``Novembre`` di Gustave Flaubert

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``Novembre`` di Gustave Flaubert
"Novembre" di Gustave Flaubert. Un libro che amo molto,
uno dei miei scrittori preferiti, ormai da anni. Questo libro
lo lessi anni fa, e fotocopiai qualcosa, i passi più belli, che
più mi emozionavano; ne riporto qualcuno, anche se
l'intero libro merita di essere letto.
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Amo l'autunno, questa triste stagione si addice ai ricordi.
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Quando gli alberi non hanno più foglie, quando il cielo
conserva ancora al crepuscolo la rossa tinta che indora
l'erba appassita, è dolce guardare spegnersi tutto ciò che
poco fa bruciava ancora in noi.
Sono appena rientrato da una passeggiata nei prati deserti,
lungo la riva di freddi fossati dove i salici si specchiano. Il
vento faceva fischiare i loro rami spogli; a tratti taceva, per
poi ricominciare d'improvviso; allora le piccole foglie
rimaste attaccate ai cespugli tremavano di nuovo, l'erba
rabbrividiva reclinandosi a terra, tutto sembrava diventare
più gelido e pallido: all'orizzonte, il disco del sole si perdeva
nel bianco colore del cielo, e lo penetrava intorno d'un poco
di vita morente. Avevo freddo e quasi paura.
Mi sono messo al riparo dietro una montagnetta erbosa. Il
vento era cessato. Non so perchè, mentre ero là, senza
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pensare nulla, a osservare il fumo che saliva dalle capanne,
l'intera mia vita mi è apparsa agli occhi come un fantasma,
e il profumo amaro dei giorni che non ci sono più mi è
tornato con l'odore dell'erba seccata e del legno morto; i
miei poveri anni mi sono sfilati davanti come trascinati
dall'inverno in una lamentosa tormenta; qualcosa di
terribile li faceva scorrere nel mio ricordo.
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Nei caffè c'era un gran rumore, gli specchi scintillavano al
fuoco dei lumi a gas; i coltelli risuonavano sui tavoli di
marmo; alla porta, i poveri, battendo i denti, si alzavano
sulle punte dei piedi per vedere i ricchi mangiare; mi
mescolavo a loro e con lo stesso sguardo osservavo i
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fortunati della terra; ero geloso della loro banale gioia,
poichè ci sono giorni in cui si è tristi e si vorrebbe esserlo
ancora di più; la via più facile, allora, è sprofondare nella
disperazione per il gusto di farlo: si ha il cuore gonfio di
lacrime e si cerca ancora di piangere. Ho spesso sperato di
essere un miserabile e di vestire di stracci, di essere
tormentato dalla fame, di sentire il sangue sgorgare da una
ferita, di provare dell'odio e di volermi vendicare.
Qual è dunque questo dolore inquieto, di cui si è fieri come
del genio e che si nasconde come un amore? Non se ne
parla a nessuno, lo si tiene solo per noi, lo si stringe al petto
e lo si bacia tra le lacrime. Eppure, di che lamentarsi? E chi
ci rende così cupi nell'età in cui tutto sorride? Non abbiamo
forse amici devoti, una famiglia di cui siamo l'orgoglio,
stivali di vernice, un cappotto imbottito, ecc.? Rapsodie
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poetiche, ricordi di cattive letture, iperboli retoriche, ecco
ciò che sono tutti questi grandi dolori senza nome; ma la
felicità non sarà forse soltanto una metafora inventata in
un giorno di noia? Ne ho a lungo dubitato, oggi non ne
dubito più.
Non ho amato nulla e avrei voluto amare tutto.
Dovrò morire senza aver assaporato nulla di buono.
La vita umana mi offre ancora adesso mille aspetti che io
ho appena intravisto: ma, in riva a una sorgente e su un
cavallo ansante, ho udito il suono del corno dal fondo del
bosco; mai ho sentito, in una notte dolce, respirando il
profumo delle rose, una mano fremere nella mia e
stringerla in silenzio. Ah! Sono più vuoto, più triste di una
botte sfondata, da cui tutto il vino è stato bevuto e dove i
ragni tessono le loro tele nell'ombra.
