offerta da Biorekk, e per chi vorrà fermarsi - alle 21,30 - proietteremo il
documentario “Biologico terra di incontri”, nato dalla collaborazione tra Biorekk
e l’associazione Fratelli dell’Uomo.
Clicca qui per saperne di più e per
confermare la presenza alla serata
Vi aspettiamo!
(da BioRekk e Apprezziamolo! - ottobre 2013)
IL LUNGO CAMMINO DEI FORMAGGI
DI ALMNÄS BRUK
Almnäs Bruk è un'azienda agricola biologica tra le
più grandi di Svezia, sorge a sud di una piccola
città chiamata Hjo nella contea di Västra Götaland.
Specializzata nel biologico, i suoi contadini
coltivano erba, grano, orzo e un'antica varietà di farro: il Triticum spelta originario dell'Asia
sud-occidentale che risale addirittura a 8 000 anni fa.
La fattoria ha da pochi anni inaugurato il laboratorio per la lavorazione del latte biologico da cui
si ricava un formaggio davvero particolare.
Curiosando tra i banchi del Mercato Internazionale di Cheese, era impossibile non notarlo e
così ci siamo fatti raccontare la storia di questa azienda agricola e di chi, in due secoli di storia
l'ha abitata lasciando il proprio indelebile contributo. Nel XVII secolo lungo le rive del lago
Vettel c'era grande fermento, tutti erano indaffarati nella costruzione di una grande fattoria in
grado di ospitare diversi laboratori artigianali: un mulino, un caseificio e una distilleria, ma
anche una fabbrica di mattoni da cui ha inizio questa bella storia.
Fu proprio agli albori di questa attività che i figli dei contadini, giocando a piedi scalzi nell'aia
lasciarono le loro impronte sui mattoni ancora freschi lasciati al sole. Fu così che una piccola
impronta di piede ispirò il logo della produzione artigianale di mattoni. Due secoli dopo, con lo
stesso spirito giocoso i casari di Almnäs Bruck hanno deciso di farne il loro simbolo.
“La rinascita della produzione di formaggio è uno dei nostri progetti più interessanti di sempre.
Abbiamo aperto nel 2008 dopo un periodo di restauro durato due anni. Oggi il nostro latte
biologico viene lavorato nella vecchia distilleria del 1770”. Dopo mezzo secolo di pausa
l'esperta casara Elisabeth Andersson e il suo assistente Thomas Nolberger sono orgogliosi dei
risultati ottenuti in questi pochi anni di attività, e il successo delle vendite a Cheese non può
che confermare la loro soddisfazione.
L'Almnäs Tegel ha forma e colore ispirati ai mattoni dell'azienda: produzione e stoccaggio
ricordano le tecniche di caseificazione utilizzate nel Medioevo e la pressatura in contenitori
ricorda i primi antichissimi stampi per la conservazione del formaggio facilitano la naturale
presenza batterica. Il sapore è denso di aromi, con quelle note di caramello tipiche di molti
formaggi scandinavi.
Certo ne hanno fatta di strada i piedini di Almnäs Bruck, un cammino lungo più di due secoli
che racconta la vita di contadini, allevatori e casari di ieri e di oggi, provenienti da un luogo
lontano che negli scorsi giorni ha fatto tappa a Cheese, e chissà dove li condurrà l'inventiva dei
suoi sapienti artigiani.
(da Slow Food - ottobre 2013)
VAJONT, MA LE RESPONSABILITÀ?
L’operazione di rimozione dell’evento cominciò all’indomani della tragedia.
Vi contribuirono taluni fra i giornalisti più famosi, Buzzati, Bocca, Montanelli, che
insistendo sulla fatalità, sulla crudeltà della natura, diedero corpo e voce alla
convinzione, che non di responsabilità degli uomini si trattava, ma di una fatalità
imprevedibile. Fortunatamente arrivarono anche giornalisti bollati come "sciacalli",
quelli de l'UNITA'. Ripubblicato il libro di Mario Passi.
A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont è stato ripubblicato il libro
di Mario Passi, il primo giornalista accorso sulla scena del più grande
disastro ambientale italiano. (Mario Passi, Vajont senza fine. Baldini &
Castaldi, 2013, 174 pagine. € 8,90)
Sottovalutazione del rischio ambientale, smisurati interessi
economici, sciatteria e connivenza scientifica, disprezzo per la
sicurezza delle popolazioni. Tutto questo, e molto altro, è la tragedia
della diga del Vajont raccontata nel libro di Mario Passi, inviato
speciale de L’Unità all’epoca dei fatti.
