Rudolf Carnap - Uberto Scardino
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Rudolf Carnap - Uberto Scardino
Rudolf Carnap LA SCIENZA E LA METAFISICA DAVANTI ALL'ANALISI LOGICA DEL LINGUAGGIO Traduzione di Uberto Scardino 2010 Rudolf Carnap LA SCIENZA E LA METAFISICA DAVANTI ALL'ANALISI LOGICA DEL LINGUAGGIO. 2010 Premessa Ho ritrovato questo libro nella biblioteca principale della mia città. Stavo cercando dei testi filosofici che avessero per argomento la scienza e la metafisica appunto, quando il titolo del libro di Carnap era quello che centrava maggiormente l'argomento. L'ho chiesto in prestito e con mia grossa sorpresa ho scoperto che non era stato mai sfogliato, poiché le pagine erano ancora da tagliare, come si dice, ancora intonso. Ma la mia sorpresa è stata ancora maggiore quando sono andato a leggere la data di edizione: 1934. Ciò significava che nessuno, presumo da quando era stato acquistato dalla biblioteca, l'aveva da allora aperto e almeno sfogliato. Non ho mai voluto fare indagini più approfondite in tal senso. Ho deciso però di saperne di più circa le edizioni e cioè se esistessero altre edizioni più aggiornate e recenti in Italia e magari tradotte, ma a quanto mi risulta, ancora oggi non ce n'è alcuna. Quindi il passo successivo, quello della sua traduzione è stato per me necessario. Questo libro che ho tradotto, è a sua volta una traduzione in francese di un articolo di Rudolf Carnap, apparso sulla sua rivista tedesca di filosofia, Erkenntnis (conoscenza), diretta con Hans Reichenbach. Carnap aveva contatti con il gruppo del Circolo di Vienna ed un circolo con le stesse idee era sorto contemporaneamente a Berlino, sotto la guida di Reichenbach che assieme a Carnap, aveva diretto tale rivista e che univa gli intellettuali di Berlino e di Vienna, i neopositivisti o anche detti empiristi logici, con i quali condivide le idee basate sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore proprio della scienza. Alla sua base stanno i concetti di empirico, ossia relazionato all’esperienza e logico, dal momento che i suoi sostenitori ritengono che il sapere debba essere analizzato secondo i criteri logici propri dell’analisi del linguaggio. Gli empiristi logici sostenevano che la risoluzione degli equivoci e delle ambiguità legate al linguaggio conduce alla risoluzione degli stessi problemi filosofici, poiché il loro sorgere dipenderebbe da un uso scorretto delle parole. La filosofia deve avere un ruolo chiarificatore. Non può essere un sapere puramente speculativo, ma deve basarsi sull’esperienza per poter fondare in maniera rigorosa la conoscenza. La traduzione del testo di Carnap, fatta da Boll, era accompagnata da un suo commento introduttivo, che conservo in questo mio lavoro di traduzione. Marcel Boll nacque nel 1886 e morì nel 1958. Fu aggiunto e dottore delle Scienze Fisiche, professore di chimica e di elettricità alla Scuola degli Alti Studi Commerciali di Parigi, direttore e membro fondatore dell'Unione Razionalista. La sua opera eclettica, riguarda sia studenti di diverse discipline, quanto il grande pubblico grazie alle sue opere di divulgazione. Insieme al fratello Andrea, architetto, aveva creato un movimento di opinione in Francia, a favore dell'elitismo e cioè di un tipo di intellettuale che si basa su di una educazione scientifica e comportamentale, che non sia influenzato da pressioni di carattere politico o economico. Uberto Scardino Introduzione Oggi presentiamo la quinta edizione di questa serie, destinata a familiarizzare il pubblico di lingua francese con lo sforzo filosofico più importante che al momento attuale, scaturisce da veri sapienti. La presente esposizione, basata sul secondo tomo (1931) della rivista Erkenntnis, (edita da F.Meiner, Leipzig), è dovuta come il numero 76, a Rudolf Carnap, di cui abbiamo apprezzato l'opera e l'importante ruolo a proposito della sua esposizione: La vecchia e la nuova logica. Le pagine che si leggeranno, sono in qualche modo una conseguenza e un complemento alle idee espresse allora. Dopo Carnap, la metafisica è non solamente sterile, ma sprovvista di senso. È molto istruttivo, a questo proposito, approfondire la tabella del capitolo 5, che mostra sperimentalmente per così dire, come i metafisici si impegnino per creare frasi senza senso, vestendo l'apparenza della ragione. In particolare il passo da 2 A, Fuori c'è il nulla, a 3 A Non esiste niente che sia fuori, è per tutti noi, una rigorosa deduzione. Ma Carnap maliziosamente ci mette sotto gli occhi un passo di Martin Heidegger, che allinea delle parole senza successione, delle proposizioni contraddittorie. Questi autori dal successo facile non sono il vanto della Germania... Dopo lunghi anni, la filosofia universitaria francese considera la teologia come una branca della metafisica: questa trascinerà quella nel suo crollo? Esaminando in maniera superficiale gli scritti della scuola di Vienna, dapprima si sarebbe tentati di risolvere questa questione tramite una questione negativa. Così Philipp Frank, nella sua notevole opera Die Kausalitat und ihre Grenzen (Il nesso di causalità ed i suoi limiti (non ancora tradotta in francese)1, allude a ciò che potrebbe essere il mondo visto da una intelligenza infinita, ma nella sua essenza non si tratta che di una illazione ironica. Sembra che ciò valga anche per Rudolf Carnap, quando nella presente esposizione parla di un essere dotato di facoltà assolutamente illimitate. Ci siamo messi d'accordo tutti e tre per riconoscere quanto una 1 Traduco così come è scritto per l'epoca. tale illazione poteva essere rischiosa e fallace, così l'insieme della psico fisiologia conduce ad affermare che l'intelligenza cresce nello stesso senso della complessità del sistema nervoso, dagli esseri più rudimentali fino all'uomo. Ma al di là? Si ha il diritto di fare illazioni? La scienza non ci impegna mai. Al contrario, ogni nozione perde la sua efficienza e anche il suo significato, dal momento che si scosta in maniera esagerata dalle circostanze sperimentali, dove esso è stato formato, oltrepassando senza considerazione il limite: a) si ammetterà che la materia è divisibile all'infinito e non esisterebbe più la scienza dell'atomo, b) si ammetterà che la velocità può essere infinitamente grande, e non si avrebbe più la relatività, c) sì ammetterà che l'energia può essere divisa infinitamente e non si avrebbero più i quanta. La scienza passa il suo tempo a demolire le illazioni arbitrarie e per ritornare alle relazioni tra l'intelligenza e il sistema nervoso, non si saprebbe decidere se l'intelligenza crescerebbe al di là dell'uomo o se la curva non passasse attraverso un massimo, in tal modo che una complessità infinita di un sistema nervoso conferirebbe al suo possessore un'intelligenza inutile. A titolo di esercizio logico, non è forse inutile sottomettere al lettore una analoga tabella a quella di Carnap, ma che riguarda specialmente questa branca classica della metafisica, cioè la teologia. 1. 2. Frasi sensate del Produzione del linguaggio senza senso a corrente partire dal sensato nel linguaggio corrente A. Cosa c'è al di sopra? Al di sopra c'è la volta 3. Linguaggio corretto dal punto di vista sperimentale. A. A. Cosa c'è al di Non c'è una cosa sopra? x, che si trovi al Al di sopra, c'è di sopra (non l'Onnisciente. esiste nulla, nulla è presente) B. Cosa ne è questa volta? B. di Cosa ne è questo Onnisciente? 1) Conosciamo la volta 2) La volta volteggia di 1) Noi cerchiamo l'Onnisciente; noi troviamo l'Onnisciente, noi conosciamo l'Onnisciente; 2) L'Onnisciente onniscienta. 