fra Lavoro e Famiglia. - Pari Opportunità
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ASSESSORATO AL LAVORO, FORMAZIONE, UNIVERSITÁ E IMMIGRAZIONE fra > UNIONE EUROPEA Fondo sociale europeo Lavoro e Famiglia. I servizi di supporto e l’organizzazione del lavoro: ipotesi per nuove azioni positive progetto cofinanziato dall’unione Europea Ob. 3 E 1 2001-0371/Rer - Delibera di Giunta Regionale n. 1734 del 31/07/2001 0 FRA LAVORO E FAMIGLIA. I SERVIZI DI SUPPORTO E L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO: IPOTESI PER NUOVE AZIONI POSITIVE. Iniziativa realizzata con il contributo della Regione E.R. Ob. 3. E1 2001-0371/RER – Delibera di G.R. n. 1734 del 31/07/2001 1 Prima Parte - La ricerca sul campo RicercAzione scrl (Faenza): Annalisa Gambarrota, Claudia Gatta, Deborah Pelasgi, Annica Perini, Doriana Togni, Alessandra Zattoni Seconda Parte - Le riflessioni in materia di conciliazione Networking srl (Bologna): Si ringraziano per il loro prezioso contributo: le donne, gli imprenditori, le istituzioni pubbliche, le associazioni di categoria, le associazioni sindacali e tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione del progetto. 2 INDICE Prima Parte: La ricerca sul campo Nota metodologica pag 7 Le carte dei servizi: aspetti legislativi pag 10 La mappatura dei servizi sui territori pag 16 Le imprese e la conciliazione: un contributo degli imprenditori pag 37 Donne e conciliazione: l’analisi quantitativa pag 58 I focus pag 75 Tra mito e ricerca pag 130 Strumenti per realizzare la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro pag 141 La conciliazione: tempi di vita e tempi di lavoro nelle PMI e nelle cooperative dell’Emilia Romagna pag 182 Un modello per il contesto aziendale pag 200 Seconda Parte - Le riflessioni in materia di conciliazione 3 4 PRIMA PARTE LA RICERCA SUL CAMPO A cura di RicercAzione scrl (Faenza) 5 6 Fa così, caro Lucilio: renditi veramente padrone di te e custodisci con ogni cura quel tempo che finora ti era portato via, o ti sfuggiva… Dunque, caro Lucilio, fa ciò che mi scrivi; fa tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi. (Seneca, Lettere a Lucilio – Lettera I: L’uso del tempo) NOTA METODOLOGICA Il progetto si colloca in un percorso di analisi e ricerche da tempo avviato dai soggetti proponenti. Si tratta di un approfondimento sul tema degli orari di lavoro in relazione alle forme di organizzazione aziendale e dello sviluppo dei servizi di supporto pubblici finalizzati a favorire la conciliazione tra lavoro e vita famigliare. L’obiettivo principale risiede nell’analisi e, di seguito, nella progettazione di forme di conciliazione tra le esigenze espresse dalle donne che operano all’interno di sistemi produttivi territoriali e le aziende. Il progetto dovrà raccordare e integrare le esperienze già in atto sui tempi della città e, nello specifico, sui tempi delle donne, in relazione all’organizzazione lavorativa e famigliare. Il progetto è articolato in varie azioni. La prima azione si è concretizzata nella “mappatura dei servizi pubblici e privati” (al 31/12/2002) a supporto delle donne. Si è proceduto mediante un’azione di raccolta e analisi delle informazioni sull’esistente, che è stata condotta nei territori di riferimento. Gli ambiti di rilevazione hanno riguardato: i servizi per l’infanzia e l’adolescenza, i servizi per gli anziani e i servizi per i disabili. Attraverso la mappatura si è cercato di capire: quali, quanti e dove 7 sono ubicati i servizi. In particolare si sono messe a fuoco le caratteristiche che tali servizi hanno per rispondere alle esigenze delle donne lavoratrici: orari, tipologia di servizio, accesso, costi, periodi di funzionamento, agevolazioni. Inoltre sono state raccolte informazioni sulle nuove progettualità in corso nei diversi territori. La seconda parte della ricerca ha coinvolto più direttamente il mondo della piccola e media impresa. È stato costruito un campione con l’ausilio dei responsabili delle associazioni di categoria individuando alcuni criteri per selezionare le aziende: la presenza di donne, la dimensione fino a 50 dipendenti, l’appartenenza ad un settore produttivo quale i servizi avanzati e tradizionali alle imprese, i servizi alla persona e il settore agroalimentare. Per quanto riguarda lo strumento è stato ideato un questionario diviso in sezioni: ü anagrafica (età, titolo di studio, composizione del nucleo familiare, tipo di contratto, orario di lavoro); ü i servizi di supporto (responsabilità di cura, utilizzo o meno di servizi, valutazione dei servizi in base ai bisogni, strumenti per far fronte al problema della conciliazione); ü l’organizzazione della realtà lavorativa (modalità organizzative dei tempi, utilizzo di queste modalità, nuove forme di lavoro per favorire la conciliazione, le esigenze di conciliazione); ü la normativa a favore della conciliazione (grado di conoscenza e utilizzo degli strumenti previsti dalla normativa italiana per sostenere la conciliazione); ü l’informazione in materia di conciliazione (ricerca e fonti delle informazioni in materia di conciliazione). Sono stati distribuiti 250 questionari e ne sono ritornati compilati 170. Una parte della rilevazione quali-quantitativa è stata rivolta agli imprenditori delle piccole-medie aziende 8 contattate nei territori di Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia al fine di rilevare i bisogni emergenti nelle aziende contattate e le soluzioni adottate dagli imprenditori in tema di conciliazione dei tempi di lavoro e tempi di vita delle donne lavoratrici. Lo strumento di indagine utilizzato è un questionario semi-strutturato, suddiviso in 6 sezioni: Anagrafica Aziendale - Dati dell’imprenditore - Tempi di lavoro e tempi di cura: i servizi di supporto - L’organizzazione della realtà lavorativa - La normativa a favore della conciliazione - L’informazione in materia di conciliazione. Il questionario così strutturato è stato sottoposto agli imprenditori o legali rappresentanti, siano essi uomini o donne, delle stesse aziende in cui si è proceduto a rilevare i bisogni di conciliazione delle donne lavoratrici. L’indagine è proseguita con i focus group: gruppi di persone riunite per discutere in merito al tema della conciliazione. Le persone coinvolte provengono da diverse realtà organizzative e lavorative. I focus sono stati previsti in 6 territori: Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia. Le ipotesi per nuove azioni positive in tema di conciliazione sono state inserite, sotto forma di idee e suggerimenti, nel paragrafo di lettura e analisi dei focus. Si è quindi proceduto con un’analisi teorica dei modelli di organizzazione aziendale e sono stati individuati quelli maggiormente diffusi, i meno utilizzati ed i più flessibili ed innovativi presenti nelle imprese indagate in regione. L’obiettivo di tale azione era l’identificazione dei livelli di flessibilità aziendale rispetto all’utilizzo del lavoro femminile, l’individuazione delle forme di contratti prevalenti e del sistema degli orari, la rilevazione della presenza di forme di raccordo con servizi di supporto per la forza lavoro femminile all’interno della contrattazione integrativa aziendale o territoriale. 9 LE CARTE DEI SERVIZI1: ASPETTI LEGISLATIVI Negli anni novanta diversi stati europei hanno avviato un’azione di rivalorizzazione dei pubblici servizi aumentando le garanzie dei fruitori, migliorando l’operato dei soggetti erogatori, instaurando un rapporto comunicativo tra ente e cliente anche mediante l’elaborazione e la diffusione di “Carte dei Servizi”. In campo nazionale le “Carte dei servizi” si collocano nel quadro di una produzione legislativa disegnata da un’amministrazione che non lavora più per adempimenti, ma progetta e risponde dei risultati ottenuti: la L. 7 agosto 1990, n. 241 ha stabilito (art.1) che “l’attività amministrativa è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità”; il D. Lgs. 9 febbraio 1993, n. 29 ha codificato le responsabilità dirigenziali, istituito i servizi di controllo interno e gli uffici per le relazioni con il pubblico; la L. 14 gennaio 1994, n. 20 ha riformato il controllo esterno della Corte dei Conti includendovi il controllo sulle gestioni. Le Carte dei servizi sono uno strumento di cui devono dotarsi gli enti erogatori di servizi pubblici previsto dalla direttiva Ciampi e da leggi successive, fino al decreto legislativo del 30 luglio 1999, n. 286. Le Carte dei servizi possono definirsi come uno strumento giuridico e amministrativo volto a garantire il raggiungimento di soddisfacenti livelli di qualità ed efficienza del servizio pubblico e vanno inquadrate in un nuovo modo di intendere i rapporti tra amministrazione erogatrice e cittadini/utenti, sempre più visti nella dimensione di clienti. Esse stabiliscono principi fondamentali e regole specifiche relative all’erogazione di determinati servizi pubblici, ponendo a carico dei soggetti erogatori una serie di obblighi nei confronti degli utenti, F. Ciarcia, “Le carte dei servizi. Un quadro aggiornato al D. Lgs. 286/1999, in attuazione dell’art. 11 della L. 59/1997, in http://www.insa-italia.com 10 1 che così trovano una più efficace forma di tutela dei propri diritti. Inizialmente, la Carta dei servizi fu presentata come un’iniziativa per allargare ai servizi pubblici le garanzie già previste per i cittadini dalla L. 241/1990 nei confronti dei procedimenti amministrativi. Gli utenti dei servizi lamentano una insoddisfacente realizzazione del proprio interesse, come conseguenza della inefficiente e inefficace realizzazione dell’obiettivo di interesse generale attribuito alla pubblica amministrazione: gli interessi dell’utenza infatti non confliggono con le finalità dell’amministrazione di erogazione, ma al contrario ne costituiscono il nucleo fondamentale. L’iniziativa della Carta dei Servizi avrebbe dovuto rispondere: • al problema giuridico dell’inefficace tutela degli utenti da parte degli organi di giustizia ordinaria e amministrativa; • alle esigenze di miglioramento della qualità dei servizi pubblici italiani che evidenziavano un divario sempre maggiore tra quanto i cittadini attendevano dall’amministrazione pubblica e quanto, invece, ricevevano in termini di servizio all’utenza e costi sopportati per il raggiungimento degli obiettivi prefissati di efficacia ed efficienza; • all’esigenza di privatizzare il rapporto di utenza nei rapporti con le amministrazioni di servizio e in generale nei servizi pubblici in vista di liberalizzazioni e privatizzazioni; • all’esigenza di motivare il personale pubblico verso obiettivi d’efficacia ed efficienza e a farsi soggetto partecipe della riforma della pubblica amministrazione. Le principali funzioni delle Carte dei servizi possono essere così riassunte: • tutela giuridica degli utenti dei servizi pubblici; • iniziativa di miglioramento della qualità dei servizi pubblici; 11 • • patto contrattuale tra gli utenti e i servizi in una logica di mercato fuori dal diritto amministrativo; occasione di mobilitazione del personale dei servizi pubblici su valori positivi (la qualità del servizio, la centralità dell’utente, il riconoscimento dell’impegno e dei risultati locali, la valorizzazione di esperienze). Le caratteristiche di fondo della Carta dei Servizi delineata dalla direttiva Ciampi, devono rispettare tre principali categorie di contenuti: 1. i principi fondamentali 2. gli strumenti per l’attuazione dei principi 3. i meccanismi di tutela. I principi fondamentali Eguaglianza: l’erogazione del servizio pubblico deve essere ispirata al principio di eguaglianza dei diritti degli utenti. Le regole riguardanti i rapporti tra utenti e servizi pubblici devono essere uguali per tutti. Va garantita la parità di trattamento, a parità di condizioni del servizio prestato, sia fra le diverse aree geografiche di utenza sia fra le diverse categorie o fasce di utenti. I soggetti erogatori dei servizi sono tenuti a adottare le iniziative necessarie per adeguare le modalità di prestazione del servizio alle esigenze degli utenti. Imparzialità: i soggetti erogatori hanno l’obbligo di ispirare i propri comportamenti, nei confronti degli utenti, a criteri di obiettività, giustizia ed imparzialità. : l’erogazione dei servizi pubblici deve essere continua, regolare e senza interruzioni. I casi di funzionamento irregolare o di interruzione del servizio devono essere espressamente regolati. In tali casi, i soggetti erogatori devono adottare misure volte ad arrecare agli utenti il minor disagio possibile. Diritto di scelta: ove sia consentito dalla legislazione vigente, l’utente ha diritto di scegliere tra i soggetti che erogano il servizio. 12 Partecipazione: la partecipazione del cittadino alla prestazione del servizio pubblico deve essere sempre garantita, sia per tutelare il diritto alla corretta erogazione del servizio, sia per favorire la collaborazione nei confronti dei soggetti erogatori. L’utente ha diritto di accesso alle informazioni in possesso del soggetto erogatore che lo riguardano. Inoltre può prospettare osservazioni e formulare suggerimenti per il miglioramento del servizio. I soggetti erogatori acquisiscono periodicamente la valutazione dell’utente circa la qualità del servizio reso. Efficienza ed efficacia: il servizio pubblico deve essere erogato in modo da garantire l’efficienza e l’efficacia. Gli strumenti per l’attuazione dei principi Adozione di standard: i soggetti erogatori devono individuare i fattori da cui dipende la qualità del servizio, e sulla base di essi, adottare e pubblicare standard di qualità e quantità di cui assicurano il rispetto. Inoltre devono definire standard generali e standard specifici di qualità e quantità dei servizi. I primi rappresentano obiettivi di qualità che si riferiscono al complesso delle prestazioni rese. I secondi si riferiscono a ciascuna delle singole prestazioni rese all’utente, che può direttamente verificarne il rispetto. Gli standard devono essere accompagnati da una relazione illustrativa nella quale si descrivono le modalità previste per il loro conseguimento; i fattori principali esterni al soggetto erogatore e indipendenti dal suo controllo che potrebbero incidere sul conseguimento; i metodi di valutazione utilizzati per fissare o rivedere gli standard. Nella relazione i soggetti erogatori determinano gli indici da utilizzare per la misurazione o la valutazione dei risultati conseguiti; forniscono una base di comparazione per raffrontare i risultati ottenuti con gli obiettivi previsti. Gli standard sono sottoposti a verifica con gli utenti in adunanze pubbliche e sono periodicamente aggiornati. I 13 soggetti erogatori adottano ogni anno piani diretti a migliorare progressivamente gli standard dei servizi. Semplificazione delle procedure: al fine di razionalizzare e rendere conoscibili gli attivi relativi alla disciplina e alla prestazione dei servizi pubblici, i soggetti erogatori provvedono alla razionalizzazione, alla riduzione e alla semplificazione delle procedure da essi adottate. Informazione degli utenti: i soggetti erogatori assicurano la piena informazione degli utenti circa le modalità di prestazione dei servizi. Devono essere assicurate e verificate la chiarezza e la comprensibilità dei testi, oltre che la loro accessibilità al pubblico. Rapporti con gli utenti: i soggetti erogatori e i loro dipendenti sono tenuti a trattare gli utenti con rispetto e cortesia e ad agevolarli nell’esercizio dei diritti e nell’adempimento degli obblighi. L’apertura degli uffici destinati ai rapporti con il pubblico deve essere assicurata anche nelle ore pomeridiane. Le procedure interne degli uffici non devono restringere le condizioni di esercizio dei diritti degli utenti. Dovere di valutazione della qualità dei servizi: per valutare la qualità del servizio reso, specie in relazione al raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse, i soggetti erogatori svolgono apposite verifiche sulla qualità e l’efficacia dei servizi prestati. Rimborso: i soggetti erogatori assicurano agli utenti forme di rimborso nei casi in cui è possibile dimostrare che il servizio reso è inferiore, per qualità e tempestività, agli standard pubblicati. I meccanismi di tutela Procedure di reclamo: i soggetti erogatori prevedono procedure di reclamo dell’utente circa la violazione dei principi sanciti nella presente direttiva e danno ad esse piena pubblicità. Le procedure di reclamo devono essere accessibili, di semplice comprensione e facile utilizzazione. 14 In tale materia è, infine, intervenuto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, dal titolo “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”; emanato a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 perché al capo III, sotto il titolo “Qualità dei servizi pubblici e carte dei servizi”, riforma in buona parte la disciplina di cui in oggetto. In tale decreto è infatti previsto che i servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all’utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del presidente del Consiglio dei Ministri. 