Multisala Salento

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Multisala Salento
Mattia De Pascali
MULTISALA SALENTO
Come fare film sotto il sole
con pochi soldi e a stento
Edizioni Kurumuny
Sede legale
Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le)
Sede operativa
Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le)
Tel e Fax 0832 801528
www.kurumuny.it – [email protected]
ISBN 978-88-95161-65-5
Illustrazione di copertina: Francesco Cuna
Progettazione grafica: Alessandro Sicuro
Concept: B22
© Edizioni Kurumuny – 2012
Indice
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Introduzione
Premessa
Breve storia del cinema salentino
Industria cinematografica e politica locale
Documentari
Rossella Piccinno
Don Tonino Bello
Videoclip
Carmelo Bene
Edoardo Winspeare
Fluid Video Crew
W Zappatore
Amatoriali
Conclusioni
Bibliografia
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Introduzione
Questo testo nasce come tesi di laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale.
Il suo titolo originale era La valorizzazione del territorio salentino attraverso l’opera cinematografica; discussa nell’anno accademico 20102011.
Dopo essermi laureato al DAMS di Bologna, nel 2008, con un saggio
sui Vietnam-movies italiani era la volta di tornare a scrivere qualcosa per
poter chiudere gli studi universitari, questa volta al DAMS di Roma Tre.
Guardando al mio passato nella provincia di Lecce e immaginando il
mio futuro da regista/disoccupato, pensai bene di fondere insieme i due
aspetti per sfruttarli nel momento presente.
Cosa ne è di chi vuol far cinema nel Salento?
Proposi così il tema al professor Andrea Piqué, docente di Legislazione
cinetelevisiva, che accettò di buon grado di farmi da relatore (il correlatore sarà invece la professoressa Stefania Parigi).
Tornato a casa per le vacanze natalizie ne approfittai per mettermi in
contatto con qualche filmmaker agganciato attraverso conoscenze in comune o internet, per l’esattezza grazie a Facebook.
Devo dire fin da subito che tutti gli intervistati si sono mostrati disponibili e collaborativi: infatti la maggior parte di loro tendeva, a fine intervista, a passarmi i numeri di telefono di altri registi, sceneggiatori o più
in generale addetti ai lavori che avrebbero potuto raccontarmi la loro
esperienza nel campo.
Prima di ripartire per Roma avevo una così ampia rete di contatti che
ho dovuto rinunciare a intervistare proprio tutti. Anche perché “proprio
tutti” non lo sarebbero mai stati.
Il risultato della mia ricerca dovrebbe essere una riflessione su ciò che
lega il cinema a un territorio e sulle concrete opportunità che questo
offre a chi ci voglia lavorare, senza doversi necessariamente spostare a
CineCittà.
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Vi posso dire fin da subito che la verità sull’argomento non la so.
Personalmente non sono mai stato un grande ottimista, ma già l’aver
trovato qualcuno da intervistare è un buon segno. Qualcosa c’è! E finché
risponde, è ancora vivo.
A questo punto dovrei passare ai ringraziamenti, ma sono davvero
tanti e ho sempre paura di dimenticare qualcuno di importante. Quindi
preferirò rimanere sul generico e ringraziare tutti coloro che sanno di
meritarlo.
Grazie anche a te che hai letto fino alla fine questa introduzione e hai
comprato (spero) questo libro.
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Premessa
Prendiamo una qualsiasi guida turistica sul Salento, per esempio
quella a cura di B. Santantonio (Promotour, 2009).
Aprendola si può subito leggere:
Il Salento terra di mezzo, terra di incontro tra due mari, porto
affacciato sul Mediterraneo, luogo di incontro, crocevia di
culture e popoli, un tempo stazione di partenza dei tanti emigranti che cercando fortuna altrove si allontanavano con la
propria terra nel cuore, ora si spera stazione di arrivo e sosta.
Questa breve introduzione bene esemplifica come sia cambiato il concetto di sud Italia, in generale, e di Salento in particolare in quell’ampio
arco di storia che va dal boom economico a oggi.
E, per riallacciarmi a questa osservazione, vorrei subito entrare nel discorso cinema facendo notare come, sebbene la sua data di nascita ufficiale risalga ormai a due secoli fa, ovvero al 1895, i primi film a essere
realizzati nella penisola salentina sono il breve documentario di Gianfranco Mingozzi, Tarantula, del 1962 e il lungometraggio d’avanguardia
di Carmelo Bene, Nostra Signora dei Turchi, del 1968.
