Né una malattia, né un crimine: le persone lesbiche, gay, bisessuali

Transcript

Né una malattia, né un crimine: le persone lesbiche, gay, bisessuali
“NÉ UNA MALATTIA,
NÉ UN CRIMINE”
LE PERSONE LESBICHE, GAY,
BISESSUALI E TRANSGENDER
IN TURCHIA PRETENDONO
UGUAGLIANZA
INDICE
Introduzione....................................................................................................................................3
Metodologia....................................................................................................................... 5
incapacità a prevenire le discriminazioni: indifferenza del governo e mancanza di tutela
legale...............................................................................................................................................6
Ostilità del governo............................................................................................................. 6
Negate le riforme per i diritti Lgbt........................................................................................ 7
Applicazione e interpretazione discriminatorie della legge.......................................................8
La discriminazione in pratica.......................................................................................................10
Violenza della polizia........................................................................................................ 10
Applicazione arbitraria di multe.......................................................................................... 12
Abusi sui gay nelle forze armate......................................................................................... 15
Minacce, abusi e isolamento........................................................................................... 15
Inadatto....................................................................................................................... 16
Accesso alla casa e al lavoro.............................................................................................. 18
Accesso all’alloggio........................................................................................................... 18
Il progetto di riqualificazione urbana di Tarlabaşı .............................................................19
Occupazione.................................................................................................................... 20
Ostacoli all’accesso ad altri diritti....................................................................................... 21
Il diritto a cercare asilo.................................................................................................. 23
Minacce alla libertà di associazione.................................................................................... 24
Cause di chiusura.......................................................................................................... 25
Crimini violenti contro persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender...................................28
Sospetti crimini d’odio...................................................................................................... 29
Omicidi d’odio.............................................................................................................. 29
Normativa internazionale sui crimini d’odio.........................................................................30
Mancato rispetto degli obblighi del diritto internazionale e nazionale...................................30
Indagini viziate su possibili crimini d’odio........................................................................31
Procedimenti giudiziari..................................................................................................... 32
Mancata applicazione dei meccanismi di protezione..........................................................32
Conclusioni e raccomandazioni...................................................................................................36
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
INTRODUZIONE
“Mamma, sai che cosa ho sofferto? Quale dolore tuo figlio sta patendo? L’hai notato? Riesci a
capirmi? La realtà è diversa; tu non mi conosci affatto. Se conoscessi la realtà non ce la faresti,
saresti shoccata. Non importa, mamma (...)”
Una madre, appartenente a un gruppo di sostegno alle famiglie, descrive quanto fosse difficile per il figlio essere aperto sulla sua sessualità, Gruppo di
famiglia Lambdaistanbul, 2010.1
“Credo che l’omosessualità sia un disturbo biologico, una malattia che deve essere curata”
Aliye Kavaf, ministra per le Donne e la famiglia, 2010.2
Il 25 giugno 2010, migliaia di persone – tra cui lesbiche, gay, donne e uomini bisessuali e
transgender (Lgbt), membri delle loro famiglie, attivisti e altri sostenitori – hanno sfilato per il
centro di Istanbul nella più grande manifestazione di solidarietà per i diritti delle persone lesbiche,
gay, bisessuali e transgender mai vista in Turchia fino a oggi. La manifestazione di sostegno del
2010 e quella simile prevista per il 2011 si svolgono sullo sfondo di ripetute violenze e
sistematiche molestie e discriminazioni da parte delle autorità statali verso i membri della comunità
Lgbt in Turchia.
A dispetto degli impegni assunti dalla Turchia nel quadro dei trattati internazionali sui diritti umani
di cui è stato parte, 3 nel diritto interno la discriminazione rimane esplicita, mentre altre leggi
vengono interpretate o utilizzate in modo discriminatorio da giudici e pubblici ministeri, negando
così l’uguaglianza dei diritti a lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Malauguratamente, nella
Costituzione o nel diritto interno turco non esistono norme che vietino la discriminazione fondata
sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. In contrasto con i progressi nella tutela dalla
discriminazione per altre cause e nella protezione di altri diritti umani fondamentali compiuti
durante il mandato del partito Giustizia e sviluppo, al governo dal 2002, i diritti di lesbiche, gay,
bisessuali e transgender hanno continuato a essere ignorati. Questa situazione è stata aggravata
dalle dichiarazioni omofobiche rese da funzionari statali, in particolare da Aliye Kavaf, ministra per
le Donne e la famiglia che, nel 2010, ha dichiarato: “L’omosessualità è un disturbo biologico, una
malattia che deve essere curata”4. Le opinioni omofobiche e transfobiche sono comuni nei media.
Le persone sono discriminate sulla base del loro orientamento sessuale e della loro identità di
1
Dalla testimonianza “Io sono una madre” sul sito web di Listag (Gruppo di famiglia Lambdaistanbul), un gruppo
volontario che, dal gennaio 2008, opera in appoggio ai familiari di persone Lgbt. La testimonianza completa è disponibile
all’indirizzo http://listag.wordpress.com/2009/02/09/ben-bir-anneyim/
2
Dall’intervista “Eşcinsellik hastalık, tedavi edilmeli”, rilasciata al quotidiano Hürriyet, 7 marzo 2010, disponibile
all’indirizzo http://www.hurriyet.com.tr/pazar/14031207.asp
3
Il diritto alla non discriminazione, un principio fondamentale su cui si reggono tutti i diritti umani, è protetto da varie
convenzioni di cui la Turchia è stato parte tra cui il Patto internazionale sui diritti politici e civili (articolo 2/1), il Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (articolo 2/2) e la Convenzione europea sui diritti umani e le libertà
fondamentali (articolo 14), che proibiscono la discriminazione nel godimento degli altri diritti sanciti dalle convenzioni
stesse. L’articolo 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici contiene anche il divieto di discriminare in ogni area
e rispetto a tutti i diritti. Esso recita: “Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna
discriminazione, a una eguale tutela da parte della legge. A questo riguardo, la legge deve proibire qualsiasi
discriminazione e garantire a tutti gli individui una tutela eguale ed effettiva contro ogni discriminazione, sia essa fondata
sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o
sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione”. La tutela contro la discriminazione fondata
sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere appartiene quest’ultima tipologia. Ciò è stato stabilito dal Comitato sui
diritti economici, sociali e culturali: “l’altra condizione” riconosciuta dall’articolo 2/2 comprende l’orientamento sessuale.
Gli stati parte devono garantire che l’orientamento sessuale di una persona non sia un ostacolo alla realizzazione dei diritti
sanciti dal Patto, per esempio, nell’accedere alla pensione di reversibilità. Inoltre, l’identità di genere è riconosciuta tra le
cause di discriminazione vietate; per esempio, le persone transgender, transessuali o intersex spesso subiscono gravi
violazioni dei diritti umani come le molestie a scuola o nel luogo di lavoro (Commento generale 20, paragrafo 32). Il
Comitato per i diritti umani e la Corte europea dei diritti umani hanno anche ripetutamente applicato standard non
discriminatori per includere l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
4
V. la precedente nota 2.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
3
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
genere sia dagli attori statali che da quelli non statali sul posto di lavoro, nei servizi sanitari,
nell’istruzione e nel diritto all’alloggio.
Il pregiudizio dilagante implica che molte persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender si sentano
costrette a nascondere il loro orientamento sessuale ai datori di lavoro, ai funzionari pubblici e
anche alle famiglie, tanta è la paura della violenza, della discriminazione e del pregiudizio. Questo
riguarda in modo particolare le lesbiche e le donne bisessuali che, a causa del livello di autonomia
economica e indipendenza in famiglia spesso inferiore a quello degli uomini, soffrono di diversi
problemi e hanno minore accesso ai meccanismi di protezione. Sebbene il diritto stabilisca che le
donne hanno gli stessi diritti degli uomini, nella pratica esse subiscono trattamenti estremamente
diseguali. Questa discriminazione multipla contribuisce alla frequente invisibilità delle lesbiche e
delle donne bisessuali in Turchia. I gay e gli uomini bisessuali sono a rischio di violenza e
discriminazione quando esplicitano il loro orientamento sessuale e sono spesso percepiti come
trasgressori del rigido concetto di virilità. Molte donne e uomini transgender, che non possono o non
vogliono nascondere la propria identità di genere agli occhi di una società ricca di pregiudizi,
subiscono alcuni dei più gravi atti di violenza e intolleranza a causa della loro identità di genere e
del loro percepito orientamento sessuale. Le donne transgender, in particolare, incontrano i
maggiori ostacoli nell’ambito dell’occupazione e in moltissimi casi sono costrette a lavorare
illegalmente nel mondo della prostituzione, aggiungendo un’altra ragione al pregiudizio nei loro
confronti e fornendo una motivazione aggiuntiva alle vessazioni da parte delle forze di polizia o di
sicurezza. Fonte di grande preoccupazione – e ancora largamente ignorata dalle autorità – è la
continua diffusione dei crimini d’odio, tra cui aggressioni violente e omicidi. Le donne transgender
ne sono un particolare obiettivo.
Nonostante la posizione delle autorità – che nella migliore delle ipotesi ignorano i diritti delle
persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e nella peggiore ne fanno oggetto di trattamenti
discriminatori – e la dilagante cultura omofobica e transfobica presente nei media e nella società in
generale, recentemente sono stati fatti passi avanti grazie al lavoro delle organizzazioni per i diritti
delle persone Lgbt in Turchia. La loro lotta contro l’intolleranza è stata condotta in un clima di
minacce e discriminazioni contro il loro stesso diritto alla libertà di espressione e di associazione.
Eppure, nonostante ciò, attraverso un’azione ininterrotta sono state ottenute vere vittorie per i diritti
umani, che rappresentano un esempio da seguire. Riconoscendo il legame tra l’intolleranza nei
confronti di diversi orientamenti sessuali e identità di genere con altre forme di intolleranza ufficiale
verso persone o gruppi con identità emarginate e opinioni dissenzienti, le organizzazioni Lgbt 5
hanno lavorato sempre più su una vasta gamma di preoccupazioni per i diritti umani in Turchia e
hanno iniziato a stringere alleanze con la più ampia società civile.
Amnesty International, insieme con le Ong turche e internazionali sue partner, rifiuta radicalmente
la posizione adottata finora dal governo turco – che ammette che la lotta alla discriminazione può
progredire ma, al tempo stesso, ignora la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e
l’identità di genere. Amnesty International chiede perciò alle autorità, insieme ad altre
raccomandazioni, di modificare la Costituzione in modo da proibire ogni forma di discriminazione
per motivi di orientamento sessuale e identità di genere e di inserire nella legislazione nazionale
norme globali contro la discriminazione. Amnesty International e le Ong sue partner chiedono anche
alle autorità di mettere in atto provvedimenti urgenti per impedire ulteriori crimini d’odio e di
adottare misure volte a perseguire in modo efficace i crimini d’odio avvenuti in passato. 6
Analogamente, Amnesty International chiede alle autorità turche di rispettare e proteggere il diritto
5
Sono le associazioni Kaos-Gl Association, Lambdaistanbul Lgbtt Association, Siyah Pembe Üçgen İzmir Lgbt
Association,Hevjin Lgbtt Initiative, MorEl Eskişehir Lgbtt Initiative e Pembe Hayat Lgbtt Solidarity Association.
6
L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) definisce i crimini d’odio come “reati penali,
inclusi quelli contro la persona e la proprietà, in cui in cui la vittima, le proprietà immobiliari o il bersaglio del reato sono
scelti a causa del loro reale o percepito collegamento, legame, appartenenza, sostegno o adesione a un gruppo”. Osce:
Combating Hate Crimes in the Osce Region, Osce Office for Democratic Institutions and Human Rights, Varsavia, 2005,
p. 12.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
4
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
di tutti alla libertà di espressione e di associazione, senza discriminazioni, comprese quelle legate
all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
METODOLOGIA
Il presente rapporto si basa su ricerche effettuate da delegati di Amnesty International nei mesi di
gennaio e febbraio 2011 in cinque città turche: Ankara, Diyarbakır, Eskişehir, Istanbul e İzmir.
Durante questo periodo Amnesty International ha effettuato oltre 70 interviste con persone lesbiche,
gay, bisessuali e transgender, le loro famiglie, attivisti, avvocati e altri ancora. Le informazioni
legate ai casi individuali su cui il rapporto si basa provengono dalle interviste svolte con le persone
interessate, le Ong o i gruppi che lavorano con esse e con i loro amici e sostenitori, da atti
processuali e da altri documenti ufficiali. Salvo dove è specificato che per ragioni di protezione si
sono utilizzati altri nomi, i nomi delle persone e dei luoghi sono reali. L’ambito del rapporto riflette i
temi più preoccupanti emersi durante la ricerca ma non intende rappresentare un racconto
esaustivo di tutte le minacce subite dalle persone a causa del loro orientamento sessuale o della
loro identità di genere. Inoltre, i ben motivati timori di discriminazione e molestie contro persone
che reclamano i propri diritti hanno presentato delle sfide per chi si accingeva a documentare gli
abusi. Amnesty International ringrazia in particolare tutti coloro che, nonostante le minacce e i
pregiudizi, hanno condiviso le loro storie con l’obiettivo di far progredire i diritti di tutte le persone
minacciate a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Le raccomandazioni
contenute in questo rapporto sono permeate dei loro punti di vista sui passi necessari per affrontare
la discriminazione e le violazioni che queste persone hanno subito.
Nel corso della ricerca, Amnesty International ha anche chiesto anche l’opinione delle autorità
statali. I delegati hanno incontrato Mehmet Zafer Üskül, presidente della Commissione
parlamentare d’inchiesta per i diritti umani. Amnesty International aveva richiesto di poter
incontrare anche funzionari del ministero degli Interni, della polizia e del distretto municipale di
Beyoğlu a Istanbul, ma essi hanno fatto sapere di non essere disponibili a incontrare i delegati di
Amnesty International durante il periodo della ricerca.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
5
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
INCAPACITÀ A PREVENIRE LE DISCRIMINAZIONI: INDIFFERENZA DEL
GOVERNO E MANCANZA DI TUTELA LEGALE
“I gay hanno avanzato delle richieste nel corso dei negoziati sulle riforme costituzionali. Abbiamo
intenzione di rispondere alle loro richieste? Nelle attuali condizioni non è possibile. La gente non è
ancora pronta.”
Burhan Kuzu, parlamentare del partito Giustizia e sviluppo (Akp) e capo del Comitato parlamentare costituzionale.7
Nonostante le lunghe campagne condotte dalle organizzazioni Lgbt8, nel diritto interno turco non
esiste alcuna protezione esplicita contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o
l’identità di genere. Allo stesso tempo, la magistratura applica spesso in modo discriminatorio
alcune disposizioni di diritto penale e civile. Non soltanto i politici di alto livello e i funzionari di
governo hanno respinto le richieste di uguaglianza, ma hanno anche rilasciato esplicite dichiarazioni
omofobiche che possono incoraggiare la discriminazione contro lesbiche, gay, bisessuali e
transessuali. Un altro segnale della chiusura delle autorità turche, anche a livello internazionale, al
riconoscimento di pari diritti a tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale o
identità di genere, è il costante rigetto delle raccomandazioni per la riforma delle norme contro la
discriminazione e il rifiuto a sottoscrivere risoluzioni che chiedono la tutela dei diritti delle persone
lesbiche, gay, bisessuali e transgender. La Turchia è uno dei numerosi stati membri del Consiglio
d’Europa a non aver ratificato il Protocollo 12 della Convenzione europea sui diritti umani e le
libertà fondamentali, che fornisce una norma indipendente contro la discriminazione.
Molte persone che hanno parlato con Amnesty International, dalle persone lesbiche, gay, bisessuali
e transgender agli attivisti e agli accademici, hanno identificato nella mancanza di protezioni legali
la causa più significativa del perdurare della discriminazione contro persone di diverso orientamento
sessuale o identità di genere.
OSTILITÀ DEL GOVERNO
Dopo l’entrata nel governo del partito Giustizia e sviluppo (Akp), nel 2002, nel quadro legislativo
sono state inserite riforme atte a rafforzare la protezione di alcuni diritti umani. 9 Ma, di contro, non
una sola disposizione sulla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere
è stata sottoposta al parlamento. Invece, si è avuta una lunga serie di dichiarazioni discriminatorie
da parte di funzionari governativi, dichiarazioni per quali il governo non si è scusato, né ha preso le
dovute distanze. Molti attivisti hanno raccontato ad Amnesty International dei danni provocati dalla
dichiarazione di Aliye Kavaf, la ministra per le Donne e la famiglia: “L’omosessualità è un disturbo
biologico che deve essere curato”.10 La dichiarazione ha avuto un’ampia e diffusa copertura
mediatica, ma il governo non l’ha respintan né ha emesso alcun comunicato di scuse. Simili
dichiarazioni omofobiche non sono incidenti isolati. Nel 2003, il portavoce del primo ministro
Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che “gli omosessuali non possono essere membri” del partito di
governo, “possono istituirne un proprio”. 11 Le dichiarazioni del sopracitato Burhan Kuzu, capo della
Commissione parlamentare costituzionale e parlamentare dell’Akp, il quale afferma che il governo
7
Dall’intervista “Eşcinseller de eşitlik istiyor, verecek miyiz?” apparsa sul quotidiano Milliyet, 28 gennaio 2008,
disponibile all’indirizzo http://www.milliyet.com.tr/2008/01/28/siyaset/asiy.html
8
Il Comitato costituzionale Lgbtt è composto dalle seguenti associazioni: Antalya Gökkuşağı Lgbt Initiative, Kaos-Gl
Association, Kaos-Gl İzmir, Kaosıst Lgbt Civil Society Initiative, Lambdaistanbul Lgbtt Association, MorEl Eskişehir Lgbtt
Initiative, Pembe Hayat Lgbtt Association.
9
Le riforme legislative sui diritti umani comprendono l’introduzione del nuovo codice penale turco (legge 5237) e del
codice di procedura penale (legge 5271), in vigore dal 1° giugno 2005. Per ulteriori dettagli si veda il documento di
Amnesty International, Turkey: The Entrenched Culture of Impunity Must End, 5 luglio 2007 (AI Index: EUR
44/008/2007).
10
V. la precedente nota 2.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
6
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
non dovrebbe piegarsi alle pressioni di chi vuole vietare la discriminazione per motivi di
orientamento sessuale e identità di genere, rappresentano la corrente principale all’interno del
governo. Qualche tempo dopo le dichiarazioni di Kuzu, un altro membro del Comitato e
