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Chapter 04-02 page 1
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Emmanouil Karampinis, Panagiotis Grammelis
04-02: Biomasse erbacee. Proprietà e processi
L'utilizzo delle biomasse erbacee per la produzione di energia rispetto a quello delle biomasse
legnose, è stato finora piuttosto limitato. Stranamente, questo non significa che le biomasse
come i residui agricoli non vengono bruciati, in realtà, una grande quantità di essi viene
bruciata in campo dopo la raccolta. Questa consuetudine rappresenta una fonte di emissioni
incontrollate, senza che vi sia alcun tipo di sfruttamento energetico, tale pratica può costituire
anche un potenziale rischio d’incendi. Inoltre, in diversi paesi del terzo mondo, dove
l'accesso ad altre fonti di combustibile è scarsa, le biomasse erbacee vengono utilizzate come
combustibile per applicazioni di riscaldamento, per la cottura e simili anche se l’efficienza
energetica complessiva è scarsa.
Il motivo per cui l'utilizzo della biomassa erbacea in Europa, così come nel resto nel mondo,
sia in genere inferiore a quello di altre fonti di biomassa può essere dovuto alle seguenti tre
ragioni:
• Alcuni residui erbacei, come la paglia, fanno già parte di comuni pratiche agricole, come ad
esempio l’uso per l'alimentazione degli animali. Tale argomento è discusso nel Capitolo 0202 sulle biomassa erbacee.
• In generale, la catena di approvvigionamento di biomassa erbacea deve affrontare diverse
problematiche: bassa densità energetica, variazioni stagionali, possibilità di biodegradamento
e, ecc. Questi temi sono affrontati principalmente nel Capitolo 03-02 riguardante
l’approvvigionamento di biomasse erbacee.
• Infine, le biomasse erbacee sono state considerate come un carburante più problematico
rispetto alle biomasse legnose a causa di alcuni composti che condizionano la loro
combustione. La natura di questi composti e la loro particolare influenza sulla diversa
utilizzazione dell'energia è l'oggetto del presente capitolo.
Nonostante le difficoltà elencate sopra, ci sono alcuni esempi positivi di utilizzazione di
biomasse erbacee per la produzione di energia.
Uno dei casi più noti, per esempio, è l'utilizzo di paglia per la produzione di energia elettrica
o di calore per reti di teleriscaldamento in Danimarca. Inoltre, l'aumento della quantità di
bioenergia prodotta da biomasse erbacee, quali residui agricoli e alcune tipologie di colture
energetiche, come è stato descritto nel Capitolo 02-02, è un obiettivo importante per l'UE
RES (renewable energy sources, fonti di energia rinnovabile)
Come discusso nel Capitolo 04-00, i principali processi che possono essere utilizzati per la
produzione di energia utile, da ogni tipologia di biomassa, compresa la biomassa erbacea,
sono i seguenti:
Tre diversi processi termici:
• Combustione per la generazione diretta di calore ed elettricità in centrali di cogenerazione
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(produzione di calore ed elettricità) o di co-combustione in processi industriali,
• Gassificazione termica con successiva combustione del gas ("gas prodotto") in centrali di
cogenerazione, in processi industriali, oppure per ulteriori trasformazioni chimiche del gas
prodotto,
• Pirolisi con successiva combustione dei carburanti solidi, liquidi e / o gassosi prodotti, in
centrali di cogenerazione, in processi industriali o per ulteriori trasformazioni chimiche dei
prodotti della pirolisi.
La pirolisi può essere effettuata ad alta temperatura (circa 700 ° C) o a bassa temperatura
(circa 300 ° C, "torrefazione"), ottenendo differenti rapporti tra il residuo solido ("carbone"),il
residuo liquido ("olio di pirolisi") e il residuo gassoso ("gas di pirolisi").
Due processi biochimici
• fermentazione per la successiva utilizzo principalmente dell’etanolo come combustibile
liquido nei motori a combustione interna o come combustibile aggiuntivo nelle centrali di
cogenerazione, nei processi industriali o come materia prima per la sintesi chimica di nuovi
prodotti
• digestione anaerobica con successivo utilizzo del gas ("biogas") nei motori a combustione
interna, come combustibile aggiuntivo in centrali di cogenerazione, in processi industriali o
come materia prima per la successiva sintesi di un nuovi prodotti chimici.
E’ importante per i progettisti di impianti di bioenergia saper scegliere la tecnologia
appropriata in base alla materia prima, conoscere bene le caratteristiche che differenzano le
diverse tipologie di biomasse erbacee rispetto alle altre biomasse, nonché le problematiche
principali da considerare quando la biomassa erbacea viene utilizzata nelle diverse tecnologie
per la conversione energetica.
04-02-01: Panoramica sul combustibile da biomassa erbacea e
sulle caratteristiche di processo delle ceneri
Essendo un prodotto della fotosintesi, come discusso nel Capitolo 01-00, la sostanza secca
delle biomasse erbacee è tipicamente composta da polisaccaridi (cellulosa ed emicellulosa),
polimeri fenolici (lignina) e, in minor quantità, da altre sostanze , come resine, grassi e acidi
grassi, comunemente noti come estrattivi.
Una differenza fondamentale tra le biomasse erbacee e quelle legnose è la minore percentuale
in peso della lignina e la maggiore presenza di cellulosa ed emicellulosa. I valori tipici di tali
componenti nelle biomasse sono riportati nella Tabella 04-02 1. Come mostrato in tabella, il
contenuto di lignina nelle erbacee varia tipicamente da 15% a poco più del 20%. Dal
momento che la lignina è in una forma meno ossidata rispetto alle emicellulose, essa possiede
un potere calorifico superiore e questo si traduce in generale in un minor potere calorifico
delle biomasse erbacee rispetto a biomasse legnose e ad altri residui agro-industriali, come ad
esempio la sansa. L’inferiore contenuto di lignina influisce in qualche modo anche sulla
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velocità di combustione e, nei processi biochimici, sulla quantità di materia organica che può
essere trasformata nel prodotto finale (la lignina tipicamente non viene digerita / fermentata
ma rimane nel residuo solido, mentre la cellulosa e soprattutto l’emicellulosa sono più
facilmente convertite in zuccheri).