Nella loro diversità, questi due capolavori possono essere considerati
le colonne portanti di tutto quello che verrà realizzato successivamente:
eppure non hanno generato nell’immediato una vera filmografia salentina.
La provincia di Lecce è apparsa sporadicamente in sala e spesso sotto
il segno dell’anonimato. Tutto questo almeno fino al 1996, anno di uscita
di Pizzicata di Edoardo Winspeare. Con l’avvicinarsi del nuovo millennio
infatti, saranno sempre di più le produzioni che sceglieranno come meta
il Salento, fino all’esplosione dei giorni nostri.
Salento come meta turistica, Salento come scenografia. Un binomio
che nell’immaginario di molti, in particolare dei giovani, ha trasformato
questa terra nel luogo del mito.
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Questa trasformazione, seppur lenta, della concezione del Sud non
può ovviamente essere considerata casuale, scollegata dalle trasformazioni economiche e sociali italiane e dell’industria cinematografica nazionale.
Ma più specificatamente ci interessa conoscere cosa sia successo nell’ultimo decennio per ribaltare in tal modo la situazione di una piccola
penisola che fino a poco prima era considerata, probabilmente anche in
senso dispregiativo, semplicemente Meridione.
La nascita in Italia delle Film Commission sul modello di quelle già
diffuse in altri stati è certamente al centro della questione. Ma sarà bene
procedere dal più grande al più piccolo. Inizieremo col premettere un
po’ di storia, economica e culturale, per poi meglio analizzare i film che
maggiormente rappresentano questa (ri)nascita del territorio salentino.
Comprendere la scoperta di un luogo che era sempre stato lì a disposizione di tutti ma fin troppo ignorato può essere d’aiuto nell’incentivare
la ricerca di nuove terre ancora nascoste e che implorano visibilità.
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Breve storia del cinema salentino
Negli ultimi dieci anni il territorio del leccese è entrato prepotentemente sui nostri schermi, siano essi piccoli o grandi, ma per capire meglio il fenomeno bisognerebbe cominciare dall’inizio.
Il film capostipite del “Salento al cinema” può essere considerato Nostra Signora dei Turchi, omaggio di Carmelo Bene alla sua terra natìa e
risalente al 1968.
In realtà, a onor del vero, il tacco d’Italia comparve già nel 1965 in Il
tramontana di Andrea Barbano.
Da allora la provincia di Lecce è apparsa sporadicamente in sala con
film quali Le farò da padre (1974) di Alberto Lattuada, Cugini carnali
(1974) di Sergio Martino, Calore in provincia (1975) di Roberto Bianchi
Montero, Càlamo (1976) di Massimo Pirri, Le seminariste (1976) di Guido
Leoni, Un’emozione in più (1979) di Francesco Longo, La posta in gioco
(1988) di Sergio Nasca, Turnè (1990) di Gabriele Salvatores e Legittima
vendetta (1995) di Bruno Mattei.
Finché nel 1996 non irrompe sulla scena Edoardo Winspeare con il
suo primo lungometraggio, Pizzicata, e successivamente, nel 2000, con
Sangue vivo. Di lì a poco i prodotti a marchio Salento saranno sempre di
più: 20 Venti (1999) di Marco Pozzi, Liberate i pesci! (2000) di Cristina
Comencini, Hermano (2001) di Giovanni Robbiano, L’anima gemella
(2002) di Sergio Rubini, Azzurro (2002) di Denis Rabaglia, Il tramite
(2004) di Stefano Reali, Dimenticare mio padre (2005) di Giuseppe Antonio Miglietta, Guardiani delle nuvole (2005) di Luciano Odorisio, Le
bande (2005) di Lucio Giordano, La terra (2006) di nuovo di Rubini, Fine
pena mai (2008) di Davide Barletti e Lorenzo Conte, Galantuomini
(2008) ancora di Winspeare, Ne te retourne pas (2009) di Marina de Van,
Mine vaganti (2010) di Ferzan Ozpetek, Senza arte né parte (2010) di
Giovanni Albanesi e W Zappatore (2010) di Massimiliano Verdesca.
