giudice di pace di milano - Studio Legale Fattori Ometto Ulmiri

Transcript

giudice di pace di milano - Studio Legale Fattori Ometto Ulmiri
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
LA REVOCATORIA FALLIMENTARE
A) PREMESSA
L’azione revocatoria ordinaria e fallimentare: presupposti e applicabilità –
La nuova Legge Fallimentare (in particolare la c.d. “miniriforma” di cui al D.L. n. 35 del
14/3/2005 convertito in legge n. 80 del 14 maggio 2005), dall’art. 64 all’art. 70, interviene e
disciplina alcune fattispecie relative ad atti posti in essere dal fallito - o anche da terzi con effetti
sul patrimonio del soggetto fallito – che possono essere dichiarati inefficaci nei confronti (e
nell’interesse) della massa dei creditori fallimentari.
Ne consegue, per legge, la sanzione di inefficacia delle attribuzioni patrimoniali (es. cessioni,
pagamenti, garanzie) ottenute dai soggetti che – prima del fallimento - hanno operato con
l’imprenditore poi fallito.
L’azione revocatoria fallimentare “prende le mosse” dall’azione revocatoria ordinaria del Codice
Civile, di cui dall’art. 2901 all’art. 2904, ove si prevede che il creditore – anche se il suo credito è
sottoposto a condizione o termine – può chiedere che il giudice dichiari inefficaci, nei suoi
confronti e quindi nel suo esclusivo interesse, gli atti di disposizione compiuti dal debitore sul suo
patrimonio se ed in quanto tali atti arrechino pregiudizio patrimoniale alle ragioni del creditore.
Peraltro, secondo autorevoli opinioni, l’azione revocatoria fallimentare e l’azione revocatoria
ordinaria del codice civile avrebbero identica natura: e questo perché (cfr. art. 66 L.F.) “ il
curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti in pregiudizio dei
creditori, secondo le norme del codice civile ” ; sia perché la disciplina dell’azione revocatoria
ordinaria del codice civile fa salve (cfr. art. 2904) “ le disposizioni sull’azione revocatoria in
materia fallimentare” creando, quindi, un inevitabile collegamento tra i due istituti.
Altro aspetto dibattuto riguarda la coincidenza o meno, per l’azione revocatoria ordinaria e per
quella fallimentare, dei presupposti per la loro applicabilità.
La giurisprudenza ha fornito risposta positiva ritenendo che il principio di cui all’art. 2901, 2°
comma, c.c. - per il quale “ le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate
atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito “ - sia applicabile
anche al sistema revocatorio fallimentare tutte le volte in cui un atto (es. una prestazione di
garanzia come il pegno o l’ipoteca) non possa essere considerato gratuito se ed in quanto venga
a porsi in relazione di corrispettività con la “contestuale” erogazione del credito (da parte della
banca).
E’ ormai pacifico che il concetto di “contestualità” – cui fanno riferimento sia l’art. 2901 c.c. che
l’art. 67 L.F. (di cui oltre) – tra credito garantito e garanzia rilasciata non vada intesa nel senso di
una simultaneità assoluta e cronologica, essendo necessario e sufficiente la contemporanea
volontà delle parti di porre in essere il finanziamento e di rilasciare la garanzia con un
collegamento tra loro logico, anche se con date (possibilmente certe, ex art. 2704 c.c.) tra loro
diverse.
In ogni caso, le “due azioni revocatorie” hanno, sostanzialmente, due obiettivi tra loro
“complementari”:
- l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c., esperibile anche da curatore fallimentare ex art.
66 L.F.) tutela il diritto del creditore a fronte della garanzia patrimoniale prevista dall’art. 2740
c.c.; in pratica si punisce il depauperamento del patrimonio a fronte della consapevolezza del
pregiudizio arrecato ai creditori;
- la revocatoria fallimentare (artt. 64, 65 e 67 L.F.) tutela il principio di cui all’art. 2741 c.c. della
c.d. par condicio creditorum; in sostanza si tutela (oltre al depauperamento patrimoniale) la
preferenza accordata ad un creditore a scapito degli altri e trova nelle procedure concorsuali (e
nel fallimento in particolare) la sua massima espressione anche in considerazione della
conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo che ha tratto vantaggio dall’atto revocato.
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
1
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
La legge di riforma fallimentare, sin dal 2005, ha mirato principalmente a dettare una nuova
disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, sia intervenendo nei confronti degli atti a titolo
oneroso (siano essi atti “anormali” oppure atti “normali”) posti in essere dal debitore, poi fallito;
sia introducendo nuove e originali fattispecie di c.d. “esenzione” dall’applicabilità dell’azione
revocatoria stessa.
Peraltro la nuova disciplina dell’azione revocatoria fallimentare non modifica, completamente, la
struttura originaria dell’istituto revocatorio in quanto si lasciano totalmente immutati gli artt. 64 e
65 della “vecchia” L.F. del 1942 e si lascia sostanzialmente immutata anche l’impostazione ed il
contenuto dell’art. 67 L.F.., salvo il (non trascurabile) dimezzamento dei “periodi sospetti”
variamente previsti per le tipologie di atti presi in considerazione.