3) C'è solo l'Onnisciente, perché.......... Il parallelismo tra le due tabelle è completo, salvo in ciò che concerne il passaggio da 2 a 3: la proposizione 3A non è più inclusa in 2A. Essa è semplicemente conforme alle direttive, unanimamente ammesse dalla sperimentazione. Di conseguenza, è perfettamente inutile occuparsi di un concetto per il quale non si dispone che di una parola, definizione nominale, non accompagnata da un postulato, sperimentale, di esistenza, non accompagnata da Erlebniss, esperienza vissuta. Far intervenire, in qualche circostanza quello che sia un Onnisciente, non ha più senso quanto l'idea di sperimentare su un Universo rigorosamente euclideo, poiché in un tale Universo non c'è nulla dentro. È molto certo che, fin qui, non ci siamo occupati che di due dei tre Dio, dei quali c'è interesse a distinguere: il Dio dei metafisici, (l'orologiaio che ricostruisce periodicamente il mondo) è il Dio dei moralisti, (il pastore che conduce i capi del gregge dei viventi). Resta il Dio dei mistici, che si ricollega alle ultime pagine della presente opera, alle pagine dove l'autore collega la metafisica del sentimento della vita. Il misticismo è in realtà sotto la dipendenza della psicologia, ovvero della psicopatologia. Il professore americano James H. Leuha ha portato uno dei più importanti contributi alla questione in Psicopatologia del misticismo religioso2:”Il 2 Traduzione Lucien Herr, Alcan, 1925. Abbiamo presentato noi stessi un riassunto della questione nel tomo IV, (pp. 95-103) de L'evoluzione umana, prefazione di Paul Langevin, Quillet, 1934. credente conclude che sente Dio in un completamento paradossale di energia nervosa, è abbindolato dalla stessa illusione quanto il selvaggio, che comprende Dio in un colpo di fulmine”. In altri termini, il Dio dei mistici è un'interpretazione erronea di stati di esuberanza dovuti all'esagerazione episodica di certe funzioni della vita vegetativa. Tutti questi problemi appartengono effettivamente al dominio della scienza, allorché da questo momento furono qui abbandonati, per riprendere l'espressione di Leuba, a degli spiriti ”privati di una disciplina mentale ed estranei all'idea minore di una precisione scientifica”. E così aggiungiamo l'affermazione di Felix Le Dantec, allorché scriveva:“Esiste una verità, che si trova attraverso il metodo sperimentale. Al di fuori della verità scientifica, tutto ciò non è che chiacchiera o convenzione”. Così, la scienza umana è comparabile all'Universo della relatività generale: la scienza è definite, le sue dimensioni variano con i tempi, ma al di là non c'è nulla. Marcel Boll 1. La vanità della metafisica. Gli avversari alla metafisica non sono mancati, dagli scettici greci fino agli empiristi del XIX secolo e molto variegata si mostra la loro critica. Molti ritenevano la dottrina metafisica come falsa, in ragione della sua posizione contraddittoria di fronte alla scienza sperimentale. Altri la ritenevano dubbiosa, perché si vuole avvicinare a ciò che supera i limiti della conoscenza umana. Altri ancora, numerosi, non vedevano alcun vantaggio ad occuparsi di questioni metafisiche e anche a domandarsi se possono ricevere una risposta. Essi erano inclini ad attenersi ai problemi di ordine pratico che la nostra vita attiva solleva. I progressi della logica moderna3, oggi permettono di rispondere con più precisione a ciò che colpisce la legittimità ed il valore della metafisica. I lavori consacrati attraverso la logica applicata (teoria della conoscenza), l'espressione netta del contenuto nella conoscenza degli 3 V. Rudolf Carnap – L'antica e la nuova logica (Hermann). enunciati scientifici, del significato dei vocaboli (concetti) che figura in detti enunciati, lavori perseguiti con i mezzi dell'analisi logica, hanno fornito un risultato positivo e un risultato negativo. Il risultato positivo è acquisito secondo l'ordine della scienza sperimentale: spiegazione chiara dei concetti utilizzati in tutti i suoi domini, posizione solidamente stabilita dei loro rapporti, tanto dal punto di vista della logica formale quanto della teoria della conoscenza. È sul terreno della metafisica che l'analisi logica ha condotto ad un risultato negativo: le sue pretese proposizioni sono completamente sprovviste di senso. Disastro completo! Perché aveva resistito molto bene agli assalti precedenti, benché le si trovino già sviluppate delle idee analoghe alle idee attuali, in particolare presso i nominalisti. Gli attacchi non hanno potuto essere decisivi, che una volta stabiliti i procedimenti della logica in tutto rigore durante il corso degli ultimi decenni. L'espressione sprovvista di senso va presa con il suo significato letterale. Quando non ci si esprime con precisione completa, sovente si chiama così una frase o una questione senza interesse. Per esempio: “Qual'è il peso degli abitanti di Vienna, di cui il numero di telefono termina con un 3?”. O ancora meglio, una proposizione falsa, tanto logicamente quanto sperimentalmente, contraddittoria come: “Di questi due individui A e B, ognuno ha un anno di più dell'altro” Di frasi come quelle, benché vane o false, non hanno meno senso, perché è necessario affinché si possa dirne che esse sono utili o senza interesse, false o vere. Ma privo di senso, preso in una accezione rigorosa, si applica al contrario a un allineamento di parole che non costituisce una proposizione all'interno di una lingua determinata, esistente e di applicazione diffusa. A primo colpo d'occhio, si prenderebbe questo allineamento per una frase vera. È perciò che la chiameremo una pseudo-proposizione. Ora sosteniamo che quelle che si chiamano proposizioni (enunciati) in metafisica non sono puramente e semplicemente che pseudoproposizioni davanti alla critica della nostra analisi logica. Una lingua comporta un vocabolario e una sintassi. Il vocabolario è la lista dei vocaboli che comportano un senso e la sintassi si compone di regole, che indicano come le frasi devono essere costruite con le diverse specie di parole. Da questo fatto, abbiamo due specie di pseudo-proposizioni. Quelle dove figurano dei vocaboli di cui si è ammesso per errore che possiedono un senso. Quelle che si compongono di vocaboli provvisti di senso in maniera individuale, ma assemblati contro la sintassi, non creano una frase sensata. Citeremo degli esempi dei due casi presi in prestito dalla metafisica, così potremo giustificare la nostra affermazione che essa consiste interamente di pseudo-proposizioni. 2. Il significato di una parola. Quando un vocabolo ha un senso in una lingua costituita, si dice anche che designa un concetto. Quando questo significato è evidente, ma non stabilito, parleremo di pseudo-concetti. Come si spiega l'apparizione dei pseudo-concetti? Tutti i vocaboli non sono stati introdotti in maniera giusta nei linguaggi, in ragione del significato che a loro si era attribuito? Senza dubbio all'origine è così salvo rare eccezioni. Ma accade nel corso dell'evoluzione storica, che il vocabolo vede modificare il suo significato. Qualche volta si va anche perdendo, senza essere sostituito. Ecco come si producono gli pseudo-concetti. Dunque in che cosa consiste il significato di un vocabolo? Quali convenzioni bisogna porre, perché prenda un senso?4 In primo luogo, ci occorre possedere la sintassi del vocabolo, cioè il modo secondo il quale figura nella forma proposizionale più semplice dove sia normale collocarlo. Citeremo questa forma: il suo 4 Non ci importa qui che queste condizioni siano formulate esplicitamente, come ciò passi per alcuni termini e simboli, nella scienza moderna o tacitamente ammesse, come è generalmente il caso del linguaggio tradizionale. enunciato elementare. L'enunciato elementare per la parola pietra sarà per esempio, x è una pietra. Al posto del simbolo generale x, figurerà l'indicazione di un oggetto della categoria delle cose, sia questo diamante, questa mela. Occorre in secondo luogo avere per questo enunciato elementare E, la risposta