A questi bisogna poi aggiungere i film ambientati solo in piccola parte
nel leccese: Tre uomini e una gamba (1997) di Aldo, Giovanni e Gia-
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como e Massimo Venier, I figli di Annibale (1998) di Davide Ferrario,
Zora la vampira (2000) dei Manetti Bros, I cavalieri che fecero l’impresa
(2001) di Pupi Avati, La bestia nel cuore (2005) di Cristina Comencini,
Eccezzziunale... Veramente. Capitolo secondo... Me (2006) e 2061 – Un
anno eccezionale (2007), entrambi di Carlo Vanzina, Manuale d’amore
2 – Capitoli successivi (2007) di Giovanni Veronesi, Bachna Ae Haseeno
(trad. it. Belle ragazze attente, 2008) di Siddharth Anand e Il grande sogno
(2009) di Michele Placido.
Poi ci sono quelle pellicole in cui il Salento appare come terra anonima. È il caso per esempio di Melissa P. (2005) di Luca Guadagnino,
tratto da un diario autobiografico ambientato in Sicilia e girato invece a
Lecce e dintorni, senza però mai dichiararlo esplicitamente, o di La vita
facile (2011) di Lucio Pellegrini, ambientato tra Roma e il Kenya, ma in
parte girato in una masseria di Supersano, risistemata per essere credibile
come campo keniota.
A proposito del binomio Lecce/Africa, è simpatico notare come Pier
Paolo Pasolini per il suo Il fiore delle mille e una notte (1974), ambientato
ovviamente nel Continente Nero, ha fatto doppiare quasi tutti i personaggi da voci con un accento marcatamente salentino.
Avrà trovato qualcosa di esotico in questa inflessione o sarà semplicemente caduto nello stereotipo che l’Italia finisce a Bari?
Lasciando da parte questa digressione sulle voci del Salento e tornando alle immagini, bisogna ricordare anche i numerosi film televisivi
o fiction realizzati negli ultimi dieci anni nella suddetta terra: Donne di
mafia (2001) di Giuseppe Ferrara, la seconda serie di Elisa di Rivombrosa
(2004), Il giudice Mastrangelo (2005) di Enrico Oldoini, Il padre delle
spose (2006) di Lodovico Gasparini, Nassiriya – Per non dimenticare
(2006) di Michele Soavi, Le ali (2009) di Andrea Porporati, alcune puntate
di Un posto al sole (2009) e Il commissario Zagaria (2010) di Antonello
Grimaldi.
I film amatoriali: Prendere o lasciare (200?) di Davide Raia e A Gallipoli tutto può succedere (2008) di Tony Greco, giusto per citarne un paio.
E perché no, anche il cinema a luci rosse: dal lontanissimo Porno
sogni superbagnati (1981) di Caroline Joyce al più recente La calda patatina di Galatina (2003) di Lucky Damiano, passando per molti altri,
difficilmente catalogabili.
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Un discorso a parte va fatto per i documentari. Il primo e sicuramente
più noto è La taranta (alias Tarantula, 1962) di Gianfranco Mingozzi,
proiettato in molte università italiane per la sua importanza antropologica
e facilmente reperibile su YouTube.
Negli ultimi anni, poi, con il boom del turismo sul nostro territorio le
bancarelle, che si spostano nei paesi durante le festività e le sagre estive,
si sono riempite di DVD documentari dal valore non sempre alto. Ricordiamo almeno Il vento di settembre (2002) di Alexander J. Seiler, Italian
Sud Est (2003) dei Fluid Video Crew, Craj – Domani (2005) di Davide
Marengo e Il sibilo lungo della taranta (2006) di Paolo Pisanelli.
Infine non bisogna dimenticare i videoclip delle band salentine di
maggior successo che con le immagini di accompagnamento ai loro brani
si sono imposte su canali televisivi come MTV, ma anche sulla rete: da
Estate dei Negramaro a Le radici ca tieni dei Sud Sound System, da Paris
degli Après La Classe a L’azzurru te lu cielu dei BlekAut.
Ovviamente se il Salento è entrato nel cinema, il cinema doveva per
reazione contraria entrare nel Salento. Sono nati così diversi festival, alcuni più longevi e di successo, altri decisamente meno: il festival del Cinema Europeo a Lecce, il Salento International Film Festival di Tricase,
il Salento Fear Fest di Santa Maria di Leuca, il Salento Finibus Terrae tra
Fasano, Ostuni, Carovigno e San Vito dei Normanni, il festival del Cinema
Invisibile a Lecce, la Festa di Cinema del Reale a Specchia, l’Ecologico
International Film Festival ad Acaya, Vernole e Nardò e molti altri eventi
ancora.
