Rudolf Carnap - Uberto Scardino

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Rudolf Carnap - Uberto Scardino
Rudolf Carnap
LA SCIENZA E LA METAFISICA DAVANTI
ALL'ANALISI LOGICA DEL LINGUAGGIO
Traduzione di Uberto Scardino
2010
Rudolf Carnap
LA SCIENZA E LA METAFISICA
DAVANTI ALL'ANALISI LOGICA
DEL LINGUAGGIO.
2010
Premessa
Ho ritrovato questo libro nella biblioteca
principale della mia città. Stavo cercando dei
testi filosofici che avessero per argomento la
scienza e la metafisica appunto, quando il titolo
del libro di Carnap era quello che centrava
maggiormente l'argomento. L'ho chiesto in
prestito e con mia grossa sorpresa ho scoperto
che non era stato mai sfogliato, poiché le pagine
erano ancora da tagliare, come si dice, ancora
intonso. Ma la mia sorpresa è stata ancora
maggiore quando sono andato a leggere la data
di edizione: 1934. Ciò significava che nessuno,
presumo da quando era stato acquistato dalla
biblioteca, l'aveva da allora aperto e almeno
sfogliato. Non ho mai voluto fare indagini più
approfondite in tal senso. Ho deciso però di
saperne di più circa le edizioni e cioè se
esistessero altre edizioni più aggiornate e recenti
in Italia e magari tradotte, ma a quanto mi
risulta, ancora oggi non ce n'è alcuna. Quindi il
passo successivo, quello della sua traduzione è
stato per me necessario.
Questo libro che ho tradotto, è a sua volta una
traduzione in francese di un articolo di Rudolf
Carnap, apparso sulla sua rivista tedesca di
filosofia, Erkenntnis (conoscenza), diretta con
Hans Reichenbach. Carnap aveva contatti con il
gruppo del Circolo di Vienna ed un circolo con
le stesse idee era sorto contemporaneamente a
Berlino, sotto la guida di Reichenbach che
assieme a Carnap, aveva diretto tale rivista e che
univa gli intellettuali di Berlino e di Vienna, i
neopositivisti o anche detti empiristi logici, con i
quali condivide le idee basate sul principio che
la filosofia debba aspirare al rigore proprio della
scienza. Alla sua base stanno i concetti di
empirico, ossia relazionato all’esperienza e logico,
dal momento che i suoi sostenitori ritengono che
il sapere debba essere analizzato secondo i
criteri logici propri dell’analisi del linguaggio.
Gli empiristi logici sostenevano che la
risoluzione degli equivoci e delle ambiguità
legate al linguaggio conduce alla risoluzione
degli stessi problemi filosofici, poiché il loro
sorgere dipenderebbe da un uso scorretto delle
parole. La filosofia deve avere un ruolo
chiarificatore. Non può essere un sapere
puramente speculativo, ma deve basarsi
sull’esperienza per poter fondare in maniera
rigorosa la conoscenza.
La traduzione del testo di Carnap, fatta da Boll,
era accompagnata da un suo commento
introduttivo, che conservo in questo mio lavoro
di traduzione. Marcel Boll nacque nel 1886 e
morì nel 1958. Fu aggiunto e dottore delle
Scienze Fisiche, professore di chimica e di
elettricità alla Scuola degli Alti Studi
Commerciali di Parigi, direttore e membro
fondatore dell'Unione Razionalista. La sua opera
eclettica, riguarda sia studenti di diverse
discipline, quanto il grande pubblico grazie alle
sue opere di divulgazione. Insieme al fratello
Andrea, architetto, aveva creato un movimento
di opinione in Francia, a favore dell'elitismo e
cioè di un tipo di intellettuale che si basa su di
una educazione scientifica e comportamentale,
che non sia influenzato da pressioni di carattere
politico o economico.
Uberto Scardino
Introduzione
Oggi presentiamo la quinta edizione di questa
serie, destinata a familiarizzare il pubblico di
lingua francese con lo sforzo filosofico più
importante che al momento attuale, scaturisce
da veri sapienti. La presente esposizione, basata
sul secondo tomo (1931) della rivista Erkenntnis,
(edita da F.Meiner, Leipzig), è dovuta come il
numero 76, a Rudolf Carnap, di cui abbiamo
apprezzato l'opera e l'importante ruolo a
proposito della sua esposizione: La vecchia e la
nuova logica. Le pagine che si leggeranno, sono in
qualche modo una conseguenza e un
complemento alle idee espresse allora. Dopo
Carnap, la metafisica è non solamente sterile, ma
sprovvista di senso. È molto istruttivo, a questo
proposito, approfondire la tabella del capitolo 5,
che mostra sperimentalmente per così dire,
come i metafisici si impegnino per creare frasi
senza senso, vestendo l'apparenza della
ragione. In particolare il passo da 2 A, Fuori c'è il
nulla, a 3 A Non esiste niente che sia fuori, è per
tutti noi, una rigorosa deduzione. Ma Carnap
maliziosamente ci mette sotto gli occhi un passo
di Martin Heidegger, che allinea delle parole
senza
successione,
delle
proposizioni
contraddittorie. Questi autori dal successo facile
non sono il vanto della Germania... Dopo lunghi
anni, la filosofia universitaria francese considera
la teologia come una branca della metafisica:
questa trascinerà quella nel suo crollo?
Esaminando in maniera superficiale gli scritti
della scuola di Vienna, dapprima si sarebbe
tentati di risolvere questa questione tramite una
questione negativa. Così Philipp Frank, nella sua
notevole opera Die Kausalitat und ihre Grenzen (Il
nesso di causalità ed i suoi limiti (non ancora
tradotta in francese)1, allude a ciò che potrebbe
essere il mondo visto da una intelligenza
infinita, ma nella sua essenza non si tratta che di
una illazione ironica. Sembra che ciò valga
anche per Rudolf Carnap, quando nella presente
esposizione parla di un essere dotato di facoltà
assolutamente illimitate. Ci siamo messi
d'accordo tutti e tre per riconoscere quanto una
1 Traduco così come è scritto per l'epoca.
tale illazione poteva essere rischiosa e fallace,
così l'insieme della psico fisiologia conduce ad
affermare che l'intelligenza cresce nello stesso
senso della complessità del sistema nervoso,
dagli esseri più rudimentali fino all'uomo. Ma al
di là? Si ha il diritto di fare illazioni? La scienza
non ci impegna mai. Al contrario, ogni nozione
perde la sua efficienza e anche il suo significato,
dal momento che si scosta in maniera esagerata
dalle circostanze sperimentali, dove esso è stato
formato, oltrepassando senza considerazione il
limite:
a) si ammetterà che la materia è divisibile
all'infinito e non esisterebbe più la scienza
dell'atomo,
b) si ammetterà che la velocità può essere
infinitamente grande, e non si avrebbe più la
relatività,
c) sì ammetterà che l'energia può essere divisa
infinitamente e non si avrebbero più i quanta.
La scienza passa il suo tempo a demolire le
illazioni arbitrarie e per ritornare alle relazioni
tra l'intelligenza e il sistema nervoso, non si
saprebbe decidere se l'intelligenza crescerebbe al
di là dell'uomo o se la curva non passasse
attraverso un massimo, in tal modo che una
complessità infinita di un sistema nervoso
conferirebbe al suo possessore un'intelligenza
inutile. A titolo di esercizio logico, non è forse
inutile sottomettere al lettore una analoga
tabella a quella di Carnap, ma che riguarda
specialmente questa branca classica della
metafisica, cioè la teologia.
1.
2.
Frasi sensate del Produzione del
linguaggio
senza senso a
corrente
partire
dal
sensato
nel
linguaggio
corrente
A.
Cosa c'è al di
sopra?
Al di sopra c'è la
volta
3.
Linguaggio
corretto
dal
punto di vista
sperimentale.
A.
A.
Cosa c'è al di Non c'è una cosa
sopra?
x, che si trovi al
Al di sopra, c'è di sopra (non
l'Onnisciente.
esiste nulla, nulla
è presente)
B.
Cosa ne è
questa volta?
B.
di Cosa ne è
questo
Onnisciente?
1) Conosciamo la
volta
2)
La
volta
volteggia
di
1) Noi cerchiamo
l'Onnisciente;
noi
troviamo
l'Onnisciente,
noi conosciamo
l'Onnisciente;
2) L'Onnisciente
onniscienta.
