la clonazione di cristo

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la clonazione di cristo
I MARTIRI LASALLIANI
LA CLONAZIONE DI CRISTO
Il Martire è una copia del Crocifisso
una sua clonazione.
Da quel prototipo ne sono usciti migliaia milioni
Un solo Golgota
si è moltiplicato in migliaia di golgota
Il venerdi santo del Cristo
si è moltiplicato in duemila anni
Immaginiamolo così il Crocifisso:
UNO
seguito da uno stuolo di Martiri
che han parlato lingue differenti
si son vestiti in modo differente
vivendo in luoghi differenti
ma tutti segnati da una croce
Una volta gli strumenti del martirio
erano la spada la ruota le belve
Poi si è parlato di ghigliottina e di fucile
Oggi si parla di gas
e deportazione.
Il martirio non si improvvisa
Se non c’è il martirio quotidiano
non è possibile affrontare il Grande Martirio
Per essere martiri bisogna essere santi
Per questo la Chiesa li dichiara Beati
senza la prova del miracolo
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I Martiri della Rivoluzione Francese (1789-94)
FRATEL SALOMONE
( Nicolas Le Clercq 1745 – 1794 )
Cenni biografici
1745 Nasce a Boulogne (Nord della Francia), quinto di nove fratelli e sorelle.
Il padre era un facoltoso commerciante di derrate alimentari e altro
1767 Entra nel Noviziato di Saint-Yon (Rouen)
1772 Insegnante, Direttore del Noviziato ed Economo a Maréville (Lorena)
1787 Segretario al Capitolo Generale e poi Segretario del Superiore Generale
1792 Imprigionato (15 agosto) e martirizzato (2 settembre) a Parigi
1926 È dichiarato Beato dal Papa Pio XI
Festa Liturgica: 2 settembre
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1. Fr. Salomone
UN’ ÉQUIPE BEN AFFIATATA
Se vivesse oggi, la famiglia di Fratel Salomone Le Clercq potrebbe dire di formare, in qualche maniera, un’équipe di calcio, perché era composta da undici persone tra genitori e figli. Ma visse nella
seconda metà del 1700 quando, al più, si poteva parlare di pallacorda. Però di un’équipe c’era il
senso dell’unione e del “tutti per uno e uno per tutti”.
Il padre di Fratel Salomone, Francesco Le Clercq, era una persona amante del lavoro, onesta e proba. Commerciava in vino, acquavite, zucchero, sale e legname: e lo faceva alla grande. La famiglia,
pertanto, godeva di un certo benessere ed era annoverata tra quelle della medio-alta borghesia di
Boulogne.
Fratel Salomone nacque dopo tre fratelli e una sorella e precedette tre fratelli e una sorella.
Forse essere nato in una città che sta sul mare e vive del mare significava nascere con i cromosomi
dell’avventura e dell’imprevedibile. Quattro Le Clercq abbracciarono la vita sacerdotale o religiosa,
gli altri quella matrimoniale. Solo la penultima nata, Rosalia, rimase nubile ed ebbe il piacere,
quando fu il momento, di accudire al vecchio padre rimasto solo e ai nipotini del fratello Agostino
rimasto vedovo. Fu lei che intuì la santità di Fratel Salomone e si premurò di conservare gelosamente le 65 lettere che lui le inviò e le 45 scritte al fratello Achille. Tutte trattano di argomenti spirituali e morali.
Con la guerra dei 7 anni (1756-1763) tra Francia e Inghilterra, le navi mercantili cominciarono a
giungere con minor frequenza a Boulogne e l’attività della famiglia Le Clercq ne ebbe a soffrire. Fu
allora che il secondogenito Antonio, che aveva nel sangue più degli altri lo spirito dell’avventura, si
unì a un gruppo di marinai passati alla pirateria. Nonostante la stretta vigilanza delle navi da guerra
inglesi, poté far giungere a Boulogne qualche carico di merce, ricevendo la benedizione e la riconoscenza dell’intera città. Una volta fu “beccato” dagli inglesi; ma riuscì a scappare rifugiandosi in
Scozia; ma, dopo un lungo peregrinare, poté ritornare a Boulogne quando nessuno ormai sperava di
rivederlo. Il tempo per riabbracciare i suoi ed eccolo ripartire, trascinando con sé il fratello Agostino. Furono ambedue presi prigionieri, e buon per loro se poterono cavarsela con 2 soli anni di prigionia, dato che furono rilasciati nel 1763 per la sopravvenuta pace con l’Inghilterra.