15 LA MAPPATURA DEI SERVIZI SUI TERRITORI Questo progetto di ricerca-azione è partito da un’azione di raccolta e analisi delle informazioni esistenti relative ai servizi di supporto alla famiglia. Attraverso la mappatura realizzata sui territori dei Comuni di Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna e Reggio Emilia è stato possibile individuare i servizi e i progetti relativi alle aree minori, disabili e anziani, al 31 dicembre 2002. I servizi e i progetti presi in considerazione possono essere definiti come azioni che supportano la conciliazione, quindi i tempi di cura dei familiari verso minori, disabili e anziani. Per la lettura e la comparazione dei servizi presenti nei diversi Comuni si riportano alcune tabelle di sintesi. Sono stati raccolti, dove erano presenti, i materiali informativi che illustrano le modalità di accesso e l’erogazione del servizio stesso. In alcuni Comuni esistono guide ai servizi per i cittadini, che in qualche caso sono riferite ad un’area o indirizzate ad un target di utenti; in altri casi si tratta di guide riepilogative dei servizi per le aree: minori, disabili anziani. Minori Territorio Cesena Minori Servizi: 0-3 asili nido comunali: 8 asili nido convenzionati: 4 centri ricreativi estivi: 1 Spazio Bimbi -centro giochi comunale senza affido: 2 3-6 Scuole comunali dell’infanzia: 9 Scuole materne statali: 18 Scuole materne private/autonome: 5 Centri ricreativi estivi CREM 16 Faenza Forlì + di 6 anni Centri educativi pomeridiani gestiti dal comune:2 Centri ricreativi estivi Trasporto scolastico Ristorazione scolastica Progetti: - udienze on line (dalle materne alle elementari) - l’associazione ADI di donne straniere ha progettato un servizio di baby sitting presso famiglie per bimbi stranieri e italiani Servizi: 0-3 asili nido comunali: 2 asili nido convenzionati: 2 asili nido privati: 1 centri ricreativi estivi 3-6 Scuole materne statali: 6 Scuole materne private/autonome: 11 Centri ricreativi estivi materni CREM + di 6 anni Centri ricreativi estivi elementari CREE Trasporto scolastico Refezione scolastica Progetti: - spazio giochi per bambini stranieri presso il Centro per le famiglie, realizzato durante il corso di lingua italiana per le madri - Servizio ludoteca - “La casa di Pinocchio” kinder garden al cinema Servizi: 0-3 asili nido comunali: 08 asili nido convenzionati: 2 17 Piacenza Baby parking: 1 Spazio Bimbi -centro giochi con affido: 2 3-6 Scuole comunali dell’infanzia: 9 Scuole materne statali: 13 Scuole materne private/autonome: 13 Centri ricreativi estivi CREM + di 6 anni Centri educativi pomeridiani:11 Centri ricreativi estivi Trasporto scolastico Ristorazione scolastica Progetti: - educatore domiciliare “Il portagioie” - “A casa insieme”, educatore familiare, nido in famiglia - part-time per mamma e papà (con assegno integrativo del reddito) - contributo economico a favore dei datori di lavoro che permettono l’utilizzo del part-time ai genitori lavoratori Servizi: 0-3 asili nido comunali: 6 asili nido convenzionati: 7 spazio bambini:1 centri giochi senza affido:1 3-6 Scuole comunali dell’infanzia e statali: 5 Scuole materne private/autonome: 7 Centro educativo:1 Spazi giochi con affido: 2 Centri ricreativi estivi Trasporto scolastico + di 6 anni Centri ricreativi estivi:9 Trasporto scolastico Ristorazione scolastica Centri educativi:2 18 Ravenna Reggio Emilia Progetti: - servizio di baby sitter per il ritiro di bambini dalle scuole materne ed elementari Servizi: 0-3 asili nido comunali: 11 asili nido convenzionati: 5 centri ricreativi estivi: 7 Spazio Bimbi -centro giochi con affido: 1 Servizi sperimentali: 3 micro nidi (Baby Gulp, Il Canguro) 3-6 Scuole comunali dell’infanzia: 22 Scuole materne statali: 9 Scuole materne private/autonome: 18 Centri ricreativi estivi CREM: 6 centro giochi con affido: 1 Centri di lettura: 2 + di 6 anni Centri ricreativi estivi Trasporto scolastico Ristorazione scolastica Progetti: - “Vado a scuola da solo” - “Estate insieme. Sul filo della memoria” - “Tempi e orari della città:Renna - Baby centro - “Ludobus Palomar” Servizi: 0-3 asili nido comunali: 13 asili nido convenzionati: 9 Oasi - spazio bambini: 1 centri verdi per l’infanzia: 2 3-6 Scuole comunali dell’infanzia: 19 Scuole convenzionati: 1 19 Scuole materne statali: 12 Scuole materne private/autonome: 7 Centri verdi per l’infanzia: 2 + di 6 anni Trasporto scolastico Ristorazione scolastica Progetti: - centri educativi pomeridiani: 3 - GET – Gruppi Educativi Territoriali - Happy Children - TOTEM – Centro di servizi autorizzato per infanzia e preadolesceza, nido, materna, doposcuola - Vacanze estive per ragazzi 3 mesi 3 anni In merito ai servizi che si occupano di minori dai 3 mesi ai 3 anni, si nota la presenza di nidi comunali e convenzionati su tutti i territori presi in considerazione. Come emerge dalla lettura dei dati forniti dai Comuni, la richiesta di questo servizio è elevata le domande in liste d’attesa rimangono spesso inevase. Il numero di posti disponibili nei nidi, comparati a quelli offerti dalle scuole di infanzia, è di gran numero inferiore ed ha costi molto elevati. A supportare la carenza di posti nelle strutture “tradizionali”, in alcuni comuni, sono presenti altri servizi privati o convenzionati con il pubblico, che si occupano della custodia dei bambini in questa fascia d’età quali: centri e spazi gioco con affido e baby parking. Questi sono servizi privati che mettono in pratica una modalità di custodia a ore, o a pacchetti di ore; a Forlì ad esempio oltre ad un baby parking già attivo ne sono stati progettati altri che saranno attivati prossimamente. La nascita di società private e associazioni che si occupano di offrire servizi educativi e di custodia risponde ai bisogni delle famiglie e dall’attività imprenditoriale delle aree dell’Emilia Romagna prese in considerazione in questa ricerca. 20 Per l’inserimento dei bambini negli asili nidi comunali o convenzionati, dato che il numero di domande pervenute supera il numero di posti, gli uffici istruzione dei comuni procedono all’ammissione dei bambini sulla base di graduatorie. I criteri, omogenei per i diversi comuni, sono: la residenza del minore nel comune di riferimento, il reddito dei genitori (vengono collocati in ordine progressivo sulla base del minor reddito), l’occupazione di entrambi o di un solo genitore, l’handicap del minore o l’appartenenza a una famiglia monoparentale in condizione di grave disagio economico e sociale e la distinzione del tipo di lavoro dei genitori (lavoro dipendente o lavoro autonomo). Alcuni Comuni prendono in considerazione anche le reti famigliari del minore e i luoghi di lavoro dei genitori, questo per permettere al genitore di inserire il proprio bambino in una struttura più vicino al luogo di residenza e/o di lavoro. In alcuni territori i responsabili degli uffici scuola hanno sottolineato che, nonostante le difficoltà che una famiglia incontra per far entrare i propri figli nei nidi comunali o convenzionati, in qualche caso le famiglie rifiutano il posto nella struttura a loro assegnata perché troppo lontana dal luogo di abitazione e/o dal luogo di lavoro. Per quanto riguarda il servizio educativo delle scuole d’infanzia per bambini di 3-6 anni, esso garantisce la 3-6 anni copertura dei posti solo per quanto riguarda gli asili statali. Le scuole d’infanzia comunali e private convenzionate non permettono a tutte le famiglie di accedervi in quanto il numero di posti disponibili è inferiore al numero di domande. È opportuno sottolineare che le scuole di infanzia hanno un numero di domande inevase minore di quelle dei nidi. Per rispondere alle esigenze di conciliazione dei genitori e delle famiglie, asili nido e scuole materne hanno attivato flessibilità di orari su tutti i territori. Ciò nonostante la maggior parte delle strutture ha un orario di chiusura fra le 15,30 e le 16,30, solo in alcuni casi sono stati introdotti tempi prolungati fino alle 18,30. In alcuni comuni sono stati attivati altri servizi a pagamento di baby sitting per il 21 ritiro dei bambini dalle scuole e servizi di trasporto dalle scuole materne ed elementari ai centri educativi (ad esempio Piacenza), oppure sono stati realizzati spazi gioco per bambini anche più piccoli. Questi servizi sono soggetti al pagamento di tariffe mensili commisurata al numero di presenze o sulla base di pacchetti di ore. Oltre i 6 anni Per i bambini di età superiore ai 6 anni, insieme alla scuola dell’obbligo, vi sono servizi che facilitano la gestione dei tempi di cura della famiglia: • trasporto pubblico di linea o trasporto pubblico integrativo per i bambini che abitano in zone non coperte dal servizio pubblico; • pre-scuola, possibilità per i bambini di accedere a scuola prima dell’ordinario tempo di inizio delle lezioni; • post-scuola, permanenza a scuola in ore e/o in giorni in cui non c’è attività didattica per facilitare i genitori impegnati in attività lavorative non compatibili con gli orari ordinari della scuola. Questi servizi di pre e post scuola sono a pagamento. • servizio di mensa in caso di tempo pieno (frequenza tutti i pomeriggi) e/o di modulo (frequenza di due pomeriggi a settimana). Vi sono inoltre dei servizi extra scolastici quali centri educativi e ricreativi pomeridiani gestiti da scuole o da cooperative sociali. Anche le associazioni culturali e sportive organizzano attività per i ragazzi dai 6 ai 15 anni con modalità differenti e in pomeriggi specifici della settimana. Nei periodi estivi a conclusione della scuola è possibile utilizzare i centri estivi: numerosi per la fascia di età 6-14 anni (sia comunali che erogati dal privato sociale: cooperative sociali, associazioni, parrocchie), numericamente inferiori per la fascia 3-6 anni e pochissimi per quanto riguarda la fascia 3 mesi-3 anni. 22 Progetti specifici sono stati attivati per sopperire alla chiusura dei servizi presenti sul territorio nei periodi delle I Progetti vacanze natalizie ed estive. Tra questi il progetto “Renna Natabefa” del Comune di Ravenna che offre il servizio di accoglienza per bambini dai 3 ai 10 anni tutti i fine settimana di dicembre e tutti i giorni da Natale alla Befana, per permettere ai bambini di giocare mentre i genitori fanno acquisti nei negozi del centro, si recano presso uffici o sono impegnati al lavoro. La stessa esigenza è sentita anche dall’amministrazione provinciale di Piacenza che ha intenzione di effettuare convenzioni con alcuni servizi educativi per minori da 0 a 18 anni nei periodi di chiusura dei servizi tradizionali. Alcuni territori si caratterizzano per aver progettato e messo in opera servizi sperimentali per dare la possibilità a gruppi di tre famiglie di usufruire di un educatore per la cura dei bambini da 0 a 3 anni, presso l’abitazione di una di queste famiglie. Tale progetto è stato realizzato grazie alla convenzione stipulata tra Comune e imprese sociali; tra questi è da citare il progetto del Comune di Forlì “A Sono stati inoltre attivati servizi che permettono alle famiglie di dare in custodia i loro bambini negli stessi luoghi in cui i genitori “consumano” il loro tempo libero, per esempio alcuni esercizi commerciali come pizzerie, gelaterie e cinema si sono attivati con spazi adibiti a baby sitting; per esempio il progetto “La casa di Pinocchio” realizzata in un cinema di Faenza. Anziani Territorio Cesena Anziani Servizi: case di riposo:5 centri diurni:1 Assistenza domiciliare Assistenza domiciliare integrata Consegna a domicilio pasti Firme e autenticazione presso il domicilio 23 Faenza Forlì Piacenza Teleassistenza e Telesoccorso Servizi di autotrasporto ed accompagnamento assistito Servizi: Casa di riposo: 4 Casa albergo: 1 Casa protetta: 4 Residenza sanitaria assistenziale: 4 Comunità alloggio: 5 Centri diurni assistenziali: 5 Assistenza domiciliare Assistenza domiciliare integrata Consegna pasti a domicilio Telesoccorso Agenzia privata che offre servizi di cura domiciliari Progetti: “Natale Anziani” Servizi: centri anziani:5 case di riposo:1 casa protetta: 3 comunità alloggio:1 centri diurni: 3 pubblici e 3 privati centro alzheimer:1 Assistenza domiciliare Assistenza domiciliare integrata Consegna a domicilio pasti Podologia Servizio di lavanderia Telesoccorso e telecompagnia Trasporto Servizi: case di riposo:5 case protette:4 residenze sanitarie assistite:2 Comunità alloggio:2 Residenza protetta:1 Centri diurni:3 24 Ravenna Reggio Emilia Progetto di ricerca regionale assistenza domiciliare assistenza domiciliare integrata spesa e farmaci a domicilio servizio di telesoccorso Servizi: Case di riposo - case albergo: 5 Case protette. 8 RSA: 1 Centri diurni assistenziali: 3 Comunità alloggio: 2 Assistenza domiciliare Assistenza domiciliare integrata Consegna a domicilio Telesoccorso Servizi: Case protette. 5 Centri diurni: 8 RSA: 2 Nuclei speciali demenze SOS taxi Teleassistenza Pasti a domicilio Progetti: “Demenza senile – circondiamola di aiuto” Famiglia assistenza privata e rete dei servizi per anziani in Emilia-Romagna L’invecchiamento della popolazione si pone come una delle principali sfide al sistema di welfare sociale con costi crescenti dovuti all’assistenza sanitaria e sociale che ricadono sia sui singoli che sulla collettività. L’assistenza agli anziani prevede interventi rivolti a: • prevenire e promuovere situazioni di bisogno, abbandono e solitudine; • favorire la permanenza e l’integrazione nell’ambiente familiare e sociale di appartenenza; 25 • garantire risposte idonee agli anziani non autosufficienti anche mediante appropriati presidi residenziali tutelari. L’anziano non autosufficiente, che non può provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l’aiuto determinante di altri, necessita di cure e assistenza continua. La famiglia ha un valore fondamentale nella terza età dal punto di vista affettivo ed umano e il Comune, l’Azienda Usl e le associazioni ne promuovono il ruolo insostituibile attraverso sostegni e altre forme di aiuto. La Legge regionale n.5 del 1994 si pone come obiettivo la realizzazione di una rete completa di servizi che garantiscano la globalità, l’unitarietà e la continuità delle risposte ai bisogni dell’anziano non autosufficiente. Nei territori mappati, le ASL in accordo con i Comuni, intervengono a favore di persone anziane non autosufficienti erogando servizi a domicilio volti al mantenimento dell’anziano nel contesto familiare, come: • assistenza domiciliare e assistenza domiciliare integrata; • assistenza infermieristica; • consegna pasti a domicilio; • servizio di trasporto, accompagnamento ed assistenza nei luoghi di cura; • servizio di tele-assistenza; • spesa a domicilio; • assegni di cura. Quest’ultimo può essere percepito dai familiari che accudiscono l’anziano non autosufficiente ma anche da altre persone che dimostrano di svolgere attività assistenziali nei suoi confronti. L’assegno di cura è concesso in alternativa all’ingresso in strutture residenziali presenti in tutti i comuni presi in considerazioni quali: • case di riposo; • case protette; • centri diurni; • R.S.A.; 26 • case di riposo private e IPAB. Si sottolinea che i posti disponibili nelle strutture sono inferiori al numero delle richieste e le richieste provengono anche da altri comuni. Le famiglie inseriscono gli anziani in liste di attesa di più strutture anche distanti dalla zona di residenza per assicurarsi una collocazione più immediata possibile, visti i mutamenti rapidi dello stato di salute dell’anziano. Il tempo di attesa non è comunque prevedibile visto che spesso il turn over in questi luoghi è dovuto al decesso delle persone residenti. Nella mappatura sono stati elencati solo i servizi agli anziani presenti nel singolo comune, spesso però le strutture a cui fa riferimento la popolazione sono situate in zone periferiche. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare fornita dai servizi sociali, la richiesta supera il numero di offerte, pertanto le famiglie utilizzano sempre più di frequente l’assunzione diretta di assistenti e “badanti” straniere. Queste prestazioni di servizi sono difficili da rilevare in quanto implicano un contratto diretto fra le parti contraenti, il datore e la lavoratrice straniera, e spesso rimangono nel mercato del lavoro sommerso. In alcuni dei Comuni sui quali è stata effettuata l’indagine, sono nate imprese private (come a Faenza) che fungono da mediatrici fra le “badanti e collaboratrici domestiche straniere” e i cittadini che cercano un assistente per il loro famigliare. Questo tipo di servizio è richiesto anche dall’anziano autosufficiente o parzialmente autosufficiente, che vive da solo diventando contemporaneamente datore di lavoro e assistito. I Comuni mappati e le loro Province, recependo le linee della Regione, hanno attivato percorsi formativi per le “badanti”. In alcuni territori, assistenti e badanti italiane e straniere si stanno organizzando in cooperative ed imprese per fornire questi servizi. 