3)
C'è
solo
l'Onnisciente,
perché..........
Il parallelismo tra le due tabelle è completo,
salvo in ciò che concerne il passaggio da 2 a 3: la
proposizione 3A non è più inclusa in 2A. Essa è
semplicemente
conforme
alle
direttive,
unanimamente ammesse dalla sperimentazione.
Di conseguenza, è perfettamente inutile
occuparsi di un concetto per il quale non si
dispone che di una parola, definizione nominale,
non
accompagnata
da
un
postulato,
sperimentale, di esistenza, non accompagnata da
Erlebniss, esperienza vissuta. Far intervenire, in
qualche circostanza quello che sia un
Onnisciente, non ha più senso quanto l'idea di
sperimentare su un Universo rigorosamente
euclideo, poiché in un tale Universo non c'è
nulla dentro. È molto certo che, fin qui, non ci
siamo occupati che di due dei tre Dio, dei quali
c'è interesse a distinguere: il Dio dei metafisici,
(l'orologiaio che ricostruisce periodicamente il
mondo) è il Dio dei moralisti, (il pastore che
conduce i capi del gregge dei viventi). Resta il
Dio dei mistici, che si ricollega alle ultime
pagine della presente opera, alle pagine dove
l'autore collega la metafisica del sentimento della
vita. Il misticismo è in realtà sotto la dipendenza
della psicologia, ovvero della psicopatologia. Il
professore americano James H. Leuha ha portato
uno dei più importanti contributi alla questione
in Psicopatologia del misticismo religioso2:”Il
2 Traduzione Lucien Herr, Alcan, 1925. Abbiamo presentato noi stessi un riassunto
della questione nel tomo IV, (pp. 95-103) de L'evoluzione umana, prefazione di
Paul Langevin, Quillet, 1934.
credente conclude che sente Dio in un
completamento paradossale di energia nervosa, è
abbindolato dalla stessa illusione quanto il selvaggio,
che comprende Dio in un colpo di fulmine”. In altri
termini, il Dio dei mistici è un'interpretazione
erronea di stati di esuberanza dovuti
all'esagerazione episodica di certe funzioni della
vita
vegetativa.
Tutti
questi
problemi
appartengono effettivamente al dominio della
scienza, allorché da questo momento furono qui
abbandonati, per riprendere l'espressione di
Leuba, a degli spiriti ”privati di una disciplina
mentale ed estranei all'idea minore di una precisione
scientifica”. E così aggiungiamo l'affermazione di
Felix Le Dantec, allorché scriveva:“Esiste una
verità, che si trova attraverso il metodo sperimentale.
Al di fuori della verità scientifica, tutto ciò non è che
chiacchiera o convenzione”. Così, la scienza umana
è comparabile all'Universo della relatività
generale: la scienza è definite, le sue dimensioni
variano con i tempi, ma al di là non c'è nulla.
Marcel Boll
1. La vanità della metafisica.
Gli avversari alla metafisica non sono mancati,
dagli scettici greci fino agli empiristi del XIX
secolo e molto variegata si mostra la loro critica.
Molti ritenevano la dottrina metafisica come
falsa, in ragione della sua posizione
contraddittoria
di
fronte
alla
scienza
sperimentale. Altri la ritenevano dubbiosa,
perché si vuole avvicinare a ciò che supera i
limiti della conoscenza umana. Altri ancora,
numerosi, non vedevano alcun vantaggio ad
occuparsi di questioni metafisiche e anche a
domandarsi se possono ricevere una risposta.
Essi erano inclini ad attenersi ai problemi di
ordine pratico che la nostra vita attiva solleva.
I progressi della logica moderna3, oggi
permettono di rispondere con più precisione a
ciò che colpisce la legittimità ed il valore della
metafisica. I lavori consacrati attraverso la logica
applicata (teoria della conoscenza), l'espressione
netta del contenuto nella conoscenza degli
3 V. Rudolf Carnap – L'antica e la nuova logica (Hermann).
enunciati scientifici, del significato dei vocaboli
(concetti) che figura in detti enunciati, lavori
perseguiti con i mezzi dell'analisi logica, hanno
fornito un risultato positivo e un risultato
negativo. Il risultato positivo è acquisito secondo
l'ordine della scienza sperimentale: spiegazione
chiara dei concetti utilizzati in tutti i suoi
domini, posizione solidamente stabilita dei loro
rapporti, tanto dal punto di vista della logica
formale quanto della teoria della conoscenza. È
sul terreno della metafisica che l'analisi logica ha
condotto ad un risultato negativo: le sue pretese
proposizioni sono completamente sprovviste di senso.
Disastro completo! Perché aveva resistito molto
bene agli assalti precedenti, benché le si trovino
già sviluppate delle idee analoghe alle idee
attuali, in particolare presso i nominalisti. Gli
attacchi non hanno potuto essere decisivi, che
una volta stabiliti i procedimenti della logica in
tutto rigore durante il corso degli ultimi decenni.
L'espressione sprovvista di senso va presa con il
suo significato letterale. Quando non ci si
esprime con precisione completa, sovente si
chiama così una frase o una questione senza
interesse. Per esempio: “Qual'è il peso degli
abitanti di Vienna, di cui il numero di telefono
termina con un 3?”. O ancora meglio, una
proposizione falsa, tanto logicamente quanto
sperimentalmente, contraddittoria come: “Di
questi due individui A e B, ognuno ha un anno di
più dell'altro” Di frasi come quelle, benché vane
o false, non hanno meno senso, perché è
necessario affinché si possa dirne che esse sono
utili o senza interesse, false o vere. Ma privo di
senso, preso in una accezione rigorosa, si applica
al contrario a un allineamento di parole che non
costituisce una proposizione all'interno di una
lingua determinata, esistente e di applicazione
diffusa. A primo colpo d'occhio, si prenderebbe
questo allineamento per una frase vera. È perciò
che la chiameremo una pseudo-proposizione. Ora
sosteniamo che quelle che si chiamano
proposizioni (enunciati) in metafisica non sono
puramente e semplicemente che pseudoproposizioni davanti alla critica della nostra
analisi logica. Una lingua comporta un
vocabolario e una sintassi. Il vocabolario è la
lista dei vocaboli che comportano un senso e la
sintassi si compone di regole, che indicano come
le frasi devono essere costruite con le diverse
specie di parole. Da questo fatto, abbiamo due
specie di pseudo-proposizioni. Quelle dove
figurano dei vocaboli di cui si è ammesso per
errore che possiedono un senso. Quelle che si
compongono di vocaboli provvisti di senso in
maniera individuale, ma assemblati contro la
sintassi, non creano una frase sensata. Citeremo
degli esempi dei due casi presi in prestito dalla
metafisica, così potremo giustificare la nostra
affermazione che essa consiste interamente di
pseudo-proposizioni.
2. Il significato di una parola.
Quando un vocabolo ha un senso in una lingua
costituita, si dice anche che designa un concetto.
Quando questo significato è evidente, ma non
stabilito, parleremo di pseudo-concetti. Come si
spiega l'apparizione dei pseudo-concetti? Tutti i
vocaboli non sono stati introdotti in maniera
giusta nei linguaggi, in ragione del significato
che a loro si era attribuito? Senza dubbio
all'origine è così salvo rare eccezioni. Ma accade
nel corso dell'evoluzione storica, che il vocabolo
vede modificare il suo significato. Qualche volta
si va anche perdendo, senza essere sostituito.
Ecco come si producono gli pseudo-concetti.
Dunque in che cosa consiste il significato di un
vocabolo? Quali convenzioni bisogna porre,
perché prenda un senso?4 In primo luogo, ci
occorre possedere la sintassi del vocabolo, cioè il
modo secondo il quale figura nella forma
proposizionale più semplice dove sia normale
collocarlo. Citeremo questa forma: il suo
4 Non ci importa qui che queste condizioni siano formulate esplicitamente, come
ciò passi per alcuni termini e simboli, nella scienza moderna o tacitamente
ammesse, come è generalmente il caso del linguaggio tradizionale.
enunciato elementare. L'enunciato elementare per
la parola pietra sarà per esempio, x è una pietra.