Il quale Agostino, però, ad un certo momento mise in subbuglio la famiglia. Poiché la sua attività
mercantile andava così così, cominciò ad imprestare il denaro ad interesse, perché, diceva, il denaro
prestato deve pur portare qualche frutto. Ma era un buon cristiano e gli sorse qualche dubbio su
questa maniera di far soldi. Volle sentire il suo confessore; e questi gli suggerì, senza nessuna esitazione, di lasciar perdere. E così fece. Ma la cosa non si fermò lì, perché arrivò alle orecchie del
vecchio papà Francesco, che si fece forte del parere del vicario generale di Boulogne, il quale affermava che, entro certi limiti, quell’attività non aveva niente di immorale. Ed ecco scendere in
campo l’ultimogenito Achille che, trovandosi a studiare alla Università della Sorbona di Parigi, volle interpellare quei cervelloni dei suoi maestri. La risposta fu un secco no. In questo ondeggiare di
opinioni che minacciava di spaccare in due l’unità della famiglia (la famosa équipe), tutti furono
dell’opinione di sentire il parere di Fratel Salomone, che era considerato il più saggio di tutti, e di
attenersi una volta per tutte alla sua risposta. La quale fu: quando c’è di mezzo la salvezza
dell’anima, è meglio attaccarsi a ciò che è più sicuro, anche se c’è il rischio di essere o diventare
meno ricchi”. A buon intenditor poche parole! Per onore della cronaca ci piace dire che tutti furono…. dei buoni intenditori.
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Fr. Salomone
NÉ SANTO, NÉ MARINAIO
La mamma di Nicolas (Fratel Salomone) possedeva un libro di grande formato, intitolato “Vita dei
Santi per ogni giorno dell’anno”. Lo leggeva ai propri figli specialmente nelle lunghe serate invernali. Questo libro era l’unico del genere che circolava in Francia e lo possiamo immaginare un po’
sdrucito e annerito agli angoli delle pagine (le sudate carte!) per il grande uso che se ne faceva e anche perché ogni madre lo passava alla propria figlia come regalo di nozze. Ad ogni santo venivano
dedicate due pagine a libro aperto. Su quella di sinistra si riportavano, in tre fitte colonne, i fatti e le
notizie biografiche del santo. Quella di destra, invece, ne proponeva a tutto campo una rappresentazione visiva: rinsecchito in una grotta, dormiente sulla nuda terra, mentre lotta con un diavolo, un
drago, un serpente. Queste figure erano talmente impressionanti che il piccolo Nicolas un giorno esclamò con le lagrime agli occhi: “Mamma, io non voglio essere un santo!” Mamma Le Clercq sorrise e non rispose nulla.
Aveva diciotto anni Nicolas ed era terminata la lunga guerra dei 7 anni (1763). Pertanto fu avviato
alla pratica del commercio mercantile per poter aiutare, e un giorno sostituire, il padre. Ma non era
questo che poteva attrarlo, sia perché per natura era amante della tranquillità, sia perché era stato
malamente impressionato dai racconti che i marinai di Boulogne facevano quando sostavano qualche giorno in città. Parlavano dei loro viaggi avventurosi, dei pericoli che avevano superato, della
vita messa a rischio in quella e in quell’altra circostanza, delle acque dell’Atlantico alte cento metri
per l’infuriare dei venti, del tale caduto in mare e mai più ritrovato. Insomma il nostro Nicolas non
lo disse apertamente a nessuno, ma dentro il suo cuore avrà giurato: “Io non sarò mai un marinaio”.