alla seguente domanda, che possiamo formulare in maniera diversa, ma con un contenuto identico: 1° Da quali specie di proposizioni si può dedurre E. Quali proposizioni si possono trarre da E? 2° Come verificare E? 3° Quale è il senso di E? 4° In quali circostanze E è vero o falso? La 1° è la formulazione corretta anche detta sintattica. La 2° è la formulazione adattata al linguaggio della teoria della conoscenza. La 3° a quello della filosofia (fenomenologia). La 4° al linguaggio della logica. Wittgenstein dice: “Il senso di un enunciato propende verso i criteri della sua verità”. In altri termini, 3° e 4° sono equivalenti. Per un gran numero di vocaboli, la maggior parte dei vocaboli usati nella scienza, il loro significato può essere indicato con riferimento ad altri (definizione, costituzione). Ad esempio: gli artropodi sono degli animali che possiedono un corpo articolato, delle estremità articolate, una pelle... È la risposta che concerne l'enunciato elementare del vocabolo artropodo. Per le definizioni date, è stabilito che si può dedurlo da premesse della forma seguente: x è un animale, x ha un corpo articolato, eccetera. E al contrario, che ognuno di questi ultimi enunciati risulterà dall'enunciato elementare del vocabolo artropodo, vi sarà implicato. Il significato del vocabolo artropodo è allora posto completamente. Così, ogni vocabolo del linguaggio è rapportato ad altri e finalmente ai vocaboli che intervengono in ciò che si chiama enunciati di osservazione o enunciati protocollari5 6. 5 Nella terminologia di Carnap, protokollsatz, vuol dire enunciato liminare su un dato immediato, sull'immediatamente vissuto. L'autore ha pubblicato un articolo su questo soggetto nel tomo III della rivista Erkenntnis. 6 La questione del contenuto e della forma degli enunciati protocollati non ha ancora ricevuto una risposta definitiva, ma qui è senza importanza. Generalmente, nella teoria della conoscenza, si dice che essi concernono il “dato”, ma è a proposito del “dato” che l'accordo non è fatto. Talvolta si ammette che sono le qualità più semplici nell'ordine sensibile e nell'ordine sentimentale (caldo, blu, gioia, ecc.), per altri si tratta di esperienze globali vissute e dei loro rapporti. Talvolta si arriva fino ad ammettere che ci sia già una questione di cose. Le relazioni che pongono il loro enunciato elementare, altrimenti detto, le condizioni della loro verità, i metodi della loro verifica, le chiameremo, criterio di un vocabolo. Poiché il significato di un vocabolo è determinato dal suo criterio, una volta stabilito il criterio non si è più liberi di ciò che si intende attraverso questa parola, di ciò che vuol dire. Il criterio contiene tutto il senso, resta solamente da esplicitarlo seguendo i bisogni. Immaginiamo, a titolo di esempio, che si formi il nuovo vocabolo babu e che si venga ad affermare che ci sono delle cose babu e altre che non lo sono. Esigiamo il criterio: come, in un caso concreto, stabilire che una cosa è o non è babu? Forse si risponderà che non esiste criterio sperimentale. In questo caso, rifiuteremo di ammettere un vocabolo simile. Nondimeno ci si ostina a sostenere che ci sono delle cose babue e delle cose non babue, che questo non è che un enigma che per la sola intelligenza gracile degli uomini, di poterle Qualunque cosa sia, è certo che un allineamento di parole non possiede un senso che attraverso l'esistenza di relazioni, riferite a degli enunciati protocollari. Allo stesso modo accade per ogni parola, che non ha un senso se gli enunciati dove figura, non si leghino a degli enunciati protocollari. distinguere7. Ci ostineremo, a nostra volta, a guardare ciò come un vano chiacchiericcio. E di nuovo, il nostro interlocutore ritornerà alla carica. Pretende di pensare qualche cosa sotto questo aggettivo babu. La sua insistenza ci insegna unicamente il fatto psichico, che associa a questo vocabolo delle rappresentazioni e dei sentimenti, ma toccando il vocabolo stesso, non accade assolutamente niente. Le proposizioni, dove figurerà non possono dirci niente. Esse sono delle pseudo-proposizioni. Consideriamo ora, il caso dove esiste un nuovo criterio del vocabolo. La forma di questo criterio sarà per esempio: "La tale cosa è babu" è un enunciato vero, quando (e solamente quando) questa cosa è quadrangolare8. Allora, diremo che il vocabolo babu ha lo stesso significato del vocabolo quadrangolare senza poter ammettere, sottobanco, che si pretende intendere altra cosa ancora, di cui la quadrangolarità sarebbe l'aspetto visibile della babuità, che sarebbe una 7 La parola onnisciente è analoga a babu, (v. avanti) Nota di Marcel Boll. 8 Poco importa qui che questo criterio ci sia espressamente dato o sia determinato solamente per il fatto che non abbiamo osservato i casi dove il vocabolo è utilizzato affermativamente e i casi dove lo è negativamente. proprietà segreta, non percepibile. Il criterio dà a babu il significato di quadrangolare. Non siamo più liberi di voler dire questo o quello di supplementare con questo vocabolo. Riassumiamo. Sia a un vocabolo qualunque e E(a) il suo enunciato elementare. La condizione necessaria e sufficiente perché a possieda un significato, si può esprimere nelle quattro maniere seguenti, equivalenti al fondamento: 1° I criteri sperimentali di a sono conosciuti. 2° È stabilito da quali enunciati protocollari E(a) può dedursi. 3° Le condizioni di verità di E(a) sono stabilite. 4° Il processo di verifica di E(a) è conosciuto. 3. Termini metafisici privi di senso. Molte parole della metafisica sono privi di senso, perché non soddisfano queste condizioni. Ecco, per esempio il vocabolo principio, lo si impiega nel principio dell'essere e non nel principio di conoscenza. Molti metafisici pongono la questione: “E qual'è il principio supremo del mondo, delle cose, dell'essere?” e danno in seguito una risposta, per esempio: l'acqua, il numero, la forma, il movimento, la vita, lo spirito, l'idea, l'incosciente, l'atto, il bene, eccetera. Ci resterà se vogliamo scoprire il significato del vocabolo principio in un simile caso, di domandare a questi metafisici in quali condizioni deve essere vera e in quali condizioni falsa, una proposizione della forma x è principio di y. In altri termini, la definizione, il criterio del vocabolo. Probabilmente risponderebbero che se x è principio di y deve significare y deriva da x, l'esistenza di y si avvale di quella di x, y esiste attraverso x o qualche cosa di analogo. Ma ciò non è mai esatto. L'equivoco sussiste sotto questi vocaboli. Diciamo, per esempio, di una cosa o di un fenomeno y, che deriva da x, allorché osserviamo che a delle cose o fenomeni del genere di x succedono sovente o sempre delle cose o fenomeni del genere di y. È il rapporto causale nel senso di una successione regolare e, questa volta, il significato dei vocaboli non si presta ad ambiguità. Ma i metafisici ci diranno che non si tratta di questo, né del rapporto da stabilire sperimentalmente e in effetti, se fosse altrimenti, gli enunciati metafisici non sarebbero che puri enunciati fisici. Dunque, il vocabolo derivare qui non deve avere il significato di una successione temporale, di un rapporto condizionale, come nel caso generale. Pertanto non ne è dato un altro. Essi non hanno alcun criterio opponendo un significato metafisico al significato fisico. Se ci ricordiamo il significato primitivo del vocabolo principium o del vocabolo greco archè, ci è facile percepire che ha subito questa evoluzione. Esso era inizio. Questo senso gli è chiaramente ritirato. Non deve più voler dire primo nell'ordine temporale, ma primo sotto qualche altro rapporto, specificamente metafisico. Se si tratta ben inteso, di fornire dei criteri per questo aspetto metafisico. Vediamo sparire il significato di un