27 Disabili Territorio Cesena Faenza Forlì Disabili Servizi: Disabili in età evolutiva centri socio-educativi e riabilitativi:12 ludoteche e centri di aggregazione:8 centri estivi:7 vacanze estive:2 associazioni varie attività:7 Disabili adulti: pasti a domicilio spesa a domicilio servizio infermieristico domiciliare Visite specialistiche domiciliare Assistenza domiciliare educativa e assistenziale Servizio di tele-assistenza Servizi di trasporto Progetti: Formazione professionale per adolescenti e adulti con deficit, con l’attivazione di borse lavoro:2 Taxibus “Cesena per tutti” Servizi: Centri diurni socio riabilitativi assistenziali: 2 Centri occupazionali per disabili: 3 Centri residenziali: 2 Laboratorio integrato per disabili Trasporto disabili in servizi Servizi: Disabili in età evolutiva Servizi domiciliari educativi-riabilitativi ed assistenziali Servizi educativi a minori con handicap in centri educativi e centri estivi pasti a domicilio spesa e farmaci a domicilio 28 Piacenza Ravenna Reggio Emilia trasporto soggiorni climatici e centri estivi Progetti: azioni di accompagnamento per inserimento al lavoro Servizi: Centri diurni socio-riabilitativi servizi di trasporto assistenza domiciliare Progetti: pronto bus Servizi: Centri socio-riabilitativi diurni: 3 Centri residenziali: 2 centri convenzionati diurno resid. a retta: 2 gruppo appartamento: 1 laboratorio polivalente: 1 Assistenza domiciliare Servizio di trasporto socio sanitario Progetti: Servizio inserimenti Lavorativi integrati: aziende agricole e attività commerciali (legatoria, centro stampa, corniceria e negozio di fiori) gestiti da cooperative in convenzione con il Consorzio per i Servizi Sociali Servizi: centri semiresidenziali: 5 appartamenti protetti: 2 centri residenziali: 2 pasti a domicilio servizio infermieristico domiciliari Visite specialistiche domiciliari Assistenza domiciliare ai disabili adulti. Servizio unificato handicap adulto La tipologia di servizi offerta a disabili fa riferimento a diversi ambiti di azione che rispondono a specifiche tipologie di bisogni. 29 Nei casi in cui è richiesta un’assistenza sanitaria sono previsti inserimenti in centri socio riabilitativi residenziali e diurni. Per i soggetti con una disabilità non grave e che sono capaci di sviluppare percorsi di autonomia su alcune sfere della vita quotidiana sono previsti inserimenti in centri socio-occupazionali ed educativi oppure, attraverso azioni di accompagnamento graduale, possono essere inseriti in laboratori occupazionali e usufruire di interventi legati alla promozione di politiche attive del lavoro (L. 68/99 “ – L. Regionale 14/00 “Promozione dell’accesso al mercato del lavoro delle persone disabili e svantaggiate”). L’inserimento lavorativo non è però sufficiente per un adeguato inserimento sociale: per consentire la piena integrazione è determinante il supporto della famiglia. Per tale motivo, le ASL, in accordo con i Comuni, intervengono a favore delle persone disabili erogando servizi a domicilio, come: • assistenza domiciliare sia educativa che assistenziale; • assistenza infermieristica; • consegna pasti a domicilio; • servizio di trasporto, accompagnamento ed assistenza nei luoghi di cura; • servizio di tele-assistenza; • spesa a domicilio; • contributi economici a sostegni di adulti in difficoltà e di disabili. Nel caso di minori con disabilità medio gravi gli interventi sono spesso gestiti dai Comuni in accordo con le ASL che erogano i seguenti servizi in convenzione o in accordo con cooperative sociali, associazioni, strutture private e volontariato: • assistenza domiciliare (riabilitativa, educativa e dell’accudimento) • attività motorie e psicomotorie • strutture residenziali e semiresidenziali • laboratori protetti • laboratori socio-occupazionali 30 • • • • • • • contributi economici centri pomeridiani centri estivi trasporti (da casa a scuola riabilitazione) centri socio-riabilitativi diurni formazione lavoro o al centro di Dalla mappatura dei territori sui servizi offerti ai disabili in età evolutiva e in età adulta emerge la particolarità di Cesena che dispone di un elevato numero di centri sociali ed educativi e riabilitativi, presenti comunque anche negli altri comuni. Questi centri pur avendo finalità diverse sono stati uniti per l'obiettivo di fondo che li accomuna: facilitare i processi di socializzazione in una prospettiva di integrazione. Alcuni di questi restano aperti certi giorni a settimana con l'intento di favorire l'integrazione dei bambini e ragazzi con deficit psicofisici; altri offrono un vero e proprio sostegno nel fare i compiti di scuola; altri praticano riabilitazione di vari deficit con l'ausilio di personale qualificato. Quasi tutti questi servizi sono aperti nel periodo estivo e offrono la possibilità di effettuare gite, escursioni, vacanze per bambini, adolescenti e adulti con deficit psicofisici. Alcuni invece sono aperti tutto l'anno ed utilizzano lo sport come occasione di incontro, confronto e integrazione. Un’altra specificità di Cesena consiste nei progetti patrocinati da Centri di Formazione privati, come Enaip ed Engim, rivolti ad adolescenti ed adulti con deficit psicofisici di durata biennale o triennale; vengono promosse borse-lavoro, pre-inserimenti e inserimenti lavorativi. Progetti di questo tipo vengono organizzati anche negli altri Comuni ma a Cesena risultano avere una esperienza continuativa e pluriennale. 31 La progettualità dei Comuni e delle imprese sulla conciliazione I Comuni più sensibili alla tematica della conciliazione hanno progettato e realizzato azioni innovative a livello nazionale. Altri progetti sono nati dalle esigenze del territorio e dalle richieste dei lavoratori e lavoratrici accolte dalle associazioni di categoria, dai sindacati e dalle imprese stesse. Queste progettualità si diversificano da Comune a Comune. Territorio Cesena Associazioni di categorie, aziende, sindacati, amministrazioni comunali e provinciali Progetti: - asili aziendali nelle aree artigianali progettati da associazioni di categoria (ass. degli industriali ed Api); - utilizzo del telelavoro per alcune figure professionali; - ricerca-intervento per individuare iniziative di supporto per donne sole con figli e per famiglie prive di reti familiari e sociali. Promossa dal Comune e A.USL di Cesena e condotta dal Centro donna del Comune. - servizio di baby sitting presso famiglie per bimbi stranieri e italiani progettato dall’associazione ADI di donne straniere Progetti: - “La rete in comune” quale promozione di una cultura di genere alla costruzione sul territorio di un sistema di politiche di conciliazione fra tempi di lavoro e vita personale - Azioni di sviluppo sui temi della 32 flessibilità e dei congedi parentali. Ricerca intervento in contesti aziendali e all’interno di strutture pubbliche e convenzionate con il privato sociale - “Alla ricerca della flessibilità degli orari di Piacenza - sperimentazione del Job sharing in aziende private - “Progetto mamma” realizzato con la confesercenti - Adapt II: ricerche sulle difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro e famiglia - Adapt III: interventi locali a sostegno della innovazione e conciliazione dei ruoli nel lavoro e nella famiglia - telelavoro presso cooperative di servizi - progettazione di un asilo aziendale alla confartigianato - utilizzo del lavoro interinale per conciliare le ferie dei dipendenti d’azienda con le vacanze dei figli - progetto per il settore delle acconciature - progetto Asl - ricerca “Tempi di vita e di lavoro” donne e imprese sociali - “Gioco di squadra per la promozione di politiche e di pratiche di conciliazione tra vita professionale e familiare” Progetti: - “attivazione di uno sportello famiglia” presso la Cisl - progetti di telelavoro e orari flessibili da parte dell’ Amministrazione Provinciale - “Tutti i minuti del mondo”, banca dei tempi e dei saperi - ricerca-azione “Esser donna nel topos pubblico” sulle attività di management femminile sia nel settore pubblico che privato 33 Ravenna Reggio Emilia - patto territoriale per Piacenza per le donne - “Progetto in ambito sociosanitario al momento del rientro delle dipendenti dal periodo di maternità” Unicoop Progetti: - Berenice: “Le donne e il doppio ruolo: competenze gestionali e strategie di conciliazione per il miglioramento del rapporto tra vita privata e professionale” - Form Art “Imprenditorialità femminile e congedi parentali” della Confartigianato (Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena) -Banca del tempo Progetti: - “La promozione della presenza femminile nei livelli,nei ruoli e nelle posizioni di responsabilità all’interno delle La tabella sopra riportata, suddivisa per comuni e per progetti specifici realizzati nei diversi territori, mostra come in alcune delle aree mappate sono stati attivati progetti sperimentali. In alcuni territori si stanno studiando modalità organizzative per potere concretizzare la creazione di asili aziendali o di spazi idonei nelle aree industriali e artigianali. Dal punto di vista progettuale le associazioni di categoria hanno investito su questa proposta ma le esperienze concrete di asili aziendali sono ancora allo stato embrionale. La realtà imprenditoriali di alcuni territori, quali Forlì e Cesena, è per lo più composta da piccole e medie imprese e la concentrazione del numero di lavoratori in aree artigianali, ha portato le associazioni di categoria a fare progetti comuni per la costruzione di asili aziendali nelle zone artigianali. Data l’alta densità d’imprese in queste zone è possibile agevolare i lavoratori con la presenza di strutture che permettano di ridurre la mobilità delle famiglie all’interno del comune. Un esempio è quello della 34 Confartigianato di Forlì che ha progettato un asilo aziendale per i figli dei propri dipendenti e di quelli delle aziende associate. Progettazioni e riflessioni sull’attuazione degli asili aziendali sono state realizzate in tutti i territori mappati, trovando anche sostegno da parte degli enti pubblici. Alcune realtà come Piacenza e Reggio-Emilia sembrano invece puntare maggiormente sull’integrazione dei servizi esistenti piuttosto che costituirli ex novo. Le richieste di conciliazione dei tempi vengono sempre più ascoltate dalle associazioni di categoria e dai sindacati. L’interesse verso tali bisogni ha permesso di attivare, insieme ad enti di formazione, Università e Amministrazioni Pubbliche, ricerche sociali per rilevare le esigenze di servizi da parte dei lavoratori e per individuare risposte innovative a tali bisogni. Fra i territori di riferimento particolarmente propositivo sembra essere quello di Forlì che ha progettato e realizzato numerose azioni in materia di conciliazione. A Cesena dal 2002 è in corso una ricerca-azione che ha l’obiettivo di individuare modalità di erogazione di servizi per donne sole con figli e per famiglie prive di reti parentali. Questo progetto, attivato dal Comune e dalla A.usl, vuole verificare la possibilità di realizzare interventi di mediazione, tramite operatori sociali, fra i datori di lavoro e le famiglie monoparentali. Sullo stesso territorio un progetto avviato dall’Associazione di donne straniere sottolinea la necessità di supportare famiglie senza reti parentali sul territorio, fornendo un servizio gratuito di baby sitting a figli di stranieri e italiani. Riflessioni In conclusione, la realizzazione della mappatura dei servizi ha messo in evidenza la mancanza di una cartina 35 della città che rende visibile la dislocazione dei servizi presenti. Questo strumento permetterebbe alle famiglie di scegliere in modo razionale e sulla base di più i servizi offerti sia privati che pubblici. 36 LE IMPRESE E LA CONCILIAZIONE: UN CONTRIBUTO DEGLI IMPRENDITORI Una fase della rilevazione quali-quantitativa si riferisce specificatamente agli imprenditori delle piccole-medie aziende contattate nei territori di Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, al fine di rilevare i bisogni emergenti nelle aziende e le soluzioni adottate dagli imprenditori in tema di conciliazione dei tempi di lavoro e tempi di vita delle donne lavoratrici. Lo strumento di indagine utilizzato è un questionario semi-strutturato, suddiviso in 6 sezioni: Anagrafica Aziendale - Dati dell’imprenditore - Tempi di lavoro e tempi di cura: i servizi di supporto - L’organizzazione della realtà lavorativa - La normativa a favore della conciliazione - L’informazione in materia di conciliazione. Il questionario così strutturato è stato sottoposto agli imprenditori o legali rappresentanti, siano essi uomini o donne, delle stesse aziende in cui si è proceduto a rilevare i bisogni di conciliazione delle donne lavoratrici. La rilevazione è stata condotta tenendo presente che una delle finalità del progetto di ricerca è la diffusione della CULTURA DELLA CONCILIAZIONE all’interno delle aziende: in tale fase di ricerca si è voluto infatti sensibilizzare in particolare gli imprenditori alle tematiche della conciliazione. Il contatto con gli imprenditori si è rivelato importante e per alcuni territori è risultato molto proficuo poiché alcuni di essi hanno continuato a collaborare alla ricerca, intervenendo ai Focus Group che sono stati organizzati a livello territoriale con la partecipazione di diversi soggetti delle realtà imprenditoriali, istituzionali e dell’associazionismo di categoria. In corso d’opera è stato necessario adattarsi alle esigenze degli imprenditori, diverse infatti sono state le difficoltà incontrate nella fase di contatto con gli imprenditori: • pochi imprenditori hanno acconsentito all’incontro diretto con il ricercatore, mentre nella maggioranza dei 37 • • casi il questionario è stato compilato volutamente senza alcun supporto. la maggioranza degli imprenditori ha preferito mantenere un contatto più rapido e meno impegnativo con il ricercatore preposto, preferendo canali di trasmissione diversi da quello personale (telefono, fax, e-mail). una buona parte di imprenditori contattati, pur dando il consenso alla somministrazione dei questionari alle lavoratrici della propria azienda, hanno riportato la propria difficoltà di “trovare il tempo” sia per incontrare il ricercatore, sia per compilare autonomamente il questionario. Tali difficoltà hanno inciso sulla rilevanza statistica dei dati emersi e giustificano la scarsità dei questionari pervenuti: su n. 28 aziende che hanno collaborato alla ricerca, n. 20 imprenditori hanno provveduto alla compilazione del questionario. Tuttavia, ricordiamo che la finalità di questa rilevazione non era un’elaborazione statistica di dati, ma piuttosto l’occasione per riflettere insieme ad alcuni imprenditori sulle modalità aziendali adottate per affrontare le dinamiche della conciliazione che si sviluppano all’interno dell’organizzazione. Anagrafica aziendale Il campione di imprenditori coinvolti nella rilevazione risulta essere costituito da un totale di 20 fra titolari, legali rappresentanti, direttori responsabili di piccole medie imprese con meno di 50 addetti che operano in attività caratterizzate da una prevalente occupazione femminile: 38 Servizi tradizionali alle imprese Cesena Faenza Forlì Piacenza Ravenna Reggio Emilia Tot. Servizi avanzati alle imprese 2 5 3 1 1 2 1 11 Servizi alla persona Agroalimentare 1 Tot. 1 1 1 1 1 1 3 6 4 3 1 3 3 4 20 Come già ricordato, non si deve sopravalutare l’esiguo numero di questionari pervenuti, che assumono importante valore per la qualità delle risposte date e non Come si evince dalla tabella riepilogativa sopra riportata, gli imprenditori che maggiormente hanno dato la propria disponibilità, operano in aziende del settore dei servizi avanzati alle imprese. Questo è un dato che porta già a riflettere su come a livello aziendale l’approccio alla conciliazione varia a seconda della tipologia di attività svolta. Dall’insieme dei dati estrapolati, si evidenzia che la struttura organizzativa più diffusamente utilizzata è quella funzionale, con un grado di strutturazione interna medio-alta: ossia caratterizzata dalla presenza di organigramma, definizione dei ruoli e mansionari, parziale o totale definizione dei processi organizzativi. Si tratta per lo più di aziende con un medio rischio di sopravvivenza nell’ambiente competitivo e con un grado di programmazione delle proprie attività a breve-medio termine (da 3 mesi a 1 anno). Il livello di contatto fra le dipendenti nelle principali funzioni aziendali (amministrazione, produzione, commerciale) risulta essere per lo più alto internamente e alto esternamente. 