Ma, almeno per un po’, dovette chinare il capo davanti alla volontà del padre.
Suo primo maestro nell’arte del commercio mercantile fu un cugino paterno, un uomo pratico ed
esperto, che gli svelò tutti i segreti del mestiere, senza riguardi per l’onestà e la giustizia. Si era nel
dopoguerra e la ricerca del benessere giustificava tutto; e poi l’eco della filosofia degli enciclopedisti parigini, che osannavano il più sfrenato liberismo economico, era giunta in tutti gli angoli della
Francia. Dopo tre anni di apprendistato, Nicolas tornò a casa disgustato.
Ma dovette subito preparare i bagagli per una permanenza di studio nella grande Parigi. Sì, perché
per fare di lui una persona affermata, tutti in famiglia convennero che quella di inviarlo a Parigi era
la decisione più azzeccata. Lì, poi, c’era uno zio materno che avrebbe sgrossato il giovane provincialotto, mettendolo a contatto con il mondo che conta. Sulle obiezioni della madre, circa i pericoli
morali in agguato ad ogni angolo della metropoli, ebbe il sopravvento il bene e il futuro della ditta
famigliare. Nicolas partì quasi di malavoglia, sapendo di approdare in un mondo che era agli antipodi dei suoi desideri. Non si sbagliò. I tre mesi trascorsi a Parigi risultarono per il giovane apprendista da potente un antidoto. Confesserà un giorno: “Mi son fatto religioso, influenzato non dai 18
tranquilli anni vissuti a Boulogne, né da quelli trascorsi con il cugino di mio padre, ma dai tre mesi
vissuti a Parigi”. Abitava nel quartiere di Lussemburgo (quello stesso dove, 25 anni dopo, sarà imprigionato) e prendeva i pasti in un ristorante consigliatogli dallo zio. Bel consiglio! Non c’era luogo peggiore, perché era il ritrovo dei pettegolezzi e delle volgarità. Dopo tre mesi, Nicolas non ce la
fece più. Avvertì lo zio, pagò il conto del ristorante e prese la via del ritorno. Giunse a casa inaspettato. Confessò di voler abbandonare tutto e di farsi Fratello delle Scuole Cristiane. Alla madre si
appannarono gli occhi; il padre non disse una parola.
Dopo qualche giorno Nicolas, accompagnato dai genitori, bussava alla porte del Noviziato di SaintYon a Rouen, fondato personalmente dal La Salle.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Nicolas Le Clercq emise un sospiro di sollievo e disse
dentro di sé: “Non sarò un marinaio; per tutta la vita sarò un Fratello delle Scuole Cristiane”.
Aveva 22 anni.
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2. Fr. Salomone
IL FIORE ALL’ OCCHIELLO
Fratel Salomone aveva 25 anni, quando fu inviato a Maréville (Lorena). Qui c’era il plesso scolastico ed educativo più importante che i Fratelli tenevano in Francia. A Maréville convivevano, ben
separate, due realtà: un Noviziato e un Collegio. Fratel Salomone vi resterà 15 anni, con mansioni
differenti: all’inizio per completare la propria formazione personale a contatto con una realtà del
tutto particolare, poi come Direttore dei Novizi, quindi come insegnante dei collegiali ed infine come economo di tutto il complesso. Ne partirà nel 1781.
Può fare impressione sapere che fratel Salomone fosse stato nominato Direttore dei Novizi quando
aveva appena 25 anni. Non si tratta di carriera fulminante cercata e ottenuta, ma di fiducia e saggia
intuizione dei Superiori, che scoprirono in lui i carismi necessari per coltivare i nuovi virgulti della
Congregazione. Fratel Salomone adempì a questo delicato compito come solo lui sapeva fare, fedele ad un suo motto scolpito nella sua volontà: fare bene ogni cosa. E quando uno ci sa fare, lo puoi
mettere dovunque, ché il risultato è sicuro. Per questo, dopo due anni Fratel Salomone passò ad insegnare ai collegiali. Dei quali, anche se separati logisticamente, c’erano quelli “liberi” e quelli
“coatti”, lì inviati dall’autorità giudiziaria in qualità di corrigendi. Fratel Salomone ne trovò 40 liberi e oltre 100 coatti.