Composizione (% wt daf)
Emicellulosa Cellulosa Lignina
Foglie di tabacco
41.5
43.5
15.0
Paglia di mais
31.3
45.8
22.9
Miscanto
27.9
50.0
22.1
Panico verga
33.6
43.9
22.5
Paglia
45.2
33.8
21.0
Latifoglie
32.3
45.9
21.9
Conifere
24.8
42.7
32.5
Gusci di nocciole
30.3
26.7
43.0
Sansa
21.6
23.1
55.3
Table 04-02 1: Contenuto percentuale di cellulosa, emicellulosa e lignina nelle diverse
tipologie di biomassa. La composizione è data rispetto al peso del secco senza le ceneri e gli
estrattivi (daf : dry ash free)
Biomassa
Nei processi termici, l’analisi prossimale e l’analisi elementare sono i metodi più utili per
avere indicazioni sull’effetto del tipo di biomassa sulla combustione. Per ulteriori
informazioni su queste analisi e sull’impatto della composizione sulle condizioni di
combustione, si veda l'Appendice Analisi dei carburanti. Di seguito sono presentate alcune
considerazioni più specifiche sui combustibili da biomasse erbacee.
Come discusso nel capitolo 03-02, il contenuto di umidità della maggior parte dei residui
agricoli è piuttosto bassa - per combustibili tipo la paglia i valori tipici riportati in letteratura
sono inferiori al 15% in peso. Altri residui tuttavia, come la bagassa hanno un contenuto di
umidità molto più elevato, fino a 40 - 60% in peso e ciò può essere un problema per la
combustione. Il contenuto di umidità è ovviamente influenzato dalle condizioni atmosferiche
(per i residui raccolti o stoccati in campo) o dalle condizioni di processo (per i residui agroindustriali).
Sulla base di quanto detto in precedenza, le biomasse erbacee più comuni sono adatte per la
combustione, almeno dal punto di vista dell’umidità. Combustibili con umidità elevata, come
ad esempio residui di barbabietola da zucchero, richiedono essiccazioni notevoli prima della
combustione e di conseguenza sono meglio sfruttati nei processi di conversione biochimica
come per esempio nella fermentazione.
Come per la maggior parte delle biomasse, anche le biomasse erbacee hanno un alto
contenuto di frazioni volatili rispetto al carbone. La biomassa erbacea tende inoltre ad avere
un contenuto di frazione volatile leggermente superiore rispetto alla biomassa legnosa e ad
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alcuni tipi di residui agro-industriali; come tendenza generale a una biomassa con un più
basso contenuto di lignina corrisponde un maggiore contenuto di frazione volatile.
Il basso contenuto di umidità della maggior parte dei residui erbacei fa in modo che la
gassificazione inizi quasi nel momento in cui il combustibile viene portato ad alta
temperatura. Inoltre l'elevato contenuto di volatili nella biomassa erbacea, porta a un rapido
rilascio della maggior parte del combustibile in fase gassosa.
Pertanto è necessaria, una corretta progettazione della camera di combustione per fornire un
tempo di permanenza sufficiente alla completa combustione dei gas volatili. E’ inoltre da
considerare che l’immediato rilascio di sostanze volatili dalle biomasse erbacee può
comportare alcuni problemi di sicurezza durante la sua movimentazione. Infatti, il rilascio
delle sostanze volatili, se la biomassa viene portata a contatto con superfici calde o se la sua
temperatura aumenta considerevolmente al di fuori della camera di combustione, può
aumentare la probabilità di ignizione.
Tuttavia, nonostante le condizioni favorevoli dovute alla bassa umidità e all’alto contenuto di
volatili, l’elevato contenuto di cloro e la presenza di ceneri pongono problemi significativi
per i processi termici a base di biomassa erbacea. Le difficoltà non sono dovute alla quantità
di ceneri (anche se la biomassa erbacea tende ad avere un contenuto di ceneri superiore a
quello della biomassa legnosa) ma alla qualità di esse.
I problemi qualitativi riguardano soprattutto le elevate concentrazioni di elementi come alcali
e silice nella cenere delle biomasse erbacee, insieme al contenuto di cloro nel combustibile di
partenza. Questi elementi tendono a formare composti molto volatili e/o a basso fondenti che
comportano sia emissioni, come ad esempio aerosol, che problemi operativi, comunemente
noti come fusione delle ceneri / incrostazione e corrosione. Questi problemi sono discussi in
dettaglio nell’Appendice Ceneri. La formazione di agglomerati un problema specifico per gli
impianti a letto fluido ed è anche dovuto alla bassa temperatura di fusione delle ceneri di
alcune biomasse, come discusso nella sezione 04-02-02A.
Per quanto riguarda l'analisi elementare della biomassa erbacea (per ulteriori dettagli si
veda l'Appendice Analisi del combustibile), possono essere evidenziati i seguenti punti:
• Il contenuto di carbonio (C) tende ad essere inferiore rispetto alla biomassa legnosa a
causa del contenuto inferiore di lignina. Questo porta ad abbassare il valore del potere
calorifico della sostanza secca libera da ceneri.
• l’azoto (N) tende ad essere presente nelle biomasse erbacea in concentrazioni superiori
ripetto alla biomassa legnosa a causa del maggior tasso d’accrescimento e all’utilizzo di
fertilizzanti azotati nella coltivazione. Come risultato, le emissioni di NOx provenienti
dalla combustione di biomassa erbacea possono essere superiori a quelle della biomassa
legnosa a parità di condizioni di combustione.
• Allo stesso modo, lo zolfo (S) è presente in quantità più elevate nella biomassa erbacea che
nella biomassa legnosa e può portare all’aumento di emissioni di SOx e ad alcuni problemi
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operativi, come la corrosione di parti metalliche o alla difficoltà nella pulizia del syngas nei
processi di gassificazione.
• il cloro (Cl) è la differenza più importante tra la biomassa erbacea e la biomassa legnosa. Le
biomasse erbacee hanno un contenuto di cloro che varia da meno del 0,1% al 2% o più. Per
questo, durante la combustione della biomassa erbacea si possono verificare aumenti delle
emissioni di diossine e aerosol e inoltre problemi operativi.
Nel complesso, in termini di contenuto energetico, minore è la lignina/carbonio contenuto
nella biomassa erbacea minore è anche il Potere Calorifico Superiore (PCS) rispetto ai
combustibili da biomasse legnose. Inoltre, l’elevato tenore in ceneri contribuisce ad abbassare
il potere calorifico per kg di combustibile. I combustibili da biomasse erbacee hanno un
elevato range di PCS, tra i 17-19 MJ / kg sul secco, mentre il potere calorifico inferiore (PCI)
sul tal quale (con l’umidità del combustibile alla consegna), è di solito tra i 14-16 MJ / kg per
i combustibili tipo paglia. Il basso contenuto di umidità implica che la differenza tra il PCI e
il PCS non è così alta come nel caso della biomassa legnosa.
