newsletter 42-2013
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N NE EW WS SL LE ET TT TE ER R4 42 2--2 20 01 13 3 (www.eltamiso.it) ________________________________________________ NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO IL PREZZO DA PAGARE PER LA LIBERTA' (DECRESCITA CON MARX) di SERGE LATOUCHE Diciamolo in maniera ancora più chiara: il prezzo da pagare per la libertà è la distruzione dell'economico in quanto valore centrale e, di fatto, unico. È un prezzo davvero tanto alto? Per me, certamente no: preferisco infinitamente avere un nuovo amico piuttosto che un'automobile nuova. Preferenza soggettiva, senza dubbio. Ma «oggettivamente»? Lascio volentieri ai filosofi politici il compito di «fondare» lo (pseudo)-consumo in quanto valore supremo. Uscire dal vicolo cieco della società della crescita, significa trovare le vie che ci consentano di costruire il mondo «altro» della sobrietà volontaria e dell'abbondanza frugale che noi riteniamo possibile; prima però bisogna uscire dai solchi del pensiero «critico», ossia di quelle vecchie idee preconfezionate che costituiscono il valore d'avviamento delle sinistre, di tutte le sinistre. Inventare modi nuovi di fare politica significa ripensare la politica e trovare una soluzione allo stallo della politica politicante. Una delle ragioni, forse la principale, del fallimento del socialismo, è stata la volontà egemonica di un discorso e di un modello. Non che non ve ne fossero parecchi, tra leninismo, stalinismo, maoismo, trotskismo e socialdemocrazia, ma nessuna corrente di pensiero e nessun modello concreto è riuscito ad accogliere la pluralità della verità e la diversità delle soluzioni concrete. Certo, Marx, nella sua celebre lettera del 1881 a Vera Zasulic, evocava la possibilità di un passaggio diretto dalla comunità contadina tradizionale russa, il mir, al socialismo, saltando la tappa capitalista. La possibilità di un percorso diverso è stata ripresa anche per l'Africa, dopo l'indipendenza; ed è stata nuovamente evocata a proposito degli zapatisti e delle comunità indigene del Messico. Tuttavia, è noto che Engels, dieci anni dopo la morte di Marx, si mostrava molto più scettico sull'argomento e che dopo altri venti anni Lenin attaccava teoricamente e praticamente queste «sopravvivenze», che Stalin avrebbe spietatamente liquidato. I vari «marxismi reali» del Terzo Mondo non si sono mostrati più teneri nei riguardi delle strutture comunitarie precapitaliste. La modernizzazione «socialista» ha fatto tabula rasa del passato con una violenza e un accanimento perfino maggiori di quelli della modernizzazione capitalista, facilitando così il compito della globalizzazione ultraliberista seguita alle sconfitte delle esperienze socialiste. La straordinaria varietà di vie e di voci del primo socialismo (frettolosamente liquidato con l'etichetta di socialismo romantico o utopistico) era stata infatti ridotta al pensiero unico del materialismo storico, dialettico e scientifico. Di conseguenza, la tolleranza della pluralità poteva essere accettata solo come concessione provvisoria tattica, che non modificava l'intolleranza di fondo. Tuttavia, si potrebbe presentare paradossalmente la decrescita come un progetto radicalmente marxista, progetto che il marxismo, e forse lo stesso Marx, avrebbero tradito. La crescita, infatti, non è che il nome «volgare» del fenomeno che Marx ha analizzato come accumulazione illimitata di capitale, fonte di tutti i guasti e le ingiustizie del capitalismo. È già tutto, o quasi, contenuto nella famosa formula, spesso citata e commentata (e infine rinnegata) dai guardiani del tempio: «Accumulate, accumulate! Questa è la Legge e questo dicono i profeti!». L'essenza del capitalismo risiede nell'accumulazione del capitale, resa possibile dall'estorsione del plusvalore ai salariati. Assicurarsi un profitto soddisfacente è una condizione dell'accumulazione che ha a sua volta come unico fine la realizzazione di un profitto ancora maggiore. Questa logica, come notava già Marx, s'impone ai singoli capitalisti, e chi non vi si adegua sarà eliminato dalla concorrenza tra i capitali. In ultima analisi, dire che la crescita o accumulazione del capitale è l'essenza stessa del capitalismo, la sua finalità, è tanto corretto quanto dire che esso si