Al posto del simbolo generale x, figurerà
l'indicazione di un oggetto della categoria delle
cose, sia questo diamante, questa mela. Occorre in
secondo luogo avere per questo enunciato
elementare E, la risposta alla seguente domanda,
che possiamo formulare in maniera diversa, ma
con un contenuto identico:
1° Da quali specie di proposizioni si può dedurre
E. Quali proposizioni si possono trarre da E?
2° Come verificare E?
3° Quale è il senso di E?
4° In quali circostanze E è vero o falso?
La 1° è la formulazione corretta anche detta
sintattica. La 2° è la formulazione adattata al
linguaggio della teoria della conoscenza. La 3° a
quello della filosofia (fenomenologia). La 4° al
linguaggio della logica. Wittgenstein dice: “Il
senso di un enunciato propende verso i criteri della
sua verità”. In altri termini, 3° e 4° sono
equivalenti. Per un gran numero di vocaboli, la
maggior parte dei vocaboli usati nella scienza, il
loro significato può essere indicato con
riferimento ad altri (definizione, costituzione). Ad
esempio: gli artropodi sono degli animali che
possiedono un corpo articolato, delle estremità
articolate, una pelle... È la risposta che concerne
l'enunciato elementare del vocabolo artropodo.
Per le definizioni date, è stabilito che si può
dedurlo da premesse della forma seguente: x è
un animale, x ha un corpo articolato, eccetera. E al
contrario, che ognuno di questi ultimi enunciati
risulterà dall'enunciato elementare del vocabolo
artropodo, vi sarà implicato. Il significato del
vocabolo
artropodo
è
allora
posto
completamente. Così, ogni vocabolo del
linguaggio è rapportato ad altri e finalmente ai
vocaboli che intervengono in ciò che si chiama
enunciati di osservazione o enunciati protocollari5 6.
5 Nella terminologia di Carnap, protokollsatz, vuol dire enunciato liminare su un
dato immediato, sull'immediatamente vissuto. L'autore ha pubblicato un articolo
su questo soggetto nel tomo III della rivista Erkenntnis.
6 La questione del contenuto e della forma degli enunciati protocollati non ha
ancora ricevuto una risposta definitiva, ma qui è senza importanza. Generalmente,
nella teoria della conoscenza, si dice che essi concernono il “dato”, ma è a
proposito del “dato” che l'accordo non è fatto. Talvolta si ammette che sono le
qualità più semplici nell'ordine sensibile e nell'ordine sentimentale (caldo, blu,
gioia, ecc.), per altri si tratta di esperienze globali vissute e dei loro rapporti.
Talvolta si arriva fino ad ammettere che ci sia già una questione di cose.
Le relazioni che pongono il loro enunciato
elementare, altrimenti detto, le condizioni della
loro verità,
i metodi della loro verifica, le
chiameremo, criterio di un vocabolo. Poiché il
significato di un vocabolo è determinato dal suo
criterio, una volta stabilito il criterio non si è più
liberi di ciò che si intende attraverso questa
parola, di ciò che vuol dire. Il criterio contiene
tutto il senso, resta solamente da esplicitarlo
seguendo i bisogni. Immaginiamo, a titolo di
esempio, che si formi il nuovo vocabolo babu e
che si venga ad affermare che ci sono delle cose
babu e altre che non lo sono. Esigiamo il criterio:
come, in un caso concreto, stabilire che una cosa
è o non è babu? Forse si risponderà che non
esiste criterio sperimentale. In questo caso,
rifiuteremo di ammettere un vocabolo simile.
Nondimeno ci si ostina a sostenere che ci sono
delle cose babue e delle cose non babue, che
questo non è che un enigma che per la sola
intelligenza gracile degli uomini, di poterle
Qualunque cosa sia, è certo che un allineamento di parole non possiede un senso
che attraverso l'esistenza di relazioni, riferite a degli enunciati protocollari. Allo
stesso modo accade per ogni parola, che non ha un senso se gli enunciati dove
figura, non si leghino a degli enunciati protocollari.
distinguere7. Ci ostineremo, a nostra volta, a
guardare ciò come un vano chiacchiericcio. E di
nuovo, il nostro interlocutore ritornerà alla
carica. Pretende di pensare qualche cosa sotto
questo aggettivo babu. La sua insistenza ci
insegna unicamente il fatto psichico, che associa
a questo vocabolo delle rappresentazioni e dei
sentimenti, ma toccando il vocabolo stesso, non
accade assolutamente niente. Le proposizioni,
dove figurerà non possono dirci niente. Esse
sono delle pseudo-proposizioni. Consideriamo
ora, il caso dove esiste un nuovo criterio del
vocabolo. La forma di questo criterio sarà per
esempio: "La tale cosa è babu" è un enunciato
vero, quando (e solamente quando) questa cosa
è quadrangolare8. Allora, diremo che il vocabolo
babu ha lo stesso significato del vocabolo
quadrangolare
senza
poter
ammettere,
sottobanco, che si pretende intendere altra cosa
ancora, di cui la quadrangolarità sarebbe
l'aspetto visibile della babuità, che sarebbe una
7 La parola onnisciente è analoga a babu, (v. avanti) Nota di Marcel Boll.
8 Poco importa qui che questo criterio ci sia espressamente dato o sia determinato
solamente per il fatto che non abbiamo osservato i casi dove il vocabolo è
utilizzato affermativamente e i casi dove lo è negativamente.
proprietà segreta, non percepibile. Il criterio dà a
babu il significato di quadrangolare. Non siamo
più liberi di voler dire questo o quello di
supplementare
con
questo
vocabolo.
Riassumiamo. Sia a un vocabolo qualunque e
E(a) il suo enunciato elementare. La condizione
necessaria e sufficiente perché a possieda un
significato, si può esprimere nelle quattro
maniere seguenti, equivalenti al fondamento:
1° I criteri sperimentali di a sono conosciuti.
2° È stabilito da quali enunciati protocollari E(a)
può dedursi.
3° Le condizioni di verità di E(a) sono stabilite.
4° Il processo di verifica di E(a) è conosciuto.
3. Termini metafisici privi di senso.
Molte parole della metafisica sono privi di
senso, perché non soddisfano queste condizioni.
Ecco, per esempio il vocabolo principio, lo si
impiega nel principio dell'essere e non nel
principio di conoscenza. Molti metafisici pongono
la questione: “E qual'è il principio supremo del
mondo, delle cose, dell'essere?” e danno in
seguito una risposta, per esempio: l'acqua, il
numero, la forma, il movimento, la vita, lo
spirito, l'idea, l'incosciente, l'atto, il bene,
eccetera. Ci resterà se vogliamo scoprire il
significato del vocabolo principio in un simile
caso, di domandare a questi metafisici in quali
condizioni deve essere vera e in quali condizioni
falsa, una proposizione della forma x è principio
di y. In altri termini, la definizione, il criterio del
vocabolo. Probabilmente risponderebbero che se
x è principio di y deve significare y deriva da x,
l'esistenza di y si avvale di quella di x, y esiste
attraverso x o qualche cosa di analogo. Ma ciò
non è mai esatto. L'equivoco sussiste sotto questi
vocaboli. Diciamo, per esempio, di una cosa o di
un fenomeno y, che deriva da x, allorché
osserviamo che a delle cose o fenomeni del
genere di x succedono sovente o sempre delle
cose o fenomeni del genere di y. È il rapporto
causale nel senso di una successione regolare e,
questa volta, il significato dei vocaboli non si
presta ad ambiguità. Ma i metafisici ci diranno
che non si tratta di questo, né del rapporto da
stabilire sperimentalmente e in effetti, se fosse
altrimenti, gli enunciati metafisici non sarebbero
che puri enunciati fisici. Dunque, il vocabolo
derivare qui non deve avere il significato di una
successione temporale, di un rapporto
condizionale, come nel caso generale. Pertanto
non ne è dato un altro. Essi non hanno alcun
criterio opponendo un significato metafisico al
significato fisico. Se ci ricordiamo il significato
primitivo del vocabolo principium o del vocabolo
greco archè, ci è facile percepire che ha subito
questa evoluzione. Esso era inizio. Questo senso
gli è chiaramente ritirato. Non deve più voler
dire primo nell'ordine temporale, ma primo sotto
qualche
altro
rapporto,
specificamente
metafisico. Se si tratta ben inteso, di fornire dei
criteri per questo aspetto metafisico. Vediamo
sparire il significato di un vocabolo, senza
sostituzione con uno nuovo e resta allo stato di
involucro vuoto. Ciò non impedisce che,
dall'epoca dove aveva un senso ben saldo,
guardi, associate alla sua forma, diverse
rappresentazioni. Esse vanno a saldarsi con
delle rappresentazioni nuove e dei sentimenti,
attraverso il mezzo degli incatenamenti verbali,
dove il vocabolo continua a figurare. Questo
pertanto non gli rende sempre un senso e la
situazione resterà tale, fino a che si darnno dei
mezzi di verifica, come ne è stata mostrata la
necessità nel paragrafo precedente. Ecco un
secondo esempio, la parola Dio. Se lasciamo da
parte le varianti, troviamo tre accezioni, le quali
d'altra parte si sono succedute attraverso la
storia, con alcune sovrapposizioni. Il vocabolo è
impiegato, nel linguaggio, dapprima con un
senso mitologico, che non è affatto chiaro.