04-02-02: Biomasse erbacee in impianti di media e larga scala
04-02-02a: Combustione in impianti destinati alle biomasse erbacee
Impianti di combustione di biomasse erbacee in media e larga scala possono essere utilizzati
per la produzione di calore (ad esempio calore di processo , calore per reti di
teleriscaldamento), energia elettrica e/o entrambi. Le capacità termiche di tali sistemi
alimentati a biomassa erbacea variano da un paio di mega-watt a 50 MW o (in rari casi) di
più.
In generale, la combustione di biomassa erbacea in tali applicazioni è soggetta alle
problematiche discusse nell’Appendice sulle Ceneri, riguardante le incrostazioni e la
corrosione, nonché alcune questioni ambientali (discusse nell’Appendice Comportamento del
combustibile). Di conseguenza, una pratica comune è quella di alimentare una caldaia a
combustibile secco con una miscela di biomassa legnosa secca (quantità maggiore) e una
percentuale minore di biomassa erbacea. Tuttavia, esistono anche diversi esempi di caldaie
dedicate a biomasse erbacee. In questi sistemi il combustibile più utilizzato è la paglia ed i
leader in questo settore sono alcune società danesi.
Per centrali elettriche a biomasse erbacee, gli effetti nocivi delle sostanze corrosive sono in
genere limitati operando con vapore a temperature più basse rispetto a impianti a carbone o a
biomasse legnose: così tali impianti presentano un rendimento inferiore, come spiegato nella
Sezione 04-00-08F.
Ci sono tre principali tipi di tecnologie che possono essere utilizzate in medie e larga scala
per impianti di combustione (elencate in base alla dimensione delle particelle dalle più grandi
alle più piccole): griglia fissa, griglia mobile e impianti a combustibile polverizzato.
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I Sistemi a griglia fissa sono i più diffusi per impianti di combustioni dedicati alle biomasse.
Sono adatti a tutti i tipi di combustibili "problematici", ad esempio quelli con elevato tasso di
umidità, alto contenuto in ceneri e particelle di grandi dimensioni. La combustione in questo
tipo di impianto avviene di solito su una griglia situata sul fondo della caldaia.
La biomassa viene triturata prima di essere inserita in caldaia ma, in un tale sistema, non è
completamente polverizzata. Nella camera di combustione, il combustibile è essenzialmente
sottoposto a gassificazione, i gas caldi vengono bruciati nei livelli superiori della camera di
combustione, mentre il carbone rimanente viene bruciato sulla griglia e la maggior parte della
cenere residua viene raccolta sotto la griglia. Una parte della cenere è trasportata dai gas di
scarico e deve essere abbattuta con sistemi di pulizia appropriati, come per esempio i
precipitatori elettrostatici. In realtà, poiché la maggior parte della massa e dell'energia del
carburante viene rilasciata dal gas volatile, è essenziale la corretta progettazione della camera
di combustione superiore per garantire l’opportuna miscelazione con l'aria e sufficienti tempi
di permanenza.
La movimentazione della biomassa sulla griglia può essere ottenuta sia per gravità (griglia
fissa) o applicando una sorta di movimento della griglia con diversi tipi di tecnologie: griglie
vibranti, in movimento, viaggianti o rotanti.
La griglia fissa è l'opzione più semplice e meno costosa, ma anche quello che presenta il
controllo minore sulle condizioni di combustione, inoltre, sono più vulnerabili ai problemi
legati alla fusione delle particelle di cenere.
I sistemi a griglie vibranti sono molto comuni con combustibili con ceneri basso fondenti,
quali la paglia, poiché le vibrazioni costanti non consentono la formazione di grossi
agglomerati di cenere fusi. Tuttavia, le vibrazioni comportano anche una maggiore quantità di
particelle di cenere nei gas di scarico, per cui sono necessari accorgimenti specifici per
l’abbattimento delle polveri. Un esempio di impianto alimentato a paglia con griglia vibrante
è mostrato in Figura 04-02 1.
Una variante dei sistemi a griglia è l'uso di un "bruciatore a sigaro". Questo tipo di bruciatore
viene alimentato direttamente con una balla di paglia, senza alcuna preventiva triturazione.
Parte della balla viene bruciata sopra la griglia, una volta entrata nella camera di
combustione, mentre un'altra parte viene bruciata sulla griglia sottostante. Il vantaggio di
questo sistema è che l’alimentazione costante del carburante può essere ottenuto con un
minimo pretrattamento. Gli svantaggi sono che tali impianti sono limitati al solo utilizzo delle
balle, sono sensibili alla variazione delle dimensioni delle balle, hanno emissioni di CO
relativamente elevate e minor efficienza. Per queste ragioni, nessuno dei nuovi impianti
utilizza questa tecnologia e per motivi di praticità sono stati abbandonati.
A causa della difficoltà nell’ottenere condizioni di combustione omogenea, i sistemi a griglia
di solito non sono l'opzione migliore per bruciare miscele di biomasse legnose ed erbacee.
Tuttavia, alcune soluzioni tecnologiche, come le griglie rotanti, presentano buoni risultati
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anche con miscele di combustibile, poiché il movimento della grata stessa porta a una
miscelazione naturale dei carburanti. Mentre il controllo delle emissioni non è così ottimale
quando l'impiano è in funzione con carico parziale. Infine, sebbene il costo di investimento è
tipicamente piuttosto basso, questi impianti necessitano di un eccesso d'aria piuttosto alto per
garantire la combustione dei gas volatili e pertanto lavorano con minor efficienza.
Figure 04-02 1: L’impianto alimentato a balle di paglia di ACCIONA a Sanguesa, Spagna
(Fonte: ACCIONA)
Sistemi a letto fluido sono stati inizialmente sviluppati negli anni 1970 per utilizzare carbone
con alte concentrazioni di zolfo, la cui combustione tale e quale comporta livelli inaccettabili
di emissioni di SOx nei sistemi di combustione standard. L'idea alla base di questa tecnologia
consiste nel bruciare il combustibile in un letto riempito con un materiale "inerte", mentre
l'aria viene alimentata dal basso della camera di combustione. A condizione che la velocità
dell'aria sia sufficientemente elevata, il materiale inerte ed il combustibile vengono mescolati
e vengono così "fluidizzati".
Esistono due principali tipologie di letti fluidi: il letto fluido bollente (o BFB), in cui la
velocità dell'aria è relativamente bassa e le particelle formano una ben definita zona nella
camera di combustione assomogliante a un fluido bollente, e il letto fluido circolante (o
CFB), in cui la velocità di fluidizzazione è maggiore e le particelle escono continuamente
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dalla zona di combustione e vengono riportate al punto iniziale dopo essere passate attraverso
un sistema ciclonico di separazione in base alle dimensioni.