I collegiali liberi seguivano un corso di studi adatto al ceto borghese a cui appartenevano: commercio, finanza, costruzioni, calcoli matematici: insomma cose pratiche, ma niente latino. Se la gente
del popolo desiderava questo tipo di insegnamento, c’era però un certo Voltaire che blaterava ai
quattro venti: "Bisogna proibire lo studio ai lavoratori; il popolo esiste per essere comandato e non
per essere istruito; perciò dobbiamo cacciare al più presto gli Ignorantelli (chiamava così Fratelli,
perché insegnavano agli ignoranti). Parole che suonavano come bestemmie, in pieno fervore illuministico.
La sezione riservata ai corrigendi non aveva nulla di prigione. Fratel Salomone facilitò il loro reinserimento nella società, caldeggiando gli hobby di ciascuno nel tempo libero: attività culturali, manuali e artistiche, giardinaggio e riunioni per incontri e dibattiti, in sale ad essi riservate. Si attenne
con piacere alla norma che aboliva ogni punizione corporale. Inoltre, per salvaguardare l’anonimato
dei corrigendi, i registri di immatricolazione dove venivano annotati i motivi del loro invio al collegio, erano top secret: nessuno poteva leggerli. Fratel Salomone tenne presenti tutte le accortezze
educative che il La Salle aveva già sperimentato nel collegio per corrigendi da lui fondato a SaintYon (Rouen), le caldeggiò e perfezionò, seguendo l’acume delle sue intuizioni e i suggerimenti del
suo cuore. E siccome tra i corrigendi vi erano anche degli adulti di un certo livello artigianale, Fratel Salomone li volle valorizzare, invitandoli a compartecipare le loro esperienze a tutti, anche ai
collegiali “liberi”. I migliori prodotti usciti dalle loro mani venivano messi in vendita e il ricavato
veniva loro accreditato al momento di lasciare il collegio. Qualche visitatore volle conoscere gli “atelier” da cui provenivano i prodotti acquistati; al termine della visita trovavano difficile accettare
l’idea che quello era un collegio per corrigendi.
A partire dal 1776 Fratel Salomone divenne economo-procuratore di Maréville: doveva pensare a
sfamare ben 200 bocche. D’accordo: l’istituzione possedeva terreni agricoli ben coltivati, ma
c’erano pure degli approvigionamenti da effettuare, c’era la organizzazione del personale non docente, c’erano i lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione. Per quanto giovane, Fratel Salomone fu all’altezza della situazione: era o non era figlio e nipote di efficienti commercianti di
Boulogne? Come dire: buon sangue non mente!
Nel 1781 Fratel Salomone lasciò la grande istituzione di Maréville, rimpianto da tutti: dai novizi,
dai collegiali liberi e da quelli “coatti”, dal personale docente e da quello non docente, ma soprattutto dai 40 Fratelli della sua Comunità.
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3. Fr. Salomone
L’ULTIMO SOLE DI AGOSTO (1792)
Del convento dei Carmelitani a Parigi, trasformato in carcere durante la Rivoluzione Francese, oggi
rimane ben poco: la chiesa, un’ala del convento e il giardino. Di quel triste 2 settembre 1792 ci sono due soli ricordi. In fondo alla scaletta che porta al giardino c’è una lapide con la laconica scritta:
Hic ceciderunt; qui caddero. Lì, nel pomeriggio di domenica 2 settembre 1792, furono massacrati
nel giro di due ore 150 detenuti, tra cui Fratel Salomone Le Clercq, un altro Fratello, 3 vescovi e 90
preti. Sulla parete di una saletta del convento, poi, si possono ancora osservare, seppur sbiaditi e
protetti da una lastra di vetro infrangibile, tracce di rivoletti di sangue: erano colati dalle picche dei
carnefici che lì, alla fine del massacro, le avevano appoggiate.