Le categorie di atti che vengono considerati pregiudizievoli nei confronti dei creditori del fallito e
che meritano di essere dichiarati inefficacie ed essere revocati sono :
- gli atti che non hanno una contropartita o una giustificazione economico-finanziaria a favore del
soggetto poi fallito (art. 64 e 65 L.F.), se compiuti nei 2 anni anteriori alla sentenza di fallimento;
- gli atti “anormali” che esprimono un evidente stato di insolvenza (art. 67, 1° comma, L.F.) se
compiuti nei 12 mesi o nei 6 mesi anteriori alla sentenza di fallimento;
- gli atti “normali” che non manifestato sintomi di insolvenza del fallito se compiuti nei 6 mesi
anteriori alla sentenza di fallimento.
Il computo dei termini dell’azione revocatoria in caso di “consecuzione” di procedure
concorsuali - Il c.d. periodo di “consolidazione”.
Le recenti riforme – dal D.Lgs. n. 5/2006 al D.L. n. 83/2012 convertito in legge n. 134/2012 –
sono intervenute in più riprese anche nel computo dei termini per la decadenza dell’azione
revocatoria e per l’ipotesi in cui ad un concordato preventivo segua (rectius, consegua) il
fallimento dell’imprenditore che non sia riuscito a portare a compimento l’intento concordatario:
all’uopo è stato introdotto il nuovo art. 69bis L.F. .
Tale nuova disposizione di legge rileva sia in termini di prescrizione (rectius, decadenza)
dell’azione revocatoria (sia ordinaria che fallimentare) all’interno della procedura fallimentare, sia
in relazione alle ipotesi di “consecuzione” di procedure.
In pratica due delle (tante) novità derivanti dai recenti interventi di riforma riguardano :
a) il termine di decadenza (non suscettibile quindi di interruzione o sospensione) per esercitare,
da parte del curatore fallimentare, l’azione revocatoria fallimentare e ordinaria che ha ora durata
triennale dalla dichiarazione di fallimento e quinquennale rispetto al compimento dell’atto da
revocare;
b) i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 L.F., nell’ipotesi in cui alla
procedura concordataria segua il fallimento, che decorrono, ora, dalla data di pubblicazione della
domanda di concordato nel Registro delle Imprese.
Questo secondo aspetto è di estrema rilevanza in termini di “consolidazione” di quegli atti (es.
cessioni, pagamenti, garanzie) compiuti dall’imprenditore in crisi che, dopo il ricorso alla
procedura concordataria, dovesse essere dichiarato fallito.
Inefficacia degli atti a titolo gratuito (art. 64 L.F.) – Il concetto di gratuità o
onerosità delle garanzie
L'art. 64 L.F. – peraltro non oggetto di modifica dalle recenti riforme - sancisce l'inefficacia degli
atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.
La norma si riferisce ad un concetto di gratuità, che si fonda unicamente sulla diminuzione del
patrimonio del fallito senza che lo stesso abbia percepito un corrispettivo a fronte della
intervenuta diminuzione.
Invero, per atto gratuito deve intendersi l'atto di disposizione compiuto dal fallito senza alcun
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
2
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
corrispettivo, diretto o indiretto, in suo favore; la legge, quindi, vuole colpire, con l’inefficacia a
favore dei creditori del fallimento, l'atto gratuito in quanto, incidendo negativamente sul
patrimonio del fallito, ne diminuisce la garanzia per i creditori.
Tale inefficacia, peraltro, non considera la posizione (e l’elemento psicologico della conoscenza o
meno dello stato di insolvenza del fallendo) del terzo contraente che ha tratto vantaggio
dall’atto, con la conseguenza che nessuna protezione viene a questi accordata se ed in quanto
non abbia avuto alcun sacrificio patrimoniale, perché la legge ha come punto di riferimento la
sola tutela dei creditori per gli effetti dell'atto sul patrimonio del fallito.
Atti a titolo gratuito, e quindi inefficaci se compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di
fallimento, sono considerati, ad esempio, la costituzione di un fondo patrimoniale sui beni del
fallito, la remissione di debito o la cessione gratuita di un credito, la donazione, il pagamento di
premi assicurativi a favore di terzi, la co-intestazione di conti o di titoli già del fallito.
In relazione al rilascio di garanzie, a favore di banche, va considerato l’aspetto rilevante del
concetto di garanzia “contestuale” all’erogazione del finanziamento da cui ne consegue la
gratuità o meno della concessione della garanzia ai fini di quanto dispone l’art. 64 L.F. che, come
sopra detto, prescinde da qualsiasi elemento soggettivo (di buona o malafede) da parte del
garante o del garantito.
Il principio cui far riferimento si ricava dall’art. 2901, 2° comma, c.c. per il quale “… le prestazioni
di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, se sono contestuali al
credito garantito”, da intendersi come presunzione iuris et de iure che non ammette prova
contraria; la loro eventuale soggezione all’azione revocatoria sarà disciplinata dall’art. 67, 2°
comma, L.F. con onere della prova sulla conoscenza dello stato di insolvenza a carico del
curatore fallimentare (vedi oltre).
Se una garanzia “contestuale” viene considerata, ex lege, onerosa, non significa comunque che
una garanzia “non contestuale” all’erogazione di un finanziamento/affidamento, sia da
considerarsi sempre gratuita (cfr. art 67, 1° comma, nn. 3-4-, L.F. di cui oltre).
