Il secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica.

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Il secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica.
Il secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica.
[E. Balducci, Storia del pensiero umano, vol. 3, pp. 337-340, Edizioni Cremonese, Firenze]
1. Il 1929, l'anno della prolusione Che cosa è la metafisica?, segna, nello svolgimento del pensiero di
Heidegger, una svolta, che meglio si direbbe un ritorno alle radici dell'intuizione da cui era nato Essere e
tempo. Non a caso quest'opera era rimasta incompiuta. Dopo la parte dedicata all'analisi dell'esistenza,
doveva seguirne una dedicata alla questione ontologica in sé considerata. In quanto abbiamo esposto finora,
l'Essere rimane lo sfondo costante dell'esistente, il contenuto vero della domanda che dell'esistente è il
fondamento inquietante: che cosa è l'Essere? Quale è il senso dell'Essere? Si è visto come, di fatto,
l'orizzonte ultimo dell'esistenza autentica sia il nulla. L'esistente si aggira in mezzo agli enti, li trascende nel
suo progetto d'essere, ma l'Essere rimane al di là di tutti gli enti, nascosto. L'esistenzialismo, specialmente
quello di Sartre, attingendo alla lezione heideggeriana, concentrava, in modo esclusivo, la sua analisi
sull'esistente, con la pretesa di fondare così un nuovo umanesimo. Heidegger (lo spiegherà lui stesso nella
sua Lettera sull'umanesimo) non si riconoscerà in quella riduzione del suo discorso alla pura finitezza
dell'esistente. Nella formula "l'esistenza precede l'essenza", Sartre, a suo giudizio, restava un metafisico,
dato che si limitava semplicemente a capovolgere il rapporto platonico tra essenza ed esistenza,
mantenendo il senso classico della nozione di essenza, e quindi facendosi complice, anche lui, di quel vizio
profondo della metafisica di ogni tempo, che consiste, per Heidegger, nell'"oblio dell'essere".
2. L'oblio dell'essere (ecco quanto Heidegger andrà approfondendo dopo la "svolta") si ha quando si pone
il problema della verità come se riguardasse il rapporto tra un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto.
Quel che invece appariva chiaramente nel suo Essere e tempo è proprio l'irriducibilità dell'Essere a oggetto.
Oggetto è l'ente.
3. L'Essere può prospettarsi, al più, come una presenza, mai come ente presente. Parmenide aveva
distinto l'ente e l'essere (l'on e l'einai), ma poi la metafisica partì dal presupposto che l'ente (supremo) e
l'Essere fossero la stessa cosa. E così l'Essere cadde in oblio. E in oblio è restato. Mentre i presocratici, fino
a Parmenide, avevano affidato la conoscenza dell'essere al suo disvelamento (la parola greca a-letheia,
verità, vuol dire, appunto, "disvelamento"), Platone introdusse il concetto di verità come conoscenza esatta
delle essenze (le idee) contrapposte al mondo sensibile. E così dette inizio, nella filosofia, al primato del
contemplare l'eidos, identificato, nella sua forma suprema, con l'Essere.
4. Il destino dell'occidente è tutto sotto il segno di questo slittamento platonico dalla verità come
automanifestazione dell'Essere alla verità come "teoria", e finalmente, attraverso Cartesio e Hegel, come
certezza basata sulla adeguazione del razionale al reale. E' caduta in oblio la differenza ineliminabile tra
l'Essere e gli enti. L'uomo si è dimenticato che il suo compito non è quello di padrone dell'Essere ma di
"pastore dell'Essere", di custode. Certo, la metafisica tradizionale, nel costruirsi come veduta di insieme sugli
enti che formano il mondo, ha usufruito, in qualche misura, della luce dell'Essere, ma, proprio perché non è
stata direttamente riconosciuta e fatta argomento di riflessione, la luce si è ritirata nel suo nascondimento.
5. La natura della metafisica come rimozione dell'Essere (camuffata sotto le apparenze della ricerca
ontologica) è venuta alla luce solo ora, perché solo ora la metafisica è giunta al suo compimento. Il
pensatore in cui questa conclusione dell'epoca metafisica ha raggiunto la più lucida consapevolezza è
Nietzsche, il filosofo della "morte di Dio", al quale Heidegger dedicò i suoi seminari dal 1936 al 1940 e un
grosso saggio in due volumi nel 1961. E' stato Nietzsche a svelare che a sospingere la ragione sulle vie
della metafisica è stata l'illusione ottimistica del progresso. Ma nemmeno Nietzsche si è sottratto all'ultimo
inganno della deviazione metafisica: nel proporre il rovesciamento di tutti i valori, egli ha affermato, in nome
della volontà di potenza, dei valori nuovi, (ecco l'ultima maschera della metafisica), quelli del superuomo. La
verità di Nietzsche si chiude là dove egli denuncia, nella sua teoria del nichilismo, la menzogna della
metafisica che riduce la verità a valore con cui dissimulare il risentimento contro la volontà di vivere.