I sistemi a letto fluido hanno diversi vantaggi:
• Sono in grado di gestire una grande varietà di combustibili solidi, con ampio range di
dimensioni delle particelle, contenuto di umidità e contenuto di cenere.
• Hanno una elevata capacità termica e possono essere operativi anche se l'alimentazione di
carburante viene interrotta per alcuni minuti.
• Il tempo di permanenza delle particelle di combustibile nel letto è abbastanza lungo, quindi,
è possibile ottenere un’efficienza elevata anche a basse temperature di esercizio. Questo ha
come vantaggio basse emissioni di NOx pur operando a basse temperature(vedi Appendice
Comportamento combustibile).
• Utilizzando opportuni additivi nel letto fluido, le emissioni di SOx possono essere assorbite
e minimizzate senza ricorrere a costosi sistemi di pulizia secondari.
In questa tecnologia ci sono anche alcuni svantaggi, in particolare l’alta quantità di particelle
che richiede efficaci sistemi di abbattimento delle polveri e una maggiore abrasione delle
superfici del letto. Il problema più importante tuttavia, e quello più rilevante nel caso di
combustione di biomassa erbacea, è il fenomeno noto come formazione di agglomerati.
Come precedentemente accennato, gli impianti a letto fluido operano attraverso un flusso
d'aria con velocità sufficiente immesso da sotto il letto. La velocità dell'aria dipende dalle
caratteristiche delle particelle, come per esempio dalla dimensione e dalla densità. Particelle
troppo piccole (ad esempio particelle di combustibile bruciato) lasciano la zona di
fluidizzazione con i fumi di scarico, mentre le particelle troppo grandi non possono essere
fluidificate e cadono sul fondo.
La biomassa erbacea è tipicamente caratterizzata da ceneri con basse temperature di fusione;
quindi, le particelle di cenere nella zona di fluidizzazione sono spesso fuse o semi-fuse e si
attacccano alle particelle sulla griglia formando agglomerati. Se la dimensione di questi
agglomerati diventa sufficientemente grande, allora la velocità dell'aria non è più sufficiente
per la loro fluidizzazione per cui esse cadono sul fondo della caldaia, provocando l’arresto
della caldaia. I metalli alcalini presenti nella biomassa erbacea possono inoltre reagire con il
materiale di costruzione del letto e formare altri composti basso fondenti. Inoltre, i sistemi a
letto fluido possono essere soggetti a problemi di incrostazione e corrosione quando
alimentati con biomassa ad alto contenuto di cloro e di alcali. Infine, i sistemi a letto fluido
hanno costi d'investimento più elevati rispetto alle caldaie a griglia o a combustibile
polverizzato.
In qualche modo, il problema della formazione di agglomerati può essere controllato con
misure che limitano anche le incrostazioni e la corrosione. L'uso di additivi per il controllo
della corrosione in questa tecnologia è fattibile, ma i costi rimangono abbastanza alti. Per
questo motivo, l'aggiunta di biomasse erbacee in tali caldaie, viene limitato in quote termiche
inferiori al 50%; la maggior parte degli operatori del settore privilegia però valori ancora più
bassi, vicini al 20%.
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I sistemi a combustibile polverizzato bruciano una sospensione di particelle di biomassa
molto fini miscelati con aria comburente. E 'attualmente la tecnologia più comune nei sistemi
alimentati a carbone. Dal momento che la macinatura di combustibili da biomassa, e
soprattutto da biomassa erbacea (si veda la Sezione 03-02-04) richiede un alto consumo di
energia, questa opzione tecnologica per impianti dedicati a biomassa è comune solo con
segatura e altre biomasse preferibilemente già disponibili in polveri sottili.
04-02-02b: Co-combustione di carbone con biomasse erbacee
La discussione nei paragrafi precedenti è stata mirata agli impianti che utilizzano sia
esclusivamente erbacea che una miscela di biomassa erbacea con biomassa legnosa. Tuttavia,
vi è un'altra opzione, quella di utilizzare biomassa erbacea per sostituire una certa quota
termica di un combustibile fossile, tipicamente una tipologia di carbone in un impianto
esistente. Questa opzione è nota come co-combustione e offre alcuni vantaggi molto
significativi, come ad esempio la potenziale riduzione dei gas serra e le possibili emissioni di
SOx e NOx da centrali elettriche a carbone. Inoltre, gli impianti convertiti alla cocombustione possono nella maggior parte dei casi, tornare alla normale modalità a carbone e
sono quindi meglio attrezzati per affrontare attraverso l’utilizzo di biomassa la carenza di
combustibile.
La co-combustione viene realizzata sia in caldaie a combustibile polverizzato che in caldaie a
letto fluido; le caldaie a griglia fissa, non sono praticamente utilizzate attualmente per la
combustione del carbone. Ci sono diverse opzioni per l’implementazione della cocombustione in una centrale a carbone (si veda la Figura 4-2 2):
• La co-combustione diretta significa che la biomassa ed il carbone vengono bruciati nella
stessa caldaia. Il modo più semplice e meno costoso per farlo è quello di alimentare la
biomassa nei mulini e nei bruciatori già esistenti per il carbone (vedi percorso 1 in figura), ma
è anche il meno efficiente. Un'opzione meno semplice è quella di ottenere la riduzione
desiderata delle dimensioni della biomassa in un mulino separato, utilizzando i bruciatori di
carbone esistenti (vedi itinerario 2). I costi aumentano a causa dell'installazione di nuovi
mulini ed il controllo delle condizioni di combustione non è ottimale, ma non sono necessarie
modifiche alla caldaia e alla camera di combustione. Infine, è possibile installare mulini e i
bruciatori per la biomassa (sistema 3). Il costo è il più alto in questo caso, ma le
problematiche tecniche sono molto più basse. Quando la biomassa subisce un processo di
pirolisi a bassa temperatura chiamata torrefazione (v. 04-02-06), essa diventa facilmente
triturabile e più simile al carbone in termini di proprietà di combustione. Di conseguenza può
essere alimentata direttamente nei mulini e bruciatori del carbone (vedi percorso 5).
• la co-combustione indiretta consiste nell’alimentare con la biomassa un gassificatore
(vedere percorso 4), successivamente il gas prodotto viene utilizzato direttamente nella
caldaia a carbone. In questo modo, le problematiche relative alla cenere delle biomasse
vengono evitate nella caldaia a carbone; tuttavia, i costi opertivi e di installazione sono molto
più alti e permangono le prolematiche relative alla gassificazione della biomassa (vedi 04-02-
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05).