vocabolo, senza sostituzione con uno nuovo e resta allo stato di involucro vuoto. Ciò non impedisce che, dall'epoca dove aveva un senso ben saldo, guardi, associate alla sua forma, diverse rappresentazioni. Esse vanno a saldarsi con delle rappresentazioni nuove e dei sentimenti, attraverso il mezzo degli incatenamenti verbali, dove il vocabolo continua a figurare. Questo pertanto non gli rende sempre un senso e la situazione resterà tale, fino a che si darnno dei mezzi di verifica, come ne è stata mostrata la necessità nel paragrafo precedente. Ecco un secondo esempio, la parola Dio. Se lasciamo da parte le varianti, troviamo tre accezioni, le quali d'altra parte si sono succedute attraverso la storia, con alcune sovrapposizioni. Il vocabolo è impiegato, nel linguaggio, dapprima con un senso mitologico, che non è affatto chiaro. Talvolta designa degli esseri corporali, che troneggiano da qualche parte nell'olimpo, il cielo, il soggiorno delle ombre. Esse hanno potenza, saggezza, bontà, felicità, in una misura più o meno perfetta. Talvolta, in maniera analoga, designa degli esseri spirituali, forse non disponendo di un corpo come gli uomini, ma capaci nondimeno di manifestarsi in qualche maniera nelle cose e nei fatti del mondo visibile. Essi hanno attraverso quella, un'esistenza constatabile con l'esperienza. Al contrario, il vocabolo dio, nell'accezione metafisica, rappresenta qualche cosa al di sopra dell'esperienza. Il senso di essere corporale o di essere spirituale in quello corporale, gli è palesemente ritirato. E come non gliene si dà nessun altro, resta vuoto. Evidentemente, talvolta sembra che gli se ne attribuisca un tutto anche in questo ordine metafisico, ma un esame attento mostra molto presto che le definizioni proposte non sono che delle pseudo-definizioni. O esse ben conducono a delle inammissibili associazioni di vocaboli, ne parleremo più avanti o esse appartengono ad altri termini metafisici, come causa prima, assoluto, essere in sé, essere per se stesso, eccetera. Non conducono mai a delle condizioni di verità, formulate attraverso il suo enunciato elementare. Il vocabolo, anche alla prima condizione, non soddisfaceva la logica, che è di fornirgli una sintassi, cioè la maniera con cui interviene nell'enunciato elementare. Questo dovrebbe esprimersi: x è Dio, ma il metafisico scarta completamente questa forma e non ne presenta alcun'altra. Se pertanto arriva ad ammetterlo, non dà la categoria sintattica della variabile x, categorie che sono, per esempio: corpi, proprietà di corpi, rapporto tra corpi, numero, eccetera. Tra le applicazioni mitologica e metafisica, l'uso teologico del vocabolo Dio ha un aspetto intermedio dal punto di vista concettuale. Non si può dire che abbia qualche cosa di specifico, ma piuttosto possiede qualcosa di entrambe le nozioni precedenti. Molti teologi professano una nozione francamente empirica, vicina a quella che noi definiamo come mitologica. In questo caso, non si oppone ad alcuna pseudoproposizione, ma la controparte è che gli enunciati divengono di ordine sperimentale9 e appartenenti alla giurisdizione del controllo scientifico sperimentale. Presso altri teologi, si 9 Come nel quadro sull'Onnisciente. (Nota di Boll). incontra manifestamente la concezione metafisica. Per altri ancora, è una concezione mista, oscillante tra i due estremi. Ciò che viene dall'essere indicato su questi due esempi si ritrova con la maggior parte degli altri termini specificamente metafisici. Essi appaiono come sprovvisti di senso. Tali idea, assoluto, essere in tanto che essere, cosa in sé, emanazione, manifestazione, io, non-io, eccetera.. Con queste espressioni, non lo è altrimenti che con babu. Il metafisico riconosce che non si può fornire loro un criterio di verità come esige la logica. Nondimeno, si ostina a intendere sotto questi vocaboli qualche cosa, delle rappresentazioni e dei sentimenti concomitanti. Questo non è sempre dar loro un significato. Del resto lo sappiamo. Le pretese proposizioni metafisiche, che contengono tali vocaboli, non hanno alcun senso, non dicono assolutamente niente e non sono infine che delle pseudo-proposizioni. Vedremo più tardi come si sono introdotte nel corso della storia. 4. Il significato di una proposizione. Fino adesso abbiamo considerato delle pseudoproposizioni, dove si trova un vocabolo sprovvisto di significato. Accade dove i vocaboli hanno un senso, ma sono giustapposti in condizioni tali che non ne risulta alcuno per l'enunciato stesso. La sintassi di una lingua descrive le associazioni di termini che sono ammissibili e indica quelli che non lo sono. Accade al contrario, che la sintassi grammaticale dei linguaggi naturali non soddisfi sempre la funzione di eliminare le combinazioni di vocaboli sprovvisti di senso. Prendiamo due esempi: 1° Cesare è e; 2° Cesare è un numero primo. Il primo è nettamente errato di fronte alla sintassi. In effetti, essa esige che il terzo vocabolo non sia una congiunzione. Deve essere un predicato, un sostantivo con articolo o un aggettivo. Al contrario il secondo esempio è grammaticalmente corretto. Parrebbe costituire una vera frase identica a Cesare è un Romano. Resta che questo 2° esempio non significa completamente niente. Numero primo è una proprietà per dei numeri e non si può né attribuirla, né rifiutarla a nessuno. Pertanto il 2° esempio ha tutta l'aria di una frase e questo non è che una, ma non dice niente. Non esprime alcun comportamento esistente o inesistente. Questo allineamento di vocaboli non è che una pseudo-frase osservando la sintassi grammaticale. Al primo colpo d'occhio faceva prendere una cantonata. Si credeva di aver a che fare con una vera affermazione, forse falsa. Ma a è un numero primo non è una affermazione falsa più di quanto si dicesse a è un numero naturale, divisibile per un numero naturale diverso da se stesso e l'unità. Certamente, non possiamo sostituire a con Cesare in questa forma proposizionale. Abbiamo scelto questo esempio, perché l'assenza di senso salta agli occhi. Ma in molti pretesi enunciati metafisici, non lo si scorgerebbe così facilmente. Dobbiamo ritenere che la possibilità di comporre un allineamento di vocaboli sprovvisto di qualsiasi significato, osservandone le regole della grammatica, è una cosa spiacevole. Si deve desiderare un completo accordo tra le sintassi grammaticale e logica. L'insufficienza della prima si ha, in particolare, per il fatto che essa ferma le sue distinzioni alle categorie di vocaboli come sostantivo, aggettivo, verbo, congiunzione, eccetera. La logica reclama che esse siano spinte più lontano. Se nella grammatica, per esempio, i sostantivi si suddividessero in più specie, per il fatto che designano delle proprietà di corpi, di numeri, eccetera, i vocaboli Romani e numero primo figurerebbero in categorie differenti e la frase 2° apparirebbe immediatamente come verbalmente assurda quanto la frase 1°. In una lingua correttamente costruita, tutti gli allineamenti di vocaboli, che non avrebbero senso, si classificherebbero con il primo esempio e la grammatica li eliminerebbe automaticamente, perché basterebbe considerare, non il significato di ogni vocabolo, ma la sua categoria sintattica: cosa, proprietà di cosa, relazione tra cose, numero, proprietà di numeri, relazione tra numeri, eccetera. Se, come sosteniamo, le proposizioni della metafisica sono delle pseudo- proposizioni, accadrà che la metafisica non potrà assolutamente essere formulata in una lingua dalla costruzione corretta sotto il rapporto logico. Si comprende tutta l'importanza del lavoro perseguito dai nostri logici, in vista della costruzione di una sintassi rigorosa e completa. 