parlamentare dell’Akp, Dengir Mir Firat, ha affermato che nel 21° secolo era prematuro effettuare
tali riforme, ma che forse nel 22° secolo i diritti delle persone Lgbt sarebbero stati tutelati. 12 L’idea
che l’opinione pubblica non sia pronta a recepire tale cambiamento è stata espressa anche dal
presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta per i diritti umani e parlamentare del Akp
Mehmet Zafer Üskül, durante un incontro con Amnesty International avvenuto a febbraio 2011. 13 A
fronte di tale resistenza al cambiamento, coloro che svolgono campagne per le riforme sono stati
vittime di censura: Kürşad Kahramanoğlu, uno dei pochi giornalisti turchi a sostenere i diritti Lgbt,
è stato incriminato per un articolo pubblicato sul quotidiano Birgün in cui affermava che “Burhan
Kuzu è un politico del secolo scorso, non di questo”.14
Durante l’analisi dello stato dei diritti umani in Turchia effettuata nel corso dell’Esame periodico
universale delle Nazioni Unite nel maggio 2010, le autorità turche hanno respinto diverse
raccomandazioni provenienti da altri stati per l’adozione del principio della non discriminazione
fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, affermando invece che l’espressione
“identità di genere” (poi rimossa) era stata inserita nella bozza della legge per la lotta alla
discriminazione e per la parità.15 Nel dicembre 2010 la Turchia non ha voluto esprimere il proprio
voto durante la storica adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, della
risoluzione che condanna le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie e contiene un
riferimento a quelle causate dall’orientamento sessuale delle vittime. 16 A sottolineare il fallimento a
livello internazionale della Turchia nella tutela dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender,
vi è anche il mancato sostegno a un comunicato congiunto emesso nel marzo 2011 dalla Colombia,
con l’appoggio di altri 85 stati, al Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, che chiedeva di
porre fine agli atti di violenza e alle violazioni dei diritti umani causati dall’orientamento sessuale e
dall’identità di genere.17
NEGATE LE RIFORME PER I DIRITTI LGBT
L’ostilità del governo è accompagnata dal suo fallimento nell’adottare misure per fornire protezione
legale a lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Prima dell’introduzione del nuovo codice penale nel
2005, le richieste della società civile per le necessarie tutele dalla discriminazione per motivi di
orientamento sessuale e identità di genere furono respinte dal legislatore – a quanto sembra per
espressa richiesta dell’allora ministro della Giustizia, Cemil Çiçek.18 Nel maggio 2010, il
parlamento ha approvato modifiche costituzionali all’articolo 10 della Costituzione in materia di non
11
Hüseyin Özalp, “Gli omosessuali possono essere membri dell’Akp?”, in Sabah, 15 aprile 2003, citato in We need a law
for liberation, Human Rights Watch, maggio 2008, disponibile su http://www.hrw.org/en/reports/2008/05/21/we-need-law-liberation
12
“Anayasanın eşitlik ilkesine cinsel yönelim eklensin”, 10 febbraio 2011, disponibile all’indirizzo
http://www.farklihaber8.com/haber/tartisma/anayasanin-esitlik-ilkesine-cinsel-yonelim/2277.aspx
13
Intervista con i delegati di Amnesty International, 23 febbraio 2011.
14
A marzo 2011 era ancora in corso il procedimento penale per diffamazione avviato dopo una denuncia penale degli
avvocati che rappresentano Burhan Kuzu.
15
La lista completa delle raccomandazioni è inserita nel rapporto del Gruppo di lavoro sull’Esame periodico universale
sulla Turchia, adottato dalla 15° sessione del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, A/HRC/15/13/Add.1,
disponibile su: http://daccess-ddsny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G10/160/66/PDF/G1016066.pdf?OpenElement
16
La risoluzione A/RES/65/208 ha condannato ogni tipo di esecuzione extragiudiziale, sommaria o arbitraria e ha chiesto
che tutti gli stati si assicurino che tale pratica venga eliminata. La risoluzione è stata approvata con 122 voti a favore, 1
contrario e 62 astenuti. In precedenza, era stato adottato un emendamento presentato dagli Stati Uniti, che inseriva le
parole “o a causa del loro orientamento sessuale” in un paragrafo. L’emendamento è stato approvato con 93 voti
favorevoli, 55 contrari e 27 astenuti, e circa 16 delegati hanno preso la parola per spiegare la posizione del loro paese. Il
testo della risoluzione si può trovare all’indirizzo: http://www.un.org/en/ga/65/resolutions.shtml
17
Il testo della dichiarazione è disponibile su http://www.iglhrc.org/binary-data/ATTACHMENT/file/000/000/491-1.pdf
18
L’articolo 122 del codice penale turco (legge n. 5237) stabilisce la responsabilità penale per la discriminazione.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
7
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
discriminazione, permettendo azioni positive nella lotta alla discriminazione. 19 Tuttavia, la
possibilità di estendere la protezione ai motivi di orientamento sessuale e identità di genere non è
stata portata avanti.
Probabilmente, il fallimento più sciagurato del governo nel legiferare per la tutela dei diritti Lgbt
riguarda la bozza della legge per la lotta alla discriminazione e per la parità. Redatta nel marzo
2011 anche grazie alla collaborazione delle organizzazioni della società civile turca, intendeva
essere una legge onnicomprensiva contro la discriminazione. Essa proponeva la creazione di
un’istituzione indipendente atta a garantire l’applicazione degli standard per la non discriminazione.
Tuttavia, nella versione più recente della legge, così come è stata pubblicata sul sito del ministero
dell’Interno a marzo 2011, la protezione dalla discriminazione sulla base dell’identità sessuale –
formulata dagli estensori per ricomprendere l’identità di genere e l’orientamento sessuale – era stata
eliminata.20 In questo modo, sembra essere stato respinto ancora una volta il più importante passo
avanti verso il divieto di discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di
genere.
APPLICAZIONE E INTERPRETAZIONE DISCRIMINATORIE DELLA LEGGE
La legislazione turca non ha mai criminalizzato l’omosessualità, né richiesto una maggiore età per il
consenso in caso di coppie di persone dello stesso sesso. 21 Tuttavia, le persone vengono
regolarmente discriminate nei procedimenti giudiziari penali e civili a causa del loro orientamento
sessuale o della loro identità di genere.
Con l’eccezione dei requisiti per lo svolgimento del servizio militare22 (si veda p. 15, capitolo su
violenza e discriminazione nelle forze armate), le norme del diritto interno non discriminano in
modo esplicito le persone in base all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Ciò nonostante,
numerose leggi, pur non essendo esplicitamente discriminatorie, sono applicate dalla magistratura
in modo da discriminare in pratica le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Per fare un
esempio in materia di occupazione, l’articolo 125 della legge sui dipendenti pubblici comprende
una clausola che vieta un “comportamento immorale e disonorevole” che è stata utilizzata per
licenziare dipendenti pubblici a causa del loro orientamento sessuale.23 In quanto tale, essa è un
aspetto della pratica della discriminazione contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender
nel mondo del lavoro (si veda p. 20, capitolo sulla discriminazione nel campo dell’occupazione).
Anche il concetto di moralità è spesso applicato in modo discriminatorio. Nell’ambito del codice
civile, tale concetto è stato spesso impiegato dai pubblici ministeri per chiedere la chiusura delle
associazioni Lgbt (v. p. 24, capitolo sulla libertà di associazione). Anche la copertura delle
tematiche Lgbt nei media e nella comunicazione è stata considerata una violazione delle norme
sulla morale pubblica e l’oscenità. Nel 2006 tutte le copie di un numero della rivista prodotta
19
L’articolo 10 della Costituzione proibisce la discriminazione per motivi di “lingua, razza, colore, genere, opinioni
politiche, credenze filosofiche, religione, confessione religiosa o motivi analoghi”.
20
L’articolo 3 della bozza in precedenza includeva la discriminazione motivata dall’identità sessuale, intesa a
comprendere l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Nel marzo 2011 la bozza era disponibile sul sito web del
ministero degli Interni, http://www.icisleri.gov.tr/default.icisleri_2.aspx?id=5692
21
La legge non fa menzione delle coppie dello stesso sesso ma si riferisce a uomini e donne.
22
L’articolo 10, h, 8 della legge sul servizio militare (n. 1520) prevede l’esonero per le persone ritenute inadatte al
servizio militare ai sensi del Regolamento sulle capacità fisiche per servire nelle forze armate. L’articolo 17, D/4 cita i
“disordini sessuali avanzati” nell’elenco delle malattie che rendono gli uomini inadatti a svolgere il servizio militare.
23
L’articolo 125 E/9 della legge sui dipendenti pubblici (n. 657) consente il licenziamento di persone trovate “ad agire in
modo immorale e disonorevole, non compatibile con la posizione di dipendente pubblico”. Atti giudiziari esaminati da
Amnesty International, con nomi occultati su richiesta delle persone interessate. Le decisioni hanno confermato il
licenziamento di un agente di polizia e di un insegnante, rispettivamente dai tribunali amministrativi di Istanbul e Çorum.
La destituzione dell’agente di polizia è stata confermata il 25 dicembre 2009 dall’ottava Corte amministrativa di Istanbul,
mentre il caso dell’insegnante è ancora pendente in appello.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
8
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
dall’associazione Lgbt Kaos-Gl di Ankara sono state confiscate in base al fatto che le immagini
erano oscene e violavano le regole del buoncostume. Kaos-Gl, che respinge le accuse, ha esaurito
tutti i rimedi giuridici nazionali per ottenere giustizia e il caso è attualmente in esame presso la
Corte europea dei diritti umani.24 A marzo 2011, il Consiglio supremo per la radio e la televisione
(Rtük), l’agenzia di stato per la vigilanza, la regolamentazione e il sanzionamento delle trasmissioni
radiofoniche e televisive, avrebbe ingiunto a un canale televisivo di scagionarsi dall’accusa di aver
acquistato i diritti per trasmettere il film Sex and the City 2. Il Consiglio ha ritenuto che le scene
del film che rappresentano il matrimonio gay “violavano i valori nazionali e spirituali e la struttura
della famiglia turca”. Se riconosciuta colpevole, l’emittente potrà essere multata per almeno
10.000 lire turche (4.500 euro).25
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender rischiano di essere discriminate anche nei
procedimenti penali in cui compaiono come vittime di crimini violenti. Amnesty International ha
raccolto numerosi casi in cui le informazioni sul processo non sono state condivise con la famiglia
della vittima, come richiesto dalla legge. Gli autori dei reati a volte ottengono una riduzione della
pena nei casi in cui affermano di aver commesso il reato a seguito di una “provocazione indebita”,
termine con cui si sottintende che la vittima avrebbe suggerito o proposto rapporti sessuali (v. p.
29, capitolo sui crimini d’odio).
Considerate le giustificazioni arbitrarie e discriminatorie rilevate nelle decisioni di alcuni giudici, di
cui si sono citati sopra alcuni esempi, permane un rischio reale che lesbiche, gay, bisessuali e
transgender vedano compromesso il proprio diritto alla giustizia, sia nel procedimento civile che in
quello penale, quando il tribunale è a conoscenza del loro orientamento sessuale o della loro
identità di genere.
Di fronte a tali pratiche – sia a livello locale che presso le corti d’appello – è chiaro che il diritto
internazionale e gli standard in materia di non discriminazione non vengono applicati. L’asserzione
del governo che l’articolo 90 della Costituzione – che stabilisce l’applicazione degli standard
internazionali in caso di diritti e libertà fondamentali laddove vi sia conflitto con il diritto interno –
sia un rimedio alle carenze della legislazione è totalmente viziata. Ciò si è dimostrato tristemente
inadeguato a garantire la giustizia a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender.26
24
Kaos-Gl vs. Turchia, istanza n. 4982/07, decisione di ammissibilità del 19 giugno 2009.
“Sex and the Rtük”, Hürriyet, 23 marzo 2011, http://www.hurriyet.com.tr/gundem/17346740.asp?gid=373
26
L’articolo 90/5 della Costituzione recita: “Gli accordi internazionali debitamente attivati hanno forza di legge. Per essi
non si potrà adire alla Corte costituzionale con eccezioni di incostituzionalità. In caso di conflitto per diversità di
disposizioni tra un accordo internazionale relativo ai diritti e alle libertà fondamentali debitamente attivato e il diritto
interno, prevarranno le norme dell’accordo internazionale”.
25
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
9
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
LA DISCRIMINAZIONE IN PRATICA
Emarginate per l’assenza di tutela giuridica dalle discriminazioni e per l’impossibilità di accedere
alla giustizia, le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender corrono un rischio maggiore di
trattamento sfavorevole da parte dei funzionari statali. Questa circostanza, sommata alla
predominanza di punti di vista omofobici e transfobici, scaturisce in una regolare, e in alcuni casi
sistematica, serie di varie molestie da parte dei funzionari statali nei confronti di alcuni membri
della comunità Lgbt. La frequente maggiore visibilità delle persone transgender rispetto a lesbiche,
gay o bisessuali – che non hanno motivo di rendere evidente il proprio orientamento sessuale – fa sì
che i funzionari pubblici trovino più occasioni per vessarle, soprattutto in termini di violenze e
molestie da parte della polizia e nel non permettere loro di accedere ai servizi. I gay sono a rischio
di violenza, compresa quella sessuale, all’interno delle forze armate. Lesbiche, gay, bisessuali e
transgender richiedenti asilo o rifugiati si scontrano con problemi ancora diversi: data la loro
maggiore dipendenza dagli aiuti statali, subiscono molteplici discriminazioni sia come persone
bisognose di protezione, sia a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere, spesso
isolati dalle reti di sostegno delle loro comunità nazionali. Le associazioni di solidarietà Lgbt che
combattono questi abusi sono state oggetto di cause civili intentate dalle autorità allo scopo di
chiuderle e di altri attacchi discriminatori al loro diritto alla libertà di espressione e di associazione.
VIOLENZA DELLA POLIZIA
“Ecco, accolgo la tua denuncia. Lamentati quanto vuoi, tanto non accadrà nulla.”
Dichiarazione di un agente di polizia riferita da una transgender che cercava di denunciare alla stazione di polizia di Alsancak, İzmir, i maltrattamenti
che aveva subito.
Le donne transgender hanno una lunga storia di violenze perpetrate dalla polizia durante la
custodia. È stato riferito ad Amnesty International che in molti casi gli agenti di polizia considerano
come prostitute tutte le transgender che si trovano in luoghi pubblici e, in conseguenza, le
ritengono bersagli legittimi per l’arresto, le molestie e, in alcuni casi, la violenza fisica. Le stazioni
di polizia nella zona di Beyoğlu a Istanbul e in quella di Alsancak a İzmir sono particolarmente note
per le torture e i maltrattamenti subiti dalle donne transgender fermate in strada dalla polizia. In un
raro esempio di procedimento penale a seguito di tali abusi, un poliziotto, Süleyman Ulusoy,
soprannominato Hortum Süleyman (Solimano il tubo di gomma) è stato incriminato per
maltrattamenti ai danni di nove donne transgender durante il periodo in cui è stato capo della
polizia a Beyoğlu tra il 1996 e il 1997. Tuttavia, il procedimento è stato interrotto prima della
conclusione grazie a un’amnistia.27 In un sondaggio condotto nel 2010 dall’organizzazione Lgbt
Lambdaistanbul, oltre l’89 per cento delle 104 donne transgender intervistate ha dichiarato di
essere stata vittima di violenza fisica da parte della polizia durante la custodia. Le cifre relative alla
violenza verbale sono ancora più alte, con il 97 per cento delle intervistate che dichiarano di
esserne state vittime. Il 77 per cento delle intervistate ha dichiarato di aver subito violenza
sessuale, mentre l’86 per cento ha dichiarato che la polizia si è rifiutata di registrare dati durante la
detenzione.28 Queste percentuali corrispondono a quelli forniti ad Amnesty International. Quasi ogni
donna transgender con cui Amnesty International ha parlato all’inizio del 2011 ha dichiarato che,
nell’anno precedente, aveva subito violenze estreme – compresa la violenza sessuale – da parte di
27
Il giudizio definitivo sul caso fu sospeso durante il periodo di prescrizione ai sensi della Legge sul rilascio in libertà
vigilata e la sospensione di casi e condanne per i reati commessi fino al 23 aprile 1999. Secondo l’articolo 4, per i reati
punibili con la reclusione fino a 10 anni commessi prima del 23 aprile 1999, il caso o il giudizio definitivo devono essere
sospesi. I documenti e le prove legate a detti reati sono trattenuti fino allo scadere della prescrizione. Nel caso in cui un
reato simile o più grave venga commesso durante il periodo della prescrizione, il caso sospeso viene riaperto. Se ciò non
accade, il caso viene archiviato.
28
İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity
Association, p. 37.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
10
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
agenti nelle stazioni di polizia. Forse a causa della generale riduzione di episodi di tortura e altri
maltrattamenti nelle stazioni di polizia – ma più significativamente grazie all’attivismo delle donne
transgender che hanno pubblicizzato e fatto campagne contro la violenza della polizia con proteste
di strada – negli ultimi anni i casi di maltrattamenti sono diminuiti drasticamente. Tuttavia,
permangono i casi di maltrattamenti nei luoghi ufficiali di detenzione, mentre un numero ancor più
grande sembra avvenire per strada e fuori dai luoghi ufficiali di detenzione. In molti casi le donne
transgender hanno riferito ad Amnesty International di non aver denunciato la polizia perché
temevano ripercussioni da parte degli agenti che avrebbero continuato a controllare la zona in cui
esse vivevano. Molti dei casi di presunti maltrattamenti avvenuti in passato per i quali è stata
presentata denuncia penale non sono stati indagati in modo efficace, mentre in altri casi gli agenti
di polizia hanno presentato contro-denunce. È stato anche segnalato che il personale medico
dell’ospedale Taksim di Beyoğlu a Istanbul si è, in alcune occasioni, rifiutato di documentare le
ferite subite a seguito di violenze della polizia, contribuendo così ulteriormente all’impunità degli
agenti responsabili.29
Un caso che illustra bene tale situazione è quello di cinque appartenenti a Pembe Hayat (Vita rosa),
un’associazione di solidarietà Lgbt con sede ad Ankara, la cui auto è stato fermata dalla polizia
mentre tornavano da manifestazione anti-omofobia il 17 maggio 2010 (si veda a p. 12 il caso
Pembe Hayat).
Un altro caso riguarda Hasret di İzmir. Ella ha riferito che agenti di polizia l’hanno arrestata e hanno
tentato di portarla alla stazione di polizia Alsancak a İzmir. Quando ha chiesto perché la volevano
arrestare, gli agenti sono divenuti violenti, picchiandola e costringendola ad andare alla stazione di
polizia. Una volta arrivati, gli agenti hanno continuato a picchiarla.
Sono stati segnalati ad Amnesty International altri 12 casi di presunti maltrattamenti commessi da
agenti di polizia nella zona di Beyoğlu tra il 2007 e il 2009, per i quali è stata presentata denuncia
ma non è stato avviato alcun procedimento contro i responsabili nonostante vi fossero prove forti e
sufficienti.
29
Da molto tempo Amnesty International ha espresso preoccupazione sull’impossibilità, per le persone che denunciavano
maltrattamenti da parte di agenti delle forze di polizia o di sicurezza, di ottenere assistenza medica e sulla mancanza di
referti medici ufficiali accurati, fattori che contribuiscono all’impunità degli agenti responsabili di violazioni dei diritti
umani. Si veda, per esempio, il documento Briefing to the Committee Against Torture, ottobre 2010, AI Index EUR
44/023/2010, disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/023/2010. Il documento non ha però preso in
esame l’eventualità che le persone transgender siano ulteriormente discriminate a causa della loro identità di genere
quando cercano di ottenere documentazione medica.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
11
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
PEMBE HAYAT
Pembe Hayat (Vita Rosa) è una organizzazione a sostegno delle persone Lgbt con sede ad Ankara.
Nell’ultimo anno vi sono stati due procedimenti penali ai danni di membri di Pembe Hayat a seguito di incidenti in cui era
coinvolta la polizia. Il primo episodio ha avuto luogo ad Ankara la sera del 17 maggio 2010, quando la polizia fermò
un’automobile con a bordo quattro membri di Pembe Hayat.
Secondo un socio della sezione turca di Amnesty International giunto sul posto dopo che il gruppo era stato fermato, gli