• la co-combustione in parallelo consiste nel bruciare la biomassa in una caldaia separata,
progettata per gestire tutte le peculiarità della materia prima. La caldaia può essere costretta
ad operare a temperature inferiori per evitare i problemi di corrosione (vedi Appendice sulle
Ceneri), ma l’accoppiamento dei cicli di vapore del carbone e della biomassa aumenta
l'efficienza complessiva.
Tutte le considerazioni sulla co-combustione sopra descritte, escluso la torrefazione, sono
state osservate nelle varie parti del mondo. La quota massima di biomassa nella miscela di
carburante in un impianto di co-combustione dipende da diversi parametri, come il tipo di
combustibile e le proprietà delle ceneri (carbone o biomassa), il tipo di caldaia, il sistema di
co-combustione, il perocesso di recupero delle ceneri, così come la disponibilità e i costi della
biomassa.
Una regola generale di massima sarebbe che la biomassa legnosa può alimentare una caldaia
a carbone fino al 20% senza modifiche sostanziali o problemi, mentre per la biomassa
erbacea la quota sarebbe limitata al 10% a causa del suo contenuto in cloro e alcali.
La co-combustione con carbone ad alto contenuto di zolfo può attenuare alcuni dei problemi
di corrosione dovuti alla biomassa erbacea, come discusso in Appendice sulle Ceneri.
Generalmente, però, la co-combustione è una scelta eccellente per l'utilizzo energetico della
biomassa. Per esempio, uno degli impianti di cogenerazione più efficienti (42% efficienza
elettrica, il 92% di efficienza totale) e più grandi nel mondo è Avedøre 2, gestito da DONG
Energy. Avedøre 2 rifornisce la rete distrettuale di teleriscaldamento di Copenaghen e opera
su un concetto di multi carburante. La caldaia principale di 800 MWth funziona con una
miscela di gas naturale, olio combustibile pesante e pellet di legno, mentre una secondaria a
griglia con capacità di 105 MWth è alimentata con balle di paglia. Il vapore prodotto dalla
caldaia a paglia è infine utilizzato nella stessa turbina a vapore della caldaia principale,
attuando così una coalimentazione in parallelo che aumenta l'efficienza complessiva.
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Figure 04-02 2: Schema di un impianto di co-combustione di una centrale elettrica a carbone
(Fonte: KEMA/IEA Task 32)
Negli ultimi anni, ci sono state alcune iniziative di adeguamento di vecchie centrali a carbone
a quote termiche di biomassa molto elevate per ragioni economiche e ambientali. Il Belgio è
uno dei leader mondiali in questi progetti: l’unità 4 della centrale Les Awirs e l’unità 4 della
centrale elettrica Rodenhuize sono già stati convertiti al 100% alla combustione di pellet di
legno. Le grandi quantità di pellet necessari per il funzionamento di tali impianti sono
tipicamente spedite dall'estero, ad esempio dal Canada. Progetti con combustibili da biomasse
erbacee non sono stati ancora realizzati, in parte a causa delle sfide tecniche che richiede la
materia prima e in parte a causa della mancanza di mercati mondiali consolidati di agropellet.
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04-02-03: Applicazioni di combustione di biomasse erbacee in
piccola scala - riscaldamento residenziale
Come accennato nell'introduzione di questo capitolo, l'utilizzo di biomasse erbacee per la
produzione di calore ai fini residenziali è molto diffusa in molti paesi del terzo mondo, così
come in alcune zone rurali d'Europa. L'efficienza e le emissioni variano notevolmente a
seconda della tecnologia e del carburante.
La paglia è probabilmente la biomassa erbacea più utilizzata per riscaldamento su piccola
scala in Europa. Un tipo comune di caldaia per riscaldamento a paglia è "l’impianto a
porzione" in cui viene riempita la camera di combustione periodicamente con balle di paglia.
Sistemi più piccoli che lavorano con piccole balle possono essere alimentati a mano, mentre i
sistemi di grandi dimensioni richiedono grandi balle rotonde o squadrate e un nastro
trasportatore per l'alimentazione della caldaia. Esistono caldaie alimentate automaticamente a
paglia, dove la paglia è preventivamente tagliata e immessa attraverso un sistema di trasporto
nella camera di combustione. L'efficienza di tali sistemi è passata dal 30-40% della metà
degli anni 1970 al 80% o superiore ad oggi. I sistemi ad alimentazione automatica tendono
anche ad essere più efficienti di quelli manuali.
Nonostante questi miglioramenti tecnologici significativi, i sistemi di combustione a
biomassa erbacea per applicazioni su piccola scala sono scarsi rispetto ai loro omologhi a
biomassa legnosa. Per le caldaie a biomassa, la norma europea di riferimento per la loro
efficienza è la EN 303:05. Secondo questa norma, le caldaie a biomassa sono classificate da 1
a 5, dove ogni classe corrisponde a determinati requisiti in termini di efficienza ed emissioni
in funzione del sistema di alimentazione (manuale o automatico) e della capacità della
caldaia.
In Grecia, ad esempio, le caldaie devono essere testate e approvate in Classe 3 o superiore
prima di poter essere utilizzate in impianti di riscaldamento domestico. Questo è un requisito
più facilmente raggiungibile dalle caldaie a biomassa legnosa che non da quelle a biomasse
erbacee. Le emissioni di polveri, ad esempio, e soprattutto le più dannose emissioni di PM1,
tendono ad essere più elevate per la biomassa erbacea a causa del maggior contenuto di
componenti inorganiche volatili rispetto alla biomassa legnosa.
L'elevato contenuto di ceneri delle biomasse erbacee, inoltre, pone alcune questioni operative
e di "Comfort" per le caldaie a biomasse erbacee. La formazione di agglomerati e la
corrosione sono un problema per questi tipi di caldaie, nonché per i loro omologhi superiori.
In una caldaia a pellet alimentata a pellet di paglia, potrebbe accadere che il sistema di
rimozione della cenere viene bloccato a causa della presenza di agglomerati di cenere fusa.
Inoltre, rispetto ad intervalli di pulizia di un mese per le caldaie a pellet di legno, una caldaia
a pellet di paglia per esempio, necessita della pulizia della cassetta della cenere da quattro a
sei volte più spesso, senza la considerazione di eventuali problemi.
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In generale,le caldaie per il riscaldamento delle singole case non sono attualmente la
soluzione ottimale per l'utilizzo delle risorse di biomassa erbacea, soprattutto in aree urbane.
Ci sono tuttavia alcuni esempi positivi di applicazione, che appartengono alla capacità
organizzative migliori della categoria della "piccola scala". In diverse zone rurali in
Danimarca sono stati installati sistemi di riscaldamento di case vicinali.