Scrive Marco Paolini, nella prefazione del volume: “quando tra il
1994 e il 1998 mi sono occupato attivamente di questa storia,
raccontandola e raccontandola, per capirla io stesso a poco a poco
mi sono ammalato; a un certo punto ho deciso di smettere di
raccontarla, perché ogni altra cosa rischiava di apparire meno
importante al confronto.
Le dimensioni della tragedia, il ruolo svolto dai vari protagonisti della storia, la gigantesca
rimozione collettiva della stessa operata dalla società italiana nel suo insieme, con poche
eccezioni, rischiavano di lasciare annichilito chi vi si avvicinava.
Oggi vi é una diversa percezione dell’accaduto, la storia é stata raccontata in teatro, alla radio,
in televisione, al cinema. E’ stato ripubblicato il libro di Tina Merlin ‘Sulla pelle viva’, lo scrittore
Mauro Corona ha fatto conoscere la valle del Vajont e i suoi abitanti e ora Mario Passi ha
completamente riscritto il suo libro che allora si chiamava ‘Morire sul Vajont’ ed era il primo
libro italiano pubblicato sull’argomento, nel 1968 alla vigilia del processo che vergognosamente
venne trasferito all’Aquila per il “legittimo sospetto” che la sede naturale di Belluno fosse
troppo influenzata dalla sofferenza di tutte le popolazioni colpite dal disastro, dalla strage,
dall’olocausto.
Mario Passi ha riscritto oggi il suo libro di allora facendone una sorta di diario. Il diario di un
giornalista che perde la distanza dalle cose che é chiamato a narrare. Il diario di una malattia
che si sceglie o che ti sceglie e ti accompagna per tutta la vita.
Leggendolo ho potuto rimisurare la mia febbre, mi son tornate domande legate al presente e
non solo alla memoria, una fra tutte: “perché (…) nonostante le sentenze di colpevolezza dei
tribunali la comunità scientifica tende sempre ad autoassolversi da ogni responsabilità in
questa vicenda?
Deontologicamente non sarebbe male ammalarsi un po’: sarebbe una cura omeopatica per
prevenire disastri prevedibili a condizione di non rassegnarsi al ruolo di comparse silenziose, di
tecnici cosi neutrali da essere inutili”.
(da Ecopolis Newsletter - ottobre 2013)
DIMMI CHE CAFFÈ BEVI E TI DIRÒ CHI SEI
È stato pubblicato lo studio che stavamo tutti aspettando: la
dottoressa Ramani Durvasula - professoressa di psicologia clinica
alla California State University e autrice di You Are WHY You Eat
(letteralmente Sei perché mangi) - si è impegnata in una
classificazione della personalità associata alla preferenza del caffè.
La teoria che la dottoressa Durvasula ha voluto dimostrare è che il
caffè, oltre darci la carica mattutina, convincerci che è proprio
tempo di iniziare la giornata e costringerci al primo buongiorno,
possa rivelare molti tratti della personalità.
E così ha studiato 1000 “coffee lovers” (amanti del caffè) per evidenziare tratti comuni e stili
psicologici studiando caratteristiche quali introversione ed estroversione, pazienza,
perfezionismo, calore, vigilanza, sensibilità e audacia. A questo punto mi sa che siete tutti
curiosi di sapere che cosa ha scoperto, e vi accontento volentieri:





Il purista
Senza troppe sorprese chi sceglie il caffè nero pare avere una personalità lineare e
diretta, e manifesta la tendenza a preferire una vita semplice senza troppi scossoni,
sebbene allo stesso tempo potrebbe essere brusco, impaziente e avverso al
cambiamento. Vi riconoscete? Io no...
L’altruista
Bere il latte a colazione denota un animo gentile, una personalità generosa, tipica di chi
ha grande attenzione per il prossimo e cerca di vivere in armonia con tutti.
Il perfezionista
Beve cappuccino. Maniaco del controllo, molto sensibile e attento alla salute.
Il procrastinatore
Chi sceglie il caffè solubile sembrerebbe appartenere al gruppo più rilassato tra quelli
individuati dalla ricerca. Il suo motto? Non fare oggi quello che potresti fare domani.
