Nazarín - SS.MM. Nereo e Achilleo

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Nazarín - SS.MM. Nereo e Achilleo
Luis Buñuel Nazarín (tit orig: idem); Messico, 1958; regia: Luis Buñuel; soggetto: dal romanzo omonimo di Benito Pérez
Galdós; sceneggiatura: Luis Buñuel, Julio Alejandro de Castro; interpreti: Francisco Rabal (padre
Nazario), Rita Macedo (Ándara), Marga López (Béatriz), Ofelia Guilmáin (Chanfa), Jesús
Fernández (Ujito), Noé Nurayama (El Pinto) Luis Aceves Castañeda (il parricida), Ignacio López
Tarso (il sacrilego); durata: 98’. Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1959
La storia è ambientata a Città del Messico, agli inizi del ‘900 ossia negli ultimi anni della dittatura
di Porfirio Díaz. Padre Nazario è un sacerdote che ha compiuto una scelta radicale, in pieno spirito
evangelico. Non ha una parrocchia, ma vive da povero in mezzo alla povera gente. Per la sua scelta
spesso viene deriso, insultato e derubato. Accoglie persino in casa una prostituta che sta scappando
dalla polizia per un tentato omicidio. Osteggiato dai superiori, scandalizzati per questa sua condotta,
lascia la città e vaga per le campagne in abiti civili per portare conforto ai più umili e in questo
peregrinare viene seguito da due donne che lo ritengono un santo e che si considerano sue
discepole.
In questo film Buñuel mette in scena una sorta di Via Crucis alla rovescia. La parabola esistenziale
di padre Nazario, infatti, pur incarnando quasi alla lettera l’utopia evangelica, naufraga e viene
sconfitta dalla realtà della storia. È il caso, per esempio, dell’episodio nel cantiere stradale. Don
Nazario accetta di lavorare solo per sfamarsi, ma questo crea malumore tra i lavoratori che aspirano
a migliori condizioni di vita e l’episodio sfocia in una rivolta repressa nel sangue. Analogamente,
l’opera di apostolato in un villaggio dove è diffusa un’epidemia si infrange nella caparbietà di una
moribonda che al conforto dei sacramenti antepone l’amore e il desiderio per il proprio uomo.
Ricalcati quasi alla lettera sulle comuni illustrazioni della Via Crucis, anche dal punto di vista
iconografico, sono poi la preghiera nell’orto, con Nazarín e le due discepole, e la successiva scena
dell’arresto con tanto di ribellione di una delle donne che, sull’eco dei Vangeli (Mt 26, 51; Mc 14,
47; Lc 22, 50), colpisce con un bastone una guardia. Finito in un gruppo di malfattore detenuti, il
sacerdote incontra, come Gesù sul Calvario, il cattivo e il buon ladrone, anche se quest’ultimo si
dimostra di una tempra un po’ particolare: “Lei è dalla parte buona, io dalla parte cattiva, ma
nessuno dei due è servito a niente” commenta con amarezza il galeotto.
Il finale, in perfetto stile buñueliano, è ambiguo e pessimista. Sotto la tonaca di padre Nazario
emerge un uomo solo e pieno di dubbi.
Giustamente considerato tra i capolavori del regista spagnolo, Nazarín è una tappa importante nella
definizione della poetica del suo autore, contraddistinta da un pessimismo radicale che si alimenta
dallo scontro tra volontà e caso (quasi il Fato dei classici) dove a prevalere, nei destini dell’uomo, è
sempre il secondo. L’agire dell’individuo è condizionato dai bisogni e ogni tentativo di
emancipazione – al pari di ogni utopia – è destinato al fallimento. Anche la riflessione filosofica e
teologica sbiadiscono di fronte alla cruda realtà.
L’unica cosa che conti davvero è il dono gratuito (il gesto della vecchia, nel finale) sfrondato però
da qualsiasi valenza morale.
(da: Auro Bernardi, Luis Buñuel, Le Mani, Genova 1999)