Talvolta designa degli esseri corporali, che
troneggiano da qualche parte nell'olimpo, il
cielo, il soggiorno delle ombre. Esse hanno
potenza, saggezza, bontà, felicità, in una misura
più o meno perfetta. Talvolta, in maniera
analoga, designa degli esseri spirituali, forse non
disponendo di un corpo come gli uomini, ma
capaci nondimeno di manifestarsi in qualche
maniera nelle cose e nei fatti del mondo visibile.
Essi hanno attraverso quella, un'esistenza
constatabile con l'esperienza. Al contrario, il
vocabolo
dio,
nell'accezione
metafisica,
rappresenta qualche cosa al di sopra
dell'esperienza. Il senso di essere corporale o di
essere spirituale in quello corporale, gli è
palesemente ritirato. E come non gliene si dà
nessun altro, resta vuoto. Evidentemente,
talvolta sembra che gli se ne attribuisca un tutto
anche in questo ordine metafisico, ma un esame
attento mostra molto presto che le definizioni
proposte non sono che delle pseudo-definizioni.
O esse ben conducono a delle inammissibili
associazioni di vocaboli, ne parleremo più
avanti o esse appartengono ad altri termini
metafisici, come causa prima, assoluto, essere in sé,
essere per se stesso, eccetera. Non conducono mai
a delle condizioni di verità, formulate attraverso
il suo enunciato elementare. Il vocabolo, anche
alla prima condizione, non soddisfaceva la
logica, che è di fornirgli una sintassi, cioè la
maniera con cui interviene nell'enunciato
elementare. Questo dovrebbe esprimersi: x è Dio,
ma il metafisico scarta completamente questa
forma e non ne presenta alcun'altra. Se pertanto
arriva ad ammetterlo, non dà la categoria
sintattica della variabile x, categorie che sono,
per esempio: corpi, proprietà di corpi, rapporto
tra corpi, numero, eccetera. Tra le applicazioni
mitologica e metafisica, l'uso teologico del
vocabolo Dio ha un aspetto intermedio dal
punto di vista concettuale. Non si può dire che
abbia qualche cosa di specifico, ma piuttosto
possiede qualcosa di entrambe le nozioni
precedenti. Molti teologi professano una
nozione francamente empirica, vicina a quella
che noi definiamo come mitologica. In questo
caso, non si oppone ad alcuna pseudoproposizione, ma la controparte è che gli
enunciati divengono di ordine sperimentale9 e
appartenenti alla giurisdizione del controllo
scientifico sperimentale. Presso altri teologi, si
9 Come nel quadro sull'Onnisciente. (Nota di Boll).
incontra
manifestamente
la
concezione
metafisica. Per altri ancora, è una concezione
mista, oscillante tra i due estremi. Ciò che viene
dall'essere indicato su questi due esempi si
ritrova con la maggior parte degli altri termini
specificamente metafisici. Essi appaiono come
sprovvisti di senso. Tali idea, assoluto, essere in
tanto che essere, cosa in sé, emanazione,
manifestazione, io, non-io, eccetera.. Con queste
espressioni, non lo è altrimenti che con babu. Il
metafisico riconosce che non si può fornire loro
un criterio di verità come esige la logica.
Nondimeno, si ostina a intendere sotto questi
vocaboli qualche cosa, delle rappresentazioni e
dei sentimenti concomitanti. Questo non è
sempre dar loro un significato. Del resto lo
sappiamo. Le pretese proposizioni metafisiche,
che contengono tali vocaboli, non hanno alcun
senso, non dicono assolutamente niente e non
sono infine che delle pseudo-proposizioni.
Vedremo più tardi come si sono introdotte nel
corso della storia.
4. Il significato di una proposizione.
Fino adesso abbiamo considerato delle pseudoproposizioni, dove si trova un vocabolo
sprovvisto di significato. Accade
dove i
vocaboli hanno un senso, ma sono giustapposti
in condizioni tali che non ne risulta alcuno per
l'enunciato stesso. La sintassi di una lingua
descrive le associazioni di termini che sono
ammissibili e indica quelli che non lo sono.
Accade al contrario, che la sintassi grammaticale
dei linguaggi naturali non soddisfi sempre la
funzione di eliminare le combinazioni di
vocaboli sprovvisti di senso. Prendiamo due
esempi:
1° Cesare è e;
2° Cesare è un numero primo.
Il primo è nettamente errato di fronte alla
sintassi. In effetti, essa esige che il terzo
vocabolo non sia una congiunzione. Deve essere
un predicato, un sostantivo con articolo o un
aggettivo. Al contrario il secondo esempio è
grammaticalmente corretto. Parrebbe costituire
una vera frase identica a Cesare è un Romano.
Resta che questo 2° esempio non significa
completamente niente. Numero primo è una
proprietà per dei numeri e non si può né
attribuirla, né rifiutarla a nessuno. Pertanto il 2°
esempio ha tutta l'aria di una frase e questo non
è che una, ma non dice niente. Non esprime
alcun comportamento esistente o inesistente.
Questo allineamento di vocaboli non è che una
pseudo-frase
osservando
la
sintassi
grammaticale. Al primo colpo d'occhio faceva
prendere una cantonata. Si credeva di aver a che
fare con una vera affermazione, forse falsa. Ma a
è un numero primo non è una affermazione falsa
più di quanto si dicesse a è un numero naturale,
divisibile per un numero naturale diverso da se
stesso e l'unità. Certamente, non possiamo
sostituire a con Cesare in questa forma
proposizionale. Abbiamo scelto questo esempio,
perché l'assenza di senso salta agli occhi. Ma in
molti pretesi enunciati metafisici, non lo si
scorgerebbe così facilmente. Dobbiamo ritenere
che la possibilità di comporre un allineamento
di vocaboli sprovvisto di qualsiasi significato,
osservandone le regole della grammatica, è una
cosa spiacevole. Si deve desiderare un completo
accordo tra le sintassi grammaticale e logica.
L'insufficienza della prima si ha, in particolare,
per il fatto che essa ferma le sue distinzioni alle
categorie di vocaboli come sostantivo, aggettivo,
verbo, congiunzione, eccetera. La logica reclama
che esse siano spinte più lontano. Se nella
grammatica, per esempio, i sostantivi si
suddividessero in più specie, per il fatto che
designano delle proprietà di corpi, di numeri,
eccetera, i vocaboli Romani e numero primo
figurerebbero in categorie differenti e la frase 2°
apparirebbe immediatamente come verbalmente
assurda quanto la frase 1°. In una lingua
correttamente costruita, tutti gli allineamenti di
vocaboli, che non avrebbero senso, si
classificherebbero con il primo esempio e la
grammatica li eliminerebbe automaticamente,
perché basterebbe considerare, non il significato
di ogni vocabolo, ma la sua categoria sintattica:
cosa, proprietà di cosa, relazione tra cose,
numero, proprietà di numeri, relazione tra
numeri, eccetera. Se, come sosteniamo, le
proposizioni della metafisica sono delle pseudo-
proposizioni, accadrà che la metafisica non potrà
assolutamente essere formulata in una lingua dalla
costruzione corretta sotto il rapporto logico. Si
comprende tutta l'importanza del lavoro
perseguito dai nostri logici, in vista della
costruzione di una sintassi rigorosa e completa.