Il trend-setter
Vi piace il caffè dolce e freddo? (Davvero c’è qualcuno che lo beve?) Siete dei
precursori, dettate le tendenze, ma attenti a non essere troppo avventati.
Forse preferivamo leggere i fondi nelle tazzine……
(da Slow Food - ottobre 2013)
Riportiamo alcune immagini della serata di giovedì scorso a Salboro, alla presentazione del
libro “Catechismo agricolo ad uso del contadino” di Don Giovanni Cav. Rizzo, Parroco di
Salboro nella seconda metà del 1800, incontro al quale hanno partecipato il Sindaco di Padova
Ivo Rossi ed il Presidente della CIA e del MAAP Claudio D’Ascanio.
Franco Zecchinato, Presidente della
Cooperativa El Tamiso, introduce
l’incontro…
Serena Fiorio legge ed
alcuni brani del libro…
interpreta
Ignazio
Canesso,
Poeta
Contadino,
propone
al
pubblico di Salboro le sue
poesie rurali e dialettali…
IL RISCHIO DEGLI INSETTI GENETICAMENTE
MODIFICATI
La Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e
Biodinamica (FIRAB), insieme ad altre organizzazioni ambientaliste
e della società civile dei cinque continenti, tra cui ETC Group, Food
and Water Europe, Friends of the Earth Spain, Friends of the Earth
US, Gene Ethics (Australia), GeneWatch UK, MADGE Australia Inc.,
RALLT (La Red Por una América Latina Libre de Transgénicos), Third World Network lancia
l'allarme sul rischio che numerosi esemplari transgenici di mosca dell'olivo vengano immessi
nell'ambiente in oliveti spagnoli.
Un simile rischio di rilascio in ambiente si corre in Brasile con analogo scopo di contrastare
attraverso organismi geneticamente modificati il proliferare di loro omologhi parassiti. Si tratta
di un serio rischio per l'ambiente e di una tecnologia non testata e validata, rischio aggravato
dal fatto che i ceppi di insetti ingegnerizzati sono esotici e non attinenti agli ambienti in cui
verranno lanciati.
I FATTI
L'azienda britannica Oxitec ha reso nota l'intenzione di rilasciare in ambiente versioni
transgeniche di mosche dell'olivo in Spagna e di moscerini della frutta in Brasile nei prossimi
mesi. Entrambe le richieste di autorizzazione, presentate nel gennaio 2013, riguardano rilasci
sperimentali in ambiente degli insetti geneticamente modificati e sono attualmente in fase di
valutazione.
Oxitec utilizza un approccio di 'uccisione femminile', in cui la prole femminile degli insetti GM è
destinata a morire allo stadio di larva. L'obiettivo verrebbe perseguito attraverso rilasci massali
di milioni di insetti maschi geneticamente modificati il cui accoppiamento con le femmine
presenti allo stato naturale porterebbe al declino della popolazione dei parassiti.
GLI IMPATTI TEMUTI
Una delle principali inquietudini di carattere ambientale è relativa al fatto che il ceppo di mosca
dell'olivo utilizzato da Oxitec non è nativo della Spagna, ma è stato ingegnerizzato a partire da
un ceppo greco incrociato con ceppi israeliani; situazione analoga in Brasile dove sembra che
siano utilizzati ceppi di moscerini della frutta di origine guatemalteca. Sotto un profilo ecologico
e agronomico si nutre il timore di introdurre individui portanti diversi livelli di resistenza ai
pesticidi, come evidenziato da studi sulle mosche dell'olivo in Grecia.
Il rilascio in ambiente di ceppi di parassiti entomologici non-nativi è di norma vietato nel
quadro delle disposizioni europee sul controllo dei fitofagi in quanto alcune caratteristiche
indesiderate potenzialmente presenti nel ceppo di nuova introduzione, come la resistenza ai
pesticidi, possono diffondersi nella popolazione selvatica.
Valga ad esempio quanto avvenuto nel Regno Unito, dove è stata bloccata in considerazione
della 'possibile presenza di geni di resistenza agli insetticidi non presenti negli insetti locali', la
richiesta di autorizzazione di immissione in ambiente avanzata da Oxitec per varianti
transgeniche di tignola delle crucifere (Plutella xylostella), proprio perché l'azienda prevedeva
di ricorrere a un ceppo esogeno.