fonda sulla ricerca del profitto. Il fine e i mezzi sono in questo caso intercambiabili. Il profitto è il fine dell'accumulazione del capitale così come l'accumulazione del capitale è il fine del profitto. Parlare di una crescita o di un'accumulazione del capitale buone, di uno sviluppo buono – come, per esempio, una mitica «crescita messa al servizio di una migliore soddisfazione dei bisogni sociali»–, equivale pertanto a dire che esistono un capitalismo buono (verde o sostenibile, magari) e uno sfruttamento buono. Per uscire da una crisi che è inestricabilmente ecologica e sociale, bisogna uscire dalla logica dell'accumulazione infinita del capitale e dalla subordinazione di tutte le decisioni essenziali alla logica del profitto. È per questo che la sinistra, se non vuole rinnegare se stessa, dovrà abbracciare senza riserve le tesi della decrescita. Tratto da «Incontri di "un obiettore di crescita"» edito in Italia da Jaca Book che presenta una serie di articoli di Serge Latouche pubblicati sul settimanale francese «Politis» Sul tema c'è anche l'articolo di Jappe DECRESCENTI ANCORA UNO SFORZO...! (da Come Don Chisciotte – ottobre 2013) TORNANO LE FATTORIE DIDATTICHE APERTE Domenica 13 ottobre 2013 si svolge l’undicesima edizione della manifestazione organizzata dalla Regione Veneto, in collaborazione con le Organizzazioni professionali agricole e il Coordinamento GAL del Veneto. L’iniziativa si inserisce nel “Progetto Fattorie Didattiche”, che la Regione sostiene con lo scopo di valorizzare l’identità territoriale, l’economia locale e le produzioni tipiche, creando una rete di relazioni fra agricoltori e giovani cittadini, attraverso la preziosa mediazione del mondo della scuola. Le 150 fattorie che partecipano a questa giornata sono tutte iscritte all'Elenco regionale delle fattorie didattiche e quindi rispondono ai requisiti previsti dalla "Carta della qualità", in termini di sicurezza, accoglienza e didattica. Quest’anno il filo conduttore comune della Giornata si collega al riconoscimento del 2013 come “Anno europeo contro lo spreco alimentare”. Le Fattorie, presentando i propri percorsi e le proprie attività con particolare attenzione all’uso consapevole e sostenibile di cibo, acqua ed energia, si propongono come luogo di educazione in senso ampio: dall’educazione alimentare all’educazione ambientale fino all’educazione alla cittadinanza attiva. Le visite didattiche sono gratuite, ma è obbligatoria la prenotazione presso la fattoria didattica prescelta. Per localizzare ciascuna fattoria sulla cartina geografica del Veneto, entrare nel loro sito internet e conoscere le attività e i percorsi didattici che offrono alle scuole durante l’anno, vedere gli orari di apertura e i programmi particolari organizzati per la Giornata. Per avere i riferimenti telefonici e di e-mail per prenotare la visita direttamente presso le fattorie didattiche, clicca su: • Provincia di Belluno -- • Provincia di Padova -- • Provincia di Rovigo -- • Provincia di Treviso -- • Provincia di Venezia -- • Provincia di Verona -- • Provincia di Vicenza Ulteriori informazioni sono disponibili sulla pagina: Facebook - Fattorie didattiche aperte. In caso di maltempo, l'iniziativa viene rinviata a domenica 20 ottobre. (da Regione Veneto - Agricoltura e Foreste – ottobre 2013) SISTEMI ALIMENTARI SOSTENIBILI PER LA SICUREZZA ALIMENTARE E LA NUTRIZIONE Il tema i “Sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione” sarà al centro della Giornata Mondiale dell’Alimentazione del 2013. Il tema prescelto, annunciato all’inizio di ogni anno dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), mette in rilievo le celebrazioni della Giornata Mondiale dell’Alimentazione e crea consapevolezza e conoscenza riguardo alle misure necessarie per porre fine alla fame nel mondo. Ad oggi sono quasi 870 milioni le persone nel mondo che soffrono di malnutrizione cronica. Modelli di sviluppo non sostenibili stanno degradando l’ambiente naturale, minacciando gli ecosistemi e la biodiversità di cui abbiamo bisogno per le provviste alimentari future. Un sistema alimentare è costituito dall’ambiente, le persone, le istituzioni ed i processi con cui le derrate agricole vengono prodotte, trasformate e portate ai consumatori. Ogni elemento del sistema alimentare produce