Fratelli di sangue - Amici del Cabiria

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Fratelli di sangue - Amici del Cabiria
Fratelli di sangue
Sito: ww.altrofilm.it
Anno: 2003
Altri titoli: The Radio
Durata: 85
Origine: GRAN BRETAGNA, ITALIA
Genere: DRAMMATICO
Produzione: ROB WILSON PER 011 FILMS
Distribuzione: 011 FILMS (2006)
Data uscita: 10-11-2006
Regia: Davide Sordella
Attori:
Fabrizio Gifuni
Sergio
Fabrizio Rongione
Roberto
Barbora Bobulova
Lella
Sceneggiatura: Davide Sordella
Fotografia: Diego Rodriguez
Trama:
Mentre in casa si festeggia il Natale, nella cantina piena di ninnoli e giocattoli rotti, tre fratelli si
ritrovano dopo dieci anni. Quando si imbattono in una vecchia radio, cominciano a giocarci e si
sintonizzano su una stazione abbandonata. Niente più redattori, niente più filtri: per andare in onda
basta chiamare. La possibilità di dire in libertà qualsiasi cosa si senta urgere dentro, provoca un
disvelarsi che ben presto diventa drammatico. L'occasione per far riemergere gli antichi ricordi ma
anche i rancori e le ferite fino ad allora tenuti nascosti.
Trama 2:
Due fratelli (Fabrizio Gifuni e Fabrizio Rongione) e la loro sorellastra (Barbora Bobulova) si
incontrano il giorno di Natale nella casa di famiglia. Dal loro ultimo incontro sono trascorsi dieci
anni ma, come si intuisce fin dalle prime battute, il tempo non è bastato a cancellare il ricordo di un
segreto inconfessabile. Un segreto che li dilania e al tempo stesso li lega indissolubilmente. Rinchiusi
nella cantina tra bottiglie di vino e vecchi oggetti impolverati, mentre la radio urla improperi razzisti
e un carillon a forma di Babbo Natale diffonde una nenia natalizia sinistra e malinconica, i tre si
lanciano in una perversa gara di confessioni che porterà alla luce tutto il torbido di un passato mai
rimosso.
Il cinema italiano pare ormai fatalmente attratto da vicende familiari ad alto tasso di morbosità, lungo
un filo rosso che collega, pur nella profonda diversità dei risultati, La bestia nel cuore di Cristina
Comencini a Viaggio segreto di Roberto Andò fino a questo Fratelli di sangue dell’esordiente Davide
Sordella. Presentato alla 63a edizione del Festival di Venezia nella sezione Venice Screenings, il
film, di impostazione teatrale, saccheggia grossolanamente il melò torrido alla Tennessee Williams
per ribadire la non inedita teoria che la famiglia è all’origine di ogni nevrosi. Ma la sceneggiatura
inanella una tale sequela di luoghi comuni imbarazzanti e scene madri fasulle da risultare a tratti
involontariamente comica. La bravura dei tre attori (soprattutto Gifuni) annega nella banalità di
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battute come “La verità fa male. Per questo non la diciamo”. Grazie. Ce l’aveva già ricordato
Caterina Caselli.
Critica:
In anteprima a Sulmona il film con Bobulova, Rongioni e Gifuni. Il regista Sordella: "E' quello che
l'Italia non dice"
Fratelli di sangue in anteprima a Sulmonacinema. Il film, interpretato da Barbora Bobulova, Fabrizio
Gifuni e Fabrizio Rongione, sarà presentato oggi nell'ambito della XXIV edizione del festival, in
programma nella cittadina abruzzese fino al prossimo 11 novembre. Nelle sale dal giorno precedente,
l'opera prima dell'allievo di Mike Leigh, Davide Sordella, racconta di Lella, Sergio e Roberto, tre
fratelli che si rincontrano nello scantinato dei loro giochi da bambini, dopo dieci anni di lontananza.
In un crescendo di concitazione e dramma, emergono così ricordi lontani, che lasciano intuire un
inquietante segreto. Il film è stato girato in appena due settimane e mezzo e, durante la preparazione
delle riprese, i tre attori hanno vissuto nello stesso appartamento, chiamandosi solo e sempre con il
nome dei personaggi. "Quando sono andato via dall'Italia - dice il regista, che vive ora fra Torino e
Londra - fra le cose che ho portato con me c'era una registrazione con le telefonate di Radio Radicale
di circa dieci anni fa. Allora mandava in onda tutte le telefonate del pubblico, senza filtro, per 24 ore
su 24. Ne è emerso uno spaccato agghiacciante dell'Italia, una visione a 360 gradi su quello che non
si dice, quello che cova pericolosamente sotto la pelle. Anche quelle del film, purtroppo, sono
telefonate vere. Io me le sono portate dietro per il mondo per una decina d'anni, lasciandole un po' a
prendere polvere in cantina, per poi rispolverale insieme al mio passato. C'è quindi, secondo me, un
certo parallelismo tra la vicenda personale, intima e particolare di questa famiglia e quella di un
paese che, forse, nasconde sotto una calma apparente delle cose non dette". (www.cinematografo.it)
Intervista a Davide Sordella, regista del film indipendente Fratelli di sangue tratta da
www.fusiorari.org
Il film Fratelli di sangue del regista Davide Sordella è stato distribuito in Italia dalla casa di
produzione “L’Altro Film”. È il primo documentario del regista torinese che ha girato il mondo
realizzando documentari e spot pubblicitari.