agenti chiesero ai quattro occupanti di scendere dal veicolo senza fornire una spiegazione. Gli attivisti si offrirono di
consegnare le carte d’identità ma si rifiutarono di scendere dall’auto, al tempo stesso avvisando telefonicamente su
quanto stava accadendo altri attivisti e sostenitori di Pembe Hayat. Circa 25-30 membri dell’organizzazione si
presentarono sul posto e uno di essi salì in auto con gli altri.
Secondo il socio di Amnesty International, la polizia imiegò una forza sproporzionata contro coloro che erano sopravvenuti,
utilizzando spray al pepe e colpendoli con i manganelli. Egli ha descritto il modo in cui gli agenti spruzzarono lo spray al
pepe anche nella vettura, costringendo i cinque attivisti transgender a uscire. Inoltre, è stato riferito che alcuni agenti
della polizia tentarono di incitare i residenti locali a sporgere denuncia contro gli attivisti transgender.
I cinque attivisti transgender presentarono denuncia contro gli agenti di polizia per il trattamento subito dopo essere stati
presi in custodia presso la stazione di polizia di Esat. Secondo le informazioni ricevute, dopo il rilascio gli attivisti si
recarono presso l’Istituto medico legale perché fossero documentate le ferite subite. La denuncia contro gli agenti è stata
archiviata, mentre il pubblico ministero ha deciso di aprire un procedimento penale nei confronti degli attivisti per
“resistenza a pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni”. Il caso è stato archiviato durante la prima udienza
del processo, il 24 ottobre 2010.
Un secondo procedimento contro tre attivisti di Pembe Hayat è stato avviato per “resistenza a pubblico ufficiale nello
svolgimento delle sue funzioni”, “ingiurie” e “danneggiamento di proprietà pubblica” a seguito di un episodio avvenuto il
19 giugno 2010. Secondo Pembe Hayat, l’incidente si è verificato quando tre membri dell’associazione, due dei quali erano
tra quelli incriminati nel caso precedente, si trovavano in un’auto in via Bağlar, ad Ankara, quando furono avvicinati da
due agenti di polizia. Nell’incriminazione si sostiene che gli attivisti cercarono di allontanarsi, che opposero resistenza
all’atto di salire su un veicolo della polizia, che uno di loro insultò gli agenti e che un altro colpì la mano di un agente di
polizia, facendogli cadere a terra la ricetrasmittente, che si danneggiò. Gli attivisti negano le accuse e hanno presentato
contro gli agenti di polizia una denuncia per maltrattamenti che è stata archiviata. A marzo 2011, il processo contro gli
attivisti era ancora in corso. Se condannati, essi rischiano da sei mesi a tre anni di reclusione.
APPLICAZIONE ARBITRARIA DI MULTE
L’emissione di contravvenzioni da parte degli agenti di polizia che utilizzano sia la legge per reati
minori, sia quella sulla circolazione è divenuta il metodo principale per molestare le donne
transgender.30 L’applicazione indiscriminata e arbitraria di queste leggi per multare per “intralcio al
traffico” o “disturbo delle quiete pubblica” costituisce una punizione inferta a una persona sulla
base della sua identità sessuale. Alcune transgender hanno riferito ad Amnesty International di
essere state multate dopo essere state fermate mentre camminavano per strada per fare
commissioni quotidiane, come fare la spesa o andare dal parrucchiere. Amnesty International ha
potuto esaminare documenti ufficiali sulle contravvenzioni emesse a Istanbul, Ankara e İzmir che
provano un’ampia diffusione di tale abuso del diritto. Un documento interno emesso da un’autorità
di polizia di quartiere a İzmir nel 2006, vagliato da Amnesty International, autorizza gli agenti di
30
La legge sui reati minori (n. 5326) è impiegata per spiccare contravvenzioni per disturbo della quiete pubblica o per
interruzione della circolazione; la legge sulla circolazione stradale (n. 2918) è utilizzata per multare (in questo caso i
pedoni) per interruzione della circolazione.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
12
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
polizia a fermare e perquisire qualsiasi “travestito” visto per strada senza bisogno che vi siano indizi
di un reato, il che indica una sistematica pratica vessatoria. Il documento individua le strategie da
adottare “nel contesto del nostro lavoro per prevenire i disagi causati da persone identificate come
travestiti”. E continua: “Grazie alla nostra recente attività, l’area è stata ‘ripulita’ da queste
persone, ma i travestiti, le donne che si prostituiscono, gli sniffatori di colla e gli ‘psicopatici’ sono
ancora presenti nella zona”. Il documento autorizza le unità di polizia a fermare e perquisire tutti i
“travestiti”, le prostitute, gli sniffatori di colla, i senzatetto e gli “psicopatici” prima di prenderli in
custodia come richiesto. Gli attivisti hanno dichiarato ad Amnesty International che le
contravvenzioni venivano sistematicamente emesse quando erano le donne transgender a essere
fermate e trattenute in custodia. Gli attivisti di İzmir hanno dichiarato ad Amnesty International che
il documento è stato usato per giustificare il blocco e l’imposizione del coprifuoco in una strada del
quartiere abitata da alcune donne transgender e che la pratica di fermare e multare
sistematicamente le transgender in modo arbitrario è ancora in uso.
Gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International che i tentativi da parte delle transgender di
far valere i propri diritti, come per esempio chiedere le ragioni del fermo, hanno avuto come
conseguenza maltrattamenti e in alcune occasioni, l’incriminazione penale (v. p. 10, capitolo sulla
violenza della polizia e p. 12, caso di Pembe Hayat).
La frequenza e l’entità delle contravvenzioni inflitte sono variabili. Solitamente sono sanzioni da 69
lire turche (30 euro). È stato riferito ad Amnesty International che era molto comune l’emissione di
più multe nello stesso giorno e che le transgender erano particolarmente a rischio di essere multate
nei quartieri esclusivi delle città o in quelli dove non vivono abitualmente. Amnesty International ha
esaminato più di 40 documenti che registravano le contravvenzioni spiccate contro una sola
persona a Istanbul nel 2008-2009 secondo la legge sulla circolazione stradale per un importo
totale pari a migliaia di lire turche. Un’altra transgender ha mostrato ad Amnesty International un
documento che le intimava di versare al fisco più di 300 lire turche (140 euro). Molte transgender
hanno raccontato ad Amnesty International che il rischio costante di essere multate e l’onere
finanziario costituito dalle ammende per chi, come loro, ha spesso redditi molto bassi, genera la
paura di recarsi in alcune zone della città e le fa sentire intrappolate nella zona in cui abitano, il
che costituisce un grave limite al loro diritto alla libertà di movimento.
I tentativi degli avvocati di contestare le multe in tribunale hanno ottenuto risultati contrastanti. In
alcuni casi le sanzioni sono state annullate – in quanto non vi erano elementi di prova a sostegno –
mentre in altri i giudici hanno respinto le richieste di annullamento, basandosi sulla versione
ufficiale della polizia. Molte transgender hanno riferito ad Amnesty International di essere state
multate con una frequenza tale che non hanno contestato le contravvenzioni, né le hanno pagate. I
debiti risultanti le rendono a rischio di processi per mancato pagamento, reato per il quale possono
essere applicate pene detentive. I debiti, inoltre, complicano molto la quotidianità delle transgender
che, per esempio, non possono prendere la residenza per paura che arrivino gli ufficiali giudiziari,
né aprire un conto corrente bancario o acquistare oggetti a credito.
EBRU ED ELÇİN DI ISTANBUL
Ebru ed Elçin, entrambe residenti nel quartiere di Tarlabaşı, nel centro di Istanbul, hanno raccontato ad Amnesty
International delle vessazioni, violenze e intimidazioni che hanno subito in qualità di donne transgender sia da parte delle
autorità statali che dei loro clienti. Ebru, che ora ha 52 anni, vive a Tarlabaşı da 36 anni. Elçin, 24 anni, è di Istanbul e
vive a Tarlabaşı da cinque anni.
Secondo Ebru, rispetto agli anni passati il livello di violenza contro le donne transessuali a Istanbul si è ridotto. Ha
dichiarato che fino a quattro anni fa era comune per le transgender essere prelevate per strada e maltrattate alla stazione
di polizia di Beyoğlu. Lei stessa è stata maltrattata alla stazione di polizia e costretta a compiere atti sessuali con alcuni
agenti in numerose occasioni. Ebru ha raccontato che ultimamente gli agenti di polizia di Tarlabaşı maltrattano le
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
13
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
transgender al di fuori dei luoghi ufficiali di detenzione, per esempio durante il trasporto nelle auto della polizia, oppure
emettono sanzioni amministrative punitive utilizzando norme previste dalla legge sui reati minori o sulla circolazione
stradale.
Ebru ha riferito di un episodio avvenuto nel mese di luglio o agosto 2010. Stava camminando sul marciapiede vicino alla
strada principale alla periferia di Tarlabaşı con un’altra transgender, quando un veicolo della polizia con tre agenti in
uniforme si fermò accanto a loro. Gli agenti intimarono loro di salire sull’automobile. Una volta salite, gli agenti di polizia
iniziarono a insultarle chiamandole “froci” e “debosciati”, prendendole a schiaffi e picchiandole con i manganelli. Nel
frattempo, continuarono a guidare l’automobile fino a raggiungere il quartiere Okmeydanı di Istanbul, dove le lasciarono
sull’autostrada. Ebru ha raccontato ad Amnesty International di non aver denunciato i maltrattamenti subiti perché non
credeva che ci sarebbero state indagini, né che gli agenti sarebbero stati puniti.
Elçin ha raccontato ad Amnesty International che nel dicembre 2010, intorno alle 3 del mattino, camminava lungo in una
strada secondaria a Tarlabaşı quando cinque o sei uomini in abiti civili – ma che sapeva essere agenti di polizia – le si
avvicinarono. Le urlarono oscenamente “‘vai a farti f..., frocio, che stai facendo qui, ti stai facendo f… nel c…, vai al
diavolo, figlio di p…” e così via. Ha dichiarato che la minacciarono anche di violenza, agitando alcuni bastoni, prima di
picchiarla per strada, colpendola con pugni e calci. Elçin si recò in ospedale per una perizia medica al fine di sporgere
denuncia, ma nonostante le radiografie e le prove di reali danni fisici, le fu detto che il referto medico le sarebbe stato
consegnato se ritornava in ospedale accompagnata da agenti di polizia.
Elçin ha anche riferito ad Amnesty International di aver subito, la settimana precedente, un’altra aggressione violenta. Ha
raccontato di essere stata caricata su un’automobile da tre clienti su viale Tarlabaşı e portata in uno spazio aperto nel
quartiere di Beykoz, nella parte asiatica di Istanbul, dove sono stati raggiunti da altri quattro uomini, conoscenti di quelli
che erano in auto. Elçin ha dichiarato che uno degli uomini l’ha colpita con un telefono cellulare e l’ha violentata prima di
rubarle 200 lire turche che aveva con sé, lasciandola poi sul margine della strada. Nel riferire questo episodio ai delegati
di Amnesty International, Elçin ha mostrato il taglio accanto alla bocca rimastole dove il telefono cellulare l’aveva colpita.
Ha anche detto che non ha nemmeno pensato a sporgere denuncia perché tali violenze sono routine e la polizia non è
interessata a indagare neppure quando vi sono forti prove del crimine e se ne conoscono i responsabili.
Sia Elçin che Ebru hanno raccontato ad Amnesty International di essere continuamente sottoposte a contravvenzioni
arbitrarie, secondo la legge sui reati minori e sul traffico, da parte di agenti di polizia che le prelevavano dalla strada per
portarle alla stazione di polizia di Beyoğlu, dove le multano per disturbo della quiete pubblica o intralcio al traffico
semplicemente per il fatto che sono transgender e, in quanto tali, presumibilmente prostitute. Elçin ha dichiarato di avere
200 o 300 lire turche (90 o 140 euro) di multe non pagate e di temere che sia intentata una causa nei suoi confronti, che
potrebbe condurre alla detenzione per mancato pagamento. Sia lei che Ebru hanno dichiarato di essere state multate
mentre camminavano per le strade di Tarlabaşı e che gli agenti di polizia hanno spesso indicato nei verbali luoghi diversi
da quelli in cui le avevano effettivamente fermate. Ebru ha mostrato ad Amnesty Internazionali 19 multe inflittele dagli
agenti di polizia. Una di queste era stata emessa mentre usciva da un negozio di parrucchiere e un’altra per intralcio al
traffico dopo che era stata fermata a İstiklal Caddesi (una strada pedonale nel centro di Istanbul), anche se il verbale
sosteneva che stava camminando a Tarlabaşı.
Nonostante le molestie e la violenza perpetrata dagli agenti di polizia nella zona, sia Elçin che Ebru hanno dichiarato che
Tarlabaşı è l’unico quartiere di Istanbul in cui possono vivere. Elçin ha raccontato di aver vissuto in un quartiere nella
parte asiatica di Istanbul, ma che la polizia le aveva reso la vita impossibile, facendo irruzioni in casa sua e dicendole che
non era la benvenuta in quella zona. Di conseguenza si è trasferita a Tarlabaşı. Ebru ha raccontato che la presenza di una
comunità di donne transgender nella zona che si sono organizzate per protestare contro le vessazioni della polizia, le fa
sentire più forti e sicure che altrove. Entrambe hanno dichiarato ad Amnesty International che rischiano di essere sfrattate
a causa del progetto di “riqualificazione urbana” della zona e ciò significherebbe per loro meno sicurezza e maggiore
vulnerabilità agli abusi (v. p. 19, capitolo sul progetto di riqualificazione urbana di Tarlabaşı).
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
14
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
ABUSI SUI GAY NELLE FORZE ARMATE
In Turchia il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini di età compresa tra i 19 e i 40 anni
e ha una durata di 15 mesi. Non è prevista alcuna forma di servizio alternativo civile. 31 La Turchia
rifiuta di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza, in aperta violazione degli standard
internazionali sui diritti umani.32 I gay intervistati da Amnesty International nei primi mesi del 2011
hanno affermato di aver subito minacce e abusi da parte di superiori e commilitoni e, in alcuni casi,
di aver subito violenze omofobiche da parte dei soldati a causa del loro orientamento sessuale.
Hanno dichiarato ad Amnesty International che la conoscenza di tali abusi o la consapevolezza che
in quanto gay erano a rischio di abusi omofobici hanno indotto molti a eludere il servizio militare,
rischiando sanzioni penali, o a richiedere l’esonero per via del loro orientamento sessuale.
Secondo le attuali normative, i gay sono esonerati dal prestare il servizio militare perché
l’omosessualità è considerata un “disordine psicosessuale” e, in conseguenza di questa
“condizione”, essi sono “inadatti al servizio”. Questa disposizione, discriminatoria di per sé, viola
gli standard sui diritti umani.33 Inoltre, al fine di ottenere l’esonero, gli uomini sono tenuti a
“provare” la loro omosessualità. Tale prova può consistere nell’obbligo di una visita anale, che può
violare la proibizione di tortura e di altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti, o nel fornire
prove fotografiche di rapporti omosessuali, il che viola il diritto alla privacy. I gay che scelgono di
non passare attraverso questo processo umiliante o quelli a cui non viene concesso l’esonero
rischiano di subire minacce, umiliazioni e violenze durante il servizio militare.
MINACCE, ABUSI E ISOLAMENTO
I gay che hanno raccontato la loro esperienza durante il servizio militare oscillano tra coloro che
sono riusciti a nascondere la propria identità e quindi a non subire maltrattamenti, a coloro che
sono stati oggetto di abusi e minacce di violenza per tutta la durata del servizio. Ad Amnesty
International sono stati segnalati molti casi di gay tenuti in isolamento dai comandanti a causa di
una dichiarata minaccia alla loro sicurezza (v. p. 15, il caso di Asil di İzmir). Altri hanno raccontato
ad Amnesty International che, oltre al resto, sono stati obbligati a fare i lavori più sporchi o meno
piacevoli come punizione de facto per il loro orientamento sessuale. Altri ancora hanno rivelato di
aver subito insulti omofobici o minacce di violenza. È stato segnalato ad Amnesty International che,
come nel caso di soldati identificati come curdi o di sinistra, quelli ritenuti gay rischiavano di subire
violenze da parte dei superiori o dei commilitoni. I gay hanno anche dichiarato di aver temuto di
31
Alla data di marzo 2011, i regolamenti consentono riduzioni al periodo di 15 mesi per laureati e persone maggiori di 30
anni di età, dietro pagamento di una somma sostitutiva.
32
Il diritto di rifiutarsi di svolgere il servizio militare per motivi di coscienza è insito nel concetto di libertà di pensiero,
coscienza e religione così come dettato da numerosi strumenti internazionali di tutela dei diritti umani, tra cui la
Dichiarazione universale dei diritti umani e il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) di cui la Turchia è stato
parte. Fin dal 1998, con la risoluzione 1998/77, la Commissione delle Nazioni unite per i diritti umani ha affermato che
il diritto alla obiezione di coscienza al servizio militare è tutelato dall’articolo 18 dell’Iccpr (che tratta del diritto alla
libertà di religione, coscienza e opinione): “Il diritto di ognuno a esercitare l’obiezione di coscienza al servizio militare
[costituisce] un legittimo esercizio del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione come sancita dall’articolo 18
della Dichiarazione universale dei diritti umani e dall’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici”. Nella
risoluzione, il Comitato ha anche reiterato la richiesta agli stati di “fornire agli obiettori di coscienza varie forme di servizio
alternativo che siano compatibili con le motivazioni alla base dell’obiezione di coscienza, di carattere non belligerante o
civile, nell’interesse pubblico e non di natura punitiva” e ha enfatizzato che gli stati devono “astenersi dal sottoporre gli
obiettori di coscienza alla reclusione e a ripetute punizioni per non voler svolgere il servizio militare”, ricordando “che
nessuno dovrà essere passibile di punizioni o punito nuovamente per un reato per il quale sia già stato definitivamente
condannato o assolto ai sensi del diritto e della procedura penale di ogni paese”. Il 3 novembre 2006, il Comitato per i
diritti umani ha stabilito che la Repubblica di Corea, con l’incriminazione e la condanna di due obiettori di coscienza che
si erano rifiutati di svolgere il servizio militare, aveva violato l’art. 18 dell’Iccpr, poiché lo stato non aveva previsto un
servizio civile alternativo (Comunicazioni n. 1321/2004 e 1322/2004).
33
La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’interdizione dei gay dal servizio nelle forze armate viola l’articolo 8
della Convenzione europea sui diritti umani (Diritto al rispetto della vita privata e familiare). Si veda, per esempio, il caso
Lustig-Prean e Beckett vs. Regno Unito, giudizio del 27 settembre 1999, istanze n. 31417/96 e 32377/96.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
15
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
subire – o di essere stati minacciati di – stupri o altre forme di violenza sessuale da parte dei
commilitoni.
“INADATTO AL SERVIZIO MILITARE”
Per la valutazione dell’eventuale esonero dal servizio militare, le forze armate turche adottano il
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm), documento riconosciuto a livello
internazionale. Tuttavia, esse usano l’edizione del 1968 (Dsm II), che definisce l’omosessualità
come un disturbo psicosessuale e ritiene “inadatti a servire” le persone affette da tale
“condizione”. Al contrario, la comunità medica utilizza il Dsm IV, che risale al 2000 e non
considera l’omosessualità un disturbo mentale. Per quanto riguarda le “prove” necessarie a
sostenere l’esonero, Amnesty International ritiene che l’orientamento sessuale non possa essere
determinato da un esame fisico o dalla visione di fotografie di atti sessuali. L’organizzazione ritiene,
inoltre, contrario alla deontologia professionale che un medico effettui un esame invasivo senza il
consenso del paziente e senza un motivo inoppugnabile (per esempio, in caso di grave pericolo per
il paziente o per altri). Amnesty International ritiene che tale esame sia una violazione del divieto di
tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Per di più, i genitori di gay che chiedono l’esonero dal servizio militare possono essere chiamati a
testimoniare a sostegno di tale richiesta – circostanza insostenibile per i molti gay che non hanno
rivelato il proprio orientamento sessuale alle famiglie. Una volta concesso l’esonero, le autorità
locali vengono informate della decisione. Se l’uomo proviene da un paese o da una piccola città
dove è facile che sia noto ai funzionari pubblici, può succedere che i dettagli del suo rifiuto del
servizio militare o del suo orientamento sessuale siano resi pubblici – ponendolo così a rischio di