Va precisato che la garanzia (es. pegno, anche “rotativo”, ipoteca, cessione di credito a scopo di
garanzia) rilasciata dal cliente alla banca per un debito proprio e scaduto non è mai considerata
garanzia gratuita; mentre la garanzia rilasciata dal debitore per un debito non ancora scaduto
potrebbe essere considerata gratuita solo nel caso in cui il debitore (cliente già affidato dalla
banca) non abbia tratto alcun vantaggio concreto e la garanzia sia stata posta in essere ad
esclusivo vantaggio della banca.
Peraltro, tale ultima ipotesi appare abbastanza “remota” ove si consideri che la gratuità di una
garanzia rilasciata dallo stesso debitore finanziato viene meno tutte le volte in cui, in pratica, la
garanzia costituisce l’unica condicio sine qua non dell’intera operazione creditizia.
In sostanza la norma trova maggior applicazione nella diversa (e certamente più frequente e
realistica) ipotesi di prestazione di garanzia rilasciata da un terzo per debiti altrui (es. terzo
datore di fideiussione, pegno o ipoteca); al riguardo si richiama la citata Cass. Civ. 2610/2010 in
relazione alla disposizione di cui all’art. 2901, 2° comma, c.c..
La conseguenza sarà che il rilascio di garanzia da parte di un terzo, se non contestuale e non
sorretta da un corrispettivo economicamente apprezzabile per lo stesso garante, genera
l’assoggettamento della garanzia agli effetti fallimentari dell’inefficacia ex art. 64 L.F.
Non viene comunque considerata gratuita, dalla giurisprudenza, la garanzia rilasciata tra società
appartenenti ad un medesimo gruppo.
Peraltro deve essere il contraente con il fallito (e quindi l’onere probatorio incombe sulla banca
che riceve la garanzia dal soggetto poi fallito) a dimostrare sia la contestualità della concessione
della garanzia che, in caso di non contestualità, che il terzo garante abbia concretamente tratto
un vantaggio dalla concessione della garanzia; in caso contrario, ove tale duplice prova manchi,
la garanzia sarà considerata gratuita e quindi inefficace, ex art. 64 L.F., nell’interesse della
massa dei creditori del fallito e a prescindere dalla conoscenza o meno, da parte del soggetto
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
3
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
garantito (banca), dello stato di insolvenza del garante poi fallito.
Pagamento, da parte del soggetto fallito, di un debito altrui
Sono normalmente assoggettati all’inefficacia biennale ex art. 64 L.F. anche i pagamenti di terzi
per debiti altrui intesi come atti che, se considerati dal punto di vista di chi effettua il pagamento
(e poi fallisce), rappresentano una disposizione patrimoniale senza un corrispettivo; in sostanza
l’effetto positivo connesso all’estinzione dell’obbligazione pagata si riflette sul patrimonio di chi
era l’effettivo debitore del debito pagato dal terzo, poi fallito (es. debito del socio
/amministratore pagato da società poi fallita).
Anche in questa situazione si ripropone la contrapposizione incontrata in materia di prestazione
di garanzie per debiti altrui, cui si rimanda.
Pertanto, nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un'obbligazione preesistente
cui egli sia estraneo, l'atto solutorio può dirsi gratuito, ex art. 64 L.F., solo quando
dall'operazione il terzo “pagatore” non tragga nessun concreto vantaggio patrimoniale.
Poiché l’inefficacia avrà effetto verso il creditore (es. banca) che riceve il pagamento dal terzo
estraneo, anche in questa ipotesi (come per le garanzie rilasciate da terzi) dovrà essere sempre il
creditore (e quindi la banca) a dimostrare che il terzo “pagatore” abbia concretamente tratto un
vantaggio dal pagamento; in caso contrario il pagamento ricevuto sarà oggetto di inefficacia ex
art. 64 L.F. per la massa dei creditori.
Appare, peraltro, non soggetto a inefficacia il pagamento effettuato da una società controllata in
favore di una banca creditrice della società controllante se la società controllata possa, in
qualche modo, ottenere, ad esempio, un vantaggio “compensativo” nei confronti della
controllante.
Va precisato che non rientra nella fattispecie di cui all’art. 64 L.F. – e quindi non è suscettibile di
essere ricompreso nella categoria di coloro che pagano debiti altrui a titolo gratuito - chi
adempia una obbligazione che è anche propria, come il coobbligato solidale (es. il socio di
società di persone) o il garante (es. fideiussore) che poi falliscono.
In tale ultima ipotesi il pagamento potrà essere un atto revocabile secondo i casi previsti dall’art.
67, 1° o 2° comma, L.F. (di cui oltre).
I pagamenti anticipati rispetto la loro scadenza originaria (art. 65 L.F.) – L’estinzione
anticipata di un finanziamento “fondiario”
Anche l’art. 65 L.F. non è stato oggetto di riforma e disciplina l’inefficacia, per la massa
creditoria, dei pagamenti effettuati dal fallito nei 2 anni anteriori al fallimento per debiti che
scadono dopo il fallimento o nel giorno del fallimento, sempre a prescindere dalla conoscenza,
del terzo beneficiario, dallo stato di insolvenza del debitore che ha pagato prima della scadenza.