5. Le pseudo-proposizioni in metafisica. Illustreremo quel che precede la metà di alcuni esempi di pseudo-proposizioni metafisiche, sulle quali si vede chiaramente che la sintassi logica è violata, benché la sintassi grammaticale tradizionale sia osservata puntualmente. Essi sono scelti all'interno dell'esposizione di una dottrina metafisica, che al momento in Germania esercita una grandissima influenza.10 “Non si deve studiare che l'essere. Al di fuori di lui, nulla. L'essere solo e al di là del Nulla. L'essere unico e al di sopra di lui, nulla. Che ne è di questo Nulla? C'è il Nulla solamente perchè c'è il non, la negazione? O, al contrario, la negazione esiste perché c'è il Nulla? Noi diciamo questo: il Nulla è anteriore al non e alla negazione... Dove cerchiamo il Nulla? Come troviamo il Nulla? Noi conosciamo il Nulla. L'angoscia rivela il Nulla. In presenza di cosa e perché proviamo dell'angoscia e propriamente parlando...nulla. In effetti, il Nulla stesso, in quanto 10 Che cos'è la metafisica? di Martin Heidegger (1929). Si è rispettato qui nelle citazioni, le italiche che figurano nel libro. Avremmo anche potuto prendere i nostri esempi da altri metafisici del passato o della nostra epoca. Quelli che sembravano essere in maniera completa, particolarmente istruttivi. tale, era là..Che ne è del Nulla? Il Nulla stesso, annulla”.11 Per mostrare che la possibilità di formare delle pseudo-proposizioni deriva da una carenza logica del linguaggio, mettiamo lo schema qui avanti, accompagnato dal simbolismo della logica. 1. Frasi sensate del linguaggio usuale. 2. Produzione dell'insensato a partire dal sensato nel linguaggio usuale. 3. Linguaggio corretto sotto il rapporto logico. A. Cosa c'è fuori? Fuori c'è la pioggia. A. Cosa c'è fuori? Fuori c'è il nulla A. Non esiste una cosa x che si trovi al di fuori. B. Cosa ne è di questa pioggia? (cioè chi fa la pioggia? sebbene si possa dire ancora di più a proposito di questa pioggia). B. Cosa ne è di questo Nulla? B. Impossibile costruire queste forme. 11 Dal verbo annullare (in tedesco nichten), come Le Dantec diceva ironicamente che “Il montone monta e agisce da montone”. 1. Noi conosciamo la pioggia. 1. Noi cerchiamo il Nulla. Noi troviamo il Nulla. Noi conosciamo il Nulla. 2. La pioggia piove. 2. Il Nulla annulla. 3. C'è il Nulla solamente perché... Gli enunciati della prima colonna sono al di sopra di ogni critica, tanto grammaticalmente quanto logicamente. Sono provvisti dunque di senso. Quelli della II colonna ad eccezione di B 3, non sono per niente analoghi a quelli della I colonna dal punto di vista grammaticale. La forma proposizionale (come domanda e risposta) IIA non soddisfaceva le esigenze logiche di un linguaggio corretto. Pertanto essa osserva un senso, perché può tradursi correttamente, come mostra la proposizione IIIA, di cui il senso è lo stesso di quello di IIA. La forma proposizionale IIA si presenta come sconveniente, perché portatrice delle operazioni grammaticali lecite. Non possiamo pervenire alle forme IIB, che non hanno senso (benché figurino nelle citazioni di Heidegger). È impossibile metterle nel modo corretto della III colonna. Nondimeno la mancanza di senso non si vede al primo colpo d'occhio, perché si è facilmente illusi dell'analogia con le proposizioni IB, provviste di senso. L'errore del nostro linguaggio, che mettiamo in evidenza qui, consiste dunque nel fatto che, contrariamente ad un linguaggio in senso logico corretto, permette una identità di forma grammaticale, tra allineamenti verbali con senso e allineamenti privi di senso. Il modo di scrittura della logica, che fa corrispondere a ogni proposizione verbale una formula caratteristica, rende manifesta la sfortunata analogia tra IA e IIA e l'apparizione di strutture prive di senso, come IIB, che gli è imputabile. Esaminiamo ancora un po' più da vicino le pseudoproposizioni di IIB. La formazione degli enunciati di I, deriva dall'errore commesso prendendo la parola nulla per il nome di un oggetto, perché nel linguaggio corrente si ha l'abitudine di procedere così, quando si formula una proposizione negativa dell'esistenza (vedere IIA). In un linguaggio corretto, al contrario, si attende questo stesso scopo, non intendendo un nome speciale, ma una forma logica speciale (IIIA). Sottolineiamo anche in IIB2 la formazione della parola priva di senso non fare niente, annullare. È una ragione di più perchè questa frase non significhi niente. Tuttavia, diciamo che i vocaboli sprovvisti di senso in metafisica provengono generalmente da un vocabolo che perde il significato che possedeva ed in seguito è utilizzato metaforicamente in metafisica. Qui abbiamo piuttosto una questione dal caso eccezionale dove un vocabolo nuovo è introdotto di primo acchito senza essere minimamente provvisto di un senso. Dovremo respingere la frase IIB3, anche per due motivi. Come gli enunciati precedenti, essa impiega il vocabolo nulla come il nome di un oggetto e in più, essa racchiude una contraddizione: se anche era permesso di utilizzare nulla come nome o caratteristica di un oggetto, l'esistenza sarebbe nondimeno rifiutata a questo oggetto nella sua definizione e poi gli sarebbe attribuita di nuovo nella frase IIB3. Se dunque non mancasse di senso, sarebbe contraddittoria. In presenza del grossolano errore logico commesso in IIB, potremo presumere che per l'autore, il vocabolo nulla ha forse un significato tutt'altro che altrove. Più avanti, nella stessa opera, leggiamo altrettanto che l'angoscia rivela il Nulla, che nell'angoscia il Nulla si trova in quanto tale. Qui il vocabolo nulla pareva dover ben designare una certa turba affettiva, di natura religiosa probabilmente o non importa che cosa mettere alla base di un tale disordine. Se era così, gli errori logici che non abbiamo segnalato non esisteranno in IIB. Ma le nostre prime citazioni non permettono di credere possibile questa interpretazione. La combinazione di non....che e di al di fuori di lui, nulla, fa apparire chiaramente che il vocabolo nulla possiede qui il senso usuale di una particella logica che serve ad esprimere una proposizione negativa d'esistenza. Questo impiego del vocabolo nulla è allora seguito immediatamente dalla questione fondamentale dell'opera Che ne è di questo Nulla?. Non possiamo più temere di esserci lasciati andare a una falsa interpretazione, allorché vediamo l'autore esprimersi con una chiarezza completa sul fatto che le sue questioni e proposizioni sono in conflitto con la logica. “Domanda e risposta che riguardano il nulla sono egualmente assurde in sé...La regola fondamentale del pensiero, applicata comunemente in una maniera generale, cioè il principio di non contraddizione, la logica, fanno che la domanda svanisca”. Tanto peggio per la logica. Il suo regno deve finire “Se la potenza dell'intelligenza è capovolta in ciò che concerne le questioni sul nulla e l'essere, il regno della logica vedrà la sua sorte decisa di là stesso e ciò sarà la fine del suo dominio in filosofia. L'idea stessa di logica si volatilizza nel tourbillon di una questione più primordiale.” Resta da sapere se la scienza, serbando una fredda serenità, va ad accordarsi con il turbine di un questionario antilogico. La risposta è già data: “La pretesa serenità e preponderanza della scienza divengono risibili, se la scienza si rifiuta di prendere sul serio il nulla”. Ecco che non si può avere conferma migliore alla nostra tesi: un metafisico che stabilisce qui stesso che le sue domande e risposte sono inconciliabili con la logica e la maniera di pensare nella scienza. Ora appariva in tutta chiarezza la differenza tra i nostri punti di vista e quelli degli antimetafisici che ci hanno preceduti. Per noi, la metafisica non è una pura chimera, una favola. Non c'è conflitto con la logica per le frasi di una favola. Esse si limitano a contraddire l'esperienza. Benché false esse conservano un