un effetto sull’accessibilità e sulla disponibilità finale dei vari alimenti nutrienti e, quindi, sulla possibilità per i consumatori di adottare diete sane. Inoltre, le politiche e gli interventi in materia di sistemi alimentari sono raramente progettati tenendo in considerazione la nutrizione come obiettivo primario. Per combattere la malnutrizione occorre un’azione integrata e interventi complementari in agricoltura e nel sistema alimentare, nella gestione delle risorse naturali, nell’istruzione e nella sanità pubblica, nonché in settori strategici più ampi. Come deve essere un sistema alimentare sostenibile? E’ un obiettivo raggiungibile considerando la situazione attuale? Cosa dovrebbe cambiare per spingerci in quella direzione? La Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2013 è un’opportunità per esplorare queste e altre domande e per creare il futuro che desideriamo. Il disegno di quest'anno L'artista austriaco Friedensreich Hundertwasser (1928-2000) utilizzava colori vivi e forme organiche per esprimere la riconciliazione degli esseri umani con la natura, nozione che riflette il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione di quest'anno. (Immagine per cortesia della Fondazione Hundertwasser). (scarica QUI l’immagine ingrandita) (dalla FAO - Organizzazione ONU per Alimentazione e Agricoltura - ottobre 2013) OCEANI ACIDI: VERSO L’ESTINZIONE DI MASSA DELLE SPECIE MARINE L'acidificazione delle acque degli oceani ha raggiunto un livello davvero record: è il più alto da ben 300 milioni di anni e a quanto pare la colpa è in gran parte di inquinamento e pesca eccessiva. É questo l'allarme che lancia il rapporto dell'International Programme on the State of the Ocean (IPSO), secondo cui l'estinzione di massa delle specie marine potrebbe ormai essere inevitabile. Il calcolo dei 300 milioni di anni è stato fatto in base alle rilevazioni geologiche attualmente disponibili: dal raffronto emerge anche che il rilascio di CO2 negli oceani è attualmente dieci volte più veloce di quello durante la 'grande estinzione' delle specie del Paleocene-Eocene di 55 milioni fa. "La salute del mare sta avendo un andamento discendente molto più rapido ed esteso di quanto avevamo finora pensato - ha commentato, presentando il rapporto, il biologo Alex Rogers dell'università di Oxford, che ha partecipato allo studio -. Ciò dovrebbe essere un motivo di grande preoccupazione per tutti, perché proprio tutti saranno influenzati dalla diminuita capacità dell'oceano di sostenere la vita sulla Terra". L'IPSO è coordinato dall'Università di Oxford e si basa sul contributo di scienziati di tutto il mondo. Nel rapporto, intitolato "Lo stato degli oceani 2013: pericoli, prognosi e proposte", è emerso che gli ecosistemi marini si stanno degradando per diretta conseguenza delle attività umane, soprattutto per colpa della CO2 prodotta dai combustibili fossili e dalla pesca eccessiva. Attraverso una combinazione letale di forze distruttive - il cosiddetto "trio mortale" costituito da acidificazione, riscaldamento e deossigenazione - gli scienziati avvertono che "l'estinzione di massa delle specie chiave presenti in mare può essere inevitabile", mettendo così a rischio anche il sostentamento di miliardi di persone. "L'acidificazione - spiega all'Ansa Anna Luchetta, ricercatrice all'Istituto di Scienze Marine del CNR di Trieste - produce un abbassamento del ph che cambia la concentrazione di carbonato presente nell'acqua. In questo modo, diminuisce la capacità di calcificazione di questi piccoli organismi che si ritrovano conchiglie più deboli e sottili e quindi conseguentemente più facilmente soggetti a predatori e malattie". "La grande capacità degli oceani di assorbire CO2 è stata da un certo punto di vista un bene per il pianeta - aggiunge l'oceanografa - ma a rimetterci tuttavia è stato proprio il mare, che ha una potenzialità seppure grande ma finita di assorbimento”. I ricercatori dell'IPSO hanno infatti evidenziato come gli oceani abbiano svolto un ruolo positivo proteggendo gli esseri umani dagli effetti peggiori del riscaldamento globale. Hanno rallentato il ritmo dei cambiamenti climatici sulla Terra, ma ne sono derivati profondi effetti negativi sulla vita marina. Molti studi hanno già dimostrato l'effetto negativo che