La norma – riferendosi alla scadenza originaria del credito, collocata dopo il fallimento o
coincidente con la data della sentenza di fallimento – si applica anche se al momento del
pagamento il credito era venuto a scadenza (esigibile) a causa della decadenza dal beneficio del
termine (invocata dal creditore ex art. 1186 c.c.), oppure per la risoluzione del contratto (ad es.
finanziamento bancario) provocata dalla banca per inadempimento del debitore (ad es. per
mancato pagamento di una o più rate del finanziamento).
La questione è rilevante per la banca che riceva un pagamento anticipato rispetto alla scadenza
originaria del debito (es. mutuo estinto prima della scadenza originaria come prevista in
contratto).
Sussiste peraltro un trattamento diverso, secondo la giurisprudenza, se il mutuo (estinto in
“anticipo” rispetto la sua scadenza) sia “ordinario” o “fondiario”.
Nella prima ipotesi il solo fatto del pagamento anticipato rispetto alla sua scadenza originaria – a
prescindere dalla presenza, in contratto, dell'eventuale clausola che, in deroga al disposto
dell'art. 1816 c.c. che presume che il termine per la restituzione della somma mutuata sia
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
4
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
stipulato a favore di entrambe le parti, attribuisca al mutuatario la facoltà di anticipare la
restituzione della somma rispetto al termine originariamente pattuito – comporta l’applicazione
dell’inefficacia dell’anticipata estinzione.
Nel caso di finanziamento con le caratteristiche della “fondiarietà”, essendo la facoltà di
estinguere anticipatamente il finanziamento “… esercizio di un diritto potestativo di cui il
mutuante non può che subire gli effetti…”, non trova applicazione l’art. 65 L.F. e,
conseguentemente, non sarà possibile dichiarare inefficace il pagamento con cui il mutuatario si
sia avvalso della possibilità (prevista ex lege) di estinguere, nel biennio anteriore alla sentenza di
fallimento, un mutuo “fondiario” .
Gli “atti anormali” e gli ”atti normali” oggetto di revocatoria fallimentare (art. 67, 1°
e 2° comma, L.F.) – La conoscenza dello stato di insolvenza del terzo
Ai fini della disciplina fallimentare degli atti (onerosi) compiuti dal fallito, prima di fallire, per i
quali ha comunque ottenuto un qualche corrispettivo in suo favore, si distingue tra “atti
anormali” e “atti normali” .
Gli “atti anormali” sono identificati in quei comportamenti non conseguenti ad una attività
ordinaria di un imprenditore solvibile; le anomalie, di certi atti e pagamenti o il rilascio di
garanzie, fanno capire (salvo offrirne la prova contraria) in colui che era entrato in rapporto con
il fallito, la conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava quest’ultimo.
In pratica si tratta di atti che l’imprenditore (poi fallito) non avrebbe mai compiuto se non si
fosse trovato in una situazione di illiquidità o di insolvenza.
Per questi atti (in particolare per quanto riguarda i rapporti banca-cliente) la riforma è
intervenuta con l’importante dimezzamento del c.d. “periodo sospetto”.
Ora, quindi, il periodo “rischioso” viene individuato in:
- 12 mesi per i pagamenti con mezzi c.d. “anormali” (es. permute, datio in solutum, cessioni di
credito, mandato all’incasso, ecc.) o il rilascio di garanzie (pegno o ipoteca) non contestuali (ma,
comunque, non gratuite ex art. 64 L.F., di cui sopra);
- 6 mesi per il rilascio di garanzie reali (pegno o ipoteca) contestuali alla concessione del
finanziamento;
- 6 mesi per gli atti c.d. “normali” intesi come i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (quindi
scaduti, come un affidamento revocato), gli atti a titolo oneroso (come una compravendita
conclusa con il fallito che ha ceduto un bene dietro corrispettivo) e gli atti costitutivi di un diritto
di prelazione (es. pegno o ipoteca) per debiti, anche di terzi, ma contestualmente creati.
Sia gli atti “anormali “ che gli atti “normali”, ai fini dell’applicazione dell’azione revocatoria, sono
valutati ai fini di una possibile revocatoria in presenza della conoscenza o meno dello stato di
insolvenza (situazione di impotenza patrimoniale, non transitoria, dell’impresa che non è in grado
di pagare regolarmente le sue obbligazioni) da parte del terzo che si rapporta con il fallendo.
In particolare per gli atti “anormali” (art. 67, 1° comma, L.F.) vi è una presunzione di conoscenza
dello stato di insolvenza a carico del terzo il quale, per non subire gli effetti revocatori, dovrà
dimostrare (se l’atto revocando è stato compiuto nel termine di 12 o 6 mesi nel c.d. “periodo
sospetto” ) che non conosceva lo stato di decozione in cui si trovava l’imprenditore poi fallito.
Ne consegue che la banca, per vincere la presunzione di conoscenza, da parte sua,
dell’insolvenza del cliente, dovrà dimostrare che l’impresa con cui aveva affidamenti e garanzie
manifestava una condizione di solvibilità .