6. L'ultima fase dell'oblio dell'Essere, sulla linea della volontà di potenza, è l'attuale civiltà tecnologica, che,
in continuità con la pretesa della metafisica di dare al mondo una "organizzazione totale", ma annullando
quel residuo di interesse per l'Essere da cui la metafisica prendeva le mosse, considera gli enti non più
come relativi all'Essere, ma come utilizzabili dall'uomo in quanto produttore e consumatore. L'uomo
tecnologico, postosi dinanzi alla realtà in atteggiamento di dominio, riduce gli enti a oggetti fungibili in vista di
un suo progetto totalitario. L'oblio dell'Essere è totale. Ma, proprio per questo, ora è possibile interrogarsi di
nuovo sull'Essere, tenendosi in guardia, però, perfino dall'uso delle parole fissate dalla tradizione metafisica,
compresa la parola "essere". E' necessario un nuovo linguaggio, capace di ristabilire la "differenza
ontologica" che separa tra loro l'Essere e gli enti e che la lunga epoca metafisica aveva abolito.
7. Quella del nuovo linguaggio non è una questione di tecnica espressiva: essa implica il capovolgimento
della prospettiva umanistica secondo la quale la verità è la corrispondenza tra la rappresentazione del
soggetto e l'oggetto rappresentato in una prospettiva ontologica, secondo la quale il pensiero originario non
è dell'uomo, ma dell'Essere, che pensa e non può pensare che l'Essere stesso. La verità è il disvelarsi
dell'Essere: il compito dell'uomo è "ascoltare l'Essere".
8. E il pensiero, sia in quanto pensiero dell'Essere, sia in quanto pensiero dell'uomo che lo ascolta, è il
linguaggio: «il linguaggio è la casa dell'Essere e l'uomo abita in questa casa». E' dunque il linguaggio il luogo
in cui l'Essere e l'uomo si affrontano. Si intenda bene: il linguaggio non è la mediazione tra l'Essere e l'uomo,
secondo le concezioni della lingua basate sulla distinzione metafisica tra il sensibile e il significato
intelligibile; è piuttosto un evento in cui si esprime la corrispondenza tra l'Essere che si disvela e l'uomo che
ascolta. E' attorno a questo evento che, abbandonato del tutto il lessico tradizionale, l'ultimo Heidegger
compie i suoi sondaggi in vista di una nuova filosofia, che si sostituisca a quella, ormai moribonda, della
metafisica. Da qui, tra l'altro, la complicata struttura linguistica del discorso heideggeriano, che, mediante
ricostruzioni etimologiche non di rado più fantasiose che scientifiche, mediante una fitta rete di
corrispondenze tra parola e parola e, non di rado, mediante l'isolamento di una parola sullo sfondo di un
arcano senso aurorale, tenta di "liberare la grammatica dalla logica" e di carpirvi il linguaggio stesso
dell'Essere, che l'uomo ha ascoltato emergendo nel suo orizzonte ontologico, prima di rituffarsi nella propria
chiusura ontica per dipanare, a partire dall'intuizione luminosa dell'ascolto, il suo discorso banalmente
razionale. Un sintomo evidente di queste origini 'sacre' del linguaggio è la funzione-chiave che ha, in tutte le
lingue, la parola "essere", con tutti i suoi derivati.
9. Di qui l'importanza che Heidegger attribuisce, ai fini di un confronto con l'aletheia per altre vie che quelle
della filosofia, all'arte in genere e in particolare alla poesia. Il linguaggio del poeta non è un sistema di segni
decaduto a puro strumento di comunicazione, è una instaurazione dell'ente come se per la prima volta esso
venisse alla luce, emergendo dall'orizzonte dell'Essere. Il dialogo con i poeti (si tratti di Hölderlin, di Rilke o di
Sthephan George) ha in Heidegger lo stesso ruolo del dialogo con i presocratici, e cioè con i pensatori che
preservavano, con sommo rispetto, la distanza ontologica tra l'Essere e l'ente.
10. La filosofia postmetafisica si riduce, dunque, a "ermeneutica" del linguaggio poetico. Il termine
ermeneutica (interpretazione), in uso nelle discipline teologiche, era già stato ripreso da Schleiermacher
prima e poi da Dilthey. Nel significato che le dà Heidegger, l'ermeneutica non è riflessione sul rapporto
linguaggio-realtà, ma riflessione sul linguaggio poetico in quanto esso è, come si diceva, il luogo dove
"accade" l'Essere, dove si fa visibile e udibile la nascita dell'ente o, che è lo stesso, il suo aprirsi
sull'orizzonte dell'Essere.
11. Ma l'ermeneutica, in un tempo vuoto d'essere come il nostro, nel quale «metalinguistica e Sputnik,
rnetalinguistica e tecnica missilistica sono la stessa cosa», non è che una anticipazione avara di quello che
domani potrebbe avvenire. Come dice il titolo di una raccolta di saggi heideggeriani, noi siamo «in cammino
verso il linguaggio». Verso una filosofia che rassomiglierà più a quella di Eraclito che a quella di Platone o di
Hegel.