Trattando di cinema sul territorio si potrebbe anche aprire una parentesi sui registi nati nella provincia di Lecce, oltre ai già citati Carmelo
Bene e Adriano Barbano, Antonio Attanasi (Lecce, 1914), Edmondo Cancellieri (Monteroni, 1909), Leone Cretì (Lecce, 1957), Alberto D’Aversa
(Casarano, 1920), Francesco Longo (Poggiardo, 1931), Emilio P. Miraglia
(Casarano, 1924) e Giuseppe Schito (Cursi, 1934).
Ma anche sugli attori: Nicola Arigliano (Squinzano, 1923), Antonio Basurto (Lecce, 1917), Regina Bianchi nome d’arte di Regina D’Antigny
(Lecce, 1921), Pietro Carloni (Taurisano, 1896), Francesca Antonaci anche
nota come Gegia (Galatina, 1959), Germano Longo (Poggiardo, 1933),
Nino (Antonio) Marchesini (Lecce, 1895), Tony (Antonio) Marsina (Nardò,
1946), Brizio Montinaro (Calimera, 1945), Adriano Pappalardo (Copertino,
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1945), Raf Pindi abbreviazione di Raffaele Pindinelli (Gallipoli, 1898),
Tito Schipa (Lecce, 1889), Carlo Tamberlani (Salice Salentino, 1899),
Nando (Fernando) Tamberlani (Campi Salentina, 1896).
E via continuando con sceneggiatori, scenografi, costumisti e qualsiasi
altro artista/artigiano contribuisca alla nascita di un film.
Insomma, la storia dell’arte cinematografica non è fatta solo dai prodotti ma anche da coloro che li realizzano.
Però, per non perdere il filo conduttore, ovvero lo sviluppo di un’industria che permetta di incrementare le possibilità del territorio, ci concentreremo sui film realizzati nel sud della Puglia, piuttosto che sugli
autori di origine leccese che magari non hanno mai avuto modo di lavorare nella propria terra natìa.
Meglio ancora sarà individuare i film girati nel Salento da registi locali.
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Industria cinematografica e politica locale
Tracciando un grafico dello sviluppo del Salento si può notare una
rapida impennata, praticamente in ogni campo, risalente circa alla metà
degli anni Novanta. Ovviamente non ci si può illudere che sia del tutto
casuale o che dovesse avvenire per le semplici qualità e possibilità che
una terra offre: perché così non è stato per altre regioni, le cui potenzialità tutt’oggi non sono sfruttate adeguatamente.
Innegabilmente c’è stata dietro la volontà politica di incentivare questo
sviluppo e far conoscere il territorio salentino anche fuori dai suoi confini.
Questo piano di (ri)valutazione è stato attuato su più fronti: in primis
ovviamente sostenendo le aziende locali e rilanciando il turismo.
Quello che ci interessa adesso è il rapporto tra politica e industria cinematografica nel Tacco d’Italia.
È palese che questo sia strettamente connesso a tutto il resto.
Se una terra prospera, è viva e rinomata, offre maggiori possibilità di
far nascere qualcosa, sia esso un fenomeno musicale o una nascente filmografia. In caso contrario, è facile che una regione o una provincia vengano scelte per mettere in scena progetti più scomodi. Ovvero, se ci si
prende l’onere di partire da Roma (o da qualsiasi altra città dove ha sede
la casa di produzione) per spostarsi in un luogo semisconosciuto, lo si
fa quasi sempre per una maggiore libertà.
Infatti scorrendo i titoli dei primi film girati nel sud della Puglia (esclusi
i documentari che comunque erano incentrati su un mondo arcaico ormai
scomparso e che certo non giovava alla visione del Sud nel resto di Italia)
sono spesso film a carattere erotico. Per esempio, nel 1974, Sergio Martino girò Cugini carnali a Nardò, film che circolò solo occultamente nella
provincia.
Nel 1976 a Taviano veniva invece girato Càlamo, opera prima di Massimo Pirri, che aveva già un passato da documentarista e da aiuto regista
di Luciano Emmer.
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Si tratta di un film figlio di quegli anni, ovvero della contestazione,
dei movimenti di massa, I pugni in tasca e simili. Il regista affermava infatti di essersi ispirato alla lezione di Luis Buñuel.
La storia è quella di un seminarista che entra in contatto con un gruppetto di hippies. La loro relazione, inizialmente segnata da contrasti, lo
porta ad avvicinarsi poco a poco a quel tipo di vita più libero e pieno di
eccessi. Ma nel momento in cui il protagonista accetterà la nuova fede si
accorgerà che per i suoi compagni era solo un gioco e che sono pronti
a tornare alle loro vite borghesi.