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Ero, dunque, ciò che si è tutti, un uomo qualunque che vive,
dorme, mangia, beve, piange, ride, ben chiuso dentro se
stesso e che ritrova in sé, ovunque vada, le stesse rovine di
speranze appena costruite e già crollate, la stessa polvere di
cose frantumate. gli stessi sentieri percorsi mille volte, le
stesse profondità inesplorate, terribili e angosciose. Non
siete stanchi anche voi, come me, di svegliarvi al mattino e
di rivedere il sole?
Stanchi di desiderare e stanchi di essere disgustati?
Stanchi di attendere e stanchi di avere?
A quale scopo scrivere tutto ciò? Perchè continuare con la
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stessa voce dolente, lo stesso racconto funebre? Quando
l'ho cominciato, io lo credevo bello, ma ora, man mano che
procedo, le lacrime mi cadono sul cuore e mi spengono la
voce.
Oh! Il pallido sole d'inverno! è triste come un ricordo felice.
Siamo circondati da ombre, guardiamo ardere il nostro
focolare; i carboni sono coperti da grosse righe nere che
s'incrociano, che sembrano pulsare come vene animate da
un'altra vita; aspettiamo che giunga la notte.
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Non consumando l'esistenza, l'esistenza mi consumava; i
miei sogni mi affaticavano più di grandi imprese; un'intera
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creazione, immobile, sconosciuta a se stessa, viveva
sordamente nascosta nella mia vita; ero come un dormiente
caos di mille fecondi princìpi che non sapevano
manifestarsi né che fare di se stessi; cercavano una forma, e
il loro stampo
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Talvolta mi chiedevo se non mi stavo ingannando;
consideravo la mia giovinezza, il mio avvenire, ma che
pietosa giovinezza, che vuoto avvenire!
Quando volevo uscire dallo spettacolo della mia miseria e
guardare il mondo, ciò che mi si presentava non erano che
urla, lamenti, lacrime, convulsioni, la stessa commedia che
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tornava incessantemente con gli stessi attori.
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Invano è passato il tempo e ogni mattino il giorno è
ritornato, invano il mio corpo è stato consumato in ogni
angolo per il piacere degli uomini: sono ciò che ero a dieci
anni, vergine, vergine è colei che non ha un marito, che non
ha amante, che non ha conosciuto il piacere e lo sogna
senza pace, che s'inventa deliziosi fantasmi che le appaiono
anche in sogno, che ne sente la voce nel rumore del vento,
che ne cerca i lineamenti nel volto della Luna. Io sono
vergine! La cosa ti fa ridere? Ma non ne ho forse i vaghi
presentimenti, gli ardenti languori?
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Ne ho tutto, salvo la verginità stessa.
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La casa è stata demolita. Nessuno ha saputo dirmi che ne è
stato di lei.
Il desiderio di una donna che si è posseduta è qualcosa
d'atroce e mille volte peggiore d'ogni altro; tremende
immagini vengono allora a perseguitarci come dei rimorsi.
Non sono geloso degli
degli uomini che l'hanno avuta prima di
me, ma sono geloso di coloro che l'hanno avuta dopo;un
tacito accordo doveva fare in modo che ci restassimo fedeli;
per più di un anno ho mantenuto il mio proposito e poi il
caso, la noia, la stanchezza dello stesso sentimento, forse,
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mi hanno spinto a mancare. Ma ora era lei che io cercavo
ovunque; nel letto delle altre io sognavo le sue carezze.
[...]
La donna di cui quasi tutti gli uomini sono in cerca non è
forse che il ricordo di un amore concepito in cielo o nei
primi giorni di vita; noi siamo alla ricerca di tutto ciò che
ne richiami l'immagine; la seconda donna che si ama
rassomiglia quasi sempre alla prima; solo gli uomini
corrotti o coloro che hanno un cuore molto aperto possono
amare tutto.
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