significato. La metafisica non è più una superstizione. Si può aggiungere fede a delle proposizioni false come a delle proposizioni vere, ma non lo si può per niente al mondo per degli allineamenti verbali privi di senso. Gli enunciati metafisici non devono essere considerati a maggior ragione come delle ipotesi di lavoro. In effetti, l'ipotesi implica un rapporto di connessione deduttiva con delle proposizioni di ordine sperimentale, vere o false. Questo non è il caso delle pseudo-proposizioni. Tuttavia, si è sollevata l'obiezione seguente facendone stato di ciò che si chiama il limite della facoltà umana di conoscenza per tentare di sollevare la metafisica: le proposizioni della metafisica, è vero, non possono essere verificate dall'uomo, né da qualche altro essere finito, ma forse si avrebbe il diritto di considerarle come delle presunzioni, quanto al fatto che un essere dotato di facoltà superiori o assolutamente illimitate 12 risponderebbe alle nostre domande , in quanto presunzione, questa maniera di esprimersi avrebbe per lo meno un senso. Ma ecco quello che non risponderemo: quando il significato di un vocabolo non può essere dato o quando un allineamento di vocaboli è in conflitto con la sintassi, non si può parlare di domanda posta. Ciò richiamerebbe una pseudo-doamnda come: “Questa tavola è babu?”, “Il numero 7 è santo?”, “I numeri pari sono più trasparenti dei numeri dispari?” Là dove non fosse posta domanda, né un'onnipotenza, né un'onniscienza13, arriveranno a formulare una risposta. Ma ancora si obietterà senza dubbio ancora: “Nella stessa maniera in cui un uomo vede può comunicare una 12 Vedere domande nell'introduzione di M. Boll. 13 Mettendo tutte le riserve (vedere introduzione) sulla validità di una tale illazione (Nota di Marcel Boll). conoscenza nuova a un cieco, alla stessa maniera un essere superiore potrebbe comunicarci una conoscenza metafisica: farci conoscere, per esempio, se il mondo visibile è manifestazione di uno spirito.” Davanti a una tale obiezione, dobbiamo esaminare dapprima ciò che significa conoscenza nuova. Immaginiamoci senza problemi, degli animali che ci avvertano e ci ragguaglino su un senso nuovo. Se essi ci dimostrano il teorema di Fermat o scoprono un nuovo strumento di fisica o stabiliscono una legge naturale fin qui sconosciuta, ciò va molto bene. La nostra conoscenza si troverà arricchita, perché siamo in grado di controllare queste comunicazioni, come il cieco può controllare e comprendere tutta la fisica (e con ciò tutti gli enunciati 14 di quello che gioisce della vista). Ma se questi esseri, di cui immagineremo l'esistenza, ci dicono qualche cosa che siamo incapaci di verificare, non possiamo comprenderli. Non ci comunicano niente. Ciò che essi dicono non è che un flatus vocis senza significato, benché 14 Si tratta ben inteso della teoria e dei suoi simboli, non delle percezioni ottiche stesse, ma di misure accessibili a un cieco. provochino senza dubbio delle rappresentazioni associate. Risulta da ciò che un altro essere non potrebbe accrescere la nostra conoscenza che quantitativamente, anche se conoscesse personalmente tutto. Sarebbe incapace di portarci un tipo di conoscenza dalla natura essenzialmente nuova. Un altro può aiutarci a rendere la nostra conoscenza più certa, ma non può niente su ciò che non ci è intelliggibile, su ciò che manca di senso. Un altro non può fare che questo divenga per noi sensato, per quanto potente e onnisciente che sia lui stesso. Né Dio, né il Diavolo possono darci una metafisica. 6. Tutte le metafisiche sono prive di senso. Gli esempi di proposizioni metafisiche che abbiamo analizzato sono tutti presi a prestito dalla stessa opera, ma le conseguenze della nostra analisi sono ugualmente valide per degli altri sistemi e si formulerebbero ancora negli stessi termini. Heideger si riferisce molto legittimamente a Hegel, di cui la metafisica ha in maniera del tutto logica lo stesso carattere che abbiamo fatto apparire nella metafisica più moderna. “L'essere puro e il nulla sono dunque una sola e stessa cosa.” In modo del tutto simile accade per altri monumenti, benché il loro tipo di linguaggio e attraverso esso, il genere degli errori logici, si scosti più o meno da ciò che abbiamo segnalato. Ne indicheremo i più frequenti. Sembra che la maggioranza degli errori di logica nelle pseudo-proposizioni derivino dal vizio inerente all'impiego del verbo essere in quasi tutte le lingue europee. Il primo difetto appartiene al doppio significato che riceve, impiegato talvolta come copula davanti ad un predicato io sono stanco, talvolta per designare l'esistenza io sono. La colpa si aggrava per il fatto che i metafisici non seguono generalmente questa multivocità. Il secondo difetto si trova nella forma verbale, scelta per la seconda accezione, quella dell'esistenza. Attraverso l'uso di un verbo essere, un predicato si trova illusoriamente presunto là dove non ce n'è alcuno. Già molto tempo dopo, si è reso conto che l'esistenza non è un attributo (Kant e la sua confutazione della prova ontologica dell'esistenza di Dio). Ma, solo la logica moderna è qui conseguente, introducendo il simbolo dell'esistenza in una forma sintattica tale che questo simbolo non può essere legato (come lo sarebbe un predicato) a un simbolo d'oggetto, ma solamente a un predicato (vedere IIIA qui sopra). La maggioranza dei metafisici, dopo l'antichità, si sono smarriti in pseudoproposizioni a causa della forma verbale e predicativa del verbo essere. Per esempio in io sono, Dio è15. Il fatto che i nostri linguaggi 15 Il cogito ergo sum di Cartesio ci mostra un errore di questo genere. Lasciamo da parte la questione del contenuto contestato alla premessa, sapere se la proposizione io penso esprime bene lo stato delle cose o implica una ipostasi. Limitiamoci a esaminare le due proposizioni sotto il rapporto della logica formale. Sottolineiamo due errori logici essenziali. Il primo, nella conclusione io sono. esprimano l'esistenza per mezzo di un verbo, essere o esistere, non è pertanto in sé un altro difetto logico, è solamente inopportuno e pericoloso. La forma verbale conduce facilmente a credere falsamente che l'esistenza sarebbe un predicato. Allora si giunge a dei controsensi logici e a dei modi d'espressione che mancano di senso, di cui ne abbiamo già dato degli esempi. Stessa origine per delle forme come l'essere16 e il non essere, di cui il ruolo è sempre stato considerevole in metafisica17. In una lingua logicamente corretta, è completamente impossibile costruire delle forme di questa specie. Sembra che si è introdotto, nelle lingue latine e tedesca, le forme ens e seiend Indubbiamente, il verbo essere è qui compreso come affermante l'esistenza. Una copula non avrebbe senso senza predicato. D'altra parte è sempre così che si è compreso l'ergo sum di Cartesio. Ma allora, si viola la regola logica, specificando che l'esistenza non può attaccarsi che ad un predicato e non ad un sostantivo, come soggetto o nome proprio. Un enunciato di esistenza non ha la forma α esiste (come qui: io sono, io esisto), ma questa: esiste qualcosa di tale e tale proprietà e natura. Il secondo errore risiede nel passaggio di io penso a io esisto. Se, dell'enunciato P(a) ad a appartiene la proprietà P, si vuole trarre un enunciato di esistenza, quello non può affermare dell'esistenza che in ciò che concerne P, il predicato e non il soggetto α della premessa. Da io sono un Europeo non risulta io esisto, ma esiste un Europeo. Da io penso non si deduce io sono, ma c'è qualche cosa che pensa. 16 La logica francese non dispone che della parola etre, là dove il tedesco ha sein, dasein, seiendes, wesen. 