5. Le pseudo-proposizioni in metafisica.
Illustreremo quel che precede la metà di alcuni
esempi di pseudo-proposizioni metafisiche,
sulle quali si vede chiaramente che la sintassi
logica è violata, benché la sintassi grammaticale
tradizionale sia osservata puntualmente. Essi
sono scelti all'interno dell'esposizione di una
dottrina metafisica, che al momento in Germania
esercita una grandissima influenza.10 “Non si
deve studiare che l'essere. Al di fuori di lui, nulla.
L'essere solo e al di là del Nulla. L'essere unico e al di
sopra di lui, nulla. Che ne è di questo Nulla? C'è il
Nulla solamente perchè c'è il non, la negazione? O,
al contrario, la negazione esiste perché c'è il Nulla?
Noi diciamo questo: il Nulla è anteriore al non e alla
negazione... Dove cerchiamo il Nulla? Come
troviamo il Nulla? Noi conosciamo il Nulla.
L'angoscia rivela il Nulla. In presenza di cosa e
perché proviamo dell'angoscia e propriamente
parlando...nulla. In effetti, il Nulla stesso, in quanto
10 Che cos'è la metafisica? di Martin Heidegger (1929). Si è rispettato qui nelle
citazioni, le italiche che figurano nel libro. Avremmo anche potuto prendere i
nostri esempi da altri metafisici del passato o della nostra epoca. Quelli che
sembravano essere in maniera completa, particolarmente istruttivi.
tale, era là..Che ne è del Nulla? Il Nulla stesso,
annulla”.11 Per mostrare che la possibilità di
formare delle pseudo-proposizioni deriva da
una carenza logica del linguaggio, mettiamo lo
schema qui
avanti, accompagnato
dal
simbolismo della logica.
1.
Frasi sensate del
linguaggio usuale.
2.
Produzione
dell'insensato a
partire dal
sensato nel
linguaggio usuale.
3.
Linguaggio
corretto sotto il
rapporto logico.
A.
Cosa c'è fuori?
Fuori c'è la pioggia.
A.
Cosa c'è fuori?
Fuori c'è il nulla
A.
Non esiste una cosa
x che si trovi al di
fuori.
B.
Cosa ne è di questa
pioggia?
(cioè chi fa la
pioggia? sebbene si
possa dire ancora di
più a proposito di
questa pioggia).
B.
Cosa ne è di questo
Nulla?
B.
Impossibile
costruire queste
forme.
11 Dal verbo annullare (in tedesco nichten), come Le Dantec diceva ironicamente
che “Il montone monta e agisce da montone”.
1.
Noi conosciamo la
pioggia.
1.
Noi cerchiamo il
Nulla.
Noi troviamo il
Nulla.
Noi conosciamo il
Nulla.
2.
La pioggia piove.
2.
Il Nulla annulla.
3.
C'è il Nulla
solamente perché...
Gli enunciati della prima colonna sono al di
sopra di ogni critica, tanto grammaticalmente
quanto logicamente. Sono provvisti dunque di
senso. Quelli della II colonna ad eccezione di B 3,
non sono per niente analoghi a quelli della I
colonna dal punto di vista grammaticale. La
forma proposizionale (come domanda e
risposta) IIA non soddisfaceva le esigenze
logiche di un linguaggio corretto. Pertanto essa
osserva un senso, perché può tradursi
correttamente, come mostra la proposizione IIIA,
di cui il senso è lo stesso di quello di IIA. La
forma proposizionale IIA si presenta come
sconveniente, perché portatrice delle operazioni
grammaticali lecite. Non possiamo pervenire
alle forme IIB, che non hanno senso (benché
figurino nelle citazioni di Heidegger). È
impossibile metterle nel modo corretto della III
colonna. Nondimeno la mancanza di senso non
si vede al primo colpo d'occhio, perché si è
facilmente
illusi
dell'analogia
con
le
proposizioni IB, provviste di senso. L'errore del
nostro linguaggio, che mettiamo in evidenza
qui,
consiste
dunque
nel
fatto
che,
contrariamente ad un linguaggio in senso logico
corretto, permette una identità di forma
grammaticale, tra allineamenti verbali con senso
e allineamenti privi di senso. Il modo di scrittura
della logica, che fa corrispondere a ogni
proposizione verbale una formula caratteristica,
rende manifesta la sfortunata analogia tra IA e
IIA e l'apparizione di strutture prive di senso,
come IIB, che gli è imputabile. Esaminiamo
ancora un po' più da vicino le pseudoproposizioni di IIB. La formazione degli
enunciati di I, deriva dall'errore commesso
prendendo la parola nulla per il nome di un
oggetto, perché nel linguaggio corrente si ha
l'abitudine di procedere così, quando si formula
una proposizione negativa dell'esistenza (vedere
IIA). In un linguaggio corretto, al contrario, si
attende questo stesso scopo, non intendendo un
nome speciale, ma una forma logica speciale (IIIA).
Sottolineiamo anche in IIB2 la formazione della
parola priva di senso non fare niente, annullare. È
una ragione di più perchè questa frase non
significhi niente. Tuttavia, diciamo che i
vocaboli sprovvisti di senso in metafisica
provengono generalmente da un vocabolo che
perde il significato che possedeva ed in seguito è
utilizzato metaforicamente in metafisica. Qui
abbiamo piuttosto una questione dal caso
eccezionale dove un vocabolo nuovo è
introdotto di primo acchito senza essere
minimamente provvisto di un senso. Dovremo
respingere la frase IIB3, anche per due motivi.
Come gli enunciati precedenti, essa impiega il
vocabolo nulla come il nome di un oggetto e in
più, essa racchiude una contraddizione: se anche
era permesso di utilizzare nulla come nome o
caratteristica di un oggetto, l'esistenza sarebbe
nondimeno rifiutata a questo oggetto nella sua
definizione e poi gli sarebbe attribuita di nuovo
nella frase IIB3. Se dunque non mancasse di
senso, sarebbe contraddittoria. In presenza del
grossolano errore logico commesso in IIB,
potremo presumere che per l'autore, il vocabolo
nulla ha forse un significato tutt'altro che altrove.
Più avanti, nella stessa opera, leggiamo
altrettanto che l'angoscia rivela il Nulla, che
nell'angoscia il Nulla si trova in quanto tale. Qui
il vocabolo nulla pareva dover ben designare
una certa turba affettiva, di natura religiosa
probabilmente o non importa che cosa mettere
alla base di un tale disordine. Se era così, gli
errori logici che non abbiamo segnalato non
esisteranno in IIB. Ma le nostre prime citazioni
non permettono di credere possibile questa
interpretazione. La combinazione di non....che e
di al di fuori di lui, nulla, fa apparire chiaramente
che il vocabolo nulla possiede qui il senso usuale
di una particella logica che serve ad esprimere
una proposizione negativa d'esistenza. Questo
impiego del vocabolo nulla è allora seguito
immediatamente dalla questione fondamentale
dell'opera Che ne è di questo Nulla?. Non
possiamo più temere di esserci lasciati andare a
una falsa interpretazione, allorché vediamo
l'autore esprimersi con una chiarezza completa
sul fatto che le sue questioni e proposizioni sono
in conflitto con la logica. “Domanda e risposta che
riguardano il nulla sono egualmente assurde in
sé...La regola fondamentale del pensiero, applicata
comunemente in una maniera generale, cioè il
principio di non contraddizione, la logica, fanno che
la domanda svanisca”. Tanto peggio per la logica.
Il suo regno deve finire “Se la potenza
dell'intelligenza è capovolta in ciò che concerne le
questioni sul nulla e l'essere, il regno della logica
vedrà la sua sorte decisa di là stesso e ciò sarà la fine
del suo dominio in filosofia. L'idea stessa di logica si
volatilizza nel tourbillon di una questione più
primordiale.” Resta da sapere se la scienza,
serbando una fredda serenità, va ad accordarsi
con il turbine di un questionario antilogico.
La risposta è già data: “La pretesa serenità e
preponderanza della scienza divengono risibili, se la
scienza si rifiuta di prendere sul serio il nulla”. Ecco
che non si può avere conferma migliore alla
nostra tesi: un metafisico che stabilisce qui stesso
che le sue domande e risposte sono inconciliabili
con la logica e la maniera di pensare nella
scienza. Ora appariva in tutta chiarezza la
differenza tra i nostri punti di vista e quelli degli
antimetafisici che ci hanno preceduti. Per noi, la
metafisica non è una pura chimera, una favola.