Le buone intenzioni e la denuncia sociale non sono sufficienti per
evitare al regista l’accusa di pornografia da parte della giunta comunale
che lo aveva ospitato.
Il sindaco che aveva messo a disposizione addirittura il municipio per
girare alcuni interni non poteva essere perdonato e, anche per questo,
cadde l’amministrazione.
Negli anni il discorso non cambierà. Se il nome di un comune sarà
associato a un film erotico, i politici faranno di tutto per mostrare la loro
indignazione.
È il caso per esempio di Galatina che nel 2003 si è sentita oltraggiata
da un film su due coppie di scambisti girato tra un appartamento del
centro storico e Nardò, da attori del posto, non professionisti.
Il nome del regista è invece noto agli esperti del settore, Lucky Damiano.
La casa di produzione è la Fokx di Roma, che si è occupata di cercare
i protagonisti tra club privati e annunci.
La videocassetta in vendita nelle edicole a 25,90 euro è andata, ovviamente, a ruba e ha generato un gran polverone.
Argomento di discussione oltre che nelle piazze, anche in Consiglio
Comunale, dove Sandra Antonica, consigliere d’opposizione, ha sostenuto:
Tutto ciò sta suscitando un clamore eccezionale con ripercussioni d’immagine certamente negative per la nostra città.
Il nome della città viene così strumentalizzato. È altamente
offensivo per la dignità dei nostri concittadini e per la storia
e la tradizione culturale che la città ha espresso. Bisogna
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prendere ufficialmente le distanze da questi atteggiamenti di
istigazione alla diffusione di materiale pornografico e tutelare
l’immagine così ampiamente lesa della città.
Giuseppe Garrisi, primo cittadino di Galatina, ha prontamente risposto:
Ho già incaricato l’Ufficio Legale di verificare se ci sono le
condizioni giuridiche per intraprendere un’azione a difesa
dell’onorabilità della nostra città.
Queste dichiarazioni, tratte dall’articolo Galatina e la hard-patatina,
il film hard girato in città con protagonisti del posto accende la discussione del «Gallo.net», lasciano comprendere come l’aver citato nel titolo
un prodotto tipico locale (ovvero la patata), per cui la città di Galatina è
ben nota, non è bastato al fine di fare approvare il film dalle istituzioni
locali.
Ovviamente il sesso non è l’unico motivo in grado di generare discordia tra industria cinematografica e politica locale.
Cito un esempio ancora più recente: La vita facile di Lucio Pellegrini,
terminato di girare a maggio 2010 e uscito in sala a marzo 2011.
La storia si svolge tra Roma e il Kenya, ma alcune delle parti ambientate nel piccolo ospedale africano sono state in realtà girate in una masseria di Supersano. La troupe si è fermata nel Salento per tre settimane
di riprese, senza contare il tempo precedente in cui gli scenografi preparavano il set per dare una continuità con le parti girate in Kenya.
Qualche mese dopo la chiusura delle riprese, per l’esattezza il quattro
gennaio 2011, il sindaco Roberto De Vitis, in un’intervista rilasciatami,
commenta così il soggiorno della troupe giunta dalla capitale:
Una critica debbo farla comunque, a fronte di una disponibilità nostra totale. Abbiamo snellito tutto l’iter burocratico
e avevamo chiesto solamente che una serata, per un paio
d’ore, gli attori principali venissero al comune, così... Ma poi
la serata finale l’hanno fatta a Otranto. Mi sta anche bene che
la serata finale l’abbiano fatta a Otranto, perché la risonanza
che ha Otranto non ce l’ha certo Supersano. Però avevo chie-
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sto almeno un paio d’ore per dare una piccola risonanza al
paese. Dal momento che siamo venuti incontro a tutte le loro
difficoltà logistiche, ci sembrava doveroso un loro omaggio
alla cittadinanza per ricambiare l’ospitalità ricevuta.
Questo esempio è interessante per capire come un’Amministrazione
si aspetti sempre qualcosa di più dalla semplice realizzazione di un film.
Come se un prodotto cinematografico non possa essere considerato
alla stregua di uno del mercato manifatturiero, agricolo, edile o di qualsiasi altro campo.
Un film è innanzitutto una vetrina in cui vendersi. Nonostante l’imposizione della televisione ormai da decenni e dell’odierno avvento di Internet, il cinema non perde questa sua peculiarità.