17 V. nota 13. specialmente per l'uso dei metafisici, forse smarriti per il modello greco. Si credeva di colmare una lacuna, in realtà si introduceva un vizio logico nel linguaggio. Un'altra mancanza ripetuta nella sintassi logica è ciò che si chiama la confusione delle sfere dei concetti Segnaliamo l'errore commesso, quando si impiega come predicato un simbolo che non vi si presta. Qui un predicato è legittimamente impiegato come tale, ma predicato di una sfera differente. Si violano le regole di ciò che si chiama la teoria dei tipi. L'esempio Cesare è un numero primo, illustra questo caso. Nome di persona e parola che rappresenta un numero appartenente a delle sfere logiche differenti. In maniera analoga è per i predicati di persone, come Romano e dei predicati di numeri, come primo. L'errore che abbiamo segnalato nell'impiego del verbo essere, è specifico alla metafisica, ma la confusione delle sfere si incontra sovente, anche nel linguaggio usuale. Pertanto, in generale, non risulta mancanza di senso, perché l'equivoco è facilmente evitato.18 Poiché la confusione delle 18 1° esempio: Questa tavola è più grande di quella. 2° esempio: L'altezza di questa sfere, non offre che seri inconvenienti nel linguaggio corrente, si è presa l'abitudine di non preoccuparsene. Ma il caso diventa differente per la metafisica, perché qui non è più possibile tradurre in frase corretta una frase che non lo è. Delle pseudo-proposizioni che hanno questa origine sono frequenti in Hegel e in Heidegger, che ha seguito Hegel nel suo modo di esprimersi e spesso anche nelle sue imperfezioni logiche. Per esempio, degli attributi, che non sono applicabili che a degli oggetti di una certa specie, di un certo tipo, all'essere o all'esistenza. Abbiamo stabilito che molte proposizioni della metafisica mancano di senso. Occorre esaminare al momento, se dopo la loro eliminazione, non resta che un corpo di proposizioni perfettamente corrette. Dopo le nostre considerazioni, potrebbe sembrare che si incontrino solamente delle difficoltà, dei rischi di caduta nell'insensato, ma che un lavoro comunque accurato può evitare le tavola è più grande dell'altezza di quella tavola. L'espressione più grande è qui impiegata nel primo esempio come rapporto tra due oggetti. Nel secondo esempio come rapporto tra due numeri. Dunque, per due categorie sintattiche differenti. L'errore non ha delle conseguenze gravi. Lo si può evitare scrivendo per esempio: più grande. Allora più grande1 si definirebbe a partire da più grande2 indicando che la forma proporzionale, il primo esempio, si confa in maniera equivalente alla forma del secondo esempio o a qualche altra analoga. difficoltà. Ora non è questo il caso. Le cose sono tali che non possono esserci delle proposizioni provviste di senso in metafisica. È una conseguenza dello scopo stesso che persegue: scoprire e descrivere una conoscenza inaccessibile alla scienza sperimentale. E in effetti, poiché il senso di una frase risiede nelle operazioni della sua verifica, una proposizione non dice che ciò è verificabile e non può dunque affermare che un fatto d'esperienza. Se c'era qualche cosa al di là dell'esperienza, questo qualche cosa, per essenza stessa, non potrebbe essere né enunciata, né richiesta. Gli enunciati che possiedono un senso si dividono nelle categorie seguenti: dapprima gli enunciati analitici, che si trovano veri di colpo solo per la loro forma. Wittgenstein li chiama tautologie. Corrispondono pressapoco ai giudizi analitici di Kant. Non dicono niente sul reale. Contengono in particolare le formule della logica e della matematica. Se non sono essi stessi degli enunciati sul reale, intervengono nelle trasformazioni di quelli19. In secondo luogo ci 19 Ma non aggiungo loro niente. Dunque, sono completamente vuoti di contenuto. sono gli enunciati contraddittori: sono le negazioni degli enunciati precedenti. Sono falsi fin dalla loro stessa forma. Tutte le altre proposizioni, le chiamiamo sintetiche. Gli elementi di una decisione sulla loro verità o loro falsità devono essere demandate a degli enunciati protocollari. Esse sono, vere o false, delle proposizioni sperimentali e appartengono al dominio delle scienze sperimentali. Se ora si tenta di formare un enunciato che non appartenga alle categorie precedenti, automaticamente mancherà di senso. Poiché la metafisica non vuole proposizioni analitiche, di scienza sperimentale, si trova relegata nell'impiego di parole senza un criterio, che inizia senza significato o negli allineamenti di parole che forse possiedono del senso, ma tali che non formino né un enunciato analitico o contraddittorio, né un enunciato sperimentale. Benché falsa, non può che arrivare a delle pseudo-proposizioni. Vediamo che l'analisi logica convince per mancanza di senso, ogni pretesa conoscenza che vuole penetrare al di là o dietro l'esperienza. La sua sentenza dapprima colpisce ogni metafisica speculativa, ogni pretesa conoscenza a partire dal pensiero puro o dell'intuizione pura, che crede di poter fare a meno dell'esperienza convenuta. Essa colpisce parallelamente una metafisica, che avendo preso il suo punto di partenza nell'esperienza, vorrebbe conoscere, per mezzo di deduzioni particolari, ciò che si trova fuori o al di là dell'esperienza. Tale la tesi del neo-vitalismo e la sua entelechia che agisce nei fenomeni organici, non potendo essere completamente saggiata in maniera fisica. Tale è la questione dell'essenza del rapporto causale al di là dello stabilire certe regolarità nelle successioni. Tali i discorsi sulla cosa in sé. La sentenza colpisce anche ogni filosofia del valore o della norma, tutta etica o estetica oltre che disciplina normativa. Se si ammette in effetti un valore o una norma, secondo le idee della filosofia del valore, non si può riferire ad alcuna esperienza di controllo. Non si può procedere dapprima attraverso deduzioni a partire da proposizioni sperimentali. Ciò che si dice non è dunque esprimibile in enunciati provvisti di senso. In altri termini o si attribuisce ai predicati bello, buono e gli altri, figurando nelle scienze normative, dei criteri sperimentali o non lo si attribuisce. Nel primo caso, una proposizione contenente un predicato di questo genere diviene un giudizio sperimentale su un fatto e non un giudizio di valore. Nel secondo caso, diventa una pseudo-proposizione. Dunque non si può costituire una proposizione esprimendo un giudizio di valore. L'accusa di mancare di senso tocca in definitiva anche quelle tendenze metafisiche, dove si mescola poco felicemente la teoria della conoscenza e ben conosciuta sotto i nomi di realismo e di idealismo. Il realismo, nella misura in cui vuol affermare, più del fatto sperimentale, di una certa regolarità scoperta nei fenomeni, apre la via ad un'applicazione del metodo induttivo. I suoi avversari sono l'idealismo soggettivo, il solipsismo, il fenomenalismo e il positivismo nel suo antico concetto. Ma che cosa resterà dunque alla filosofia, se tutte le proposizioni che affermano qualche cosa sono di natura sperimentale e appartengono, da questo fatto, alle scienze del reale? Ciò che gli resta, è il metodo dell'analisi logica. Ne abbiamo mostrato l'applicazione negativa, eliminando le parole, che non significano niente e le pseudoproposizioni che non significano molto di più. Quanto alla sua applicazione positiva, essa serve ad esporre il carattere logico dei concetti e delle proposizioni che hanno del senso. Serve a dare una base logica alla scienza del reale e alla matematica. L'applicazione negativa del metodo si trova necessaria e capitale nelle congiunture presenti, risultando dagli errori del passato. Da oggi, l'applicazione positiva, dal suo lato, si mostra praticamente fertile, ma mai entreremo qui in qualche dettaglio. Lo scopo, che abbiamo visto assegnare all'analisi logica, la critica dei principi, ecco ciò che vogliamo intendere per filosofia scientifica o logica della scienza, opponendosi alla metafisica20. Non possiamo dilungarci sulla questione del carattere logico delle proposizioni che sono il risultato dell'analisi logica. Esse sono o parzialmente analitiche o parzialmente sperimentali. Si 20 Vedere Reichenbach. La philosophie scientifique, vues nouvelles su ses buts et ses methodes e Carnap Die Aufgabe der Wissenschafttslogik (Collezione “Eineitswissenschaft”, Cahier 3), Gerold, Wien, 1934. volgono da una parte alla sintassi pura, ad esempio: Un susseguirsi composto dal simbolo di esistenza e da un nome d'oggetto non è una proposizione e, dall'altra parte, alla sintassi descrittiva, ad esempio: L'allineamento delle parole che si trova in tale posto di tale libro è privo di senso. Ci riserviamo di parlare in un'altra parte, della sintassi e di mostrare che, trattando delle frasi di una lingua, essa stessa può essere formulata in questa lingua21. 