E’ peraltro evidente che per una banca, essendo considerato come soggetto contraente “bene
informato” sulla situazione finanziaria ed economica del cliente, tale prova liberatoria appare
difficile, se non ardua, difronte alle situazioni di “incaglio” o di “sofferenza” ben note al sistema
bancario che, a differenza di altri, ha varie fonti informative (Centrale Rischi, bollettino protesti,
analisi bilancio, ecc. ecc.).
Diversamente dalle ipotesi “anormali”, per gli atti c.d. “normali” (art. 67, 2° comma, L.F.) l’onere
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
5
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
della prova della conoscenza dello stato di insolvenza grava sul curatore fallimentare che potrà,
comunque, ricorrere anche a presunzioni (di conoscenza) in relazione alla tipologia professionale
(es. una banca) del soggetto terzo.
Pagamenti “anormali” (art. 67, 1° comma, n. 2, L.F.)
Per quanto interessa non vengono presi in considerazione le ipotesi di cui all’art. 67, 1° comma,
n. 1, L.F. (c.d. “atti sproporzionati” compiuti dal fallito che superano, per il valore di un quarto,
quanto dallo stesso ricevuto) in quanto non rilevanti nel rapporto banca cliente.
Le fattispecie di cui al 1° comma, n. 2, art. 67 L.F. riguardano i pagamenti di debiti scaduti ed
esigibili non effettuati con mezzi normali (assegni bancari, anche post-datati e assegni circolari,
cambiali e titoli di credito, bonifici).
Non rientra, tra i pagamenti “anormali”, il versamento che un terzo esecutato (es. pignoramento
presso terzi per un debito verso il fallito) esegua, iussu judicis, in favore del creditore pignorante.
Una delle tipiche modalità di adempimento anomalo, oggetto di revocatoria, è la c.d. datio in
solutum ovvero la consegna di beni in luogo del danaro; tale forma di adempimento dimostra un
evidente stato di insolvenza derivante dalla carenza di liquidità in capo al debitore.
Viene pacificamente considerata, in giurisprudenza, forma anomala di pagamento la cessione di
credito che avvenga per consentire il rientro da un debito scaduto e quindi con funzione c.d.
“solutoria”; analogo effetto (e sorte) avrà il mandato all’incasso conferito al creditore (banca) per
riscuotere crediti del debitore verso terzi .
Per la prassi bancaria la stessa giurisprudenza ha comunque precisato che, la cessione di credito
o il mandato all’incasso, non ricadono nell’ipotesi di anomalia dei pagamenti se, tra la banca e il
cliente, erano stati previsti e concordati contrattualmente la cessione o il mandato sin dall’origine
del rapporto di affidamento e quindi contestualmente (con data certa) all’erogazione del
finanziamento; in queste ipotesi si riconosce all’operazione una funzione non più “solutoria”
bensì di “garanzia”.
Tale ultima ipotesi potrà ricadere, eventualmente, sotto la disciplina dell’art. 67, 2° comma, L.F.
(di cui oltre) con onere della prova, sulla conoscenza dello stato di insolvenza, a carico del
curatore fallimentare.
Anche l’estinzione di un precedente debito (scaduto ed esigibile), effettuato dall’imprenditore con
somme messe a disposizione da parte della banca, con un contratto di mutuo (anche fondiario,
per sfruttarne i vantaggi ex lege), deve qualificarsi come pagamento anomalo, in quanto tale
effetto costituisce la risultante di un meccanismo satisfattorio non usuale alla stregua delle
normali operazioni finanziarie e commerciali.
Tale ultima fattispecie, a volte, integra il rischio, in presenza di fallimento del garante
mutuatario, di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta “preferenziale “ ex art. 216, 3°
comma, L.F.
Garanzie “non contestuali” prestate dal fallito per debiti preesistenti non scaduti e
scaduti (art. 67, 1° comma, nn. 3-4, L.F.) – Pegno “rotativo” – Ipoteca volontaria,
giudiziale, “fondiaria” e “fiscale”
Come sopra indicato, richiamando la disposizione di cui all’art. 2901, 2° comma, c.c., una
garanzia “contestuale” viene considerata, ex lege, sempre come garanzia “onerosa” e una
garanza “non contestuale” (per un finanziamento pregresso) non è detto che sia da considerare
sempre “gratuita” e quindi soggetta a inefficacia ex art. 64 L.F.
Peraltro va ribadito che una garanzia rilasciata dal cliente alla banca per un debito proprio e già
scaduto non è mai considerata garanzia gratuita; mentre la garanzia rilasciata dal debitore per
un debito pregresso, ma non ancora scaduto, potrebbe essere considerata “gratuita” (ex art. 64
L.F.) solo nel caso in cui il debitore non abbia ricevuto vantaggio alcuno dalla banca.
Fuori quindi dalle ipotesi di garanzie “certamente” gratuite rilasciate direttamente dal cliente
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
6
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
affidato (es. una garanzia per un debito pregresso che non abbia comportato alcun vantaggio
per il cliente) e fuori dalla ipotesi di garanzie gratuite prestate da soggetti terzi estranei (es.
garanzie prestate da una società, non appartenete ad un gruppo, che ha oggetto sociale diverso
dall’oggetto sociale della garantita) le prestazioni di garanzia (personali, reali ecc.) sono
prevalentemente “onerose” o perché contestuali o, se non contestuali (di cui alla norma in
commento), perché collegate ad un vantaggio economico-finanziario per l’affidato garante.