39 Una lettura più attenta alle specificità territoriali evidenzia in modo più dettagliato gli elementi sopra riportati. I casi aziendali presi in esami sul territorio di Cesena risultano avere una struttura organizzativa prevalentemente funzionale, con un medio rischio di sopravvivenza sul mercato, un grado medio di strutturazione delle proprie attività, e un grado di programmazione delle attività a lungo e medio periodo (da un anno fino a tre anni). Le dinamiche relazionali fra le dipendenti nelle diverse funzioni aziendali si differenziano in tal modo: nell’amministrazione le lavoratrici si relazionano maggiormente con i colleghi amministrativi che con quelli delle altre aree aziendali (rapporto alto interno/basso esterno); nella produzione, il contatto fra le lavoratrici è ugualmente elevato sia internamente sia esternamente; nel commerciale le risposte sono più diversificate. La struttura organizzativa delle aziende coinvolte nel territorio di Faenza è prevalentemente funzionale, con competitività dell’ambiente a rischio di sopravvivenza medio. Il grado di strutturazione aziendale è prevalentemente medio, con un grado di programmazione delle attività per lo più a breve termine. Il livello di contatto fra le dipendenti nelle tre funzioni aziendali è prevalentemente alto sia internamente che I casi aziendali presi in esame a Forlì, sono caratterizzati da una struttura organizzativa funzionale, a medio rischio di competitività sul mercato, con un grado medio di strutturazione (alta strutturazione per l’azienda agroalimentare), e un grado di programmazione delle attività a breve periodo (medio per un’azienda di servizi avanzati). In riferimento al contatto delle dipendenti nelle diverse funzioni aziendali, si rileva che: a livello amministrativo e a livello commerciale, il tipo di contatto che si verifica maggiormente è alto sia internamente sia esternamente; a livello produttivo si verifica la differenza tra il contatto 40 alto interno/basso esterno (per azienda agro-alimentare) e alto interno ed esterno (azienda di servizi avanzati). Le aziende intervistate a Piacenza sono caratterizzate da una struttura organizzativa di tipo funzionale, con rischio di sopravvivenza medio e alto nell’ambiente, con un grado di strutturazione medio e alto, e un grado di programmazione delle attività a medio termine (6 mesi-1 anno) e a lungo periodo (fino a 3 anni). Il livello di contatto fra le dipendenti nelle diverse funzioni organizzative risulta essere prevalentemente alto internamente e alto esternamente, sia nell’amministrazione che nel commerciale. Nella produzione è diffuso il rapporto basso interno/alto esterno (agro-alimentare) e alto interno/basso esterno (servizi tradizionali). L’unica testimonianza imprenditoriale che ci viene riportata a Ravenna è quella di un’azienda di servizi avanzati alle imprese, con struttura organizzativa divisionale, a medio rischio di concorrenzialità, ad alto grado di strutturazione ed un grado di programmazione delle attività a medio termine (1 anno). Il livello di contatto delle dipendenti nelle diverse funzioni organizzative risulta essere alto internamente e basso esternamente sia nella produzione sia nel commerciale. Un’importante considerazione riportata dall’imprenditrice donna sottolinea il fatto che “nel suo settore lavorativo il 99% dei lavoratori impiegati sono donne, in possesso di laurea cosiddetta ‘debole’ e sono principalmente collaboratrici. Il tipo di contratto e gli orari di lavoro non permettono di conciliare: arrivate ad un certo punto o lasciano la formazione oppure decidono di non avere una famiglia”. Il tipo di struttura organizzativa che accomuna i casi aziendali di Reggio Emilia è quella funzionale, con un rischio di sopravvivenza medio nell’ambiente. Il grado di strutturazione utilizzato risulta essere medio per l’azienda di servizi tradizionali e alto per le altre aziende (agroalimentare e servizi alla persona), mentre il grado di 41 programmazione delle attività è a medio termine per tutte le aziende considerate. Il contatto fra le dipendenti nelle principali funzioni organizzative si distribuisce in maniera differenziata fra tutti i livelli e fra le diverse aziende. Gli imprenditori Gli imprenditori che hanno collaborato alla compilazione del questionario sono uomini e donne, in età prevalentemente compresa tra 31 e 50 anni, per lo più laureati, coniugati/conviventi e coniugati/conviventi con figli, residenti nel comune in cui ha sede l’azienda, o nei paesi limitrofi. La maggioranza ha mantenuto un ruolo operativo, oltre al ruolo gestionale/direttivo, e svolge la propria attività prevalentemente senza vincolo di orario. Piacenz a Reggio Emilia Ravenn a Faenza Forlì Cesena Servizi Servizi Servizi Agrotradizional avanzat alla alimentar i alle i alle person e imprese imprese a F M F M F M F M 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 7 3 1 4 11 1 1 1 2 1 3 2 2 4 Tot. F 2 M 1 1 2 1 - 2 4 3 1 2 1 11 9 20 Tempi di lavoro e tempi di cura: i servizi di supporto 42 In generale, agli imprenditori intervistati risulta che sui territori di riferimento siano presenti i servizi “standard” di supporto alle famiglie, quali: asilo nido, scuola materna, centri estivi, riabilitativi, e diurni, case protette e di riposo. Pochi sono quelli che sanno della presenza di baby-parking, centri gioco con affido. Solo in un caso viene riportata l’esistenza di asili aziendali. La maggioranza degli intervistati non usufruisce di servizi pubblici/privati perché non hanno necessità di questo tipo o perché nei pochi casi riportati fanno affidamento sulla rete familiare (nonni) o babysitter. Soltanto 4 imprenditori dichiarano di usufruire di alcuni servizi per minori (centro diurno per ragazzi, asilo nido, centro estivo, pre e dopo scuola) che riescono a rispondere ai bisogni di conciliazione. Si riportano le modalità di approccio ai servizi di supporto adottate dalle aziende a livello territoriale. Nei casi aziendali di Cesena, solo le imprenditrici donne rispondono alle domande relative ai servizi di supporto ai tempi di cura. Baby parking, centri gioco con affido e prescuola sono i servizi di cui non risulta la presenza nel territorio, mentre sono conosciuti: asilo nido, scuola materna, centri estivi, centri socio-educativi e riabilitativi, case di riposo. Tali servizi di supporto non vengono comunque utilizzati perché al momento non vi sono necessità né esigenze familiari di questo tipo. A Faenza, un solo imprenditore uomo (coniugato/convivente con 1 figlio) utilizza servizi per minori, che rispondono solo in parte ai bisogni di conciliazione. Gli altri intervistati non usufruiscono di servizi pubblici o privati, perché “non interessati”; nel caso di una imprenditrice donna (separata con 2 figli) la motivazione è legata alla mancanza di un adeguato servizio di trasporto, e fa fronte al problema della conciliazione con l’auto-organizzazione. 43 I servizi che gli intervistati non ritengono presenti nel territorio di Forlì risultano essere: baby parking, centri gioco con affido, pre-scuola, centri socio-educativi e riabilitativi, centri diurni, case protette. Solo l’imprenditore uomo conosce o ha sentito parlare di tutti i servizi indicati, tranne i centri diurni e le case di riposo. Nessuno degli imprenditori intervistati dichiara di usufruire di servizi pubblici o privati perché “non interessati”; solo nel caso di un’imprenditrice, il motivo è da legarsi al fatto che la domanda presentata non è stata accolta, e pertanto fa fronte al problema della conciliazione affidandosi al sostegno dei parenti. In generale, a Piacenza, gli imprenditori ritengono che tutti i servizi elencati nel questionario siano presenti nel territorio; solo un’imprenditrice non conosce i seguenti servizi: baby parking, centri gioco con affido, pre-scuola, centri socio-educativi e riabilitativi, centri diurni, case protette e di riposo. Due imprenditori non usufruiscono di servizi pubblici o privati perché non interessati; solo nel caso di un’imprenditrice donna (coniugata/convivente con due figli) vengono utilizzati servizi per minori (asilo nido, scuola materna, centri estivi) che sembrano rispondere ai suoi bisogni di conciliazione. Considerando l’unica imprenditrice donna che a Ravenna ha provveduto alla compilazione del questionario (coniugata/convivente senza figli), non risulta che sul territorio siano presenti i servizi di baby parking, centri gioco con affido e centri estivi. Non usufruisce di servizi pubblici o privati perché non interessata, e fa fronte al problema della conciliazione affidandosi alla gestione autonoma. Gli imprenditori contattati a Reggio Emilia ritengono che siano presenti quasi tutti i servizi loro elencati; in un caso sono stati aggiunti i centri di aggregazione per anziani. I servizi meno conosciuti sono centri gioco con affido, baby 44 parking, pre-scuola, centri socio-educativi e riabilitativi. L’imprenditrice donna dichiara di non usufruire di servizi pubblici o privati perché non interessata, e preferisce far fronte al problema della conciliazione con il supporto dei nonni. Al contrario, gli imprenditori uomini dichiarano di usufruire di servizi per minori, quali: centro diurno per ragazzi, asilo nido, centri estivi, scuole sportive e di musica. Entrambi ritengono che tali servizi rispondano ai propri bisogni di conciliazione; in un caso si riporta anche il sostegno fornito dai parenti. L’organizzazione della realta’ lavorativa Nelle aziende contattate i tempi di lavoro sono organizzati sottoforma di part time, flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita, e con orario continuato (in pochi casi il lavoro a turni); forme queste che sono utilizzate per lo più nell’area amministrativa. Le organizzazioni sono state spinte ad utilizzare tali modalità organizzative principalmente per un vantaggio dell’azienda stessa e per andare incontro alle esigenze personali espresse dalle lavoratrici, rispondendo in tutti i casi riportati ai loro bisogni di conciliazione. In riferimento alle modalità innovative che si stanno sperimentando attualmente in Italia e in Europa sull’articolazione dei tempi di lavoro, la maggioranza degli intervistati non ha mai sentito parlare o comunque non conosce tali forme sperimentali; solo in pochi casi citano il job sharing e la banca delle ore. Nelle aziende coinvolte non sono per nulla previste forme di sostegno particolari: solo in due casi è prevista la formazione al rientro dalla maternità e solo in un caso è presente una figura simile ad un mentore per il sostegno alla carriera. Quasi tutti gli imprenditori consultati riferiscono della possibilità di organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori, tramite accordi per lo più informali e verbali, tentando di incrociare le esigenze del 45 momento; in alcuni casi ciò è possibile solo in parte e solo per alcune figure professionali. Comunque, sul tema della conciliazione in azienda, la percezione generale degli imprenditori è che le esigenze di conciliazione dei lavoratori vengano pienamente o mediamente accolte dall’organizzazione, ritenendo che ciò sia dovuto sicuramente all’interesse della dirigenza per il personale e per le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei lavoratori a collaborare, e in parte anche all’assenza di vincoli propri dell’azienda (struttura, mercato, ritmi produttivi, ecc.); solo in un caso si ritiene che ciò sia dovuto anche al fatto che è un problema diffuso tra il personale. Si riporta di seguito l’analisi per singoli territori. Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro utilizzate dalle aziende contattate a Cesena, sono principalmente il part time e la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita; nel caso di un’azienda di servizi avanzati alle imprese si specifica anche la possibilità di lavoro a domicilio. Tali modalità vengono utilizzate più che altro dai lavoratori amministrativi, anche se nel caso sopra riportato (azienda di servizi avanzati) si specifica che la flessibilità dell’orario vale per tutte le funzioni aziendali, tranne l’attività progettuale che viene svolta principalmente a casa. Le organizzazioni interessate sono state spinte ad approntare tali modalità organizzative su richiesta delle lavoratrici, per andare incontro alle loro esigenze personali, e anche perché si considera un vantaggio per L’adozione di tali forme di orario hanno risposto in tutti i casi considerati ai bisogni di conciliazione, poiché si specifica che “l’organico è composto dal 50% di donne che sono anche mamme” e perché “c’è una maggiore presenza in famiglia”. Solo in un caso (azienda di servizi alle persone) non si conoscono le modalità attualmente sperimentate in Italia 46 e in Europa per la diversa articolazione dei tempi di lavoro; le altre due imprenditrici invece affermano di aver sentito parlare di job sharing e di banca delle ore. In due casi aziendali (aziende di servizi avanzati) sono previste delle forme di sostegno, quali la formazione al rientro dalla maternità e la presenza di una figura simile ad un mentore per il sostegno alla carriera. In tutti i casi é possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori tramite accordi principalmente verbali che vengono messi in atto “rispetto a singoli progetti” oppure settimanalmente o all’occasione, come viene specificato in un caso: “si tratta di una gestione delle attività concepita per obiettivi che non prevede un presidio continuo in azienda ma il raggiungimento dei risultati; pertanto le lavoratrici comunicano settimanalmente la loro organizzazione e possono far fronte con semplice comunicazione orale agli imprevisti che subentrano, come ad esempio la malattia di un figlio, ecc. sono presenti accordi formalizzati su obiettivi e vengono definiti i tempi entro i quali devono esser raggiunti”. Gli imprenditori hanno la percezione che le esigenze di conciliazione dei lavoratori siano pienamente accolte, ritenendo che ciò sia dovuto sicuramente all’interesse della dirigenza per il personale e le condizioni di lavoro e alla disponibilità dei lavoratori a collaborare; non si ritiene comunque che sia un problema molto diffuso tra il personale. Solo in un caso (azienda di servizi avanzati) si pensa che ciò sia dovuto anche al fatto che non vi sono vincoli strutturali e organizzativi dell’azienda. Fra gli imprenditori contattati a Faenza, uno solo decide di non completare la parte relativa alla organizzazione della propria realtà lavorativa. Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro maggiormente presenti nelle aziende interessate sono la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita e il part time, in misura minore il lavoro a turni e l’orario 47 continuato. Sono forme adottate in quasi tutte le funzioni aziendali e in modo specifico a livello amministrativo. Le aziende sono state spinte ad approntare tali modalità principalmente per rispondere alle esigenze espresse dalle lavoratrici, e in forma ridotta per la sensibilità verso le condizioni di lavoro, per un vantaggio dell’azienda, e per la tipologia di lavoro. Per quanto riguarda le forme innovative di articolazione dei tempi che si stanno sperimentando in Italia e in Europa, soltanto un’imprenditrice (azienda di servizi avanzati) ha sentito parlare di job sharing, job splitting, banca delle ore, lavoro term-time. Non sono previste in azienda forme di sostegno particolari, se non in un caso la formazione al rientro dalla maternità. In tutti i casi, tranne uno, é possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori, per lo più tramite accordi verbali in base alle esigenze di entrambi (lavoratore-azienda) o comunque che vengono pattuiti in maniera informale; in un caso (azienda di servizi alle imprese) si prevede nel contratto l’orario continuato per i non residenti nel comune di lavoro. La percezione generale è che le esigenze di conciliazione dei lavoratori siano pienamente accolte dall’azienda, grazie all’interesse della dirigenza per il personale e le condizioni di lavoro, alla collaborazione dei lavoratori, al fatto che è un problema diffuso tra il personale. Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro presenti nelle aziende contattate a Forlì sono principalmente la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita, il part time e l’orario continuato (solo in un caso si riporta anche il lavoro a turni), utilizzate principalmente nelle funzioni aziendali dell’amministrazione e della produzione. L’azienda è stata spinta ad adottare tali forme principalmente per la richiesta da parte delle lavoratrici, e in parte per: la sensibilità per le condizioni di lavoro dei lavoratori, il vantaggio dell’azienda, le esigenze personali e la tipologia di lavoro. 48 Tali modalità sembrano aver risposto ai bisogni di conciliazione dei lavoratori, anche perché “ottimizza meglio il lavoro di tutti”. Riguardo alle modalità innovative di lavoro che articolano diversamente i tempi di lavoro, nessuno degli imprenditori contattati ha sentito parlare di tali forme, se non in un caso in cui si riporta la conoscenza del job sharing e job splitting. Non sono previste in azienda forme di sostegno, anche se è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori; in un caso ciò è possibile solo per alcune figure professionali. In generale tale flessibilità si mette in pratica con accordi verbali. La percezione generale degli imprenditori è che le esigenze dei lavoratori vengano accolte, grazie all’interesse della dirigenze per il personale e le condizioni di lavoro, alla collaborazione dei lavoratori; solo in parte lo si considera un problema diffuso tra il personale. Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro maggiormente presenti nelle aziende di Piacenza risultano essere il part time, la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita, il lavoro a turni, e l’orario continuato. Queste forme vengono utilizzate in modo diverso a seconda delle funzioni aziendali. Le organizzazioni sono state spinte ad approntare tali modalità, principalmente per una certa sensibilità che l’azienda dimostra per le condizioni di lavoro dei lavoratori, per andare incontro alle esigenze personali espresse dai lavoratori e anche perché rappresenta un vantaggio per la stessa azienda. Tali modalità hanno risposto ai bisogni di conciliazione, in si incastrano bene per i vari ruoli e settori”. In riferimento alle modalità innovative di lavoro che vengono attualmente sperimentate in Italia e in Europa per una diversa articolazione dei tempi di lavoro, Banca delle ore e Job sharing risultano essere le forme più conosciute. 