abusi o violenze omofobiche.
Nei colloqui di lavoro, inoltre, è abitualmente richiesto il certificato di congedo dal servizio militare.
Quando al suo posto è stato presentato il certificato di esonero, le offerte di lavoro sono state ritirate
(v. p. 20, capitolo sull’occupazione).
I gay che richiedono l’esonero non hanno la certezza di ottenerlo. Amnesty International ha
intervistato alcuni gay a cui è stato negato: il solo fatto di averlo richiesto è rimasto nel loro
fascicolo e, in conseguenza, è aumentato il loro rischio di subire violenze (v. più avanti, il caso di
Asil di İzmir). Un altro uomo ha dichiarato ad Amnesty International che l’esonero gli è stato
rifiutato ed è stato costretto a prestare il servizio militare. A causa delle minacce ricevute è fuggito
dall’esercito e ora, se fosse fermato, rischia l’arresto, il processo e la detenzione per diserzione. 34
ASİL DI İZMIR
Asil ha raccontato ad Amnesty International i problemi che ha vissuto come gay durante il servizio militare obbligatorio. Ha
riferito di essere stato sottoposto ad abusi verbali, isolamento, minacce di violenza e esami medici umilianti e
discriminatori nel tentativo di ottenere l’esonero dal servizio militare. Inizialmente, gli è stato rifiutato ma, dopo
l’arruolamento, è riuscito a ottenerlo grazie all’appoggio della sua famiglia in base al fatto che il suo orientamento
sessuale rappresentava un “disturbo psicosessuale”.
Asil ha raccontato ad Amnesty International che sapeva dell’esistenza dell’esonero dal servizio militare per i gay e che,
dopo aver ricevuto la cartolina di precetto, dichiarò di essere gay e di non voler svolgere il servizio militare. Venne quindi
mandato da uno psichiatra. Tuttavia, fu giudicato idoneo al servizio militare. In conseguenza, le autorità militari
responsabili per la sua ammissione rifiutarono la sua richiesta di esonero, dicendogli “Tu sei un sano uomo turco,
presterai il tuo servizio militare”.
34
L’articolo 66/1 del codice penale militare (n. 1632) prevede la reclusione da uno a tre anni per il reato di diserzione.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
16
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Asil, ventunenne senza istruzione universitaria, è stato costretto a svolgere 15 mesi di servizio militare. Ha dichiarato ad
Amnesty International che il primo mese lo trascorse in addestramento a İzmir. Durante questo periodo tenne nascosto il
suo orientamento sessuale per timore di conseguenze negative.
La situazione cambiò quando, finito il mese di addestramento, fu trasferito in Tracia presso l’unità a cui era stato
destinato per svolgere il resto del servizio. Egli ha dichiarato ad Amnesty International che, mentre la prima settimana
trascorse senza incidenti, successivamente i commilitoni iniziarono a insultarlo con linguaggio omofobico, chiamandolo
“checca” o “frocio”. Asil ha detto che si sentiva minacciato ma riteneva che non si potesse fare nulla per evitarlo.
All’incirca nello stesso periodo, fu convocato dall’ufficiale responsabile della base militare. Questi gli domandò se vi fosse
qualcosa che Asil volesse spiegargli. Asil ha riferito ad Amnesty International che gli parve evidente che il comandante
sapesse dal suo fascicolo che aveva tentato di essere esentato dal servizio militare in quanto gay, ma che non poteva dire
se gli insulti omofobici dei commilitoni fossero dovuti alla circolazione di tali informazioni o se percepissero la sua
omosessualità per qualche altra ragione. Asil spiegò all’ufficiale che voleva l’esonero dal servizio militare ma che gli era
stato negato. Il comandante rispose che sarebbe stato molto difficile per Asil completare il servizio militare a causa del
comportamento dei suoi commilitoni e che qualcosa doveva essere fatto. Quindi inviò Asil in un ospedale militare per fare
ulteriori accertamenti.
Recatosi in ospedale, Asil notò che lo psichiatra sembrava considerare i gay e le prostitute come un tutt’uno, chiedendogli
se si era prostituito e fosse stato, in conseguenza, schedato dalla polizia. Lo psichiatra disse ad Asil che gli servivano
prove per dimostrare il fatto che era gay e che ciò poteva avvenire se fosse stato sorpreso ad avere rapporti sessuali con
qualcuno nelle forze armate, anche se ciò gli avrebbe procurato una pena detentiva, oppure se fosse stato in grado di
“documentare” il suo orientamento sessuale. Asil protestò affermando che non voleva fare nulla di tutto questo per
ottenere l’esonero e tornò alla sua unità senza ulteriori discussioni.
Quando si ripresentò dal comandante, questi gli disse che gli concedeva una settimana di tempo per valutare le sue
possibilità. Asil ha dichiarato ad Amnesty International che essere inviato in ospedale, invece di ridurre la pressione che
subiva, peggiorò la situazione perché ora tutti sembravano sapere che stava cercando di essere esonerato perché gay e
che era stato mandato in un ospedale militare. Asil ha raccontato che i commilitoni minacciarono di aggredirlo e che
temeva di essere stuprato. In conseguenza delle minacce, il comandante lo separò dagli altri mettendolo in isolamento,
chiuso in una camerata e senza il permesso di allontanarsi in nessun momento della notte o del giorno. Rimase in
isolamento per una settimana prima che il comandante lo incontrasse di nuovo e, a quel punto, gli comunicò di essere in
grado di ottenere delle prove. A questo scopo, il comandante gli concesse una settimana di licenza.
Asil disse al comandante che pensava di tornare a casa per consultare un’associazione Lgbt con cui era in contatto perché
rilasciasse una dichiarazione a suo nome e che poteva recuperare da casa sua la copia di un articolo apparso su una
rivista gay riguardante lui e alcuni suoi amici. Disse anche di essere pronto a fornire fotografie in cui stava compiendo atti
sessuali se era quello che serviva per essere esentato dal servizio militare.
Durante il periodo trascorso in licenza, Asil contattò anche attivisti in grado di consigliarlo sulla procedura migliore da
seguire, che presero anche contatti in suo nome con l’unità dell’esercito. Asil ha affermato che, quando tornò in caserma
dopo la settimana di licenza, l’intervento esterno aveva avuto l’effetto di migliorare il comportamento del comandante nei
suoi confronti e che non fu più stato messo in isolamento ma in un dormitorio con commilitoni che erano stati avvisati di
non fargli del male. Anche il nuovo rinvio all’ospedale militare locale fu accelerato. Asil ha riferito ad Amnesty
International che, dopo essere stato rimandato all’ospedale, gli rilasciarono un documento in cui si affermava che aveva
“rapporti sessuali perversi con gli uomini”. In conseguenza, fu trasferito presso un altro ospedale militare a Istanbul. Asil
ha raccolto la documentazione richiesta ma, soprattutto, è stato in grado di contare sul sostegno della sua famiglia. Alla
madre venne richiesto di confermare che il figlio fosse gay. Dopo questa dichiarazione, un consiglio di medici lo dichiarò
“non idoneo a svolgere il servizio militare” a causa del suo “disturbo psicosessuale”.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
17
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
ACCESSO ALLA CASA E AL LAVORO
Le leggi nazionali vietano la discriminazione nel commercio o nella prestazione di servizi, ma
l’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono tra i motivi che garantiscono tale
protezione.35 Sommata alla prassi dei funzionari statali di molestare le persone per il loro presunto
orientamento sessuale o identità di genere, la mancanza di tutela ha causato l’impossibilità di
accedere ai servizi pubblici in generale. Inoltre, essa impedisce l’accesso all’alloggio e al lavoro, in
violazione degli obblighi della Turchia in quanto stato parte delle convenzioni internazionali in
materia.36 Come accade in altre aree, la maggiore visibilità delle persone transgender implica che in
molti casi esse siano più vulnerabili alla discriminazione. Tuttavia, anche lesbiche, gay e bisessuali
hanno regolarmente riferito di aver subito discriminazioni.
ACCESSO ALL’ALLOGGIO
Le donne transgender hanno subito una lunga serie di tentativi da parte delle autorità per
allontanarle dalle proprie case. Esse hanno ripetutamente riferito ad Amnesty International che la
polizia le molesta se abitano in quartieri lussuosi, che ritengono inadatti a “persone indesiderabili”
come loro. In altri casi, nei quartieri in cui le transgender si sono unite alla ricerca di maggiore
sicurezza, solidarietà e sostegno che possono darsi l’un l’altra, la polizia ha specificamente preso di
mira tali comunità. A Istanbul, per esempio, la città turca con il maggior numero di transgender,
successive operazioni della polizia per “ripulire” i quartieri le hanno costrette ad abbandonare
particolari zone. In molti casi, le transgender costrette a lasciare le proprie abitazioni erano giunte a
Istanbul a causa della transfobia dei paesi e delle città da cui provenivano, che impediva loro di
risiedervi. L’episodio più noto, avvenuto prima della conferenza delle Nazioni unite Habitat II
tenutasi a Istanbul nel 1996, ha visto donne transgender picchiate nelle proprie case e poi arrestate
allo scopo di cacciarle da Ülker Sokak a Cihangir, in cui molte risiedevano.37
Le donne transgender hanno ripetutamente descritto ad Amnesty International come siano state
costrette a vivere in una zona della città e come, se risiedevano in altri quartieri, fossero vittime di
continue irruzioni da parte della polizia che rendevano loro la vita impossibile (v., per esempio, il
caso di Elçin e Ebru di Istanbul, p. 13). A Istanbul, le transgender hanno riferito ad Amnesty
International che potevano vivere tranquillamente solo nel quartiere centrale di Tarlabaşı, mentre a
İzmir una piccola area di Alsancak e il quartiere Halil Rıfat Paşa sono stati segnalati per essere le
uniche zone dove le transgender possono vivere senza che le loro case vengano costantemente
perquisite dalla polizia. Tutte le transgender che Amnesty International ha intervistato hanno riferito
che, per affittare una casa, è necessario che una persona non transgender firmi il contratto perché
nella maggior parte dei casi i proprietari si rifiutano di trattare direttamente con loro.
Ciò nonostante, le transgender hanno raccontato che anche in queste aree rischiano la perquisizione
delle loro case da parte della polizia, motivata dal fatto che gli appartamenti sarebbero usati per
praticare la prostituzione. Le transgender hanno riferito ad Amnesty International che, poiché la
polizia le considera tutte prostitute, anche coloro che non si prostituiscono o coloro che esercitano
35
L’articolo 122 del codice penale vieta la discriminazione fondata su lingua, razza, colore, genere, disabilità, opinione
politica, credenze filosofiche, religione, confessione o altri motivi, in determinate circostanze, tra cui acquisto, vendita o
trasferimento di proprietà, fornitura o utilizzo di servizi e nel campo del lavoro.
36
Per esempio, il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali, nel suo Commento generale n. 20, afferma
esplicitamente che la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere deve essere vietata ai sensi
del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Il paragrafo 32 del Commento generale recita: “L’‘altra
condizione’ così come riconosciuta dall’articolo 2, paragrafo 2, comprende l’orientamento sessuale”. Gli stati membri
devono garantire che l’orientamento sessuale di un individuo non sia un ostacolo per il godimento dei diritti riconosciuti
dal Patto, per esempio, nell’accesso alla pensione di reversibilità. Inoltre, l’identità di genere è riconosciuta tra i motivi
proibiti di discriminazione; per esempio, le persone transgender, transessuali o intersex spesso subiscono gravi violazioni
dei diritti umani, come le molestie a scuola o sul luogo di lavoro.
37
Başaran, Y (1996), “Ülker Sokak Sakinleri ve Travestiler”, Kaos-Gl Journal, 27. Disponibile all’indirizzo:
www.kaosgl.com/resim/Dergi/PDF/KaosGLD27.pdf
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
18
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
la prostituzione lontano da casa rischiano comunque le perquisizioni. Esse hanno anche riferito che
la polizia aveva fabbricato prove per dimostrare che le case erano utilizzate come bordelli. Inoltre,
hanno ampiamente riportato che, a seguito delle irruzioni della polizia, venivano emesse ordinanze
che vietavano l’ingresso in casa per periodi di tre o, in casi eccezionali, sei mesi. Attivisti di İzmir
hanno riferito che la polizia fatto irruzione nelle abitazioni di alcune attiviste transgender di spicco
e ha detto loro “Se continuate così, non vi lasceremo vivere in questo posto” (v. p. 24, capitolo
sulle minacce alla libertà di associazione).
IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI TARLABAŞİ
Nel quartiere Tarlabaşı di Istanbul, le transgender vivono una nuova minaccia. In questo quartiere,
probabilmente l’unico in città dove le transgender possono vivere relativamente tranquille, esse –
insieme ad altri residenti – rischiano lo sfratto a causa di un progetto di riqualificazione urbana.
Secondo il progetto, sponsorizzato dallo stato, i molti edifici storici della zona verranno ristrutturati
e gli altri demoliti per far posto a immobili di pregio.38 In conseguenza, le persone che attualmente
vivono nel quartiere rischiano lo sfratto, incluse, tra gli altri, le transgender che vivono nella zona da
molti anni e altre categorie vulnerabili come i rom e la minoranza curda che si è stabilita nel
quartiere dopo essere stata sfollata dai propri villaggi nel sudest della Turchia durante gli anni
Novanta. Amnesty International ha appreso che più di 100 donne transgender vivono attualmente
nel quartiere e sono a rischio di sfratto. Quelle che sono proprietarie della casa in cui abitano sono
state in qualche misura consultate ed è stato loro offerto un indennizzo per la perdita della
proprietà.39 Tuttavia, la stragrande maggioranza delle donne transgender, così come altri che vivono
nella zona, affittano un appartamento e dipendono, per la loro sopravvivenza, dai prezzi abbordabili
e dalla vicinanza con Beyoğlu. Non essendo proprietarie delle case, non hanno ricevuto alternative
allo sfratto, non sono state consultate e non è stata loro fornita alcuna informazione su eventuali
sistemazioni alternative, né una qualsiasi forma di risarcimento.
Una delle persone a rischio di sfratto è Özge, una transgender che vive a Tarlabaşı da dieci anni: ha
raccontato ad Amnesty International di come non sia stata contattata né dalle autorità locali né
dalla società privata incaricata della realizzazione del progetto. Insieme ad altri inquilini che hanno
parlato con Amnesty International, Özge ha riferito che le autorità hanno fornito informazioni
soltanto ai proprietari, mentre l’unica comunicazione ufficiale agli affittuari è giunta dalle autorità
nel momento in cui l’immobile era stato venduto ed era stato emesso l’ordine di sfratto, che li
obbligava a lasciare le case entro quindici giorni. Özge ha raccontato ad Amnesty International che
nessun indennizzo è stato pagato agli affittuari e che non è stata offerta loro alcuna sistemazione
adeguata.40 Pur non essendo stati contattati dalle autorità, Özge ha detto che le sistemazioni
alternative che l’Amministrazione per lo sviluppo immobiliare della Turchia (Toki) avrebbe potuto
offrire loro a Kayabaşı erano assolutamente irrealistiche per le transgender di Tarlabaşı: troppo
costose e a più di tre ore di distanza con i mezzi pubblici dal luogo in cui lavorano. Come altri
affittuari di Tarlabaşı, Özge ha dichiarato che il costo dei trasporti pubblici renderebbe loro
impossibile continuare a lavorare come prima. Amnesty International è preoccupata che le
transgender, così come gli altri affittuari dell’area inclusa nel progetto di riqualificazione urbana di
Tarlabaşı, non siano stati adeguatamente consultati, né siano stati forniti loro risarcimenti o
sistemazioni abitative alternative.
38
Secondo una decisione del Consiglio dei ministri (n. 2006/10172, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 28 marzo
2006), a Tarlabaşı, insieme a diverse altre zone all’interno del distretto di Beyoğlu, è stato concesso lo stato di “area di
riqualificazione” e alle autorità locali sono stati conferiti poteri speciali per ottenere il possesso degli edifici.
39
I proprietari di case all’interno dell’area progettuale hanno anche dichiarato ad Amnesty International di non essere
stati consultati in modo adeguato in merito al possesso delle loro case, di essere stati sottoposti a coercizione perché
lasciassero le loro abitazioni e che il livello di indennizzo o le sistemazioni alternative loro offerte erano iniqui.
40
Amnesty International ha chiesto di incontrare le autorità del distretto di Beyoğlu, che tuttavia si sono rifiutate
asserendo di non essere disponibili nel periodo di permanenza in Turchia dei delegati di AI.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
19
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
OCCUPAZIONE
“Se lo scoprissero, metteresti in imbarazzo i clienti”
Un gay si è sentito rivelare la ragione per cui non è stato assunto.
Come in altri settori del diritto, la discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di
genere non è vietata dalla legge per l’occupazione. 41 Quando i tribunali hanno esaminato casi in cui
un dipendente era stato allontanato dal lavoro esplicitamente a causa del suo orientamento
sessuale, tali licenziamenti non sono stati considerati illegittimi. La discriminazione contro
lesbiche, gay e bisessuali rimane ordinaria amministrazione. Amnesty International ha appreso che
quasi tutte le persone appartenenti a queste comunità si sentono costrette a nascondere la propria
identità per timore di perdere il lavoro, sia esso nel settore pubblico o in quello privato. Per le
donne transgender l’accesso al lavoro è quasi impossibile e molte sono costrette a prostituirsi per
sopravvivere.
In un sondaggio condotto dall’associazione Lgbt Kaos-Gl, il 33 per cento degli intervistati (lesbiche,
gay, bisessuali e transgender) ha riferito di non essere stato assunto a causa dell’orientamento
sessuale e dell’identità di genere. 42 È stato riferito ad Amnesty International che una delle più
importanti cause di discriminazione sul lavoro per i gay esonerati dal servizio militare è l’obbligo di
produrre il certificato di congedo dalle forze armate prima dell’assunzione. Il certificato di congedo
viene abitualmente richiesto prima che l’offerta di lavoro venga confermata. Anche se le ragioni
dell’esonero non sono esplicitate sul certificato, il sospetto che spesso viene alla luce è che questo
sia stato rilasciato a causa dell’orientamento sessuale, il che induce i datori di lavoro a rifiutare di
assumere il candidato.
Un caso molto famoso è quello di Halil İbrahim Dinçdağ, un arbitro di calcio esonerato dal servizio
militare, che non è riuscito a ottenere un lavoro dopo che sia le forze armate sia la Federazione
calcistica turca (che rilascia le licenze per gli arbitri) nel 2009 avevano commentato con la stampa
il suo orientamento sessuale. Per questa ragione, e nonostante un’esperienza di quattordici anni
come arbitro, non è riuscito a trovare un impiego. Halil İbrahim Dinçdağ ha avviato una causa civile
per danni contro la Federazione calcistica turca: la prima udienza si è tenuta il 22 febbraio 2011 e
a marzo il procedimento era ancora in corso. Un altro caso recente portato all’attenzione di Amnesty
International riguardava un uomo che, alla richiesta di fornire il certificato di congedo durante un
colloquio di lavoro, aveva spiegato di essere gay e di essere stato esonerato dal servizio militare. Il
lavoro gli fu offerto ma, in seguito, venne contattato dall’ufficio del personale dell’azienda che gli
disse “Se i clienti lo scoprissero, si sentirebbero in imbarazzo”. Oltre a casi del genere, è stato
segnalato ad Amnesty International che la mancanza di tutele nel settore privato fa sì che i datori di
lavoro spesso trovino il modo di licenziare i propri dipendenti senza rivelarne la vera ragione,
sebbene questi ultimi siano convinti che è a causa del loro orientamento sessuale.
Nel settore pubblico esistono maggiori tutele contro il licenziamento in generale, perché ai
dipendenti devono essere fornite ampie informazioni circa la causa del licenziamento ed hanno
maggiore facilità di impugnare la decisione. Ma anche così, i gay che lavorano nel settore pubblico
sono stati licenziati in quanto gay. Secondo i fascicoli giudiziari consultati da Amnesty
International, il 20 aprile 2004 il Consiglio superiore di disciplina del ministero dell’Interno ha
deciso di licenziare un agente di polizia dopo aver ascoltato una testimonianza secondo cui aveva
avuto un rapporto sessuale anale con un uomo. La decisione è stata motivata con l’articolo 125 E-g
della legge sui dipendenti pubblici (n. 657), che prevede il licenziamento qualora la persona venga
trovata “ad agire in modo immorale e disonorevole, non compatibile con la posizione di un
41
L’articolo 5 della legge sull’occupazione (n. 4857) proibisce la discriminazione fondata su lingua, razza, genere,
opinione politica, credenze filosofiche, religione, confessione religiosa o analoghi motivi. Tuttavia, la Suprema corte di