l'acidificazione produce direttamente su alcune creature marine, tra questi gli organismi che utilizzano il carbonato disciolto nell'acqua, per costruire scheletri e conchiglie. "A meno che non si ripristini la salute degli oceani - conclude lo studio - ci saranno conseguenze pesanti. I governi devono intervenire urgentemente, proprio come se si trattasse di una minaccia alla sicurezza nazionale". (scarica QUI la versione integrale del rapporto in formato .pdf) (da Terra Nuova – ottobre 2013) VIVERE A “CUORE APERTO” Noi tutti desideriamo sentirci connessi ad un’altra persona. È il modo in cui siamo che ci spinge a cercare la connessione con l’altro. Noi vogliamo tutti l’amore nelle sue molteplici forme. Vogliamo l’intimità. Vogliamo che il senso di interezza e di completezza che nasce dal legame con un altro essere umano porta. Allora perché così tanti di noi hanno difficoltà a trovare l’amore o a mantenerlo una volta trovato? Beh, c’è un grosso errore che tutti noi, nessuno escluso, commettiamo: ci chiudiamo fuori dai legami profondi, spesso senza saperlo, e questo diventa il più grande e potente sabotatore del nostro vivere l’amore e la vita. In queste poche righe, vorrei parlarvi di questo modo di relazionarci agli altri che è così comune ultimamente in tutti noi: murare inconsciamente i nostri cuori, mantenendo l’amore fuori dalle nostre vite. Partiamo da questo: siamo stati tutti male vivendo delle relazioni affettive. Tutti noi. Senza eccezioni. Sia che il dolore si sia manifestato nei primi anni di vita, sia che il nostro cuore si sia spezzato con il nostro primo amore, sia che si stia attualmente attraversando e vivendo un “mal d’amore”, tutti noi abbiamo sperimentato il dolore che deriva da una separazione, da una rottura delle relazioni affettive. Naturalmente, quando ci si fa male, così male, si entra in una modalità di protezione. Certo! Vogliamo portarci fuori da situazioni che potrebbero farci sentire dolore, non vogliamo sentire questo dolore da frantumi di nuovo! Ma indovinate un po’? Bloccando noi stessi, escludendoci da ogni collegamento con altre persone, creiamo un altro tipo di dolore – un dolore sordo, un dolore solitario, un dolore nostalgico. Un dolore che non può essere soddisfatto o placato finché si rimane a distanza dagli altri. Molti di noi fanno proprio questo – bloccano il cuore lontano dall’amore – e non lo sanno! E lo fanno decidendo di non “entrare” nelle cose, non avvicinando il prossimo, agendo in maniera non autentica e indossando maschere, cercando di essere qualcun’altro. Diventiamo troppo duri con noi stessi e con gli altri. Oppure diventiamo troppo morbidi ed accondiscendenti. Diventiamo troppo narcisisti. Spingiamo gli altri. Manipoliamo gli altri. Vogliamo controllare la situazione usando la nostra forza invece di abbandonarci al momento. E, di conseguenza, ci sentiamo distanti dall’amore, per non parlare di quanto ci sentiamo esausti nel tenere il ritmo di questa commedia ed il peso di questa maschera. In pratica, qualsiasi comportamento viene guidato dalla paura, che ci rende non autentici mentre cerchiamo di proteggere noi stessi: è, in sostanza, questo ciò che blocca l’ingresso dell’amore nelle nostre vite. Dobbiamo iniziare a capire questo: nessuno di noi vuole farsi male di nuovo ma, purtroppo, accadrà. So che non lo si desidera, so che non viene fatto apposta, nessuno di noi vuole realmente ferire e spezzare l’altro. Ma non c’è altra scelta. Se si sceglie di vivere la vita con il cuore aperto, si sta decidendo di sperimentare tutto. Abbiamo davanti essenzialmente due scelte: possiamo vivere la vita in modalità di protezione, bloccando il cuore da tutto, ma non del tutto… e quello che ci rimane sono fili che non ci collegano realmente agli altri. Oppure si può vivere con un cuore aperto e sentire la pienezza della vita – tutta la gioia, tutta la connessione tra gli esseri viventi, affrontando tutte le battaglie e provando tutta la sofferenza. A voi la scelta. Vivere con il cuore aperto è un esercizio. Come ogni altra cosa, non è come arrivare alla “terra dei cuori aperti” e lì rimanere per sempre. Bisogna continuare a scegliere di aprire noi stessi, ogni giorno. I nostri corpi sono addestrati a chiudersi per allontanare il dolore. Ma scegliendo ogni giorno, passo dopo