Altre preoccupazioni sono relative al gran numero di larve GM morte e vive rinvenibili nel frutto
avviato al consumo e all'impatto di insetti geneticamente modificati sugli ecosistemi. "L'uso di
ceppi non-nativi è avventato perché i parassiti GM di Oxitec non sono sterili e i maschi GM
possono sopravvivere e riprodursi con mosche di origine locale per molte generazioni", ha
detto Helen Wallace, direttore di GeneWatch UK.
“È molto rischioso introdurre tali ceppi non-nativi di parassiti permettendo la diffusione di
caratteristiche nocive come la resistenza ai pesticidi non sradicabili una volta che si diffondono
attraverso la popolazione naturalmente presente".
“È scioccante apprendere che il rilascio di ceppi non-nativi GM da parte di Oxitec sia stato
bloccato in Inghilterra, ma possa essere ammesso negli stessi termini in Spagna”, ha detto
Blanca Ruibal di Amici della Terra in Spagna.
“La tecnica degli insetti sterili, simile a quella ipotizzata con le varianti GM, si è dimostrata
inefficace con popolazioni abbondanti di parassiti, come potrebbe succedere in alcune annate
con la mosca olearia. D?altro canto, nei paesi mediterranei il lancio precoce di milioni di
esemplari sterili può rivelarsi economicamente sconveniente con stagioni caratterizzate da una
presenza dei parassiti al di sotto della soglia di danno economico”, aggiunge Luca Colombo,
segretario generale di FIRAB.
(dal Bollettino Bio di Greenplanet - ottobre 2013)
ADOTTIAMO LA PORTA OGNISSANTI DETTA PORTELLO
L’Associazione Progetto Portello sostiene e
persegue l’obiettivo di migliorare la qualità di
vita del borgo Portello di Padova, attraverso
ogni forma possibile di riqualificazione.
A
marzo
di
quest’anno,
durante
un’assemblea pubblica in quartiere, il
Comune di Padova ha illustrato il progetto
per la riqualificazione del Borgo Portello che
prevede anche la creazione di una piazza
davanti alla Porta Monumentale Ognissanti
(o del Portello): l’inizio dei lavori è previsto
per novembre.
Come Associazione riteniamo che la Porta sia uno dei monumenti cardine della città di Padova,
inserita com’è in un importante sistema bastionato, lungo un corso d’acqua, il Piovego,
sopravvissuto a precedenti scempi, degna quindi di essere protetta, curata e valorizzata al
massimo.
La Porta, opera di difesa, ora ha bisogno di essere difesa: è patrimonio della città di Padova
quindi la sua qualificazione e la sua protezione da agenti dannosi come il traffico e l’incuria
rappresentano un impegno non solo dei “portellati” ma della cittadinanza intera e di chi ha a
cuore il patrimonio culturale e storico del nostro Paese.
L’alleggerimento del traffico che deriverà con la pedonalizzazione dell’area antistante la Porta,
non potrà che contribuire al miglioramento della qualità della vita del borgo, all’interno della
storiche mura cinquecentesche, garantendo una costante e tranquilla fruizione a bambini,
giovani ed anziani. Come sempre accade in occasione di cambiamenti importanti, c’è anche chi
si dichiara contrario a tale progetto, e siamo preoccupati che lo loro voce possa intimorire
l’Amministrazione Comunale.
Ci rivolgiamo quindi a tutti coloro che riconoscono l’importanza della difesa della bellezza
attraverso beni comuni come questo, affinchè sostengano il progetto già approvato e finanziato
dal Comune di Padova, di risistemazione e pedonalizzazione della porzione di strada su cui si
affaccia la Porta Ognissanti detta Portello.
Associazione Progetto Portello di Padova
(maggiori informazioni sono consultabili nel nostro sito)
(da Ecopolis Newsletter - ottobre 2013)
Terminiamo con alcune pillole per – o pro? - il mal di testa….
I vent’anni di Berlusconi continuano
e
Il ventennio non è finito
da MicroMega di Repubblica – ottobre 2013
La legge del più forte
da Altreconomia – ottobre 2013
Il mistero delle api scomparse
da Internazionale – ottobre 2013
Val di Cornia – La cultura del Bio
da Altreconomia – ottobre 2013