Non c'è conflitto con la logica per le frasi di una
favola. Esse si limitano a contraddire
l'esperienza. Benché false esse conservano un
significato. La metafisica non è più una
superstizione. Si può aggiungere fede a delle
proposizioni false come a delle proposizioni
vere, ma non lo si può per niente al mondo per
degli allineamenti verbali privi di senso. Gli
enunciati metafisici non devono essere
considerati a maggior ragione come delle ipotesi
di lavoro. In effetti, l'ipotesi implica un rapporto
di connessione deduttiva con delle proposizioni
di ordine sperimentale, vere o false. Questo non
è il caso delle pseudo-proposizioni. Tuttavia, si è
sollevata l'obiezione seguente facendone stato di
ciò che si chiama il limite della facoltà umana di
conoscenza per tentare di sollevare la metafisica:
le proposizioni della metafisica, è vero, non
possono essere verificate dall'uomo, né da
qualche altro essere finito, ma forse si avrebbe il
diritto di considerarle come delle presunzioni,
quanto al fatto che un essere dotato di facoltà
superiori
o
assolutamente
illimitate
12
risponderebbe alle nostre domande , in quanto
presunzione, questa maniera di esprimersi
avrebbe per lo meno un senso. Ma ecco quello
che non risponderemo: quando il significato di un
vocabolo non può essere dato o quando un
allineamento di vocaboli è in conflitto con la sintassi,
non si può parlare di domanda posta. Ciò
richiamerebbe una pseudo-doamnda come:
“Questa tavola è babu?”, “Il numero 7 è santo?”, “I
numeri pari sono più trasparenti dei numeri
dispari?” Là dove non fosse posta domanda, né
un'onnipotenza,
né
un'onniscienza13,
arriveranno a formulare una risposta. Ma ancora
si obietterà senza dubbio ancora: “Nella stessa
maniera in cui un uomo vede può comunicare una
12 Vedere domande nell'introduzione di M. Boll.
13 Mettendo tutte le riserve (vedere introduzione) sulla validità di una tale illazione
(Nota di Marcel Boll).
conoscenza nuova a un cieco, alla stessa maniera un
essere superiore potrebbe comunicarci una
conoscenza metafisica: farci conoscere, per esempio,
se il mondo visibile è manifestazione di uno spirito.”
Davanti a una tale obiezione, dobbiamo
esaminare dapprima ciò che significa conoscenza
nuova. Immaginiamoci senza problemi, degli
animali che ci avvertano e ci ragguaglino su un
senso nuovo. Se essi ci dimostrano il teorema di
Fermat o scoprono un nuovo strumento di fisica
o stabiliscono una legge naturale fin qui
sconosciuta, ciò va molto bene. La nostra
conoscenza si troverà arricchita, perché siamo
in grado di controllare queste comunicazioni,
come il cieco può controllare e comprendere
tutta la fisica (e con ciò tutti gli enunciati 14 di
quello che gioisce della vista). Ma se questi
esseri, di cui immagineremo l'esistenza, ci
dicono qualche cosa che siamo incapaci di
verificare, non possiamo comprenderli. Non ci
comunicano niente. Ciò che essi dicono non è
che un flatus vocis senza significato, benché
14 Si tratta ben inteso della teoria e dei suoi simboli, non delle percezioni ottiche
stesse, ma di misure accessibili a un cieco.
provochino senza dubbio delle rappresentazioni
associate. Risulta da ciò che un altro essere non
potrebbe accrescere la nostra conoscenza che
quantitativamente,
anche
se
conoscesse
personalmente tutto. Sarebbe incapace di
portarci un tipo di conoscenza dalla natura
essenzialmente nuova. Un altro può aiutarci a
rendere la nostra conoscenza più certa, ma non
può niente su ciò che non ci è intelliggibile, su
ciò che manca di senso. Un altro non può fare
che questo divenga per noi sensato, per quanto
potente e onnisciente che sia lui stesso. Né Dio,
né il Diavolo possono darci una metafisica.
6. Tutte le metafisiche sono prive di senso.
Gli esempi di proposizioni metafisiche che
abbiamo analizzato sono tutti presi a prestito
dalla stessa opera, ma le conseguenze della
nostra analisi sono ugualmente valide per degli
altri sistemi e si formulerebbero ancora negli
stessi termini. Heideger si riferisce molto
legittimamente a Hegel, di cui la metafisica ha in
maniera del tutto logica lo stesso carattere che
abbiamo fatto apparire nella metafisica più
moderna. “L'essere puro e il nulla sono dunque una
sola e stessa cosa.” In modo del tutto simile accade
per altri monumenti, benché il loro tipo di
linguaggio e attraverso esso, il genere degli
errori logici, si scosti più o meno da ciò che
abbiamo segnalato. Ne indicheremo i più
frequenti. Sembra che la maggioranza degli
errori di logica nelle pseudo-proposizioni
derivino dal vizio inerente all'impiego del verbo
essere in quasi tutte le lingue europee. Il primo
difetto appartiene al doppio significato che
riceve, impiegato talvolta come copula davanti
ad un predicato io sono stanco, talvolta per
designare l'esistenza io sono. La colpa si aggrava
per il fatto che i metafisici non seguono
generalmente questa multivocità. Il secondo
difetto si trova nella forma verbale, scelta per la
seconda
accezione,
quella
dell'esistenza.
Attraverso l'uso di un verbo essere, un predicato
si trova illusoriamente presunto là dove non ce
n'è alcuno. Già molto tempo dopo, si è reso
conto che l'esistenza non è un attributo (Kant e
la sua confutazione della prova ontologica
dell'esistenza di Dio). Ma, solo la logica
moderna è qui conseguente, introducendo il
simbolo dell'esistenza in una forma sintattica tale
che questo simbolo non può essere legato (come
lo sarebbe un predicato) a un simbolo d'oggetto,
ma solamente a un predicato (vedere IIIA qui
sopra). La maggioranza dei metafisici, dopo
l'antichità, si sono
smarriti in pseudoproposizioni a causa della forma verbale e
predicativa del verbo essere. Per esempio in io
sono, Dio è15. Il fatto che i nostri linguaggi
15 Il cogito ergo sum di Cartesio ci mostra un errore di questo genere. Lasciamo da
parte la questione del contenuto contestato alla premessa, sapere se la
proposizione io penso esprime bene lo stato delle cose o implica una ipostasi.
Limitiamoci a esaminare le due proposizioni sotto il rapporto della logica formale.
Sottolineiamo due errori logici essenziali. Il primo, nella conclusione io sono.
esprimano l'esistenza per mezzo di un verbo,
essere o esistere, non è pertanto in sé un altro
difetto logico, è solamente inopportuno e
pericoloso. La forma verbale conduce facilmente
a credere falsamente che l'esistenza sarebbe un
predicato. Allora si giunge a dei controsensi
logici e a dei modi d'espressione che mancano di
senso, di cui ne abbiamo già dato degli esempi.
Stessa origine per delle forme come l'essere16 e il
non essere, di cui il ruolo è sempre stato
considerevole in metafisica17. In una lingua
logicamente
corretta,
è
completamente
impossibile costruire delle forme di questa
specie. Sembra che si è introdotto, nelle lingue
latine e tedesca, le forme ens e seiend
Indubbiamente, il verbo essere è qui compreso come affermante l'esistenza. Una
copula non avrebbe senso senza predicato. D'altra parte è sempre così che si è
compreso l'ergo sum di Cartesio. Ma allora, si viola la regola logica, specificando
che l'esistenza non può attaccarsi che ad un predicato e non ad un sostantivo, come
soggetto o nome proprio. Un enunciato di esistenza non ha la forma α esiste (come
qui: io sono, io esisto), ma questa: esiste qualcosa di tale e tale proprietà e natura.
Il secondo errore risiede nel passaggio di io penso a io esisto. Se, dell'enunciato
P(a) ad a appartiene la proprietà P, si vuole trarre un enunciato di esistenza,
quello non può affermare dell'esistenza che in ciò che concerne P, il predicato e
non il soggetto α della premessa. Da io sono un Europeo non risulta io esisto, ma
esiste un Europeo. Da io penso non si deduce io sono, ma c'è qualche cosa che
pensa.
16 La logica francese non dispone che della parola etre, là dove il tedesco ha sein,
dasein, seiendes, wesen.