Per chiarire i fatti, bisogna rileggere una triste pagina di storia francese.
A Parigi, dopo l’occupazione delle Tuileries, fatta dai sanculotti il 15 agosto 1792, seguì una febbrile caccia ai nobili e ai sacerdoti che non avevano prestato il giuramento civile. Gli arrestati venivano rinchiusi, con una sottile e irriverente ironia, in conventi trasformati in prigione: casa di ritiro dei
Francescani, chiesa dei Premostratensi e convento dei Carmelitani.
Tra gli arrestati ci fu anche Fratel Salomone, segretario del Superiore Generale, ritenuto assai pericoloso dai rivoltosi francesi. Aveva 57 anni e viveva il momento più gratificante della sua vita.
Benché in quel periodo vestisse abiti civili per non dare sull’occhio, fu pedinato, arrestato e rinchiuso nel convento dei Carmelitani.
Qui Fratel Salomone “fece comunità” con l’altro Fratello e trovò conforto nelle visite di persone
care. Sì, perché ciò era permesso in determinate ore del giorno e i reclusi erano autorizzati a chiedere e ricevere effetti personali.
Dal 27 al 31 agosto ai prigionieri fu proposto un patteggiamento. Potevano uscire dalla prigione, ma
dovevano lasciare il territorio nazionale entro otto giorni: in caso contrario, sarebbero stati deportati
nella lontana Guiana. Ai più anziani furono concessi gli arresti domiciliari.
Ma gli eventi bellici cominciarono a precipitare. Le porte di Parigi furono sbarrate e tenute sotto
controllo, perché correva voce della caduta nelle mani dei nemici della città di Verdun, distante 200
Km. da Parigi. Pertanto, il 30 agosto ogni capo-quartiere ricevette l’ordine di esaminare e giudicare
al più presto i propri arrestati. A mezzogiorno di domenica 2 settembre, al colpo di cannone di Porta
Nuova e al lungo rintoccare della campana maggiore della chiesa di S.Sulpizio, fece eco la concitata
voce del banditore che, al rullo dei tamburi, gridava per strada il terrificante avviso: “Alle armi, cittadini; il nemico sta alle porte”. In quello stesso momento, Danton dalla tribuna dell’Assemblea
Generale tuonava: “Francesi, per vincere c’è bisogno di audacia, massima audacia, sempre audacia.
Solo così la Francia si salverà”.
Sorse impellente la domanda: che fare degli arrestati? All’Assemblea di Quartiere, il sanguigno
Gioachino Ceyrat investì l’uditorio con una proposta terrificante: “Tutti i detenuti del convento dei
Carmelitani sono colpevoli. Per loro c’è una sola cosa da fare: ammazzarli”. Tutti furono colti di
sorpresa e non ci fu possibilità per dilazioni o alternative. Fratel Salomone e gli altri detenuti avevano ormai le ore contate. Alle quattro del pomeriggio, con un ritmo forsennato, iniziarono le esecuzioni. Alle sei e mezza tutto era finito. Assieme agli altri detenuti Fratel Salomone aveva immolato la sua vita, testimoniando in maniera eroica la sua fedeltà a Dio e al Papa.
Furono aperte le porte del convento. La gente si trovò davanti il raccapricciante spettacolo di un enorme mucchio di cadaveri ancora sanguinanti e l’osceno gruppo dei giustizieri che cantavano
sguaiatamente, tracannando boccali di vino. Ad essi fu anche dato, per riconoscenza, un equo compenso: per il servizio reso alla Patria!
Il giorno dopo, i cadaveri furono alleggeriti degli oggetti di valore e gettati nel pozzo del convento o
interrati in una fossa ricavata tra le aiole del giardino.
Lì trovò anonima sepoltura il cinquasettenne Fratel Salomone Le Clercq
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