21 Vedere Carnap Logiusche Syntax der Sprache (Schriften zur wisswnschaftliche Weltauffassung, vol. 8), Spinger, Wien, 1934. 7. La metafisica, espressione mediocre del sentimento della vita. A sentirci ripetere che le frasi della metafisica non dicono assolutamente niente, scindendo del tutto la nostra posizione intellettuale, molti resteranno sorpresi e si domanderanno perché tanti uomini, sovente cervelli eminenti di tutte le epoche e di tutti i paesi, si sono dati tanta pena e abbiano messo tanta passione a coltivarla. È concepibile che le loro opere abbiano ancora oggi un così grande prestigio, se esse non contengano assolutamente niente, neanche degli errori? Questi scrupoli sono legittimi, perché in effetti, la metafisica contiene del tutto assolutamente, anche qualche cosa. Ma questo qualche cosa non ha niente di una teoria, niente che valga come una teoria. Le sue pseudoproposizioni non danno delle descrizioni di comportamento, inesistenti o effettive, ciò che ne farebbe almeno delle proposizioni sia false, sia vere. Esse servono ad esprimere il sentimento della vita.22 Siamo con buona certezza in diritto 22 È pressappoco ciò che gli psicologi e gli psichiatri francesi chiamano la di ammettere che la metafisica ha preso il suo sviluppo a partire dal mito. Il bambino si irrita contro la tavola cattiva alla quale ha urtato la sua fronte. L'uomo primitivo, in caso di terremoto, si sforza di calmare il demonio, che minaccia o rendendo grazie alla divinità per una pioggia benefica. Incontriamo qui delle personificazioni in occasione di fenomeni naturali. Esse sono un'espressione di genere poetico per le relazioni affettive tra l'uomo ed il mondo esteriore. La poesia raccoglie allora l'eredità del mito e sviluppa, con dei mezzi coscienti, il contributo del mito ai fatti della vita. Da un'altra parte arriva la teologia, che sviluppa questa eredità in sistema. Quale ruolo gioca la metafisica, nella storia? Possiamo vedere in essa la sostituzione della teologia sul piano del pensiero concettuale e sistematico. Le fonti della conoscenza, presunte soprannaturali, invocate dalla teologia, si vedono sostituite da delle fonti naturali della conoscenza, ma presunte extrasperimentali. A guardare un po' più da vicino questo abito modificato numerose volte, cinestesia (Nota di M. Marcel Boll). troviamo che ricopre lo stesso contenuto del mito. La metafisica nasce essa stessa dal bisogno di dare un'espressione al sentimento della vita, all'attitudine osservata nella vita per ciascun uomo, alla posizione che prende, nell'ordine sentimentale e volontario, allo sguardo del mondo esteriore, dai suoi simili, dai problemi che ritengono la sua attività e dei destini di cui subisce l'influenza. Questa vita affettiva, per la maggior parte del tempo, si manifesta senza che ne abbia coscienza, in tutto ciò che l'uomo fa e dice. Essa dà la sua impronta al suo viso, anzi al suo passo. Inoltre molti provano il bisogno di tradurla sotto qualche forma particolare, tendendo a rendere questo sentimento della vita percettibile più intimamente, a dargli una intensità concentrata. Se sono artisti, è in qualche opera d'arte che cercheranno di esteriorizzare ciò che vogliono tradurre. Riteniamo, ciò che è essenziale nella nostra tesi, che l'arte è un mezzo di espressione perfettamente adeguato al sentimento della vita, ma non del tutto la metafisica. Un mezzo o un altro, non avremo niente da obiettare in fondo. Pertanto, in metafisica, le cose sono tali che per la forma delle sue produzioni, dà l'illusione di essere ciò che non è. Essa si dà la forma di una teoria, di un sistema di proposizioni che serve, in apparenza, a basare le une sulle altre. Così sembra possedere un contenuto come le vere teorie e invece abbiamo visto che non vale niente. Il lettore e anche il metafisico si immaginano in maniera ingannevole che le proposizioni affermano qualche cosa, che certi comportamenti effettivi si trovano descritti, come se si muovesse nel dominio del vero e del falso. Praticamente, non c'è niente di espresso. Come l'artista, che si è solamente figurato qualcosa. Siamo portati a considerare la metafisica come un succedaneo dell'arte, certamente molto incompleto. Questa opinione ci sembrava essere confermata dal fatto che il metafisico più dotato sotto il rapporto artistico, Nietzsche, per primo ha evitato la confusione denunciata. In una notevole parte della sua opera, la preponderanza appartiene al contenuto sperimentale, per esempio quando si tratta dell'analisi storica di certi fatti nell'arte o dell'analisi storico-psicologica della morale. D'altra parte, in Zarathustra, l'opera dove traduce maggiormente ciò che altri hanno espresso attraverso la metafisica o l'etica, evita la forma della teoria, generatrice di errore, per adottare la forma artistica, la poesia. Non facciamo consistere l'illusione metafisica nel fatto che il mezzo d'espressione adottato è il linguaggio e la sua forma gli enunciati proposizionali. L'autore lirico fa una cosa analoga, senza pertanto ingannarsi egli stesso. Ma il metafisico vuole argomentare, vuole che si aderisca al contenuto delle sue frasi. Entra in polemica con il metafisico di un'altra tendenza. Cerca di demolire i suoi argomenti. L'autore lirico non fa niente di ciò in un poema. Non combatte i temi lirici di un altro autore. Sa perfettamente23 che si trova nel dominio dell'arte e non completamente nella costruzione di teorie. Forse è la musica che esprime il sentimento della vita attraverso i mezzi più puri, perché è completamente svincolata da tutto ciò che è 23 O almeno, dovrebbe saperlo. E sovente non lo sa lui stesso, per esempio, quando Beethoven racconta che “sola, la musica è capace di dare una visione totale dell'infinito”. (Nota di M. Marcel Boll). oggettivo. Il sentimento armonioso della vita, che il metafisico vuol tradurre in un sistema monista, si incontra più chiaramente nella musica di Mozart. E perché il metafisico traduce il sentimento eroico o combattivo in un sistema dualista? Non è forse perché gli manca il genio di Beethoven per muoversi nel posto adeguato? In fondo, i metafisici sono dei musicisti senza dono musicale.24 Questa carenza è sostituita da una forte tendenza a lavorare in un campo di teorie, a legare insieme pensieri e concetti. Al posto di utilizzare la propria intelligenza nel suo dominio (la scienza) o di volgere verso l'arte un bisogno di tradurre, il metafisico confonde le due tendenze, in tal modo che la sua opera non apporta niente alla conoscenza e non dà che un'espressione insufficiente al sentimento della vita. 24 Vedere Chr. Bry, Verkapple Religionen, Gotha, 1925. Questo avvicinamento tra l'arte e la metafisica è già stato segnalato nel nostro Attardes et precurseurs, pag.65, Charon, Paris, 1922. Noi conteggiamo qui la psicopatologia (iperemotività, ciclotimia). (Nota di M. Marcel Boll).