passo, di allenare il nostro corpo a prendere anche quel dolore, accettarlo, per poi lasciarlo andare via, possiamo vivere l’amore. Il cuore si chiude. Si apre. Si chiude di nuovo. E si riapre di nuovo. Avanti e indietro. Come tutte gli esercizi fisici, più lo si fa, meglio si arriva ad ottenere il risultato desiderato. Credo che ci sia un desiderio innato in tutti noi: quello di essere strettamente collegati ad altri. È ciò che vogliamo davvero. E l’unica cosa che ci frena è la nostra paura di farci male. Andare oltre la paura. Aprirsi di nuovo alla vita. Scegliere la connessione con l’altro: solo allora la pienezza della vita si espanderà notevolmente dentro di noi. (da Vegan OK Network News di Promiseland – ottobre 2013) SITO MATO?! SERATA DI PRESENTAZIONE DELLA PASSATA DI POMODORO "APPREZZATA" ANNO 2013 Malgrado tutte le difficoltà che vi abbiamo raccontato le scorse settimane, finalmente le nostre passate di pomodoro ‘apprezzate’ sono pronte! Vi invitiamo a partecipare alla serata di presentazione del progetto di quest’anno che si svolgerà all’Osteria di Fuori Porta lunedì 14 ottobre alle 19.00. Ci faranno compagnia Severino Bozzolan, dell'Azienda Podere Clara, e Luca Michieletto, agronomo della Cooperativa El Tamiso, nostri partner nel progetto. Parleremo di come è andato il progetto quest'anno, ceneremo con una spaghettata Sito Mato?!, offerta da Biorekk, e per chi vorrà fermarsi - alle 21,30 - proietteremo il documentario “Biologico terra di incontri”, nato dalla collaborazione tra Biorekk e l’associazione Fratelli dell’Uomo. Clicca qui per saperne di più e per confermare la presenza alla serata Vi aspettiamo! (da BioRekk e Apprezziamolo! - ottobre 2013) IL LUNGO CAMMINO DEI FORMAGGI DI ALMNÄS BRUK Almnäs Bruk è un'azienda agricola biologica tra le più grandi di Svezia, sorge a sud di una piccola città chiamata Hjo nella contea di Västra Götaland. Specializzata nel biologico, i suoi contadini coltivano erba, grano, orzo e un'antica varietà di farro: il Triticum spelta originario dell'Asia sud-occidentale che risale addirittura a 8 000 anni fa. La fattoria ha da pochi anni inaugurato il laboratorio per la lavorazione del latte biologico da cui si ricava un formaggio davvero particolare. Curiosando tra i banchi del Mercato Internazionale di Cheese, era impossibile non notarlo e così ci siamo fatti raccontare la storia di questa azienda agricola e di chi, in due secoli di storia l'ha abitata lasciando il proprio indelebile contributo. Nel XVII secolo lungo le rive del lago Vettel c'era grande fermento, tutti erano indaffarati nella costruzione di una grande fattoria in grado di ospitare diversi laboratori artigianali: un mulino, un caseificio e una distilleria, ma anche una fabbrica di mattoni da cui ha inizio questa bella storia. Fu proprio agli albori di questa attività che i figli dei contadini, giocando a piedi scalzi nell'aia lasciarono le loro impronte sui mattoni ancora freschi lasciati al sole. Fu così che una piccola impronta di piede ispirò il logo della produzione artigianale di mattoni. Due secoli dopo, con lo stesso spirito giocoso i casari di Almnäs Bruck hanno deciso di farne il loro simbolo. “La rinascita della produzione di formaggio è uno dei nostri progetti più interessanti di sempre. Abbiamo aperto nel 2008 dopo un periodo di restauro durato due anni. Oggi il nostro latte biologico viene lavorato nella vecchia distilleria del 1770”. Dopo mezzo secolo di pausa l'esperta casara Elisabeth Andersson e il suo assistente Thomas Nolberger sono orgogliosi dei risultati ottenuti in questi pochi anni di attività, e il successo delle vendite a Cheese non può che confermare la loro soddisfazione. L'Almnäs Tegel ha forma e colore ispirati ai mattoni dell'azienda: produzione e stoccaggio ricordano le tecniche di caseificazione utilizzate nel Medioevo e la pressatura in contenitori ricorda i primi antichissimi stampi per la conservazione del formaggio facilitano la naturale presenza batterica. Il sapore è denso di aromi, con quelle note di caramello tipiche di molti formaggi scandinavi. Certo ne hanno fatta di strada i piedini di Almnäs Bruck, un cammino lungo più di due secoli che racconta la vita di contadini, allevatori e casari di ieri e di oggi, provenienti da un luogo lontano che negli scorsi giorni ha