Dette garanzie “onerose” (che escludono quindi l’applicazione dell’art. 64 L.F.) trovano, per
l’ipotesi di fallimento del garante, ulteriore disciplina :
- all’art. 67, 1° comma, n.3 L.F., per i pegni e le ipoteche rilasciate dal cliente alla banca per
debiti “preesistenti e non scaduti” al momento del rilascio della garanzia;
- all’art. 67, 1° comma, n.4 L.F., per i pegni e le ipoteche rilasciate dal cliente alla banca per
debiti “preesistenti e scaduti” al momento del rilascio della garanzia.
La norma si riferisce, in sostanza, all’ipotesi di garanzie reali che offrono una prelazione al
creditore e rilasciate dal soggetto, poi fallito, per debiti preesistenti al momento del rilascio della
garanzia; per evitare la revocatoria il soggetto garantito (banca) dovrà offrire la prova che non
conosceva lo stato di insolvenza del garante o che la garanzia è stata raccolta oltre il termine “di
consolido” previsto dalla norma: 12 mesi per l’ipotesi di cui al punto n. 3 o 6 mesi per l’ipotesi di
cui al punto n. 4.
Vi rientrano, nella fattispecie, i pegni (anche “rotativi” di cui al D.Lgs. 170/2004 in caso di
sostituzione dell’oggetto del pegno) e le ipoteche volontarie o giudiziali per debito scaduto (es.
su decreto ingiuntivo); sono invece escluse le ipoteche legali che non sono revocabili.
In tema di revocabilità dell’ipoteca c.d. “fiscale” (iscritta dal concessionario per la riscossione dei
tributi) sul presupposto che si tratti di un tertium genus di ipoteca, né giudiziale né volontaria, ne
viene ora ritenuta la non revocabilità, trattandosi, in pratica, di una forma di ipoteca legale.
Pagamenti con mezzi “normali”, garanzie “contestuali” e atti a titolo oneroso (art.
67, 2° comma, L.F.) – Pagamento del fideiussore – Anticipazione su crediti
La norma disciplina l’ipotesi di tutti gli atti “normali” compiuti dal fallito nei 6 mesi anteriori alla
dichiarazione di fallimento.
In pratica la legge fallimentare prevede la revocatoria di ogni atto “oneroso” attinente
all’esercizio dell’impresa (fatto salvo per le ipotesi di “esenzione” dalla revocatoria previsti
tassativamente dall’art. 67, 3° comma, L.F., di cui oltre) compiuto dal fallito entro i 6 mesi
antecedenti la procedura che, pur rientrando nella normale attività di impresa, si ritenga
meritevole di revocatoria per la tutela dell’interesse della massa dei creditori se vi sia stata
violazione della par condicio creditorum.
La sostanziale differenza, rispetto a tutti gli atti “anormali” che sono disciplinati dall’art. 67, 1°
comma, nn. 1-2-3-4, L.F., deriva dal fatto che l’onere della prova della conoscenza dello stato di
insolvenza, in capo al terzo soggetto che ha contrattato con il fallito, incombe sul curatore del
fallimento (vedi sopra).
Ne consegue che tutti i pagamenti (diverso è il discorso delle rimesse in conto corrente bancario,
di cui oltre) eseguiti dal fallito, nel semestre anteriore al fallimento, sono revocabili a prescindere
dalla modalità di adempimento in quanto atti solutori che favoriscono il creditore nel “periodo
sospetto” a prescindere dal contratto o dalla fonte da cui traggono causa.
In particolare, i pagamenti sono revocabili anche se effettuati con girata di un titolo (scadente
nel “periodo sospetto”) anche se la dazione sia anteriore ai 6 mesi, oppure i pagamenti sono
“coattivi” (che non sono comunque “anormali”, vedi sopra) a seguito di procedure esecutive di
assegnazione di somme di danaro
Quanto ai pagamenti di un soggetto terzo, che abbia versato denaro al creditore in luogo del
debitore principale poi fallito (ipotesi quindi diversa dal pagamento effettuato dal fallito per un
debiti altrui, di cui all’art. 64 L.F., vedi sopra) la revocabilità interviene tutte le volte in cui il terzo
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
7
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
abbia di fatto utilizzato denaro del fallito (non dimostrando quindi che la provvista proviene dal
terzo) oppure il terzo, pur utilizzando (e dimostrando l’uso di) denaro proprio, abbia poi agito il
rivalsa verso il debitore ottenendo il pagamento prima del suo fallimento.
Va osservato che la revocatoria del pagamento effettuato da un terzo viene esclusa se il terzo
che paga è fideiussore e quindi paga (“possibilmente” con denaro proprio) per l’adempimento di
un suo obbligo di garanzia verso la banca; una volta pagato il fideiussore non dovrà agire in
regresso prima del fallimento del garantito.
In ipotesi di operazione di finanziamento su anticipo di crediti commerciali, il pagamento nei 6
mesi ante fallimento da parte del fallito in favore del creditore (banca) che ha anticipato le
somme - mediante cessione di credito o mandato all’incasso (al di fuori dell’ipotesi di cessione o
mandato di natura “solutoria”, per debito scaduto, e quindi di pagamento anomalo, ex art. 67, 1°
comma, n. 2, vedi sopra) - trova disciplina nel citato 2° comma, dell’art. 67 L.F. se, ed in quanto,
le cessioni o i mandati possono ritenersi “logicamente contestuali” (con data certa) al contratto
di affidamento/finanziamento.