Anzi, specie nei piccoli paesi del sud Italia, l’arrivo dei furgoni provenienti da CineCittà costituisce ancora un evento straordinario, in grado
di attirare curiosi e riempire intere pagine sui quotidiani locali con notizie
di puro gossip, come per esempio dove poter incontrare gli attori in un
momento di pausa o quali pietanze stanno assaggiando durante il loro
soggiorno.
A proposito degli attori c’è da notare come ancora oggi non abbiano
perso il lato divistico.
Quello dell’attore non è un lavoro che nasce e muore sul set, ma a lui
sono richiesti, quasi pretesi, altri servizi: come passare dal Comune che
ospita la produzione per fare qualche foto con l’Amministrazione locale.
Tutto ciò lascia intuire come il cinema sia per molti una realtà ancora
distante. Qualcosa che non ci si aspetta di vedere uscendo per la strada.
Ed è proprio la meraviglia che questo lavoro genera negli altri che
permette di stabilire quanto poco sia diffuso in un determinato territorio.
Nonostante un primo tentativo di sviluppo.
Per chiarire meglio le idee sulla storia politica del cinema nel Salento,
e più in generale dell’imposizione della piccola penisola nell’immaginario
collettivo, il tre gennaio 2011 mi sono rivolto all’Onorevole Lorenzo Ria,
attualmente parlamentare dell’UDC, ed ex Presidente della Provincia di
Lecce.
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In quali anni è stato in carica?
Per due legislature, dal 1995 al 2004.
Qual è stata la sua politica per il cinema?
Uno dei primissimi atti (ovviamente con tutto quello che c’è stato
dopo non è che sia rilevante, però certe volte la casualità...) fu quello di
sostenere il primo film di Winspeare, Pizzicata, e addirittura, allora che
c’erano i comitati di controllo degli enti locali sugli atti di Comune e Provincia, una delibera di sostegno a questo primo film fu annullata. Nel
senso che furono riscontrati vizi di legittimità da parte del comitato di
controllo. Questo per dire che un po’ tutta la struttura, anche quella più
in generale burocratica, dal punto di vista istituzionale aveva dei controlli
sugli atti molto formali e questo probabilmente era anche di freno alle
attività delle Amministrazioni. Un’Amministrazione che investisse su iniziative un po’ fuori dai canoni della ordinarietà veniva appunto bloccata.
Riuscimmo a superare questi rilievi e quindi poi l’iniziativa partì anche
per questo intervento della Provincia. E questo Winspeare lo ricorda.
Se non ricordo male, il contributo (che allora era ancora in lire) della
Provincia fu di cinquanta milioni. Sto parlando di cose di sedici anni fa,
era il ’95 o ’96. L’inizio della mia attività fu segnata da questa delibera, lo
ricordo come se fosse ieri.
In quegli anni partì il boom del Salento, non solo come set cinematografico, ma soprattutto come meta turistica. Erano gli anni di rinascita
della pizzica.
Quello che noi riuscimmo a capire è che bisognava ritrovare, o meglio
dare, un’identità a questo territorio.
Le province sono delle entità geografiche però se rimangono tali sono
un ente, un’istituzione, una struttura burocratica che all’interno dell’ente
fa funzionare, bene o male, l’istituzione stessa. Però per promuovere un
territorio non sono sufficienti i confini geografici o l’amministrazione che
funziona. Un territorio deve essere riconosciuto. Deve essere identificato
con un qualcosa che evochi le radici, che evochi il passato, e che attra-
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verso questo riesce anche a trovare un cammino, una prospettiva, una
direzione.
L’operazione Salento parte proprio da qui, da questa consapevolezza.
Anche perché alcuni anni dopo ci furono delle indagini statistiche fatte
ad hoc e ne risultò che il Salento veniva confuso con il Cilento.
Non eravamo riconosciuti come Salento, come territorio da visitare,
che poteva attrarre turisti. Intanto noi abbiamo, e questa rimane, la difficoltà di essere raggiunti, perché siamo al confine. Quindi uno deve decidere di venire qui, non siamo un territorio di passaggio. E a questo si
aggiungono le difficoltà legate ai trasporti. Tutt’al più la Puglia veniva
identificata dal punto di vista turistico col Gargano e ancora oggi il Gargano è molto più conosciuto e meglio attrezzato rispetto al Salento.