appello si è pronunciata stabilendo che non è ammesso discriminare sulla base della “preferenza sessuale” (citato in
Never Again project: A survey of legislation, Kaos-Gl, p. 4).
42
Türkiye’deki Lgbtt Bireylerin Günlük Yaşamında Maruz Kaldığı Heteroseksist Ayrımcı Tutum ve Uygulamalar, Kaos-GL,
p. 21.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
20
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
dipendente pubblico”. Il tribunale amministrativo, al quale l’agente di polizia era ricorso in appello,
ha concluso che il licenziamento non era in contrasto con la legge applicabile e ha confermato la
decisione del Consiglio superiore di disciplina. La sentenza del tribunale amministrativo locale è
stata successivamente confermata dal Consiglio di stato, la più alta corte d’appello amministrativa,
esaurendo così ogni possibile rimedio previsto dal diritto interno. Oltre che per questo caso e per un
altro analogo ma non collegato riguardante un altro agente di polizia, lo stesso articolo della legge
sui dipendenti pubblici è stato richiamato per licenziare un insegnante che, secondo la decisione
del Consiglio superiore di disciplina del ministero della Pubblica Istruzione del 2009, era stato
ritenuto colpevole di aver iniziato una “relazione omosessuale”. Ancora una volta il tribunale
amministrativo locane non ha ritenuto che la decisione violasse la legge e ha respinto il ricorso
contro il licenziamento.
Per quanto riguarda la situazione delle donne transgender, la grande maggioranza delle intervistate
da Amnesty International ha dichiarato che l’impossibilità di trovare un altro lavoro le aveva
costrette, nel presente o nel passato, a prostituirsi. Le transgender che avevano un lavoro all’epoca
in cui hanno cambiato genere, hanno riferito di essere state costrette a dimettersi a causa del
cambiamento. Questi dati sono confermati da un sondaggio effettuato da Lambdaistanbul sulle
transgender di Istanbul. Delle novanta transgender a cui è stato chiesto perché avevano lasciato il
lavoro, il 42 per cento ha dichiarato di averlo fatto perché credevano che sarebbero state licenziate,
il 30 per cento perché sono effettivamente state licenziate, il 29 per cento perché era stata loro
negata una promozione e il 24 per cento perché sono state costrette a dimettersi. 43 Nonostante i
grandi sforzi degli attivisti per trovare un lavoro alle transgender, compreso il ricorso alle autorità
locali di Istanbul, non vi sono stati risultati positivi. Per esempio, una donna transgender che aveva
partecipato a corsi di formazione pubblici e aveva ottenuto la qualifica professionale di assistente
sanitaria, non è riuscita a trovare lavoro in nessun ospedale. In conseguenza dell’impossibilità di
accedere al mondo del lavoro, la stragrande maggioranza delle donne transgender ha come unica
risorsa quella di svolgere un’attività – illegale e pericolosa – legata al sesso, i cui rischi sono
dimostrati dal gran numero di prostitute transgender uccise o che hanno costantemente subito
violenza dai propri clienti (v. p. 28, capitolo sui crimini violenti contro le persone lesbiche, gay,
bisessuali e transessuali). Donne transgender hanno riferito ad Amnesty International che, poiché lo
stato non le considera donne (che, a differenza degli uomini, possono prostituirsi legalmente) e non
concede quindi la licenza per esercitare la prostituzione, esse rischiano la violenza in misura molto
maggiore rispetto alle donne che lavorano in case di tolleranza autorizzate. 44 Amnesty International
ritiene che la legge sulla prostituzione, come ogni altra legge, non debba discriminare in base al
genere, all’orientamento sessuale o all’identità di genere.
OSTACOLI ALL’ACCESSO AD ALTRI DIRITTI
Lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno riferito ad Amnesty International che spesso è stato
limitata la loro possibilità di accedere ai servizi pubblici, sia per il timore di atteggiamenti
omofobici e transfobici da parte dei funzionari pubblici, che induce a non cercare assistenza
medica, sia per il rifiuto dei funzionari pubblici a fornire servizi o trattamenti per via del loro
orientamento sessuale.
Le persone transgender hanno riferito che tutte le interazioni con le autorità in cui era necessario
mostrare la carta d’identità sono state problematiche nel caso in cui il genere sul documento non
corrispondeva al loro aspetto. In Turchia le carte d’identità delle donne sono di colore rosa, quelle
43
İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity
Association, p. 34.
44
La legge richiede che le persone transgender si sottopongano a interventi per la riattribuzione di genere come
prerequisito per la modifica del loro genere dal punto di vista legale (si veda, più avanti, il capitolo sull’accesso ad altri
diritti). I Regolamenti generali sulle case di tolleranza e la prostituzione e sulla lotta alle malattie sessualmente
trasmissibili (n. 30/03/1961 – 5/984) regolano soltanto l’attività delle prostitute donne:
http://www.mevzuat.adalet.gov.tr/html/5189.html
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
21
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
degli uomini di colore blu. Il genere indicato sul documento può essere modificato solo dopo aver
effettuato la riattribuzione di genere. Tra i problemi segnalati vi erano molestie durante controlli
d’identità a campione (si vedano i casi di Irmak di Diyarbakır a p. 33 e di Rüzgar di Istanbul a p.
22) e il rifiuto di fornire il servizio richiesto.
I problemi di accesso ai servizi sanitari sono stati spesso citati come grave difficoltà, in particolare
per le donne transgender intervistate da Amnesty International. A causa della loro incapacità di
trovare un lavoro e del loro basso reddito, la stragrande maggioranza delle transgender non ha
assicurazione sanitaria, né pubblica, né privata.45 Le transgender hanno spesso segnalato ad
Amnesty International che per via della loro identità sessuale erano state loro negate cure mediche.
Uomini e donne transgender hanno riferito ad Amnesty International di non aver potuto sottoporsi
all’intervento chirurgico necessario per cambiare genere a causa del suo alto costo. Altri hanno
affermato di aver rifiutato l’intervento per principio a causa dell’obbligo di subire, contestualmente,
la sterilizzazione.46
Le persone transgender hanno anche detto di essere state costrette a rinunciare all’istruzione per
via della loro identità di genere, per esempio perché è stato loro vietato l’accesso agli edifici
universitari a causa della mancata corrispondenza tra l’aspetto fisico e il genere indicato sui
documenti di identità.47
RÜZGAR DI ISTANBUL
Rüzgar è un’attivista transgender di Voltrans, un gruppo turco di sostegno agli uomini transgender. Voltrans è un gruppo
relativamente nuovo che partecipa a campagne sui diritti Lgbt in Turchia. Rüzgar descrive a grandi linee le violazioni dei
diritti umani subite da uomini e donne transgender, ad iniziare dai problemi legati al processo per la riattribuzione di
genere, tra cui l’obbligo della sterilizzazione per le donne che vogliono diventare uomini, la necessità di un certificato
medico che confermi il disordine di identità di genere dopo due anni di terapia psicologica, la mancanza di
regolamentazione e di competenza per i medici che eseguono operazioni chirurgiche di riattribuzione di genere e le
difficoltà per ottenere la modifica dei dati sui documenti di identità.
Rüzgar ha raccontato ai delegati di Amnesty International la sua esperienza di vessazioni subite dalla polizia e da altre
persone.
Un episodio è avvenuto nel gennaio 2011, intorno alle 9 di sera, quando Rüzgar si trovava, con un amico dalla Germania,
in un parcheggio vicino agli studi Trt a Tepebaşı (nel quartiere Beyoğlu del centro di Istanbul). All’inizio, furono avvicinati
da un agente di polizia in abiti civili per un controllo di routine dei documenti. L’agente guardò la carta d’identità 48, poi
guardò Rüzgar e disse di non credere che quel documento gli appartenesse. L’agente volle guardargli le mani,
spingendogli le dita all’indietro. Rüzgar non conosce il significato di tale gesto. Altri quattro o cinque agenti li
45
Il 79 per cento delle transgender intervistate a Istanbul da Lambdaistanbul ha dichiarato di non avere un’assicurazione
sanitaria. İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity
Association, p. 41.
46
L’articolo 40 del codice civile turco regola la riattribuzione di genere come segue: “Una persona che voglia cambiare
sesso può chiederne il permesso al tribunale per il cambiamento di sesso presentando istanza personalmente. Tuttavia,
per ottenere permesso deve avere più di 18 anni [e] non essere sposata. Inoltre, la persona deve avere una natura
transessuale che deve documentare con un rapporto formale emesso da un consiglio sanitario presso un ospedale
universitario e di ricerca, in cui si dichiari che il cambiamento di sesso è necessario per la salute mentale e che deve
rinunciare in modo definitivo alla capacità riproduttiva.
Quando è provato che l’operazione di cambiamento di sesso ha avuto luogo con il permesso [del tribunale] ed è stata
condotta conformemente allo scopo e ai metodi sanitari, il tribunale ordina di effettuare le necessarie correzioni nel
registro dello stato civile”.
47
Varie persone hanno sostenuto, in modo coerente e credibile, che è stato loro impedito di accedere agli edifici
universitari in diverse occasioni. Tali affermazioni sono rispondenti alla ricerca di Amnesty International che ha
documentato un sistematico rifiuto da parte di funzionari pubblici di accettare documenti di identità non corrispondenti al
genere di una persona transgender.
48
In Turchia le carte di identità sono colorate, rosa per le donne e blu per gli uomini.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
22
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
circondarono. Nel frattempo, l’agente aveva chiamato la centrale fornendo il numero della sua carta d’identità; poi disse
che l’avrebbero portato in commissariato sostenendo che Rüzgar era stato arrestato in passato per reati legati agli
stupefacenti, cosa che Rüzgar nega. L’agente continuò a insistere che il documento di identità era falso. Un secondo
agente in abiti civili controllò il timbro a rilievo del documento. Gli venne chiesto di esibire un altro documento e Rüzgar
mostrò il tesserino dell’università. Un certo numero di persone iniziarono ad avvicinarsi e anche l’amico di Rüzgar fu
coinvolto nella disputa. Ne seguì una discussione sull’identità di genere che coinvolse l’amico di Rüzgar. Un altro agente
toccò i capelli di Rüzgar chiedendo se erano veri (egli porta lunghi dreadlocks). L’episodio proseguì per circa 15-20 minuti
e terminò soltanto quando Rüzgar e il suo amico si allontanarono dal parcheggio.
Quando gli è stato chiesto qual è la differenza tra Istanbul e altre città turche, Rüzgar ha raccontato ai delegati di
Amnesty International che la prima volta fu picchiato nel 2009 a Galatasaray, nel quartiere Beyoğlu di Istanbul. Un uomo
disse “guarda quello come si è conciato”, al ché Rüzgar rispose “che cos’hai da guardare?” L’uomo gli rispose “vuoi
essere picchiato?” e lo colpì, spaccandogli un labbro. Gli amici di Rüzgar intervennero dicendo “non puoi picchiare una
donna” e l’altro rispose “forse che questa è una donna?” Nell’episodio intervennero anche alcuni amici dell’aggressore.
Rüzgar andò alla stazione di polizia di Beyoğlu per denunciare l’aggressione. Gli fu detto di andare in ospedale, dove gli
rilasciarono un certificato medico che portò al commissariato, dove fece una dichiarazione. Rüzgar ha riferito ai delegati di
Amnesty International che nonostante avesse informato la polizia, fornito un certificato medico e specificato che nel luogo
dell’aggressione vi fossero telecamere della polizia, quest’ultima non gli ha dato alcuna notizia di un’indagine
sull’accaduto. Anche sporgere denuncia è stato molto difficile: lo fecero aspettare per ore e lo trattarono come se si fosse
meritato di essere aggredito.
Rüzgar ha raccontato ad Amnesty International che quotidianamente gli capita di essere insultato o di essere oggetto di
commenti o domande sulla sua identità di genere. Ha detto: “Dopo un po’, tutto si confonde, e cerchi di rimuovere”.
IL DIRITTO A CERCARE ASILO
I richiedenti asilo di paesi extraeuropei devono presentare domanda di asilo all’Agenzia delle
Nazioni unite per i rifugiati perché possa essere determinato il loro status di rifugiati. Una volta
riconosciuti come tali, possono essere ricollocati in paesi terzi come stabilisce la legge turca, che
non ha norme che prevedono la loro integrazione locale. Molti richiedenti asilo restano in Turchia
per più di cinque anni, in attesa della determinazione dello status e della ricollocazione a seguito
del riconoscimento. Tra le migliaia di richiedenti asilo che cercano rifugio in Turchia ogni anno ve
ne sono parecchi che fuggono dal proprio paese d’origine per le persecuzioni subite per
l’orientamento sessuale o l’identità di genere.49
La situazione di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt è doppiamente difficile poiché, oltre alla
discriminazione per orientamento sessuale o identità di genere, subiscono anche il comportamento
discriminatorio dei funzionari pubblici a causa del loro status di cittadini stranieri o di rifugiati o
richiedenti asilo. In pratica, i richiedenti asilo Lgbt dipendono ancora di più dal sostegno statale
poiché a causa della loro identità spesso non possono rivolgersi alle reti di aiuto ufficiose create da
richiedenti asilo dello stesso paese d’origine.
Il sistema della dispersione peggiora la situazione poiché impone a richiedenti asilo e rifugiati, fino
a che restano nel paese, la residenza in specifici luoghi dell’Anatolia o della Turchia centrale e
meridionale. L’ambiente sociale di questi paesi e città è spesso molto più conservatore di quello di
Ankara, Istanbul o İzmir, dove i gruppi Lgbt della società civile offrono assistenza e solidarietà,
sicché di frequente vi è maggiore ostilità verso richiedenti asilo e rifugiati con diversi orientamenti
sessuali e identità di genere.
49
Sulla situazione di rifugiati e richiedenti asilo in Turchia si veda: Stranded: Refugees in Turkey denied Protection,
Amnesty International, disponibile all’indirizzo: http://www.amnesty.org/en/library/info/EURO44/001/2009. In particolare, a p. 23 si
tratta della situazione di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
23
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Fonti bene informate hanno riferito ad Amnesty International che, in molti casi, le autorità locali si
sono mostrate disinteressate alle ragioni per cui i richiedenti asilo Lgbt cercavano protezione.
Inoltre, è stato riferito che le autorità non si sono adeguatamente occupate dei timori per la propria
sicurezza espressi da richiedenti asilo e rifugiati che, a causa dell’orientamento sessuale o
dell’identità di genere, hanno subito vessazioni da parte di altri richiedenti asilo e minacce per
mano della popolazione locale. Amnesty International è preoccupata anche perché nella pratica non
vengono applicate efficacemente le norme che prevedono il trasferimento ad altro luogo di rifugiati
e richiedenti asilo provenienti da una determinata città di dispersione. In conseguenza, rifugiati e
richiedenti asilo rimangono in luoghi in cui sono a rischio di violenze e altri abusi a causa
dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.50
MINACCE ALLA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE
Di fronte all’ostilità e alla discriminazione di governo e funzionari pubblici contro le persone Lgbt in
Turchia, i gruppi della società civile hanno riempito il vuoto lasciato dallo stato e svolgono un ruolo
vitale nel fornire sostegno e consigli. Nelle tre maggiori città turche – Ankara, Istanbul e İzmir – le
associazioni non governative procurano solidarietà e spazi sicuri per persone Lgbt e al tempo stesso
fanno campagne contro i reati di intolleranza e la discriminazione. 51 Oltre a ciò, reti della società
civile – conosciute come “iniziative” – sono sorte a Diyarbakır ed Eskişehir e altre stanno per
nascere in altri paesi e città delle province.52
Tuttavia, lungi dal facilitare lo sviluppo di servizi di sostegno forniti dalla società civile, le autorità
hanno adottato misure per sopprimerli con vessazioni amministrative e giudiziarie, minacciando il
diritto di ognuno alla libertà di associazione, espressione e non discriminazione e violando gli
obblighi della Turchia stabiliti dalla Convenzione europea sui diritti umani.53
Gli attivisti per i diritti delle persone Lgbt hanno raccontato ad Amnesty International che il loro
lavoro come difensori dei diritti umani per proteggere i diritti di altre persone è stato messo a
repentaglio dalle minacce che essi ricevono come individui a causa del proprio orientamento
sessuale o della propria identità di genere (si veda, ad esempio, il caso degli attivisti di Pembe
Hayat ad Ankara a p. 12 e di Eylül a Eskişehir a p. 35). Anche gli attivisti di İzmir hanno riferito ad
Amnesty International che, all’epoca della loro battaglia legale contro la chiusura dell’associazione
Lgbt Siyah Pembe Üçgen İzmir (si veda p. 25, capitolo sulle cause di chiusura), quando
rilasciavano frequenti dichiarazioni agli organi di informazione sui progressi del caso e
organizzavano proteste di piazza, la polizia fece irruzione in casa delle attiviste transgender, dicendo
loro “se continuate così [riferendosi al loro essere conosciute come attiviste], non vi lasceremo più
vivere qui”.
L’intolleranza di una parte dell’opinione pubblica contro le persone Lgbt che rivendicano i propri
diritti ha provocato il blocco di canali di comunicazione. I reclami presentati da ignoti hanno
causato la chiusura, da parte degli amministratori del social network Facebook, dei gruppi creati
dalle iniziative MorEl di Eskişehir e Hevjin di Diyarbakır. Mentre MorEl è riuscita a contestare con
successo la chiusura del proprio gruppo Facebook, il gruppo di Hevjin non è stato riaperto e ha così
perso centinaia di membri del gruppo. Considerate le difficoltà dell’attivismo Lgbt in Turchia, la
50
Per ulteriori informazioni sulle preoccupazioni della sicurezza di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt in Turchia, si veda:
Helsinki Citizens Association Turkey, Unsafe Haven: The Security Challenges Facing Lesbian, Gay, Bisexual and
Transgender Asylum Seekers and Refugees, disponibile all’indirizzo http://wwww.hyd.org.tr?pid=752.
51
Kaos-Gl Association (http://www.kaosgl.org); Pembe Hayat Lgbt Solidarity Association (http://www.pembehayat.org);
Lambdaistanbul (http://www.lambdaistanbul.org); Lgbtt Istanbul Solidarity Association (http://www.istanbul-lgbtt.org), Pembe Üçgen
İzmir (http://www.siyahpembe.org).
52
MorEl Eskisehir Lgbtt Initiative (http://moreleskisehir.blogspot.com/); Hevjin Lgbt Initiative (www.hevjin.org).
53
Si veda Amnesty International, Amnesty International criticizes judicial harassment of Lgbt association. Disponibile
all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/asset/EUR44/003/2010/en/73cd6f61-9a2d-4fa2-a8d4-53ce87dd7e1d/eur440032010en.pdf
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
24
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
sicurezza fornita dall’organizzarsi online è ancora più importante e le limitazioni che subisce sono
ancora più dannose.54
Le tattiche impiegate dalle autorità locali contro le associazioni Lgbt si sono rivelate una minaccia
ancora più grave. Amnesty International è a conoscenza di sanzioni arbitrarie imposte alle
associazioni Lgbt, insieme ad altre Ong per i diritti umani. Pembe Hayat ha raccontato di aver
ricevuto una multa amministrativa per aver consegnato troppo presto la documentazione richiesta
alle autorità locali. Un’altra associazione Lgbt di Ankara, Kaos-Gl, ha riferito di essere stata multata
in seguito a una verifica contabile del Direttorato per le associazioni del locale ufficio del
governatore (che appartiene al ministero dell’Interno) per un’applicazione evidentemente arbitraria
delle norme sul ricevimento di fondi dall’estero che non era stata applicata ad altre Ong che
ottenevano fondi allo stesso modo. Kaos-Gl ha inoltre raccontato ad Amnesty International che il
Direttorato ha eseguito otto diverse verifiche contabili nei confronti dell’associazione tra il 2006 e il
2009 – un numero decisamente più alto di quello a cui sono state sottoposte altre associazioni per i
diritti umani. Durante questo periodo, tutte le copie di un numero della rivista di Kaos-Gl furono
confiscate allo scopo di proteggere la morale pubblica (v. p. 8, capitolo sull’applicazione e
interpretazione discriminatorie delle leggi).
CAUSE DI CHIUSURA
Il metodo più frequente adottato dalle autorità locali per impedire il lavoro delle associazioni per i
diritti Lgbt è stato quello di intentare cause civili di chiusura da parte degli uffici dei governatori
locali adducendo la motivazione che le associazioni violano “la moralità turca e la struttura
familiare”.55 I reclami dei governatori locali sono stati presentati contro tutte le associazioni per i
diritti Lgbt a eccezione di quelle di più recente formazione, ma resta da vedere se tali tentativi
saranno messi in atto anche contro queste ultime.
