giurisprudenza del cnf e della cassazione

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giurisprudenza del cnf e della cassazione
La Rivista del Consiglio
Giurisprudenza del CNF e della Cassazione
n. 4/2014
GIURISPRUDENZA DEL CNF
E DELLA CASSAZIONE
a cura di Remo Danovi
1. Procedimento disciplinare - Contestazione degli addebiti
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato, la necessaria correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non rileva in termini
puramente formali, rispondendo tale regola all’esigenza di garantire pienezza
ed effettività del contraddittorio sul contenuto dell’accusa e ad evitare che l’incolpato sia condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa; ne consegue che la modifica, ad opera del giudice, della qualificazione giuridica dell’incolpazione (nella specie, assumendo la condotta contestata
di conflitto di interessi nella previsione di cui all’art. 51 codice deontologico
anziché in quella di cui all’art. 37 medesimo codice) non determina alcuna lesione del diritto di difesa ove siano rimasti immutati gli elementi essenziali
della materialità del fatto addebitato.
(Cass. sez. un., 20 maggio 2014, n. 11024)
2. Procedimento disciplinare - Prescrizione
In materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l’art. 65, 5º comma, l. 31 dicembre 2012 n. 247, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel
nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in
corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato,
riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e
del nuovo codice deontologico; ne consegue che per l’istituto della prescrizione,
la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo ius superveniens introdotto con l’art. 56, 3º comma, l. n. 247 cit.
(Cass. sez. un., 20 maggio 2014, n. 11025)
3. Procedimento disciplinare - Consiglio nazionale forense - Organo giurisdizionale
Il Consiglio nazionale forense (C.N.F.), quale organo di giustizia disciplinare, è un giudice speciale, istituto con il d.lgt. 23 novembre 1944, n. 382, e
tuttora legittimamente operante giusta la previsione della VI disposizione tran17
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sitoria della costituzione; ne consegue che la disciplina della funzione giurisdizionale del C.N.F. è coperta, anche per quanto attiene al momento della formazione dell’organo, da riserva assoluta di legge ex art. 108, 1º comma, cost.,
e non può essere affidata alla regolamentazione governativa, ragion per cui
l’art. 3, 5º comma, lett. f), d.l. 13 agosto 2011, n. 138 - in forza del quale
con apposito regolamento vanno istituiti a livello territoriale separati organi
per l’esercizio delle funzioni amministrative e disciplinari - non si applica al
Cnf nella sua veste di organo disciplinare.
(Cass. sez. un., 29 maggio 2012, n. 12064)
4. Procedimento disciplinare - Ricorso in Cassazione
La proposizione del ricorso per cassazione contro le decisioni del Consiglio
nazionale forense è soggetta, ai sensi dell’art. 56, r.d.l. 27 novembre 1933, n.
1578, convertito in l. 22 gennaio 1934, n. 36 (applicabile ratione temporis),
al termine breve di trenta giorni, decorrente dalla notificazione della pronuncia contestata (nella specie, la suprema corte ha evidenziato, peraltro, che
l’art. 36, l. 31 dicembre 2012, n. 247 contenente la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, ha ribadito la pregressa indicazione temporale).
(Cass. sez. un., 18 aprile 2014, n. 9031)
5. Procedimento disciplinare - Sottoscrizione della decisione
In materia di decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, qualora
la conformità all’originale della copia notificata della sentenza risulti attestata
dal consigliere segretario recando, con la dicitura «firmato», l’indicazione a
stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale formulazione della copia non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione
dell’originale asseverando, anzi, il contrario.
(Cass. sez. un., 20 maggio 2014, n. 11024)
6. Procedimento disciplinare - Revoca del provvedimento - Carenza di interesse
L’intervenuta revoca del provvedimento, disposta nei confronti del ricorrente, determina la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento del provvedimento impugnato, con conseguente declaratoria di cessazione della materia
del contendere.
(Consiglio naz. forense, 2 settembre 2013, n. 146)
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7. Procedimento disciplinare - Sospensione per omesso invio del Mod. 5 Regolarizzazione
Va revocata la sanzione disciplinare di sospensione dall’esercizio della professione forense a tempo indeterminato inflitta dal C.O.A. nei confronti dell’avvocato per emesso invio del Mod. 5 qualora l’interessato dimostri di aver provveduto all’invio della comunicazione dovuta (Nella specie il C.d.O. aveva sospeso a tempo indeterminato il professionista per omesso invio del Mod. 5,
ma successivamente agli atti del procedimento veniva acquisita la prova che
l’incolpato aveva provveduto, anche se in ritardo, a regolarizzare la sua posizione dichiarativa).
(Consiglio naz. forense, 3 settembre 2013, n. 152)
8. Procedimento disciplinare - Provvedimento disciplinare
Lo scopo del provvedimento disciplinare è quello di pervenire ad una decisione che, ove affermativa di responsabilità disciplinare, si fondi su prove che
non lascino margini di dubbio, ed infligga in tal caso una pena adeguata; la
pena disciplinare pertanto non può dipendere, nella scelta della sua severità,
dal grado o percentuale di dubbio o di certezza in ordine alla responsabilità
dell’incolpato, derivando in ragione di causa ad effetto dalla ritenuta e certa
colpevolezza di quest’ultimo (nel caso di specie, il C.N.F. ha rilevato che la
decisione del C.O.A. si caratterizza invece per la scelta della sanzione secondo
il grado di certezza della responsabilità, ed essendo emersi nel caso in esame
ragionevoli dubbi la pena disciplinare comminata è stata quella minima. In
realtà secondo il C.N.F. proprio quei ragionevoli dubbi avrebbero dovuto portare il Consiglio territoriale o ad una integrazione, ove possibile e rilevante,
della attività istruttoria o al proscioglimento dell’incolpato).