Quindi bisognava fare proprio questa operazione di riconoscibilità del
territorio. Cosa che cominciammo a fare, a partire dal ’96/’97, con delle
iniziative di promozione del territorio: dalla partecipazione alle fiere nazionali e internazionali (adesso sono diventate un po’ un fatto abbastanza
scontato e ordinario ma allora partecipare promuovendo il territorio a
questi eventi fieristici era una novità), davanti alle grandi strutture commerciali del Nord (dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Veneto)
realizzammo delle strutture mobili, tipo per una settimana intera, con la
distribuzione di materiale pubblicitario.
Allora facemmo moltissima promozione addirittura sulle reti televisive
Rai e Mediaset.
L’iniziativa partiva solo dalla Provincia o anche da privati?
Partiva dalla Provincia. Era questa un po’ la novità.
In quegli anni, metà anni Novanta, c’era stata di nuovo la discussione
sul ruolo della Provincia che nel ’96-’97 fu in qualche modo rivalutato, addirittura attribuendole delle competenze ulteriori. Insieme a questo, il fatto
dell’elezione diretta (io fui il primo Presidente eletto direttamente) portava
un’assunzione più diretta di responsabilità, perché la Provincia era vista
come un ente di secondo livello rispetto ai Comuni (lo è ancora), però il
fatto di avere un Presidente eletto direttamente dai cittadini e non dai Consiglieri in quegli anni fu vista non solo come una grossa novità ma anche
come la modalità per il cittadino elettore di avere un interlocutore diretto.
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Naturalmente questo non è sufficiente se non c’è una consapevolezza
e una volontà.
Fu un’attività programmata e pensata per far conoscere il territorio.
Naturalmente tutto questo non è sufficiente se non è accompagnato da
un’attività finalizzata a promuovere uno sviluppo del territorio (farlo conoscere e poi rimanere qui con aziende che non hanno la possibilità di
aumentare la produzione, di esportare e di commercializzare o se, dal
punto di vista delle strutture turistiche, non si dà la possibilità di realizzarle anche attraverso possibili incentivi).
In quegli anni promuovemmo e avviammo, e in parte realizzammo
attraverso i cosiddetti Patti Territoriali, delle iniziative in questo caso di
pubblico-privato, nel senso che la Provincia promuoveva insieme ad altre
istituzioni, come i Comuni o l’Università, con la partecipazione dei privati.
Attraverso questi strumenti che venivano presentati come iniziative unitarie del territorio, presentandoli bene, in un certo modo, con un grado
di coesione sociale e territoriale molto alto, riuscimmo a ottenere i finanziamenti: patto territoriale per il manifatturiero, quello per l’agricoltura
che significava la promozione dei prodotti tipici, e molte iniziative che
hanno portato a far conoscere i vini del Salento partono da lì.
Per il turismo approvammo allora il primo piano per programmare
tutte le attività. Facemmo una gara nazionale per affidare a un’impresa
del settore specializzata la redazione di un piano integrato per il turismo
sostenibile, dove vennero individuate tutte le azioni, tutte le funzioni e
tutto quello che poteva servire al Salento. In parte è stato realizzato.
L’aeroporto di Galatina fu inserito all’interno del piano perché si ritenne,
sulla base di dati statistici e sulla base di valutazioni economiche, che utilizzare quella struttura aeroportuale per i voli charter avrebbe fatto incrementare ancora di più il turismo. Fummo sul punto di ottenerlo, ma ci fu un
problema di autorizzazione dal Ministero della Difesa. Avevamo le idee
chiare su quello che serviva da un punto di vista infrastrutturale, dei trasporti,
delle strutture ricettive, da un punto di vista anche delle singole vocazioni
territoriali perché il Salento è un territorio abbastanza composito e vario. Capimmo che ci può essere anche un turismo legato alle tante masserie che
qui c’erano e che man mano vengono trasformate in strutture ricettive, mentre prima erano abbandonate perché non c’era la cultura del turismo dell’entroterra e del centro storico, del castello o del palazzo antico e baronale.
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Il recupero di beni storici a partire dai beni, che sono tantissimi, di
proprietà ecclesiastica parte in quegli anni. Organizzammo tutto un piano
di recupero di chiese che servivano per promuovere degli itinerari.
L’iniziativa di trasporto extraurbano del Salento in Bus, che fu per
molti anni il fiore all’occhiello, fu un’invenzione della Provincia. Prima
uno arrivava a Lecce e se doveva raggiungere le varie località turistiche
non esisteva nessuna forma di collegamento. Ci inventammo il Salento
in Bus proprio per promuovere una più facile accessibilità al territorio.