È da molti anni che le autorità impiegano tali metodi e, oltre ai costi che devono sostenere per la
difesa (che distolgono le risorse finanziarie e di altro tipo dallo scopo principale dell’attività delle
associazioni), la durata di alcuni procedimenti è stata prolungata, accrescendo le incertezze che
esse si trovano ad affrontare. Nel 2005 fu sporto un reclamo contro l’associazione Kaos-Gl, ma la
procura di stato di Ankara decise che non vi era motivo per intentare una causa di chiusura. 56 La
procura di Ankara respinse anche un analogo reclamo presentato nel 2006 contro Pembe Hayat.
Stessa sorte occorse nel 2007 a un reclamo presentato nel 2006 dall’ufficio del governatore di
Istanbul contro l’associazione Lambdaistanbul: la procura di stato della città lo respinse, ma le
autorità locali ricorsero in appello e il verdetto ribaltò la prima sentenza, consentendo l’avvio di una
causa di chiusura. Il caso fu esaminato da un tribunale locale che, nel 2008, stabilì la chiusura
dell’associazione. Tale decisione fu, tuttavia, capovolta dalla Suprema corte d’appello e infine
confermata dal tribunale locale nell’aprile 2009 in seguito a una campagna di alto profilo contro la
54
Nel giugno 2011 Amnesty International ha contattato Facebook in merito alle chiusure dei gruppi ma, al momento in
cui questo rapporto è andato in stampa, non aveva ancora ottenuto alcuna risposta.
55
I seguenti articoli del codice civile (n. 4721) prevedono la chiusura delle associazioni per violazione al buon costume:
Art. 47 – Gruppi di persone organizzate per creare un singolo organismo e gruppi di beni indipendenti costruiti
per obiettivi speciali sono definiti come persone giuridiche in accordo con le norme che ne contrastano le qualità, i
rapporti, ecc. I gruppi comprendenti persone e beni il cui oggetto è contrario alle leggi e alla moralità possono non essere
autorizzati a possedere lo status di persona giuridica.
Art. 56 – Un’associazione è definita come una società formata da almeno sei persone fisiche o giuridiche per la
realizzazione di un obiettivo comune che non sia la condivisione di profitti attraverso la raccolta di informazioni e
dall’effettuare studi a tale scopo. Nono possono essere formate associazioni per uno scopo contrario alle leggi e alla
moralità.
Art. 89 – Se gli scopi di un’associazione non sono compatibili con la legislazione e la moralità, la corte può
imporre lo scioglimento dell’associazione su richiesta del pubblico ministero o di qualunque altra persona interessata.
Durante il procedimento del caso, la corte adotta tutte le misure necessarie, compresa la sospensione delle attività.
56
Il reclamo, presentato il 15 agosto 2005, fu respinto dall’ufficio della procura di Ankara che sottolineò gli obblighi
della Turchia a rispettare la libertà di associazione ai sensi dell’art.11 della Convenzione europea sui diritti umani e l’art.
22 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
25
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
chiusura svoltasi in Turchia e all’estero. 57 La decisione finale fu assunta quasi tre anni dopo il primo
reclamo del governatore di Istanbul. Sebbene la sentenza della Suprema corte d’appello sostenesse
positivamente il diritto di ognuno a formare associazioni indipendentemente dal proprio
orientamento sessuale o identità di genere, il verdetto affermava anche che l’incoraggiamento a
diventare lesbiche, gay, bisessuali o transgender non era protetto dal diritto alla libertà di
associazione e che tale motivo poteva condurre alla chiusura di un’associazione Lgbt, aprendo
apparentemente la strada al futuro avvio di ulteriori cause per la chiusura di associazioni Lgbt. 58
Nonostante il pronunciamento della Suprema corte d’appello a inizio anno, nel 2009 un’altra causa
per la chiusura fu avviata, per ragioni di moralità pubblica, contro l’associazione Siyah Pembe
Üçgen, con sede a İzmir, in seguito a un reclamo delle autorità locali. Il tribunale di İzmir respinse
la causa di chiusura il 30 aprile 2010.59
57
Amnesty International lanciò un’azione sollecitando le autorità a rispettare il diritto delle persone Lgbt alla libertà di
associazione. Il testo dell’azione è disponibile all’indirizzo: http://www.amnesty.org/en/appeals-foraction/turkey-urged-respect-lgbt-rightfreedom-of-association
58
Il verdetto della 7° camera della Suprema corte d’appello (n. 2008/5196) recita: “Nel caso in cui l’associazione
imputata agisce in modo da incoraggiare relazioni lesbiche, gay, bisessuali e transgender in violazione della Costituzione,
possono essere applicati gli art. 30 e 31 della Legge sulle associazioni e può essere richiesta la chiusura dell’associazione
stessa”. Questa decisione fu ripetuta anche nel giudizio ragionato della 6° corte di prima istanza di İzmir (2010/186)
nella causa per la chiusura dell’associazione Lgbt Siyah Pembe Üçgen İzmir. Il giudizio afferma che ciò che è ritenuto
contrario alla moralità pubblica non è l’essere lesbica, gay, bisessuale o transgender o l’impiego di tali termini, ma l’agire
in modo da incoraggiare altri a essere così.
59
Amnesty International, Activist group will not be closed for violating Turkish moral values. Disponibile all’indirizzo
http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/009/2010/en
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
26
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
IL CASO DI AHMET YILDIZ
L’omicidio, avvenuto il 15 luglio 2008, del ventiseienne Ahmet Yıldız, gay dichiarato, durante quello che molti ritengono un
delitto “d’onore”60, è divenuto il simbolo dell’incapacità delle autorità a rispondere alla violenza motivata
dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.
Il giorno dell’omicidio, il compagno di Ahmet, İbrahim, si trovava nella casa che i due condividevano a Üsküdar, un
quartiere nella parte asiatica di Istanbul. Egli ha raccontato che Ahmet era uscito dall’appartamento per andare a
comprare il gelato, scendendo in strada per prendere l’automobile. Quando udì gli spari, İbrahim corse giù e trovò Ahmet a
terra morto. Come in altri sospetti omicidi “d’onore”, la famiglia non ha reclamato il corpo per la sepoltura, come gesto di
rifiuto.
İbrahim Can ha spiegato che nei mesi precedenti l’omicidio Ahmet aveva ricevuto minacce di violenza da parte della sua
famiglia. Perciò era andato all’ufficio della procura di stato di Üsküdar per sporgere denuncia penale contro la sua
famiglia e chiedere protezione.
Dopo l’omicidio è emerso che non era stata avviata alcun indagine per la denuncia. Invece, il la procura aveva passato la
denuncia a un altro ufficio affermando che ricadeva nella giurisdizione del vicino quartiere di Sarıyer, dove non fu presa in
considerazione. Gli attivisti ritengono che le azioni delle autorità – l’erroneo trasferimento della denuncia nonostante fosse
di competenza della prima procura – e la mancata indagine siano il sintomo della riluttanza delle autorità stesse ad
affrontare il problema della violenza omofobica.
Gli eventi successivi all’omicidio aggiungono peso a questa convinzione. İbrahim Can ha raccontato ad Amnesty
International che l’indagine penale non è stata condotta in modo efficace. Tra gli elementi apparentemente non indagati vi
sono la presunta presenza di una seconda automobile sulla scena dell’omicidio e le circostanze di un danneggiamento alle
proprietà di un testimone del caso verificatosi qualche settimana dopo l’uccisione. Ancora più grave è il fatto che,
nonostante fossero state denunciate le minacce della famiglia e che l’automobile di un amico del padre di Ahmet Yıldız
fosse stata identificata sulla scena del crimine, non sia stato fatto alcun tentativo per interrogare il padre fino all’ottobre
2008, quando fu emesso un mandato di arresto a più di tre mesi di distanza dall’omicidio. A quell’epoca, il padre di Ahmet
Yıldız non fu rintracciato. Tabulati telefonici indicano che in quel periodo egli può essersi recato in Iraq.
Anche la fase processuale non è riuscita ad assicurare che fosse fatta giustizia. Nonostante le udienze fossero aperte al
pubblico, i giudici del tribunale impedirono ai sostenitori di Ahmet Yıldız di partecipare al processo come uditori. Soltanto
dopo la nomina di un nuovo giudice, durante la sesta udienza tenutasi il 14 marzo 2011, a circa tre anni dall’omicidio, fu
emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti del padre, l’unico sospettato. Nella stessa udienza il tribunale,
per la prima volta, ha ordinato un’indagine sulle minacce della famiglia prima della morte di Ahmet Yıldız. L’udienza
successiva è stata fissata per il 16 giugno 2011.
60
Sui delitti compiuti in nome dell’“onore” in Turchia si veda Amnesty International, Turkey: Women confronting family
violence, giugno 2004, EUR 44/013/2004. Disponibile su http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/013/2004
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
27
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
CRIMINI VIOLENTI CONTRO PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI E
TRANSGENDER
Tutt’altro che casi isolati, i reati contro le persone Lgbt sono stati segnalati con frequenza. Non vi
sono statistiche ufficiali sui reati commessi contro di esse ma, nel solo 2010, le associazioni Lgbt
hanno documentato l’uccisione di 16 persone ritenute vittime a causa del loro orientamento
sessuale o identità di genere, veri o presunti.61
Nel 2011, durante la ricerca per questo rapporto, hanno continuato a pervenire denunce di crimini
violenti contro membri della comunità Lgbt. Il 7 marzo, per esempio, un organo di stampa nazionale
ha pubblicato la notizia di un omicidio con il titolo “Aveva una relazione lesbica e l’ho uccisa”, che
si riferiva a un uomo della città di Gaziantep che avrebbe ucciso la sua ex partner ventunenne. 62
Due settimane dopo, la stampa ha riportato la notizia del ritrovamento del cadavere di una
transgender a İzmir. Secondo il rapporto, il cadavere è stato rinvenuto in una discarica, decapitato e
smembrato.63
In molti casi, le informazioni sui reati contro le persone Lgbt derivano dagli organi di stampa,
poiché le associazioni Lgbt o i partner delle vittime hanno poco o nessun accesso alle informazioni
durante le indagini sui casi e mancano dati ufficiali su presunti crimini d’odio (v. p. 29, capitolo sui
sospetti crimini d’odio). In conseguenza, gli attivisti per i diritti Lgbt ritengono che la vera entità dei
crimini motivati da orientamento sessuale o identità di genere sia molto più ampia di quanto è stato
possibile documentare.
Stabilire che dietro un crimine riportato soltanto dai media vi sia l’intolleranza non è sufficiente. Ciò
nonostante, gli attivisti sottolineano il modo in cui molte delle vittime sono state uccise. In certi
casi, le confessioni dei colpevoli suggeriscono il movente dell’odio per omicidi e altri gravi reati ai
danni di persone con diverso orientamento sessuale o identità di genere. Tuttavia, a causa delle
carenze nelle indagini e nel perseguimento di tali reati, in molti casi i responsabili non vengono
condotti in giudizio. In altri casi di reati violenti contro persone con diverso orientamento sessuale o
identità di genere, le vittime riferiscono che i perpetratori usano un linguaggio omofobico o
transfobico oppure informazioni riguardanti l’identità della vittima per giustificare il reato
commesso.
Le persone rischiano anche di essere vittime di altri tipi di reati violenti a causa del loro
orientamento sessuale o identità di genere. Gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International
che le persone Lgbt sono a rischio di maggiore violenza all’interno della famiglia perché non hanno
potuto avere accesso ai meccanismi di protezione – laddove siano disponibili – a causa del proprio
orientamento sessuale o della propria identità di genere (si veda oltre, p. 32, capitolo sui
meccanismi di protezione). Amnesty International è anche spesso venuta a conoscenza di casi in
cui persone che ritenevano di essere state prese di mira dalla delinquenza a causa del loro
orientamento sessuale o identità di genere non denunciavano i crimini subiti alla polizia o, se lo
facevano, i responsabili – a causa dell’identità della loro vittima – non erano perseguiti.
61
Nefret suclari raporu 2010, associazioni Kaos-Gl, Pembe Hayat e Siyah Pembe Ucgen Lgbt.
"Lezbiyen ilişki yaşıyordu, öldürdüm" cnnturk.com, disponibile all’indirizzo
http://www.cnnturk.com/2011/turkiye/03/07/lezbiyen.iliski.yasiyordu.oldurdum/609154.0/index.html
63
Bir Travesti Daha Vahşice Öldürüldü, Bianet, disponibile su http://www.bianet.org/bianet/toplumsalcinsiyet/128803-bir-travestidaha-vahsice-olduruldu
62
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
28
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
SOSPETTI CRIMINI D’ODIO
Amnesty International ha documentato vari episodi di crimini con intento discriminatorio – spesso
chiamati “crimini d’odio” – avvenuti in Turchia, che hanno preso di mira persone a causa del loro
orientamento sessuale o della loro identità di genere. L’Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa (Osce) definisce i crimini d’odio come “reati penali, compresi i reati contro
la persona o la proprietà, in cui la vittima, le proprietà immobiliari o il bersaglio del reato sono scelti
a causa del loro reale o percepito collegamento, legame, appartenenza, sostegno o adesione a un
gruppo”.64 Molte delle persone che hanno parlato con Amnesty International hanno raccontato di
essere state aggredite da privati cittadini a causa del proprio orientamento sessuale o della propria
identità di genere (si vedano i casi di Rüzgar a p. 22 e di Elçin a p. 13). In un sondaggio condotto
tra persone Lgbt, più del 70 per cento ha dichiarato di temere di essere aggredite per il loro
orientamento sessuale o identità di genere. 65 Il timore dei crimini d’odio è particolarmente forte tra
le prostitute transgender: tutte hanno riferito ad Amnesty International di essere state aggredite da
clienti. Molte hanno raccontato di conoscere altre transgender che erano state assassinate. In
questo modo, i sospetti crimini d’odio hanno traumatizzato non soltanto le vittime e i loro amici e
parenti, ma l’intera comunità Lgbt.
Amnesty International ha appreso che la gran parte dei crimini d’odio non vengono denunciati. E
anche quando lo sono, non vengono registrati come reati commessi a causa dell’identità delle
vittime e, sistematicamente, il movente del reato non viene indagato. Nel 2011 Amnesty
International ha richiesto, nell’ambito della legge sull’informazione, che le autorità fornissero
statistiche sul numero di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender uccise ogni anno a partire
dal 2006, disaggregate per regione, etnia, orientamento sessuale e identità di genere. Inoltre aveva
chiesto le che autorità fornissero statistiche su quante indagini, incriminazioni e condanne fossero
seguite agli omicidi, nonché le pene inflitte ai responsabili, incluse eventuali riduzioni. Le autorità
hanno risposto affermando che non vi erano informazioni disponibili sull’argomento richiesto. 66 A
causa del fatto che lo stato non raccoglie tali dati statistici e che alle associazioni Lgbt o persino ai
parenti delle vittime spesso non vengono forniti i dettagli sulle indagini, le informazioni disponibili
su sospetti crimini d’odio sono in gran parte ottenute dagli organi di stampa.
OMICIDI D’ODIO
Dai 16 sospetti omicidi d’odio documentati dalle organizzazioni Lgbt turche nel 2010 emergono
alcuni schemi. Nove vittime erano gay, sei erano transgender; in un caso è stato ucciso un uomo
eterosessuale apparentemente ritenuto gay. In tutti gli omicidi dei gay, a parte uno, risulta che i
sospetti colpevoli abbiano affermato che la vittima aveva preteso o iniziato un atto sessuale. In due
casi i presunti responsabili avrebbero dichiarato agli investigatori che la vittima aveva tentato di
stuprarli. Tre degli omicidi di gay hanno visto esplodere atti di estrema violenza, incluse ferite
multiple da coltello, apparentemente molto maggiore di quella necessaria per provocare la morte,
smembramento del cadavere e, in un caso, la vittima è stata “incaprettata” prima di essere uccisa.
Per i sei omicidi di transgender documentati nel 2010, in un caso il presunto colpevole avrebbe
dichiarato che la vittima aveva preteso di fare sesso come parte attiva, mentre in due casi è stata
documentata violenza estrema. In particolare, in uno di questi casi sono state inferte 29 coltellate.
64
Osce: Combating Hate Crimes in the Osce Region. Osce Office for Democratic Institutions and Human Rights, Varsavia,
2005, p. 12.
65
Türkiye’deki Lgbtt Bireylerin Günlük Yaşamında Maruz Kalığı Hetroseksist Ayrımcı Tutum ve Uygulamalar, Kaos-Gl, p.
33.
66
Il 18 febbraio 2011, Amnesty International ha chiesto di conoscere, secondo quanto previsto dalla legge sulla libertà di
informazione, il numero di omicidi di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, se fossero stati indagati, il numero
di incriminazioni e condanne, le eventuali riduzioni di pena, il numero di contravvenzioni spiccate contro persone Lgbt.
Tutti i dati, relativi al quinquennio 2007-2011, avrebbero dovuto essere forniti disaggregati per regione, genere, età,
orientamento sessuale, identità di genere ed origine etnica.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
29
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Nell’altro caso, la vittima è stata pugnalata più volte, anche dopo la morte, stuprata dopo il decesso
e amputata degli organi sessuali. Sulla scena del delitto sarebbe stato trovato un biglietto in cui era
scritto che “sarebbero stati uccisi altri travestiti”.
Nel caso dell’uomo eterosessuale ucciso nel 2010, la vittima era stata in precedenza apostrofata
con insulti omofobici dai perpetratori dell’omicidio.
NORMATIVA INTERNAZIONALE SUI CRIMINI D’ODIO
In quanto stato parte della Convenzione europea sui diritti umani, la Turchia ha l’obbligo di
proteggere il diritto alla vita senza discriminazione per tutte le persone all’interno della propria
giurisdizione. Come parte di quest’obbligo, alle autorità è richiesto che garantiscano indagini
immediate, imparziali ed efficaci nei casi di presunte violazioni del diritto alla vita, siano esse
commesse da attori statali o da privati cittadini.
La Corte europea dei diritti umani ha precisato che il dovere di proteggere il diritto alla vita non
soltanto impone alle autorità dello stato di astenersi dal togliere la vita intenzionalmente e
illegittimamente, ma anche di adottare le misure adeguate per salvaguardare la vita delle persone
all’interno della loro giurisdizione.67 Ciò comprende il dovere di mettere in atto norme di diritto
penale effettive punibili con idonee pene deterrenti per i reati contro la persona, che siano
sostenute da un sistema di applicazione della legge per la prevenzione, la soppressione e la
sanzione delle violazioni alle norme stesse. Inoltre, ciò richiede che, in certe circostanze ben
definite, le autorità adottino misure preventive per proteggere un individuo la cui vita sia a rischio a
causa di un altro individuo.68
La Convenzione europea sui diritti umani richiede anche che durante le indagini si adotti ogni
ragionevole misura per svelare un movente d’odio al fine di soddisfare i requisiti del diritto alla vita.
Questi obblighi sono stati ulteriormente precisati in vari giudizi tra cui Nachova e altri vs. Bulgaria,
in cui la Corte ha stabilito che lo stato era venuto meno al suo obbligo di indagare un movente
razziale dietro l’omicidio di una donna di origine rom.69
MANCATO RISPETTO DEGLI OBBLIGHI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE
Amnesty International teme che, nei casi di sospetti omicidi d’odio, le autorità turche – non
coinvolgendo i parenti prossimi della vittima nelle indagini – non rispettino i propri obblighi a
condurre indagini efficaci di presunti crimini d’odio come richiesto dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti umani. Amnesty International è anche preoccupata che con l’applicazione
discriminatoria delle norme legali sulla “indebita provocazione”, questa circostanza attenuante
venga effettivamente accettata a causa dell’identità della vittima. 70 Infine, l’assenza di procedure
specifiche per indagare i crimini d’odio suscita il timore che le indagini non siano efficaci.
67
LCB vs Regno Unito, giudizio del 9 giugno 1998, paragrafo 36.
Osman vs Regno Unito, giudizio del 28 ottobre 1998, paragrafo 115.
69
Nachova e altri vs Bulgaria [GC], n. 43577/98 e 43579/98.
70
L’articolo 29/1 del codice penale turco ammette l’indebita provocazione come motivo per la riduzione di pena:
“Chiunque commetta un reato in uno stato di rabbia o di grave agitazione provocato da un torto sarà punito con la
reclusione da diciotto a vent’anni invece dell’ergastolo aggravato e da dodici a diciotto anni invece dell’ergastolo. In altri
casi le condanne saranno ridotte da un quarto a tre quarti”.
68
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
30
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
INDAGINI VIZIATE SU POSSIBILI CRIMINI D’ODIO
“Se sei gay, sei esposto allo stupro”
Dichiarazione di un agente di polizia riferita dagli attivisti Lgbt di Eskişehir dopo che avevano denunciato il presunto stupro di un gay – uno dei tanti
contro gay e transgender avvenuti in città.
I legali che rappresentano le famiglie di persone uccise in sospetti omicidi d’odio a causa
dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere hanno dichiarato ad Amnesty International che
in molte occasioni la polizia non ha condiviso con loro i dettagli sulle indagini in corso e non ha
fornito documentazione agli avvocati che assistevano le famiglie. I legali hanno sottolineato che in
molti episodi le transgender non erano in contatto con le famiglie e che avevano il sostegno di un
partner o di amici della comunità Lgbt e delle associazioni Lgbt. Nonostante ciò, le autorità si sono
rifiutate di accettare che essi fossero parte lesa e avessero il diritto di intervenire nel caso in quanto
tale.71 Gli avvocati hanno dichiarato ad Amnesty International che in questo modo era molto meno
probabile che i tribunali garantissero lo status di parte lesa a partner dello stesso sesso rispetto alle
coppie con partner di sesso opposto.
Gli attivisti indicano anche l’incapacità a risolvere casi di omicidi evidentemente legati
all’orientamento sessuale o all’identità di genere della vittima come prova della necessità di
un’unità specializzata per combattere i sospetti crimini d’odio. Tra i molti esempi di tali omicidi vi è
quello di Dilek, una transgender uccisa con un fucile a pompa nel novembre 2008. Dilek era
querelante e testimone in un procedimento giudiziario senza precedenti sull’uccisione di donne
transgender intentato contro una rete di crimine organizzato ad Ankara. A marzo 2011, l’omicidio di
Dilek, avvenuto poche settimane dopo la pronuncia dei verdetti di colpevolezza, era ancora irrisolto.
Nel caso dell’omicidio del gay Ahmet Yıldız (v. p. 27), le autorità inquirenti non sono state capaci di
svolgere un’indagine efficace, di esaminare tutte le prove disponibili e, ancor peggio, di spiccare
mandato di arresto per un membro della sua famiglia nonostante forti prove prima facie del suo
coinvolgimento nel delitto. A marzo 2011, il principale sospettato doveva ancora essere arrestato.
Le indagini in altri sospetti crimini d’odio sono state viziate e compromesse dall’atteggiamento
prevenuto degli agenti di polizia. Gli attivisti di Eskişehir hanno raccontato ad Amnesty International
di essere andati a denunciare il presunto stupro di un gay abitante in quella città – uno dei
numerosi crimini contro gay e contro una transgender commessi, a quanto pare, dalla stessa
persona, mai assicurata alla giustizia. Tuttavia un agente disse loro “Se sei gay, sei esposto allo
stupro” e mise in dubbio che lo stupro fosse avvenuto chiedendo alla vittima “Se sei stato stuprato,
perché non hai i vestiti strappati?”
Gli attivisti hanno descritto ulteriori esempi in cui la polizia si è mostrata riluttante a indagare reati
motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima o in cui le autorità sono
state clementi con l’accusato a causa dell’identità della vittima.
A Diyarbakır, gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International il caso di un gay pugnalato
durante un’aggressione con possibile movente omofobico. Secondo il loro racconto, gli agenti
telefonarono alla famiglia della vittima – nonostante egli avesse chiesto di non contattarla – e
dissero loro che il figlio era gay, provocando così ulteriori violenze ai suoi danni da parte dei suoi
familiari. A marzo 2011, i responsabili dell’aggressione non erano ancora stati arrestati.
A İzmir, un attivista e avvocato ha raccontato ad Amnesty International che dopo essere stato
aggredito violentemente e derubato, “la polizia [lo] aveva trattato come se fosse il colpevole”.
71
L’articolo 237/1 della legge di procedura penale recita: “La vittima, sia essa persona fisica o giuridica, che è stata
danneggiata dal reato, così come gli individui soggetti a risarcimento pecuniario, sono intitolati a intervenire nel
procedimento giudiziario pubblico durante il processo presso il tribunale di prima istanza in qualsiasi fase, fino
all’emissione del verdetto, per annunciare l’intenzione di avanzare proprie rivendicazioni”.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
31
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Quando era andato a denunciare l’aggressione, gli agenti investigativi gli avevano fatto domande
sulla sua vita personale, insinuando che fosse responsabile di aver “incoraggiato” l’aggressione
dopo che i presunti colpevoli avevano affermato che egli aveva chiesto loro di fare sesso,
spingendoli così ad aggredirlo. L’attivista ha raccontato ad Amnesty International che in seguito a
ciò il pubblico ministero non ha chiesto la carcerazione preventiva dei sospetti; essi sono quindi
stati incriminati per un reato minore, lasciando così intendere che le autorità ritenevano che essi
fossero stati “provocati”.
PROCEDIMENTI GIUDIZIARI
Nei casi di presunti crimini d’odio i sospetti colpevoli hanno sistematicamente affermato che la
vittima aveva preteso di fare sesso o aveva iniziato a farlo e che ciò era stata una “indebita
provocazione”. In molte di tali istanze, le autorità giudiziarie non hanno cercato di mettere in
discussione tali affermazioni e hanno ridotto effettivamente le condanne accettando l’attenuante
dovuta all’identità della vittima. Nei casi del 2010 di cui si è detto in precedenza, in otto casi su
dieci il sospetto fermato aveva dichiarato che la vittima aveva preteso di fare o aveva iniziato a fare
un atto sessuale indesiderato. Nel caso dell’omicidio di İrem, una transgender uccisa nella città di
Bursa, nella parte occidentale del paese, l’asserzione che ella avesse preteso di essere il partner
“attivo” in un rapporto sessuale è stata contestata dal fatto che, in tempi recenti, ella si era
sottoposta a un intervento chirurgico di riattribuzione di genere. Il fatto che si tenti una difesa di
quel genere, nonostante appaia probabile che sia a tutti gli effetti inesatta, è la dimostrazione di
quanto l’applicazione della norma sia ampia e discriminatoria. A marzo 2011, il processo per
l’omicidio era ancora in corso. Anche in casi precedenti i tribunali sono stati disposti ad accettare
che la richiesta di rapporti sessuali omosessuali o l’esistenza di una relazione omosessuale
equivalessero a una “provocazione indebita”. Nel processo di un uomo accusato dell’omicidio di
una donna che riteneva avesse una relazione con sua moglie, il tribunale ha ammesso che
l’esistenza di una relazione omosessuale fosse una “provocazione indebita” e che poteva essere
considerata una circostanza attenuante per la condanna. 72 Nel caso dell’omicidio del giornalista gay
Abdülbaki Koşar', il responsabile dell’aggressione ha affermato di aver agito dopo che il giornalista
gli aveva chiesto di fare sesso. Il tribunale ha accettato il ragionamento che tale pretesa equivaleva
a una provocazione indebita, garantendo così l’attenuazione della pena. Il caso è ancora pendente
in appello.73
MANCATA APPLICAZIONE DEI MECCANISMI DI PROTEZIONE
Le persone Lgbt che hanno parlato con Amnesty International hanno ripetutamente affermato di
non essersi rivolte alle autorità per ottenere protezione a causa delle minacce ricevute o per
denunciare reati violenti perché ritenevano che, a causa del loro orientamento sessuale o della loro
identità di genere, le autorità non le avrebbero aiutate. I casi come quello di Ahmet Yıldız sono un
chiaro esempio del perché vi sia questa mancanza di fiducia. Ahmet Yıldız chiese aiuto alle autorità
nel 2007, molti mesi prima dell’aggressione che ne causò la morte. Nella denuncia penale
presentata alla procura di stato, Ahmet Yıldız aveva dichiarato che membri della sua famiglia lo
stavano minacciando di violenza e aveva chiesto che si indagasse su tali minacce e che gli fosse
fornita protezione. Tuttavia, non fu avviata alcuna indagine e il pubblico ministero (erroneamente)
affidò la denuncia a un altro ufficio della procura asserendo che era al di fuori della sua
giurisdizione (v. p. 27, caso di Ahmet Yıldız).
Nei casi di violenza all’interno della famiglia, i meccanismi di protezione non sono disponibili per
molte persone a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. È stato spesso riferito
72
Giudizio della seconda Corte penale per reati gravi di Istanbul sul caso dell’omicidio di Yelda Yıldırım, avvenuto nel
2004.
73
Giudizio della sesta Corte penale per reati gravi di Istanbul, 27 febbraio 2007.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
32
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
che donne e uomini transgender, gay, ma soprattutto lesbiche e donne bisessuali hanno subito varie
forme di violenza nell’ambito familiare, che comprendevano percosse, imprigionamento tra le mura
domestiche (si veda, più sotto, il caso di Irmak) e matrimonio forzato.
I meccanismi di tutela per tutte le vittime di violenza all’interno della famiglia continuano a essere
inadeguati, mentre la legge che impone alle autorità di fornire rifugio resta inapplicata e le
istituzioni per il mantenimento dell’ordine pubblico rimangono riluttanti ad affrontare crimini di
violenza intrafamiliare.74 Per esempio, nel 2009 la Corte europea dei diritti umani, esaminando il
caso Opuz vs. Turchia, stabilì che le autorità non avevano mantenuto il proprio obbligo di proteggere
la ricorrente e sua madre dalla violenza. La corte rilevò violazioni del diritto alla vita e del divieto di
tortura e discriminazione. Essa concluse che l’incapacità dello stato – seppur non intenzionale – a
proteggere le donne dalla violenza domestica violava il diritto delle donne all’uguale tutela della
legge e che in Turchia la generale e discriminatoria passività giudiziaria creava un clima favorevole
alla violenza domestica.75
Non esistono rifugi per gay o persone transgender che siano vittime di violenza all’interno della
famiglia. Gli attivisti hanno anche riferito ad Amnesty International che alle lesbiche e alle donne
bisessuali era impedito di accedere ai rifugi quando era noto il loro orientamento sessuale.
IRMAK DI DİYARBAKIR
Un delegato di Amnesty International ha intervistato la venticinquenne “Irmak” (nome di fantasia) in merito alle
persecuzioni che ha subito come transgender risiedendo prima a Diyarbakır e poi in altre parti dell’Anatolia orientale.
Originaria di Diyarbakır, nel sudest della Turchia, Irmak è stata costretta ad abbandonare la casa di famiglia a causa
delle gravi violenze e delle minacce di morte ricevute dai suoi familiari e da altre persone. Prima dell’intervista, ha chiesto
che non venissero rivelati né il suo vero nome né il suo attuale luogo di residenza per ragioni di sicurezza dovute alle
continue minacce di morte.
Irmak ha raccontato ad Amnesty International che durante l’infanzia e l’adolescenza aveva avuto molti problemi per via
del suo aspetto effeminato, come quando, per esempio, entrava in un negozio e il negoziante le chiedeva se era un ragazzo
o una ragazza, cosa che la metteva molto a disagio. Per strada veniva insultata da estranei che la chiamavano “checca” o
“frocio” e l’aggredivano fisicamente per il suo aspetto e la sua evidente mancanza di conformità alle tradizionali norme di
genere. Infine, all’età di sedici anni rivelò alla famiglia di sentirsi donna e di essere sessualmente attratta dagli uomini.
Soprattutto la reazione del fratello maggiore fu ostile e violenta; la picchiò con accanimento, fratturandole la mascella e il
naso. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che la madre voleva intervenire ma aveva paura del figlio ed non era
in grado di fermarlo. A seguito delle ferite subite, Irmak fu portata all’ospedale di Diyarbakır, dove fu medicata e dimessa.
A causa delle percosse, del rifiuto della famiglia di accettarla e del senso di disperazione che ciò provocò, Irmak tentò di
suicidarsi assumendo molte pillole. La madre trovò le confezioni vuote dei medicinali e la portò, priva di sensi, in ospedale;
si risvegliò dopo una lavanda gastrica, attaccata a una flebo. La polizia venne a interrogarla, ma Irmak non raccontò loro
cosa era realmente accaduto, dicendo invece di aver litigato con degli amici. Pur non credendo alla sua versione, la polizia
non riuscì a convincerla a dire la verità. Irmak ha raccontato ad Amnesty International di non aver rivelato alla polizia la
ragione dell’aggressione e del tentato suicidio perché non voleva fare ulteriormente soffrire sua madre. Dopo aver
trascorso una notte in ospedale, fu dimessa e rimandata a casa.
74
Si veda Women confronting violence within the family, Amnesty International EUR 44/013/2004, giugno 2004,
disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/013/2004.
La legge stabilisce che in ogni insediamento con popolazione superiore a 10.000 abitanti vengano istituiti rifugi per
donne vittime di violenza domestica. Tuttavia, a fine 2010 il loro numero era ben inferiore a quello richiesto dal diritto
interno. Secondo dati ufficiali, in tutta la Turchia nel 2010 esistevano 57 rifugi, otto in più rispetto all’anno precedente.
75
Opuz vs. Turkey, istanza n. 33401/02, giudizio dell’8 giugno 2009.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
33
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Tornata a casa, si sentiva infelice e la famiglia controllava strettamente il suo modo di vestire, i luoghi dove andava e le
persone con cui socializzava. A diciotto anni, impossibilitata ad essere se stessa, Irmak non fu più in grado di sopportare
la situazione e “fuggì” di casa per andare nel quartiere Beyoğlu di Istanbul, dove pensava che sarebbe stata accettata
dalle altre transgender, lontana dalle pressioni e dalle minacce della sua famiglia.
Purtroppo, ciò che trovò a Beyoğlu non era l’ambiente sicuro che aveva sperato. Abitava in un albergo e, grazie ai contatti
con altre transgender che vivevano in zona, per la prima volta Irmak iniziò ad assumere ormoni. Nonostante il sollievo per
essere lontana dalle minacce del fratello, rimase shoccata dalle notizie delle violenze contro altre transgender del
quartiere e cominciò a temere per la propria sicurezza. Dopo dieci giorni uno zio, che era riuscito a localizzarla, arrivò
all’albergo e la convinse a tornare a casa a Diyarbakır.
Il primo giorno, lo zio rimase con la famiglia e, grazie alla sua presenza, Irmak non subì alcuna minaccia, intimidazione o
violenza. Tuttavia, il giorno successivo alla partenza dello zio, il fratello maggiore la picchiò gravemente, colpendola con
pugni in faccia e prendendola a calci incessantemente fino a stancarsi. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che
il fratello minacciò di ucciderla, le confiscò i documenti di identità e le impedì di lasciare l’abitazione. In seguito, il fratello
la incatenò al termosifone nella sua camera da letto in modo da consentirle di raggiungere il bagno ma di non poter
andare oltre. Irmak rimase incatenata e imprigionata in casa per otto mesi, sotto le costanti minacce di violenza del
fratello. La madre era contraria a queste violenze, ma temeva il fratello maggiore e non gli si oppose. Per tutto questo
tempo Irmak non lasciò mai la casa e non ebbe alcun contatto con i suoi amici.
Dopo circa otto mesi di prigionia in casa, la madre l’aiutò a scappare mentre il fratello era assente. Irmak ha raccontato
ad Amnesty International che lasciarono la casa insieme e si recarono a casa di alcuni parenti di sua madre, ma che per
timore di essere trovate dal fratello, si trasferirono spesso a casa di vari altri parenti per restare nascoste. In questo
periodo, la madre le rivelò di averla aiutata a scappare perché alcuni amici di suo fratello avevano minacciato di uccidere
Irmak, cosa che non dubitava avrebbero fatto, e che il giorno prima di allontanarsi da Diyarbakır erano arrivate a casa loro
quattro automobili cariche di amici del fratello maggiore. Irmak ha affermato che erano membri di un gruppo religioso
radicale con cui il fratello simpatizzava. Essi avevano affermato che era stato deciso che Irmak doveva essere uccisa.
Sebbene in seguito la madre tornò a casa a Diyarbakır, avvertì Irmak che tornare a casa per lei non sarebbe stato mai più
sicuro e che se l’avesse fatto avrebbe messo a repentaglio la propria vita. A tutt’oggi Irmak non è mai tornata a casa né
ha avuto contatti con la famiglia.
Nonostante ora viva libera dalla violenza del fratello maggiore, Irmak ha raccontato ad Amnesty International che lotta
ancora per vivere una vita normale come transgender. Ha dovuto rinunciare a studiare per i problemi causati dall’avere
l’aspetto di una donna e la carta di identità di un uomo, cosa che le ha impedito di accedere all’università. Inoltre ha
descritto le continue molestie e discriminazioni che deve sopportare ogni volta che mostra i documenti ai funzionari
pubblici perché la sua identità di genere è diversa da quella dichiarata sulla carta, il che provoca domande indiscrete e
ritardi. Oltre a ciò, gli insulti che riceve da estranei per strada hanno fatto sì che ora esca di casa soltanto quando
necessario e si rechi solo in un ristretto numero di posti fidati. La sua identità di genere e il fatto che sia stata costretta a
prostituirsi per la mancanza di qualunque tipo di lavoro disponibile le hanno causato gravi problemi nel trovare una casa,
perché i vicini non volevano che abitasse nel loro stesso palazzo. Irmak ha raccontato che i residenti di un palazzo in cui
abitava in precedenza l’hanno costretta a lasciare l’appartamento e per un periodo è rimasta senza tetto. Soltanto grazie
all’aiuto di un amico, disposto a firmare il contratto di affitto di un appartamento in un palazzo disabitato, è riuscita a
trovare un alloggio.
Irmak continua a ricevere minacce telefoniche da sconosciuti e teme per la sua vita se la sua famiglia scoprisse dove
abita. Ha paura di chiedere protezione alle autorità perché ha timore che non la tutelino in quanto transgender e che
rivelino alla sua famiglia dove si trova.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
34
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
EYLÜL DI ESKİŞEHİR
Il caso che segue è stato raccontato ad Amnesty International da Eylül, una prostituta transgender di 24 anni che è tra i
membri fondatori di MorEl, una rete locale di attivisti Lgbt. Il 1° febbraio 2011, intorno alle 21.30, Eylül ha ricevuto una
telefonata da un uomo che diceva di essere un cliente e che le ha fornito un nome che si è rivelato falso. Dopo essersi
accordati sul prezzo, l’uomo è arrivato a casa di Eylül. Quando ha rivelato il suo vero nome, Eylül lo ha riconosciuto come
l’uomo sospettato di aggressioni e furti ai danni di altre prostitute transgender. Gli ha chiesto di andarsene, ma egli si è
rifiutato.
Dopo molte minacce, incluse minacce di violenza da parte sua e di altri uomini che avrebbe chiamato per aggredirla,
l’uomo l’ha stuprata. L’11 febbraio 2011, Eylül ha sporto denuncia penale ed è stata mandata al servizio di medicina
legale per una valutazione fisica e psicologica. Quando, il 17 febbraio, i delegati di Amnesty International hanno parlato
con Eylül degli sviluppi del caso, ella ha riferito che lo stesso uomo aveva aggredito un’altra prostituta transgender, alla
quale erano stati applicati sei punti di sutura allo stomaco per una coltellata. Questa transgender aveva troppa paura di
sporgere denuncia alla polizia. Eylül ha raccontato che era molto preoccupata, che aveva paura di uscire da sola e che
stava valutando la possibilità di installare in casa un impianto di sorveglianza a circuito chiuso.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
35
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
Questo rapporto intende mostrare come l’incapacità dello stato a difendere il diritto a non essere
discriminati per l’orientamento sessuale o l’identità di genere abbia provocato quotidiane violazioni
dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Tra le violazioni vi sono violenza,
molestie e il rifiuto di permettere l’accesso a una gamma di diritti sociali ed economici. In
conseguenza, il governo deve adottare misure urgenti per proteggere le persone dalla
discriminazione per tali ragioni, sia introducendo modifiche legislative, sia vietando ai funzionari
pubblici l’uso di un linguaggio discriminatorio, sia adottando una serie di misure positive per
promuovere l’uguaglianza.
Il rapporto dimostra anche l’inefficacia delle attuali politiche e prassi delle autorità nella lotta a
sospetti crimini d’odio. In collaborazione con le organizzazioni per i diritti delle persone Lgbt, le
autorità devono sviluppare e applicare misure per prevenire e indagare efficacemente le sospette
aggressioni omofobiche e transfobiche.
Analogamente, le autorità devono porre fine alle violazioni arbitrarie e discriminatorie dei diritti alla
libertà di espressione e di associazione per le persone Lgbt, come documentato in questo rapporto.
Al contrario, esse devono garantire che questi diritti universali siano rispettati per tutti senza
discriminazioni.
Amnesty International ritiene che l’applicazioni delle raccomandazioni che seguono, con la
collaborazione e, laddove appropriato, la consultazione dei gruppi per i diritti Lgbt, contribuirebbero
in modo significativo a costruire un forte quadro istituzionale e legislativo per il rispetto, la tutela e
la promozione del diritto a vivere liberi dalla discriminazione, compresa quella per l’orientamento
sessuale e l’identità di genere.
Proibire, nella legge e nella prassi, la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità
di genere