fatto tappa a Cheese, e chissà dove li condurrà l'inventiva dei suoi sapienti artigiani. (da Slow Food - ottobre 2013) VAJONT, MA LE RESPONSABILITÀ? L’operazione di rimozione dell’evento cominciò all’indomani della tragedia. Vi contribuirono taluni fra i giornalisti più famosi, Buzzati, Bocca, Montanelli, che insistendo sulla fatalità, sulla crudeltà della natura, diedero corpo e voce alla convinzione, che non di responsabilità degli uomini si trattava, ma di una fatalità imprevedibile. Fortunatamente arrivarono anche giornalisti bollati come "sciacalli", quelli de l'UNITA'. Ripubblicato il libro di Mario Passi. A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont è stato ripubblicato il libro di Mario Passi, il primo giornalista accorso sulla scena del più grande disastro ambientale italiano. (Mario Passi, Vajont senza fine. Baldini & Castaldi, 2013, 174 pagine. € 8,90) Sottovalutazione del rischio ambientale, smisurati interessi economici, sciatteria e connivenza scientifica, disprezzo per la sicurezza delle popolazioni. Tutto questo, e molto altro, è la tragedia della diga del Vajont raccontata nel libro di Mario Passi, inviato speciale de L’Unità all’epoca dei fatti. Scrive Marco Paolini, nella prefazione del volume: “quando tra il 1994 e il 1998 mi sono occupato attivamente di questa storia, raccontandola e raccontandola, per capirla io stesso a poco a poco mi sono ammalato; a un certo punto ho deciso di smettere di raccontarla, perché ogni altra cosa rischiava di apparire meno importante al confronto. Le dimensioni della tragedia, il ruolo svolto dai vari protagonisti della storia, la gigantesca rimozione collettiva della stessa operata dalla società italiana nel suo insieme, con poche eccezioni, rischiavano di lasciare annichilito chi vi si avvicinava. Oggi vi é una diversa percezione dell’accaduto, la storia é stata raccontata in teatro, alla radio, in televisione, al cinema. E’ stato ripubblicato il libro di Tina Merlin ‘Sulla pelle viva’, lo scrittore Mauro Corona ha fatto conoscere la valle del Vajont e i suoi abitanti e ora Mario Passi ha completamente riscritto il suo libro che allora si chiamava ‘Morire sul Vajont’ ed era il primo libro italiano pubblicato sull’argomento, nel 1968 alla vigilia del processo che vergognosamente venne trasferito all’Aquila per il “legittimo sospetto” che la sede naturale di Belluno fosse troppo influenzata dalla sofferenza di tutte le popolazioni colpite dal disastro, dalla strage, dall’olocausto. Mario Passi ha riscritto oggi il suo libro di allora facendone una sorta di diario. Il diario di un giornalista che perde la distanza dalle cose che é chiamato a narrare. Il diario di una malattia che si sceglie o che ti sceglie e ti accompagna per tutta la vita. Leggendolo ho potuto rimisurare la mia febbre, mi son tornate domande legate al presente e non solo alla memoria, una fra tutte: “perché (…) nonostante le sentenze di colpevolezza dei tribunali la comunità scientifica tende sempre ad autoassolversi da ogni responsabilità in questa vicenda? Deontologicamente non sarebbe male ammalarsi un po’: sarebbe una cura omeopatica per prevenire disastri prevedibili a condizione di non rassegnarsi al ruolo di comparse silenziose, di tecnici cosi neutrali da essere inutili”. (da Ecopolis Newsletter - ottobre 2013) DIMMI CHE CAFFÈ BEVI E TI DIRÒ CHI SEI È stato pubblicato lo studio che stavamo tutti aspettando: la dottoressa Ramani Durvasula - professoressa di psicologia clinica alla California State University e autrice di You Are WHY You Eat (letteralmente Sei perché mangi) - si è impegnata in una classificazione della personalità associata alla preferenza del caffè. La teoria che la dottoressa Durvasula ha voluto dimostrare è che il caffè, oltre darci la carica mattutina, convincerci che è proprio tempo di iniziare la giornata e costringerci al primo buongiorno, possa rivelare molti tratti della personalità. E così ha studiato 1000 “coffee lovers” (amanti del caffè) per evidenziare tratti comuni e stili psicologici studiando caratteristiche quali introversione ed estroversione, pazienza, perfezionismo, calore, vigilanza, sensibilità e audacia. A questo punto mi sa che siete tutti curiosi di sapere che cosa ha scoperto, e vi accontento volentieri: Il purista Senza troppe sorprese