La promozione della pizzica parte da un’iniziativa della Provincia e di
alcuni Comuni, tra questi c’era anche Melpignano che veniva da precedenti esperienze di festival. La Provincia era il principale sostenitore dal
punto di vista economico della Notte della Taranta.
Venendo ai film, l’uso del Salento da parte dell’industria cinematografica, parte da privati che hanno colto questa evoluzione?
Hanno colto la trasformazione ma, non tutti e non nella stessa misura,
hanno avuto dei soggetti e delle istituzioni che hanno creduto in questa
opportunità, che è anche un’opportunità del territorio e un’opportunità
professionale per chi vuole fare, in questo caso cinema, come per chi
vuole fare musica. Ed è chiaro che come in tutte le cose gli esempi positivi, come Winspeare e Barletti, sono poi contagiosi.
Rispetto al passato, agli anni Settanta, quando il territorio veniva sfruttato e le Amministrazioni usate per prendere quattro soldi e realizzare
film che non servivano assolutamente a promuovere il territorio, vent’anni dopo il cinema è stato considerato una risorsa per il territorio.
Crede che le sue scelte di promozione territoriale siano state perseguite
dalle Amministrazioni successive?
Sì, in generale quando si semina bene poi i frutti arrivano. Questa è
un’idea che ho anche delle Amministrazioni e delle istituzioni.
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A distanza di tanti anni dall’inizio di questa riscoperta territoriale,
alcuni autori vorrebbero liberarsi da tutta questa “salentinizzazione”...
Questo non lo so. Però, per esempio, io ed Edoardo Winspeare ci
siamo ritrovati in dibattiti e abbiamo sostenuto che il fatto di rimanere
nei confini non deve significare istituire la Regione Salento. L’idea dell’apertura e dell’uscire significa anche questo. Anche per uno come me
che si è ritrovato molto dentro questa storia del Salento, dal punto di
vista delle identità o del lavoro fatto, se uno non riesce ad avere un’apertura (mentale e culturale) il rischio è quello di rimanere all’interno di un
recinto. C’è chi vuole utilizzare questa identità salentina per chiudersi in
questi confini. Sarebbe un fatto negativo se così fosse. Io mi sto battendo
invece perché ciò non avvenga. Ci deve essere un’apertura oltre i confini
regionali: recuperare le radici per far conoscere il territorio va bene, però
poi non possiamo essere conosciuti solo per la pizzica. E credo questo
valga anche per il cinema!
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Documentari
Si potrebbe scrivere un libro solamente sui documentari ambientati
nel Salento.
Qui però ci limiteremo a elencarne giusto alcuni e ad analizzare i più
significativi. Con ciò non si vuole ovviamente sminuire l’importanza di
questo genere, ormai da tempo rivalutato e considerato alla stregua di
qualsiasi altro film di fiction.
La scelta di dare un’occhiata rapida, tralasciando magari film meno
importanti, è dovuta a una questione di spazio.
Evitando excursus magari fuorvianti, partiamo subito dal principio: il
documentario etnografico.
Sono gli anni Sessanta. Il cinema, e non solo, indaga l’Italia. Dopo i
fasti della commedia all’italiana, che a sua volta aveva preso il posto del
Neorealismo, debuttano sul grande schermo una serie di registi politicamente e socialmente impegnati: Pasolini, Petri, Montaldo, i fratelli Taviani.
Molti di loro avevano cominciato dal documentario per poi raccogliere i
maggiori riconoscimenti con film di finzione presentati e premiati ai festival più importanti. Esistono altri registi che magari non hanno mai effettuato quel passaggio dal documentario alla fiction che ha portato alla
notorietà la maggior parte dei loro colleghi, ma che comunque hanno
una loro importanza imprescindibile per aver alimentato una filmografia
di documentari etnografici su quel Sud arcaico già studiato da Ernesto
de Martino. Gli scritti dell’antropologo partenopeo (Morte e pianto rituale
nel mondo antico, 1958, Sud e magia, 1959, La terra del rimorso, 1961)
sono spesso i testi di partenza per questi autori cinematografici.
Il più noto tra i documentari di questo genere girati nel Salento è La
taranta (1962) di Gianfranco Mingozzi.
Ovviamente non è il solo. Cito per esempio Stendalì – suonano ancora
(1960) di Cecilia Mangini e Il male di san Donato (1965) di Luigi Di Gianni.
I film citati sono oggi reperibili in edizione DVD con libro per la casa
editrice Kurumuny. I primi due sono anche visibili su YouTube.
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