Lavorare in Aia. Condizioni di lavoro e relazioni sindacali

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Lavorare in Aia. Condizioni di lavoro e relazioni sindacali
Flai Cgil Veneto
IRES Veneto
Lavorare in Aia.
Condizioni di lavoro e relazioni sindacali
Parte prima
1) Il gruppo Veronesi
L’Aia è il marchio con cui vengono normalmente identificate gran parte delle attività di un gruppo
industriale, il gruppo Veronesi, che in questi anni è venuto conquistando una posizione di rilievo
all’interno del settore agroalimentare nazionale. In realtà, Aia (Agricola Italiana Alimentare) è una
società commerciale che vende carni macellate e lavorate di pollo e affini, acquistandole dagli
stabilimenti produttivi del gruppo che sono raggruppati nella cooperativa “Agricola tre valli”. Per
comodità di esposizione, nel testo si utilizza genericamente il termine Aia quando si parla delle
attività avicole del gruppo Veronesi, quando si parla delle aree di produzione si fa riferimento alle
attività della cooperativa “Agricola tre valli”, mentre quando si intende l’insieme del gruppo ci si
riferisce alla società che controlla i beni della famiglia, la “Finanziaria Veronesi spa”.
Dall’originaria attività molitoria, la famiglia Veronesi ha progressivamente ampliato la propria
gamma di offerta fino a governare l’intera filiera connessa alla produzione di carni avicole e suine.
Per il comparto avicolo, il presidio delle diverse attività include le fasi di lavorazione primaria
(mangimifici e allevamento), la produzione di uova, la prima macellazione e la produzione di
prodotti freschi lavorati; per
le lavorazioni del suino, il processo parte dall’allevamento
dell’animale per concentrarsi nelle fasi di macellazione, preparazione e stagionatura di prosciutti,
wurstel e prodotti collegati.
Malgrado sia ormai consolidata la strategia di allargamento delle produzioni del gruppo al mercato
delle carni suine, rinforzata negli anni recenti con nuove acquisizioni, il ruolo industriale del gruppo
Veronesi rimane fortemente centrato sulle lavorazioni avicole. Si tratta di un’industria che ha
assunto un valore significativo nel quadro dell’economia agroalimentare italiana, rispetto alla quale
Aia ha consolidato un profilo di primo piano: è vero che le caratteristiche peculiari della domanda
hanno favorito la formazione di un mercato nazionale sostanzialmente chiuso, ma ciò ha anche
spinto alla crescita di competitori di elevate dimensioni che contendono ad Aia la leadership
settoriale. I dati disponibili portano a riconoscere all’azienda un ruolo di leader di mercato, almeno
in valore, grazie ad una presenza capillare sul territorio interno che ha portato l’impresa a soddisfare
circa un terzo della domanda totale. Sia per vincoli logistici, che per modelli di consumo, ancora
oggi l’interscambio tra paesi in questo comparto è relativamente poco significativo: malgrado i
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vantaggi di costo dei prodotti di alcuni paesi europei (Polonia) ed extra europei (Brasile), il peso
dell’importazione di carni macellate rimane su livelli modesti, mentre qualche spazio maggiore
trovano le esportazioni, anche se ciò vale soprattutto per i prodotti di seconda lavorazione. Il timore
dell’impresa di una crescita della concorrenza europea, soprattutto tedesca, potrebbe essere
motivata dalla capacità di questo paese di rifornirsi nelle aree a basso costo dell’est Europa e di
ottimizzare la sua nota efficienza nelle strategie di relazione con il mercato.
Il gruppo Veronesi è articolato sostanzialmente in tre divisioni: area agro zootecnica, mangimifici,
produzioni alimentari. Il disegno è completato da attività minori, tra cui spicca il ruolo della
Sogema che svolge servizi, prevalentemente logistici, per l’intero gruppo. In termini di valore la
gerarchia di queste attività attribuisce alle lavorazioni collegate alla produzione alimentare,
comparto avicolo e suini, un ruolo dominante: più dell’80% della produzione del gruppo è garantita
da queste due filiere. Ovviamente, l’articolazione societaria dell’impresa determina una notevole
attività infragruppo, per cui tale fatturato è spartito tra le aziende industriali e quelle commerciali
(Aia per il pollo e Negroni per le carni suine). La quota attribuita alle lavorazioni suinicole è ormai
cospicua, pur se contribuisce in misura relativamente contenuta al fatturato industriale di un gruppo
che mantiene il centro del suo business nelle lavorazioni avicole. In ogni caso, la filiera suinicola è
organizzata in otto stabilimenti (principalmente in Emilia Romagna e in Friuli V. Giulia) e occupa
complessivamente oltre 1300 dipendenti.
A fronte di ciò vi stanno le attività della filiera collegata all’avicolo, composta da allevamenti,
produzione uova, macellazione e lavorazioni delle carni di polli e affini. Non è facile stimare la
effettiva dimensione occupazionale di questa filiera, giacché il gruppo è articolato in molte società e
trattiene rapporti estesi con vari soggetti, fornitori o affidatari delle attività più tipicamente
zootecniche. Per quanto riguarda gli occupati industriali impegnati direttamente nel comparto
avicolo, si possono stimare in una cifra prossima alle 4.500 unità gli addetti della cooperativa
“Agricola tre valli”, cui vanno aggiunti oltre 300 addetti della società agricola “La pellegrina”
(allevamento maiali e pulcini).
Nella geografia societaria del gruppo Veronesi si incrociano un numero considerevole di società,
fittamente legate da interscambi funzionali e strutturali. Al di là delle alchimie contabili finanziarie,
si può semplificare il disegno del gruppo in modo un po’ schematico ma che ha il pregio della
chiarezza. Dal punto di vista funzionale, alla base della filiera vi sono i mangimifici che alimentano
una diffusa rete di allevamenti gestiti con proprie società (La pellegrina) e/o affidate a partner
agricoli, per la produzione degli animali e delle uova. Polli e suini vengono poi venduti alla
cooperativa “Agricola tre valli”, per le attività di macellazione e lavorazione. La cooperativa
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“Agricola tre valli” colloca direttamente sul mercato una parte, minore, di questi prodotti, mentre la
parte maggioritaria viene ceduta alle due società che gestiscono le politiche di commercializzazione
del gruppo: Aia e Negroni. Per la distribuzione del prodotto presso supermercati e punti vendita il
gruppo utilizza i servizi della Sogema, anche in questo caso ricorrendo a forme di affidamento con
operatori esterni. Al vertice di questa piramide, infine, si trova la finanziaria di famiglia, la
“Veronesi Finanziaria spa”, dove vengono consolidate contabilmente le poste di tutte le imprese del
gruppo.
Alla luce di questi elementi appare giustificata la nostra decisione di approfondire l’attività del
segmento avicolo, che rimane il “core business” del gruppo. L’interesse sindacale è motivato dalla
necessità di conoscere meglio la specifica realtà produttiva degli stabilimenti veneti, che sono quelli
dove si concentrano le attività di macellazione e lavorazione del pollo. L’attenzione riservata agli
stabilimenti veneti, peraltro, ha comportato l’esclusione di ogni riferimento alle attività collegate
alle lavorazioni del suino. Si tratta evidentemente di un limite dell’analisi, anche se prima di tutto
questo mancato coordinamento appare un limite sindacale, che in una fase successiva meriterebbe
di venire riconsiderato. Nello specifico, l’indagine socio organizzativa è focalizzata sulle attività
manifatturiere che fanno riferimento alla cooperativa “Agricola tre valli”. Ai fini della valutazione
della scheda di bilancio presentata più avanti, è opportuno ricordare che, contabilmente, la
cooperativa “Agricola tre valli” comprende sia le attività dei mangimifici e le fasi di lavorazione
industriale del pollo, che le attività suinicole, con la macellazione e la preparazione di prosciutti e
affini.
Il ciclo produttivo dell’allevamento e delle produzione degli animali da cortile ha radici antiche,
ma, trasformandosi in moderni centri di produzione industriale, le attività hanno dato vita ad
ambienti molto peculiari, con conseguenze sociali ed organizzative che meritano di essere
adeguatamente studiate. Come detto, l’industria avicola nazionale ha raggiunto un peso economico
rilevante, sulla spinta di una riorganizzazione che ha meglio definito il profilo produttivo del
settore: la ricerca di economie di scala ha portato alla formazione di imprese manifatturiere di
grandi dimensioni, con effetti rilevanti in termini di dinamiche produttive, di
modelli socio
organizzativi e di impatto sul territorio circostante. La nostra ricognizione non intende rappresentare
in modo esaustivo il funzionamento di questo sistema, ma vuole segnalare che le tematiche
sindacali assumono dei connotati che non possono prescindere dalla particolarità di questi ambienti
produttivi: la riflessione va orientata su dimensioni e aspetti che solitamente non sono al centro
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dell’iniziativa sindacale, ma la cui comprensione appare invece la premessa per immaginare più
efficaci strategie di tutela dei lavoratori.
In chiusura di questa introduzione generale pare opportuno richiamare una specifica difficoltà
incontrata nell’analisi che aiuta, pur indirettamente, a comprendere le difficoltà del sindacato.
D’altro canto il comparto avicolo prospetta un tale
intreccio di problematiche produttive, di
mercato, sociali e organizzative, che non deve sorprendere se anche l’organizzazione sindacale è
tentata di leggere in modo semplificato le dinamiche aziendali. Nel caso specifico dell’Aia, e dei
suoi concorrenti, chi volesse approfondire in modo non superficiale la situazione incontra non pochi
ostacoli nell’accedere a fonti informative adeguate. Se nei comparti dell’alimentare le politiche di
comunicazione sono particolarmente importanti, e anche l’Aia adotta strategie di promozione del
prodotto e del marchio in linea con regole settoriali che prevedono di fidelizzare e rassicurare la
domanda con un forte impegno pubblicitario, questo impegno è molto minore su altri fronti. Per
quel che riguarda il profilo dell’impresa, infatti, la tendenza sembra quella di lesinare le
informazioni offerte al mercato, cercando di separare nettamente la pubblicizzazione del prodotto
dalla conoscenza della situazione strutturale, produttiva e organizzativa. Tanta riservatezza può
avere ragioni psicologiche, che rimandano alla peculiarità di cicli di lavorazione che
inevitabilmente presentano degli aspetti poco gradevoli, ma tale preoccupazione si estende anche ad
altri aspetti
che i consumatori, o comunque gli osservatori esterni,
possono legittimamente
reclamare. Ma la disponibilità a presentare la propria filosofia di impresa non sembra incontrare nel
settore grande attenzione: le aziende appaiono sospettose e diffidenti rispetto ad ogni tipo di
valutazione esterna, quasi che le vicende aziendali riguardassero solo la proprietà e non i
consumatori o gli analisti. Mentre forniscono di sé e dei propri prodotti una immagine banalmente
pubblicitaria, esse non sembrano interessate a costruire una strategia di trasparenza e di
comunicazione libera con il mondo esterno. Una cultura comunicativa unidirezionale dimentica che
per i prodotti alimentari, ancor più di quanto progressivamente avviene in tutti i settori, il
consumatore diviene sempre più esigente rispetto alle informazioni relative al modo di essere
dell’azienda, alla sua filosofia produttiva, informazioni che non sono surrogate dalle consuete
politiche promozionali. Paradossalmente, il successo di qualche campagna pubblicitaria originale, si
pensi a quelle che puntano sul proprietario come “testimonial” del prodotto, potrebbe avere esiti
controproducenti: la formula può risultare accattivante e funzionare per un po’, ma alla lunga
rischia di trasformarsi in un boomerang perché tende ad instaurare con i consumatori una relazione
semplicistica ed epidermica, elusiva di quelli che sono i veri fattori critici per la decisione di
acquisto.
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2) Il disegno strategico del gruppo e le attività di produzione
Il profilo strutturale dell’Aia emerge con adeguata evidenza se ne ripercorriamo l’articolazione
produttiva. Come s’è visto il gruppo integra le lavorazioni industriali a monte (i mangimifici) con
delle attività tipicamente agricole (l’allevamento) ed il ciclo manifatturiero, in modo da gestire
l’intera filiera produttiva, dai mangimi e l’allevamento di pulcini e uova fino al canale distributivo.
Le attività produttive sono organizzate per tipologia di prodotto e possono contare su numerosi
stabilimenti. Le attività di macellazione e lavorazione delle carni avicole, che richiedono
tipicamente unità produttive di medio grande dimensione, sono concentrate nel territorio veneto;
solo di recente si sta realizzando un ampliamento in altre regioni a seguito di operazioni di
acquisizione (l’ex gruppo Arena) ancora in corso.
Malgrado, come si è detto, si stia diffondendo qualche preoccupazione per la crescita delle
produzioni estere, la concorrenza rimane sostanzialmente nazionale, soprattutto in relazione al peso
di fattori come il costo del trasporto e la necessità di garantire la freschezza del prodotto. Questo
controllo del mercato interno, peraltro, è reso più problematico dal fatto che il nostro paese dipende
largamente dall’estero per l’approvvigionamento delle materie necessarie ad alimentare gli animali:
si tratta di un vincolo che introduce un elemento di incertezza e instabilità nella determinazione dei
prezzi e dei margini, ma che può avere conseguenze anche sui livelli della domanda.
Negli ultimi anni il core business dell’impresa, la produzione di prodotti avicoli macellati, ha tratto
beneficio da un andamento della domanda tendenzialmente crescente, risentendo in misura
moderata di alcune flessioni congiunturali. A fronte di una condizione positiva per quanto riguarda
la recettività del mercato, il settore risente di dinamiche competitive che determinano una ridotta
redditività. Ne consegue il vincolo per le imprese del settore di ottimizzare le fasi della filiera, di
gestire il processo produttivo con la massima efficienza, di generare valore da attività di
arricchimento del prodotto (seconde lavorazioni) o da nuove modalità di servizio (in proprio o in
outsourcing).
In prospettiva, le aziende del settore hanno di fronte delle opzioni strategiche ben definite (non
tutte, ovviamente, facilmente praticabili): tra queste si possono segnalare l’importanza di avvicinare
i luoghi di produzione alle aree di domanda, di migliorare l’efficienza di sistema, di arricchire la
gamma produttiva con prodotti a maggiore contenuto di valore, di progettare e gestire servizi
remunerativi, di conquistare nuove aree di domanda differenziando il
prodotto e/o aprendosi
maggiormente all’estero.
Per molte ragioni, gli interventi di Aia che in tempi brevi potrebbero dare un buon ritorno
economico passano attraverso un tendenziale ridimensionamento della concentrazione produttiva in
Veneto. Una migliore copertura del territorio nazionale potrebbe favorire un ulteriore allargamento
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del gruppo: il potenziamento delle capacità produttive, plausibilmente mediante l’acquisizione di
nuovi stabilimenti, consentirebbe di coprire in maniera più omogenea il territorio nazionale
migliorando la penetrazione di mercato in aree che oggi hanno consumi ridotti. Per le caratteristiche
del comparto non va dimenticato che lo stabilimento di macellazione è solo il terminale del ciclo
produttivo e, quindi, lo sviluppo di nuove unità porta con sé la necessità di organizzare l’intera
filiera a ridosso del macello.
L’ampliamento del peso dei mercati esteri potrebbe essere affidato allo sviluppo delle linee di
prodotti pronti o a politiche di investimento nei paesi dell’est europeo, mentre decisamente più
problematica appare una strategia di crescita che ipotizzi la possibilità di allargare la propria
presenza su mercati europei più evoluti. In via di ipotesi si potrebbe attribuire un certo fondamento
all’idea di avviare un riposizionamento competitivo, puntando ad andare oltre la filiera di carni
avicole e insaccati. Questa possibilità potrebbe essere immaginata come una risposta alla difficoltà
di incrementare le quote di mercato detenute dall’azienda, tenendo conto che, anche nella posizione
di leadership, il recupero di ulteriori spazi comporta un impegno crescente. E’ proprio questo ruolo
che potrebbe giustificare il tentativo di sfruttare economie di scala che permettano di entrare in
nuovi segmenti di mercato, soprattutto se questi risultassero più interessanti in termini di redditività
e di difesa dei margini. Si tratta indubbiamente di un passaggio delicato che richiederebbe una
strategia di crescita di tipo più globale e la capacità di misurarsi con nuove sfide in ordine allo
sviluppo degli assetti produttivi, alle necessità di investimento, alle politiche di ridefinizione
dell’immagine aziendale.
3) Lavoro e sindacato nelle aree di produzione
Il presupposto dell’analisi è quello di offrire una lettura che faciliti proposte di intervento e di
iniziativa sindacale all’Aia. Ciò comporta saper individuare quei fattori che risultano rilevanti per
l’insediamento sindacale, così da costruire una presenza che sia coerente con la particolare
configurazione del sistema aziendale e le sue dinamiche strutturali. In ambienti così complessi
appare sensato ipotizzare che è prioritario comprendere come agiscono i fattori che caratterizzano
questo peculiare ambiente socio produttivo e,
solo successivamente e a partire da questi,
progettare la linea di intervento sindacale.
a) la composizione sociale
Gli aspetti socio organizzativi delle strutture produttive del comparto avicolo descrivono una
situazione che si differenzia da ogni altro contesto industriale. Le attività di macellazione hanno
caratteri di organizzazione e prestazione che sono poco paragonabili ad altre lavorazioni del settore
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alimentare. Questa considerazione apparentemente banale va presa sul serio, giacché indica che
l’universo materiale e simbolico con cui deve misurarsi l’azione di rappresentanza non è facilmente
mutuabile da altre esperienze.
Per approfondire alcuni aspetti di questo quadro si può iniziare con il riconoscere che si tratta
generalmente di unità produttive medio-grandi (solo lo stabilimento di S. Giorgio in Bosco, in
provincia di Padova, ha meno di 200 dipendenti), soprattutto in relazione ai parametri tipici
dell’industria veneta. Un’altra particolarità ben visibile è che queste strutture produttive sono
largamente focalizzate sulle attività di trasformazione fisica. Sono previsti processi lavorativi
ripetitivi e standardizzati, che finiscono per accentuare il carattere di onerosità e di sgradevolezza di
molte attività. Questo assetto produttivo è funzionale a strategie aziendali che mettono al primo
posto il vincolo dell’efficienza e della fluidità del ciclo, puntando a risposte che massimizzano la
flessibilità del processo, con la conseguenza, sul terreno organizzativo, di dare forte rilievo alle
forme di controllo gerarchico. In queste strutture è relativamente modesta la presenza delle funzioni
tecnico amministrative, che si concentrano prevalentemente presso lo stabilimento maggiore di S.
Martino Buon Albergo, nel veronese (anche se molti degli impiegati presenti in questo stabilimento
sono alle dipendenze della società commerciale, l’Aia). Negli altri stabilimenti la presenza di
impiegati e tecnici è ridotta al minimo: solo nel sito di Villaganzerla (Vicenza) vi è un numero di
impiegati superiore alla media e resta da capire se ciò ha giustificazioni produttive o se si tratta di
un’anomalia destinata ad essere superata.
Il ciclo della macellazione delle carni si svolge in condizioni che rendono la prestazione di lavoro
particolarmente gravosa. Significativo è che queste tipologie di impresa sono state fra le prime a
ricorrere in modo intensivo all’impiego di forza lavoro immigrata. Tradizionalmente la necessità di
lavorazioni di taglio e sezionamento ha comportato un largo impiego di manodopera femminile. In
anni recenti questa componente è stata integrata, o sostituita, con lavoratori/lavoratrici immigrati,
rendendo visibile il potenziale accendersi di una concorrenza sul mercato del lavoro. La
ricostruzione di questo processo sostitutivo/integrativo all’Aia, tuttavia, rivela che l’inserimento di
lavoratori stranieri ha tassi di incidenza molto diversi nei vari stabilimenti, come se le scelte
dell’azienda fossero condizionate dalle caratteristiche dei mercati del lavoro locali. Un altro
elemento che merita di venire segnalato è che nell’inserire i lavoratori stranieri in fabbrica l’azienda
si preoccupa di attingere in modo diversificato all’offerta, forse per impedire che all’interno degli
stabilimenti si formino coalizioni etniche che potrebbero mettere in moto logiche poco controllabili.
Non a caso, l’azienda segnala che nei suoi stabilimenti sono presenti lavoratori provenienti da ben
51 diversi paesi.
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Questo universo sociale composito, peraltro, tende a determinare delle condizioni di rilevante
complessità gestionale, con la possibilità che si sviluppino esplicite forme di conflitto tra i
lavoratori. L’esito più probabile, non si sa quanto voluto ma visibile, è quello di scaricare queste
difficoltà sul sindacato rendendone più complicata l’azione, mentre l’azienda può ritenere di avere
sufficienti strumenti per minimizzare gli effetti sui processi lavorativi di una eventuale
contrapposizione tra gruppi di lavoratori.
Normalmente il ricorso a manodopera straniera ha tra i suoi obiettivi quello di consentire una
gestione intrinsecamente flessibile della forza lavoro (estensione del lavoro a tempo determinato,
elasticità d’orario, turn over, ecc.). Anche grazie a questa opportunità,
l’azienda ha
progressivamente consolidato un assetto organizzativo che si appoggia largamente sulle forme di
lavoro flessibile. Ne è una riprova l’ampiezza della quota di lavoro a tempo determinato (in tutti gli
stabilimenti) o il rilevante ricorso a lavorazioni in appalto o a cooperative (S. Martino e Nogarole
Rocca). Questi dati di composizione sociale aiutano a rappresentare un sistema produttivo in cui
l’azione di tutela deve fare i conti con un ambiente sociale particolarmente complesso: molte risorse
sindacali sono assorbite dalla necessità di garantire un governo delle relazioni tra i lavoratori,
sottraendo spazio ad iniziative di altro segno.
Riportando questi elementi ad una considerazione di sintesi sul sistema produttivo dell’Aia (con
quello che ciò significa in termini di gestione della rappresentanza) si può fissare questo quadro:
medie-grandi dimensioni di stabilimento; prevalenza assoluta delle lavorazioni produttive (di tipo
manuale); processi standardizzati, ripetitivi e onerosi;
potenziale esposizione al conflitto
concorrenziale tra figure deboli sul mercato del lavoro (donne italiane versus immigrati maschi);
quota molto rilevante di impieghi flessibili, ad alto grado di instabilità e con deboli requisiti
professionali.
AIA: “Agricola tre valli” (avicolo): dipendenti, composizione e condizione di lavoro
Stabilimenti
avicoli
addetti
di cui: donne
di cui: tecnici
e impiegati
di cui:
immigrati
di cui: a
tempo deter.
addetti
appalti
S. Martino Vr
2086
683
282
274
357
402
Nogarole
Vr
1263
533
36
506
314
40
Zevio
Vr
363
159
37
26
98
22
VillaganzerlaVi
275
84
41
54
83
0
Vazzola
Tv
331
181
7
227
111
0
S. Giorgio
Pd
152
72
9
109
43
9
4470
1712
412
1196
1006
473
Totale
8
b) la presenza del sindacato
Il quadro della presenza sindacale negli stabilimenti avicoli prospetta una situazione di luci ed
ombre. In particolare, vanno segnalate le difficoltà di sindacalizzazione che si registrano all’interno
di alcuni stabilimenti cruciali del gruppo (S. Martino e Zevio) e le difficoltà che presumibilmente
derivano dalla presenza di un’organizzazione non confederale (Filaia Cisal) negli stabilimenti
veronesi.
Anche grazie a questo sindacato aziendale si può registrare un tasso medio di
sindacalizzazione del gruppo più che discreto (40,3%), tanto più apprezzabile se si tiene conto del
peso dei lavoratori a termine (addetti a tempo determinato/avventizi e dipendenti da cooperative o
appalti) che sono spesso refrattari all’iscrizione sindacale.
Paradossalmente, un fattore che
favorisce l’aumento del tasso di sindacalizzazione può essere indicato nella forte componente di
lavoratori immigrati, giacché normalmente questi soggetti tendono a manifestare una propensione
all’iscrizione sindacale più elevata della media, pur se nel contempo chiedono all’organizzazione di
sviluppare delle forme di tutela più duttili e recettive delle loro attese.
All’interno di questo scenario risulta abbastanza complicato valutare il ruolo effettivo svolto dalla
Flai Cgil. L’incidenza di questa organizzazione è significativa solo all’interno degli stabilimenti
“periferici” del gruppo (oltre a S. Giorgio in Bosco dove è sindacato di maggioranza, Villaganzerla
e Vazzola). A S. Martino la presenza della Flai Cgil mostra maggiore equilibrio rispetto agli altri
sindacati, ma questo risultato va commisurato alla modesta sindacalizzazione complessiva di quel
stabilimento. Negli altri stabilimenti veronesi, che insieme a S. Martino rappresentano il cuore
produttivo e politico del gruppo, invece, l’insediamento della Flai Cgil sconta una evidente
condizione di difficoltà (per lo meno in termini di adesioni formali alla categoria). Questo elemento
si riflette inevitabilmente anche sugli equilibri all’interno degli organismi di rappresentanza, dove
l’iniziativa politica cui sono chiamati i rappresentanti della categoria deve mostrarsi molto efficace
per poter ovviare ad una condizione di oggettiva minoranza.
AIA: “Agricola tre valli” (avicolo): iscritti al sindacato e ruolo Flai-Cgil
Stabilimenti
avicoli
S. Martino
Nogarole
Zevio
Villaganzerla
Vazzola
S. Giorgio
Totale
Iscritti al sindacato
500
738
81
169
201
115
1804
Tasso di
sindacalizzazione
24%
60%
22%
60%
60%
75%
40%
9
Rsu flai/totale
6 (24)
3 (15)
1 (6)
3 (6)
2 (6)
2 (3)
17 (60)
c) le relazioni sindacali
I semplici dati di presenza degli iscritti non possono supportare in modo adeguato la lettura delle
dinamiche organizzative, ma consentono una prima analisi, dal carattere necessariamente
impressionistico, delle variabili che regolano il processo di relazioni sindacali all’interno del
gruppo. Dai primi elementi raccolti sembra di poter dire che le specifiche condizioni di lavoro del
comparto favoriscono un quadro di relazioni con l’azienda di tipo tradizionale, molto centrato sui
problemi connessi alla prestazione e sul consolidamento di forme di tutela di base.
Come già in parte anticipato, l’osservazione suggerisce che la particolare struttura socio produttiva
di questo comparto determina situazioni di non facile gestione sindacale. Innanzitutto, va ricordato
che la criticità delle condizioni ambientali (lavori pesanti e sgradevoli, ritmi della catena, umidità,
ecc.) non necessariamente si trasforma in un fattore di coesione sociale, giacché una composizione
sociale così differenziata è facile che produca reazioni molto difformi. In tale contesto, quindi,
tendono a crearsi condizioni che mettono in tensione l’intervento sindacale: la cosa più evidente è
che le aspettative dei vari gruppi di lavoratori appaiano poco conciliabili tra di loro, si pensi
soprattutto agli immigrati, ma anche alle diversità tra uomini e donne, o tra lavoratori stabili e a
tempo determinato. Occorre pure tener conto che quando le condizioni di vita lavorativa sono così
“estreme” si determinano degli stati di
malessere che possono manifestarsi in modo poco
prevedibile, con fenomeni conflittuali difficili da gestire e da condurre ad esiti efficaci. Infine, la
compresenza di diversi regimi di impiego (lavoratori a tempo determinato, in appalto, ecc.) richiede
un difficile equilibrio nell’esercizio del compito sindacale, che deve saper garantire la tutela del
nucleo più stabile senza negare le aspettative dell’area più precarizzata.
Tra i problemi impliciti posti al sindacato da questo ambiente, non va sottovalutata la possibilità di
un effetto di “spiazzamento”, innestato dal contrasto tra le politiche di gruppo, che seguono
logiche di grande impresa con riferimento ad una crescente competizione di mercato, in prospettiva
ancor più aggressiva di quanto non sia già evidente oggi, e il vissuto soggettivo di una comunità di
lavoratori diseguale. Questi ultimi sono “inevitabilmente” poco sensibili alle questioni di carattere
più strategico, presi come sono dalla necessità di garantirsi migliori condizioni di lavoro.
Tra gli elementi che emergono dagli umori di fabbrica vanno indagati quei meccanismi di
aspettativa che sembrano mettere in dubbio l’idea di appartenere ad un’unica comunità di lavoro.
Da alcuni segnali si intuisce che mentre i lavoratori degli stabilimenti veronesi sono consapevoli di
una loro centralità, cui corrisponde un qualche processo di identificazione con l’impresa, questo
sentimento di appartenenza appare molto meno diffuso tra i lavoratori delle altre unità produttive.
Se le politiche contrattuali, anche per il ruolo assunto dalla contrattazione regionale di gruppo,
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tendono a divenire più omogenee, questa diversa percezione continua ad avere dei riflessi sulle
concrete pratiche sindacali, alimentando una diversità di atteggiamento nei vari stabilimenti.
Le politiche produttive dell’azienda si muovono secondo logiche di integrazione organizzativa
funzionali ai compiti dei diversi stabilimenti, le azioni sindacali sono soggette a qualche maggiore
adattamento: ovviamente, l’attenzione per lo specifico contesto in cui si opera è del tutto
giustificato, salvo che non ne derivi la ricerca di soluzioni poco coerenti con il quadro complessivo.
Tra le ragioni materiali che favoriscono questi scostamenti sembra evidente l’influenza dovuta alle
peculiarità dei luoghi produttivi, dove può pesare la specifica composizione sociale, il rapporto con
il mercato locale del lavoro, le vicende collegate alla storia aziendale. Peraltro, questo modesto
legame collettivo sembra favorito da strategie dell’impresa che privilegiano gli stabilimenti
veronesi: con un certo fondamento i lavoratori degli stabilimenti veronesi si sentono, e
probabilmente lo sono,
al centro dell’interesse dell’azienda (anche per quel che riguarda gli
investimenti sui prodotti più innovativi)
determinazione delle politiche sindacali.
e ciò conferisce loro un ruolo cruciale nella
Questo aspetto tende a mantenere la distanza tra i
lavoratori dei diversi stabilimenti, obbligando le strutture sindacali delle unità periferiche a coltivare
qualche pratica autonoma per gestire in proprio problemi che trovano risposte soddisfacenti solo in
una relazione più diretta con le direzioni locali.
La complessità della situazione risulta anche dal manifestarsi di stati di tensione che con una certa
frequenza sfociano in forme di conflitto e contrapposizione, anche se non sempre ciò dà luogo a
scioperi o ad altre iniziative radicali. Non va dimenticato che i fattori sommariamente elencati
(varietà della composizione sociale, onerosità delle prestazioni, disagio ambientale,
grande
dimensione delle strutture produttive, ecc.) determinano delle condizioni di vita e di lavoro che sono
molto impegnative per chi deve governare i processi, e ciò tendenzialmente vale sia per l’azienda
che per il sindacato. Se le complessità di governo del sistema sono stressanti per l’impresa, è
altrettanto chiaro che le attese dei lavoratori possono risultare sovradimensionate rispetto alle
possibilità di risposta del sindacato. Tale complessità dovrebbe spingere a costruire un quadro
condiviso delle questioni dirimenti per la gestione delle relazioni di lavoro, favorendo una azione
più aperta dell’azienda e una qualificazione del ruolo di rappresentanza contrattuale del sindacato.
4) Le zone non esplorate dall’indagine (comparti non avicoli, impiegati, cooperative, appalti)
Il progetto di ricerca ha inteso definire un perimetro dell’indagine che puntava lo sguardo sulle
attività manifatturiere del comparto avicolo e ciò ha escluso dall’analisi non solo le produzioni
zootecniche e i mangimifici, ma anche le lavorazioni legate alle carni suine. La produzione di carni
suine ha un peso ancora modesto nell’economia del gruppo, ma nel considerare il suo valore si deve
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tener conto che esse hanno consentito l’allargamento della gamma di offerta del gruppo e
potrebbero costituire la base per un posizionamento più articolato dell’impresa sui nuovi mercati,
specie all’estero.
Al limite derivante da questa esclusione, si aggiunge l’impossibilità di esplorare altri aspetti delle
realtà dell’Aia. La ricerca si è mossa necessariamente lungo i contorni della presenza sindacale, che
a propria volta risentono delle condizioni offerte dai processi di organizzazione dell’impresa.
Storicamente è dimostrato che il cuore produttivo delle aziende viene più facilmente raggiunto dalle
azioni di radicamento sindacale, mentre le funzioni più laterali tendono a sottrarsi a questo
coinvolgimento o producono delle resistenze non facilmente superabili.
Ciò succede anche nell’esperienza del gruppo Aia, dove le resistenze ad una efficace copertura
sindacale sono di vario tipo. Sul terreno direttamente produttivo l’ostacolo maggiore è rappresentato
dall’iniziativa dell’impresa di affidare alcune fasi delle prime lavorazioni a strutture esterne, con
l’evidente effetto di indebolire la continuità e la solidità del legame produttivo tra i lavoratori del
ciclo. Le regole del processo, poi, prevedono un largo uso di forme di flessibilità produttiva, tramite
il ricorso a lavoratori avventizi, creando una oggettiva distanza tra i lavoratori in relazione alla
diversa forma d’impiego.
Un ulteriore limite della presa sindacale si realizza sul fronte organizzativo, laddove la criticità più
ricorrente è la difficoltà di costruire un rapporto con le figure professionali non operaie, impiegati e
tecnici. Su questi meccanismi di distinzione tecnica e sociale molte aziende fanno leva per
accentuare forme di distanza e di separatezza tra lavoratori. Nel caso dell’Aia si può dire che le
modalità sono congiunte, nel senso che vi è un elevato ricorso alla flessibilità e insieme un netto
rifiuto di acconsentire alla sindacalizzazione di tecnici e impiegati. Peraltro, mentre la
differenziazione professionale tra impiegati e tecnici ha ragioni obiettive (per quanto in Aia
prevalgano funzioni tecnico impiegatizie che dal punto di vista professionale sono relativamente
semplici e routinarie), la frantumazione delle condizioni di omogeneità organizzativa tra gli operai
ha poche ragioni funzionali e molte motivazioni sindacali.
La necessità di un diverso inquadramento degli addetti alle operazioni produttive, anche ricorrendo
ad artifici normativi che in questi anni sono stati partoriti con fervida fantasia, è in termini di
contenuto inconsistente, giacché i problemi stanno piuttosto nella scelta del modello di regolazione
sindacale che si vuole affermare. Più complicato è il riferimento al rapporto con gli impiegati, pur
se è noto che in certe aree si tratta di una difficoltà che segnala forme di resistenza culturale più che
tutela delle differenze. Tali resistenze vengono normalmente alimentate da idiosincrasie aziendali
ed è ciò che sembra prodursi anche all’interno del gruppo in questione. Nello specifico si può dire
che l’area tecnico impiegatizia che insiste sugli stabilimenti produttivi viene gestita come se si
12
trattasse di una comunità del tutto separata dal resto dell’universo lavorativo circostante. Non vi è
nulla di nuovo nel tendenziale rifiuto dell’imprenditoria veneta di ammettere che i processi di
sindacalizzazione possano coinvolgere anche queste figure, ma non smette si stupire la pressione,
implicita ed esplicita, che le aziende esercitano affinché gli impiegati siano sottratti all’influenza
sindacale. La situazione è tanto più singolare se si considera che Aia propone un assetto tecnico
impiegatizio poco significativo, sia in termini di consistenza numerica che dal punto di vista del
rilievo professionale. Ciò potrebbe voler significare che le funzioni di maggior qualità sono
collocate alla testa del gruppo, mentre negli stabilimenti, dove vi sono le funzioni più correnti,
proprio la modesta distanza professionale tra impiegati e operai obbliga a erigere barriere più forti
per impedire l’avvicinamento. Ma non è escluso che si tratti, in ultima istanza, di una sorta di
chiusura culturale, che contempla la possibilità che lavoratori di modesto livello si rivolgano al
sindacato, mentre le figure di qualche distinzione devono fare riferimento solo all’impresa.
Al netto delle carenze che si possono attribuire all’azione
sindacale (poca attenzione alle
specificità, scarsa considerazione dei fabbisogni specifici, assenza di politiche mirate e strategie
cooperative, ecc.), la resistenza che gli impiegati oppongono ai tentativi di sindacalizzazione si può
spiegare solo come il riflesso di esplicite aspettative dell’impresa. Anche per questi motivi in questa
indagine il rapporto con gli impiegati è risultato molto faticoso, pressoché clandestino, privo di ogni
possibilità di confronto vero e di raccolta delle loro libere opinioni.
Allegato: le performance economico finanziarie dell’Agricola Tre valli
L’analisi dell’andamento economico finanziario dell’Agricola Tre valli consente di ampliare
l’osservazione sulla situazione dell’area industriale presa in esame. Le valutazioni devono tener
conto dell’elevato livello delle operazioni infragruppo (sia tra società di produzione e di
commercializzazione, sia tra queste e la finanziaria di famiglia). E’ prevedibile che nella
costruzione del bilancio consolidato un gruppo gestisca le poste dei movimenti infragruppo secondo
criteri di opportunità, che rendono molto complicata una lettura puntuale dell’effettivo contributo
apportato dalle singole strutture. Questo problema non è del tutto evitabile nemmeno concentrando
l’attenzione, come facciamo noi, sui risultati degli stabilimenti di produzione, per cui è probabile
che i risultati del bilancio dell’azienda risentano delle scelte contabili del gruppo. Malgrado questi
limiti il quadro che esce da questa osservazione fornisce delle informazioni importanti sullo stato
dell’impresa e sulle possibili linee evolutive delle sue politiche.
E’ quindi buona regola integrare le riflessioni sulle dinamiche aziendali con il monitoraggio delle
performance economico produttive, trovando in questi elementi gli indizi che possono aiutare a
comprendere meglio l’agire delle variabili qualitative e quantitative.
13
Nel biennio 2008/2009 non si può dire che la cooperativa “Agricola tre valli”, al pari dell’intero
comparto, abbia risentito della crisi che ha colpito l’economia mondiale: nel 2008 la crescita del
fatturato è stata impetuosa e solo nel corso del 2009 si è assistito ad una decisa frenata. Tuttavia, la
gestione non si è mostrata in grado di reagire adeguatamente all’evoluzione del mercato,
muovendosi con difficoltà nel nuovo quadro congiunturale. Nel corso di questi due anni i margini si
sono considerevolmente ridotti determinando un risultato netto negativo, anche se nell’ultimo anno
la perdita risulta fortemente ridimensionata.
Merita di segnalare che se l’intero comparto mostra una ridotta capacità di produrre margini, la
situazione è ancor più problematica per la ”Agricola tre valli”, con l’handicap ulteriore di
un’incidenza del costo del lavoro sui ricavi decisamente superiore a quella dei concorrenti. In
effetti gli indicatori di produttività segnano un apparente svantaggio dell’azienda rispetto alle medie
settoriali, ma questa dinamica pare essere, almeno in parte, dovuta ad un diverso livello di
integrazione produttiva rispetto ai concorrenti.
Gli indicatori di redditività mostrano che nell’ultimo biennio l’azienda ha decisamente peggiorato le
proprie performance, a riprova che nelle difficoltà della crisi l’azienda s’è mossa in maniera tale da
risultare penalizzata rispetto i propri concorrenti anche sul terreno dei margini. Su questo aspetto,
peraltro, le valutazioni devono essere prudenti, giacché questo risultato potrebbe anche dipendere da
una strategia volta
ad ampliare le quote di mercato: un’azienda solida può puntare, in una
determinata congiuntura, a sottrarre spazi di mercato ai concorrenti in difficoltà con politiche di
penetrazione che altre aziende non possono sostenere.
Segnali di un appesantimento si riscontrano anche per quel che riguarda l’indebitamento, pure se
questo risultato va inscritto in un contesto che vede l’intero comparto caratterizzarsi per una
esposizione debitoria molto elevata.
La gestione del capitale circolante risulta efficiente, con una buona gestione delle scorte e una
leggera penalizzazione dovuta a criteri di pagamento dei fornitori più ravvicinata della media.
Pur con la dovuta prudenza indotta dalla mancanza di informazioni sul ruolo delle operazioni
infragruppo, i dati di bilancio segnalano che l’azienda non ha risentito più di tanto della crisi in
termini meramente produttivi, mentre sul terreno della gestione (controllo dei costi, efficienza
organizzativa, rapporto con fornitori e clienti, ecc.) sembra aver risposto con minore reattività da
quella richiesta per una efficace difesa dei margini e dell’efficienza produttiva.
14
15
Parte seconda
1) Realtà d’impresa e complessità dell’azione sindacale
Le difficoltà registrate dal sindacato nel gestire i processi di tutela dei lavoratori del gruppo
Veronesi trovano una spiegazione nella peculiare natura (sociale, produttiva e organizzativa) delle
aziende di questo comparto. Malgrado la presenza del sindacato in Aia risalga a molti anni addietro,
l’azione di rappresentanza appare condizionata da una serie di ragioni culturali e strutturali tipiche
delle realtà che incrociano mondo di fabbrica e società agricola. E’ noto che in contesti di questo
tipo risulta più difficile unificare soggetti che mantengono rapporti ambivalenti con la realtà di
fabbrica: essi combinano più fonti di reddito; affidano al lavoro in azienda il compito di integrare
altre attività sentite come maggiormente proprie; prediligono forme di relazioni individuali anche
queste determinano uno stato di forte dipendenza; guardano con sospetto le modalità d’azione e
d’organizzazione del sindacato industriale.
Questo quadro diviene ancor più complicato in concomitanza della progressiva apertura della
fabbrica all’occupazione femminile. Tale dinamica ha rappresentato un elemento di grande novità
sociale
ma,
pur
indirettamente,
ha
consentito
anche
una
gestione
più
controllabile
dell’organizzazione del lavoro. Se l’ingresso in fabbrica ha costituito per molte lavoratrici una
forma di emancipazione, per lungo tempo ciò non è parso in contraddizione con un ruolo
principalmente finalizzato a garantire alla famiglia un reddito integrativo rispetto a quello maschile.
Il concreto disegno organizzativo di queste imprese, peraltro, attribuisce alle donne compiti che non
entrano in conflitto con quelli degli uomini, favorendo una divisione del lavoro in qualche misura
legittimata e non conflittuale. La condizione di obiettiva minorità che ha penalizzato, e penalizza
ancor oggi, il lavoro femminile può trovare motivo di accettazione nella possibilità/necessità di
contribuire al reddito familiare, nell’uscire dai ruoli domestici, nel poter partecipare ad espressioni
di vita sociale non univocamente centrate sulla famiglia. Ciò malgrado, questa presenza costituisce
una fonte di complessità che il sindacato dimostra spesso di non comprendere e di non valorizzare.
L’emergere di crescenti tensioni sul mercato del lavoro locale, con riflessi sia organizzativi che di
tipo salariale, ha determinato delle trasformazioni importanti degli assetti aziendali. Le imprese si
sono mosse rapidamente per cogliere le opportunità offerte dalla rottura dei tradizionali mercati del
lavoro interni. Il fenomeno più appariscente è dovuto alla formazione di un nuovo segmento di
offerta di lavoro, i lavoratori immigrati, che ha fornito alle aziende maggiori possibilità di controllo
del mercato del lavoro, sia interno che esterno, ha reso più agibili i processi di riorganizzazione
produttiva, ha favorito il contenimento delle dinamiche salariali.
16
Se questa risposta risulta ancor oggi efficace, secondo un meccanismo definito di “delocalizzazione
inversa” (nell’impossibilità di delocalizzare gli impianti verso paesi a basso costo, si “importano” i
loro lavoratori), essa d’altra parte propone anche il problema di governare i processi in modo
efficiente. L’Aia, come molte altre imprese locali, ha mostrato di saper trasformare questi vincoli in
opportunità. La sostituzione dei lavoratori autoctoni, sia maschi che femmine, con lavoratori
migranti apre un terreno di potenziale conflitto tra lavoratori, conflitto che può essere utilizzato per
realizzare delle politiche che indeboliscono l’unità dei dipendenti. Su questo terreno è inevitabile
che si creino delle situazioni che richiedono una maggiore capacità di governo, ma la
preoccupazione preminente delle aziende è quella di evitare che si formino coalizioni etniche che
potrebbero produrre specifiche azioni rivendicative.
In definitiva, l’emergere di una potenziale competizione nel mercato del lavoro produce in
prevalenza degli effetti che penalizzano i lavoratori, ancor più se entrano in conflitto tra loro.
Queste potenziali tensioni vengono accentuate dalla possibilità che le aziende utilizzino in modo
obiettivamente
più discrezionale e flessibile i migranti, deprimendo indirettamente anche la
dinamica salariale. Sono, quindi, le categorie di lavoratori più deboli, in questo caso i maschi con
competenze generiche espulsi da altri settori e le donne de-professionalizzate, quelle che si trovano
maggiormente esposte a questa concorrenza, ed è facile vedere che sono categorie numericamente
molto estese all’interno del comparto.
L’insieme di queste dinamiche ha prodotto un effetto di trascinamento divenuto con il passare del
tempo più pervasivo. La necessità di provvedere alle forme di tutela più tradizionali ha occupato
sempre più l’agenda del sindacato, lasciando un po’ in disparte questioni di respiro più strategico,
come ad esempio quelle relative al difficile compito di rivalutare il profilo professionale del
comparto. I processi produttivi sono stati oggetto di grandi interventi, ma nessuno di questi sembra
aver introdotto miglioramenti tali da correggere la povertà del ruolo professionale imposto agli
operai. Paradossalmente, i notevoli benefici apportati alle condizioni di lavoro tendono ad essere
vanificati dalla pressione sulle prestazioni, favorendo la diffusione tra i lavoratori di una più acuta
sensibilità sul proprio stato. In questo quadro gli operai dell’Aia continuano a scontare condizioni
di vita e di lavoro problematiche: le attività mantengono e accentuano la natura ripetitiva ed
intensiva delle prestazioni; la scomposizione delle fasi non riduce le operazioni standardizzate,
parcellizzate e gravose; l’ambiente rimane intrinsecamente sgradevole; risulta dilagante la richiesta
di flessibilità; appaiono modeste le prospettive di crescita professionale e si accentua la pressione
sull’efficienza e sul livello dei costi, ecc.
17
2) L’agire organizzativo dell’impresa e le forme concrete di gestione
Nella macellazione delle carni avicole si utilizzano in modo intensivo i tipici criteri organizzativi
che sono alla base dei processi di lavorazione standardizzati (fordisti). Questi principi operativi
prevedono la scomposizione delle fasi all’unità più semplice, la ripetitività di compiti di durata
minima, la progressione sequenziale delle attività lungo delle catene. I cicli di lavorazione si
articolano per fasi funzionalmente collegate, che vengono poi opportunamente separate per
assorbire le eventuali varianti produttive e ridurre il carico organizzativo. Se il ricorso ad una logica
di catena tende ad aggregare lavoratori che vengono unificati da vicinanza e condizioni di lavoro,
con la separazione funzionale delle fasi si tende a creare una frattura tra di loro: a questo scopo
vengono progettate artificialmente delle aree distinte, che possono essere meglio presidiate
mediante il vincolo delle tecnologie di produzione o attraverso il tradizionale controllo gerarchico.
Per quanto riguarda la composizione sociale di questi sistemi produttivi, il disegno organizzativo
prevede un impiego differenziato di lavoratori per ottimizzare le loro caratteristiche produttive: un
tempo la distinzione riguardava sostanzialmente maschi e femmine e disposizioni manuali
collegate (attività faticose, requisiti di destrezza, specifiche abilità formate dai lavori del mondo
contadino, ecc.), oggi le varianti si sono arricchite della presenza dei lavoratori stranieri e da una
ampia opzione di soluzioni contrattuali.
In termini sindacali questo passaggio implica che in un contesto caratterizzato da un largo impiego
di lavoratori avventizi, una presenza di immigrati molto distribuita, un’elevata frazione di
occupazione femminile e una quota ancora significativa di lavoratori maschi legati al mondo
contadino, si possano registrare delle resistenze “naturali” alla formazione di un sentimento di
partecipazione sindacale. Questi aspetti sono resi più intriganti dalla constatazione, per certi versi
inaspettata e non sappiamo quanto tipica del settore o specifica della realtà Aia, che l’impresa
presenta un ridotto turnover e un’anzianità media aziendale più elevata di quanto atteso. Tale
fenomeno può essere suscettibile di diverse spiegazioni: l’azienda può sostenere che la stabilità
occupazionale testimonia il gradimento dei lavoratori per l’impiego all’interno del gruppo, mentre il
sindacato può segnalare che questo esito è effetto di una mancanza di alternative. Se l’osservazione
viene condotta sul lato dell’offerta di lavoro vi sono pochi dubbi sul fatto che la preferenza per una
condizione di stabilità (volontaria e/o obbligata che sia), collegata alla scarsità di alternative
plausibili sul territorio e all’apprezzamento di lavori di cui è riconosciuta la gravosità, tende a
confermare lo stato di debolezza professionale degli addetti. Si deve quindi supporre che il ridotto
turnover nasce dalla consapevolezza dei lavoratori che per la loro offerta il mercato non propone
reali alternative. Questa percezione produce delle strategie che sono ben presenti all’azienda e, con
altre finalità, devono essere comprese anche dal sindacato.
18
Sul terreno operativo, i processi aziendali sono regolati da forme di controllo efficaci, anche se
opportunamente consentono un certo spazio di differenziazione gestionale nei vari stabilimenti: ciò
favorisce in alcuni casi la richiesta di interventi coordinati a livello di gruppo, mentre in altri offre la
sensazione di poter praticare percorsi che tengono conto delle specificità locali.
Occorre dire che l’azienda non si limita ad utilizzare degli accorgimenti che rendono, pur in forme
non eclatanti,
meno agevole l’iniziativa sindacale. E’ corretto rilevare che essa ha saputo
rispondere in
modo adattivo all’iniziativa sindacale, realizzando delle politiche che vengono
giustamente apprezzate dai lavoratori, come l’applicazione del contratto dell’industria, un buon
livello di tutela ambientale, una garanzia del lavoro e della sicurezza futura, una disponibilità a
mantenere aperti tavoli di trattativa sulle diverse sfere, pur se questo non esclude che essa cerchi di
sfruttare tatticamente le diverse impostazioni delle organizzazioni sindacali.
L’azienda ha buon gioco nel far pesare i vincoli competitivi, trasferendo sui lavoratori l’onere di
farsi carico di condizioni organizzative che alleggeriscono le complessità gestionali. Peraltro, il
controllo efficiente del processo produttivo in questi ambienti può essere perseguito senza dover
fronteggiare delle forme di variabilità strutturale che in altri settori hanno imposto una
riorganizzazione radicale del processo produttivo. All’interno dei macelli le varianti produttive sono
ridotte, le opzioni facilmente definite, gli imprevisti riguardano i programmi di pianificazione
dell’attività piuttosto che eventi repentini o imprevisti che possono rendere meno governabili i
processi di lavorazione, la pressione sul lavoratore continua ad agire sul terreno dell’impegno fisico
e dell’assiduità più che su quello della responsabilità e/o discrezionalità operativa.
L’insieme di questi fattori consente all’azienda di concentrare le proprie attenzioni sulle regole
generali di funzionamento, riportando a questi vincoli tutte le varianti che si possono presentare nel
corso delle attività. La scarsa coesione sociale che si registra all’interno degli stabilimenti, e ancor
più la distanza tra i diversi gruppi sociali, favorisce, è vero, le soluzioni circoscritte piuttosto che
quelle strategiche, ma rende anche meno probabile la convergenza dei lavoratori su un terreno
comune. Paradossalmente, il disagio fisico ed emotivo che si percepisce in questi ambienti di lavoro
interagisce con le diversità sensibilità sociali, accentuando alcune distanze. Ciò rende più
complicato per il sindacato individuare il terreno per aggregare i sentimenti dei lavoratori e fare
spazio ad iniziative che dettino l’agenda negoziale all’impresa.
Fino ad ora l’azienda ha lavorato per far prevalere un contesto relazionale relativamente povero,
sfrangiato e instabile, spingendo il sindacato a praticare un modello di relazioni industriali di tipo
sostanzialmente difensivo. In questo quadro l’azienda trova maggiori possibilità di imporre le
proprie scadenze e priorità. Essa può sempre utilizzare come elemento di pressione i vincoli
proposti dalla competizione di mercato, che sono obiettivamente stringenti
19
ma che vengono
utilizzati per condizionare le iniziative dei lavoratori, anche approfittando di una ridotta conoscenza
sindacale delle dinamiche di mercato. Le strategie di relazione adottate dall’azienda appaiono,
quindi,
chiaramente orientate a difendere il quadro di compatibilità imposto in questi anni.
All’interno di questo quadro, però si restringono gli spazi per una possibile iniziativa sindacale di
carattere più incisivo. Per molte delle condizioni elencate sembra urgente avviare un tentativo di
riqualificazione del sistema di relazioni in azienda; in questo ambito si può affrontare il vincolo
indotto dalle regole funzionali dell’impresa secondo un profilo di riconoscimento più equo e
paritario, prefigurando per questa via delle prospettive più soddisfacenti per i lavoratori.
3) Opinioni e aspettative dei delegati sindacali Flai-Cgil
Per una preliminare ricostruzione dei temi sui cui raccogliere le opinioni dei lavoratori della FlaiCgil, abbiamo realizzato una serie di visite nei diversi stabilimenti del gruppo, con discussioni che
hanno coinvolto i rappresentanti sindacali di stabilimento. Questo primo quadro è stato
successivamente irrobustito dal confronto realizzato in occasione di due seminari del
coordinamento sindacale Flai Cgil di Aia. Riassumendo la discussione, si può dire che per quanto
riguarda le condizioni di lavoro, i delegati sono ben consapevoli di lavorare in un ambiente
disagiato, con delle attività che prevedono la realizzazione di compiti complessivamente onerosi e
vincolanti. Tale constatazione, però, rischia di fermarsi agli aspetti più appariscenti, che se pure
sono reali, non aiutano a ragionare sul merito delle cose che si possono fare. L’attenzione va
spostata, quindi, sull’ispirazione e sui motivi di fondo delle politiche aziendali: sono questi che
permettono di individuare terreni che possono essere affrontati con l’iniziativa sindacale. Tra questi
elementi, un forte rilievo viene attribuito al peso del controllo gerarchico, alla separazione delle aree
di attività, al rifiuto di riconoscere il ruolo delle Rsu di reparto, ad uno stato di socialità bassa tra i
lavoratori che ostacola lo sviluppo di forme di coesione più integrate e comunicative. Tra i
lavoratori vi è la convinzione che queste condizioni non sono l’esito obbligato della complessa
situazione socio produttiva, ma sono, piuttosto, frutto di scelte precise e meditate che l’azienda
adotta per mantenere il controllo discrezionale dei processi produttivi.
Uno dei terreni a maggiore potenziale di conflitto, perché particolarmente vicino sia alla sensibilità
dei lavoratori che ai vincoli dichiarati dall’impresa, è quello della flessibilità. I delegati appaiono
critici sulla necessità di un ricorso così massiccio a figure instabili e precarie, come pure sulla
crescente propensione ad utilizzare cooperative o strutture esterne. Si tratta di un tema spinoso
anche perché impatta sulle condizioni organizzative di tutti i lavoratori: le modifiche degli orari e
delle turnazioni, l’uso delle pause, la gestione della flessibilità negativa e positiva ecc, sono
questioni che investono tutti gli addetti, anche se il malcontento sembra accompagnarsi ad una
20
sensazione di impotenza rispetto alle decisioni aziendali, finendo per scaricarsi più contro il
sindacato che contro l’impresa.
Sui legami che intercorrono tra le decisioni strategiche dell’impresa e le conseguenze sulla vita dei
lavoratori si riscontra una minore attenzione. In pressoché tutti gli stabilimenti sono stati affrontati
di recente dei problemi di esuberi, risolti attraverso forme di mobilità. Il processo è stato condotto in
modo relativamente indolore, con intese di gruppo e applicazioni a livello di stabilimento. Non solo
è emerso, come è ovvio in una fase di questo tipo, un approccio difensivo del sindacato, ma sembra
si sia riproposta l’assenza di un quadro d’intesa, o di riconoscimento, più complessivo su
prospettive, investimenti e politiche produttive del gruppo. La debolezza da parte sindacale di una
visione sul presente e sul futuro del gruppo offre maggiori spazi all’impresa per far pesare i vincoli
competitivi cui è soggetta, sottraendo ai lavoratori degli elementi decisivi per costruire un terreno di
confronto più limpido e condiviso.
4) La rilevazione condotta sui lavoratori iscritti alla Flai Cgil
Per arricchire queste sommarie indicazioni si è cercato di ampliare le informazioni disponibili
tramite la somministrazione di un questionario ai lavoratori iscritti alla Flai Cgil. L’obiettivo
immediato della raccolta di opinioni non era quello di raccogliere indicazioni su come agire
sindacalmente, ma piuttosto di soddisfare, attraverso il questionario, un’esigenza più generale,
cogliendo l’insieme degli atteggiamenti e delle considerazioni degli iscritti su una tastiera ampia di
temi che si suppone rilevanti per la formazione degli atteggiamenti dei lavoratori. Partendo da
queste informazioni vi è l’occasione di riflettere su come i lavoratori vivono la fase attuale, come si
pongono rispetto alle vicende aziendali, a quali criteri preferenziali danno priorità nell’ottica della
tutela dei proprio interessi, ma tra le valutazioni si trovano indizi importanti anche su aspetti di
valore etico e morale.
Malgrado il numero di questionari raccolti risulti inferiore a quanto previsto, si tratta comunque di
una rilevazione che consente di valutare meglio cosa gli aderenti all’organizzazione pensano della
situazione aziendale. Peraltro, le modalità di compilazione non permettono di estrapolare da questi
giudizi delle informazioni per attribuirle a determinati segmenti, stabilimenti, etnia, sesso,
condizioni di lavoro. Quando il numero assoluto di risposte è contenuto, infatti, è buona regola
evitare elaborazione statistiche troppo impegnative; in questo caso, comunque, il quadro
complessivo che esce dalla rilevazione fornisce ugualmente spunti di grande interesse. Un altro
interrogativo non risolto riguarda l’impossibilità di poter dire se questo quadro è rappresentativo
solamente dell’opinione dei lavoratori iscritti alla Flai Cgil o se esprime anche delle valutazioni
condivise dall’universo lavorativo dei dipendenti del gruppo. Malgrado questi limiti, possiamo
21
sicuramente dire che dai dati emergono questioni di grande rilievo e che esse possono costituire, se
ben gestite, un passaggio cruciale per l’evoluzione delle relazioni sindacali del gruppo.
1) il campione
Numero di lavoratori intervistati
stabilimenti
S. Martino
Nogarole
Zevio
Villaganzerla
Vazzola
S. Giorgio
Totale
v.a.
36
24
nd
35
31
21
147
%
24,5
16,3
nd
23,8
21,11
14,3
30,9
Risposte per genere
v.a.
%
Maschio
82
55,8%
Femmina
56
38,1%
nd
9
6,1%
Totale
147
100,0%
Risposte per classe d’età
<35; > 35
v.a.
%
Fino a 35
32
21,8%
Oltre 35
101
68,7%
Nd
14
9,5%
Totale
147
100,0%
Risposte per nazionalità
v.a.
%
Italiani
89
60,5%
Stranieri
33
22,4%
Nd
25
17,0%
Totale
147
100,0%
22
Risposte per anzianità di lavoro in Aia (anni)
v.a
%
Fino a 10
54
36,7%
Oltre 10
69
46,9%
Nd
24
16,3%
147
100,%
Totale
Risposte per rapporto di lavoro
v.a.
%
Fisso
95
64,6%
Avventizio
22
15,0%
Nd
30
20,4%
Totale
147
100,0%
Il campione copre poco più del 30% degli iscritti Flai Cgil presenti negli stabilimenti avicoli della
cooperativa “Agricola tre valli”, ed è sufficientemente indicativo, quindi, di ciò che pensano gli
aderenti all’organizzazione. In termini di composizione la ricostruzione del profilo di coloro che
hanno risposto è più complessa, a causa di un certo numero di questionari compilati in modo
parziale che non consentono una piena identificazione delle caratteristiche degli iscritti. Con
qualche sicurezza si possono, comunque, esprimere delle prime valutazione: la Flai Cgil sembra
avere maggiori difficoltà ad aumentare la propria presenza tra i lavoratori giovani (la cosa, peraltro,
può dipendere dalle politiche di assunzione dell’impresa); essa raccoglie in misura significativa le
adesioni tra le donne ed evidenzia una discreta capacità di attrazione dei lavoratori immigrati ( si
può ipotizzare che molte delle risposte incomplete riguardino questi soggetti); tendenzialmente
organizza lavoratori che sono ben stabilizzati all’interno dell’impresa, ma riesce anche a
coinvolgere figure che hanno collocazione più precaria. Se il giudizio sulla copertura della
rappresentanza può sembrare soddisfacente, occorre tener conto che all’interno dell’Aia vi sono
situazioni in cui si dà una modesta sindacalizzazione e proprio la Flai Cgil soffre particolarmente di
uno scarso insediamento negli stabilimenti principali.
23
b) le opinioni sulla presenza del sindacato
D1. Quali fattori impediscono una migliore condizione di lavoro?
Classe d'età
fino 35 oltre 35
Divisione tra i lavoratori del gruppo
Genere
m
f
Nazionalità
it.
stran.
Contratto
fisso avv.
11
11
15
9
14
4
11
6
Divisione tra i lavoratori del mio stabilimento
7
30
22
14
28
7
30
5
Tentativi di divisione portati avanti dall’azienda
5
26
19
14
22
8
27
2
Ridotta efficacia dell’azione sindacale
4
22
16
12
22
3
21
4
Incertezza delle prospettive aziendali
8
17
15
9
14
9
15
5
Elevata presenza di lavoratori a t. determinato e/o cooperative
6
24
24
8
25
6
25
6
41
130
111
66
125
37
129
28
Divisione tra i lavoratori del gruppo
26,8
8,5
13,5 13,6
11,2
10,8
8,5 21,4
Divisione tra i lavoratori del mio stabilimento
17,1
23,1
19,8 21,2
22,4
18,9
23,3 17,9
Tentativi di divisione portati avanti dall’azienda
12,2
20,0
17,1 21,2
17,6
21,6
20,9
Totale
7,1
Ridotta efficacia dell’azione sindacale
9,8
16,9
14,4 18,2
17,6
8,1
16,3 14,3
Incertezza delle prospettive aziendali
19,5
13,1
13,5 13,6
11,2
24,3
11,6 17,9
Elevata presenza di lavoratori a t. determinato e/o cooperative
14,6
18,5
21,6 12,1
20,0
16,2
19,4 21,4
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
La prima questione posta intendeva valutare i fattori generali che possono influenzare la possibilità
di migliorare la condizione dei lavoratori. Tra i fattori considerati il più rilevante è decisamente
quello che lamenta lo stato di divisione tra i lavoratori, riproponendo in altri termini le
problematiche indotte dalla composizione sociale, culturale e strutturale dell’impresa. E’
significativo che questa precisazione appare generalmente condivisa dai lavoratori, qualsiasi sia la
loro collocazione e condizione. Merita di rilevare, inoltre, che emerge anche un giudizio di
tendenziale conferma del lavoro di resistenza attribuibile alle politiche aziendali, che riescono con
una certa efficacia a instillare una qualche divisione tra lavoratori. Le valutazioni sulla ridotta
incisività dell’iniziativa sindacale sono in qualche modo effetto anche di questo lavorio
dell’impresa, che opera sui diversi piani con l’intento di impedire il rafforzamento dell’unità dei
lavoratori.
Un certo peso viene correttamente attribuito alla debolezza sul fronte sindacale
provocata dalla presenza dei lavoratori precari, che rende i lavoratori, sia quelli avventizi che i fissi,
più soggetti al condizionamento aziendale. Il ruolo di questo condizionamento è segnalato con
maggiore forza dai lavoratori più maturi, maschi e immigrati.
E’ possibile che alcune valutazioni riflettano una percezione un po’ “distorta” dei lavoratori della
Flai Cgil, che si sentono in
minoranza rispetto ad altri sindacati e pensano di non essere
particolarmente ben visti dalla direzione: ciò potrebbe indurire oltre il giusto alcune delle riflessioni
24
raccolte, anche se altri elementi disponibili tendono a riconoscere la fondatezza di molte di queste
considerazioni.
D2. Cosa rende difficile l’azione sindacale all’interno degli stabilimenti
Diversità di aspettative e di esigenze tra i lavoratori
Difficoltà di relazione con colleghi di lavoro
Atteggiamenti dei capi reparto
Ridotto potere delle Rsu
Divisioni sindacali
Altro
Totale
Diversità di aspettative e di esigenze tra i lavoratori
Difficoltà di relazione con colleghi di lavoro
Atteggiamenti dei capi reparto
Ridotto potere delle Rsu
Divisioni sindacali
Altro
Totale
Classe d'età
fino 35 oltre 35
14
28
6
23
6
21
3
29
5
36
4
12
38
149
36,8
15,8
15,8
7,9
13,2
10,5
100
18,8
15,4
14,1
19,5
24,2
8,1
100
Genere
Nazionalità
m
f
it.
stran.
27
15
27
9
15
14
18
9
11
18
21
8
19
12
24
5
24
18
37
5
8
10
13
4
104
87
140
40
26,0
14,4
10,6
18,3
23,1
7,7
100
17,2
16,1
20,7
13,8
20,7
11,5
100
19,3
12,9
15,0
17,1
26,4
9,3
100
22,5
22,5
20,0
12,5
12,5
10,0
100
Contratto
fisso
avv.
26
7
22
6
22
6
30
37
4
11
4
148
27
17,6
14,9
14,9
20,3
25,0
7,4
100
25,9
22,2
22,2
0,0
14,8
14,8
100
Se si entra nello specifico con l’obiettivo di fissare con maggiore precisione i fattori che frenano
l’azione sindacale, ritorna con forza il problema della difficile conciliazione tra esigenze e
condizioni molto diversificate. Ancora una volta la significatività della risposta appare confermata
dal fatto che esprime un orientamento condiviso da tutte le tipologie di rispondenti e obiettivamente
giustificato da una serie di evidenze fattuali che sono facilmente percepibili. Esso viene sottolineato
anche da considerazioni relative alla difficoltà di gestire le relazioni individuali. Tuttavia, occorre
mettere in guardia da una lettura che rischia di essere scontata: non si può negare che le diversità
sono un ostacolo all’azione sindacale, ma è bene evitare un atteggiamento fatalista che finisce per
ritenere impossibile l’individuazione di un punto di sintesi. Date certe premesse, è naturale che la
cultura dominante in Aia sottolinei le difficoltà indotte dalla grande varietà di presenze, ma una
risposta efficace è quella che accetta la sfida di un ripensamento complessivo a partire dai fattori di
diversità piuttosto che da quelli di continuità. Le risposte sono tutt’altro che semplici, ma sembra di
capire che soltanto una riconversione del modo di guardare all’universo aziendale offre
l’opportunità di riprendere un’iniziativa capace di unire l’insieme dei lavoratori. Questo processo
può avvenire anche in modo spontaneo, per l’effetto inesorabile della vicinanza e del
riconoscimento, ma senza una specifica iniziativa sindacale, che agisca anche sul fronte culturale, il
percorso sarà più lungo e più esposto a derive difficilmente controllabili.
La questione risulta ancora più critica in ragione di un altro aspetto fortemente problematizzato. Gli
iscritti Flai Cgil si mostrano fortemente preoccupati per i difficili rapporti con gli altri sindacati,
attribuendo a questo problema effetti che vengono avvertiti come rilevanti per l’efficacia
25
dell’azione sindacale. E’ un atteggiamento responsabile che va valutato positivamente ma a cui è
necessario fornire una risposta. Poiché non vi sono soluzioni facili, si può pensare che avrebbe un
esito rassicurante il fatto che i comportamenti in azienda della Cgil siano sempre improntati ad una
logica non antagonista, costringendo tutti, sia gli altri sindacati che l’azienda, a misurarsi sul terreno
dei comportamenti e delle proposte.
D3. Come valuti l’azione della tua Rsu
Classe d'età
fino 35
Fa quello che può vista la situazione in azienda
18
oltre 35
53
Genere
m.
f.
47
Nazional.
it.
27
str.
Contratto
fis.
49
17
avv.
54
13
E’ molto attiva nel tutelare i lavoratori
8
26
18
15
23
10
22
6
E’ poco presente e non incide sulle decisioni aziendali
3
17
12
10
14
5
17
4
Il sindacato non valorizza abbastanza il ruolo delle Rsu
2
13
6
9
11
3
14
31
109
83
61
97
35
107
23
Fa quello che può vista la situazione in azienda
58,1
48,6
56,6 44,3
50,5
48,6
50,5
56,5
E’ molto attiva nel tutelare i lavoratori
25,8
23,9
21,7 24,6
23,7
28,6
20,6
26,1
Totale
E’ poco presente e non incide sulle decisioni aziendali
9,7
15,6
14,5 16,4
14,4
14,3
15,9
17,4
Il sindacato non valorizza abbastanza il ruolo delle Rsu
6,5
11,9
7,2 14,8
11,3
8,6
13,1
0,0
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
Le risposte a questa domanda, ancora una volta espressione di valutazioni molto condivise tra i
lavoratori, denotano un atteggiamento comprensivo nei confronti del sindacato, ma rivelano anche
l’idea che esso non sia in condizione di esercitare una efficace attività negoziale. Circa un quarto
delle risposte completano questo giudizio con il riconoscimento dell’impegno profuso nell’attività
di tutela, ma un gruppo almeno altrettanto ampio sembra ritenere che la scarsa efficacia dell’azione
sindacale sia dovuta ad una presenza non incisiva dell’organizzazione e ad uno scarso sostegno alle
Rsu.
La lettura delle risposte fornite alla domanda successiva sembra indicare una netta divaricazione
nelle valutazioni dei lavoratori, tra l’orientamento di coloro che ritengono opportuno concentrare la
negoziazione a livello di gruppo e coloro che rivendicano uno spazio negoziale a livello di
stabilimento. Può essere che vi sia effettivamente questa divisione, ma è anche possibile che la
riposta segua un principio di concretezza che non cancella il significato sostanziale. Chi ritiene che
vi possano essere alternative ad una strategia di rappresentanza che guarda all’insieme del gruppo,
le risposte chiudono la partita, nel senso che riaffermano il ruolo essenziale attribuito al confronto a
livello di impresa. E’ altrettanto certo, però, che molti lavoratori continuano a ritenere necessario
26
D4. Come si potrebbe cambiare l’attuale impostazione contrattuale
Classe d'età
Genere
fino 35 oltre 35
m
f
Nazionalità
it.
Contratto
stran.
fisso avvent.
A livello di impresa (agricola tre valli)
14
45
37
24
37
15
39
9
Contrattazione anche in stabilimento
14
41
31
25
35
17
40
9
Coinvolgere il gruppo Veronesi
4
16
18
3
14
4
16
4
-Altro
3
7
6
5
7
3
7
2
Totale
35
109
92
57
93
39
102
24
A livello di impresa (agricola tre valli)
40,0
41,3
40,2 42,1
39,8
38,5
38,2
37,5
Contrattazione anche in stabilimento
40,0
37,6
33,7 43,9
37,6
43,6
39,2
37,5
Coinvolgere il gruppo Veronesi
11,4
14,7
19,6
5,3
15,1
10,3
15,7
16,7
-Altro
8,6
6,4
6,5
8,8
7,5
7,7
6,9
8,3
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
difendere uno spazio di intervento nel proprio stabilimento, contesto adatto a misurare
concretamente la bontà delle soluzioni. Per quanto possano mantenere qualche ambiguità (non va
dimenticato che vi sono realtà che coltivano delle piccole differenze), le risposte suggeriscono la
preferenza per un mix di interventi che metta al centro la contrattazione di gruppo, ma che poi affidi
alle Rsu di stabilimento uno spazio di gestione. Scarso interesse viene riconosciuto ad un rapporto
con il perimetro più ampio del gruppo (altri stabilimenti produttivi, aree commerciali, uffici, ecc.).
Probabilmente si valuta prematura questa ipotesi, anche se si avverte un senso di distanza da mondi
che sono poco decifrabili dagli operai.
D5. Quali strategie deve sviluppare il sindacato per essere più incisivo
Classe d'età
fino 35
Genere
oltre 35
m
Nazionalità
f
it.
stran.
Contratto
fisso avv.
Rafforzare le rsu ((responsabilità, autonomia, formaz. ecc.)
9
41
25
25
31
12
40
3
Cercare maggiore unità delle forze sindacali
4
40
29
15
37
7
39
3
15
35
31
24
30
18
34
13
8
21
20
9
15
14
20
10
Dare maggiori informazioni ai lavoratori
10
32
24
20
34
8
39
5
Totale
46
169
129
93
147
59
172
34
19,6
24,3
19,4 26,9
21,1
20,3
23,3
8,8
Cercare maggiore unità delle forze sindacali
8,7
23,7
22.5 16,1
25,2
11,9
22,7
8,8
Ascoltare di più le esigenze dei lavoratori
8,7
23,7
24.0 25,8
20,4
30,5
19,8 38,2
Integrare i lavoratori a tempo determ. avventizi e coop.
17,4
12,4
15,5
9,7
10,2
23,7
11,6 29,4
Dare maggiori informazioni ai lavoratori
17,4
12,4
18,6 21,5
23,1
13,6
22,7 14,7
Totale
100
100
100
100
100
100
Ascoltare di più le esigenze dei lavoratori
Integrare i lavoratori a tempo deter. avventizi e coop
Rafforzare le Rsu (responsabilità, auton., formaz. ecc.)
100
100
La ricerca di indicazioni operative che aiutino il sindacato a riflettere sulle proprie strategie e a
promuovere nuove iniziative si trova a misurarsi con un quadro molto sfrangiato, in cui molti
27
indirizzi vengono suggeriti come rilevanti per migliorare la capacità di rappresentanza sindacale.
Vediamo il senso che può essere attribuito alle riposte di maggior peso che, se anche non dominanti,
segnalano dei criteri di fondo che mantengono un rilievo cruciale in quanto costituiscono dei
principi fondativi per l’azione sindacale: rafforzare le Rsu e ascoltare i lavoratori. Si tratta di
indicazioni meno semplici di quanto non si pensi, che interferiscono non solo con pratiche sindacali,
ma anche con valori cruciali per il sindacato (la visione complessiva, i principi di solidarietà, la
logica confederale, ecc.). Occorre prendere sul serio queste indicazioni, sforzandosi nel contempo
di mostrare ai lavoratori, quando questo problema si manifestasse, che l’iniziativa di fabbrica deve
raccordarsi ad un disegno che va oltre i confini aziendali. Su questo terreno, peraltro, i lavoratori
avvertono come numerosi fattori siano tirati in ballo: pur con un rilievo minore si segnalano le
risposte che deprecano il peso di divisioni sindacali vissute come penalizzanti; altri si soffermano
sulle debolezze indotte dalla marginalità dei lavoratori precari, mentre altri ancora rivendicano la
necessità di un più adeguato lavoro informativo e culturale con i lavoratori.
c) le opinioni sulla condizione di lavoro
D6. A tuo modo di vedere, quali sono le categorie di lavoratori che stanno peggio in azienda
Classe d'età
Genere
fino 35 oltre 35
Donne
Nazionalità
m
f
Contratto
it. stran.
fisso
avven.
6
24
12
20
18
7
20
3
Immigrati
10
20
19
13
9
15
12
8
Lavoratori a tempo determinato
19
46
42
23
41
19
42
15
Lavoratori degli appalti/cooperative
6
16
17
5
18
3
17
3
Addetti alle aree di macellazione
2
20
13
9
13
8
18
3
Altro
2
13
5
11
14
2
15
Totale
45
139
108
81
113
54
124
32
Donne
13,3
17,3
11,1
24,7
15,9
13,0
16,1
9,4
Immigrati
22,2
14,4
17,6
16,0
8,0
27,8
9,7
25,0
Lavoratori a tempo determinato
42,2
33,1
38,9
28,4
36,3
35,2
33,9
46,9
Lavoratori degli appalti/cooperative
13,3
11,5
15,7
6,2
15,9
5,6
13,7
9,4
Addetti alle aree di macellazione
4,4
14,4
12,0
11,1
11,5
14,8
14,5
9,4
Altro
4,4
9,4
4,6
13,6
12,4
3,7
12,1
0,0
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
La focalizzazione delle risposte al quesito sulle categorie di lavoratori che subiscono le peggiori
condizioni è abbastanza netta. Quasi metà delle risposte individuano nei lavoratori a tempo
determinato (nel nostro schema: gli avventizi) coloro che vivono la situazione più ostica.
L’interesse della risposta sta anche nel suo manifestare secondo quale criterio si giudica la
situazione; poiché in linea di massima non si può ipotizzare che i lavoratori avventizi siano destinati
a lavori nettamente peggiori degli altri, come chiarirà il gruppo di risposte all’ultimo quesito,
28
significa che si attribuisce la fonte del disagio e della pesantezza al dover sottostare a una continua
incertezza lavorativa. Questa sensibilità può essere accentuata dall’attuale congiuntura, che porta a
far premio la sicurezza del posto di lavoro, ma è abbastanza singolare che la incerta stabilità
lavorativa, di un lavoro non particolarmente pregiato anche agli occhi di altre categorie di
lavoratori, venga considerato il fattore più negativo: ciò indirettamente conferma che siamo
dinnanzi ad un mercato del lavoro particolare, di cui vanno meglio indagati requisiti e specifiche
situazioni. Per altri versi, invece, questa sensibilità risulta meno evidente nei confronti dei lavoratori
che operano all’interno degli stabilimenti alle dipendenze di aziende esterne: pare che il legame con
un'altra azienda determini una distanza che riduce molto la sensibilità per la loro condizione.
Nemmeno variabili solitamente penalizzanti suscitano particolare considerazione, nemmeno tra i
diretti interessati (donne e immigrati): sembra di poter dire che i lavoratori non individuano
situazioni lavorative particolarmente svantaggiate (forse, perché tutte lo sono in larga misura?) per
cui il punto di criticità rimane soltanto l’incertezza di prospettive.
D.7. Quali sono gli aspetti più pesanti del lavoro
Nocività dell’ambiente di lavoro
Classe d'età
Genere
fino 35 oltre 35
m
Nazionalità
f
it.
Contratto
stran.
fisso
avvent.
5
8
5
8
10
1
9
1
Ritmi di lavoro, fatica, stress
21
80
57
48
69
25
78
14
Orari, turni
11
32
27
15
24
14
26
7
Mancanza di autonomia, responsabilità
6
7
9
5
10
3
10
2
Autoritarismo dei capi, peso delle gerarchie
3
19
18
6
17
5
20
3
46
146
116
82
130
48
143
27
4,3
Totale
Nocività dell’ambiente di lavoro
10,9
5,5
9,8
7,7
2,1
6,3
3,7
Ritmi di lavoro, fatica, stress
45,7
54,8
49,1 58,5
53,1
52,1
54,5
51,9
Orari, turni
23,9
21,9
23,3 18,3
18,5
29,2
18,2
25,9
Mancanza di autonomia, responsabilità
13,0
4,8
7,8
6,1
7,7
6,3
7,0
7,4
Autoritarismo dei capi, peso delle gerarchie
6,5
13,0
15,5
7,3
13,1
10,4
14,0
11,1
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
L’addensarsi di queste risposte attorno al problema dei ritmi di lavoro e della fatica, aiuta a
puntualizzare meglio anche le opinioni espresse nella domanda precedente. Il giudizio largamente
maggioritario riguarda la percezione di fatica e di onerosità collegata al lavoro. Essa può anche
essere aggravata dal peso di altri fattori, principalmente turnazioni e orari, ma anche condotte dei
capi reparto, ma nulla toglie alla convinzione diffusa che tutte le postazioni di lavoro siano gravate
da vincoli che determinano forti stati di affaticamento sia fisico che psichico.
29
D8. Quali altre condizioni incidono negativamente sui lavoratori
Classe d'età
Genere
Nazionalità
Contratto
fino 35 oltre 35
m
it.
fisso avven.
f
stran.
Pressioni per intensificare la prestazione
6
22
14
14
15
10
19
6
Stati di tensione e insoddisfazione diffusi
11
44
34
22
42
6
42
5
Cambiamenti imposti unilateralmente dall’azienda
5
23
18
11
20
7
23
1
Scarsa efficacia dell’azione sindacale
4
19
14
9
12
7
13
4
Interventi dell’azienda per la riduzione dei costi
5
11
8
8
13
3
13
1
Differenze e conflitti tra i lavoratori
9
33
24
20
32
10
32
9
40
152
112
84
134
43
142
26
15,0
14,5
12,5 16,7
11,2
23,3
13,4
23,1
Totale
Pressioni per intensificare la prestazione
Stati di tensione e insoddisfazione diffusi
27,5
28,9
30,4 26,2
31,3
14,0
29,6
19,2
Cambiamenti imposti unilateralmente dall’azienda
12,5
15,1
16,1 13,1
14,9
16,3
16,2
3,8
Scarsa efficacia dell’azione sindacale
10,0
12,5
12,5 10,7
9,0
16,3
9,2
15,4
Interventi dell’azienda per la riduzione dei costi
12,5
7,2
9,5
9,7
7,0
9,2
3,8
Differenze e conflitti tra i lavoratori
22,5
21,7
21,4 23,8
23,9
23,3
22,5
34,6
Totale
100
100
100
100
100
100
100
7,1
100
La percezione sullo stato dei lavoratori tende a confluire in una sensazione di generale
insoddisfazione. I rispondenti sono consapevoli che la vita lavorativa riflette una serie ampia e
variegata di problematiche, che trovano varie cause e motivazioni, ma tutte tendono a riassumersi in
un sentimento di frustrazione. La puntualizzazione di alcuni fattori consente di trovare le ragioni di
questo stato generale, sia concrete e materiali, sia proiettate dal clima complessivo, ma tutte
convergono nel rendere più disagevole l’attività. E’un limite del questionario non avere suggerito la
possibilità di fornire anche risposte positive, su proposte e azioni che contrastano l’insoddisfazione,
ma crediamo plausibile che tale ricerca sarebbe risultata molto difficile.
Ad ogni modo, si può
notare che si ripropone il problema delle differenze e dei conflitti tra i lavoratori, segno di una
condizione di tensione che va meglio analizzata e affrontata, cui si aggiunge l’irritazione per i
comportamenti dell’azienda ( pressioni sulla prestazione e interventi unilaterali) e la sensazione di
non poter contare su un’adeguata mobilitazione del sindacato.
Come era prevedibile, le aspettative dei lavoratori mettono al centro
dei propri obiettivi
l’aspirazione ad un miglioramento della situazione salariale, seguita però abbastanza da vicino dal
problema delle condizioni ambientali. Anche in questo caso le risposte delle diverse categorie di
lavoratori tendenzialmente convergono: se una valutazione superficiale sembra far rilevare che le
aspettative più marcate in questo senso sono espresse dal gruppo centrale dei lavoratori (maschi,
adulti, italiani e fissi), una verifica più attenta che pesa la composizione delle risposte mostra che su
queste priorità convergono tutti i rispondenti.
30
D9. A quali temi sono più sensibili i lavoratori
Interventi sull’organizzazione del lavoro
Politiche di premio
Classe d'età
Genere
Nazionalità
Contratto
fino 35 oltre 35
m
it.
fisso avven.
f
stran.
9
18
16
11
16
8
18
6
18
53
42
31
47
16
52
11
Ambiente di lavoro
9
32
24
15
28
8
26
5
Sicurezza del posto di lavoro
3
20
14
9
20
3
21
1
-Altro
11
38
30
20
32
13
34
8
Totale
50
161
126
86
143
48
151
31
Interventi sull’organizzazione del lavoro
18,0
11,2
12,7 12,8
11,2
16,7
11,9
19,4
Politiche di premio
36,0
32,9
33,3 36,0
32,9
33,3
34,4
35,5
Ambiente di lavoro
18,0
19,9
19,0 17,4
19,6
16,7
17,2
16,1
6,0
12,4
11,1 10,5
14,0
6,3
13,9
3,2
-Altro
22,0
23,6
23,8 23,3
22,4
27,1
22,5
25,8
Totale
100
100
100
100
100
100
100
Sicurezza del posto di lavoro
100
A questo punto occorre spiegare come mai un fattore giudicato in precedenza di rilievo assoluto
come la pesantezza dei ritmi di lavoro, la fatica e lo stress, non emerge tra le principali tematiche
cui sono sensibili i lavoratori. Le ipotesi plausibili sono di due tipi: in prima istanza molti lavoratori
possono voler inscrivere questi problemi in una cornice più generale, che fa risalire all’intero
sistema ambientale l’origine di condizioni così faticose; d’altro canto, si può anche ipotizzare che
agisca un meccanismo interpretativo che risente del dibattito più corrente: se il singolo lavoratore
pensa ai problemi che gli pesano di più individua subito la gravosità del lavoro quotidiano, mentre
se si accinge ad interpretare un sentimento collettivo non può non segnalare le aspettative salariali,
pur senza dimenticare i problemi ambientali.
La centralità attribuita agli aspetti più concreti della condizione di lavoro ritorna con chiarezza nella
valutazione delle figure che aspirano con maggior forza ad un cambiamento. La considerazione
implicita alle risposte sembra essere che, pur riconoscendo la particolare criticità di alcune
situazioni, è il quadro generale del lavoro in Aia che rende diffusa un’aspettativa di miglioramento.
31
D10. Quali sono i soggetti che sentono con più forza la necessità di un miglioramento della situazione
Classe d'età
Genere
Nazionalità
Contratto
fino 35 oltre 35
m
it.
fisso avven.
f
stran.
I giovani
6
7
12
3
6
3
8
1
Le donne
4
20
9
16
14
6
19
1
Gli immigrati
10
17
22
7
6
16
12
9
9
21
25
6
16
13
17
12
Tutti
12
51
32
33
48
14
54
5
Totale
41
116
100
65
90
52
110
28
I giovani
14,6
6,0
12,0
4,6
6,7
5,8
7,3
3,6
Le donne
9,8
17,2
9,0 24,6
15,6
11,5
17,3
3,6
I lavoratori a tempo determinato
Gli immigrati
24,4
14,7
22,0 10,8
6,7
30,8
10,9
32,1
I lavoratori a tempo determinato
22,0
18,1
25,0
9,2
17,8
25,0
15,5
42,9
Tutti
29,3
44,0
32,0 50,8
53,3
26,9
49,1
17,9
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
In sostanza, i lavoratori rilevano l’esistenza di fattori obiettivi che tendono a disegnare una mappa
di bisogni differenziati, connessi ad una composizione sociale molto frastagliata, riflesso di
diversità etniche, di genere, di culture, di necessità elementari ed altro, ma queste differenze vanno
in qualche modo ricomprese alla luce del fatto che la situazione aziendale penalizza lo stato fisico e
psichico di tutti i lavoratori.
5) Le risposte dei lavoratori ed il modello di relazioni sindacali in Aia
Gli elementi raccolti dal questionario sono ricchi di indicazioni operative, ma hanno anche il pregio
di trasmettere la sensazione di ciò che vivono i lavoratori dell’Aia. Ad una lettura superficiale si
potrebbe ritenere che gli iscritti Flai Cgil sono orientati ad esprimere una visione tendenzialmente
critica e non pacificata delle condizioni di vita e lavoro in azienda, in linea con una cultura
conflittuale e indisponibile a ricercare una presunta convergenza di interessi con le imprese. Si tratta
di una ipotesi che può lusingare chi coltiva la certezza di una maggiore attitudine al conflitto dei
lavoratori iscritti alla Cgil, ma molte esperienze e vari indizi suggeriscono di ridimensionare questa
interpretazione. Per quanto si debba tener conto del peso degli atteggiamenti culturali che possono
contraddistinguere diverse appartenenze sindacali, tutte le analisi sulle condizioni di lavoro in
un’impresa raccolgono tra i lavoratori opinioni molto convergenti. Anche nel caso Aia, quindi, si
può ipotizzare che le valutazioni registrate siano indicative di stati d’animo largamente diffusi in
azienda, anche se nelle loro espressioni possono risentire dell’appartenenza ad una o ad un‘altra
organizzazione sindacale.
Se si vuole partire dalle opinioni dei lavoratori per riflettere sulle criticità del modello di relazioni
sindacali in Aia, si deve partire dalla manifesta insoddisfazione dichiarata da molti lavoratori. Per
collocare nella giusta cornice questi elementi è giusto dire che all’Aia si è sempre operato nei limiti
32
di una normale dialettica sindacale. Per la dimensione della struttura e per l’impegno del sindacato,
l’azienda si è mostrata disponibile a regolare le attività di lavoro in modo coerente, aggiungendo
alla normativa contrattuale nazionale gli esiti degli accordi di gruppo e di quelli aziendali. Nel
tempo si è costruito un quadro che ha dato spazio alla regolazione delle condizioni di lavoro, alle
politiche di informazione, alla normative di tutela e riconoscimento, e a i sistemi di premio. Gli
interventi di manutenzione degli assetti si sono succeduti periodicamente, integrando la
contrattazione nazionale con quella decentrata. Questo reciproco riconoscimento ha permesso di
affrontare in modo collaborativo le situazioni di difficoltà che si sono periodicamente presentate,
gestendo con relativa tranquillità fasi di esubero del personale, gestione degli orari, sistemi
organizzativi flessibili e lavorazioni a tempo, presenza di avventizi e lavorazioni esterne, ecc.
Nel complesso, la dialettica sindacale in Aia ha trovato le condizioni per essere riconosciuta, pur
con i limiti, le resistenze e le difficoltà del caso. Ma vi sono delle tensioni sotto traccia che sono
diventate più visibili e appare diffusa la convinzione che questo quadro debba essere rivisto alla
luce dei cambiamenti maturati. E’ di immediata evidenza che sono radicalmente mutati due
elementi fondamentali del contesto. Innanzitutto, la leadership conquistata dal gruppo Veronesi
colloca l’Aia in un quadro competitivo nuovo: pur se questo non è ancora del tutto manifesto per la
possibilità che le aziende del comparto conservano di operare in un mercato che appare contendibile
solo all’interno, le ragioni di un inasprimento competitivo sono tutte già in atto. Va inoltre rilevato
che le trasformazioni dei mercati mettono l’impresa in uno stato di pressione mentale che porta a
vivere il futuro come fosse già presente, e ciò inevitabilmente induce a ripensare le strategie di
relazione con il sindacato.
In questi anni la crisi ha accelerato la propensione delle aziende a concepire la presenza sindacale
come funzione della crescita e della competitività delle imprese: solo in relazione a ciò, e in
contesto così vincolato, esse dichiarano di poter garantire ai lavoratori condizioni e prospettive di
lavoro migliori. Questo effetto retroagisce anche sulle dinamiche del fronte sindacale, con Cisl e Uil
che tendono ad accettare questo tipo di scambio e la Cgil che si irrigidisce nel tentativo di
contrapporsi a ciò che considera uno stravolgimento del ruolo sindacale.
In uno scenario di tale complessità le indicazioni raccolte tra i lavoratori possono favorire una
riflessione sulle trasformazioni del modello di relazioni sindacali in Aia. Per sintetizzare in modo
radicale il messaggio che traspare dalle risposte occorre seguire, e prendere sul serio, il nucleo
centrale delle affermazioni degli iscritti. Essi ritengono che l’azione sindacale, nel suo insieme, sia
poco incisiva nelle attività di tutela delle condizioni dei lavoratori; che si valutino spesso in modo
superficiale le questioni connesse alla complicata situazione sociale interna agli stabilimenti; che a
33
fronte delle esigenze aziendali la recettività del sindacato sia troppo poco selettiva e incapace di
analisi critica. Sono contestazioni che forse vanno addebitate alla Flai Cgil meno che ad altri, ma
che interrogano anche questa organizzazione e da essa attendono risposte.
In questo quadro si può rilevare che le valutazioni espresse paiono consapevoli dell’inadeguatezza
del sistema di relazioni, la cui inefficacia sfida il sindacato a rinnovare le proprie strategie di
intervento. Su questo piano le indicazioni più che porre problemi di “linea contrattuale”, segnalano
la necessità di qualificare presenza e ruolo del sindacato. Il terreno di questa riqualificazione non
riguarda soltanto le legittime aspettative dei lavoratori, ma è diffusa la percezione che occorre saper
rispondere ai problemi legati alla competizione di mercato, così come si devono gestire ambienti di
lavoro percorsi dalle tensioni prodotte dall’incontro, e scontro, di universi culturali estranei e
distanti.
Nonostante le tensioni, è evidente che i lavoratori auspicano la formazione di un rapporto con
l’azienda coerente e affidabile. Essi sembrano voler consegnare al sindacato l’obiettivo di definire
un profilo d’intervento che sia rigoroso e attento nel rispondere ai bisogni dei lavoratori, pur
mostrandosi responsabile nel gestire e valutare vincoli e condizioni di mercato. Se alcune criticità
individuano l’esigenza che il sindacato offra risposte di impatto “strategico” (attenzione alle
condizioni di vita e di lavoro, cura dell’ambiente, politiche di integrazione e cooperazione,
arricchimento sociale, ecc.), altre ammettono che vi è un piano di confronto che riguarda i vincoli
concreti dell’azione imprenditoriale. Traspare la consapevolezza che l’efficacia di un modello
sindacale non dipende solo dal riconoscimento dei lavoratori, ma deve conquistare la propria
legittimità anche nel rispetto dell’agire dell’impresa. In questo caso è necessario confermare che la
Flai Cgil è un interlocutore rigoroso ma responsabile, in grado di valutare le soluzioni con
equilibrio, accompagnando la crescita dell’azienda senza rinunciare alla tutela dei lavoratori.
Questi propositi contrastano con atteggiamenti oggi molto diffusi, che segnalano una vicinanza
sospetta tra organizzazioni sindacali ed impresa, specie se ciò si accompagna con affermazioni che
propugnano il ricorso alla mediazione come essenza dell’azione sindacale. E’ fin troppo facile
obiettare che il compito di un sindacato è, invece, quello di indicare strade più ambiziose, operando
per il successo di strategie che combinano un’azione efficace di tutela dei lavoratori, nel
riconoscimento dei concreti spazi di azione imposti all’azienda dalle dinamiche settoriali e dai
processi competitivi.
Le questioni emerse richiedono una specifica sensibilità interpretativa, giacché il compito del
sindacato non è quello di registrare ma, piuttosto, di dare un nome alle aspettative dei lavoratori. La
fiducia dei lavoratori si conquista prestando attenzione ad attese e preoccupazioni, ma le opinioni
34
vanno lette cogliendone le diverse sfaccettature. Singolarmente le risposte intrecciano dichiarazioni
di principio con esigenze di autodifesa, o di tutela dei propri interessi, ma se vengono ricomposte in
una visione collettiva esse fanno affiorare una lettura realistica dei possibili percorsi. Innanzitutto,
esse forniscono un’indicazione che sembra di metodo ma in realtà non è solo questo: essa
suggerisce al sindacato di avere fiducia dei lavoratori. Si può leggere in questo modo l’invito a
riconoscere maggiore autonomia e responsabilità ai delegati, a creare modalità di ascolto delle
opinioni, ad impegnarsi di più per far circolare le informazioni in modo trasparente e completo.
In secondo luogo, le risposte avvertono che se si vogliono ottenere dei risultati soddisfacenti
occorre migliorare la coesione tra i lavoratori. La stessa consapevolezza registrata dalle risposte
sulla condizione dei lavoratori precari è già segnale di un orientamento contrattuale, che andrebbe
raccolto in forme opportune e fatto divenire terreno di confronto in azienda. Allo stesso modo non
va nascosto il disagio dei lavoratori italiani che faticano ad adattarsi alla complessa situazione
sociale interna, riflesso inevitabile di un clima che nel territorio circostante diffonde
quotidianamente sentimenti xenofobi. In questi anni il sindacato si è impegnato a proporre e
praticare strategie solidali, ma di fronte alle difficoltà aumenta la tentazione di rassegnarsi all’idea
che solo il passare del tempo garantirà una progressiva ricomposizione. In effetti, è prevedibile che
lo stabilizzarsi della presenza di cittadini stranieri, e il riconoscimento del diritto di cittadinanza,
finisca per ridurre certe barriere, ma vi è il rischio che nel frattempo la spinta a trovare dei capri
espiatori per una condizione di vita difficile porti a formarne delle altre.
Negli stabilimenti dell’Aia, e del comparto avicolo in generale, la complicata composizione sociale
del mondo del lavoro non è un fattore laterale, ma diviene la spia di un rinnovato profilo
dell’intervento sindacale. All’ordine del giorno non vi è solo l’esigenza di azioni che creino un
clima di condivisione e di riconoscimento, riducendo lo spazio per le forme di avversione e
pregiudizio, ma una rinnovata filosofia di accoglienza che deve dare il tono all’iniziativa sindacale.
Tali problemi vanno riconosciuti e affrontati in azienda, non solo fuori. L’interesse dell’impresa su
questo terreno è circoscritto alle proprie esigenze immediate, cui il sindacato ha risposto trattando i
migranti come altri lavoratori. In realtà, questo è un modo di eludere i problemi: su questo terreno
va proposta un’azione organizzativa più mirata, capace di creare conoscenza e vicinanza, di
praticare meglio la prossimità, di insegnare a guardare gli altri fuori da schemi chiusi ed ostili. In
questo modo pare possibile dare nuovo respiro alla propria iniziativa, riattivando il dialogo con le
altre organizzazioni sindacali, costruendo delle ipotesi di lavoro comuni per migliorare l’efficacia
dell’intervento.
La situazione aziendale, per come emerge dalle opinioni degli iscritti, consegna al sindacato un
compito molto complesso. E’ comprensibile che l’organizzazione recalcitri rispetto ad impegni che,
35
nella latitanza degli organi istituzionali, si scaricano tutti sul sindacato. Tuttavia, la ricostruzione di
un profilo contrattuale adeguato passa attraverso questo nodo, giacché in queste aziende l’azione
sindacale è continuamente sospinta su terreni complicati e, apparentemente, non pertinenti. La
complessità sociale e la molteplicità culturale rappresentano lo sfondo obbligato per il
rinnovamento della presenza sindacale, perché non si danno politiche contrattuali efficaci se non
sono intrinsecamente legate alla costruzione di percorsi di socializzazione solidali.
Le opinioni dei lavoratori rilevano con qualche amarezza gli effetti negativi della divisione
sindacale, consapevoli che ciò non favorisce l’efficacia della contrattazione. A breve termine,
l’impresa può trovare delle convenienze nella discordanza tra organizzazioni, ma nel medio periodo
questa situazioni produce l’aumento della concorrenza tra le forze sindacali che tende a tradursi in
uno stato di conflittualità pericoloso per il governo dell’impresa. Al momento l’azienda può
approfittare del limitato radicamento della Flai Cgil, ma vi sono segnali, anche collegati alla
difficile condizione lavorativa del comparto, che sono la premessa per un rapido aumento della
rappresentatività delle sue posizioni.
Anche in Aia, per ovviare alle inadeguatezze del sistema di relazioni sindacali, si devono dedicare
molte risorse ad un lavoro di tutela del clima aziendale, nel tentativo di evitare la diffusione di un
malessere che incide sull’efficienza del sistema. Se queste operazioni non sono supportate da
ragioni obiettive, peraltro, impongono sempre più uno sforzo che inevitabilmente risulta impari
rispetto ad un contesto che propone problemi di non facile soluzione. Non va dimenticato, poi, che
non è facile convincere lavoratori scarsamente gratificati in termine di riconoscimento, che si
devono accettare i vincoli competitivi, rispondere alla pressione sui costi e sui margini, adattarsi alle
spinte innovative. Avviare un processo di riqualificazione del sistema di relazioni sindacali in
azienda non è facile: non lo è per un’impresa che subisce le spinte ma non sembra culturalmente
attrezzata per aprire alle innovazioni; non lo è per un sindacato che ha lungamente praticato
un’azione di rappresentanza concentrata sulle tutele tradizionali. Pur con le loro radici antiche
questi ambienti prefigurano la formazione di comunità di lavoro di tipo nuovo, dove i problemi di
efficienza della regolazione non sono disgiunti dalla necessità di sperimentare relazioni più aperte,
fondate su equità e riconoscimento. Tra le implicazioni che toccano il fronte competitivo, inoltre,
non va trascurato che il prestigio di queste imprese sarà sempre più legato a fattori di reputazione e
di responsabilità sociale. Su tali terreni le posizioni di vantaggio sono facili a perdersi e difficili da
riconquistare, e possono essere compromesse dal diffondersi di sentimenti di disaffezione e ostilità
tra i lavoratori.
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