“Era Pippo Ercolano il deus ex machina dell`organizzazione”.
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“Era Pippo Ercolano il deus ex machina dell`organizzazione”.
La Sicilia 5 Novembre 2010 “Era Pippo Ercolano dell’organizzazione”. il deus ex machina Si parla dei politici coinvolti, si parla dei «colletti bianchi» e degli imprenditori collusi, ma se parliamo dell'associazione mafiosa non v'è dubbio alcuno che Giuseppe Ercolano, «u' zu Pippu» per gli affiliati, secondo gli investigatori è forse il nome di maggiore spicco di questa operazione. Arrestato qualche mese fa nell'ambito di un'operazione condotta dalla Dia sul presunto monopolio dei trasporti su gomma per i mercati di ortofrutta del centro Italia, Ercolano subì anche un sequestro, ma l'impianto accusatorio non resse e in breve lui tornò libero e i beni sequestrati gli furono sostituiti. Adesso «'u zu Pippu» si ritrova nuovamente nell'occhio del ciclone, ovviamente per il reato di associazione mafiosa, ma anche per intestazione fittizia di beni e riciclaggio, connessi alla vicenda della Tenutella. Cugino e cognato di Nitto Santapaola e padre dell'ergastolano Aldo, Pippo Ercolano sarebbe stato nominato uomo d'onore nella prima metà degli anni 70 ed ha ricoperto la carica di consigliere della famiglia catanese di Cosa nostra nei primi anni '80, partecipando per tale ragione - si legge nelle carte - all'adozione delle decisioni di maggiore importanza per la vita del clan. Finito in galera e poi rimesso in libertà nel gennaio 2004, Ercolano, secondo quanto scrivono i giudici, ebbe un ruolo nelle frizioni che si registrarono all'interno della «famiglia catanese di Cosa nostra - già indebolita dalla detenzione di molti affiliati, taluni dei quali collocati in posizioni apicale, e dai contrasti con le famiglie Palermitane - caratterizzata da fortissime tensioni interne tra la componente Santapaola e la componente Ercolano, dal momento che i partecipi di quest'ultima mal sopportavano la supremazia della prima che, all'epoca, peraltro, trovava la propria espressione sul territorio in un “parvenu”, Mirabile Alfio, le cui credenziali consistevano nell'essere zio di Mirabile Giuseppe (detenuto), a sua volta nipote, per parte di madre, di Santapaola Antonino, fratello di Benedetto». E ancora: «La reggenza di Mirabile Alfio - sul quale, per di più, gravava il controllo immanente, penetrante e, per certi aspetti, pericoloso del rappresentante della famiglia calatina di Cosa nostra La Rocca Francesco - veniva contestata dai blasonati rampolli delle famiglie Santapaola, Ercolano e Mangion, che, a più riprese, hanno cercato di ridimensionarne il ruolo, di controllarne l'operato e, soprattutto, di sottrargli il controllo diretto della gestione dei rapporti con gli imprenditori e dei lucrosi appalti che in quel periodo venivano avviati a Catania». «La scarcerazione del patriarca della famiglia Ercolano - si legge ancora - non poteva, dunque, essere un evento neutro per l'organizzazione», tant'è vero che «'u zu Pippu» viene coinvolto nel procedimento Dionisio «come mandante del tentato omicidio in danno di Mirabile Alfio (fatto mai formalmente appurato, in verità, ndc) ed, infine, come soggetto qualificato a nominare il rappresentante provinciale di Cosa nostra (poi fu Enzo Aiello, ndc), a chiedergli, in conseguenza, conto delle sue azioni e ad indirizzarne l'operato, così come, peraltro, è logico che accada per il capo di una delle famiglie anagrafiche facenti parte del gotha della famiglia catanese di Cosa nostra». Racconta il collaboratore Eugenio Salvatore Stouriale: «In pratica oggi, cosa che non ha voluto capire mai nessuno, e non so perché - o perché fanno finta di non capire o perché hanno interessi a non capire (e non parlo per la magistratura parlo dell'ambiente) - il deus ex machina è stato sempre Pippo Ercolano. Sempre e comunque, cioè il vero reggente della famiglia Santapaola Ercolano è Giuseppe Ercolano, anche quando c'è stato Santo La Causa fuori, cioè la persona che prende le decisioni, l'ultima decisione, l'ultima parola è sempre Pippo Ercolano, è stato sempre Pippo Ercolano». Ecco spiegate, sempre a leggere le carte, certe bacchettate ad Enzo Aiello, per i sospetti di una indebita appropriazione del denaro dell'organizzazione; per l'incomprensibile denuncia che Scinardo aveva presentato per minacce subite, con conseguenti veementi rimbrotti per la insipienza dello stesso Aiello nel trattare con gli imprenditori a disposizione della organizzazione (Basilotta, Gennaro, Scinardo) e nei confronti dei quali, secondo Ercolano, andavano adottate strategie diverse. Nella stessa circostanza, però, «'u zu Pippu» avrebbe autorizzato Aiello a seguire direttamente la vicenda della «Tenutella», affare che però avrebbe allontanato i due. Riferisce il collaboratore Ignazio Barbagalo di una certa insofferenza dell'Aiello nei confronti di Pippo Ercolano: «Urini vaiu vaiu, c'è 'u vecchiu 'ndo menzu. Perche praticamente no a livello che Ercolano ci faceva le estorsioni, ci entrava come lavoro, diciamo, per quello che so io, per come era entrato nella Tenutella... non lo so se si chiama Tenutella, così, era entrato come sbancamenti, non lo so. Lui si lamentava di questa cosa, dice: "Una volta che c'è lui -dice - le persone già si sentono coperte - dice -giustamente non ci pozzu diri nenti", e si lamentava anche di questa cosa». Concetto Manniti EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS