Né una malattia, né un crimine: le persone lesbiche, gay, bisessuali
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Né una malattia, né un crimine: le persone lesbiche, gay, bisessuali
“NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” LE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI E TRANSGENDER IN TURCHIA PRETENDONO UGUAGLIANZA INDICE Introduzione....................................................................................................................................3 Metodologia....................................................................................................................... 5 incapacità a prevenire le discriminazioni: indifferenza del governo e mancanza di tutela legale...............................................................................................................................................6 Ostilità del governo............................................................................................................. 6 Negate le riforme per i diritti Lgbt........................................................................................ 7 Applicazione e interpretazione discriminatorie della legge.......................................................8 La discriminazione in pratica.......................................................................................................10 Violenza della polizia........................................................................................................ 10 Applicazione arbitraria di multe.......................................................................................... 12 Abusi sui gay nelle forze armate......................................................................................... 15 Minacce, abusi e isolamento........................................................................................... 15 Inadatto....................................................................................................................... 16 Accesso alla casa e al lavoro.............................................................................................. 18 Accesso all’alloggio........................................................................................................... 18 Il progetto di riqualificazione urbana di Tarlabaşı .............................................................19 Occupazione.................................................................................................................... 20 Ostacoli all’accesso ad altri diritti....................................................................................... 21 Il diritto a cercare asilo.................................................................................................. 23 Minacce alla libertà di associazione.................................................................................... 24 Cause di chiusura.......................................................................................................... 25 Crimini violenti contro persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender...................................28 Sospetti crimini d’odio...................................................................................................... 29 Omicidi d’odio.............................................................................................................. 29 Normativa internazionale sui crimini d’odio.........................................................................30 Mancato rispetto degli obblighi del diritto internazionale e nazionale...................................30 Indagini viziate su possibili crimini d’odio........................................................................31 Procedimenti giudiziari..................................................................................................... 32 Mancata applicazione dei meccanismi di protezione..........................................................32 Conclusioni e raccomandazioni...................................................................................................36 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza INTRODUZIONE “Mamma, sai che cosa ho sofferto? Quale dolore tuo figlio sta patendo? L’hai notato? Riesci a capirmi? La realtà è diversa; tu non mi conosci affatto. Se conoscessi la realtà non ce la faresti, saresti shoccata. Non importa, mamma (...)” Una madre, appartenente a un gruppo di sostegno alle famiglie, descrive quanto fosse difficile per il figlio essere aperto sulla sua sessualità, Gruppo di famiglia Lambdaistanbul, 2010.1 “Credo che l’omosessualità sia un disturbo biologico, una malattia che deve essere curata” Aliye Kavaf, ministra per le Donne e la famiglia, 2010.2 Il 25 giugno 2010, migliaia di persone – tra cui lesbiche, gay, donne e uomini bisessuali e transgender (Lgbt), membri delle loro famiglie, attivisti e altri sostenitori – hanno sfilato per il centro di Istanbul nella più grande manifestazione di solidarietà per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender mai vista in Turchia fino a oggi. La manifestazione di sostegno del 2010 e quella simile prevista per il 2011 si svolgono sullo sfondo di ripetute violenze e sistematiche molestie e discriminazioni da parte delle autorità statali verso i membri della comunità Lgbt in Turchia. A dispetto degli impegni assunti dalla Turchia nel quadro dei trattati internazionali sui diritti umani di cui è stato parte, 3 nel diritto interno la discriminazione rimane esplicita, mentre altre leggi vengono interpretate o utilizzate in modo discriminatorio da giudici e pubblici ministeri, negando così l’uguaglianza dei diritti a lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Malauguratamente, nella Costituzione o nel diritto interno turco non esistono norme che vietino la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. In contrasto con i progressi nella tutela dalla discriminazione per altre cause e nella protezione di altri diritti umani fondamentali compiuti durante il mandato del partito Giustizia e sviluppo, al governo dal 2002, i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno continuato a essere ignorati. Questa situazione è stata aggravata dalle dichiarazioni omofobiche rese da funzionari statali, in particolare da Aliye Kavaf, ministra per le Donne e la famiglia che, nel 2010, ha dichiarato: “L’omosessualità è un disturbo biologico, una malattia che deve essere curata”4. Le opinioni omofobiche e transfobiche sono comuni nei media. Le persone sono discriminate sulla base del loro orientamento sessuale e della loro identità di 1 Dalla testimonianza “Io sono una madre” sul sito web di Listag (Gruppo di famiglia Lambdaistanbul), un gruppo volontario che, dal gennaio 2008, opera in appoggio ai familiari di persone Lgbt. La testimonianza completa è disponibile all’indirizzo http://listag.wordpress.com/2009/02/09/ben-bir-anneyim/ 2 Dall’intervista “Eşcinsellik hastalık, tedavi edilmeli”, rilasciata al quotidiano Hürriyet, 7 marzo 2010, disponibile all’indirizzo http://www.hurriyet.com.tr/pazar/14031207.asp 3 Il diritto alla non discriminazione, un principio fondamentale su cui si reggono tutti i diritti umani, è protetto da varie convenzioni di cui la Turchia è stato parte tra cui il Patto internazionale sui diritti politici e civili (articolo 2/1), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (articolo 2/2) e la Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali (articolo 14), che proibiscono la discriminazione nel godimento degli altri diritti sanciti dalle convenzioni stesse. L’articolo 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici contiene anche il divieto di discriminare in ogni area e rispetto a tutti i diritti. Esso recita: “Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a una eguale tutela da parte della legge. A questo riguardo, la legge deve proibire qualsiasi discriminazione e garantire a tutti gli individui una tutela eguale ed effettiva contro ogni discriminazione, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione”. La tutela contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere appartiene quest’ultima tipologia. Ciò è stato stabilito dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali: “l’altra condizione” riconosciuta dall’articolo 2/2 comprende l’orientamento sessuale. Gli stati parte devono garantire che l’orientamento sessuale di una persona non sia un ostacolo alla realizzazione dei diritti sanciti dal Patto, per esempio, nell’accedere alla pensione di reversibilità. Inoltre, l’identità di genere è riconosciuta tra le cause di discriminazione vietate; per esempio, le persone transgender, transessuali o intersex spesso subiscono gravi violazioni dei diritti umani come le molestie a scuola o nel luogo di lavoro (Commento generale 20, paragrafo 32). Il Comitato per i diritti umani e la Corte europea dei diritti umani hanno anche ripetutamente applicato standard non discriminatori per includere l’orientamento sessuale e l’identità di genere. 4 V. la precedente nota 2. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 3 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza genere sia dagli attori statali che da quelli non statali sul posto di lavoro, nei servizi sanitari, nell’istruzione e nel diritto all’alloggio. Il pregiudizio dilagante implica che molte persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender si sentano costrette a nascondere il loro orientamento sessuale ai datori di lavoro, ai funzionari pubblici e anche alle famiglie, tanta è la paura della violenza, della discriminazione e del pregiudizio. Questo riguarda in modo particolare le lesbiche e le donne bisessuali che, a causa del livello di autonomia economica e indipendenza in famiglia spesso inferiore a quello degli uomini, soffrono di diversi problemi e hanno minore accesso ai meccanismi di protezione. Sebbene il diritto stabilisca che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, nella pratica esse subiscono trattamenti estremamente diseguali. Questa discriminazione multipla contribuisce alla frequente invisibilità delle lesbiche e delle donne bisessuali in Turchia. I gay e gli uomini bisessuali sono a rischio di violenza e discriminazione quando esplicitano il loro orientamento sessuale e sono spesso percepiti come trasgressori del rigido concetto di virilità. Molte donne e uomini transgender, che non possono o non vogliono nascondere la propria identità di genere agli occhi di una società ricca di pregiudizi, subiscono alcuni dei più gravi atti di violenza e intolleranza a causa della loro identità di genere e del loro percepito orientamento sessuale. Le donne transgender, in particolare, incontrano i maggiori ostacoli nell’ambito dell’occupazione e in moltissimi casi sono costrette a lavorare illegalmente nel mondo della prostituzione, aggiungendo un’altra ragione al pregiudizio nei loro confronti e fornendo una motivazione aggiuntiva alle vessazioni da parte delle forze di polizia o di sicurezza. Fonte di grande preoccupazione – e ancora largamente ignorata dalle autorità – è la continua diffusione dei crimini d’odio, tra cui aggressioni violente e omicidi. Le donne transgender ne sono un particolare obiettivo. Nonostante la posizione delle autorità – che nella migliore delle ipotesi ignorano i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e nella peggiore ne fanno oggetto di trattamenti discriminatori – e la dilagante cultura omofobica e transfobica presente nei media e nella società in generale, recentemente sono stati fatti passi avanti grazie al lavoro delle organizzazioni per i diritti delle persone Lgbt in Turchia. La loro lotta contro l’intolleranza è stata condotta in un clima di minacce e discriminazioni contro il loro stesso diritto alla libertà di espressione e di associazione. Eppure, nonostante ciò, attraverso un’azione ininterrotta sono state ottenute vere vittorie per i diritti umani, che rappresentano un esempio da seguire. Riconoscendo il legame tra l’intolleranza nei confronti di diversi orientamenti sessuali e identità di genere con altre forme di intolleranza ufficiale verso persone o gruppi con identità emarginate e opinioni dissenzienti, le organizzazioni Lgbt 5 hanno lavorato sempre più su una vasta gamma di preoccupazioni per i diritti umani in Turchia e hanno iniziato a stringere alleanze con la più ampia società civile. Amnesty International, insieme con le Ong turche e internazionali sue partner, rifiuta radicalmente la posizione adottata finora dal governo turco – che ammette che la lotta alla discriminazione può progredire ma, al tempo stesso, ignora la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Amnesty International chiede perciò alle autorità, insieme ad altre raccomandazioni, di modificare la Costituzione in modo da proibire ogni forma di discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere e di inserire nella legislazione nazionale norme globali contro la discriminazione. Amnesty International e le Ong sue partner chiedono anche alle autorità di mettere in atto provvedimenti urgenti per impedire ulteriori crimini d’odio e di adottare misure volte a perseguire in modo efficace i crimini d’odio avvenuti in passato. 6 Analogamente, Amnesty International chiede alle autorità turche di rispettare e proteggere il diritto 5 Sono le associazioni Kaos-Gl Association, Lambdaistanbul Lgbtt Association, Siyah Pembe Üçgen İzmir Lgbt Association,Hevjin Lgbtt Initiative, MorEl Eskişehir Lgbtt Initiative e Pembe Hayat Lgbtt Solidarity Association. 6 L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) definisce i crimini d’odio come “reati penali, inclusi quelli contro la persona e la proprietà, in cui in cui la vittima, le proprietà immobiliari o il bersaglio del reato sono scelti a causa del loro reale o percepito collegamento, legame, appartenenza, sostegno o adesione a un gruppo”. Osce: Combating Hate Crimes in the Osce Region, Osce Office for Democratic Institutions and Human Rights, Varsavia, 2005, p. 12. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 4 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza di tutti alla libertà di espressione e di associazione, senza discriminazioni, comprese quelle legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. METODOLOGIA Il presente rapporto si basa su ricerche effettuate da delegati di Amnesty International nei mesi di gennaio e febbraio 2011 in cinque città turche: Ankara, Diyarbakır, Eskişehir, Istanbul e İzmir. Durante questo periodo Amnesty International ha effettuato oltre 70 interviste con persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, le loro famiglie, attivisti, avvocati e altri ancora. Le informazioni legate ai casi individuali su cui il rapporto si basa provengono dalle interviste svolte con le persone interessate, le Ong o i gruppi che lavorano con esse e con i loro amici e sostenitori, da atti processuali e da altri documenti ufficiali. Salvo dove è specificato che per ragioni di protezione si sono utilizzati altri nomi, i nomi delle persone e dei luoghi sono reali. L’ambito del rapporto riflette i temi più preoccupanti emersi durante la ricerca ma non intende rappresentare un racconto esaustivo di tutte le minacce subite dalle persone a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Inoltre, i ben motivati timori di discriminazione e molestie contro persone che reclamano i propri diritti hanno presentato delle sfide per chi si accingeva a documentare gli abusi. Amnesty International ringrazia in particolare tutti coloro che, nonostante le minacce e i pregiudizi, hanno condiviso le loro storie con l’obiettivo di far progredire i diritti di tutte le persone minacciate a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Le raccomandazioni contenute in questo rapporto sono permeate dei loro punti di vista sui passi necessari per affrontare la discriminazione e le violazioni che queste persone hanno subito. Nel corso della ricerca, Amnesty International ha anche chiesto anche l’opinione delle autorità statali. I delegati hanno incontrato Mehmet Zafer Üskül, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta per i diritti umani. Amnesty International aveva richiesto di poter incontrare anche funzionari del ministero degli Interni, della polizia e del distretto municipale di Beyoğlu a Istanbul, ma essi hanno fatto sapere di non essere disponibili a incontrare i delegati di Amnesty International durante il periodo della ricerca. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 5 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza INCAPACITÀ A PREVENIRE LE DISCRIMINAZIONI: INDIFFERENZA DEL GOVERNO E MANCANZA DI TUTELA LEGALE “I gay hanno avanzato delle richieste nel corso dei negoziati sulle riforme costituzionali. Abbiamo intenzione di rispondere alle loro richieste? Nelle attuali condizioni non è possibile. La gente non è ancora pronta.” Burhan Kuzu, parlamentare del partito Giustizia e sviluppo (Akp) e capo del Comitato parlamentare costituzionale.7 Nonostante le lunghe campagne condotte dalle organizzazioni Lgbt8, nel diritto interno turco non esiste alcuna protezione esplicita contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. Allo stesso tempo, la magistratura applica spesso in modo discriminatorio alcune disposizioni di diritto penale e civile. Non soltanto i politici di alto livello e i funzionari di governo hanno respinto le richieste di uguaglianza, ma hanno anche rilasciato esplicite dichiarazioni omofobiche che possono incoraggiare la discriminazione contro lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Un altro segnale della chiusura delle autorità turche, anche a livello internazionale, al riconoscimento di pari diritti a tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale o identità di genere, è il costante rigetto delle raccomandazioni per la riforma delle norme contro la discriminazione e il rifiuto a sottoscrivere risoluzioni che chiedono la tutela dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. La Turchia è uno dei numerosi stati membri del Consiglio d’Europa a non aver ratificato il Protocollo 12 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali, che fornisce una norma indipendente contro la discriminazione. Molte persone che hanno parlato con Amnesty International, dalle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender agli attivisti e agli accademici, hanno identificato nella mancanza di protezioni legali la causa più significativa del perdurare della discriminazione contro persone di diverso orientamento sessuale o identità di genere. OSTILITÀ DEL GOVERNO Dopo l’entrata nel governo del partito Giustizia e sviluppo (Akp), nel 2002, nel quadro legislativo sono state inserite riforme atte a rafforzare la protezione di alcuni diritti umani. 9 Ma, di contro, non una sola disposizione sulla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere è stata sottoposta al parlamento. Invece, si è avuta una lunga serie di dichiarazioni discriminatorie da parte di funzionari governativi, dichiarazioni per quali il governo non si è scusato, né ha preso le dovute distanze. Molti attivisti hanno raccontato ad Amnesty International dei danni provocati dalla dichiarazione di Aliye Kavaf, la ministra per le Donne e la famiglia: “L’omosessualità è un disturbo biologico che deve essere curato”.10 La dichiarazione ha avuto un’ampia e diffusa copertura mediatica, ma il governo non l’ha respintan né ha emesso alcun comunicato di scuse. Simili dichiarazioni omofobiche non sono incidenti isolati. Nel 2003, il portavoce del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che “gli omosessuali non possono essere membri” del partito di governo, “possono istituirne un proprio”. 11 Le dichiarazioni del sopracitato Burhan Kuzu, capo della Commissione parlamentare costituzionale e parlamentare dell’Akp, il quale afferma che il governo 7 Dall’intervista “Eşcinseller de eşitlik istiyor, verecek miyiz?” apparsa sul quotidiano Milliyet, 28 gennaio 2008, disponibile all’indirizzo http://www.milliyet.com.tr/2008/01/28/siyaset/asiy.html 8 Il Comitato costituzionale Lgbtt è composto dalle seguenti associazioni: Antalya Gökkuşağı Lgbt Initiative, Kaos-Gl Association, Kaos-Gl İzmir, Kaosıst Lgbt Civil Society Initiative, Lambdaistanbul Lgbtt Association, MorEl Eskişehir Lgbtt Initiative, Pembe Hayat Lgbtt Association. 9 Le riforme legislative sui diritti umani comprendono l’introduzione del nuovo codice penale turco (legge 5237) e del codice di procedura penale (legge 5271), in vigore dal 1° giugno 2005. Per ulteriori dettagli si veda il documento di Amnesty International, Turkey: The Entrenched Culture of Impunity Must End, 5 luglio 2007 (AI Index: EUR 44/008/2007). 10 V. la precedente nota 2. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 6 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza non dovrebbe piegarsi alle pressioni di chi vuole vietare la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere, rappresentano la corrente principale all’interno del governo. Qualche tempo dopo le dichiarazioni di Kuzu, un altro membro del Comitato e parlamentare dell’Akp, Dengir Mir Firat, ha affermato che nel 21° secolo era prematuro effettuare tali riforme, ma che forse nel 22° secolo i diritti delle persone Lgbt sarebbero stati tutelati. 12 L’idea che l’opinione pubblica non sia pronta a recepire tale cambiamento è stata espressa anche dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta per i diritti umani e parlamentare del Akp Mehmet Zafer Üskül, durante un incontro con Amnesty International avvenuto a febbraio 2011. 13 A fronte di tale resistenza al cambiamento, coloro che svolgono campagne per le riforme sono stati vittime di censura: Kürşad Kahramanoğlu, uno dei pochi giornalisti turchi a sostenere i diritti Lgbt, è stato incriminato per un articolo pubblicato sul quotidiano Birgün in cui affermava che “Burhan Kuzu è un politico del secolo scorso, non di questo”.14 Durante l’analisi dello stato dei diritti umani in Turchia effettuata nel corso dell’Esame periodico universale delle Nazioni Unite nel maggio 2010, le autorità turche hanno respinto diverse raccomandazioni provenienti da altri stati per l’adozione del principio della non discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, affermando invece che l’espressione “identità di genere” (poi rimossa) era stata inserita nella bozza della legge per la lotta alla discriminazione e per la parità.15 Nel dicembre 2010 la Turchia non ha voluto esprimere il proprio voto durante la storica adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, della risoluzione che condanna le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie e contiene un riferimento a quelle causate dall’orientamento sessuale delle vittime. 16 A sottolineare il fallimento a livello internazionale della Turchia nella tutela dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, vi è anche il mancato sostegno a un comunicato congiunto emesso nel marzo 2011 dalla Colombia, con l’appoggio di altri 85 stati, al Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, che chiedeva di porre fine agli atti di violenza e alle violazioni dei diritti umani causati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.17 NEGATE LE RIFORME PER I DIRITTI LGBT L’ostilità del governo è accompagnata dal suo fallimento nell’adottare misure per fornire protezione legale a lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Prima dell’introduzione del nuovo codice penale nel 2005, le richieste della società civile per le necessarie tutele dalla discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere furono respinte dal legislatore – a quanto sembra per espressa richiesta dell’allora ministro della Giustizia, Cemil Çiçek.18 Nel maggio 2010, il parlamento ha approvato modifiche costituzionali all’articolo 10 della Costituzione in materia di non 11 Hüseyin Özalp, “Gli omosessuali possono essere membri dell’Akp?”, in Sabah, 15 aprile 2003, citato in We need a law for liberation, Human Rights Watch, maggio 2008, disponibile su http://www.hrw.org/en/reports/2008/05/21/we-need-law-liberation 12 “Anayasanın eşitlik ilkesine cinsel yönelim eklensin”, 10 febbraio 2011, disponibile all’indirizzo http://www.farklihaber8.com/haber/tartisma/anayasanin-esitlik-ilkesine-cinsel-yonelim/2277.aspx 13 Intervista con i delegati di Amnesty International, 23 febbraio 2011. 14 A marzo 2011 era ancora in corso il procedimento penale per diffamazione avviato dopo una denuncia penale degli avvocati che rappresentano Burhan Kuzu. 15 La lista completa delle raccomandazioni è inserita nel rapporto del Gruppo di lavoro sull’Esame periodico universale sulla Turchia, adottato dalla 15° sessione del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, A/HRC/15/13/Add.1, disponibile su: http://daccess-ddsny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G10/160/66/PDF/G1016066.pdf?OpenElement 16 La risoluzione A/RES/65/208 ha condannato ogni tipo di esecuzione extragiudiziale, sommaria o arbitraria e ha chiesto che tutti gli stati si assicurino che tale pratica venga eliminata. La risoluzione è stata approvata con 122 voti a favore, 1 contrario e 62 astenuti. In precedenza, era stato adottato un emendamento presentato dagli Stati Uniti, che inseriva le parole “o a causa del loro orientamento sessuale” in un paragrafo. L’emendamento è stato approvato con 93 voti favorevoli, 55 contrari e 27 astenuti, e circa 16 delegati hanno preso la parola per spiegare la posizione del loro paese. Il testo della risoluzione si può trovare all’indirizzo: http://www.un.org/en/ga/65/resolutions.shtml 17 Il testo della dichiarazione è disponibile su http://www.iglhrc.org/binary-data/ATTACHMENT/file/000/000/491-1.pdf 18 L’articolo 122 del codice penale turco (legge n. 5237) stabilisce la responsabilità penale per la discriminazione. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 7 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza discriminazione, permettendo azioni positive nella lotta alla discriminazione. 19 Tuttavia, la possibilità di estendere la protezione ai motivi di orientamento sessuale e identità di genere non è stata portata avanti. Probabilmente, il fallimento più sciagurato del governo nel legiferare per la tutela dei diritti Lgbt riguarda la bozza della legge per la lotta alla discriminazione e per la parità. Redatta nel marzo 2011 anche grazie alla collaborazione delle organizzazioni della società civile turca, intendeva essere una legge onnicomprensiva contro la discriminazione. Essa proponeva la creazione di un’istituzione indipendente atta a garantire l’applicazione degli standard per la non discriminazione. Tuttavia, nella versione più recente della legge, così come è stata pubblicata sul sito del ministero dell’Interno a marzo 2011, la protezione dalla discriminazione sulla base dell’identità sessuale – formulata dagli estensori per ricomprendere l’identità di genere e l’orientamento sessuale – era stata eliminata.20 In questo modo, sembra essere stato respinto ancora una volta il più importante passo avanti verso il divieto di discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. APPLICAZIONE E INTERPRETAZIONE DISCRIMINATORIE DELLA LEGGE La legislazione turca non ha mai criminalizzato l’omosessualità, né richiesto una maggiore età per il consenso in caso di coppie di persone dello stesso sesso. 21 Tuttavia, le persone vengono regolarmente discriminate nei procedimenti giudiziari penali e civili a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Con l’eccezione dei requisiti per lo svolgimento del servizio militare22 (si veda p. 15, capitolo su violenza e discriminazione nelle forze armate), le norme del diritto interno non discriminano in modo esplicito le persone in base all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Ciò nonostante, numerose leggi, pur non essendo esplicitamente discriminatorie, sono applicate dalla magistratura in modo da discriminare in pratica le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Per fare un esempio in materia di occupazione, l’articolo 125 della legge sui dipendenti pubblici comprende una clausola che vieta un “comportamento immorale e disonorevole” che è stata utilizzata per licenziare dipendenti pubblici a causa del loro orientamento sessuale.23 In quanto tale, essa è un aspetto della pratica della discriminazione contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender nel mondo del lavoro (si veda p. 20, capitolo sulla discriminazione nel campo dell’occupazione). Anche il concetto di moralità è spesso applicato in modo discriminatorio. Nell’ambito del codice civile, tale concetto è stato spesso impiegato dai pubblici ministeri per chiedere la chiusura delle associazioni Lgbt (v. p. 24, capitolo sulla libertà di associazione). Anche la copertura delle tematiche Lgbt nei media e nella comunicazione è stata considerata una violazione delle norme sulla morale pubblica e l’oscenità. Nel 2006 tutte le copie di un numero della rivista prodotta 19 L’articolo 10 della Costituzione proibisce la discriminazione per motivi di “lingua, razza, colore, genere, opinioni politiche, credenze filosofiche, religione, confessione religiosa o motivi analoghi”. 20 L’articolo 3 della bozza in precedenza includeva la discriminazione motivata dall’identità sessuale, intesa a comprendere l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Nel marzo 2011 la bozza era disponibile sul sito web del ministero degli Interni, http://www.icisleri.gov.tr/default.icisleri_2.aspx?id=5692 21 La legge non fa menzione delle coppie dello stesso sesso ma si riferisce a uomini e donne. 22 L’articolo 10, h, 8 della legge sul servizio militare (n. 1520) prevede l’esonero per le persone ritenute inadatte al servizio militare ai sensi del Regolamento sulle capacità fisiche per servire nelle forze armate. L’articolo 17, D/4 cita i “disordini sessuali avanzati” nell’elenco delle malattie che rendono gli uomini inadatti a svolgere il servizio militare. 23 L’articolo 125 E/9 della legge sui dipendenti pubblici (n. 657) consente il licenziamento di persone trovate “ad agire in modo immorale e disonorevole, non compatibile con la posizione di dipendente pubblico”. Atti giudiziari esaminati da Amnesty International, con nomi occultati su richiesta delle persone interessate. Le decisioni hanno confermato il licenziamento di un agente di polizia e di un insegnante, rispettivamente dai tribunali amministrativi di Istanbul e Çorum. La destituzione dell’agente di polizia è stata confermata il 25 dicembre 2009 dall’ottava Corte amministrativa di Istanbul, mentre il caso dell’insegnante è ancora pendente in appello. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 8 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza dall’associazione Lgbt Kaos-Gl di Ankara sono state confiscate in base al fatto che le immagini erano oscene e violavano le regole del buoncostume. Kaos-Gl, che respinge le accuse, ha esaurito tutti i rimedi giuridici nazionali per ottenere giustizia e il caso è attualmente in esame presso la Corte europea dei diritti umani.24 A marzo 2011, il Consiglio supremo per la radio e la televisione (Rtük), l’agenzia di stato per la vigilanza, la regolamentazione e il sanzionamento delle trasmissioni radiofoniche e televisive, avrebbe ingiunto a un canale televisivo di scagionarsi dall’accusa di aver acquistato i diritti per trasmettere il film Sex and the City 2. Il Consiglio ha ritenuto che le scene del film che rappresentano il matrimonio gay “violavano i valori nazionali e spirituali e la struttura della famiglia turca”. Se riconosciuta colpevole, l’emittente potrà essere multata per almeno 10.000 lire turche (4.500 euro).25 Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender rischiano di essere discriminate anche nei procedimenti penali in cui compaiono come vittime di crimini violenti. Amnesty International ha raccolto numerosi casi in cui le informazioni sul processo non sono state condivise con la famiglia della vittima, come richiesto dalla legge. Gli autori dei reati a volte ottengono una riduzione della pena nei casi in cui affermano di aver commesso il reato a seguito di una “provocazione indebita”, termine con cui si sottintende che la vittima avrebbe suggerito o proposto rapporti sessuali (v. p. 29, capitolo sui crimini d’odio). Considerate le giustificazioni arbitrarie e discriminatorie rilevate nelle decisioni di alcuni giudici, di cui si sono citati sopra alcuni esempi, permane un rischio reale che lesbiche, gay, bisessuali e transgender vedano compromesso il proprio diritto alla giustizia, sia nel procedimento civile che in quello penale, quando il tribunale è a conoscenza del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Di fronte a tali pratiche – sia a livello locale che presso le corti d’appello – è chiaro che il diritto internazionale e gli standard in materia di non discriminazione non vengono applicati. L’asserzione del governo che l’articolo 90 della Costituzione – che stabilisce l’applicazione degli standard internazionali in caso di diritti e libertà fondamentali laddove vi sia conflitto con il diritto interno – sia un rimedio alle carenze della legislazione è totalmente viziata. Ciò si è dimostrato tristemente inadeguato a garantire la giustizia a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender.26 24 Kaos-Gl vs. Turchia, istanza n. 4982/07, decisione di ammissibilità del 19 giugno 2009. “Sex and the Rtük”, Hürriyet, 23 marzo 2011, http://www.hurriyet.com.tr/gundem/17346740.asp?gid=373 26 L’articolo 90/5 della Costituzione recita: “Gli accordi internazionali debitamente attivati hanno forza di legge. Per essi non si potrà adire alla Corte costituzionale con eccezioni di incostituzionalità. In caso di conflitto per diversità di disposizioni tra un accordo internazionale relativo ai diritti e alle libertà fondamentali debitamente attivato e il diritto interno, prevarranno le norme dell’accordo internazionale”. 25 Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 9 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza LA DISCRIMINAZIONE IN PRATICA Emarginate per l’assenza di tutela giuridica dalle discriminazioni e per l’impossibilità di accedere alla giustizia, le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender corrono un rischio maggiore di trattamento sfavorevole da parte dei funzionari statali. Questa circostanza, sommata alla predominanza di punti di vista omofobici e transfobici, scaturisce in una regolare, e in alcuni casi sistematica, serie di varie molestie da parte dei funzionari statali nei confronti di alcuni membri della comunità Lgbt. La frequente maggiore visibilità delle persone transgender rispetto a lesbiche, gay o bisessuali – che non hanno motivo di rendere evidente il proprio orientamento sessuale – fa sì che i funzionari pubblici trovino più occasioni per vessarle, soprattutto in termini di violenze e molestie da parte della polizia e nel non permettere loro di accedere ai servizi. I gay sono a rischio di violenza, compresa quella sessuale, all’interno delle forze armate. Lesbiche, gay, bisessuali e transgender richiedenti asilo o rifugiati si scontrano con problemi ancora diversi: data la loro maggiore dipendenza dagli aiuti statali, subiscono molteplici discriminazioni sia come persone bisognose di protezione, sia a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere, spesso isolati dalle reti di sostegno delle loro comunità nazionali. Le associazioni di solidarietà Lgbt che combattono questi abusi sono state oggetto di cause civili intentate dalle autorità allo scopo di chiuderle e di altri attacchi discriminatori al loro diritto alla libertà di espressione e di associazione. VIOLENZA DELLA POLIZIA “Ecco, accolgo la tua denuncia. Lamentati quanto vuoi, tanto non accadrà nulla.” Dichiarazione di un agente di polizia riferita da una transgender che cercava di denunciare alla stazione di polizia di Alsancak, İzmir, i maltrattamenti che aveva subito. Le donne transgender hanno una lunga storia di violenze perpetrate dalla polizia durante la custodia. È stato riferito ad Amnesty International che in molti casi gli agenti di polizia considerano come prostitute tutte le transgender che si trovano in luoghi pubblici e, in conseguenza, le ritengono bersagli legittimi per l’arresto, le molestie e, in alcuni casi, la violenza fisica. Le stazioni di polizia nella zona di Beyoğlu a Istanbul e in quella di Alsancak a İzmir sono particolarmente note per le torture e i maltrattamenti subiti dalle donne transgender fermate in strada dalla polizia. In un raro esempio di procedimento penale a seguito di tali abusi, un poliziotto, Süleyman Ulusoy, soprannominato Hortum Süleyman (Solimano il tubo di gomma) è stato incriminato per maltrattamenti ai danni di nove donne transgender durante il periodo in cui è stato capo della polizia a Beyoğlu tra il 1996 e il 1997. Tuttavia, il procedimento è stato interrotto prima della conclusione grazie a un’amnistia.27 In un sondaggio condotto nel 2010 dall’organizzazione Lgbt Lambdaistanbul, oltre l’89 per cento delle 104 donne transgender intervistate ha dichiarato di essere stata vittima di violenza fisica da parte della polizia durante la custodia. Le cifre relative alla violenza verbale sono ancora più alte, con il 97 per cento delle intervistate che dichiarano di esserne state vittime. Il 77 per cento delle intervistate ha dichiarato di aver subito violenza sessuale, mentre l’86 per cento ha dichiarato che la polizia si è rifiutata di registrare dati durante la detenzione.28 Queste percentuali corrispondono a quelli forniti ad Amnesty International. Quasi ogni donna transgender con cui Amnesty International ha parlato all’inizio del 2011 ha dichiarato che, nell’anno precedente, aveva subito violenze estreme – compresa la violenza sessuale – da parte di 27 Il giudizio definitivo sul caso fu sospeso durante il periodo di prescrizione ai sensi della Legge sul rilascio in libertà vigilata e la sospensione di casi e condanne per i reati commessi fino al 23 aprile 1999. Secondo l’articolo 4, per i reati punibili con la reclusione fino a 10 anni commessi prima del 23 aprile 1999, il caso o il giudizio definitivo devono essere sospesi. I documenti e le prove legate a detti reati sono trattenuti fino allo scadere della prescrizione. Nel caso in cui un reato simile o più grave venga commesso durante il periodo della prescrizione, il caso sospeso viene riaperto. Se ciò non accade, il caso viene archiviato. 28 İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity Association, p. 37. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 10 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza agenti nelle stazioni di polizia. Forse a causa della generale riduzione di episodi di tortura e altri maltrattamenti nelle stazioni di polizia – ma più significativamente grazie all’attivismo delle donne transgender che hanno pubblicizzato e fatto campagne contro la violenza della polizia con proteste di strada – negli ultimi anni i casi di maltrattamenti sono diminuiti drasticamente. Tuttavia, permangono i casi di maltrattamenti nei luoghi ufficiali di detenzione, mentre un numero ancor più grande sembra avvenire per strada e fuori dai luoghi ufficiali di detenzione. In molti casi le donne transgender hanno riferito ad Amnesty International di non aver denunciato la polizia perché temevano ripercussioni da parte degli agenti che avrebbero continuato a controllare la zona in cui esse vivevano. Molti dei casi di presunti maltrattamenti avvenuti in passato per i quali è stata presentata denuncia penale non sono stati indagati in modo efficace, mentre in altri casi gli agenti di polizia hanno presentato contro-denunce. È stato anche segnalato che il personale medico dell’ospedale Taksim di Beyoğlu a Istanbul si è, in alcune occasioni, rifiutato di documentare le ferite subite a seguito di violenze della polizia, contribuendo così ulteriormente all’impunità degli agenti responsabili.29 Un caso che illustra bene tale situazione è quello di cinque appartenenti a Pembe Hayat (Vita rosa), un’associazione di solidarietà Lgbt con sede ad Ankara, la cui auto è stato fermata dalla polizia mentre tornavano da manifestazione anti-omofobia il 17 maggio 2010 (si veda a p. 12 il caso Pembe Hayat). Un altro caso riguarda Hasret di İzmir. Ella ha riferito che agenti di polizia l’hanno arrestata e hanno tentato di portarla alla stazione di polizia Alsancak a İzmir. Quando ha chiesto perché la volevano arrestare, gli agenti sono divenuti violenti, picchiandola e costringendola ad andare alla stazione di polizia. Una volta arrivati, gli agenti hanno continuato a picchiarla. Sono stati segnalati ad Amnesty International altri 12 casi di presunti maltrattamenti commessi da agenti di polizia nella zona di Beyoğlu tra il 2007 e il 2009, per i quali è stata presentata denuncia ma non è stato avviato alcun procedimento contro i responsabili nonostante vi fossero prove forti e sufficienti. 29 Da molto tempo Amnesty International ha espresso preoccupazione sull’impossibilità, per le persone che denunciavano maltrattamenti da parte di agenti delle forze di polizia o di sicurezza, di ottenere assistenza medica e sulla mancanza di referti medici ufficiali accurati, fattori che contribuiscono all’impunità degli agenti responsabili di violazioni dei diritti umani. Si veda, per esempio, il documento Briefing to the Committee Against Torture, ottobre 2010, AI Index EUR 44/023/2010, disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/023/2010. Il documento non ha però preso in esame l’eventualità che le persone transgender siano ulteriormente discriminate a causa della loro identità di genere quando cercano di ottenere documentazione medica. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 11 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza PEMBE HAYAT Pembe Hayat (Vita Rosa) è una organizzazione a sostegno delle persone Lgbt con sede ad Ankara. Nell’ultimo anno vi sono stati due procedimenti penali ai danni di membri di Pembe Hayat a seguito di incidenti in cui era coinvolta la polizia. Il primo episodio ha avuto luogo ad Ankara la sera del 17 maggio 2010, quando la polizia fermò un’automobile con a bordo quattro membri di Pembe Hayat. Secondo un socio della sezione turca di Amnesty International giunto sul posto dopo che il gruppo era stato fermato, gli agenti chiesero ai quattro occupanti di scendere dal veicolo senza fornire una spiegazione. Gli attivisti si offrirono di consegnare le carte d’identità ma si rifiutarono di scendere dall’auto, al tempo stesso avvisando telefonicamente su quanto stava accadendo altri attivisti e sostenitori di Pembe Hayat. Circa 25-30 membri dell’organizzazione si presentarono sul posto e uno di essi salì in auto con gli altri. Secondo il socio di Amnesty International, la polizia imiegò una forza sproporzionata contro coloro che erano sopravvenuti, utilizzando spray al pepe e colpendoli con i manganelli. Egli ha descritto il modo in cui gli agenti spruzzarono lo spray al pepe anche nella vettura, costringendo i cinque attivisti transgender a uscire. Inoltre, è stato riferito che alcuni agenti della polizia tentarono di incitare i residenti locali a sporgere denuncia contro gli attivisti transgender. I cinque attivisti transgender presentarono denuncia contro gli agenti di polizia per il trattamento subito dopo essere stati presi in custodia presso la stazione di polizia di Esat. Secondo le informazioni ricevute, dopo il rilascio gli attivisti si recarono presso l’Istituto medico legale perché fossero documentate le ferite subite. La denuncia contro gli agenti è stata archiviata, mentre il pubblico ministero ha deciso di aprire un procedimento penale nei confronti degli attivisti per “resistenza a pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni”. Il caso è stato archiviato durante la prima udienza del processo, il 24 ottobre 2010. Un secondo procedimento contro tre attivisti di Pembe Hayat è stato avviato per “resistenza a pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni”, “ingiurie” e “danneggiamento di proprietà pubblica” a seguito di un episodio avvenuto il 19 giugno 2010. Secondo Pembe Hayat, l’incidente si è verificato quando tre membri dell’associazione, due dei quali erano tra quelli incriminati nel caso precedente, si trovavano in un’auto in via Bağlar, ad Ankara, quando furono avvicinati da due agenti di polizia. Nell’incriminazione si sostiene che gli attivisti cercarono di allontanarsi, che opposero resistenza all’atto di salire su un veicolo della polizia, che uno di loro insultò gli agenti e che un altro colpì la mano di un agente di polizia, facendogli cadere a terra la ricetrasmittente, che si danneggiò. Gli attivisti negano le accuse e hanno presentato contro gli agenti di polizia una denuncia per maltrattamenti che è stata archiviata. A marzo 2011, il processo contro gli attivisti era ancora in corso. Se condannati, essi rischiano da sei mesi a tre anni di reclusione. APPLICAZIONE ARBITRARIA DI MULTE L’emissione di contravvenzioni da parte degli agenti di polizia che utilizzano sia la legge per reati minori, sia quella sulla circolazione è divenuta il metodo principale per molestare le donne transgender.30 L’applicazione indiscriminata e arbitraria di queste leggi per multare per “intralcio al traffico” o “disturbo delle quiete pubblica” costituisce una punizione inferta a una persona sulla base della sua identità sessuale. Alcune transgender hanno riferito ad Amnesty International di essere state multate dopo essere state fermate mentre camminavano per strada per fare commissioni quotidiane, come fare la spesa o andare dal parrucchiere. Amnesty International ha potuto esaminare documenti ufficiali sulle contravvenzioni emesse a Istanbul, Ankara e İzmir che provano un’ampia diffusione di tale abuso del diritto. Un documento interno emesso da un’autorità di polizia di quartiere a İzmir nel 2006, vagliato da Amnesty International, autorizza gli agenti di 30 La legge sui reati minori (n. 5326) è impiegata per spiccare contravvenzioni per disturbo della quiete pubblica o per interruzione della circolazione; la legge sulla circolazione stradale (n. 2918) è utilizzata per multare (in questo caso i pedoni) per interruzione della circolazione. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 12 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza polizia a fermare e perquisire qualsiasi “travestito” visto per strada senza bisogno che vi siano indizi di un reato, il che indica una sistematica pratica vessatoria. Il documento individua le strategie da adottare “nel contesto del nostro lavoro per prevenire i disagi causati da persone identificate come travestiti”. E continua: “Grazie alla nostra recente attività, l’area è stata ‘ripulita’ da queste persone, ma i travestiti, le donne che si prostituiscono, gli sniffatori di colla e gli ‘psicopatici’ sono ancora presenti nella zona”. Il documento autorizza le unità di polizia a fermare e perquisire tutti i “travestiti”, le prostitute, gli sniffatori di colla, i senzatetto e gli “psicopatici” prima di prenderli in custodia come richiesto. Gli attivisti hanno dichiarato ad Amnesty International che le contravvenzioni venivano sistematicamente emesse quando erano le donne transgender a essere fermate e trattenute in custodia. Gli attivisti di İzmir hanno dichiarato ad Amnesty International che il documento è stato usato per giustificare il blocco e l’imposizione del coprifuoco in una strada del quartiere abitata da alcune donne transgender e che la pratica di fermare e multare sistematicamente le transgender in modo arbitrario è ancora in uso. Gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International che i tentativi da parte delle transgender di far valere i propri diritti, come per esempio chiedere le ragioni del fermo, hanno avuto come conseguenza maltrattamenti e in alcune occasioni, l’incriminazione penale (v. p. 10, capitolo sulla violenza della polizia e p. 12, caso di Pembe Hayat). La frequenza e l’entità delle contravvenzioni inflitte sono variabili. Solitamente sono sanzioni da 69 lire turche (30 euro). È stato riferito ad Amnesty International che era molto comune l’emissione di più multe nello stesso giorno e che le transgender erano particolarmente a rischio di essere multate nei quartieri esclusivi delle città o in quelli dove non vivono abitualmente. Amnesty International ha esaminato più di 40 documenti che registravano le contravvenzioni spiccate contro una sola persona a Istanbul nel 2008-2009 secondo la legge sulla circolazione stradale per un importo totale pari a migliaia di lire turche. Un’altra transgender ha mostrato ad Amnesty International un documento che le intimava di versare al fisco più di 300 lire turche (140 euro). Molte transgender hanno raccontato ad Amnesty International che il rischio costante di essere multate e l’onere finanziario costituito dalle ammende per chi, come loro, ha spesso redditi molto bassi, genera la paura di recarsi in alcune zone della città e le fa sentire intrappolate nella zona in cui abitano, il che costituisce un grave limite al loro diritto alla libertà di movimento. I tentativi degli avvocati di contestare le multe in tribunale hanno ottenuto risultati contrastanti. In alcuni casi le sanzioni sono state annullate – in quanto non vi erano elementi di prova a sostegno – mentre in altri i giudici hanno respinto le richieste di annullamento, basandosi sulla versione ufficiale della polizia. Molte transgender hanno riferito ad Amnesty International di essere state multate con una frequenza tale che non hanno contestato le contravvenzioni, né le hanno pagate. I debiti risultanti le rendono a rischio di processi per mancato pagamento, reato per il quale possono essere applicate pene detentive. I debiti, inoltre, complicano molto la quotidianità delle transgender che, per esempio, non possono prendere la residenza per paura che arrivino gli ufficiali giudiziari, né aprire un conto corrente bancario o acquistare oggetti a credito. EBRU ED ELÇİN DI ISTANBUL Ebru ed Elçin, entrambe residenti nel quartiere di Tarlabaşı, nel centro di Istanbul, hanno raccontato ad Amnesty International delle vessazioni, violenze e intimidazioni che hanno subito in qualità di donne transgender sia da parte delle autorità statali che dei loro clienti. Ebru, che ora ha 52 anni, vive a Tarlabaşı da 36 anni. Elçin, 24 anni, è di Istanbul e vive a Tarlabaşı da cinque anni. Secondo Ebru, rispetto agli anni passati il livello di violenza contro le donne transessuali a Istanbul si è ridotto. Ha dichiarato che fino a quattro anni fa era comune per le transgender essere prelevate per strada e maltrattate alla stazione di polizia di Beyoğlu. Lei stessa è stata maltrattata alla stazione di polizia e costretta a compiere atti sessuali con alcuni agenti in numerose occasioni. Ebru ha raccontato che ultimamente gli agenti di polizia di Tarlabaşı maltrattano le Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 13 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza transgender al di fuori dei luoghi ufficiali di detenzione, per esempio durante il trasporto nelle auto della polizia, oppure emettono sanzioni amministrative punitive utilizzando norme previste dalla legge sui reati minori o sulla circolazione stradale. Ebru ha riferito di un episodio avvenuto nel mese di luglio o agosto 2010. Stava camminando sul marciapiede vicino alla strada principale alla periferia di Tarlabaşı con un’altra transgender, quando un veicolo della polizia con tre agenti in uniforme si fermò accanto a loro. Gli agenti intimarono loro di salire sull’automobile. Una volta salite, gli agenti di polizia iniziarono a insultarle chiamandole “froci” e “debosciati”, prendendole a schiaffi e picchiandole con i manganelli. Nel frattempo, continuarono a guidare l’automobile fino a raggiungere il quartiere Okmeydanı di Istanbul, dove le lasciarono sull’autostrada. Ebru ha raccontato ad Amnesty International di non aver denunciato i maltrattamenti subiti perché non credeva che ci sarebbero state indagini, né che gli agenti sarebbero stati puniti. Elçin ha raccontato ad Amnesty International che nel dicembre 2010, intorno alle 3 del mattino, camminava lungo in una strada secondaria a Tarlabaşı quando cinque o sei uomini in abiti civili – ma che sapeva essere agenti di polizia – le si avvicinarono. Le urlarono oscenamente “‘vai a farti f..., frocio, che stai facendo qui, ti stai facendo f… nel c…, vai al diavolo, figlio di p…” e così via. Ha dichiarato che la minacciarono anche di violenza, agitando alcuni bastoni, prima di picchiarla per strada, colpendola con pugni e calci. Elçin si recò in ospedale per una perizia medica al fine di sporgere denuncia, ma nonostante le radiografie e le prove di reali danni fisici, le fu detto che il referto medico le sarebbe stato consegnato se ritornava in ospedale accompagnata da agenti di polizia. Elçin ha anche riferito ad Amnesty International di aver subito, la settimana precedente, un’altra aggressione violenta. Ha raccontato di essere stata caricata su un’automobile da tre clienti su viale Tarlabaşı e portata in uno spazio aperto nel quartiere di Beykoz, nella parte asiatica di Istanbul, dove sono stati raggiunti da altri quattro uomini, conoscenti di quelli che erano in auto. Elçin ha dichiarato che uno degli uomini l’ha colpita con un telefono cellulare e l’ha violentata prima di rubarle 200 lire turche che aveva con sé, lasciandola poi sul margine della strada. Nel riferire questo episodio ai delegati di Amnesty International, Elçin ha mostrato il taglio accanto alla bocca rimastole dove il telefono cellulare l’aveva colpita. Ha anche detto che non ha nemmeno pensato a sporgere denuncia perché tali violenze sono routine e la polizia non è interessata a indagare neppure quando vi sono forti prove del crimine e se ne conoscono i responsabili. Sia Elçin che Ebru hanno raccontato ad Amnesty International di essere continuamente sottoposte a contravvenzioni arbitrarie, secondo la legge sui reati minori e sul traffico, da parte di agenti di polizia che le prelevavano dalla strada per portarle alla stazione di polizia di Beyoğlu, dove le multano per disturbo della quiete pubblica o intralcio al traffico semplicemente per il fatto che sono transgender e, in quanto tali, presumibilmente prostitute. Elçin ha dichiarato di avere 200 o 300 lire turche (90 o 140 euro) di multe non pagate e di temere che sia intentata una causa nei suoi confronti, che potrebbe condurre alla detenzione per mancato pagamento. Sia lei che Ebru hanno dichiarato di essere state multate mentre camminavano per le strade di Tarlabaşı e che gli agenti di polizia hanno spesso indicato nei verbali luoghi diversi da quelli in cui le avevano effettivamente fermate. Ebru ha mostrato ad Amnesty Internazionali 19 multe inflittele dagli agenti di polizia. Una di queste era stata emessa mentre usciva da un negozio di parrucchiere e un’altra per intralcio al traffico dopo che era stata fermata a İstiklal Caddesi (una strada pedonale nel centro di Istanbul), anche se il verbale sosteneva che stava camminando a Tarlabaşı. Nonostante le molestie e la violenza perpetrata dagli agenti di polizia nella zona, sia Elçin che Ebru hanno dichiarato che Tarlabaşı è l’unico quartiere di Istanbul in cui possono vivere. Elçin ha raccontato di aver vissuto in un quartiere nella parte asiatica di Istanbul, ma che la polizia le aveva reso la vita impossibile, facendo irruzioni in casa sua e dicendole che non era la benvenuta in quella zona. Di conseguenza si è trasferita a Tarlabaşı. Ebru ha raccontato che la presenza di una comunità di donne transgender nella zona che si sono organizzate per protestare contro le vessazioni della polizia, le fa sentire più forti e sicure che altrove. Entrambe hanno dichiarato ad Amnesty International che rischiano di essere sfrattate a causa del progetto di “riqualificazione urbana” della zona e ciò significherebbe per loro meno sicurezza e maggiore vulnerabilità agli abusi (v. p. 19, capitolo sul progetto di riqualificazione urbana di Tarlabaşı). Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 14 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza ABUSI SUI GAY NELLE FORZE ARMATE In Turchia il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini di età compresa tra i 19 e i 40 anni e ha una durata di 15 mesi. Non è prevista alcuna forma di servizio alternativo civile. 31 La Turchia rifiuta di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza, in aperta violazione degli standard internazionali sui diritti umani.32 I gay intervistati da Amnesty International nei primi mesi del 2011 hanno affermato di aver subito minacce e abusi da parte di superiori e commilitoni e, in alcuni casi, di aver subito violenze omofobiche da parte dei soldati a causa del loro orientamento sessuale. Hanno dichiarato ad Amnesty International che la conoscenza di tali abusi o la consapevolezza che in quanto gay erano a rischio di abusi omofobici hanno indotto molti a eludere il servizio militare, rischiando sanzioni penali, o a richiedere l’esonero per via del loro orientamento sessuale. Secondo le attuali normative, i gay sono esonerati dal prestare il servizio militare perché l’omosessualità è considerata un “disordine psicosessuale” e, in conseguenza di questa “condizione”, essi sono “inadatti al servizio”. Questa disposizione, discriminatoria di per sé, viola gli standard sui diritti umani.33 Inoltre, al fine di ottenere l’esonero, gli uomini sono tenuti a “provare” la loro omosessualità. Tale prova può consistere nell’obbligo di una visita anale, che può violare la proibizione di tortura e di altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti, o nel fornire prove fotografiche di rapporti omosessuali, il che viola il diritto alla privacy. I gay che scelgono di non passare attraverso questo processo umiliante o quelli a cui non viene concesso l’esonero rischiano di subire minacce, umiliazioni e violenze durante il servizio militare. MINACCE, ABUSI E ISOLAMENTO I gay che hanno raccontato la loro esperienza durante il servizio militare oscillano tra coloro che sono riusciti a nascondere la propria identità e quindi a non subire maltrattamenti, a coloro che sono stati oggetto di abusi e minacce di violenza per tutta la durata del servizio. Ad Amnesty International sono stati segnalati molti casi di gay tenuti in isolamento dai comandanti a causa di una dichiarata minaccia alla loro sicurezza (v. p. 15, il caso di Asil di İzmir). Altri hanno raccontato ad Amnesty International che, oltre al resto, sono stati obbligati a fare i lavori più sporchi o meno piacevoli come punizione de facto per il loro orientamento sessuale. Altri ancora hanno rivelato di aver subito insulti omofobici o minacce di violenza. È stato segnalato ad Amnesty International che, come nel caso di soldati identificati come curdi o di sinistra, quelli ritenuti gay rischiavano di subire violenze da parte dei superiori o dei commilitoni. I gay hanno anche dichiarato di aver temuto di 31 Alla data di marzo 2011, i regolamenti consentono riduzioni al periodo di 15 mesi per laureati e persone maggiori di 30 anni di età, dietro pagamento di una somma sostitutiva. 32 Il diritto di rifiutarsi di svolgere il servizio militare per motivi di coscienza è insito nel concetto di libertà di pensiero, coscienza e religione così come dettato da numerosi strumenti internazionali di tutela dei diritti umani, tra cui la Dichiarazione universale dei diritti umani e il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) di cui la Turchia è stato parte. Fin dal 1998, con la risoluzione 1998/77, la Commissione delle Nazioni unite per i diritti umani ha affermato che il diritto alla obiezione di coscienza al servizio militare è tutelato dall’articolo 18 dell’Iccpr (che tratta del diritto alla libertà di religione, coscienza e opinione): “Il diritto di ognuno a esercitare l’obiezione di coscienza al servizio militare [costituisce] un legittimo esercizio del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione come sancita dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani e dall’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici”. Nella risoluzione, il Comitato ha anche reiterato la richiesta agli stati di “fornire agli obiettori di coscienza varie forme di servizio alternativo che siano compatibili con le motivazioni alla base dell’obiezione di coscienza, di carattere non belligerante o civile, nell’interesse pubblico e non di natura punitiva” e ha enfatizzato che gli stati devono “astenersi dal sottoporre gli obiettori di coscienza alla reclusione e a ripetute punizioni per non voler svolgere il servizio militare”, ricordando “che nessuno dovrà essere passibile di punizioni o punito nuovamente per un reato per il quale sia già stato definitivamente condannato o assolto ai sensi del diritto e della procedura penale di ogni paese”. Il 3 novembre 2006, il Comitato per i diritti umani ha stabilito che la Repubblica di Corea, con l’incriminazione e la condanna di due obiettori di coscienza che si erano rifiutati di svolgere il servizio militare, aveva violato l’art. 18 dell’Iccpr, poiché lo stato non aveva previsto un servizio civile alternativo (Comunicazioni n. 1321/2004 e 1322/2004). 33 La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l’interdizione dei gay dal servizio nelle forze armate viola l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani (Diritto al rispetto della vita privata e familiare). Si veda, per esempio, il caso Lustig-Prean e Beckett vs. Regno Unito, giudizio del 27 settembre 1999, istanze n. 31417/96 e 32377/96. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 15 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza subire – o di essere stati minacciati di – stupri o altre forme di violenza sessuale da parte dei commilitoni. “INADATTO AL SERVIZIO MILITARE” Per la valutazione dell’eventuale esonero dal servizio militare, le forze armate turche adottano il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm), documento riconosciuto a livello internazionale. Tuttavia, esse usano l’edizione del 1968 (Dsm II), che definisce l’omosessualità come un disturbo psicosessuale e ritiene “inadatti a servire” le persone affette da tale “condizione”. Al contrario, la comunità medica utilizza il Dsm IV, che risale al 2000 e non considera l’omosessualità un disturbo mentale. Per quanto riguarda le “prove” necessarie a sostenere l’esonero, Amnesty International ritiene che l’orientamento sessuale non possa essere determinato da un esame fisico o dalla visione di fotografie di atti sessuali. L’organizzazione ritiene, inoltre, contrario alla deontologia professionale che un medico effettui un esame invasivo senza il consenso del paziente e senza un motivo inoppugnabile (per esempio, in caso di grave pericolo per il paziente o per altri). Amnesty International ritiene che tale esame sia una violazione del divieto di tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Per di più, i genitori di gay che chiedono l’esonero dal servizio militare possono essere chiamati a testimoniare a sostegno di tale richiesta – circostanza insostenibile per i molti gay che non hanno rivelato il proprio orientamento sessuale alle famiglie. Una volta concesso l’esonero, le autorità locali vengono informate della decisione. Se l’uomo proviene da un paese o da una piccola città dove è facile che sia noto ai funzionari pubblici, può succedere che i dettagli del suo rifiuto del servizio militare o del suo orientamento sessuale siano resi pubblici – ponendolo così a rischio di abusi o violenze omofobiche. Nei colloqui di lavoro, inoltre, è abitualmente richiesto il certificato di congedo dal servizio militare. Quando al suo posto è stato presentato il certificato di esonero, le offerte di lavoro sono state ritirate (v. p. 20, capitolo sull’occupazione). I gay che richiedono l’esonero non hanno la certezza di ottenerlo. Amnesty International ha intervistato alcuni gay a cui è stato negato: il solo fatto di averlo richiesto è rimasto nel loro fascicolo e, in conseguenza, è aumentato il loro rischio di subire violenze (v. più avanti, il caso di Asil di İzmir). Un altro uomo ha dichiarato ad Amnesty International che l’esonero gli è stato rifiutato ed è stato costretto a prestare il servizio militare. A causa delle minacce ricevute è fuggito dall’esercito e ora, se fosse fermato, rischia l’arresto, il processo e la detenzione per diserzione. 34 ASİL DI İZMIR Asil ha raccontato ad Amnesty International i problemi che ha vissuto come gay durante il servizio militare obbligatorio. Ha riferito di essere stato sottoposto ad abusi verbali, isolamento, minacce di violenza e esami medici umilianti e discriminatori nel tentativo di ottenere l’esonero dal servizio militare. Inizialmente, gli è stato rifiutato ma, dopo l’arruolamento, è riuscito a ottenerlo grazie all’appoggio della sua famiglia in base al fatto che il suo orientamento sessuale rappresentava un “disturbo psicosessuale”. Asil ha raccontato ad Amnesty International che sapeva dell’esistenza dell’esonero dal servizio militare per i gay e che, dopo aver ricevuto la cartolina di precetto, dichiarò di essere gay e di non voler svolgere il servizio militare. Venne quindi mandato da uno psichiatra. Tuttavia, fu giudicato idoneo al servizio militare. In conseguenza, le autorità militari responsabili per la sua ammissione rifiutarono la sua richiesta di esonero, dicendogli “Tu sei un sano uomo turco, presterai il tuo servizio militare”. 34 L’articolo 66/1 del codice penale militare (n. 1632) prevede la reclusione da uno a tre anni per il reato di diserzione. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 16 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Asil, ventunenne senza istruzione universitaria, è stato costretto a svolgere 15 mesi di servizio militare. Ha dichiarato ad Amnesty International che il primo mese lo trascorse in addestramento a İzmir. Durante questo periodo tenne nascosto il suo orientamento sessuale per timore di conseguenze negative. La situazione cambiò quando, finito il mese di addestramento, fu trasferito in Tracia presso l’unità a cui era stato destinato per svolgere il resto del servizio. Egli ha dichiarato ad Amnesty International che, mentre la prima settimana trascorse senza incidenti, successivamente i commilitoni iniziarono a insultarlo con linguaggio omofobico, chiamandolo “checca” o “frocio”. Asil ha detto che si sentiva minacciato ma riteneva che non si potesse fare nulla per evitarlo. All’incirca nello stesso periodo, fu convocato dall’ufficiale responsabile della base militare. Questi gli domandò se vi fosse qualcosa che Asil volesse spiegargli. Asil ha riferito ad Amnesty International che gli parve evidente che il comandante sapesse dal suo fascicolo che aveva tentato di essere esentato dal servizio militare in quanto gay, ma che non poteva dire se gli insulti omofobici dei commilitoni fossero dovuti alla circolazione di tali informazioni o se percepissero la sua omosessualità per qualche altra ragione. Asil spiegò all’ufficiale che voleva l’esonero dal servizio militare ma che gli era stato negato. Il comandante rispose che sarebbe stato molto difficile per Asil completare il servizio militare a causa del comportamento dei suoi commilitoni e che qualcosa doveva essere fatto. Quindi inviò Asil in un ospedale militare per fare ulteriori accertamenti. Recatosi in ospedale, Asil notò che lo psichiatra sembrava considerare i gay e le prostitute come un tutt’uno, chiedendogli se si era prostituito e fosse stato, in conseguenza, schedato dalla polizia. Lo psichiatra disse ad Asil che gli servivano prove per dimostrare il fatto che era gay e che ciò poteva avvenire se fosse stato sorpreso ad avere rapporti sessuali con qualcuno nelle forze armate, anche se ciò gli avrebbe procurato una pena detentiva, oppure se fosse stato in grado di “documentare” il suo orientamento sessuale. Asil protestò affermando che non voleva fare nulla di tutto questo per ottenere l’esonero e tornò alla sua unità senza ulteriori discussioni. Quando si ripresentò dal comandante, questi gli disse che gli concedeva una settimana di tempo per valutare le sue possibilità. Asil ha dichiarato ad Amnesty International che essere inviato in ospedale, invece di ridurre la pressione che subiva, peggiorò la situazione perché ora tutti sembravano sapere che stava cercando di essere esonerato perché gay e che era stato mandato in un ospedale militare. Asil ha raccontato che i commilitoni minacciarono di aggredirlo e che temeva di essere stuprato. In conseguenza delle minacce, il comandante lo separò dagli altri mettendolo in isolamento, chiuso in una camerata e senza il permesso di allontanarsi in nessun momento della notte o del giorno. Rimase in isolamento per una settimana prima che il comandante lo incontrasse di nuovo e, a quel punto, gli comunicò di essere in grado di ottenere delle prove. A questo scopo, il comandante gli concesse una settimana di licenza. Asil disse al comandante che pensava di tornare a casa per consultare un’associazione Lgbt con cui era in contatto perché rilasciasse una dichiarazione a suo nome e che poteva recuperare da casa sua la copia di un articolo apparso su una rivista gay riguardante lui e alcuni suoi amici. Disse anche di essere pronto a fornire fotografie in cui stava compiendo atti sessuali se era quello che serviva per essere esentato dal servizio militare. Durante il periodo trascorso in licenza, Asil contattò anche attivisti in grado di consigliarlo sulla procedura migliore da seguire, che presero anche contatti in suo nome con l’unità dell’esercito. Asil ha affermato che, quando tornò in caserma dopo la settimana di licenza, l’intervento esterno aveva avuto l’effetto di migliorare il comportamento del comandante nei suoi confronti e che non fu più stato messo in isolamento ma in un dormitorio con commilitoni che erano stati avvisati di non fargli del male. Anche il nuovo rinvio all’ospedale militare locale fu accelerato. Asil ha riferito ad Amnesty International che, dopo essere stato rimandato all’ospedale, gli rilasciarono un documento in cui si affermava che aveva “rapporti sessuali perversi con gli uomini”. In conseguenza, fu trasferito presso un altro ospedale militare a Istanbul. Asil ha raccolto la documentazione richiesta ma, soprattutto, è stato in grado di contare sul sostegno della sua famiglia. Alla madre venne richiesto di confermare che il figlio fosse gay. Dopo questa dichiarazione, un consiglio di medici lo dichiarò “non idoneo a svolgere il servizio militare” a causa del suo “disturbo psicosessuale”. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 17 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza ACCESSO ALLA CASA E AL LAVORO Le leggi nazionali vietano la discriminazione nel commercio o nella prestazione di servizi, ma l’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono tra i motivi che garantiscono tale protezione.35 Sommata alla prassi dei funzionari statali di molestare le persone per il loro presunto orientamento sessuale o identità di genere, la mancanza di tutela ha causato l’impossibilità di accedere ai servizi pubblici in generale. Inoltre, essa impedisce l’accesso all’alloggio e al lavoro, in violazione degli obblighi della Turchia in quanto stato parte delle convenzioni internazionali in materia.36 Come accade in altre aree, la maggiore visibilità delle persone transgender implica che in molti casi esse siano più vulnerabili alla discriminazione. Tuttavia, anche lesbiche, gay e bisessuali hanno regolarmente riferito di aver subito discriminazioni. ACCESSO ALL’ALLOGGIO Le donne transgender hanno subito una lunga serie di tentativi da parte delle autorità per allontanarle dalle proprie case. Esse hanno ripetutamente riferito ad Amnesty International che la polizia le molesta se abitano in quartieri lussuosi, che ritengono inadatti a “persone indesiderabili” come loro. In altri casi, nei quartieri in cui le transgender si sono unite alla ricerca di maggiore sicurezza, solidarietà e sostegno che possono darsi l’un l’altra, la polizia ha specificamente preso di mira tali comunità. A Istanbul, per esempio, la città turca con il maggior numero di transgender, successive operazioni della polizia per “ripulire” i quartieri le hanno costrette ad abbandonare particolari zone. In molti casi, le transgender costrette a lasciare le proprie abitazioni erano giunte a Istanbul a causa della transfobia dei paesi e delle città da cui provenivano, che impediva loro di risiedervi. L’episodio più noto, avvenuto prima della conferenza delle Nazioni unite Habitat II tenutasi a Istanbul nel 1996, ha visto donne transgender picchiate nelle proprie case e poi arrestate allo scopo di cacciarle da Ülker Sokak a Cihangir, in cui molte risiedevano.37 Le donne transgender hanno ripetutamente descritto ad Amnesty International come siano state costrette a vivere in una zona della città e come, se risiedevano in altri quartieri, fossero vittime di continue irruzioni da parte della polizia che rendevano loro la vita impossibile (v., per esempio, il caso di Elçin e Ebru di Istanbul, p. 13). A Istanbul, le transgender hanno riferito ad Amnesty International che potevano vivere tranquillamente solo nel quartiere centrale di Tarlabaşı, mentre a İzmir una piccola area di Alsancak e il quartiere Halil Rıfat Paşa sono stati segnalati per essere le uniche zone dove le transgender possono vivere senza che le loro case vengano costantemente perquisite dalla polizia. Tutte le transgender che Amnesty International ha intervistato hanno riferito che, per affittare una casa, è necessario che una persona non transgender firmi il contratto perché nella maggior parte dei casi i proprietari si rifiutano di trattare direttamente con loro. Ciò nonostante, le transgender hanno raccontato che anche in queste aree rischiano la perquisizione delle loro case da parte della polizia, motivata dal fatto che gli appartamenti sarebbero usati per praticare la prostituzione. Le transgender hanno riferito ad Amnesty International che, poiché la polizia le considera tutte prostitute, anche coloro che non si prostituiscono o coloro che esercitano 35 L’articolo 122 del codice penale vieta la discriminazione fondata su lingua, razza, colore, genere, disabilità, opinione politica, credenze filosofiche, religione, confessione o altri motivi, in determinate circostanze, tra cui acquisto, vendita o trasferimento di proprietà, fornitura o utilizzo di servizi e nel campo del lavoro. 36 Per esempio, il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali, nel suo Commento generale n. 20, afferma esplicitamente che la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere deve essere vietata ai sensi del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Il paragrafo 32 del Commento generale recita: “L’‘altra condizione’ così come riconosciuta dall’articolo 2, paragrafo 2, comprende l’orientamento sessuale”. Gli stati membri devono garantire che l’orientamento sessuale di un individuo non sia un ostacolo per il godimento dei diritti riconosciuti dal Patto, per esempio, nell’accesso alla pensione di reversibilità. Inoltre, l’identità di genere è riconosciuta tra i motivi proibiti di discriminazione; per esempio, le persone transgender, transessuali o intersex spesso subiscono gravi violazioni dei diritti umani, come le molestie a scuola o sul luogo di lavoro. 37 Başaran, Y (1996), “Ülker Sokak Sakinleri ve Travestiler”, Kaos-Gl Journal, 27. Disponibile all’indirizzo: www.kaosgl.com/resim/Dergi/PDF/KaosGLD27.pdf Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 18 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza la prostituzione lontano da casa rischiano comunque le perquisizioni. Esse hanno anche riferito che la polizia aveva fabbricato prove per dimostrare che le case erano utilizzate come bordelli. Inoltre, hanno ampiamente riportato che, a seguito delle irruzioni della polizia, venivano emesse ordinanze che vietavano l’ingresso in casa per periodi di tre o, in casi eccezionali, sei mesi. Attivisti di İzmir hanno riferito che la polizia fatto irruzione nelle abitazioni di alcune attiviste transgender di spicco e ha detto loro “Se continuate così, non vi lasceremo vivere in questo posto” (v. p. 24, capitolo sulle minacce alla libertà di associazione). IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI TARLABAŞİ Nel quartiere Tarlabaşı di Istanbul, le transgender vivono una nuova minaccia. In questo quartiere, probabilmente l’unico in città dove le transgender possono vivere relativamente tranquille, esse – insieme ad altri residenti – rischiano lo sfratto a causa di un progetto di riqualificazione urbana. Secondo il progetto, sponsorizzato dallo stato, i molti edifici storici della zona verranno ristrutturati e gli altri demoliti per far posto a immobili di pregio.38 In conseguenza, le persone che attualmente vivono nel quartiere rischiano lo sfratto, incluse, tra gli altri, le transgender che vivono nella zona da molti anni e altre categorie vulnerabili come i rom e la minoranza curda che si è stabilita nel quartiere dopo essere stata sfollata dai propri villaggi nel sudest della Turchia durante gli anni Novanta. Amnesty International ha appreso che più di 100 donne transgender vivono attualmente nel quartiere e sono a rischio di sfratto. Quelle che sono proprietarie della casa in cui abitano sono state in qualche misura consultate ed è stato loro offerto un indennizzo per la perdita della proprietà.39 Tuttavia, la stragrande maggioranza delle donne transgender, così come altri che vivono nella zona, affittano un appartamento e dipendono, per la loro sopravvivenza, dai prezzi abbordabili e dalla vicinanza con Beyoğlu. Non essendo proprietarie delle case, non hanno ricevuto alternative allo sfratto, non sono state consultate e non è stata loro fornita alcuna informazione su eventuali sistemazioni alternative, né una qualsiasi forma di risarcimento. Una delle persone a rischio di sfratto è Özge, una transgender che vive a Tarlabaşı da dieci anni: ha raccontato ad Amnesty International di come non sia stata contattata né dalle autorità locali né dalla società privata incaricata della realizzazione del progetto. Insieme ad altri inquilini che hanno parlato con Amnesty International, Özge ha riferito che le autorità hanno fornito informazioni soltanto ai proprietari, mentre l’unica comunicazione ufficiale agli affittuari è giunta dalle autorità nel momento in cui l’immobile era stato venduto ed era stato emesso l’ordine di sfratto, che li obbligava a lasciare le case entro quindici giorni. Özge ha raccontato ad Amnesty International che nessun indennizzo è stato pagato agli affittuari e che non è stata offerta loro alcuna sistemazione adeguata.40 Pur non essendo stati contattati dalle autorità, Özge ha detto che le sistemazioni alternative che l’Amministrazione per lo sviluppo immobiliare della Turchia (Toki) avrebbe potuto offrire loro a Kayabaşı erano assolutamente irrealistiche per le transgender di Tarlabaşı: troppo costose e a più di tre ore di distanza con i mezzi pubblici dal luogo in cui lavorano. Come altri affittuari di Tarlabaşı, Özge ha dichiarato che il costo dei trasporti pubblici renderebbe loro impossibile continuare a lavorare come prima. Amnesty International è preoccupata che le transgender, così come gli altri affittuari dell’area inclusa nel progetto di riqualificazione urbana di Tarlabaşı, non siano stati adeguatamente consultati, né siano stati forniti loro risarcimenti o sistemazioni abitative alternative. 38 Secondo una decisione del Consiglio dei ministri (n. 2006/10172, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 28 marzo 2006), a Tarlabaşı, insieme a diverse altre zone all’interno del distretto di Beyoğlu, è stato concesso lo stato di “area di riqualificazione” e alle autorità locali sono stati conferiti poteri speciali per ottenere il possesso degli edifici. 39 I proprietari di case all’interno dell’area progettuale hanno anche dichiarato ad Amnesty International di non essere stati consultati in modo adeguato in merito al possesso delle loro case, di essere stati sottoposti a coercizione perché lasciassero le loro abitazioni e che il livello di indennizzo o le sistemazioni alternative loro offerte erano iniqui. 40 Amnesty International ha chiesto di incontrare le autorità del distretto di Beyoğlu, che tuttavia si sono rifiutate asserendo di non essere disponibili nel periodo di permanenza in Turchia dei delegati di AI. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 19 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza OCCUPAZIONE “Se lo scoprissero, metteresti in imbarazzo i clienti” Un gay si è sentito rivelare la ragione per cui non è stato assunto. Come in altri settori del diritto, la discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere non è vietata dalla legge per l’occupazione. 41 Quando i tribunali hanno esaminato casi in cui un dipendente era stato allontanato dal lavoro esplicitamente a causa del suo orientamento sessuale, tali licenziamenti non sono stati considerati illegittimi. La discriminazione contro lesbiche, gay e bisessuali rimane ordinaria amministrazione. Amnesty International ha appreso che quasi tutte le persone appartenenti a queste comunità si sentono costrette a nascondere la propria identità per timore di perdere il lavoro, sia esso nel settore pubblico o in quello privato. Per le donne transgender l’accesso al lavoro è quasi impossibile e molte sono costrette a prostituirsi per sopravvivere. In un sondaggio condotto dall’associazione Lgbt Kaos-Gl, il 33 per cento degli intervistati (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) ha riferito di non essere stato assunto a causa dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. 42 È stato riferito ad Amnesty International che una delle più importanti cause di discriminazione sul lavoro per i gay esonerati dal servizio militare è l’obbligo di produrre il certificato di congedo dalle forze armate prima dell’assunzione. Il certificato di congedo viene abitualmente richiesto prima che l’offerta di lavoro venga confermata. Anche se le ragioni dell’esonero non sono esplicitate sul certificato, il sospetto che spesso viene alla luce è che questo sia stato rilasciato a causa dell’orientamento sessuale, il che induce i datori di lavoro a rifiutare di assumere il candidato. Un caso molto famoso è quello di Halil İbrahim Dinçdağ, un arbitro di calcio esonerato dal servizio militare, che non è riuscito a ottenere un lavoro dopo che sia le forze armate sia la Federazione calcistica turca (che rilascia le licenze per gli arbitri) nel 2009 avevano commentato con la stampa il suo orientamento sessuale. Per questa ragione, e nonostante un’esperienza di quattordici anni come arbitro, non è riuscito a trovare un impiego. Halil İbrahim Dinçdağ ha avviato una causa civile per danni contro la Federazione calcistica turca: la prima udienza si è tenuta il 22 febbraio 2011 e a marzo il procedimento era ancora in corso. Un altro caso recente portato all’attenzione di Amnesty International riguardava un uomo che, alla richiesta di fornire il certificato di congedo durante un colloquio di lavoro, aveva spiegato di essere gay e di essere stato esonerato dal servizio militare. Il lavoro gli fu offerto ma, in seguito, venne contattato dall’ufficio del personale dell’azienda che gli disse “Se i clienti lo scoprissero, si sentirebbero in imbarazzo”. Oltre a casi del genere, è stato segnalato ad Amnesty International che la mancanza di tutele nel settore privato fa sì che i datori di lavoro spesso trovino il modo di licenziare i propri dipendenti senza rivelarne la vera ragione, sebbene questi ultimi siano convinti che è a causa del loro orientamento sessuale. Nel settore pubblico esistono maggiori tutele contro il licenziamento in generale, perché ai dipendenti devono essere fornite ampie informazioni circa la causa del licenziamento ed hanno maggiore facilità di impugnare la decisione. Ma anche così, i gay che lavorano nel settore pubblico sono stati licenziati in quanto gay. Secondo i fascicoli giudiziari consultati da Amnesty International, il 20 aprile 2004 il Consiglio superiore di disciplina del ministero dell’Interno ha deciso di licenziare un agente di polizia dopo aver ascoltato una testimonianza secondo cui aveva avuto un rapporto sessuale anale con un uomo. La decisione è stata motivata con l’articolo 125 E-g della legge sui dipendenti pubblici (n. 657), che prevede il licenziamento qualora la persona venga trovata “ad agire in modo immorale e disonorevole, non compatibile con la posizione di un 41 L’articolo 5 della legge sull’occupazione (n. 4857) proibisce la discriminazione fondata su lingua, razza, genere, opinione politica, credenze filosofiche, religione, confessione religiosa o analoghi motivi. Tuttavia, la Suprema corte di appello si è pronunciata stabilendo che non è ammesso discriminare sulla base della “preferenza sessuale” (citato in Never Again project: A survey of legislation, Kaos-Gl, p. 4). 42 Türkiye’deki Lgbtt Bireylerin Günlük Yaşamında Maruz Kaldığı Heteroseksist Ayrımcı Tutum ve Uygulamalar, Kaos-GL, p. 21. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 20 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza dipendente pubblico”. Il tribunale amministrativo, al quale l’agente di polizia era ricorso in appello, ha concluso che il licenziamento non era in contrasto con la legge applicabile e ha confermato la decisione del Consiglio superiore di disciplina. La sentenza del tribunale amministrativo locale è stata successivamente confermata dal Consiglio di stato, la più alta corte d’appello amministrativa, esaurendo così ogni possibile rimedio previsto dal diritto interno. Oltre che per questo caso e per un altro analogo ma non collegato riguardante un altro agente di polizia, lo stesso articolo della legge sui dipendenti pubblici è stato richiamato per licenziare un insegnante che, secondo la decisione del Consiglio superiore di disciplina del ministero della Pubblica Istruzione del 2009, era stato ritenuto colpevole di aver iniziato una “relazione omosessuale”. Ancora una volta il tribunale amministrativo locane non ha ritenuto che la decisione violasse la legge e ha respinto il ricorso contro il licenziamento. Per quanto riguarda la situazione delle donne transgender, la grande maggioranza delle intervistate da Amnesty International ha dichiarato che l’impossibilità di trovare un altro lavoro le aveva costrette, nel presente o nel passato, a prostituirsi. Le transgender che avevano un lavoro all’epoca in cui hanno cambiato genere, hanno riferito di essere state costrette a dimettersi a causa del cambiamento. Questi dati sono confermati da un sondaggio effettuato da Lambdaistanbul sulle transgender di Istanbul. Delle novanta transgender a cui è stato chiesto perché avevano lasciato il lavoro, il 42 per cento ha dichiarato di averlo fatto perché credevano che sarebbero state licenziate, il 30 per cento perché sono effettivamente state licenziate, il 29 per cento perché era stata loro negata una promozione e il 24 per cento perché sono state costrette a dimettersi. 43 Nonostante i grandi sforzi degli attivisti per trovare un lavoro alle transgender, compreso il ricorso alle autorità locali di Istanbul, non vi sono stati risultati positivi. Per esempio, una donna transgender che aveva partecipato a corsi di formazione pubblici e aveva ottenuto la qualifica professionale di assistente sanitaria, non è riuscita a trovare lavoro in nessun ospedale. In conseguenza dell’impossibilità di accedere al mondo del lavoro, la stragrande maggioranza delle donne transgender ha come unica risorsa quella di svolgere un’attività – illegale e pericolosa – legata al sesso, i cui rischi sono dimostrati dal gran numero di prostitute transgender uccise o che hanno costantemente subito violenza dai propri clienti (v. p. 28, capitolo sui crimini violenti contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali). Donne transgender hanno riferito ad Amnesty International che, poiché lo stato non le considera donne (che, a differenza degli uomini, possono prostituirsi legalmente) e non concede quindi la licenza per esercitare la prostituzione, esse rischiano la violenza in misura molto maggiore rispetto alle donne che lavorano in case di tolleranza autorizzate. 44 Amnesty International ritiene che la legge sulla prostituzione, come ogni altra legge, non debba discriminare in base al genere, all’orientamento sessuale o all’identità di genere. OSTACOLI ALL’ACCESSO AD ALTRI DIRITTI Lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno riferito ad Amnesty International che spesso è stato limitata la loro possibilità di accedere ai servizi pubblici, sia per il timore di atteggiamenti omofobici e transfobici da parte dei funzionari pubblici, che induce a non cercare assistenza medica, sia per il rifiuto dei funzionari pubblici a fornire servizi o trattamenti per via del loro orientamento sessuale. Le persone transgender hanno riferito che tutte le interazioni con le autorità in cui era necessario mostrare la carta d’identità sono state problematiche nel caso in cui il genere sul documento non corrispondeva al loro aspetto. In Turchia le carte d’identità delle donne sono di colore rosa, quelle 43 İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity Association, p. 34. 44 La legge richiede che le persone transgender si sottopongano a interventi per la riattribuzione di genere come prerequisito per la modifica del loro genere dal punto di vista legale (si veda, più avanti, il capitolo sull’accesso ad altri diritti). I Regolamenti generali sulle case di tolleranza e la prostituzione e sulla lotta alle malattie sessualmente trasmissibili (n. 30/03/1961 – 5/984) regolano soltanto l’attività delle prostitute donne: http://www.mevzuat.adalet.gov.tr/html/5189.html Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 21 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza degli uomini di colore blu. Il genere indicato sul documento può essere modificato solo dopo aver effettuato la riattribuzione di genere. Tra i problemi segnalati vi erano molestie durante controlli d’identità a campione (si vedano i casi di Irmak di Diyarbakır a p. 33 e di Rüzgar di Istanbul a p. 22) e il rifiuto di fornire il servizio richiesto. I problemi di accesso ai servizi sanitari sono stati spesso citati come grave difficoltà, in particolare per le donne transgender intervistate da Amnesty International. A causa della loro incapacità di trovare un lavoro e del loro basso reddito, la stragrande maggioranza delle transgender non ha assicurazione sanitaria, né pubblica, né privata.45 Le transgender hanno spesso segnalato ad Amnesty International che per via della loro identità sessuale erano state loro negate cure mediche. Uomini e donne transgender hanno riferito ad Amnesty International di non aver potuto sottoporsi all’intervento chirurgico necessario per cambiare genere a causa del suo alto costo. Altri hanno affermato di aver rifiutato l’intervento per principio a causa dell’obbligo di subire, contestualmente, la sterilizzazione.46 Le persone transgender hanno anche detto di essere state costrette a rinunciare all’istruzione per via della loro identità di genere, per esempio perché è stato loro vietato l’accesso agli edifici universitari a causa della mancata corrispondenza tra l’aspetto fisico e il genere indicato sui documenti di identità.47 RÜZGAR DI ISTANBUL Rüzgar è un’attivista transgender di Voltrans, un gruppo turco di sostegno agli uomini transgender. Voltrans è un gruppo relativamente nuovo che partecipa a campagne sui diritti Lgbt in Turchia. Rüzgar descrive a grandi linee le violazioni dei diritti umani subite da uomini e donne transgender, ad iniziare dai problemi legati al processo per la riattribuzione di genere, tra cui l’obbligo della sterilizzazione per le donne che vogliono diventare uomini, la necessità di un certificato medico che confermi il disordine di identità di genere dopo due anni di terapia psicologica, la mancanza di regolamentazione e di competenza per i medici che eseguono operazioni chirurgiche di riattribuzione di genere e le difficoltà per ottenere la modifica dei dati sui documenti di identità. Rüzgar ha raccontato ai delegati di Amnesty International la sua esperienza di vessazioni subite dalla polizia e da altre persone. Un episodio è avvenuto nel gennaio 2011, intorno alle 9 di sera, quando Rüzgar si trovava, con un amico dalla Germania, in un parcheggio vicino agli studi Trt a Tepebaşı (nel quartiere Beyoğlu del centro di Istanbul). All’inizio, furono avvicinati da un agente di polizia in abiti civili per un controllo di routine dei documenti. L’agente guardò la carta d’identità 48, poi guardò Rüzgar e disse di non credere che quel documento gli appartenesse. L’agente volle guardargli le mani, spingendogli le dita all’indietro. Rüzgar non conosce il significato di tale gesto. Altri quattro o cinque agenti li 45 Il 79 per cento delle transgender intervistate a Istanbul da Lambdaistanbul ha dichiarato di non avere un’assicurazione sanitaria. İt iti Isırmaz” Bir Alan Araştırması: Istanbul’da Yaşayan Trans Kadınların Sorunları, Lambdaistanbul Solidarity Association, p. 41. 46 L’articolo 40 del codice civile turco regola la riattribuzione di genere come segue: “Una persona che voglia cambiare sesso può chiederne il permesso al tribunale per il cambiamento di sesso presentando istanza personalmente. Tuttavia, per ottenere permesso deve avere più di 18 anni [e] non essere sposata. Inoltre, la persona deve avere una natura transessuale che deve documentare con un rapporto formale emesso da un consiglio sanitario presso un ospedale universitario e di ricerca, in cui si dichiari che il cambiamento di sesso è necessario per la salute mentale e che deve rinunciare in modo definitivo alla capacità riproduttiva. Quando è provato che l’operazione di cambiamento di sesso ha avuto luogo con il permesso [del tribunale] ed è stata condotta conformemente allo scopo e ai metodi sanitari, il tribunale ordina di effettuare le necessarie correzioni nel registro dello stato civile”. 47 Varie persone hanno sostenuto, in modo coerente e credibile, che è stato loro impedito di accedere agli edifici universitari in diverse occasioni. Tali affermazioni sono rispondenti alla ricerca di Amnesty International che ha documentato un sistematico rifiuto da parte di funzionari pubblici di accettare documenti di identità non corrispondenti al genere di una persona transgender. 48 In Turchia le carte di identità sono colorate, rosa per le donne e blu per gli uomini. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 22 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza circondarono. Nel frattempo, l’agente aveva chiamato la centrale fornendo il numero della sua carta d’identità; poi disse che l’avrebbero portato in commissariato sostenendo che Rüzgar era stato arrestato in passato per reati legati agli stupefacenti, cosa che Rüzgar nega. L’agente continuò a insistere che il documento di identità era falso. Un secondo agente in abiti civili controllò il timbro a rilievo del documento. Gli venne chiesto di esibire un altro documento e Rüzgar mostrò il tesserino dell’università. Un certo numero di persone iniziarono ad avvicinarsi e anche l’amico di Rüzgar fu coinvolto nella disputa. Ne seguì una discussione sull’identità di genere che coinvolse l’amico di Rüzgar. Un altro agente toccò i capelli di Rüzgar chiedendo se erano veri (egli porta lunghi dreadlocks). L’episodio proseguì per circa 15-20 minuti e terminò soltanto quando Rüzgar e il suo amico si allontanarono dal parcheggio. Quando gli è stato chiesto qual è la differenza tra Istanbul e altre città turche, Rüzgar ha raccontato ai delegati di Amnesty International che la prima volta fu picchiato nel 2009 a Galatasaray, nel quartiere Beyoğlu di Istanbul. Un uomo disse “guarda quello come si è conciato”, al ché Rüzgar rispose “che cos’hai da guardare?” L’uomo gli rispose “vuoi essere picchiato?” e lo colpì, spaccandogli un labbro. Gli amici di Rüzgar intervennero dicendo “non puoi picchiare una donna” e l’altro rispose “forse che questa è una donna?” Nell’episodio intervennero anche alcuni amici dell’aggressore. Rüzgar andò alla stazione di polizia di Beyoğlu per denunciare l’aggressione. Gli fu detto di andare in ospedale, dove gli rilasciarono un certificato medico che portò al commissariato, dove fece una dichiarazione. Rüzgar ha riferito ai delegati di Amnesty International che nonostante avesse informato la polizia, fornito un certificato medico e specificato che nel luogo dell’aggressione vi fossero telecamere della polizia, quest’ultima non gli ha dato alcuna notizia di un’indagine sull’accaduto. Anche sporgere denuncia è stato molto difficile: lo fecero aspettare per ore e lo trattarono come se si fosse meritato di essere aggredito. Rüzgar ha raccontato ad Amnesty International che quotidianamente gli capita di essere insultato o di essere oggetto di commenti o domande sulla sua identità di genere. Ha detto: “Dopo un po’, tutto si confonde, e cerchi di rimuovere”. IL DIRITTO A CERCARE ASILO I richiedenti asilo di paesi extraeuropei devono presentare domanda di asilo all’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati perché possa essere determinato il loro status di rifugiati. Una volta riconosciuti come tali, possono essere ricollocati in paesi terzi come stabilisce la legge turca, che non ha norme che prevedono la loro integrazione locale. Molti richiedenti asilo restano in Turchia per più di cinque anni, in attesa della determinazione dello status e della ricollocazione a seguito del riconoscimento. Tra le migliaia di richiedenti asilo che cercano rifugio in Turchia ogni anno ve ne sono parecchi che fuggono dal proprio paese d’origine per le persecuzioni subite per l’orientamento sessuale o l’identità di genere.49 La situazione di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt è doppiamente difficile poiché, oltre alla discriminazione per orientamento sessuale o identità di genere, subiscono anche il comportamento discriminatorio dei funzionari pubblici a causa del loro status di cittadini stranieri o di rifugiati o richiedenti asilo. In pratica, i richiedenti asilo Lgbt dipendono ancora di più dal sostegno statale poiché a causa della loro identità spesso non possono rivolgersi alle reti di aiuto ufficiose create da richiedenti asilo dello stesso paese d’origine. Il sistema della dispersione peggiora la situazione poiché impone a richiedenti asilo e rifugiati, fino a che restano nel paese, la residenza in specifici luoghi dell’Anatolia o della Turchia centrale e meridionale. L’ambiente sociale di questi paesi e città è spesso molto più conservatore di quello di Ankara, Istanbul o İzmir, dove i gruppi Lgbt della società civile offrono assistenza e solidarietà, sicché di frequente vi è maggiore ostilità verso richiedenti asilo e rifugiati con diversi orientamenti sessuali e identità di genere. 49 Sulla situazione di rifugiati e richiedenti asilo in Turchia si veda: Stranded: Refugees in Turkey denied Protection, Amnesty International, disponibile all’indirizzo: http://www.amnesty.org/en/library/info/EURO44/001/2009. In particolare, a p. 23 si tratta della situazione di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 23 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Fonti bene informate hanno riferito ad Amnesty International che, in molti casi, le autorità locali si sono mostrate disinteressate alle ragioni per cui i richiedenti asilo Lgbt cercavano protezione. Inoltre, è stato riferito che le autorità non si sono adeguatamente occupate dei timori per la propria sicurezza espressi da richiedenti asilo e rifugiati che, a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere, hanno subito vessazioni da parte di altri richiedenti asilo e minacce per mano della popolazione locale. Amnesty International è preoccupata anche perché nella pratica non vengono applicate efficacemente le norme che prevedono il trasferimento ad altro luogo di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da una determinata città di dispersione. In conseguenza, rifugiati e richiedenti asilo rimangono in luoghi in cui sono a rischio di violenze e altri abusi a causa dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.50 MINACCE ALLA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE Di fronte all’ostilità e alla discriminazione di governo e funzionari pubblici contro le persone Lgbt in Turchia, i gruppi della società civile hanno riempito il vuoto lasciato dallo stato e svolgono un ruolo vitale nel fornire sostegno e consigli. Nelle tre maggiori città turche – Ankara, Istanbul e İzmir – le associazioni non governative procurano solidarietà e spazi sicuri per persone Lgbt e al tempo stesso fanno campagne contro i reati di intolleranza e la discriminazione. 51 Oltre a ciò, reti della società civile – conosciute come “iniziative” – sono sorte a Diyarbakır ed Eskişehir e altre stanno per nascere in altri paesi e città delle province.52 Tuttavia, lungi dal facilitare lo sviluppo di servizi di sostegno forniti dalla società civile, le autorità hanno adottato misure per sopprimerli con vessazioni amministrative e giudiziarie, minacciando il diritto di ognuno alla libertà di associazione, espressione e non discriminazione e violando gli obblighi della Turchia stabiliti dalla Convenzione europea sui diritti umani.53 Gli attivisti per i diritti delle persone Lgbt hanno raccontato ad Amnesty International che il loro lavoro come difensori dei diritti umani per proteggere i diritti di altre persone è stato messo a repentaglio dalle minacce che essi ricevono come individui a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere (si veda, ad esempio, il caso degli attivisti di Pembe Hayat ad Ankara a p. 12 e di Eylül a Eskişehir a p. 35). Anche gli attivisti di İzmir hanno riferito ad Amnesty International che, all’epoca della loro battaglia legale contro la chiusura dell’associazione Lgbt Siyah Pembe Üçgen İzmir (si veda p. 25, capitolo sulle cause di chiusura), quando rilasciavano frequenti dichiarazioni agli organi di informazione sui progressi del caso e organizzavano proteste di piazza, la polizia fece irruzione in casa delle attiviste transgender, dicendo loro “se continuate così [riferendosi al loro essere conosciute come attiviste], non vi lasceremo più vivere qui”. L’intolleranza di una parte dell’opinione pubblica contro le persone Lgbt che rivendicano i propri diritti ha provocato il blocco di canali di comunicazione. I reclami presentati da ignoti hanno causato la chiusura, da parte degli amministratori del social network Facebook, dei gruppi creati dalle iniziative MorEl di Eskişehir e Hevjin di Diyarbakır. Mentre MorEl è riuscita a contestare con successo la chiusura del proprio gruppo Facebook, il gruppo di Hevjin non è stato riaperto e ha così perso centinaia di membri del gruppo. Considerate le difficoltà dell’attivismo Lgbt in Turchia, la 50 Per ulteriori informazioni sulle preoccupazioni della sicurezza di rifugiati e richiedenti asilo Lgbt in Turchia, si veda: Helsinki Citizens Association Turkey, Unsafe Haven: The Security Challenges Facing Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Asylum Seekers and Refugees, disponibile all’indirizzo http://wwww.hyd.org.tr?pid=752. 51 Kaos-Gl Association (http://www.kaosgl.org); Pembe Hayat Lgbt Solidarity Association (http://www.pembehayat.org); Lambdaistanbul (http://www.lambdaistanbul.org); Lgbtt Istanbul Solidarity Association (http://www.istanbul-lgbtt.org), Pembe Üçgen İzmir (http://www.siyahpembe.org). 52 MorEl Eskisehir Lgbtt Initiative (http://moreleskisehir.blogspot.com/); Hevjin Lgbt Initiative (www.hevjin.org). 53 Si veda Amnesty International, Amnesty International criticizes judicial harassment of Lgbt association. Disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/asset/EUR44/003/2010/en/73cd6f61-9a2d-4fa2-a8d4-53ce87dd7e1d/eur440032010en.pdf Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 24 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza sicurezza fornita dall’organizzarsi online è ancora più importante e le limitazioni che subisce sono ancora più dannose.54 Le tattiche impiegate dalle autorità locali contro le associazioni Lgbt si sono rivelate una minaccia ancora più grave. Amnesty International è a conoscenza di sanzioni arbitrarie imposte alle associazioni Lgbt, insieme ad altre Ong per i diritti umani. Pembe Hayat ha raccontato di aver ricevuto una multa amministrativa per aver consegnato troppo presto la documentazione richiesta alle autorità locali. Un’altra associazione Lgbt di Ankara, Kaos-Gl, ha riferito di essere stata multata in seguito a una verifica contabile del Direttorato per le associazioni del locale ufficio del governatore (che appartiene al ministero dell’Interno) per un’applicazione evidentemente arbitraria delle norme sul ricevimento di fondi dall’estero che non era stata applicata ad altre Ong che ottenevano fondi allo stesso modo. Kaos-Gl ha inoltre raccontato ad Amnesty International che il Direttorato ha eseguito otto diverse verifiche contabili nei confronti dell’associazione tra il 2006 e il 2009 – un numero decisamente più alto di quello a cui sono state sottoposte altre associazioni per i diritti umani. Durante questo periodo, tutte le copie di un numero della rivista di Kaos-Gl furono confiscate allo scopo di proteggere la morale pubblica (v. p. 8, capitolo sull’applicazione e interpretazione discriminatorie delle leggi). CAUSE DI CHIUSURA Il metodo più frequente adottato dalle autorità locali per impedire il lavoro delle associazioni per i diritti Lgbt è stato quello di intentare cause civili di chiusura da parte degli uffici dei governatori locali adducendo la motivazione che le associazioni violano “la moralità turca e la struttura familiare”.55 I reclami dei governatori locali sono stati presentati contro tutte le associazioni per i diritti Lgbt a eccezione di quelle di più recente formazione, ma resta da vedere se tali tentativi saranno messi in atto anche contro queste ultime. È da molti anni che le autorità impiegano tali metodi e, oltre ai costi che devono sostenere per la difesa (che distolgono le risorse finanziarie e di altro tipo dallo scopo principale dell’attività delle associazioni), la durata di alcuni procedimenti è stata prolungata, accrescendo le incertezze che esse si trovano ad affrontare. Nel 2005 fu sporto un reclamo contro l’associazione Kaos-Gl, ma la procura di stato di Ankara decise che non vi era motivo per intentare una causa di chiusura. 56 La procura di Ankara respinse anche un analogo reclamo presentato nel 2006 contro Pembe Hayat. Stessa sorte occorse nel 2007 a un reclamo presentato nel 2006 dall’ufficio del governatore di Istanbul contro l’associazione Lambdaistanbul: la procura di stato della città lo respinse, ma le autorità locali ricorsero in appello e il verdetto ribaltò la prima sentenza, consentendo l’avvio di una causa di chiusura. Il caso fu esaminato da un tribunale locale che, nel 2008, stabilì la chiusura dell’associazione. Tale decisione fu, tuttavia, capovolta dalla Suprema corte d’appello e infine confermata dal tribunale locale nell’aprile 2009 in seguito a una campagna di alto profilo contro la 54 Nel giugno 2011 Amnesty International ha contattato Facebook in merito alle chiusure dei gruppi ma, al momento in cui questo rapporto è andato in stampa, non aveva ancora ottenuto alcuna risposta. 55 I seguenti articoli del codice civile (n. 4721) prevedono la chiusura delle associazioni per violazione al buon costume: Art. 47 – Gruppi di persone organizzate per creare un singolo organismo e gruppi di beni indipendenti costruiti per obiettivi speciali sono definiti come persone giuridiche in accordo con le norme che ne contrastano le qualità, i rapporti, ecc. I gruppi comprendenti persone e beni il cui oggetto è contrario alle leggi e alla moralità possono non essere autorizzati a possedere lo status di persona giuridica. Art. 56 – Un’associazione è definita come una società formata da almeno sei persone fisiche o giuridiche per la realizzazione di un obiettivo comune che non sia la condivisione di profitti attraverso la raccolta di informazioni e dall’effettuare studi a tale scopo. Nono possono essere formate associazioni per uno scopo contrario alle leggi e alla moralità. Art. 89 – Se gli scopi di un’associazione non sono compatibili con la legislazione e la moralità, la corte può imporre lo scioglimento dell’associazione su richiesta del pubblico ministero o di qualunque altra persona interessata. Durante il procedimento del caso, la corte adotta tutte le misure necessarie, compresa la sospensione delle attività. 56 Il reclamo, presentato il 15 agosto 2005, fu respinto dall’ufficio della procura di Ankara che sottolineò gli obblighi della Turchia a rispettare la libertà di associazione ai sensi dell’art.11 della Convenzione europea sui diritti umani e l’art. 22 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 25 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza chiusura svoltasi in Turchia e all’estero. 57 La decisione finale fu assunta quasi tre anni dopo il primo reclamo del governatore di Istanbul. Sebbene la sentenza della Suprema corte d’appello sostenesse positivamente il diritto di ognuno a formare associazioni indipendentemente dal proprio orientamento sessuale o identità di genere, il verdetto affermava anche che l’incoraggiamento a diventare lesbiche, gay, bisessuali o transgender non era protetto dal diritto alla libertà di associazione e che tale motivo poteva condurre alla chiusura di un’associazione Lgbt, aprendo apparentemente la strada al futuro avvio di ulteriori cause per la chiusura di associazioni Lgbt. 58 Nonostante il pronunciamento della Suprema corte d’appello a inizio anno, nel 2009 un’altra causa per la chiusura fu avviata, per ragioni di moralità pubblica, contro l’associazione Siyah Pembe Üçgen, con sede a İzmir, in seguito a un reclamo delle autorità locali. Il tribunale di İzmir respinse la causa di chiusura il 30 aprile 2010.59 57 Amnesty International lanciò un’azione sollecitando le autorità a rispettare il diritto delle persone Lgbt alla libertà di associazione. Il testo dell’azione è disponibile all’indirizzo: http://www.amnesty.org/en/appeals-foraction/turkey-urged-respect-lgbt-rightfreedom-of-association 58 Il verdetto della 7° camera della Suprema corte d’appello (n. 2008/5196) recita: “Nel caso in cui l’associazione imputata agisce in modo da incoraggiare relazioni lesbiche, gay, bisessuali e transgender in violazione della Costituzione, possono essere applicati gli art. 30 e 31 della Legge sulle associazioni e può essere richiesta la chiusura dell’associazione stessa”. Questa decisione fu ripetuta anche nel giudizio ragionato della 6° corte di prima istanza di İzmir (2010/186) nella causa per la chiusura dell’associazione Lgbt Siyah Pembe Üçgen İzmir. Il giudizio afferma che ciò che è ritenuto contrario alla moralità pubblica non è l’essere lesbica, gay, bisessuale o transgender o l’impiego di tali termini, ma l’agire in modo da incoraggiare altri a essere così. 59 Amnesty International, Activist group will not be closed for violating Turkish moral values. Disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/009/2010/en Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 26 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza IL CASO DI AHMET YILDIZ L’omicidio, avvenuto il 15 luglio 2008, del ventiseienne Ahmet Yıldız, gay dichiarato, durante quello che molti ritengono un delitto “d’onore”60, è divenuto il simbolo dell’incapacità delle autorità a rispondere alla violenza motivata dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Il giorno dell’omicidio, il compagno di Ahmet, İbrahim, si trovava nella casa che i due condividevano a Üsküdar, un quartiere nella parte asiatica di Istanbul. Egli ha raccontato che Ahmet era uscito dall’appartamento per andare a comprare il gelato, scendendo in strada per prendere l’automobile. Quando udì gli spari, İbrahim corse giù e trovò Ahmet a terra morto. Come in altri sospetti omicidi “d’onore”, la famiglia non ha reclamato il corpo per la sepoltura, come gesto di rifiuto. İbrahim Can ha spiegato che nei mesi precedenti l’omicidio Ahmet aveva ricevuto minacce di violenza da parte della sua famiglia. Perciò era andato all’ufficio della procura di stato di Üsküdar per sporgere denuncia penale contro la sua famiglia e chiedere protezione. Dopo l’omicidio è emerso che non era stata avviata alcun indagine per la denuncia. Invece, il la procura aveva passato la denuncia a un altro ufficio affermando che ricadeva nella giurisdizione del vicino quartiere di Sarıyer, dove non fu presa in considerazione. Gli attivisti ritengono che le azioni delle autorità – l’erroneo trasferimento della denuncia nonostante fosse di competenza della prima procura – e la mancata indagine siano il sintomo della riluttanza delle autorità stesse ad affrontare il problema della violenza omofobica. Gli eventi successivi all’omicidio aggiungono peso a questa convinzione. İbrahim Can ha raccontato ad Amnesty International che l’indagine penale non è stata condotta in modo efficace. Tra gli elementi apparentemente non indagati vi sono la presunta presenza di una seconda automobile sulla scena dell’omicidio e le circostanze di un danneggiamento alle proprietà di un testimone del caso verificatosi qualche settimana dopo l’uccisione. Ancora più grave è il fatto che, nonostante fossero state denunciate le minacce della famiglia e che l’automobile di un amico del padre di Ahmet Yıldız fosse stata identificata sulla scena del crimine, non sia stato fatto alcun tentativo per interrogare il padre fino all’ottobre 2008, quando fu emesso un mandato di arresto a più di tre mesi di distanza dall’omicidio. A quell’epoca, il padre di Ahmet Yıldız non fu rintracciato. Tabulati telefonici indicano che in quel periodo egli può essersi recato in Iraq. Anche la fase processuale non è riuscita ad assicurare che fosse fatta giustizia. Nonostante le udienze fossero aperte al pubblico, i giudici del tribunale impedirono ai sostenitori di Ahmet Yıldız di partecipare al processo come uditori. Soltanto dopo la nomina di un nuovo giudice, durante la sesta udienza tenutasi il 14 marzo 2011, a circa tre anni dall’omicidio, fu emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti del padre, l’unico sospettato. Nella stessa udienza il tribunale, per la prima volta, ha ordinato un’indagine sulle minacce della famiglia prima della morte di Ahmet Yıldız. L’udienza successiva è stata fissata per il 16 giugno 2011. 60 Sui delitti compiuti in nome dell’“onore” in Turchia si veda Amnesty International, Turkey: Women confronting family violence, giugno 2004, EUR 44/013/2004. Disponibile su http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/013/2004 Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 27 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza CRIMINI VIOLENTI CONTRO PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI E TRANSGENDER Tutt’altro che casi isolati, i reati contro le persone Lgbt sono stati segnalati con frequenza. Non vi sono statistiche ufficiali sui reati commessi contro di esse ma, nel solo 2010, le associazioni Lgbt hanno documentato l’uccisione di 16 persone ritenute vittime a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere, veri o presunti.61 Nel 2011, durante la ricerca per questo rapporto, hanno continuato a pervenire denunce di crimini violenti contro membri della comunità Lgbt. Il 7 marzo, per esempio, un organo di stampa nazionale ha pubblicato la notizia di un omicidio con il titolo “Aveva una relazione lesbica e l’ho uccisa”, che si riferiva a un uomo della città di Gaziantep che avrebbe ucciso la sua ex partner ventunenne. 62 Due settimane dopo, la stampa ha riportato la notizia del ritrovamento del cadavere di una transgender a İzmir. Secondo il rapporto, il cadavere è stato rinvenuto in una discarica, decapitato e smembrato.63 In molti casi, le informazioni sui reati contro le persone Lgbt derivano dagli organi di stampa, poiché le associazioni Lgbt o i partner delle vittime hanno poco o nessun accesso alle informazioni durante le indagini sui casi e mancano dati ufficiali su presunti crimini d’odio (v. p. 29, capitolo sui sospetti crimini d’odio). In conseguenza, gli attivisti per i diritti Lgbt ritengono che la vera entità dei crimini motivati da orientamento sessuale o identità di genere sia molto più ampia di quanto è stato possibile documentare. Stabilire che dietro un crimine riportato soltanto dai media vi sia l’intolleranza non è sufficiente. Ciò nonostante, gli attivisti sottolineano il modo in cui molte delle vittime sono state uccise. In certi casi, le confessioni dei colpevoli suggeriscono il movente dell’odio per omicidi e altri gravi reati ai danni di persone con diverso orientamento sessuale o identità di genere. Tuttavia, a causa delle carenze nelle indagini e nel perseguimento di tali reati, in molti casi i responsabili non vengono condotti in giudizio. In altri casi di reati violenti contro persone con diverso orientamento sessuale o identità di genere, le vittime riferiscono che i perpetratori usano un linguaggio omofobico o transfobico oppure informazioni riguardanti l’identità della vittima per giustificare il reato commesso. Le persone rischiano anche di essere vittime di altri tipi di reati violenti a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. Gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International che le persone Lgbt sono a rischio di maggiore violenza all’interno della famiglia perché non hanno potuto avere accesso ai meccanismi di protezione – laddove siano disponibili – a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere (si veda oltre, p. 32, capitolo sui meccanismi di protezione). Amnesty International è anche spesso venuta a conoscenza di casi in cui persone che ritenevano di essere state prese di mira dalla delinquenza a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere non denunciavano i crimini subiti alla polizia o, se lo facevano, i responsabili – a causa dell’identità della loro vittima – non erano perseguiti. 61 Nefret suclari raporu 2010, associazioni Kaos-Gl, Pembe Hayat e Siyah Pembe Ucgen Lgbt. "Lezbiyen ilişki yaşıyordu, öldürdüm" cnnturk.com, disponibile all’indirizzo http://www.cnnturk.com/2011/turkiye/03/07/lezbiyen.iliski.yasiyordu.oldurdum/609154.0/index.html 63 Bir Travesti Daha Vahşice Öldürüldü, Bianet, disponibile su http://www.bianet.org/bianet/toplumsalcinsiyet/128803-bir-travestidaha-vahsice-olduruldu 62 Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 28 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza SOSPETTI CRIMINI D’ODIO Amnesty International ha documentato vari episodi di crimini con intento discriminatorio – spesso chiamati “crimini d’odio” – avvenuti in Turchia, che hanno preso di mira persone a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) definisce i crimini d’odio come “reati penali, compresi i reati contro la persona o la proprietà, in cui la vittima, le proprietà immobiliari o il bersaglio del reato sono scelti a causa del loro reale o percepito collegamento, legame, appartenenza, sostegno o adesione a un gruppo”.64 Molte delle persone che hanno parlato con Amnesty International hanno raccontato di essere state aggredite da privati cittadini a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere (si vedano i casi di Rüzgar a p. 22 e di Elçin a p. 13). In un sondaggio condotto tra persone Lgbt, più del 70 per cento ha dichiarato di temere di essere aggredite per il loro orientamento sessuale o identità di genere. 65 Il timore dei crimini d’odio è particolarmente forte tra le prostitute transgender: tutte hanno riferito ad Amnesty International di essere state aggredite da clienti. Molte hanno raccontato di conoscere altre transgender che erano state assassinate. In questo modo, i sospetti crimini d’odio hanno traumatizzato non soltanto le vittime e i loro amici e parenti, ma l’intera comunità Lgbt. Amnesty International ha appreso che la gran parte dei crimini d’odio non vengono denunciati. E anche quando lo sono, non vengono registrati come reati commessi a causa dell’identità delle vittime e, sistematicamente, il movente del reato non viene indagato. Nel 2011 Amnesty International ha richiesto, nell’ambito della legge sull’informazione, che le autorità fornissero statistiche sul numero di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender uccise ogni anno a partire dal 2006, disaggregate per regione, etnia, orientamento sessuale e identità di genere. Inoltre aveva chiesto le che autorità fornissero statistiche su quante indagini, incriminazioni e condanne fossero seguite agli omicidi, nonché le pene inflitte ai responsabili, incluse eventuali riduzioni. Le autorità hanno risposto affermando che non vi erano informazioni disponibili sull’argomento richiesto. 66 A causa del fatto che lo stato non raccoglie tali dati statistici e che alle associazioni Lgbt o persino ai parenti delle vittime spesso non vengono forniti i dettagli sulle indagini, le informazioni disponibili su sospetti crimini d’odio sono in gran parte ottenute dagli organi di stampa. OMICIDI D’ODIO Dai 16 sospetti omicidi d’odio documentati dalle organizzazioni Lgbt turche nel 2010 emergono alcuni schemi. Nove vittime erano gay, sei erano transgender; in un caso è stato ucciso un uomo eterosessuale apparentemente ritenuto gay. In tutti gli omicidi dei gay, a parte uno, risulta che i sospetti colpevoli abbiano affermato che la vittima aveva preteso o iniziato un atto sessuale. In due casi i presunti responsabili avrebbero dichiarato agli investigatori che la vittima aveva tentato di stuprarli. Tre degli omicidi di gay hanno visto esplodere atti di estrema violenza, incluse ferite multiple da coltello, apparentemente molto maggiore di quella necessaria per provocare la morte, smembramento del cadavere e, in un caso, la vittima è stata “incaprettata” prima di essere uccisa. Per i sei omicidi di transgender documentati nel 2010, in un caso il presunto colpevole avrebbe dichiarato che la vittima aveva preteso di fare sesso come parte attiva, mentre in due casi è stata documentata violenza estrema. In particolare, in uno di questi casi sono state inferte 29 coltellate. 64 Osce: Combating Hate Crimes in the Osce Region. Osce Office for Democratic Institutions and Human Rights, Varsavia, 2005, p. 12. 65 Türkiye’deki Lgbtt Bireylerin Günlük Yaşamında Maruz Kalığı Hetroseksist Ayrımcı Tutum ve Uygulamalar, Kaos-Gl, p. 33. 66 Il 18 febbraio 2011, Amnesty International ha chiesto di conoscere, secondo quanto previsto dalla legge sulla libertà di informazione, il numero di omicidi di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, se fossero stati indagati, il numero di incriminazioni e condanne, le eventuali riduzioni di pena, il numero di contravvenzioni spiccate contro persone Lgbt. Tutti i dati, relativi al quinquennio 2007-2011, avrebbero dovuto essere forniti disaggregati per regione, genere, età, orientamento sessuale, identità di genere ed origine etnica. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 29 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Nell’altro caso, la vittima è stata pugnalata più volte, anche dopo la morte, stuprata dopo il decesso e amputata degli organi sessuali. Sulla scena del delitto sarebbe stato trovato un biglietto in cui era scritto che “sarebbero stati uccisi altri travestiti”. Nel caso dell’uomo eterosessuale ucciso nel 2010, la vittima era stata in precedenza apostrofata con insulti omofobici dai perpetratori dell’omicidio. NORMATIVA INTERNAZIONALE SUI CRIMINI D’ODIO In quanto stato parte della Convenzione europea sui diritti umani, la Turchia ha l’obbligo di proteggere il diritto alla vita senza discriminazione per tutte le persone all’interno della propria giurisdizione. Come parte di quest’obbligo, alle autorità è richiesto che garantiscano indagini immediate, imparziali ed efficaci nei casi di presunte violazioni del diritto alla vita, siano esse commesse da attori statali o da privati cittadini. La Corte europea dei diritti umani ha precisato che il dovere di proteggere il diritto alla vita non soltanto impone alle autorità dello stato di astenersi dal togliere la vita intenzionalmente e illegittimamente, ma anche di adottare le misure adeguate per salvaguardare la vita delle persone all’interno della loro giurisdizione.67 Ciò comprende il dovere di mettere in atto norme di diritto penale effettive punibili con idonee pene deterrenti per i reati contro la persona, che siano sostenute da un sistema di applicazione della legge per la prevenzione, la soppressione e la sanzione delle violazioni alle norme stesse. Inoltre, ciò richiede che, in certe circostanze ben definite, le autorità adottino misure preventive per proteggere un individuo la cui vita sia a rischio a causa di un altro individuo.68 La Convenzione europea sui diritti umani richiede anche che durante le indagini si adotti ogni ragionevole misura per svelare un movente d’odio al fine di soddisfare i requisiti del diritto alla vita. Questi obblighi sono stati ulteriormente precisati in vari giudizi tra cui Nachova e altri vs. Bulgaria, in cui la Corte ha stabilito che lo stato era venuto meno al suo obbligo di indagare un movente razziale dietro l’omicidio di una donna di origine rom.69 MANCATO RISPETTO DEGLI OBBLIGHI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE Amnesty International teme che, nei casi di sospetti omicidi d’odio, le autorità turche – non coinvolgendo i parenti prossimi della vittima nelle indagini – non rispettino i propri obblighi a condurre indagini efficaci di presunti crimini d’odio come richiesto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. Amnesty International è anche preoccupata che con l’applicazione discriminatoria delle norme legali sulla “indebita provocazione”, questa circostanza attenuante venga effettivamente accettata a causa dell’identità della vittima. 70 Infine, l’assenza di procedure specifiche per indagare i crimini d’odio suscita il timore che le indagini non siano efficaci. 67 LCB vs Regno Unito, giudizio del 9 giugno 1998, paragrafo 36. Osman vs Regno Unito, giudizio del 28 ottobre 1998, paragrafo 115. 69 Nachova e altri vs Bulgaria [GC], n. 43577/98 e 43579/98. 70 L’articolo 29/1 del codice penale turco ammette l’indebita provocazione come motivo per la riduzione di pena: “Chiunque commetta un reato in uno stato di rabbia o di grave agitazione provocato da un torto sarà punito con la reclusione da diciotto a vent’anni invece dell’ergastolo aggravato e da dodici a diciotto anni invece dell’ergastolo. In altri casi le condanne saranno ridotte da un quarto a tre quarti”. 68 Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 30 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza INDAGINI VIZIATE SU POSSIBILI CRIMINI D’ODIO “Se sei gay, sei esposto allo stupro” Dichiarazione di un agente di polizia riferita dagli attivisti Lgbt di Eskişehir dopo che avevano denunciato il presunto stupro di un gay – uno dei tanti contro gay e transgender avvenuti in città. I legali che rappresentano le famiglie di persone uccise in sospetti omicidi d’odio a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere hanno dichiarato ad Amnesty International che in molte occasioni la polizia non ha condiviso con loro i dettagli sulle indagini in corso e non ha fornito documentazione agli avvocati che assistevano le famiglie. I legali hanno sottolineato che in molti episodi le transgender non erano in contatto con le famiglie e che avevano il sostegno di un partner o di amici della comunità Lgbt e delle associazioni Lgbt. Nonostante ciò, le autorità si sono rifiutate di accettare che essi fossero parte lesa e avessero il diritto di intervenire nel caso in quanto tale.71 Gli avvocati hanno dichiarato ad Amnesty International che in questo modo era molto meno probabile che i tribunali garantissero lo status di parte lesa a partner dello stesso sesso rispetto alle coppie con partner di sesso opposto. Gli attivisti indicano anche l’incapacità a risolvere casi di omicidi evidentemente legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere della vittima come prova della necessità di un’unità specializzata per combattere i sospetti crimini d’odio. Tra i molti esempi di tali omicidi vi è quello di Dilek, una transgender uccisa con un fucile a pompa nel novembre 2008. Dilek era querelante e testimone in un procedimento giudiziario senza precedenti sull’uccisione di donne transgender intentato contro una rete di crimine organizzato ad Ankara. A marzo 2011, l’omicidio di Dilek, avvenuto poche settimane dopo la pronuncia dei verdetti di colpevolezza, era ancora irrisolto. Nel caso dell’omicidio del gay Ahmet Yıldız (v. p. 27), le autorità inquirenti non sono state capaci di svolgere un’indagine efficace, di esaminare tutte le prove disponibili e, ancor peggio, di spiccare mandato di arresto per un membro della sua famiglia nonostante forti prove prima facie del suo coinvolgimento nel delitto. A marzo 2011, il principale sospettato doveva ancora essere arrestato. Le indagini in altri sospetti crimini d’odio sono state viziate e compromesse dall’atteggiamento prevenuto degli agenti di polizia. Gli attivisti di Eskişehir hanno raccontato ad Amnesty International di essere andati a denunciare il presunto stupro di un gay abitante in quella città – uno dei numerosi crimini contro gay e contro una transgender commessi, a quanto pare, dalla stessa persona, mai assicurata alla giustizia. Tuttavia un agente disse loro “Se sei gay, sei esposto allo stupro” e mise in dubbio che lo stupro fosse avvenuto chiedendo alla vittima “Se sei stato stuprato, perché non hai i vestiti strappati?” Gli attivisti hanno descritto ulteriori esempi in cui la polizia si è mostrata riluttante a indagare reati motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima o in cui le autorità sono state clementi con l’accusato a causa dell’identità della vittima. A Diyarbakır, gli attivisti hanno raccontato ad Amnesty International il caso di un gay pugnalato durante un’aggressione con possibile movente omofobico. Secondo il loro racconto, gli agenti telefonarono alla famiglia della vittima – nonostante egli avesse chiesto di non contattarla – e dissero loro che il figlio era gay, provocando così ulteriori violenze ai suoi danni da parte dei suoi familiari. A marzo 2011, i responsabili dell’aggressione non erano ancora stati arrestati. A İzmir, un attivista e avvocato ha raccontato ad Amnesty International che dopo essere stato aggredito violentemente e derubato, “la polizia [lo] aveva trattato come se fosse il colpevole”. 71 L’articolo 237/1 della legge di procedura penale recita: “La vittima, sia essa persona fisica o giuridica, che è stata danneggiata dal reato, così come gli individui soggetti a risarcimento pecuniario, sono intitolati a intervenire nel procedimento giudiziario pubblico durante il processo presso il tribunale di prima istanza in qualsiasi fase, fino all’emissione del verdetto, per annunciare l’intenzione di avanzare proprie rivendicazioni”. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 31 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Quando era andato a denunciare l’aggressione, gli agenti investigativi gli avevano fatto domande sulla sua vita personale, insinuando che fosse responsabile di aver “incoraggiato” l’aggressione dopo che i presunti colpevoli avevano affermato che egli aveva chiesto loro di fare sesso, spingendoli così ad aggredirlo. L’attivista ha raccontato ad Amnesty International che in seguito a ciò il pubblico ministero non ha chiesto la carcerazione preventiva dei sospetti; essi sono quindi stati incriminati per un reato minore, lasciando così intendere che le autorità ritenevano che essi fossero stati “provocati”. PROCEDIMENTI GIUDIZIARI Nei casi di presunti crimini d’odio i sospetti colpevoli hanno sistematicamente affermato che la vittima aveva preteso di fare sesso o aveva iniziato a farlo e che ciò era stata una “indebita provocazione”. In molte di tali istanze, le autorità giudiziarie non hanno cercato di mettere in discussione tali affermazioni e hanno ridotto effettivamente le condanne accettando l’attenuante dovuta all’identità della vittima. Nei casi del 2010 di cui si è detto in precedenza, in otto casi su dieci il sospetto fermato aveva dichiarato che la vittima aveva preteso di fare o aveva iniziato a fare un atto sessuale indesiderato. Nel caso dell’omicidio di İrem, una transgender uccisa nella città di Bursa, nella parte occidentale del paese, l’asserzione che ella avesse preteso di essere il partner “attivo” in un rapporto sessuale è stata contestata dal fatto che, in tempi recenti, ella si era sottoposta a un intervento chirurgico di riattribuzione di genere. Il fatto che si tenti una difesa di quel genere, nonostante appaia probabile che sia a tutti gli effetti inesatta, è la dimostrazione di quanto l’applicazione della norma sia ampia e discriminatoria. A marzo 2011, il processo per l’omicidio era ancora in corso. Anche in casi precedenti i tribunali sono stati disposti ad accettare che la richiesta di rapporti sessuali omosessuali o l’esistenza di una relazione omosessuale equivalessero a una “provocazione indebita”. Nel processo di un uomo accusato dell’omicidio di una donna che riteneva avesse una relazione con sua moglie, il tribunale ha ammesso che l’esistenza di una relazione omosessuale fosse una “provocazione indebita” e che poteva essere considerata una circostanza attenuante per la condanna. 72 Nel caso dell’omicidio del giornalista gay Abdülbaki Koşar', il responsabile dell’aggressione ha affermato di aver agito dopo che il giornalista gli aveva chiesto di fare sesso. Il tribunale ha accettato il ragionamento che tale pretesa equivaleva a una provocazione indebita, garantendo così l’attenuazione della pena. Il caso è ancora pendente in appello.73 MANCATA APPLICAZIONE DEI MECCANISMI DI PROTEZIONE Le persone Lgbt che hanno parlato con Amnesty International hanno ripetutamente affermato di non essersi rivolte alle autorità per ottenere protezione a causa delle minacce ricevute o per denunciare reati violenti perché ritenevano che, a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere, le autorità non le avrebbero aiutate. I casi come quello di Ahmet Yıldız sono un chiaro esempio del perché vi sia questa mancanza di fiducia. Ahmet Yıldız chiese aiuto alle autorità nel 2007, molti mesi prima dell’aggressione che ne causò la morte. Nella denuncia penale presentata alla procura di stato, Ahmet Yıldız aveva dichiarato che membri della sua famiglia lo stavano minacciando di violenza e aveva chiesto che si indagasse su tali minacce e che gli fosse fornita protezione. Tuttavia, non fu avviata alcuna indagine e il pubblico ministero (erroneamente) affidò la denuncia a un altro ufficio della procura asserendo che era al di fuori della sua giurisdizione (v. p. 27, caso di Ahmet Yıldız). Nei casi di violenza all’interno della famiglia, i meccanismi di protezione non sono disponibili per molte persone a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. È stato spesso riferito 72 Giudizio della seconda Corte penale per reati gravi di Istanbul sul caso dell’omicidio di Yelda Yıldırım, avvenuto nel 2004. 73 Giudizio della sesta Corte penale per reati gravi di Istanbul, 27 febbraio 2007. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 32 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza che donne e uomini transgender, gay, ma soprattutto lesbiche e donne bisessuali hanno subito varie forme di violenza nell’ambito familiare, che comprendevano percosse, imprigionamento tra le mura domestiche (si veda, più sotto, il caso di Irmak) e matrimonio forzato. I meccanismi di tutela per tutte le vittime di violenza all’interno della famiglia continuano a essere inadeguati, mentre la legge che impone alle autorità di fornire rifugio resta inapplicata e le istituzioni per il mantenimento dell’ordine pubblico rimangono riluttanti ad affrontare crimini di violenza intrafamiliare.74 Per esempio, nel 2009 la Corte europea dei diritti umani, esaminando il caso Opuz vs. Turchia, stabilì che le autorità non avevano mantenuto il proprio obbligo di proteggere la ricorrente e sua madre dalla violenza. La corte rilevò violazioni del diritto alla vita e del divieto di tortura e discriminazione. Essa concluse che l’incapacità dello stato – seppur non intenzionale – a proteggere le donne dalla violenza domestica violava il diritto delle donne all’uguale tutela della legge e che in Turchia la generale e discriminatoria passività giudiziaria creava un clima favorevole alla violenza domestica.75 Non esistono rifugi per gay o persone transgender che siano vittime di violenza all’interno della famiglia. Gli attivisti hanno anche riferito ad Amnesty International che alle lesbiche e alle donne bisessuali era impedito di accedere ai rifugi quando era noto il loro orientamento sessuale. IRMAK DI DİYARBAKIR Un delegato di Amnesty International ha intervistato la venticinquenne “Irmak” (nome di fantasia) in merito alle persecuzioni che ha subito come transgender risiedendo prima a Diyarbakır e poi in altre parti dell’Anatolia orientale. Originaria di Diyarbakır, nel sudest della Turchia, Irmak è stata costretta ad abbandonare la casa di famiglia a causa delle gravi violenze e delle minacce di morte ricevute dai suoi familiari e da altre persone. Prima dell’intervista, ha chiesto che non venissero rivelati né il suo vero nome né il suo attuale luogo di residenza per ragioni di sicurezza dovute alle continue minacce di morte. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che durante l’infanzia e l’adolescenza aveva avuto molti problemi per via del suo aspetto effeminato, come quando, per esempio, entrava in un negozio e il negoziante le chiedeva se era un ragazzo o una ragazza, cosa che la metteva molto a disagio. Per strada veniva insultata da estranei che la chiamavano “checca” o “frocio” e l’aggredivano fisicamente per il suo aspetto e la sua evidente mancanza di conformità alle tradizionali norme di genere. Infine, all’età di sedici anni rivelò alla famiglia di sentirsi donna e di essere sessualmente attratta dagli uomini. Soprattutto la reazione del fratello maggiore fu ostile e violenta; la picchiò con accanimento, fratturandole la mascella e il naso. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che la madre voleva intervenire ma aveva paura del figlio ed non era in grado di fermarlo. A seguito delle ferite subite, Irmak fu portata all’ospedale di Diyarbakır, dove fu medicata e dimessa. A causa delle percosse, del rifiuto della famiglia di accettarla e del senso di disperazione che ciò provocò, Irmak tentò di suicidarsi assumendo molte pillole. La madre trovò le confezioni vuote dei medicinali e la portò, priva di sensi, in ospedale; si risvegliò dopo una lavanda gastrica, attaccata a una flebo. La polizia venne a interrogarla, ma Irmak non raccontò loro cosa era realmente accaduto, dicendo invece di aver litigato con degli amici. Pur non credendo alla sua versione, la polizia non riuscì a convincerla a dire la verità. Irmak ha raccontato ad Amnesty International di non aver rivelato alla polizia la ragione dell’aggressione e del tentato suicidio perché non voleva fare ulteriormente soffrire sua madre. Dopo aver trascorso una notte in ospedale, fu dimessa e rimandata a casa. 74 Si veda Women confronting violence within the family, Amnesty International EUR 44/013/2004, giugno 2004, disponibile all’indirizzo http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR44/013/2004. La legge stabilisce che in ogni insediamento con popolazione superiore a 10.000 abitanti vengano istituiti rifugi per donne vittime di violenza domestica. Tuttavia, a fine 2010 il loro numero era ben inferiore a quello richiesto dal diritto interno. Secondo dati ufficiali, in tutta la Turchia nel 2010 esistevano 57 rifugi, otto in più rispetto all’anno precedente. 75 Opuz vs. Turkey, istanza n. 33401/02, giudizio dell’8 giugno 2009. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 33 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Tornata a casa, si sentiva infelice e la famiglia controllava strettamente il suo modo di vestire, i luoghi dove andava e le persone con cui socializzava. A diciotto anni, impossibilitata ad essere se stessa, Irmak non fu più in grado di sopportare la situazione e “fuggì” di casa per andare nel quartiere Beyoğlu di Istanbul, dove pensava che sarebbe stata accettata dalle altre transgender, lontana dalle pressioni e dalle minacce della sua famiglia. Purtroppo, ciò che trovò a Beyoğlu non era l’ambiente sicuro che aveva sperato. Abitava in un albergo e, grazie ai contatti con altre transgender che vivevano in zona, per la prima volta Irmak iniziò ad assumere ormoni. Nonostante il sollievo per essere lontana dalle minacce del fratello, rimase shoccata dalle notizie delle violenze contro altre transgender del quartiere e cominciò a temere per la propria sicurezza. Dopo dieci giorni uno zio, che era riuscito a localizzarla, arrivò all’albergo e la convinse a tornare a casa a Diyarbakır. Il primo giorno, lo zio rimase con la famiglia e, grazie alla sua presenza, Irmak non subì alcuna minaccia, intimidazione o violenza. Tuttavia, il giorno successivo alla partenza dello zio, il fratello maggiore la picchiò gravemente, colpendola con pugni in faccia e prendendola a calci incessantemente fino a stancarsi. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che il fratello minacciò di ucciderla, le confiscò i documenti di identità e le impedì di lasciare l’abitazione. In seguito, il fratello la incatenò al termosifone nella sua camera da letto in modo da consentirle di raggiungere il bagno ma di non poter andare oltre. Irmak rimase incatenata e imprigionata in casa per otto mesi, sotto le costanti minacce di violenza del fratello. La madre era contraria a queste violenze, ma temeva il fratello maggiore e non gli si oppose. Per tutto questo tempo Irmak non lasciò mai la casa e non ebbe alcun contatto con i suoi amici. Dopo circa otto mesi di prigionia in casa, la madre l’aiutò a scappare mentre il fratello era assente. Irmak ha raccontato ad Amnesty International che lasciarono la casa insieme e si recarono a casa di alcuni parenti di sua madre, ma che per timore di essere trovate dal fratello, si trasferirono spesso a casa di vari altri parenti per restare nascoste. In questo periodo, la madre le rivelò di averla aiutata a scappare perché alcuni amici di suo fratello avevano minacciato di uccidere Irmak, cosa che non dubitava avrebbero fatto, e che il giorno prima di allontanarsi da Diyarbakır erano arrivate a casa loro quattro automobili cariche di amici del fratello maggiore. Irmak ha affermato che erano membri di un gruppo religioso radicale con cui il fratello simpatizzava. Essi avevano affermato che era stato deciso che Irmak doveva essere uccisa. Sebbene in seguito la madre tornò a casa a Diyarbakır, avvertì Irmak che tornare a casa per lei non sarebbe stato mai più sicuro e che se l’avesse fatto avrebbe messo a repentaglio la propria vita. A tutt’oggi Irmak non è mai tornata a casa né ha avuto contatti con la famiglia. Nonostante ora viva libera dalla violenza del fratello maggiore, Irmak ha raccontato ad Amnesty International che lotta ancora per vivere una vita normale come transgender. Ha dovuto rinunciare a studiare per i problemi causati dall’avere l’aspetto di una donna e la carta di identità di un uomo, cosa che le ha impedito di accedere all’università. Inoltre ha descritto le continue molestie e discriminazioni che deve sopportare ogni volta che mostra i documenti ai funzionari pubblici perché la sua identità di genere è diversa da quella dichiarata sulla carta, il che provoca domande indiscrete e ritardi. Oltre a ciò, gli insulti che riceve da estranei per strada hanno fatto sì che ora esca di casa soltanto quando necessario e si rechi solo in un ristretto numero di posti fidati. La sua identità di genere e il fatto che sia stata costretta a prostituirsi per la mancanza di qualunque tipo di lavoro disponibile le hanno causato gravi problemi nel trovare una casa, perché i vicini non volevano che abitasse nel loro stesso palazzo. Irmak ha raccontato che i residenti di un palazzo in cui abitava in precedenza l’hanno costretta a lasciare l’appartamento e per un periodo è rimasta senza tetto. Soltanto grazie all’aiuto di un amico, disposto a firmare il contratto di affitto di un appartamento in un palazzo disabitato, è riuscita a trovare un alloggio. Irmak continua a ricevere minacce telefoniche da sconosciuti e teme per la sua vita se la sua famiglia scoprisse dove abita. Ha paura di chiedere protezione alle autorità perché ha timore che non la tutelino in quanto transgender e che rivelino alla sua famiglia dove si trova. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 34 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza EYLÜL DI ESKİŞEHİR Il caso che segue è stato raccontato ad Amnesty International da Eylül, una prostituta transgender di 24 anni che è tra i membri fondatori di MorEl, una rete locale di attivisti Lgbt. Il 1° febbraio 2011, intorno alle 21.30, Eylül ha ricevuto una telefonata da un uomo che diceva di essere un cliente e che le ha fornito un nome che si è rivelato falso. Dopo essersi accordati sul prezzo, l’uomo è arrivato a casa di Eylül. Quando ha rivelato il suo vero nome, Eylül lo ha riconosciuto come l’uomo sospettato di aggressioni e furti ai danni di altre prostitute transgender. Gli ha chiesto di andarsene, ma egli si è rifiutato. Dopo molte minacce, incluse minacce di violenza da parte sua e di altri uomini che avrebbe chiamato per aggredirla, l’uomo l’ha stuprata. L’11 febbraio 2011, Eylül ha sporto denuncia penale ed è stata mandata al servizio di medicina legale per una valutazione fisica e psicologica. Quando, il 17 febbraio, i delegati di Amnesty International hanno parlato con Eylül degli sviluppi del caso, ella ha riferito che lo stesso uomo aveva aggredito un’altra prostituta transgender, alla quale erano stati applicati sei punti di sutura allo stomaco per una coltellata. Questa transgender aveva troppa paura di sporgere denuncia alla polizia. Eylül ha raccontato che era molto preoccupata, che aveva paura di uscire da sola e che stava valutando la possibilità di installare in casa un impianto di sorveglianza a circuito chiuso. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 35 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI Questo rapporto intende mostrare come l’incapacità dello stato a difendere il diritto a non essere discriminati per l’orientamento sessuale o l’identità di genere abbia provocato quotidiane violazioni dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Tra le violazioni vi sono violenza, molestie e il rifiuto di permettere l’accesso a una gamma di diritti sociali ed economici. In conseguenza, il governo deve adottare misure urgenti per proteggere le persone dalla discriminazione per tali ragioni, sia introducendo modifiche legislative, sia vietando ai funzionari pubblici l’uso di un linguaggio discriminatorio, sia adottando una serie di misure positive per promuovere l’uguaglianza. Il rapporto dimostra anche l’inefficacia delle attuali politiche e prassi delle autorità nella lotta a sospetti crimini d’odio. In collaborazione con le organizzazioni per i diritti delle persone Lgbt, le autorità devono sviluppare e applicare misure per prevenire e indagare efficacemente le sospette aggressioni omofobiche e transfobiche. Analogamente, le autorità devono porre fine alle violazioni arbitrarie e discriminatorie dei diritti alla libertà di espressione e di associazione per le persone Lgbt, come documentato in questo rapporto. Al contrario, esse devono garantire che questi diritti universali siano rispettati per tutti senza discriminazioni. Amnesty International ritiene che l’applicazioni delle raccomandazioni che seguono, con la collaborazione e, laddove appropriato, la consultazione dei gruppi per i diritti Lgbt, contribuirebbero in modo significativo a costruire un forte quadro istituzionale e legislativo per il rispetto, la tutela e la promozione del diritto a vivere liberi dalla discriminazione, compresa quella per l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Proibire, nella legge e nella prassi, la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere Ratificare il Protocollo 12 della Convenzione europea sui diritti umanie sulle libertà fondamentali, che contiene una norma indipendente contro la discriminazione. Estendere le tutele costituzionali del diritto alla non discriminazione al fine di includere l’orientamento sessuale e l’identità di genere: Emendare l’articolo 10 della Costituzione per proibire la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere e intraprendere azioni positive per garantire la parità; Estendere le norme antidiscriminatorie al diritto interno al fine di includere i motivi di orientamento sessuale e identità di genere. Introdurre una legislazione completa contro la discriminazione: Emendare la bozza di legge per la lotta alla discriminazione e per la parità inserendo la protezione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere; Assicurarsi che la bozza di legge contenga le necessarie garanzie dell’indipendenza e dell’effettivo funzionamento della Commissione per la parità e la non discriminazione. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 36 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Procedere a una revisione di tutto il diritto interno assicurandosi che le norme discriminatorie vengano eliminate e che le altre norme non causino discriminazione nella pratica. Proibire ai funzionari pubblici l’uso discriminatorio del linguaggio: Assicurarsi che i funzionari pubblici non incoraggino, nelle loro dichiarazioni pubbliche, atteggiamenti negativi verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender; Sanzionare i funzionari pubblici che fanno uso di linguaggio discriminatorio con adeguate misure disciplinari o di altro genere. Adottare misure positive per prevenire la discriminazione: Condurre iniziative di formazione mirate destinate a tutti i funzionari pubblici di ogni settore (compresi magistrati, polizia, insegnanti, operatori sociali, operatori sanitari, autorità locali e così via) sugli standard sulla non discriminazione e sulla parità e sui modi per metterli in atto. Porre fine alla violenza e alle vessazioni delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender da parte di funzionari dello stato Adottare meccanismi preventivi per combattere le violazioni dei diritti umani commesse da funzionari dello stato: Garantire l’installazione e il funzionamento di apparecchiature per la registrazione audio e video nelle stazioni di polizia e nelle stanze degli interrogatori; Ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e renderlo effettivo attraverso la creazione di un meccanismo indipendente di controllo che effettui visite regolari e visite ad hoc senza preavviso in tutti i luoghi di detenzione; Condurre indagini efficaci e imparziali in tutti i casi di presunta tortura o maltrattamenti commessi da funzionari dello stato e portare i sospetti responsabili di tali violazioni dinanzi alla giustizia. Allineare le attività di polizia agli standard internazionali Garantire che la polizia faccia uso della forza solo in accordo agli standard internazionali sui diritti umani: Assicurare che gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza rispettino il divieto assoluto di tortura e altri maltrattamenti, compreso l’uso arbitrario o illecito della forza; Indagare in modo immediato, esauriente, indipendente e imparziale le denunce di tortura o altri maltrattamenti contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender; Porre fine alle vessazioni delle forze di polizia o di sicurezza motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere: Sospendere l’imposizione delle multe previste dalla legge sui reati minori e dalla legge sulla circolazione dei pedoni a causa della loro diffusa applicazione discriminatoria e Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 37 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza arbitraria da parte della polizia fino a che non vengano poste in essere misure che garantiscano che tali leggi non siano utilizzate in modo discriminatorio; Monitorare l’uso delle norme del codice penale sulla resistenza all’arresto e garantire che non vengano avanzate contro-denunce come deterrente alla presentazione di legittime denunce contro gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza. Porre fine alle violenze e alle molestie contro i gay nelle forze armate Riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza e introdurre un servizio civile alternativo al servizio militare, in linea con gli standard e le raccomandazioni sui diritti umani europei e internazionali; Eliminare dal codice penale militare la norma discriminatoria che definisce l’omosessualità come “distrurbo psicosessuale” che impedisce ai gay di prestare servizio nelle forze armate; Indagare in modo immediato, esauriente, indipendente e imparziale le denunce di maltrattamenti e molestie contro i gay nelle forze armate e chiamare i responsabili a rispondere, anche con sanzioni penali se necessario. Rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accesso ai diritti Addestrare il personale dei servizi pubblici all’applicazione degli standard contro la discriminazione e garantire che non siano tollerati comportamenti o linguaggi discriminatori dei funzionari pubblici; Sviluppare procedure rapide e trasparenti per il cambiamento di nome e la riattribuzione di genere di una persona transgender su certificati di nascita, carte di identità, passaporti, certificati di istruzione e altri analoghi documenti; Eliminare il requisito della sterilizzazione forzata e altri trattamenti medici obbligatori come requisiti legali necessari per riconoscere l’identità di genere di una persona nelle leggi che governano le procedure per il cambiamento di nome e la riattribuzione di genere; Garantire che le procedure per la riattribuzione di genere, come il trattamento ormonale e il sostegno psicologico, siano accessibili alle persone transgender e garantire che siano fornite dal servizio sanitario nazionale. Garantire il rispetto per tutti del diritto a un alloggio adeguato Assicurare che le irruzioni della polizia nelle case e i successivi ordini di divieto di ingresso non siano usati come pretesto per vessare le persone transgender; Assicurare che gli sgomberi siano effettuati soltanto come ultima risorsa, dopo l’esame di tutte le alternative possibili allo sgombero stesso e solo quando siano in essere le tutele procedurali richieste dagli standard internazionali sui diritti umani. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 38 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Proteggere il diritto a cercare e ottenere asilo per rifugiati e richiedenti asilo lesbiche, gay, bisessuali e transgender Autorizzare rifugiati e richiedenti asilo Lgbt a risiedere in grandi città della Turchia che abbiano associazioni di solidarietà e comunità Lgbt riconosciute; Facilitare l’immediato trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo da città in cui essi abbiano espresso timori per la propria sicurezza a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere e accelerare le loro richieste d’asilo e di trasferimento in un paese terzo; Garantire che i funzionari pubblici coinvolti nell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo siano formati a valutare le richieste d’asilo motivate da orientamento sessuale e identità di genere. Proteggere il diritto alla libertà di associazione Adottare misure per garantire che sia rispettato il diritto alla libertà di tutte le persone, senza discriminazione: Garantire che il concetto di morale pubblica non venga usato come fondamento per limitare l’esercizio del diritto all’associazione pacifica in base al fatto che tale associazione sostiene differenti orientamenti sessuali o identità di genere; Ricordare ai governatorati provinciali e ai direttorati loro associati che hanno l’obbligo di rispettare e proteggere il diritto di ogni persona alla libertà di associazione, senza discriminazione, compresa quella per l’orientamento sessuale o l’identità di genere, e di adottare misure per eliminare ogni forma di discriminazione motivata da orientamento sessuale o identità di genere. Prevenire i reati violenti contro le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender Adottare misure urgenti per garantire che le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, così come quelle di altri gruppi a rischio, siano protette dalla violenza; Assicurare che il messaggio sia chiaro: i commenti discriminatori di funzionari pubblici, inclusi gli agenti delle forze di polizia o di sicurezza, non saranno tollerati; Pronunciarsi pubblicamente contro i crimini d’odio e impegnarsi a portarne i responsabili dinanzi alla giustizia. Consegnare alla giustizia i responsabili di presunti crimini d’odio In collaborazione con i gruppi per i diritti Lgbt, delineare e adottare misure che incoraggino la denuncia di episodi omofobici e transfobici, come la creazione di agenzie specializzate con personale adeguatamente formato alle quali possano essere segnalati i crimini d’odio; Garantire che tutti gli agenti di polizia ricevano formazione professionale sulla natura dei crimini d’odio e sul ruolo che la polizia deve svolgere per contrastarli; Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 39 “NÉ UNA MALATTIA, NÉ UN CRIMINE” Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia pretendono uguaglianza Introdurre un sistema globale di monitoraggio di tutti quegli episodi che possono costituire crimini d’odio. Il monitoraggio dovrebbe coprire tutte le fasi del procedimento, incluse le denunce presentate, le incriminazioni e le condanne; Permettere alle vittime, alle loro famiglie e ai gruppi Lgbt di essere coinvolti nelle indagini. Amnesty International – EUR 44/001/2011 – giugno 2011 40