In genere, tali sistemi sono gestiti da un contadino con accesso a notevoli quantità di paglia a
basso costo. Il contadino installa e gestisce la caldaia nelle sue strutture, copre la propria
domanda di riscaldamento e fornisce il calore in eccesso a un massimo di 70-80 case vicine o
altri edifici. La distanza tra gli edifici della rete non deve essere troppo grande per evitare
eccessive perdite di calore nei tubi e per mantenere una ragionevole economia di progetto. I
parametri fondamentali da tenere in considerazione sono, proprio come per i grandi sistemi di
teleriscaldamento, il carico di linea e la densità di energia areale. Troverete la discussione su
questi parametri nella sezione di testo 04-00-08j.
04-02-04: Applicazioni delle biomasse erbacee nella gassificazione
termica
La gassificazione termica, come spiegato nella sezione 04-00-04, è un processo che mira a
convertire completamente un combustibile solido in una miscela di gas combustibile. Il
processo richiede generalmente temperature elevate e avviene normalmente in un reattore che
è allo stesso tempo a letto fisso o a letto fluido. La differenza rispetto agli altri sistemi di
combustione è che l'apporto di ossigeno durante l'intero processo è inferiore a quanto
richiesto per la completa ossidazione del carburante, per cui i gas prodotti mantengono il loro
potere calorifico.
Generalmente, il gas prodotto durante il processo di gassificazione può essere utilizzato sia
come combustibile, quando i problemi dovuti alla fusione delle ceneri non sono rilevanti, che
come gas di sintesi per la produzione di sostanze chimiche - in questo caso vi sono requisiti
più restrittivi in termine di purezza del carburante.
Le materie prime erbacee da biomassa presentano due tipi di problemi nei reattori di
gassificazione:
Il primo, proprio come nel caso della combustione, è legato al contenuto di ceneri nel
combustibile. Mentre il gas prodotto può essere considerato esente da ceneri pertanto può
essere bruciato molto più facilmente, resta un problema la fusione delle ceneri per il reattore
di gassificazione. Reattori di gassificazione a letto fluido per esempio, possono essere
soggetti alla formazione di agglomerati, un fenomeno che è stato descritto nella sezione 0402-03a. Per ridurre questi problemi, l'azienda danese DONG Energy ha sviluppato un
gassificatore a letto fluido a a bassa temperatura (vedi Figura 04-02 3).
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In questo processo, la paglia e altri tipi di biomasse problematiche sono alimentate
inizialmente in un letto fluidizzato in cui avviene la pirolisi a bassa temperatura (~ 650 ° C).
La temperatura di processo è sufficientemente bassa per evitare la fusione delle ceneri ed il
significativo rilascio di ceneri volatili, mentre il carbone rimanente viene gassificato in un
altro reattore, ad una temperatura superiore. Per la rimozione di particelle di polvere vengono
utilizzati due cicloni, il gas prodotto è quindi adatto per la combustione. Un impianto
dimostrativo a 6 MW è operativo in Danimarca; circa il 95% dell'energia del combustibile
viene convertita in un prodotto gassoso che viene poi bruciato in una vicina centrale a
carbone. Ulteriori informazioni sull’impianto possono essere trovate qui:
http://www.dongenergy.com/pyroneer/
La seconda problematica per quanto riguarda la gassificazione della biomassa erbacea
riguarda le impurità presenti nel gas prodotto. Poiché la biomassa erbacea ha concentrazioni
relativamente elevate di zolfo, cloro e specie alcaline volatili, impurezze come H2S, HCl,
ammoniaca e particelle di aerosol tendono ad essere presenti in concentrazioni più elevate
rispetto alla gassificazione della biomassa legnosa. Come precedentemente accennato, le
impurità del carburante pongono considerevoli sfide per alcuni utilizzi del gas prodotto: per
esempio, nella combustione in turbine o celle a combustibile o nel suo utilizzo come gas di
sintesi per la produzione di sostanze chimiche.
Una porzione significativa – circa un terzo in alcuni processi - dell'energia nel gas prodotto è
in forma di calore sensibile a causa delle elevate temperature di processo utilizzati in
gassificazione termica. Il raffreddamento del gas facilita la pulizia, ma il prezzo pagato è una
perdita significativa di energia. La depurazione dei gas di scarico è d’altra parte molto più
difficile da realizzare e rimane un serio ostacolo per la gassificazione.
Figure 04-02 3: Il gassificatore Pyroneer alimentato a paglia a Kalundborg (Fonte: DONG
Energy)
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04-02-05: Pirolisi di biomasse erbacee
La pirolisi è un processo che avviene sia a elevate che a basse temperature. A seconda della
temperatura viene prodotta una miscela variabile di combustibili gassosi, liquidi e solidi.
Per massimizzare la resa del prodotto liquido, devono essere utilizzate basse temperature (~
500 ° C), elevate velocità di riscaldamento e tempi brevi di permanenza del gas. I prodotti
liquidi della pirolisi della biomassa sono tipicamente una miscela di composti organici
ossigenati, quali furani, acidi, chetoni, idrocarburi aromatici, ecc; la loro relativa presenza nel
liquido di pirolisi dipende dalle materie prime e dalle condizioni di processo. Ad esempio, la
pirolisi in presenza di zeoliti come catalizzatori può comportare rese inferiori di prodotti
liquidi, con una percentuale inferiore di composti ossigenati, per cui la quantità di carburante
è inferiore ma la qualità è maggiore.
Per la biomassa erbacea è stato osservato che alcuni componenti della cenere, soprattutto
potassio e calcio, catalizzano le reazioni di pirolisi e la formazione di carbone. Particelle di
carbone con diametro inferiore al micron formatesi da questo tipo di reazioni finiscono nella
frazione liquida in sospensione e costituiscono parte della cenere del carburante. Quindi il
rilascio della cenere e degli alcali durante la sua combustione può presentare un problema a
meno che il liquido di pirolisi non venga migliorato.
Fino ad ora, il numero di impianti di pirolisi operativi commerciali è piuttosto bassa, per cui i
costi di capitale di un tale investimento tendenzialmente sono molto elevati rispetto ad altri
processi.
Se il prodotto desiderato dal processo dalla pirolisi è la componente solida, sono necessarie
basse temperature e basse velocità di riscaldamento. Questo processo è comunemente noto
come "torrefazione". Negli ultimi anni, numerose ricerche e attività di sviluppo tecnologico si
sono concentrate su questo processo, con l'intenzione di produrre biocombustibili solidi
migliorati che dispongono densità energetica più elevata, migliore facilità di macinazione e
maggiore idrofobicità.