Il film, che si contraddistingue per il suo linguaggio sperimentale, è interamente girato in un luogo
claustrofobico e inquietante.
Tre fratelli si incontrano, dopo dieci anni di lontananza, il giorno di Natale nella casa dei loro
genitori e si ritrovano nello scantinato in cui giocavano da bambini.
Un passato misterioso da cui emergono ricordi lontani, uno dopo l’altro, come frammenti che il
tempo non ha perso.
Una parola segue l’altra in dialoghi sempre più concitati e in gesti emblematici.
Le immagini della memoria appaiono più nitide mentre si comincia a percepire la presenza di un
segreto mai detto, inquietante, nascosto in cantina. Sarà proprio in questo luogo che sentimenti di
segno opposto ci sorprenderanno aggrovigliati, nella loro intensità più devastante.
La critica come ha accolto il suo film, Fratelli di sangue? È soddisfatto?
In generale devo dire di aver trovato più trame con le stelline che critiche. Le recensioni più
interessanti sul film (e non intendo dire necessariamente le più positive) sino ad ora mi sembrano
quelle de “il manifesto”, del “Cinematografo” e di Alberto Cassani. È in ogni caso sempre un
privilegio che qualcuno veda il tuo film e si prenda il tempo di pensarci su e di scrivere.
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Questo film è praticamente il mio graduation film della scuola di cinema a Londra, un film
interamente fatto da studenti di cinema: per me è già un grosso risultato che arrivi nelle sale
cinematografiche.
È il suo primo film in Italia. Che esperienza è stata dopo tanti anni che ha vissuto all’estero?
L’Italia ha rappresentato per me un po’ come chiudere un cerchio durato più di dieci anni, che mi ha
fatto toccare molti Paesi e persone diverse. Dopo questo periodo però credo sia venuto il momento di
riaprire nuovi cerchi: mi sono avvicinato produttivamente al cinema spagnolo e a Madrid, città dove
mi sto trasferendo
Il film è girato prevalentemente in una cantina. Il sentimento di claustrofobia che traspare
dalle immagini è metafora di quei sentimenti angosciosi e negativi che tentiamo di opprimere
dentro di noi. Ma alla fine, secondo lei, esplodono sempre come succede ai protagonisti del
film?
Il film è tutto sulla claustrofobia essendo ambientato completamente nella testa del protagonista. Mi
interessava ciò che c’è sotto la pelle e ciò che credo prima o poi venga sempre a galla. Un film su ciò
che non diciamo: per questa ragione c’è un parallelismo sottile tramite la radio tra la vicenda molto
personale, claustrofobica di questa famiglia e il Paese Italia, il suo passato e le cose che non vengono
dette
Secondo quali criteri è stata fatta la scelta degli attori?
Non conoscendo il cinema italiano recente ho dovuto vedere per il casting molti film e mi hanno
subito colpito questi tre attori. Il rapporto poi è stato molto normale: ho inviato ai loro agenti la
sceneggiatura e le cose che avevo fatto, ci siamo incontrati, conosciuti e da lì è nata la voglia di
confrontarsi con questo film.
“La cosa brutta è che in famiglia ci si perdona sempre tutto”. Da questa frase, detta da uno dei
personaggi, nasce il desiderio di fare chiarezza tra gli scatoloni nascosti in cantina. È da qui
che nasce l’idea del film?
Esattamente dalla frase che lei ha citato, è una frase vera pronunciata da mia sorella durante un
Natale, l’elemento scatenante di questo film. Grazie a quel “pungolo” si è creata una crepa nelle cose
accumulate dentro da anni e, come una diga che straripa, in meno di un mese la sceneggiatura era
pronta.
Come è avvenuto l’incontro con il produttore Louis Nero?
Con Louis ci siamo incontrati a Torino dopo che il film era uscito come esperimento in una sala della
città lo stesso giorno in cui usciva il suo film Hans. Lui è fondamentalmente un regista e credo che
questo importantissimo punto di partenza sia stata la base del legame. Non mi trovavo di fronte un
affarista del cinema, ma qualcuno armato di ramponi e piccozza con la voglia di rompere e scalare il
ghiaccio di questo colossale immobile iceberg che è la distribuzione indipendente.
È interessante il lavoro svolto con i suoi attori? Ce lo può spiegare in breve?
Due mesi di preparazione sul personaggio, non di prove (ci tengo a sottolineare) sono stati
un’esperienza molto intensa sia dal punto di vista umano che professionale. Abbiamo iniziato con le
catacombe di s. Callisto a Roma (ovvio immaginare il perché) sino a giungere alla convivenza nello
stesso appartamento durante le riprese.
Per questo credo che chi ha fatto il film ed è “sopravvissuto” si possa considerare un vero reduce al
pari degli spettatori che lo vedono per intero.
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