chi sceglie il caffè nero pare avere una personalità lineare e diretta, e manifesta la tendenza a preferire una vita semplice senza troppi scossoni, sebbene allo stesso tempo potrebbe essere brusco, impaziente e avverso al cambiamento. Vi riconoscete? Io no... L’altruista Bere il latte a colazione denota un animo gentile, una personalità generosa, tipica di chi ha grande attenzione per il prossimo e cerca di vivere in armonia con tutti. Il perfezionista Beve cappuccino. Maniaco del controllo, molto sensibile e attento alla salute. Il procrastinatore Chi sceglie il caffè solubile sembrerebbe appartenere al gruppo più rilassato tra quelli individuati dalla ricerca. Il suo motto? Non fare oggi quello che potresti fare domani. Il trend-setter Vi piace il caffè dolce e freddo? (Davvero c’è qualcuno che lo beve?) Siete dei precursori, dettate le tendenze, ma attenti a non essere troppo avventati. Forse preferivamo leggere i fondi nelle tazzine…… (da Slow Food - ottobre 2013) Riportiamo alcune immagini della serata di giovedì scorso a Salboro, alla presentazione del libro “Catechismo agricolo ad uso del contadino” di Don Giovanni Cav. Rizzo, Parroco di Salboro nella seconda metà del 1800, incontro al quale hanno partecipato il Sindaco di Padova Ivo Rossi ed il Presidente della CIA e del MAAP Claudio D’Ascanio. Franco Zecchinato, Presidente della Cooperativa El Tamiso, introduce l’incontro… Serena Fiorio legge ed alcuni brani del libro… interpreta Ignazio Canesso, Poeta Contadino, propone al pubblico di Salboro le sue poesie rurali e dialettali… IL RISCHIO DEGLI INSETTI GENETICAMENTE MODIFICATI La Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica (FIRAB), insieme ad altre organizzazioni ambientaliste e della società civile dei cinque continenti, tra cui ETC Group, Food and Water Europe, Friends of the Earth Spain, Friends of the Earth US, Gene Ethics (Australia), GeneWatch UK, MADGE Australia Inc., RALLT (La Red Por una América Latina Libre de Transgénicos), Third World Network lancia l'allarme sul rischio che numerosi esemplari transgenici di mosca dell'olivo vengano immessi nell'ambiente in oliveti spagnoli. Un simile rischio di rilascio in ambiente si corre in Brasile con analogo scopo di contrastare attraverso organismi geneticamente modificati il proliferare di loro omologhi parassiti. Si tratta di un serio rischio per l'ambiente e di una tecnologia non testata e validata, rischio aggravato dal fatto che i ceppi di insetti ingegnerizzati sono esotici e non attinenti agli ambienti in cui verranno lanciati. I FATTI L'azienda britannica Oxitec ha reso nota l'intenzione di rilasciare in ambiente versioni transgeniche di mosche dell'olivo in Spagna e di moscerini della frutta in Brasile nei prossimi mesi. Entrambe le richieste di autorizzazione, presentate nel gennaio 2013, riguardano rilasci sperimentali in ambiente degli insetti geneticamente modificati e sono attualmente in fase di valutazione. Oxitec utilizza un approccio di 'uccisione femminile', in cui la prole femminile degli insetti GM è destinata a morire allo stadio di larva. L'obiettivo verrebbe perseguito attraverso rilasci massali di milioni di insetti maschi geneticamente modificati il cui accoppiamento con le femmine presenti allo stato naturale porterebbe al declino della popolazione dei parassiti. GLI IMPATTI TEMUTI Una delle principali inquietudini di carattere ambientale è relativa al fatto che il ceppo di mosca dell'olivo utilizzato da Oxitec non è nativo della Spagna, ma è stato ingegnerizzato a partire da un ceppo greco incrociato con ceppi israeliani; situazione analoga in Brasile dove sembra che siano utilizzati ceppi di moscerini della frutta di origine guatemalteca. Sotto un profilo ecologico e agronomico si nutre il timore di introdurre individui portanti diversi livelli di resistenza ai pesticidi, come evidenziato da studi sulle mosche dell'olivo in Grecia. Il rilascio in ambiente di ceppi di parassiti entomologici non-nativi è di norma vietato nel quadro delle disposizioni europee sul controllo dei fitofagi in quanto alcune caratteristiche indesiderate potenzialmente presenti nel ceppo di nuova introduzione, come la resistenza ai pesticidi, possono diffondersi nella popolazione selvatica. Valga ad esempio quanto avvenuto nel Regno