Fondamentalmente, la torrefazione è un processo di carbonizzazione, e il suo obiettivo è
quello di produrre un combustibile che può facilmente integrare il carbone in grandi centrali
elettriche. Finora, la maggior parte delle attività e progetti dimostrativi della tecnologia di
torrefazione, di cui ci sono diverse teorie disponibili - si concentrano sulla biomassa legnosa.
Per la biomassa erbacea, la questione principale è il contenuto nel carburante di cloro e alcali,
come discusso nel 04-02-02. I risultati sono in conflitto se queste specie volatili
effettivamente escono dal biocombustibile solido durante la torrefazione o meno e, quindi,
non è chiaro se questo processo può essere utilizzato per risolvere le questioni legate alla
fusione delle ceneri, alle incrostazione, alla corrosione, etc dovute alle biomasse erbacee.
Maggiori informazioni sul processo di torrefazione applicato alla biomassa legnosa può
essere trovata nella sezione 04-01-02d.
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04-02-06: Fermentazione biochimica di biomasse erbacee
La produzione di bioetanolo a partire da prodotti agricoli, comunemente denominati
biocarburanti di prima generazione, è una tecnologia che ha dimostrato di essere pienamente
commerciale ed è operativa con impianti su larga scala in paesi come il Brasile e gli Stati
Uniti. Le tipiche materie prime dei biocarburanti di prima generazione sono ricche di
zuccheri e / o amido: canna da zucchero e mais. Tuttavia, poiché si tratta di prodotti che sono
in realtà commestibili per gli esseri umani, la produzione di bioetanolo da biocarburanti di
prima generazione è un argomento controverso dal punto di vista etico.
La produzione di bioetanolo per biocarburanti di seconda generazione, come per esempio da
residui agricoli erbacei, come paglia o paglia del mais è considerato meno controverso da un
punta di vista etico ma molto più difficile tecnicamente. Tali materie prime contengono
cellulosa ed emicellulosa, che possono essere scomposte in zuccheri, utilizzando enzimi
adatti. Tuttavia, la struttura della biomassa e la presenza di lignina, che non è digeribile,
richiede alcuni tipi di pre-trattamento per fare in modo che la cellulosa divenga facilmente
accessibile agli enzimi.
Lo stato attuale delle tecnologie di pre-trattamento e la scarsa efficacia e/o gli elevati costi
degli enzimi in grado di scindere la cellulosa e l'emicellulosa sono stati il principale collo di
bottiglia della produzione di bioetanolo di seconda generazione da materie prime a base di
biomassa erbacea. Tuttavia, diverse attività di RST hanno portato questa tecnologia molto più
vicino ad una scala commerciale.
Negli Stati Uniti, è stato posto l'accento sull'uso di paglia del mais (residui di mais) come
materia prima, per l'abbondanza percepita della risorsa e dell’attuale funzionamento di una
serie di strutture che già producono etanolo dalla granella di mais. Invece la ricerca in Europa
si è soprattutto focalizzata sul bioetanolo dalla paglia. Come nel caso della combustione della
paglia, ci sono per lo più aziende danesi all'avanguardia di questa tecnologia.
La prima idea (Figura 04-02 4, sinistra), sviluppata dalla Inbicon controllata dalla DONG
Energy, è quella di partire da un pretrattamento della paglia ad una pressione di 15 bar e una
temperatura di circa 185 ° C. Questo rompe effettivamente la struttura della biomassa in
zuccheri (con il vantaggio ulteriore di rimuovere i sali clorurati). Dopo questo, il processo è
simile alla produzione di bioetanolo di prima generazione (ad esempio fermentazione degli
zuccheri in etanolo e distillazione del prodotto).
La componente solida rimanente, essenzialmente la lignina, può essere utilizzata come
combustibile in un impianto di cogenerazione integrato per fornire il vapore per
procedimento di pretrattamento per la paglia o può essere usata per altri scopi. Inbicon ha in
funzione un impianto a Kalundborg che gestisce 30.000 tn di paglia all'anno e produce 5,4
milioni di litri di bioetanolo, insieme a quantitativi di pellet di lignina e melassa C5. Ulteriori
informazioni possono essere trovate qui.
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Una seconda idea, sviluppato dalla società BIOGASOL è presentata sul lato destro della
Figura 04-02 4. Il pre-trattamento della paglia in questa tecnologia avviene secondo una
“cottura a pressione", che è essenzialmente un trattamento idrotermico in una soluzione
debolmente acida o basica. Dopo che la biomassa si è “rotta", gli enzimi sono aggiunti in due
step, nel primo il glucosio è convertito da cellulosa in etanolo, mentre nel il secondo accade
la stessa cosa con lo xilosio dell’emicellulosa.
L'acqua del processo, compreso il residuo della biomassa viene quindi alimentato ad una
reattore per produrre bio-metano. Questa tecnologia è stata applicata su scala pilota, mentre il
lavoro sul progetto BornBioFuel, porterà la tecnologia a una scala semi-industriale.
Figure 04-02 4: Produzione di bioetanolo da paglia in base alla tecnologia della Inbicom
(sinistra) e della Biogasol (destra) (Fonte: INBIOM)
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04-02-07: Digestione anaerobica di biomasse erbacee
Come citato nella sezione 04-00-01, la digestione biochimica (anaerobica) è il processo che
produce un gas costituito principalmente da anidride carbonica e metano attraverso la
digestione operata da funghi o batteri partendo di biomassa come materia prima con alta
umidità. La digestione anaerobica funziona bene con materie prime che sono facilmente
digeribili, fanghi, letame, fanghi di depurazione ecc. L’alta percentuale di umidità, invece di
essere un ostacolo, come avviene nelle applicazioni di combustione, in realtà favorisce i
processi digestivi.
Per i combustibili da biomassa erbacee, la facilità di digestione dipende dai legami tra le sue
componenti strutturali: cellulosa, emicellulosa e lignina. La lignina in particolare, come nel
caso della fermentazione, è generalmente non digeribile. Pertanto è spesso necessario per
raggiungere rese di gas sufficientemente elevate da rendere l'intero processo economico un
pre-trattamento della biomassa erbacea e la rottura della sua struttura in ciò che è noto come
la fase di idrolisi della digestione anaerobica (si veda anche il capitolo 04-03)
Ci sono diversi metodi di pretrattamento, che possono essere impiegati per la biomassa
erbacea prima della digestione anaerobica: metodi fisici, chimici, fisico-chimici e biologici.