In caso di “anticipazione” di credito “girata” sul conto corrente (a prescindere o meno di un c.d.
“conto anticipi” a latere o di un c.d. “conto unico”) la revocatoria colpisce –se il curatore prova
la conoscenza, da parte della banca, dello stato di insolvenza del cedente/mandante –
l’operazione (“movimento” o “giroconto”) di accredito anticipato dalla banca sul conto corrente
“ordinario” del correntista, poi fallito.
Per evitare la revocatoria dell’anticipazione la banca potrà (dovrà) comunque dimostrare
l’insoluto (da parte del debitore ceduto) e quindi che, alla scadenza, l’importo (anticipato) non è
stato pagato dal terzo.
Se ne può dedurre che, per la giurisprudenza fallimentare, in ipotesi di vera e propria cessione di
credito (attuale o futuro) opponibile al fallimento (perché dotata di data certa anteriore alla
sentenza di fallimento), la eventuale revocatoria non colpisce il pagamento del terzo ceduto che,
in forza della cessione perfezionata (e opponibile al fallimento) ha assunto il debito verso la
banca (che andrà ad incassare un suo credito) e il pagamento, quindi, diviene un atto estraneo
alla sfera patrimoniale del fallito in quanto non più titolare del credito (ceduto).
Oggetto di revocatoria potrebbe quindi essere :
- l’operazione di “giroconto” per l’ accredito anticipato dalla banca sul conto corrente “ordinario”
del correntista, poi fallito (art. 67, 2° comma, L.F.);
- lo stesso contratto originario di cessione di tutti i crediti (art. 67, 1° comma, n.2 L.F.) se il
contratto di cessione è “non contestuale” all’affidamento erogato in quanto pagamento
“solutorio” anomalo.
Se il contratto di cessione di credito è “contestuale” e quindi “oneroso” con natura di “cessione a
scopo di garanzia” per tutti i crediti ceduti e passati al terzo (banca), i pagamenti ricevuti dalla
banca saranno revocabili solo se ricorrono i presupposti di cui all’art. 67, 2° comma, L.F. che,
peraltro, riduce da 12 mesi a 6 mesi il periodo di “consolido” (cfr. n. 2517/2010).
Diversa è la situazione (di anticipo su crediti) a seguito di rilascio di un mero mandato alla banca
di incassare i crediti del fallendo, per i quali ha effettuato le anticipazioni al cliente, per poi porli
in compensazione.
Mancando la cessione del credito dal fallendo alla banca, i terzi che pagano, in carenza di
cessione di detti crediti, generano rimesse in conto con funzione satisfattoria, in quanto riducono
l'esposizione debitoria nei confronti della banca con denaro del cliente fallendo e quindi sono
revocabili.
Le nuove ipotesi di “esenzione” dalla revocatoria fallimentare (art. 67, 3° comma,
L.F.)
Le ipotesi di “esenzione” dalla revocatoria fallimentare si applicano “oggettivamente” nel senso
che, per i casi previsti dalla norma, si prescinde dal fatto che il terzo, contraente con il fallendo,
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
8
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
sia pienamente consapevole del fatto che l’impresa sia insolvente.
Al terzo, quindi, per opporsi agli effetti revocatori, sarà richiesta la prova che la fattispecie, di cui
si discute, rientri tra le ipotesi di “esenzione” previste dalla legge.
Il 3° comma dell’art. 67 L.F. distingue più ipotesi :
a) pagamenti effettuati ai fornitori nei termini d’uso al fine di consentire, all’impresa in crisi, di
gestire, in ogni caso, con una certa tranquillità i normali rapporti commerciali, con pagamenti
normali e con tempistiche consuete;
b) pagamenti (rectius, rimesse) a favore di banche che – se non hanno ridotto l’esposizione in
modo “consistente” e “durevole” – hanno comportato il rientro dell’esposizione del cliente (vedi
oltre);
c) vendite e preliminari di vendita aventi ad oggetto beni immobili abitativi e non abitativi ceduti
a giusto prezzo destinati ad abitazione principale o sede principale dell’impresa;
d) atti, pagamenti e garanzie concesse per porre in essere un piano attestato;
e) atti, pagamenti e garanzie concesse per l’esecuzione di un concordato o un accordo di
ristrutturazione del debiti;
f) pagamenti di corrispettivi per prestazione di lavoro effettuati da dipendenti o collaboratori del
fallito;
g) pagamenti di debiti liquidi ed esigibili per servizi strumentali all’accesso (in pratica per la
preparazione all’ingresso) alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.
Le esenzioni da revocatoria per le c.d. procedure minori (in particolare per le ipotesi di cui alle
sopra indicate lettere d), e) e g) del 3° comma, art. 67 L.F.) sono collegate alla c.d.
“consecuzione” tra procedure concorsuali al fine di comportare la non revocabilità degli atti
compiuti dopo il deposito della domanda di concordato preventivo (nel Registro delle Imprese) o
finalizzate all’adempimento di un piano attestato (art. 67, 3° comma, lett. d) L.F.) o di un
accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis L.F.) ai quali possa seguire (rectius, “consegua”
) il fallimento dell’impresa.