(Consiglio naz. forense, 30 settembre 2013, n. 159)
9. Tenuta degli albi - Richiesta di iscrizione - Impugnazione
È inammissibile il ricorso, avverso la decisione con cui il C.O.A. abbia rigettato l’istanza di iscrizione nell’Albo degli avvocati, sottoscritto personalmente
ed esclusivamente dal ricorrente privo dello jus postulandi e non assistito da un
legale abilitato al patrocinio davanti le giurisdizioni superiori.
(Consiglio naz. forense, 3 settembre 2013, n. 153)
10. Responsabilita` dell’avvocato
In tema di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti
del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale, si
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afferma che il titolo di responsabilità presuppone la prova del danno e del
nesso causale tra la condotta del professionista e il pregiudizio del cliente;
in particolare, trattandosi dell’attività dell’avvocato, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe
dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Il giudizio suindicato, poi,
su base prognostica e probabilistica, è riservato esclusivamente al giudice di
merito, salvo eventuali inadeguatezze riferite alla motivazione o ai vizi di logicità.
(Cass., 13 febbraio 2014, n. 3355)
11. Responsabilita` professionale - Obblighi del difensore
L’avvocato in cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato,
è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, cosı̀
da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente; ne consegue che il professionista, ove una soluzione giuridica,
pure opinabile ed, eventualmente, non condivisa e convintamente ritenuta
ingiusta ed errata dal medesimo, sia stata tuttavia riaffermata dalle sezioni
unite della corte regolatrice (come, nella specie, con riguardo alla validità
della notifica della sentenza presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, in
mancanza di elezione di domicilio della controparte nel circondario in cui
ha sede l’autorità adita, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione del provvedimento), non è esentato dal tenerne conto per porre
in essere una linea difensiva volta a scongiurare le conseguenze, sfavorevoli
per il proprio assistito, alla prevedibile applicazione dell’orien-tamento da
cui pur dissente.
(Cass., 28 febbraio 2014, n. 4790)
12. Norme deontologiche - Conflitto di interessi - Assistenza dei coniugi
L’art. 51 del codice deontologico forense prevede che l’avvocato che abbia
assistito congiuntamente i coniugi in controversie famigliari deve astenersi dal
prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi (è peraltro inammissibile il ricorso che sottopone alla corte il
giudizio sul valore e sulla ponderazione degli elementi di fatto emergenti dalle
risultanze processuali, poiché ciò fuoriesce dal controllo devoluto dal nuovo
art. 360, n. 5, c.p.c.).
(Cass. sez. un., 7 aprile 2014, n. 8057)
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13. Norme deontologiche - Rapporti con la parte assistita - Divieto di conflitto di interessi
Non è configurabile una situazione di conflitto d’interessi deontologicamente rilevante nel caso in cui l’avvocato nominato quale amministratore di sostegno, assuma poi l’incarico a favore dello stesso beneficiario di difenderlo in
una procedura di separazione consensuale dal proprio coniuge (contrariamente
a quanto ritenuto dal C.O.A., il C.N.F. infatti ha sottolineato che il coniuge
della persona assistita dall’incolpato non è mai stato né formalmente né sostanzialmente suo cliente, con la conseguenza che è del tutto impropria ed infondata la pretesa violazione a carico dell’incolpato degli artt. 37 e 51 del codice
deontologico, per insussistenza di qualsiasi rapporto di assistenza legale con il
coniuge del proprio cliente).
(Consiglio naz. forense, 17 luglio 2013, n. 102)
14. Norme deontologiche - Azioni contro la parte assistita e rinuncia al
mandato
L’illecito disciplinare di cui all’art. 46 c.d.f. si configura ogni qualvolta l’avvocato intenti una azione giudiziaria contro il proprio cliente senza aver preventivamente rinunciato al mandato alle liti, e quindi senza aver evitato, con
l’unico mezzo possibile, qualsiasi situazione d’incompatibilità esistente tra
mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il
proprio assistito. (Nel caso di specie, il professionista aveva iniziato un giudizio
volto ad ottenere il pagamento di prestazioni professionali contro una parte
per la quale stava patrocinando, avendone ricevuto il mandato, altro giudizio
in grado di appello. In applicazione del principio di cui in massima, il C.N.F.
ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare dell’avvertimento).
(Consiglio naz. forense, 18 luglio 2013, n. 112).
15. Norme deontologiche - Espressioni offensive
L’avvocato è tenuto a contemperare le esigenze di dialettica processuale e
adempimento del mandato difensivo con il divieto di usare espressioni sconvenienti ed offensive e ciò non solo nei confronti del collega avversario ma anche
delle parti e più in generale dei terzi.
(Consiglio naz. forense, 30 settembre 2013, n. 163)
16. Norme deontologiche - Accordo transattivo - Impugnazione
Costituisce illecito disciplinare violativo dell’art. 32 c.d.f. il comportamento
dell’avvocato che presti la sua assistenza professionale per la stipula di un atto
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di transazione in favore di una delle parti e successivamente assista la medesima parte nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, da lui stesso
promosso, diretta ad impugnare la suddetta transazione per asserito vizio della
volontà della cliente. Al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo
soggettivo è sufficiente l’elemento della suità della condotta, inteso come volontà consapevole dell’atto che si compie. Il dolo, invece, denotando una più
intesa volontà di trasgressione del comando deontologico, rileva nella determinazione della misura della sanzione. Invero, anche la negligenza del comportamento è motivo di responsabilità, proprio perché essa dimostra che non si sono adottati tutti gli accorgimenti necessari e, in ogni caso, quelli richiesti nel
caso concreto.
(Consiglio naz. forense, 30 settembre 2013, n. 167)
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