49 In azienda non sono previste particolari forme di sostegno alla carriera o di conciliazione fra lavoro e famiglia, anche se in tutte le aziende coinvolte è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori, tramite accordi per lo più formalizzati (solo nel caso dell’azienda di servizi tradizionali gli accordi sono verbali). Nel caso dell’azienda agro-alimentare, si nei reparti non produttivi si formalizzano le variazioni organizzative sulla base delle esigenze dei singoli”. Gli imprenditori hanno la percezione che le esigenze di conciliazione dei lavoratori vengano pienamente o quasi tutte accolte, pensando che ciò sia dovuto principalmente all’interesse delle dirigenza per il personale e le condizioni di lavoro e alla collaborazione dei lavoratori. In due casi (servizi tradizionali e agro-alimentare) si pensa che ciò sia dovuto in parte anche all’assenza di vincoli strutturali e organizzativi propri dell’azienda, e in un caso (servizi tradizionali) in parte anche al fatto che è un problema diffuso tra il personale. Nel caso aziendale di Ravenna, le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro adottate dall’azienda contattata consistono nella flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e uscita e nell’orario continuato, che vengono utilizzate a livello di funzione amministrativa e produttiva. Nonostante si ritenga che non vi siano particolari esigenze di conciliazione tra il personale, l’organizzazione è stata spinta ad adottare tali modalità per la particolare sensibilità verso le condizioni di lavoro dei lavoratori e perché comunque è un vantaggio per l’azienda. Delle forme innovative di articolazione dei tempi che si stanno sperimentando in Italia e in Europa, sono conosciute soltanto il job sharing e la banca delle ore. Non sono previste in azienda forme particolari di sostegno e non è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori: infatti la percezione riportata è che le esigenze di conciliazione dei lavoratori siano accolte in una giusta misura. 50 A Reggio Emilia, le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro presenti nelle aziende contattate sono principalmente il part time, il lavoro a turni, e l’orario continuato, utilizzati per lo più a livello amministrativo e produttivo. Le aziende sono state spinte ad utilizzare tali forme organizzative per richiesta da parte dei lavoratori, per la sensibilità che l’azienda ha verso le condizioni di lavoro dei lavoratori, e perché considerano un vantaggio per l’azienda e, come riportato in un caso, “anche per la clientela”. In tutti i casi, tali modalità hanno risposto ai bisogni di conciliazione, perché “corrispondenti alle nostre e alle loro esigenze” e perché “con il part time sono soddisfatte”. Per quanto riguarda le modalità innovative di lavoro che sono attualmente sperimentate in Italia e in Europa, solo un imprenditore (servizi alla persona) ha sentito parlare di job sharing e di banca delle ore; gli altri non conoscono nessuna delle forme indicate. Nelle aziende contattate non sono previste particolari forme di sostegno, se non lo stage “per introdursi nel lavoro” e “la formazione periodica per i dipendenti”. In tutti i casi considerati, è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori tramite accordi verbali e informali, trovando un accordo tra le esigenze del lavoratore e dell’azienda. In un caso il part time viene visto come una modalità di organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze di alcune figure professionali. Gli imprenditori consultati hanno la percezione che le esigenze di conciliazione dei lavoratori siano totalmente accolte, grazie all’interesse della dirigenza per il personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei lavoratori a collaborare, e in parte all’assenza di vincoli strutturali-organizzativi dell’azienda. Non si ritiene comunque che sia un problema diffuso tra il personale. 51 La normativa a favore della conciliazione In riferimento agli strumenti previsti dalla Legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura, la maggioranza degli imprenditori sostiene di conoscere o comunque di aver sentito parlare di quasi tutti gli strumenti loro elencati: congedo di maternità, parentale, per ragioni familiari e per adozione; interruzione di carriera con diritto sul posto di lavoro al rientro; part time Tuttavia, fra questi strumenti pochi sono quelli che, oltre ad essere conosciuti, vengono anche utilizzati in azienda, e sono più che altro: congedi di maternità, parentale, per ragioni familiari, assegni familiari, part time al rientro dalla maternità; soltanto nel caso aziendale di Ravenna viene riportato anche l’utilizzo dell’interruzione di carriera con diritto sul posto di lavoro al rientro. Rispetto agli strumenti utilizzati una parte degli intervistati ritiene che tali strumenti abbiano soddisfatto i bisogni di conciliazione dei lavoratori, perché hanno riconosciuto la disponibilità dell’azienda, o perché per il momento le esigenze sono poche, o perché sono contenti o perché sono consoni alle esigenze. Una parte degli intervistati invece pensa che tali strumenti rispondano solo in parte ai bisogni dei lavoratori, perché sono comunque obblighi di legge, o perché le esigenze del personale non si sposano interamente con quelle dell’azienda, o perché sono insufficienti, o perché per le lavoratrici autonome sono economicamente insufficienti da permettere di restare in maternità. Solo in un caso si pensa che non abbiano avuto effetto perché non c’è stata occasione per utilizzarli. A Cesena, gli strumenti previsti dalla Legge sono quasi tutti conosciuti dagli imprenditori contattati, e soltanto in un caso nessuno di questi viene utilizzato (azienda di servizi avanzati) perché “sono pochi”; gli altri imprenditori utilizzano o hanno utilizzato per lo più 52 l’assegno di maternità e sgravi fiscali/altri contributi economici, e tutte le altre forme di supporto alla maternità. Nei casi aziendali di Faenza, due imprenditori hanno scelto di non rispondere a questa sezione del questionario. Quasi tutti gli imprenditori interessati conoscono tutti gli strumenti previsti dalla Legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura, ma pochi sono quelli anche utilizzati. Comunque tutti ritengono che gli strumenti utilizzati abbiano soddisfatto i bisogni di conciliazione dei lavoratori, precisando che sono “consoni alle esigenze”. Nelle aziende coinvolte a Forlì, gli strumenti previsti dalla Legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura sono conosciuti da quasi tutti gli imprenditori contattati, ma nessuno di questi viene utilizzato in azienda. Solo in un caso (azienda di servizi avanzati) gli strumenti utilizzati sono il congedo di maternità e gli assegni familiari. Riguardo agli strumenti previsti dalla Legge italiana, gli imprenditori di Piacenza dichiarano di conoscere molti di quelli indicati nel questionario, ma di questi pochi risultano essere utilizzati in azienda. Rispetto agli strumenti che vengono utilizzati, un solo imprenditore pensa che tali strumenti abbiano soddisfatto i bisogni di conciliazione degli imprenditori perché “per il momento le esigenze sono ridotte”, mentre due imprenditori ritengono che abbiano soddisfatto solo in parte i bisogni dei lavoratori, perché “le esigenze personali non si sposano interamente alle esigenze dell’azienda”. Nel caso aziendale di Ravenna, sono conosciuti tutti gli strumenti previsti dalla Legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura: di questi sono stati o sono utilizzati in azienda il congedo di maternità, per 53 ragioni familiari e per adozione, l’interruzione di carriera con diritto sul posto di lavoro al rientro, gli assegni familiari e di maternità. Si ritiene che gli strumenti utilizzati abbiano soddisfatto i bisogni dei lavoratori solo in parte, perché “laddove utilizzati é stato per adempiere ad obblighi di legge A Reggio Emilia, gli imprenditori contattati sostengono di conoscere quasi tutti gli strumenti di conciliazione previsti dalla Legge italiana, anche se quelli utilizzati all’interno delle proprie aziende sono: congedi di maternità, parentale e per ragioni familiari, assegni familiari e di maternità, part time dopo la nascita del figlio, banche del tempo. Rispetto agi strumenti utilizzati si ritiene che abbiano soddisfatto i bisogni di conciliazione dei lavoratori perché “sono contenti” e perché “hanno riconosciuto la disponibilità dell’azienda alla conciliazione”. L’informazione in materia di conciliazione La maggior parte degli intervistati, e in particolare le imprenditrici donne, ha ricercato informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura, ottenendo informazioni prevalentemente da associazioni di categoria e da servizi informativi territoriali e in parte da sindacati, responsabili del personale, mass-media. In generale, gli intervistati pensano che sia abbastanza o molto agevole ottenere informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro e i tempi di cura; soltanto in cinque casi si ritenere poco o per nulla agevole l’accesso alle informazioni. In quasi tutte le organizzazioni consultate non sono per nulla o quasi per niente previsti momenti di formazione o apprendimento sulla tematica della conciliazione; soltanto in un caso ciò avviene in base alle esigenze espresse. Tuttavia per quasi tutte esiste la possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione, anche se in alcuni casi ciò non è assolutamente possibile. 54 A Cesena tutti gli imprenditori intervistati hanno ricercato e ottenuto informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura da servizi informativi territoriali, associazioni di categoria, sindacato dei lavoratori e giornali. Ognuno di loro ha risposto in maniera diversa alle considerazioni relative alla possibilità di ottenere facilmente le informazioni sulla conciliazione. Non sono previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione in azienda, anche se c’è la possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione. La maggioranza degli imprenditori contattati a Faenza, sostiene di non avere mai ricercato informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura; soltanto un’imprenditrice donna dichiara di averle cercate su internet. Coloro che sostengono di non averle mai ricercate, dichiarano tuttavia di aver ricevuto delle informazioni più che altro da associazioni di categoria; in un caso anche da colleghi/amici e mass-media. Tutti ritengono che sia abbastanza agevole ottenere informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura. Nelle organizzazioni coinvolte non sono previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione, anche se c’è la possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione. Nessuno degli imprenditori contattati a Forlì ha mai ricercato intenzionalmente informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura; ciò nonostante hanno informazioni fornite da colleghi, amici e dal responsabile del personale. Tutti gli intervistati comunque pensano che sia abbastanza agevole ottenere delle informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro e i tempi di cura. 55 Nelle organizzazioni interessate non sono previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione e soltanto in un caso (azienda agro-alimentare) si riporta la piena possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione; negli altri casi tale possibilità è assente o molto limitata. A Piacenza, gli imprenditori consultati hanno ricercato informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura, ottenendole principalmente da associazioni di categoria e sindacati, e in misura minore da servizi informativi territoriali, mass-media e consulente del lavoro. In generale si ritiene abbastanza o poco agevole ottenere informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro e i tempi di cura. Nonostante nelle organizzazioni interessate non siano previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione, c’è la possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione. Nel caso aziendale di Ravenna l’imprenditore sostiene di non aver mai ricercato personalmente informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura, anche se ritiene che sia molto agevole ottenere delle informazioni sulle opportunità esistenti. Nell’organizzazione non sono previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione, anche se in parte è possibile discutere con i lavoratori sul tema della conciliazione. Nei casi aziendali considerati a Reggio Emilia, le informazioni sulla conciliazione, anche senza richieste specifiche, sono state fornite dalle associazioni di categoria, sindacati e studio paghe. Solo nel caso di un imprenditore, sono state intenzionalmente ricercate informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura dalle associazioni di categoria e da colleghi/amici. 56 In generale, si considera abbastanza agevole ottenere informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro e i tempi di cura. Nelle organizzazioni è possibile discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione, ma non sono previsti momenti di formazione sulla tematica della conciliazione. 57 DONNE E CONCILIAZIONE: L’ANALISI QUANTITATIVA La seconda fase della rilevazione tramite questionari si riferisce alle donne che lavorano all’interno delle aziende contattate nei territori presi in esame dalla ricerca. Appare opportuno procedere ad un’analisi dei questionari tenendo in considerazione la territorialità, in quanto, come apparso dalla mappatura, ogni territorio è caratterizzato da una propria cultura e dall’erogazione di servizi specifici. Cesena dei servizi Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i 40 anni, con una leggera predominanza nella classe 3140 anni (42.3%) e si distribuiscono fra diplomate e laureate. Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. Il 40% delle donne dichiara che nella propria vita sono presenti persone verso cui si ha una responsabilità di cura e che tali persone sono da identificare con i figli (36%) e con i genitori anziani (4%). Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (12.5%) e con il marito ed i propri genitori (25%). Il 76% delle intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre il 24% fa ricorso ai servizi per minori. In particolare vengono utilizzati: asilo nido, scuola materna, servizio di pre e dopo scuola, centri estivi. Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente: l’asilo nido così come il servizio di pre e dopo scuola non appaiono essere gli strumenti migliori per la conciliazione, mentre per gli altri servizi la valutazione si distribuisce fra il “sì, in parte” e il no. Una nota di merito va ai centri 58 estivi: l’8.3% delle donne dichiara che tale servizio è in grado di rispondere anche se non totalmente ai bisogni di conciliazione. Fra i motivi che portano a valutazioni negative per quanto riguarda la corrispondenza troviamo: l’orario breve e/o rigido, i costi elevati, la sede lontana e la mancanza di un servizio di trasporto . Pertanto si fa ricorso all’aiuto dei parenti e/o alla babysitter per soddisfare i propri bisogni di conciliazione. Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la maggior parte delle donne che si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza di un figlio o di un anziano da accudire. Le criticità dei servizi e le risposte delle famiglie Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 33.3% è impiegata nel settore amministrativo e il 28.6% nel settore gestionale. Poche lavorano totalmente sole, la maggior parte di loro lavora in gruppo. Il 34.6% ha un contratto a tempo indeterminato e il 26.9% è impiegata con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Alta anche la percentuale di donne che si rapportano con l’azienda con una modalità libero professionale (19.2%). La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 38.5% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo pieno, il 15.4% usufruisce di un part-time e il 34.6% invece non ha vincoli di orario. Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata ed uscita e l’orario continuato. Forte la presenza di donne che lavorano senza un vincolo d’orario preciso. Rispetto all’utilizzo di queste forme l’86.4% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso al part-time e/o alla flessibilità di 59 Le modalità organizza tive orario in entrata ed in uscita. Nei casi positivi, il 75% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Inoltre l’80% dichiara che nella propria azienda è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici e il 74.7% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro, al fatto che la conciliazione sia un problema diffuso tra il personale e alla disponibilità dei colleghi a collaborare. Il livello di conoscen za degli strumenti La ricerca delle informazi oni Per quanto concerne la conoscenza di modalità innovative di lavoro che riducono e articolano diversamente i tempi di lavoro, l’unico ad essere conosciuto è il job sharing. Non si conoscono assolutamente il job splitting, la banca delle ore e il lavoro term time. Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme di sostegno quali: la presenza di un mentore per il sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la formazione al rientro dalla maternità. Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della conciliazione si può affermare che vi è una buona conoscenza delle diverse forme previste dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura. Tuttavia il 25% delle donne intervistate ritengono che tali modalità rispondano solamente in parte ai bisogni di conciliazione. La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dal 44% delle donne e i canali sono i più diversi: si va dall’imprenditore al sindacato, alle associazioni di categoria, ai massmedia. Inoltre il 54.5% ritiene che sia abbastanza agevole ottenere le informazioni. Tali informazioni invece non provengono da momenti di formazione/apprendimento in azienda, anche se nella 60 propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e confrontarsi sulla tematica della conciliazione. Faenza Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i 40 anni, con una predominanza nella classe 21-30 anni (58.3%) e si distribuiscono fra diplomate (62.5%) e laureate (20.8%). Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo una distribuzione omogenea fra coniugate con e senza figli ed un picco più elevato di donne single (66.7%). Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. La maggior parte delle donne dichiara che nella propria vita non sono presenti persone verso cui hanno una responsabilità di cura. Tale dato è riconducibile al fatto che le donne intervistate sono giovani, con una scolarità medio-alta ed inserite per lo più in aziende che offrono servizi avanzati alle imprese. Coloro che invece rispondono positivamente al quesito identificano tali soggetti con i figli e/o con i genitori anziani. Il lavoro di cura viene condiviso con il marito. La maggior parte delle intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre chi utilizza i servizi fa ricorso a servizi per minori e per disabili. In particolare vengono utilizzati nell’area minori: la scuola materna, il servizio di pre e dopo scuola e i centri estivi; nell’area disabili/anziani le case protette. Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente: nell’area minori sembra che i servizi siano in grado di rispondere ai bisogni di conciliazione, mentre per l’area anziani e disabili i centri non sembrano ricevere la stessa valutazione. 61 L’utilizzo dei servizi Le criticità dei servizi e le risposte delle famiglie Il motivo che porta a questa valutazione negativa risiede nei costi elevati delle strutture e per soddisfare i propri bisogni di conciliazione si fa ricorso alle badanti. Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”, ossia la maggior parte delle donne si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”. Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 58.3% è impiegata nel settore amministrativo, il 20.8% è nel settore produttivo e il 16.7% nel settore tecnico. Il 62.5% ha un contratto a tempo indeterminato e il 12.5% è impiegata con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 66.7% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo pieno, il 12.5% usufruisce di un part-time e l’8.3% invece lavori su turni. Le modalità organizza tive Le modalità organizzative dei tempi di lavoro presenti nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità di orario in entrata e in uscita, il lavoro a turni e l’orario continuato. Pochi i casi in cui non vi è una regolamentazione dell’orario. Rispetto all’utilizzo di queste forme il 56.5% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed in uscita e alla combinazione flessibilità ed orario continuato. Nei casi positivi, il 45.5% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Il 45.8% dichiara che nella propria azienda non è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici, tuttavia il 77.2% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei 62 colleghi a collaborare e al fatto che è un problema diffuso tra il personale. Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, emerge una non conoscenza di queste nuove forme di lavoro, così come non si conoscono le forme di sostegno che possono essere presenti in azienda, quali la presenza di un mentore, il coordinatore work family o la formazione al rientro dalla maternità. Vi è una buona conoscenza invece degli strumenti previsti dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura. Poche sono le donne che ricercano informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura e i canali sono: i colleghi/amici, la televisione e radio, i giornali. Coloro che cercano informazioni tuttavia ritengono nel 45.8% dei casi che sia agevole ottenere informazioni sulla tematica della conciliazione. Tali informazioni invece non provengono né da momenti di formazione/apprendimento in azienda né da momenti di discussione e confronto sulla tematica della conciliazione. Forlì Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i 40 anni, con una leggera predominanza nella classe 2130 anni e si distribuiscono fra diplomate, laureate e donne in possesso delle licenza media. Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. Il 37% delle donne dichiara che nella propria vita sono presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e che tali persone sono da identificare con i figli (19.2%) e in altri casi con fratelli minori o con i genitori anziani. 63 Il livello di conoscen za degli strumenti La ricerca delle informazi oni L’utilizzo dei servizi Le criticità dei servizi e le risposte delle famiglie Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (11.1%) e con i propri genitori (14.8%). La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per minori. In particolare vengono utilizzati: la scuola materna, il servizio di pre e dopo scuola, i centri estivi. Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente: i servizi sopra citati appaiono essere buoni strumenti per la conciliazione. Viene sottolineato come elemento negativo il costo di tali servizi che sembra essere troppo elevato. Le donne invece che non utilizzano i servizi pur in presenza di persone che devono essere accudite fanno ricorso alla rete famigliare ed amicale. Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la maggior parte delle donne che si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza di un figlio o di un anziano da accudire. Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 33.3% è impiegata nel settore produttivo, il 51.9% nel settore amministrativo e l’11.1% nel settore gestionale. In questo territorio sono in numero maggiore le donne che lavorano da sole piuttosto che in gruppo o in coppia. Il 74.1% ha un contratto a tempo indeterminato, il 14.8% è impiegata con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e l’11.1 ha un contratto a tempo determinato. La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 44.4% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo pieno, il 22.2% usufruisce di un parttime e il 7.4% utilizza l’orario continuato. Sono presenti anche forme miste che prevedono la compresenza di 64 tempo pieno e turni, turni ed orario continuato, part-time e orario continuato. Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata ed uscita e l’orario continuato. Rispetto all’utilizzo di queste forme il 92.6% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso al part-time, alla flessibilità di orario in entrata ed in uscita e/o al part-time. Nei casi positivi, l’88.5% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Inoltre il 57.7% dichiara che nella propria azienda è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici e il 65.4% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro e alla disponibilità dei colleghi a collaborare. Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si percepisce una non conoscenza. Vi è un livello minimo di conoscenza per la banca delle ore. Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme di sostegno quali: la presenza di un mentore per il sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la formazione al rientro dalla maternità. Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della conciliazione si può affermare che vi è una buona conoscenza delle diverse forme previste dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura. Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di conciliazione. 65 Le modalità organizza tive Il livello di conoscen za degli strumenti La ricerca delle informa zioni La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza delle donne e i canali sono: le associazioni di categoria, i colleghi/amici e i mass-media. Tuttavia il 45% ritiene che sia abbastanza agevole ottenere le informazioni. Tali informazioni invece non provengono da momenti di formazione/apprendimento in azienda, anche se nella propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e confrontarsi sulla tematica della conciliazione. Piacenza L’età delle donne intervistate si distribuisce nel seguente modo: il 44% ha un’età compresa fra i 21 e 30 anni, il 40% si posiziona nella classe 31-40 anni, l’8% dai 41 ai 50 anni ed infine l’8% ha un’età compresa fra i 51 e gli oltre 61. Si rileva inoltre che il 48% possiede un diploma, il 20% la laurea e il 16% la qualifica professionale. Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo la seguente distribuzione: single (36%), coniugate senza figli (40%) e coniugate con figli (20%) Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. La maggior parte delle donne dichiara che nella propria vita non sono presenti persone verso cui hanno una responsabilità di cura. Coloro che invece rispondono positivamente al quesito identificano tali soggetti con i figli e/o con i genitori anziani. Il lavoro di cura viene condiviso per lo più con il marito, ma non mancano i casi di sostegno provenienti dalle reti famigliari (genitori e sorelle di entrambi i coniugi). L’utilizzo dei servizi La maggior parte delle intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre chi utilizza i servizi fa ricorso a servizi per minori (21.7%) e per disabili (8.7%). In particolare vengono utilizzati nell’area minori: l’asilo nido, la scuola materna, il dopo scuola e i centri estivi; 66 nell’area disabili/anziani riabilitativi. i centri socio-educativi- Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione le risposte si concentrano nella categoria “in parte”. L’unico picco di eccellenza spetta ai centri estivi che ricevono una valutazione positiva Il motivo che porta a questa valutazione non totalmente negativa risiede nei costi elevati delle strutture e nella rigidità di orario. Per far fronte alla necessità di conciliazione si fa ricorso alle reti famigliari ed in alcuni casi alla babysitter. Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”, ossia la maggior parte delle donne si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”. Le criticità dei servizi e le risposte della famiglie Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 26.1% è impiegata nel settore amministrativo, il 39.1% nel settore gestionale e il 17.4% nel settore produttivo e nel settore tecnico. La maggior parte lavora in coppia o in gruppo. Il 52.2% ha un contratto a tempo indeterminato e il 13% è impiegata con un contratto a tempo determinato. La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 52.2% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo pieno e un 34.8% usufruisce di un part-time. Le modalità organizzative dei tempi di lavoro presenti nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità di orario in entrata e in uscita, il lavoro a turni e l’orario continuato. Rispetto all’utilizzo di queste forme l’87% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso al lavoro a turni, alla flessibilità di orario in entrata ed in uscita e alla combinazione di flessibilità, part-time ed orario continuato. Nei casi positivi, il 73.9% delle lavoratrici ha 67 Le modalità organizza tive dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Il 59.1% dichiara che nella propria azienda è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici e il 63.7% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei colleghi a collaborare e al fatto che è un problema diffuso tra il personale. Il livello di conoscen za degli strumenti La ricerca delle informazi oni Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, emerge un livello scarso di conoscenza di queste nuove forme di lavoro, così come si conoscono poco le forme di sostegno che possono essere presenti in azienda, quali la presenza di un mentore, il coordinatore work family o la formazione al rientro dalla maternità. Vi è una buona conoscenza invece degli strumenti previsti dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura e sembra che tali strumenti ricevano parere favorevole per quanto riguarda la corrispondenza bisogno di conciliazione e sua soddisfazione. Poche sono le donne che ricercano informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura e i canali sono i più diversi: dal titolare all’associazione di categoria, dal sindacato ai colleghi/amici, fino ai massmedia. Coloro che cercano informazioni tuttavia ritengono che sia abbastanza agevole ottenere informazioni sulla tematica della conciliazione. Tali informazioni non provengono da momenti di formazione/apprendimento in azienda, mentre sono accolti positivamente momenti di discussione e confronto sulla tematica della conciliazione. Ravenna Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i 50 anni, con una predominanza nella classe 21-30 anni 68 (33.3%) e nella classe 31-40 anni (50%) e si distribuiscono fra diplomate e laureate. Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo una distribuzione fra single (38.1%), coniugate senza figli (21.4%) e coniugate con figli (38.1%). Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. Il 40.5% delle donne dichiara che nella propria vita sono presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e che tali persone sono da identificare con i figli (31.7%) e in altri casi con fratelli minori o con i genitori anziani. Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (14.6%) e con la combinazione marito/genitori (12.2%). La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per minori (21.4%), per anziani (2.4%) e disabili (2.4%). In particolare vengono utilizzati: l’asilo nido, la scuola materna, il baby-parking, il servizio di pre e dopo scuola, i centri estivi e i centri socio-educativi-riabilitativi. Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente: i servizi per minori sopra citati sembrano essere buoni strumenti per la conciliazione, mentre i servizi per anziani e disabili rispondono solo in parte alle esigenze delle famiglie. Gli elementi negativi sono: l’apertura breve, l’orario rigido, i costi elevati, la mancanza di un servizio di trasporto e la scarsa efficienza. Per supplire a tali carenza le famiglie fanno ricorso alle proprie reti o a personale specializzato (babysitter e badanti). Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la maggior parte delle donne che si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza di un figlio o di un anziano da accudire. Si ritrovano alcuni casi in cui il non utilizzo è da ricondurre al fatto che la 69 dei servizi Le criticità dei servizi e le risposte delle famiglie domanda non è stata accolta. Anche in questo caso si fa ricorso all’aiuto dei parenti o di personale esterno. Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 61.5% è impiegata nel settore amministrativo e il 23.1% nel settore gestionale. Il 53.7% ha un contratto a tempo indeterminato e il 43.9% è impiegata con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 70.7% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo pieno, il 9.8% usufruisce di un part-time oppure non possiede una regolamentazione fissa del proprio orario di lavoro. Sono presenti anche forme miste che prevedono la compresenza di tempo pieno e senza vincolo d’orario. Le modalità organizza ive La modalità organizzativa dei tempi di lavoro maggiormente adottata nelle aziende coinvolte è la flessibilità d’orario in entrata ed in uscita. Non mancano tuttavia forme miste che prevedono la compresenza del part-time, dell’orario continuato, della flessibilità e della mancanza di vincoli. Rispetto all’utilizzo di queste forme l’82.5% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed in uscita e/o al part-time. Nei casi positivi, il 73% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Inoltre il 56.1% dichiara che nella propria azienda è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici e il 60% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei colleghi a collaborare e al fatto che la conciliazione sia percepita come un elemento diffuso tra il personale. 70 Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si percepisce una conoscenza del job sharing e della banca delle ore. Non si conoscono invece il job splitting e il lavoro term-time. Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme di sostegno quali: la presenza di un mentore per il sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la formazione al rientro dalla maternità. Il livello di conoscen za degli strumenti Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della conciliazione si può affermare che vi è una buona conoscenza delle diverse forme previste dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura. Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di conciliazione. La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza La ricerca delle donne e i canali sono i più diversi: i titolari, le delle associazioni di categoria, i sindacati, i colleghi/amici e i informazion mass-media. Il 38.9% ritiene che sia abbastanza agevole ottenere le informazioni e il 33.3% ritiene che sia molto agevole. Tali informazioni invece non provengono da momenti di formazione/apprendimento in azienda, anche se nella propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e confrontarsi sulla tematica della conciliazione. Reggio emilia Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i 50 anni, con una leggera predominanza nella classe 2130 anni. La distribuzione per il titolo di studio è la seguente: 14.3% ha la licenza elementare, il 10.7% possiede la licenza media o la qualifica professionale, il 42.9% ha un diploma e il 21.4% ha una laurea. Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e 71 L’utilizzo dei servizi Le criticità dei servizi e le risposte delle famiglie senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre persone all’interno della famiglia. Il 33.3% delle donne dichiara che nella propria vita sono presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e che tali persone sono da identificare con i figli (19.2%) e in altri casi con genitori anziani o parenti anziani. Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (18.5%) e con i propri genitori (11.1%). La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per minori e anziani. In particolare vengono utilizzati: la scuola materna e i centri diurni. Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la valutazione non è del tutto positiva. Tra i motivi di non rispondenza vengono sottolineati: l’orario rigido e i costi elevati. Le donne invece che non utilizzano i servizi pur in presenza di persone che devono essere accudite fanno ricorso alla rete famigliare ed amicale. Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la maggior parte delle donne che si trova oggi in una condizione in cui la conciliazione non sembra essere una “problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza di un figlio o di un anziano da accudire. Tra i motivi di non utilizzo compaiono anche l’orario rigido e i costi elevati. Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle intervistate la distribuzione è la seguente: il 34.6% è impiegata nel settore produttivo, il 26.9% nel settore amministrativo e l’23.1% nel settore gestionale. Il 64.3% ha un contratto a tempo indeterminato e il 35.7% è impiegata con un contratto di collaborazione coordinata. La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un 40.7% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo 72 pieno, il 14.8% usufruisce di un part-time e il 14.8% non ha vincoli d’orario. Sono presenti anche forme miste che prevedono la compresenza di tempo pieno e turni, tempo pieno ed orario continuato. Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate nelle aziende coinvolte sono: la flessibilità dell’orario di lavoro in entrata ed uscita, il part-time e l’orario continuato. Non mancano forme miste che prevedono la compresenza di part-time, flessibilità e orario continuato. Rispetto all’utilizzo di queste forme l’80.8% ha risposto positivamente ed in particolare le donne intervistate hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed in uscita, all’orario continuato e alla combinazione turni/orario continuato. Da registrare anche un caso di telelavoro. Nei casi positivi, il 68% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di conciliazione. Inoltre il 60% dichiara che nella propria azienda è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle lavoratrici e l’82.6% ha la percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro e alla disponibilità dei colleghi a collaborare. Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si percepisce una non conoscenza. Vi è un livello minimo di conoscenza per la banca delle ore. Inoltre nella maggior parte delle aziende contattate non sono previste forme di sostegno quali: la presenza di un mentore per il sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la formazione al rientro dalla maternità. Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della conciliazione si può affermare che vi è una buona conoscenza delle diverse forme previste dalla legge 73 Le modalità organizzati ve Il livello di conoscen za degli strumenti La ricerca delle informazi oni italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura. Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di conciliazione. La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza delle donne e i canali sono i più diversi: dal titolare al direttore del personale, dalle associazioni di categoria ai sindacati, dai colleghi/amici ai i mass-media. Tuttavia il 60% ritiene che sia abbastanza agevole ottenere le informazioni. Tali informazioni invece non provengono da momenti di formazione/apprendimento in azienda. 74 I FOCUS La preparazione dei Focus group Il lavoro di ricerca prevedeva la realizzazione di un focus group in ognuno dei territori oggetto di indagine: Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia. La realizzazione dei focus group è stata preceduta da un lungo lavoro di preparazione svolto a partire dalla mappatura dei servizi esistenti e attraverso la distribuzione di questionari sia alle donne lavoratrici sia agli imprenditori e imprenditrici. Sono stati raccolti ed elaborati in questo modo dati qualitativi e quantitativi che hanno fornito le indicazioni e i temi su cui riflettere per la preparazione dei focus. Il lavoro svolto nelle fasi precedenti della ricerca è stato estremamente utile anche per individuare i soggetti e i testimoni ritenuti significativi. In molti casi sono state contattate le persone incontrate durante lo svolgimento della azione di mappatura dei servizi esistenti sui vari territori che avevano collaborato fornendo le informazioni richieste; in altri, queste hanno fornito indicazioni utili sulle persone da contattare. Sono stati invitati a partecipare al focus i soggetti che, per il ruolo ricoperto nella loro organizzazione, si riteneva potessero fornire una testimonianza significativa. In particolare, in ogni territorio sono state invitate: le responsabili alle pari opportunità dei Comuni e delle Province, le responsabili dei Centri per le Famiglie e dei principali Servizi Sociali, i/le responsabili degli sportelli o degli uffici rivolti specificatamente alle donne delle associazioni di categoria, o i/le responsabili delle associazioni di categoria stesse, i/le rappresentanti sindacali, donne imprenditrici del mondo cooperativo e non nell’ambito di servizi per la conciliazione, i/le responsabili di progetti ed esperienze particolarmente significative realizzate nel territorio. In ogni territorio si sono avuti riscontri diversi per quanto riguarda la partecipazione; questo aspetto è stato 75 letto come un segnale significativo, confermato durante la realizzazione del focus. I soggetti che agiscono sul territorio, fortemente motivati ai temi della conciliazione, possono costituire i referenti possibili per future progettualità ed interlocutori con cui sperimentare ulteriori esperienze. Le persone sono state contattate telefonicamente e, nonostante alcune difficoltà legate all’organizzazione (ad esempio conciliare le diverse disponibilità di tempo), è stato riscontrato un notevole interesse e una forte motivazione a partecipare. Attraverso l’analisi del materiale raccolto nelle fasi precedenti è stata individuata la finalità del focus e gli obiettivi specifici. Questa fase di lavoro ha permesso di tradurre ed esplicitare le riflessioni in parole chiave da utilizzare come stimolo. La realizzazione dei focus è stata concepita nel suo complesso come una vera e propria azione positiva per fare cultura della conciliazione. Gli obiettivi quindi sono stati individuati per rispondere a queste finalità: 1. parlare della conciliazione confrontando le varie realtà che a diverso titolo si occupano di parti della conciliazione (pubblico-privato) 2. parlare e agire una cultura della conciliazione (ruolo personale e professionale); 3. denifire la conciliazione (es. come problema ma difficilmente agita da chi se ne occupa) 4. verificare gli stereotipi sulla conciliazione La realizzazione Per la realizzazione dei focus group si è pensato di fornire non solo degli stimoli sotto forma di domande ma anche degli stimoli visivi. Sono stati preparati quindi alcuni cartelli che esplicitavano le parole chiave contenute nella domanda. I cartelli sono stati posti su una lavagna a fogli mobili e durante il focus, sotto ad ogni cartellostimolo, sono state annotate le parole ritenute 76 significative che emergevano dagli interventi dei testimoni. Queste parole chiave diventavano loro stesse ulteriori stimoli e sono successivamente riportate nella analisi dei singoli focus. I cartelli preparati sono stati: • conciliazione • conciliazione applicata/agita nell’organizzazione • conciliazione applicata/agita a livello personale • la conciliazione e il territorio Per lo svolgimento concreto dei focus si è ritenuto fondamentale ricreare un clima adeguato non solo per raccogliere le informazioni ma anche le relazioni esistenti fra i soggetti intervenuti, soprattutto rispetto al ruolo ricoperto. Si è creato un contesto in cui ognuno si sentisse legittimato ad effettuare una “introspezione retrospettiva”(2 ), a ragionare e riflettere cioè sul proprio contesto in riferimento al presente e al passato attraverso il confronto con gli altri soggetti presenti. Per questo motivo ad ogni focus erano presenti due persone: una con il ruolo di conduttrice vera e propria e l’altra con il compito di osservare e monitorare le dinamiche del gruppo e le relazioni. La raccolta delle informazioni è stata effettuata attraverso la registrazione integrale degli incontri. Ogni focus è stato realizzato seguendo la stessa modalità e struttura in tutti gli incontri ottenendo però andamenti diversi a seconda del gruppo presente e a seconda delle dinamiche messe in atto dai partecipanti. Una volta presentato il progetto di ricerca e l’attività dei focus, veniva fornito il primo stimolo sia sotto forma di domanda che di cartello ed ogni persona intervenuta forniva il suo contributo o commento. Spesso i primi due o tre interventi fornivano già elementi sufficienti di discussione, “il giro di parola” veniva così momentaneamente interrotto per poi riprendere e dare a 2 M. Bloor, J. Frankland, M. Thomas, K. Robson, I focus group nella ricerca sociale, Erickson, 2002 77 tutti la possibilità di dare la propria risposta e il proprio contributo. In alcuni casi è stato necessario frenare gli interventi per evitare che alcuni monopolizzassero la discussione e permettere a tutti di partecipare. Altre volte si formavano dei piccoli gruppi di discussione fra le persone vicine e anche in questo caso è stato necessario riportare l’attenzione sulla persona che stava parlando. Le basi teoriche 3 e la formulazione dell’ipotesi Affrontiamo ora le basi teoriche su cui sono stati impiantati i focus. Prima di tutto si è cercato di individuare le vocazioni sul tema della conciliazione nei diversi territori. Gli aspetti su cui focalizzare l’indagine sono stati: ü ü ü La verifica dell’attenzione ai conciliazione L’analisi delle risposte delle lavorative La sostenibilità delle soluzioni efficacia bisogni della organizzazioni in termini di Le diverse risposte, in termini di partecipazione al focus, sono aspetti estremamente rilevanti ai fini dell’individuazione della maturità “conciliativa” dei territori indagati. La maturità è il termine che è stato scelto poiché gli aspetti della conciliazione sono legati alla presenza di determinati bisogni, al tempo di risposta e alle risorse. Quindi per verificare la vocazione alla conciliazione di un territorio abbiamo cercato di definire: ü ü ü 3 La maturità di un territorio I temi in ambito conciliativo (bisogni) La rete tra i partner. R. Williams, “Sociologia della cultura” – Universale Paperbacks – Il Mulino, 1983 78 Un criterio che ci ha aiutato nella valutazione qualitativa delle politiche sulla conciliazione è stato quello della legittimazione. Infatti nella buona riuscita e sperimentazione di azioni a favore della cultura della conciliazione, come in generale per altre politiche, la partenza è vincolata alla forte motivazione e alla capacità di portare avanti un disegno politico e attuativo. Tutto ciò è possibile se c’è una legittimazione diffusa a diversi livelli: ü dalle istituzioni ü dal territorio ü dalle singole mission aziendali e/o associazionistiche. La convinzione del gruppo tecnico scientifico della ricerca che ha permeato la filosofia e quindi l’ipotesi dell’intero lavoro, è che la maturità territoriale emerga da un mix di motivazioni, azioni, priorità e legittimità. La conciliazione potrebbe essere visualizzata attraverso l’immagine di una barca a vela: lo scafo rappresenta la legittimità, indispensabile per navigare nei territori; l’andamento e il movimento è dato dalle vele (randa, fiocco, spinnaker). Per la conciliazione sono la maturità del territorio, i bisogni e temi da affrontare, la rete dei soggetti. Il timone della barca è manovrato nel nostro caso dall’ente pubblico (R.E.R., Province, Enti locali), i salvagenti e salvabordi rappresentano le azioni progettuali finanziate e sperimentate nelle singole realtà regionali. Pensando in che modo tali riflessioni teoriche potessero divenire utili ai fini programmatori e divulgativi della Regione Emilia Romagna è stato tenuto come criterio di fondo quello della verifica della trasferibilità di modelli, azioni e progetti da un territorio ad un altro. Anche se è nostra convinzione che sia fondamentale per ogni realtà saper generare alternative. 79 La barca a vela Questa riflessione si inserisce perfettamente nel nostro percorso teorico in quanto è dal livello di maturità di un territorio che spesso nascono idee e soluzioni che non sempre sono adatte ad essere attuate in un’altra realtà, nello quello stesso momento. La cultura della conciliazione è sicuramente pronta per entrare nei tessuti territoriali analizzati con un ruolo prioritario che non può essere quindi relegato ad una sfera piuttosto che ad un’altra. Questo passaggio potrebbe essere propedeutico alla destrutturazione di stereotipi e alla definizione di stili di vita conciliativi per donne e uomini. Dai focus emergeranno delle chiare linee di vocazione dei territori che insieme costituiscono e compongono le maturità sopra descritte. Dalla lettura delle tavole di contenuto costruite al termine dei focus group e dal confronto con le linee teoriche proposte sono scaturiti alcuni suggerimenti e spunti per azioni positive verso una cultura della conciliazione più presente e trasversale nei territori e nelle organizzazioni lavorative. Tavole di lettura dei focus group CESENA LA RETE nella città di Cesena I presenti: Associazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di Forlì-Cesena; Confartigianato di Cesena; Comune di Cesena - Servizi per l’infanzia; privato sociale; Servizi Sociali Ausl - Area Infanzia; Centro Donna; rappresentante associazionismo. LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Le parole stimolo: conciliazione; conciliazione e territorio. Le parole chiave: sensibilità; responsabilità nel pubblico/nel lavoro autonomo; organizzazione; clima sereno; armonizzazione dei tempi; strumenti agevolativi; 80 mobilità; reti famigliari; associazioni genitori; gestione emergenze; orari; carichi di conciliazione delle donne; lavori stagionali; nuove generazioni; vicinato; forme spontanee di aiuto; senso di colpa; svalutazione; stanchezza; tempi disordinati; adolescenti; culture diverse; auto-emarginazione. TEMI EMERGENTI La conciliazione personale: il tema della conciliazione a livello personale è stato affrontato a partire dalle singole esperienze in quanto quasi tutte le donne presenti hanno avuto in prima persona esigenze di conciliazione sia legate ai figli piccoli che ai genitori anziani. Dai vissuti personali emerge la volontà di non lasciare il lavoro e di mantenere il più possibile “il filo” che le legava alle loro attività, sottolineando di svolgere attività verso cui si erano molto motivate. La conciliazione è stata nei loro casi possibile per: • la presenza di servizi sul territorio che sono stati “sfruttati molto e con molta soddisfazione”; • la presenza e vicinanza di reti famigliari e amicali; • la scelta accurata di collaboratrici famigliari che potessero dare la garanzia di “partire di casa tranquilla, senza avere l’ansia se capita un contrattempo” • la possibilità di gestire i propri tempi e orari di lavoro in quanto artigiane o libere professioniste e quindi senza orari specifici, “portando a volte i bambini al lavoro o il Viene sottolineato che la scelta di cercare la migliore gestione possibile dei tempi comporta però un grande sforzo di concentrazione e l’accumulo di stanchezza, assieme ad una forte sensazione di inadeguatezza e sensi di colpa per non riuscire ad incastrare bene tutti i tempi portandosi spesso a casa i problemi. Viene rilevata inoltre la differenza dei ruoli famigliari nelle nuove generazioni che vedono i nuovi padri molto attivi anche nella gestione di aspetti solo fino a pochi anni fa di competenza esclusivamente femminile. Le risposte interne dell’organizzazione in cui si 81 opera: il primo aspetto che viene sottolineato è la grande differenza di opportunità fra le donne che lavorano nel pubblico e quelle che lavorano come dipendenti nel settore privato o come artigiane e libere professioniste. Viene sottolineato come il settore pubblico può permettersi di offrire numerose opportunità e soluzioni alle proprie dipendenti per esigenze di conciliazione: la possibilità di richiedere il part time, i permessi, la flessibilità d’orario in entrata e in uscita; solo i livelli dirigenziali e i ruoli di responsabilità hanno orari più simili a quelli di una libera professionista. Nelle aziende private le difficoltà che si incontrano sono notevolmente maggiori, fino al verificarsi spesso della situazione paradossale per cui chi ha l’opportunità di usufruire di alcune agevolazioni (part time, telelavoro) attira l’invidia dei colleghi, viene spesso considerato un privilegiato nell’ambiente di lavoro. Gli imprenditori tendono inoltre a non offrire opportunità particolari perché temono che la loro richiesta aumenti di continuo e, sapendo di non poterla soddisfare, finiscono per non concedere niente a nessuno altrimenti “diventa un vizio”. Viene messo in evidenza come organizzazioni