Esempi tipici sono la steam explosion, l’estrazione con acqua calda, il trattamento con acido
solforico, idrossido di sodio o altre sostanze,l’ossidazione ad umido, ecc
Se la biomassa erbacea viene utilizzata come materia prima per la produzione di solo biogas,
allora il restante prodotto non digeribili contenete vari nutrienti come carbonio non
convertito, può essere restituito al campo come fertilizzante naturale. Se viene utilizzata una
miscela di biomassa erbacea ed altri rifiuti, allora il suo riutilizzo è soggetto a limitazioni, a
seconda della purezza del residuo.
La produzione di biogas da colture energetiche e da alcuni residui agricoli come più
comunemente insilati di mais, è molto diffusa in diversi paesi europei e, nonostante alcuni
problemi operativi che possono verificarsi,questa tecnologia può essere considerata matura.
Vedere il capitolo 04-03 per maggiori dettagli su questo processo.
04-02-08: Aspetti di pianificazione per le applicazioni della
biomassa erbacee
Questo capitolo dovrebbe mostrare al lettore che l'utilizzo di biomasse erbacee per la
produzione di energia pone sfide più significative da un punto di vista tecnico rispetto alla
biomassa legnosa. Questo è un motivo principale che spiega perché gli impianti che usano le
biomasse erbacee come materia prima non sono così diffusi.
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La maggior parte dei problemi tecnici associati all’utilizzo di biomasse erbacee deriva da
alcuni componenti, come l’elevato contenuto di cloro e gli alcali nella cenere del carburante.
Poiché questi parametri possono variare a seconda del tipo di pianta, della condizioni del
suolo, della condizioni di conservazione, ecc, è generalmente una buona prassi eseguire un
numero di analisi del combustibile e della cenere della materia prima da utilizzare per avere
un’idea precisa delle sue caratteristiche. La maggior parte, se non tutti, dei fornitori di
impianti baseranno i loro progetti su tali valori. Dati di letteratura possono essere usati, ma i
valori possono variare notevolmente a causa delle condizioni effettive di certe materie prime,
come per molte colture energetiche, i dati possono essere scarsi o in conflitto.
Per quanto riguarda la scala di applicazione,la combustione di biomassa erbacea è
generalmente poco adatta per impianti su piccola scala, in quanto le emissioni e le
problematiche operative che essi presentano non possono essere gestite facilmente in piccoli
sistemi. Sistemi su larga scala sono generalmente preferibili da un punto di vista operativo e
ambientale, anche se la dimensione effettiva può essere limitata da considerazioni di filiera e
fabbisogno energetico (il consumo di calore per esempio è meno concentrata in zone rurali
rispetto a quelle urbane).
La combustione diretta è in genere la tecnologia più matura, con numerosi esempi di impianti
operativi. La fermentazione biochimica e la digestione anaerobica sono i prossimi in termini
di maturità commerciale, mentre altri processi sono in ritardo. In generale, il rischio tecnico
con tale materia prima è maggiore e il progettista deve cercare di scegliere le opzioni di
utilizzo e le variabili operative con provata efficacia per evitare errori futuri. E’ probabile
inoltre una minore efficienza nei primi anni di attività e questo ha influenza sul rendimento
economico dell’impianto.
Per evitare i problemi associati alla cenere della biomassa erbacea, il suo uso in miscele di
carburante è possibile, la co-combustione con il carbone è un processo altamente efficiente, e
a causa delle grandi dimensioni della maggior parte delle centrali a carbone, esse sono in
grado di assorbire grandi quantità di carburante. La sostituzione di biomassa legnosa con
biomassa erbacea è possibile anche nella maggior parte degli impianti, con la possibile
eccezione del riscaldamento residenziale. Una regola generale sarebbe che la biomassa
erbacea può contribuire circa per il 10 - 20% all'energia della miscela combustibile senza
problemi - la raccomandazione finale però rimane dettata dal fornitore.
Infine, deve essere considerato dal progettista del sistema il problema del trattamento dei
residui prodotti. La Cenere e/o i residui dei processi che interessano soltanto biomassa
erbacea pulita di solito possono essere restituiti al suolo come fertilizzanti. Se la biomassa
erbacea viene miscelata con altri combustibili, il riciclaggio come fertilizzante non può essere
possibile se ci sono inquinanti nel residuo. Inoltre, nei casi in cui la biomassa erbacea è coalimentata con carbone o biomassa legnosa, le restrizioni riguardanti il trattamento delle
ceneri del combustibile principale possono comportare alcune limitazioni sulla quota termica
massima utilizzabile di combustibile erbaceo. Leggere l'Appendice sulle Ceneri per maggiori
informazioni sulla questione dell’utilizzo della cenere.
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Riferimenti
Per quanto riguarda il carburante da biomassa erbacea e le caratteristiche delle ceneri, il
primo passo consiste nell’esaminare le informazioni disponibili presso le banche dati
esistenti. Il lettore faccia riferimento ai seguenti database:



Phyllis database
BIODAT
NREAL biomass database
Altre pubblicazioni o presentazioni potrebbero risultare utili, a condizione che il lettore si
ricordi che la composizione delle ceneri nella biomassa erbacea può variare notevolmente tra
le località, anche per la stessa specie. I seguenti riferimenti si sono rivelati utili agli autori:


R.R. Bakker, H.W. Elbersen, Managing Ash Content and Quality in Herbaceous
Biomass: An analysis from plant to product
J. Werther, M. Saenger, E.U. Hartge, T. Ogada, Z. Siagi (2000) Combustion of
agricultural residues, Progress in Energy and Combustion Science, 26(1):1-27
Per una discussione più tecnica sulle caratteristiche delle biomasse erbacee e sulle tecnologie
di combustione e gassificazione, ma senza approfondire a livello di articoli di ricerca, si
consiglia al lettore di provare le seguenti pubblicazioni:


Van Loo S., Koppejan J. (2008), “Handbook of biomass combustion & co-firing”,
Earthscan, London, United Kingdom.
Grammelis P. (ed.) (2010), “Solid Biofuels for Energy: A Lower Greenhouse Gas
Alternative”, Springer-Verlag, London, United Kingdom.
IEA Bioenergy ha un certo numero di gruppi di lavoro che si occupano di diversi aspetti
dell’utilizzo della biomassa. Task 32: Biomass Combustion and Co-firing, Task 33: Thermal
Gasification of Biomass, Task 34: Pyrolysis of Biomass, li trovate qui e sono una buona fonte
per ulteriori informazioni sull'argomento.
In Europa, l'esperienza danese sull’utilizzo della paglia è senza pari. Ulteriori informazioni
sulle tecnologie e le unità operative con la paglia sono disponibili nelle seguenti
pubblicazioni:
 Straw to energy – status, technologies and innovation in Denmark 2011
 Bioenergy for electricity and heat – experiences from biomass-fired CHP plants in
Denmark