Ratificare il Protocollo 12 della Convenzione europea sui diritti umanie sulle libertà
fondamentali, che contiene una norma indipendente contro la discriminazione.

Estendere le tutele costituzionali del diritto alla non discriminazione al fine di includere
l’orientamento sessuale e l’identità di genere:


Emendare l’articolo 10 della Costituzione per proibire la discriminazione per motivi di
orientamento sessuale e identità di genere e intraprendere azioni positive per garantire la
parità;

Estendere le norme antidiscriminatorie al diritto interno al fine di includere i motivi di
orientamento sessuale e identità di genere.
Introdurre una legislazione completa contro la discriminazione:

Emendare la bozza di legge per la lotta alla discriminazione e per la parità inserendo la
protezione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere;

Assicurarsi che la bozza di legge contenga le necessarie garanzie dell’indipendenza e
dell’effettivo funzionamento della Commissione per la parità e la non discriminazione.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
36
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza

Procedere a una revisione di tutto il diritto interno assicurandosi che le norme discriminatorie
vengano eliminate e che le altre norme non causino discriminazione nella pratica.

Proibire ai funzionari pubblici l’uso discriminatorio del linguaggio:


Assicurarsi che i funzionari pubblici non incoraggino, nelle loro dichiarazioni pubbliche,
atteggiamenti negativi verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender;

Sanzionare i funzionari pubblici che fanno uso di linguaggio discriminatorio con
adeguate misure disciplinari o di altro genere.
Adottare misure positive per prevenire la discriminazione:

Condurre iniziative di formazione mirate destinate a tutti i funzionari pubblici di ogni
settore (compresi magistrati, polizia, insegnanti, operatori sociali, operatori sanitari,
autorità locali e così via) sugli standard sulla non discriminazione e sulla parità e sui
modi per metterli in atto.
Porre fine alla violenza e alle vessazioni delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender da
parte di funzionari dello stato

Adottare meccanismi preventivi per combattere le violazioni dei diritti umani commesse da
funzionari dello stato:

Garantire l’installazione e il funzionamento di apparecchiature per la registrazione audio
e video nelle stazioni di polizia e nelle stanze degli interrogatori;

Ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e renderlo effettivo
attraverso la creazione di un meccanismo indipendente di controllo che effettui visite
regolari e visite ad hoc senza preavviso in tutti i luoghi di detenzione;

Condurre indagini efficaci e imparziali in tutti i casi di presunta tortura o maltrattamenti
commessi da funzionari dello stato e portare i sospetti responsabili di tali violazioni
dinanzi alla giustizia.
Allineare le attività di polizia agli standard internazionali


Garantire che la polizia faccia uso della forza solo in accordo agli standard internazionali sui
diritti umani:

Assicurare che gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza rispettino il divieto assoluto
di tortura e altri maltrattamenti, compreso l’uso arbitrario o illecito della forza;

Indagare in modo immediato, esauriente, indipendente e imparziale le denunce di
tortura o altri maltrattamenti contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender;
Porre fine alle vessazioni delle forze di polizia o di sicurezza motivate dall’orientamento sessuale
o dall’identità di genere:

Sospendere l’imposizione delle multe previste dalla legge sui reati minori e dalla legge
sulla circolazione dei pedoni a causa della loro diffusa applicazione discriminatoria e
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
37
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
arbitraria da parte della polizia fino a che non vengano poste in essere misure che
garantiscano che tali leggi non siano utilizzate in modo discriminatorio;

Monitorare l’uso delle norme del codice penale sulla resistenza all’arresto e garantire che
non vengano avanzate contro-denunce come deterrente alla presentazione di legittime
denunce contro gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza.
Porre fine alle violenze e alle molestie contro i gay nelle forze armate

Riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza e introdurre un servizio civile alternativo al
servizio militare, in linea con gli standard e le raccomandazioni sui diritti umani europei e
internazionali;

Eliminare dal codice penale militare la norma discriminatoria che definisce l’omosessualità
come “distrurbo psicosessuale” che impedisce ai gay di prestare servizio nelle forze armate;

Indagare in modo immediato, esauriente, indipendente e imparziale le denunce di
maltrattamenti e molestie contro i gay nelle forze armate e chiamare i responsabili a rispondere,
anche con sanzioni penali se necessario.
Rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accesso ai diritti

Addestrare il personale dei servizi pubblici all’applicazione degli standard contro la
discriminazione e garantire che non siano tollerati comportamenti o linguaggi discriminatori dei
funzionari pubblici;

Sviluppare procedure rapide e trasparenti per il cambiamento di nome e la riattribuzione di
genere di una persona transgender su certificati di nascita, carte di identità, passaporti,
certificati di istruzione e altri analoghi documenti;

Eliminare il requisito della sterilizzazione forzata e altri trattamenti medici obbligatori come
requisiti legali necessari per riconoscere l’identità di genere di una persona nelle leggi che
governano le procedure per il cambiamento di nome e la riattribuzione di genere;

Garantire che le procedure per la riattribuzione di genere, come il trattamento ormonale e il
sostegno psicologico, siano accessibili alle persone transgender e garantire che siano fornite dal
servizio sanitario nazionale.
Garantire il rispetto per tutti del diritto a un alloggio adeguato

Assicurare che le irruzioni della polizia nelle case e i successivi ordini di divieto di ingresso non
siano usati come pretesto per vessare le persone transgender;

Assicurare che gli sgomberi siano effettuati soltanto come ultima risorsa, dopo l’esame di tutte
le alternative possibili allo sgombero stesso e solo quando siano in essere le tutele procedurali
richieste dagli standard internazionali sui diritti umani.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
38
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza
Proteggere il diritto a cercare e ottenere asilo per rifugiati e richiedenti asilo lesbiche, gay,
bisessuali e transgender

Autorizzare rifugiati e richiedenti asilo Lgbt a risiedere in grandi città della Turchia che abbiano
associazioni di solidarietà e comunità Lgbt riconosciute;

Facilitare l’immediato trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo da città in cui essi abbiano
espresso timori per la propria sicurezza a causa del loro orientamento sessuale o della loro
identità di genere e accelerare le loro richieste d’asilo e di trasferimento in un paese terzo;

Garantire che i funzionari pubblici coinvolti nell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo
siano formati a valutare le richieste d’asilo motivate da orientamento sessuale e identità di
genere.
Proteggere il diritto alla libertà di associazione

Adottare misure per garantire che sia rispettato il diritto alla libertà di tutte le persone, senza
discriminazione:

Garantire che il concetto di morale pubblica non venga usato come fondamento per
limitare l’esercizio del diritto all’associazione pacifica in base al fatto che tale
associazione sostiene differenti orientamenti sessuali o identità di genere;

Ricordare ai governatorati provinciali e ai direttorati loro associati che hanno l’obbligo di
rispettare e proteggere il diritto di ogni persona alla libertà di associazione, senza
discriminazione, compresa quella per l’orientamento sessuale o l’identità di genere, e di
adottare misure per eliminare ogni forma di discriminazione motivata da orientamento
sessuale o identità di genere.
Prevenire i reati violenti contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender

Adottare misure urgenti per garantire che le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, così
come quelle di altri gruppi a rischio, siano protette dalla violenza;

Assicurare che il messaggio sia chiaro: i commenti discriminatori di funzionari pubblici, inclusi
gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza, non saranno tollerati;

Pronunciarsi pubblicamente contro i crimini d’odio e impegnarsi a portarne i responsabili
dinanzi alla giustizia.
Consegnare alla giustizia i responsabili di presunti crimini d’odio

In collaborazione con i gruppi per i diritti Lgbt, delineare e adottare misure che incoraggino la
denuncia di episodi omofobici e transfobici, come la creazione di agenzie specializzate con
personale adeguatamente formato alle quali possano essere segnalati i crimini d’odio;

Garantire che tutti gli agenti di polizia ricevano formazione professionale sulla natura dei crimini
d’odio e sul ruolo che la polizia deve svolgere per contrastarli;
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
39
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE”
Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza

Introdurre un sistema globale di monitoraggio di tutti quegli episodi che possono costituire
crimini d’odio. Il monitoraggio dovrebbe coprire tutte le fasi del procedimento, incluse le
denunce presentate, le incriminazioni e le condanne;

Permettere alle vittime, alle loro famiglie e ai gruppi Lgbt di essere coinvolti nelle indagini.
Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011
40