17 V. nota 13.
specialmente per l'uso dei metafisici, forse
smarriti per il modello greco. Si credeva di
colmare una lacuna, in realtà si introduceva un
vizio logico nel linguaggio. Un'altra mancanza
ripetuta nella sintassi logica è ciò che si chiama
la confusione delle sfere dei concetti Segnaliamo
l'errore commesso, quando si impiega come
predicato un simbolo che non vi si presta. Qui
un predicato è legittimamente impiegato come
tale, ma predicato di una sfera differente. Si
violano le regole di ciò che si chiama la teoria dei
tipi. L'esempio Cesare è un numero primo, illustra
questo caso. Nome di persona e parola che
rappresenta un numero appartenente a delle
sfere logiche differenti. In maniera analoga è per
i predicati di persone, come Romano e dei
predicati di numeri, come primo. L'errore che
abbiamo segnalato nell'impiego del verbo essere,
è specifico alla metafisica, ma la confusione delle
sfere si incontra sovente, anche nel linguaggio
usuale. Pertanto, in generale, non risulta
mancanza di senso, perché l'equivoco è
facilmente evitato.18 Poiché la confusione delle
18 1° esempio: Questa tavola è più grande di quella. 2° esempio: L'altezza di questa
sfere, non offre che seri inconvenienti nel
linguaggio corrente, si è presa l'abitudine di non
preoccuparsene. Ma il caso diventa differente
per la metafisica, perché qui non è più possibile
tradurre in frase corretta una frase che non lo è.
Delle pseudo-proposizioni che hanno questa
origine sono frequenti in Hegel e in Heidegger,
che ha seguito Hegel nel suo modo di esprimersi
e spesso anche nelle sue imperfezioni logiche.
Per esempio, degli attributi, che non sono
applicabili che a degli oggetti di una certa
specie, di un certo tipo, all'essere o all'esistenza.
Abbiamo stabilito che molte proposizioni della
metafisica mancano di senso. Occorre esaminare
al momento, se dopo la loro eliminazione, non
resta che un corpo di proposizioni perfettamente
corrette. Dopo le nostre considerazioni, potrebbe
sembrare che si incontrino solamente delle
difficoltà, dei rischi di caduta nell'insensato, ma
che un lavoro comunque accurato può evitare le
tavola è più grande dell'altezza di quella tavola. L'espressione più grande è qui
impiegata nel primo esempio come rapporto tra due oggetti. Nel secondo esempio
come rapporto tra due numeri. Dunque, per due categorie sintattiche differenti.
L'errore non ha delle conseguenze gravi. Lo si può evitare scrivendo per esempio:
più grande. Allora più grande1 si definirebbe a partire da più grande2 indicando
che la forma proporzionale, il primo esempio, si confa in maniera equivalente alla
forma del secondo esempio o a qualche altra analoga.
difficoltà. Ora non è questo il caso. Le cose sono
tali che non possono esserci delle proposizioni
provviste di senso in metafisica. È una
conseguenza dello scopo stesso che persegue:
scoprire
e
descrivere
una
conoscenza
inaccessibile alla scienza sperimentale. E in
effetti, poiché il senso di una frase risiede nelle
operazioni della sua verifica, una proposizione
non dice che ciò è verificabile e non può dunque
affermare che un fatto d'esperienza. Se c'era
qualche cosa al di là dell'esperienza, questo
qualche cosa, per essenza stessa, non potrebbe
essere né enunciata, né richiesta. Gli enunciati
che possiedono un senso si dividono nelle
categorie seguenti: dapprima gli enunciati
analitici, che si trovano veri di colpo solo per la
loro forma. Wittgenstein li chiama tautologie.
Corrispondono pressapoco ai giudizi analitici di
Kant. Non dicono niente sul reale. Contengono
in particolare le formule della logica e della
matematica. Se non sono essi stessi degli
enunciati sul reale, intervengono nelle
trasformazioni di quelli19. In secondo luogo ci
19 Ma non aggiungo loro niente. Dunque, sono completamente vuoti di contenuto.
sono gli enunciati contraddittori: sono le
negazioni degli enunciati precedenti. Sono falsi
fin dalla loro stessa forma. Tutte le altre
proposizioni, le chiamiamo sintetiche. Gli
elementi di una decisione sulla loro verità o loro
falsità devono essere demandate a degli
enunciati protocollari. Esse sono, vere o false,
delle proposizioni sperimentali e appartengono al
dominio delle scienze sperimentali. Se ora si
tenta di formare un enunciato che non
appartenga
alle
categorie
precedenti,
automaticamente mancherà di senso. Poiché la
metafisica non vuole proposizioni analitiche, di
scienza sperimentale, si trova relegata
nell'impiego di parole senza un criterio, che
inizia senza significato o negli allineamenti di
parole che forse possiedono del senso, ma tali
che non formino né un enunciato analitico o
contraddittorio, né un enunciato sperimentale.
Benché falsa, non può che arrivare a delle
pseudo-proposizioni. Vediamo che l'analisi
logica convince per mancanza di senso, ogni
pretesa conoscenza che vuole penetrare al di là o
dietro l'esperienza. La sua sentenza dapprima
colpisce ogni metafisica speculativa, ogni
pretesa conoscenza a partire dal pensiero puro o
dell'intuizione pura, che crede di poter fare a
meno dell'esperienza convenuta. Essa colpisce
parallelamente una metafisica, che avendo preso
il suo punto di partenza nell'esperienza,
vorrebbe conoscere, per mezzo di deduzioni
particolari, ciò che si trova fuori o al di là
dell'esperienza. Tale la tesi del neo-vitalismo e la
sua entelechia che agisce nei fenomeni organici,
non potendo essere completamente saggiata in
maniera fisica. Tale è la questione dell'essenza del
rapporto causale al di là dello stabilire certe
regolarità nelle successioni. Tali i discorsi sulla
cosa in sé. La sentenza colpisce anche ogni
filosofia del valore o della norma, tutta etica o
estetica oltre che disciplina normativa. Se si
ammette in effetti un valore o una norma,
secondo le idee della filosofia del valore, non si
può riferire ad alcuna esperienza di controllo.
Non si può procedere dapprima attraverso
deduzioni
a
partire
da
proposizioni
sperimentali. Ciò che si dice non è dunque
esprimibile in enunciati provvisti di senso. In
altri termini o si attribuisce ai predicati bello,
buono e gli altri, figurando nelle scienze
normative, dei criteri sperimentali o non lo si
attribuisce. Nel primo caso, una proposizione
contenente un predicato di questo genere
diviene un giudizio sperimentale su un fatto e
non un giudizio di valore. Nel secondo caso,
diventa una pseudo-proposizione. Dunque non
si può costituire una proposizione esprimendo
un giudizio di valore. L'accusa di mancare di
senso tocca in definitiva anche quelle tendenze
metafisiche, dove si mescola poco felicemente la
teoria della conoscenza e ben conosciuta sotto i
nomi di realismo e di idealismo. Il realismo, nella
misura in cui vuol affermare, più del fatto
sperimentale, di una certa regolarità scoperta nei
fenomeni, apre la via ad un'applicazione del
metodo induttivo. I suoi avversari sono
l'idealismo soggettivo, il solipsismo, il fenomenalismo
e il positivismo nel suo antico concetto. Ma che
cosa resterà dunque alla filosofia, se tutte le
proposizioni che affermano qualche cosa sono di
natura sperimentale e appartengono, da questo
fatto, alle scienze del reale? Ciò che gli resta, è il
metodo dell'analisi logica. Ne abbiamo mostrato
l'applicazione negativa, eliminando le parole,
che non significano niente e le pseudoproposizioni che non significano molto di più.