Peraltro gli atti compiuti, per godere della esenzione, devono essere stati posti in essere nei limiti
e in ottemperanza della ammissione o omologa delle procedure alternative al fallimento; in caso
contrario (es. annullamento, revoca o non ammissione a dette procedure) gli atti posti in essere
sono sempre, successivamente, revocabili.
Limitazione alla revocabilità delle rimesse bancarie – Effetti della revocatoria per il
creditore che ha restituito la somma revocata
La nuova disciplina esclude la revocatoria delle rimesse, in un conto corrente bancario, che non
abbiano ridotto in modo “consistente” e “durevole” l’esposizione dell’affidato poi fallito.
Il concetto di rientro “consistente” fa riferimento ai rientri in relazione all’esposizione complessiva
del cliente; l’aspetto della rimessa “durevole” viene posto in relazione alla stabilità temporale del
rientro anche con riferimento alla movimentazione nel conto corrente.
Oltre a ipotesi di versamenti diretti del cliente sul conto e ai bonifici ricevuti, viene considerata
rimessa anche il c.d. “giroconto” dal “conto anticipi” al “conto ordinario” in relazione ad
operazioni di anticipazione su crediti (vedi sopra la già citata Cass. 13449/2011); al contrario, per
le ipotesi di c.d. “operazioni bilanciate” (creazione di provvista per un addebito contestuale) si
può escludere la revocatoria sulla presunzione di un accordo tra banca e cliente per consentire di
utilizzare le somme depositate per effettuare pagamenti.
Peraltro, con la riforma sembrava non avere più rilevanza la differenza tra conto corrente
“scoperto” o “passivo” ai fini della distinzione tra rimessa “solutoria” o “ripristinatoria” ma, la
giurisprudenza di merito, più recente ritiene revocabile la rimessa “consistente” e “durevole” solo
se ha natura “solutoria”.
Ne consegue che sono oggetto di revocatoria fallimentare (ex art. 67, 2° comma, L.F.), da parte
del curatore che prova la conoscenza dello stato di insolvenza della banca, tutte le rimesse
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
9
Avvocato ROBERTO FATTORI
________________________________________________
affluite – nei 6 mesi anteriori al fallimento – su un conto corrente passivo, non affidato, o su un
conto corrente, pur affidato, ma scoperto oltre il limite del fido.
L’onere di dimostrare la presenza di un affidamento o che la rimessa non è “solutoria”, perché
rientrante all’interno dei limiti del fido, è posto a carico della banca.
Ciò che rileva, quindi, è l’apertura di credito che crea la disponibilità in favore del cliente nei limiti
di quanto concesso dalla banca e che i “fidi” siano anteriori e opponibili al fallimento, per atto
scritto con data certa, non essendo sufficienti le risultanze del “libro fidi” della banca.
L’affidamento deve essere inoltre operante in quanto sono considerate “solutorie” le rimesse
affluite successivamente alla revoca dei “fidi” o su un conto “bloccato”, anche se non
formalmente revocato, in quanto si ritiene che in questa ipotesi l’apertura di credito sia solo
apparente.
Si tende quindi ad escludere la possibilità di un c.d. “fido di fatto” anche se, dall’andamento del
conto, potrebbe apparire coerente con l’esistenza di un affidamento.
La disciplina della revocatoria delle rimesse – ove non “esentate” ex art. 67, 3° comma, lett. b)
L.F. e se considerate di natura “solutoria” - va coordinata anche con la disposizione di cui all’art.
70, 2° e 3° comma, L.F.
In particolare, il 2° comma della sopra citata norma, prevede che il creditore che abbia subito la
revocatoria del pagamento ricevuto, abbia diritto di insinuarsi al passivo fallimentare come
creditore concorsuale a seguito della concreta consegna al curatore fallimentare della somma
richiesta.
A fronte di una revocatoria di pagamenti – effettuati dal fallito a creditori muniti di crediti
privilegiati perché garantiti – la giurisprudenza fallimentare nega la “reviviscenza” delle garanzie
prestate da terzi e, in particolare, una polizza fideiussione ordinaria; diverso è quindi il caso del
patto espresso nella fideiussione bancaria che prevede, per iscritto, l’accordo per cui la garanzia
fideiussoria, in caso di revoca del pagamento, sarà oggetto di “reviviscenza”..
Il 3° comma dell’art. 70 L.F. si riferisce al concetto di “massimo scoperto” - da estendere ora a
tutti gli “..atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti continuativi o reiterati.” - in base
al quale si vuole limitare, quantitativamente, l’importo totale della somma oggetto di revocatoria
alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto nel periodo per il quale è provata la scientia
decoctionis e l’ammontare residuo alla data di apertura del concorso.
In sostanza, una volta individuate le rimesse revocabili ex art. 67, 3° comma, lett. b) L.F.
(“consistenti”, “durevoli” e “solutorie”, per la recente giurisprudenza di merito) il 3° comma
dell’art. 70 L.F. limita il quantum, dell’importo da restituire al fallimento, nel “massimo scoperto”
come sopra indicato.
________________________________________________
www.studiofattoriomettoulmiri.it
[email protected]
10