Unito, dove è stata bloccata in considerazione della 'possibile presenza di geni di resistenza agli insetticidi non presenti negli insetti locali', la richiesta di autorizzazione di immissione in ambiente avanzata da Oxitec per varianti transgeniche di tignola delle crucifere (Plutella xylostella), proprio perché l'azienda prevedeva di ricorrere a un ceppo esogeno. Altre preoccupazioni sono relative al gran numero di larve GM morte e vive rinvenibili nel frutto avviato al consumo e all'impatto di insetti geneticamente modificati sugli ecosistemi. "L'uso di ceppi non-nativi è avventato perché i parassiti GM di Oxitec non sono sterili e i maschi GM possono sopravvivere e riprodursi con mosche di origine locale per molte generazioni", ha detto Helen Wallace, direttore di GeneWatch UK. “È molto rischioso introdurre tali ceppi non-nativi di parassiti permettendo la diffusione di caratteristiche nocive come la resistenza ai pesticidi non sradicabili una volta che si diffondono attraverso la popolazione naturalmente presente". “È scioccante apprendere che il rilascio di ceppi non-nativi GM da parte di Oxitec sia stato bloccato in Inghilterra, ma possa essere ammesso negli stessi termini in Spagna”, ha detto Blanca Ruibal di Amici della Terra in Spagna. “La tecnica degli insetti sterili, simile a quella ipotizzata con le varianti GM, si è dimostrata inefficace con popolazioni abbondanti di parassiti, come potrebbe succedere in alcune annate con la mosca olearia. D?altro canto, nei paesi mediterranei il lancio precoce di milioni di esemplari sterili può rivelarsi economicamente sconveniente con stagioni caratterizzate da una presenza dei parassiti al di sotto della soglia di danno economico”, aggiunge Luca Colombo, segretario generale di FIRAB. (dal Bollettino Bio di Greenplanet - ottobre 2013) ADOTTIAMO LA PORTA OGNISSANTI DETTA PORTELLO L’Associazione Progetto Portello sostiene e persegue l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del borgo Portello di Padova, attraverso ogni forma possibile di riqualificazione. A marzo di quest’anno, durante un’assemblea pubblica in quartiere, il Comune di Padova ha illustrato il progetto per la riqualificazione del Borgo Portello che prevede anche la creazione di una piazza davanti alla Porta Monumentale Ognissanti (o del Portello): l’inizio dei lavori è previsto per novembre. Come Associazione riteniamo che la Porta sia uno dei monumenti cardine della città di Padova, inserita com’è in un importante sistema bastionato, lungo un corso d’acqua, il Piovego, sopravvissuto a precedenti scempi, degna quindi di essere protetta, curata e valorizzata al massimo. La Porta, opera di difesa, ora ha bisogno di essere difesa: è patrimonio della città di Padova quindi la sua qualificazione e la sua protezione da agenti dannosi come il traffico e l’incuria rappresentano un impegno non solo dei “portellati” ma della cittadinanza intera e di chi ha a cuore il patrimonio culturale e storico del nostro Paese. L’alleggerimento del traffico che deriverà con la pedonalizzazione dell’area antistante la Porta, non potrà che contribuire al miglioramento della qualità della vita del borgo, all’interno della storiche mura cinquecentesche, garantendo una costante e tranquilla fruizione a bambini, giovani ed anziani. Come sempre accade in occasione di cambiamenti importanti, c’è anche chi si dichiara contrario a tale progetto, e siamo preoccupati che lo loro voce possa intimorire l’Amministrazione Comunale. Ci rivolgiamo quindi a tutti coloro che riconoscono l’importanza della difesa della bellezza attraverso beni comuni come questo, affinchè sostengano il progetto già approvato e finanziato dal Comune di Padova, di risistemazione e pedonalizzazione della porzione di strada su cui si affaccia la Porta Ognissanti detta Portello. Associazione Progetto Portello di Padova (maggiori informazioni sono consultabili nel nostro sito) (da Ecopolis Newsletter - ottobre 2013) Terminiamo con alcune pillole per – o pro? - il mal di testa…. I vent’anni di Berlusconi continuano e Il ventennio non è finito da MicroMega di Repubblica – ottobre 2013 La legge del più forte da Altreconomia – ottobre 2013 Il mistero delle api scomparse da Internazionale – ottobre 2013 Val di Cornia – La cultura del Bio da Altreconomia – ottobre 2013