Quanto alla sua applicazione positiva, essa serve
ad esporre il carattere logico dei concetti e delle
proposizioni che hanno del senso. Serve a dare
una base logica alla scienza del reale e alla
matematica. L'applicazione negativa del metodo
si trova necessaria e capitale nelle congiunture
presenti, risultando dagli errori del passato. Da
oggi, l'applicazione positiva, dal suo lato, si
mostra praticamente fertile, ma mai entreremo
qui in qualche dettaglio. Lo scopo, che abbiamo
visto assegnare all'analisi logica, la critica dei
principi, ecco ciò che vogliamo intendere per
filosofia scientifica o logica della scienza,
opponendosi alla metafisica20. Non possiamo
dilungarci sulla questione del carattere logico
delle proposizioni che sono il risultato
dell'analisi logica. Esse sono o parzialmente
analitiche o parzialmente sperimentali. Si
20 Vedere Reichenbach. La philosophie scientifique, vues nouvelles su ses buts et ses
methodes e Carnap Die Aufgabe der Wissenschafttslogik (Collezione
“Eineitswissenschaft”, Cahier 3), Gerold, Wien, 1934.
volgono da una parte alla sintassi pura, ad
esempio: Un susseguirsi composto dal simbolo di
esistenza e da un nome d'oggetto non è una
proposizione e, dall'altra parte, alla sintassi
descrittiva, ad esempio: L'allineamento delle
parole che si trova in tale posto di tale libro è privo di
senso. Ci riserviamo di parlare in un'altra parte,
della sintassi e di mostrare che, trattando delle
frasi di una lingua, essa stessa può essere
formulata in questa lingua21.
21 Vedere Carnap Logiusche Syntax der Sprache (Schriften zur wisswnschaftliche
Weltauffassung, vol. 8), Spinger, Wien, 1934.
7. La metafisica, espressione mediocre del
sentimento della vita.
A sentirci ripetere che le frasi della metafisica
non dicono assolutamente niente, scindendo del
tutto la nostra posizione intellettuale, molti
resteranno sorpresi e si domanderanno perché
tanti uomini, sovente cervelli eminenti di tutte le
epoche e di tutti i paesi, si sono dati tanta pena e
abbiano messo tanta passione a coltivarla. È
concepibile che le loro opere abbiano ancora
oggi un così grande prestigio, se esse non
contengano assolutamente niente, neanche degli
errori? Questi scrupoli sono legittimi, perché in
effetti, la metafisica contiene del tutto
assolutamente, anche qualche cosa. Ma questo
qualche cosa non ha niente di una teoria, niente
che valga come una teoria. Le sue pseudoproposizioni non danno delle descrizioni di
comportamento, inesistenti o effettive, ciò che ne
farebbe almeno delle proposizioni sia false, sia
vere. Esse servono ad esprimere il sentimento
della vita.22 Siamo con buona certezza in diritto
22 È
pressappoco ciò che gli psicologi e gli psichiatri francesi chiamano la
di ammettere che la metafisica ha preso il suo
sviluppo a partire dal mito. Il bambino si irrita
contro la tavola cattiva alla quale ha urtato la
sua fronte. L'uomo primitivo, in caso di
terremoto, si sforza di calmare il demonio, che
minaccia o rendendo grazie alla divinità per una
pioggia benefica. Incontriamo qui delle
personificazioni in occasione di fenomeni
naturali. Esse sono un'espressione di genere
poetico per le relazioni affettive tra l'uomo ed il
mondo esteriore. La poesia raccoglie allora
l'eredità del mito e sviluppa, con dei mezzi
coscienti, il contributo del mito ai fatti della vita.
Da un'altra parte arriva la teologia, che sviluppa
questa eredità in sistema. Quale ruolo gioca la
metafisica, nella storia? Possiamo vedere in essa
la sostituzione della teologia sul piano del
pensiero concettuale e sistematico. Le fonti della
conoscenza, presunte soprannaturali, invocate
dalla teologia, si vedono sostituite da delle fonti
naturali della conoscenza, ma presunte extrasperimentali. A guardare un po' più da vicino
questo abito modificato numerose volte,
cinestesia (Nota di M. Marcel Boll).
troviamo che ricopre lo stesso contenuto del
mito. La metafisica nasce essa stessa dal bisogno
di dare un'espressione al sentimento della vita,
all'attitudine osservata nella vita per ciascun
uomo, alla posizione che prende, nell'ordine
sentimentale e volontario, allo sguardo del
mondo esteriore, dai suoi simili, dai problemi
che ritengono la sua attività e dei destini di cui
subisce l'influenza. Questa vita affettiva, per la
maggior parte del tempo, si manifesta senza che
ne abbia coscienza, in tutto ciò che l'uomo fa e
dice. Essa dà la sua impronta al suo viso, anzi al
suo passo. Inoltre molti provano il bisogno di
tradurla sotto qualche forma particolare,
tendendo a rendere questo sentimento della vita
percettibile più intimamente, a dargli una
intensità concentrata. Se sono artisti, è in
qualche opera d'arte che
cercheranno di
esteriorizzare ciò che vogliono tradurre.
Riteniamo, ciò che è essenziale nella nostra tesi,
che l'arte è un mezzo di espressione
perfettamente adeguato al sentimento della vita,
ma non del tutto la metafisica. Un mezzo o un
altro, non avremo niente da obiettare in fondo.
Pertanto, in metafisica, le cose sono tali che per
la forma delle sue produzioni, dà l'illusione di
essere ciò che non è. Essa si dà la forma di una
teoria, di un sistema di proposizioni che serve,
in apparenza, a basare le une sulle altre. Così
sembra possedere un contenuto come le vere
teorie e invece abbiamo visto che non vale
niente. Il lettore e anche il metafisico si
immaginano in maniera ingannevole che le
proposizioni affermano qualche cosa, che certi
comportamenti effettivi si trovano descritti,
come se si muovesse nel dominio del vero e del
falso. Praticamente, non c'è niente di espresso.
Come l'artista, che si è solamente figurato
qualcosa. Siamo portati a considerare la
metafisica come un succedaneo dell'arte,
certamente molto incompleto. Questa opinione
ci sembrava essere confermata dal fatto che il
metafisico più dotato sotto il rapporto artistico,
Nietzsche, per primo ha evitato la confusione
denunciata. In una notevole parte della sua
opera, la preponderanza appartiene al contenuto
sperimentale, per esempio quando si tratta
dell'analisi storica di certi fatti nell'arte o
dell'analisi storico-psicologica della morale.
D'altra parte, in Zarathustra, l'opera dove
traduce maggiormente ciò che altri hanno
espresso attraverso la metafisica o l'etica, evita la
forma della teoria, generatrice di errore, per
adottare la forma artistica, la poesia. Non
facciamo consistere l'illusione metafisica nel
fatto che il mezzo d'espressione adottato è il
linguaggio e la sua forma gli enunciati
proposizionali. L'autore lirico fa una cosa
analoga, senza pertanto ingannarsi egli stesso.
Ma il metafisico vuole argomentare, vuole che si
aderisca al contenuto delle sue frasi. Entra in
polemica con il metafisico di un'altra tendenza.
Cerca di demolire i suoi argomenti. L'autore
lirico non fa niente di ciò in un poema. Non
combatte i temi lirici di un altro autore. Sa
perfettamente23 che si trova nel dominio dell'arte
e non completamente nella costruzione di teorie.
Forse è la musica che esprime il sentimento della
vita attraverso i mezzi più puri, perché è
completamente svincolata da tutto ciò che è
23 O almeno, dovrebbe saperlo. E sovente non lo sa lui stesso, per esempio, quando
Beethoven racconta che “sola, la musica è capace di dare una visione totale
dell'infinito”. (Nota di M. Marcel Boll).
oggettivo. Il sentimento armonioso della vita,
che il metafisico vuol tradurre in un sistema
monista, si incontra più chiaramente nella
musica di Mozart. E perché il metafisico traduce
il sentimento eroico o combattivo in un sistema
dualista? Non è forse perché gli manca il genio
di Beethoven per muoversi nel posto adeguato?
In fondo, i metafisici sono dei musicisti senza
dono musicale.24 Questa carenza è sostituita da
una forte tendenza a lavorare in un campo di
teorie, a legare insieme pensieri e concetti. Al
posto di utilizzare la propria intelligenza nel suo
dominio (la scienza) o di volgere verso l'arte un
bisogno di tradurre, il metafisico confonde le
due tendenze, in tal modo che la sua opera non
apporta niente alla conoscenza e non dà che
un'espressione insufficiente al sentimento della
vita.
24 Vedere Chr. Bry, Verkapple Religionen, Gotha, 1925. Questo avvicinamento tra
l'arte e la metafisica è già stato segnalato nel nostro Attardes et precurseurs,
pag.65, Charon, Paris, 1922. Noi conteggiamo qui la psicopatologia
(iperemotività, ciclotimia). (Nota di M. Marcel Boll).