più attente ai temi della conciliazione, come quelle di appartenenza, hanno maturato la loro sensibilità perché la questione era stata molto sentita a livello personale. Questa sensibilità ha permesso, di fronte a realtà caratterizzate prevalentemente da donne non solo con bambini piccoli ma molto spesso anche con genitori anziani, di agire cercando delle soluzioni. Emerge infatti anche l’importanza del clima che si crea all’interno della organizzazione e di come questo possa essere condizionato dall’ansia e dalla preoccupazione legata alle difficoltà della conciliazione che, con il loro peso morale e emotivo, influiscono moltissimo sull’organizzazione. Le donne presenti affermano che non si sono messe “attorno ad un tavolo a pensare cosa fare per il problema della conciliazione”, ma si è cercato di andare incontro alle esigenze particolari senza gravare sulla qualità del servizio e compatibilmente con i ruoli. La dimensione “quasi 82 famigliare” viene indicata come un elemento che facilità la flessibilità costruita sulla disponibilità e sul senso di responsabilità nei confronti dei colleghi e permette di trovare soluzioni organizzative personalizzate sperimentando in alcuni casi azioni concrete per facilitare la conciliazione dei tempi attraverso le opportunità offerte dalla normativa. Molte riflessioni sono state condotte in maniera critica sulle opportunità offerte dalle normative esistenti e su alcune esperienze specifiche realizzate grazie a queste. In particolare, si sono soffermate sulla Legge n. 53/00 sottolineando la sua importanza ma anche alcuni suoi limiti; ad esempio, il fatto che è una legge molto finanziata ma scarsamente utilizzata sia per una mancanza di conoscenze ma spesso anche per una mancanza di sensibilità generale sul tema, soprattutto da parte delle aziende. Viene individuato come segno di cambiamento dei tempi il fatto che nel settore pubblico molti uomini comincino ad usufruirne, spesso se la moglie svolge un’attività come libera professionista. In generale, affermano che rispetto agli strumenti esistenti c’è molta conoscenza teorica ma molto poco si conosce delle realizzazione pratica. Le esperienze realizzate riguardano: il telelavoro per la durata della maternità e la sperimentazione di due part time condivisi. Questi vengono realizzati introducendo gradualmente le persone che verranno successivamente integrate nella struttura e che condivideranno il lavoro. Altri elementi che creano ulteriore difficoltà all’organizzazione sono la gestione delle emergenze, le sostituzioni all’ultimo minuto e la pendolarità delle lavoratrici che vengono dai territori limitrofi o ancora più lontani. I percorsi di carriera: le riflessioni sui percorsi di carriera sono strettamente legate alle scelte personali delle donne presenti. Benché tutte si definiscono soddisfatte della posizione lavorativa a cui sono arrivate e della loro situazione famigliare, affermano che effettivamente si è rinunciato ad opportunità di lavoro o 83 studio, per non far “fare pagare alla famiglia” la loro minore presenza a casa. Le risposte del territorio: il territorio di Cesena viene descritto nel complesso come piuttosto ricco di offerte e soluzioni ai problemi della conciliazione provenenti sia dal pubblico sia dal privato che hanno sviluppato diverse modalità di collaborazione. Ad esempio, i servizi pubblic,i per vincoli dettati dai contratti di lavoro, non possono permettersi economicamente la flessibilità richiesta dagli utenti. Per tali motivi vengono appaltati all’esterno i centri estivi per la fascia 3-6 anni che coprono non solo il mese di luglio, ma anche agosto e i sabato mattina. L’amministrazione si sta impegnando inoltre, sia con fondi propri sia attraverso i finanziamenti previsti dai bandi ministeriali, a promuovere la nascita di nidi aziendali che prevedono alcuni posti anche per i figli delle non dipendenti. Gli aspetti più problematici messi in evidenza riguardano: • la necessità di creare i servizi nelle aree di lavoro, non solo per i bambini ma anche per gli anziani e più in generale di tutti quelli che facilitano la conciliazione, prevedendoli già nel momento in cui si progettano le aree artigianali e industriali; • la necessità di intensificare i servizi durante il periodo estivo, poiché alcuni dei settori più produttivi della zona di Cesena sono legati alla stagione estiva “In questi periodi la famiglia ha dei picchi di caduta nell’organizzazione quotidiana, delle disattenzioni gravissime”, forse più che nella fascia della prima infanzia nel periodo che va dalle elementari a tutta la fase dell’adolescenza. • la presenza di molte donne migranti, o da altri paesi o da altre regioni d’Italia, che non possono contare sulla presenza delle loro reti famigliari e amicali ma nemmeno più dell’appoggio del vicinato, risorsa che al giorno d’oggi si è persa completamente e prevale il timore di invadere. Si sente la necessità di creare forme di aiuto fra donne o di favorire la nascita spontanea di forme di 84 aiuto soprattutto per far fronte alle situazioni di emergenza, come soluzione “di appoggio”. È fondamentale che la motivazione ad aiutarsi e trovarsi non venga dall’alto (l’educatrice famigliare non ha funzionato), ma che nasca in un contesto diverso che porti le persone a conoscersi e a fidarsi. Spesso momenti di aggregazione con altre finalità attivano spontaneamente delle reti; • la necessità di avere servizi con orari più flessibili e lunghi. A questo proposito viene evidenziata la situazione paradossale per cui negli ultimi anni non si riesce ad avere un numero di richieste sufficienti per tenere aperto i servizi per la prima infanzia fino alle 18.30, mentre ci sono tante richieste per l’orario anticipato: fino a pochi anni fa infatti erano aperti anche il sabato mattina, ma adesso hanno escluso questa opportunità per mancanza di iscritti. Per soddisfare le esigenze anche dei pochi che lo hanno richiesto si sta cercando di promuovere e incentivare la nascita di associazioni dei genitori che siano in grado di gestire questa situazione. Il fatto che viene rilevato un bisogno forte, che però non si concretizza in iscrizione ai servizi è legato alla mentalità ancora oggi dominante: “c’è questa malignità serpeggiante che se lasci il bambino troppo ai servizi per andare a lavorare sei una madre degenere”. Viene anche sottolineato che spesso gli insegnanti scoraggiano a lasciare i bambini tutto il giorno all’asilo e a frequentare i centri estivi e “ti pongono in uno stato psicologico per cui cerchi di organizzarti diversamente”. LA VOCAZIONE Sul territorio sono state attivate rilevazioni sui bisogni presenti a cui i servizi hanno già fornito risposta. Le stesse organizzazioni private si sono dimostrate particolarmente sensibili e attente su queste tematiche, sperimentando al loro interno delle soluzioni organizzative concrete, attraverso le risorse finanziarie messe a disposizione dalle normative esistenti. Emerge la necessità di riflettere sugli 85 aspetti più culturali della conciliazione per soluzioni “dal basso”, reti di aiuto spontanee. trovare FAENZA LA RETE nella città di Faenza I presenti: Assessorato alle Pari opportunità del Comune di Faenza, Confartigianato, n.3 imprenditrici, FIDAPA (Federazione italiana donna arti e professioni), Area Minori AUSL Faenza, Servizi Sociali Comune di Faenza, Centro per le famiglie, Sindacato CISL, Confcooperative di Faenza. LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Parole stimolo: Conciliazione, conciliazione a livello personale, Conciliazione e territorio Le parole chiave: Occasionale, Naturale, Organizzativo, Esigenze individuali e di gruppo, Responsabilità, Strumenti, Rete, Solidarietà, Orari/ferie, Dialogo, Decentramento delle decisioni, Personalizzazione, Consapevolezza, Settore di lavoro, Piano degli orari (monitoraggio), Sfondo. Ricerca costante e creativa, soluzioni, rete già costruita, servizi istituzionali e del privato, difficoltà, aspetto economico,Periodi di vita, luoghi di vita, con se stessi/e, chiedere e cercare, sofferenza e sopportazione. Orari di apertura, singole aree, sofferenza in aumento, iper-stimolazioni, forte settorializzazione, dove siamo?, ri interrogarci, timore richieste di nuovi servizi, internet, trasporti. TEMI EMERGENTI Riflessioni sul concetto di conciliazione: Viene fatta una discussione sul tema dei tempi intesi come ritmi che vengono diversificati a seconda dei settori lavorativi. La conciliazione appare come un concetto filosofico che vive tra la frenesia dei tempi di lavoro, denaro e mercato 86 da un lato e l’impotenza di non avere scelto tutto, inclusa la possibilità che a livello di conciliazione si hanno bisogni che non si sapeva di avere. Emerge in modo forte l’interpretazione della conciliazione come spazi della città che seguono la frenesia generale, le piazze che si riempiono e si svuotano sempre più velocemente. Il problema della conciliazione è stato individuato anche nella ricerca continua di servizi sempre più specializzati, senza riportare il problema alla sua centralità iniziale. Per cui le persone che hanno un problema di conciliazione, una volta che “affidano” il loro problema, lo declinano in toto. Si esprime la preoccupazione della qualità del tempo e si cerca di lanciare lo stimolo a trovare soluzioni più alternative (vicinato, di aggregazione, di famiglia), per riuscire a procurare ai propri figli ambienti di vita emotivamente più consoni. Da questa preoccupazione nasce un appello per fare un’inversione totale in favore delle generazioni future. Le risposte interne dell’organizzazione in cui si opera: Uno dei problemi è quello della libertà assoluta: le regole sono fondamentali e uguali per tutte altrimenti vanno giustificate le differenze. A volte c’è una grande rigidità da parte del mondo del lavoro ed da parte dei servizi dell’ente pubblico a trovare soluzioni e modalità organizzative che possano essere flessibili. Uno strumento che può fare molto è il dialogo fra le parti: occorre conciliare i diritti dell’organizzazione con le necessità individuali che, a loro volta, si dovrebbero integrare con quelle degli altri. Una soluzione in questo senso viene dall’applicazione del decentramento, cioè pur appartenendo allo stesso contratto e alla stessa azienda, il gruppo di lavoro costituito per settori e/o servizi può decidere le ferie e i turni. E’ necessario che ci sia un buon clima di lavoro per riuscire a fare questo. Inoltre occorre la condivisione di 87 poche regole ma chiare come ad esempio il mantenimento dell’andamento del servizio, la copertura totale del lavoro etc.. In questo modo il gruppo di lavoro affronta il tema spinoso della personalizzazione dell’organizzazione del lavoro. Da alcune sperimentazioni in atto nel territorio è stato verificato che di solito il gruppo di lavoro riesce a trovare una soluzione e matura la consapevolezza delle difficoltà organizzative della propria organizzazione. Una tecnica utilizzata è quella di porre al centro la figura del lavoratore: se questo si sente maggiormente portato a mediare nelle soluzioni. All’interno del mondo del lavoro si vede comunque che la donna ha il peso maggiore della gestione dei figli mentre l’uomo lo ha di meno. E’ importante un approccio creativo. La conciliazione nell’organizzazione è legata anche ai settori produttivi. Ad esempio in agricoltura, dove i rapporti di lavoro seguono il clima e le stagioni, ci sono vincoli imprescindibili. Da considerare anche la conciliazione come rapporto fra culture diverse all’interno delle realtà lavorative. La conciliazione non è una soluzione, un punto di arrivo, ma è un qualche cosa in movimento continuo. Personalizzare non significa fare un’organizzazione specifica per ogni persona, ma trovare il sistema più vicino alle sue esigenze, “stranamente cercando si può Anche elementi come il business delle certificazioni entrano nella riflessione sulla conciliazione: “una spirale da cui non esci: la sofferenza cosmica”. La conciliazione personale Gli aspetti personali passano attraverso la consapevolezza della propria situazione e delle difficoltà. In alcuni casi si parla di un esame di coscienza o di un bilancio della conciliazione personale che può essere fatto mettendo a fuoco le motivazioni. La conciliazione applicata e agita è una ricerca continua sia per l’organizzazione che per i singoli. 88 Le esigenze cambiano rapidamente e quindi si pongono sempre nuovi problemi dando come acquisito che si tratta di una ricerca costante. Le reti famigliari e sociali giocano sempre un ruolo primario. Si mette in luce che il problema della rete deve essere “a monte”, non può essere tessuta solo quando emerge il bisogno. Un esempio interessante è quello degli immigrati che riescono ad averla solo se hanno altre persone sul territorio che sono, il più delle volte, del proprio paese di origine. Viene sottolineata anche la caratteristica dei tempi che contraddistingue la conciliazione: ci sono periodi della vita in cui si va a lavorare per mantenere il lavoro, periodi in cui il reddito viene ridistribuito per conciliare (asilo nido, baby sitter) e il lavoro rappresenta un elemento di mera gratificazione spirituale. Un’idea che è venuta da problematiche di conciliazione personale legate alla gestione dei figli, è quella della condivisione con altri della babysitter, ma il problema è reperirle. Si parla di situazioni in cui è stato fruttuoso anche l’accordo con il proprio dirigente. Un accordo lavorativo è importante ma lo è anche il contesto di riferimento cioè l’ambiente, perché se opportunamente stimolato può dare delle soluzioni. La conciliazione viene definita come estremamente soggettiva. La donna torna al centro delle situazioni conciliative ed emerge che soffre molto del vecchio retaggio storico che in parte la blocca mentre dovrebbe impegnarsi anche a chiedere di più. Anche le nuove tecnologie, come Internet, possono essere un aiuto alla conciliazione: si recupera la dimensione della scrittura, dei ritmi e della comunicazione con agli altri. Il territorio Vengono descritti problemi e criticità che riguardano la scuola ed il settore del commercio. Tale settore non orari molto flessibili: “bisogna comprare molto in fretta”, altri 89 orari potrebbero permettere di fare tutto con più calma. Oppure il settore dei trasporti pubblici che appare abbastanza carente e non si integra con gli orari dei trasporti su ferrovia. Si evidenzia la necessità di fare un monitoraggio dei bisogni e delle esigenze in modo costante. E’ vero che le organizzazioni devono tener conto delle singole aree per riuscire a funzionare perché la grande organizzazione non riesce a vedere quelle piccole soluzioni che invece possono essere utili e che nel piccolo emergono meglio. Il piccolo è più flessibile. Orientamento e formazione E’ importante anche aprire una riflessione che porti a riconsiderare i casi uno per uno per cui la donna dovrebbe valutare la possibilità di cambiare lavoro e cercarne uno compatibile con le proprie esigenze conciliative. LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO Emergono più aspetti di imprenditorialità e conciliazione. Il tema è frammentato all’interno delle varie organizzazioni. Si mettono in luce alcuni punti di eccellenza soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei bisogni. FORLI’ LA RETE nella città di Forlì Le realtà presenti: Comune di Forlì – Centro Donna; Comune di Forlì - Centro per le Famiglie; rappresentante di un’associazione; Provincia Forlì-Cesena; Associazione Industriali; Comitato Impresa Donna - CNA; Sindacati CGIL; Confcooperative; Privato Sociale. LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Le parole stimolo: conciliazione; conciliazione e territorio. Le parole chiave: contratti; la contrattazione; orientamento; gruppo di lavoro; economia; risorse; percorso; cicli di vita; cultura; reti; uso/abuso. 90 TEMI EMERGENTI La conciliazione personale: le donne presenti hanno evidenziato le loro difficoltà a conciliare le proprie attività professionali con la sfera privata, affermando di non riuscire a conciliare niente e di far passare spesso la propria vita personale e privata in secondo piano, collocandola in una sorta di “momento dopo” che però viene sempre posticipato. Alcune donne hanno sottolineato l’importanza di avere tempo per sé e riescono a trovare tutti i giorni un paio d’ore da dedicare ad esempio alle attività sportive, sfruttando tutti i momenti in cui gli altri fanno altre cose; per loro conciliare diventa un po’ una corsa ad occupare il tempo nel modo più efficiente possibile. Le politiche della conciliazione: un tema fondamentale sviluppato durante la realizzazione del focus riguarda le politiche della conciliazione su cui sono state fatte diverse considerazioni: • non si può ragionare di conciliazione senza tenere in considerazione i costi, sia umani che economici, che questa comporta. Spesso tali costi non sono visibili nel momento in cui si agisce la conciliazione, ma ci si ritrova a fare i conti successivamente e questi devono gravare sulla società e non sulle singole persone; • è necessario modificare il sistema polarizzato che si avverte attualmente, per cui le politiche della conciliazione producono dei privilegi, pagati dall’intera collettività, ma di cui usufruiscono solo alcuni. Viene sottolineato quindi il bisogno di distribuire la conciliazione per renderla umanamente possibile a tutti, inventando e proponendo come soluzioni non le punte di eccellenza ma le esperienze più condivisibili, affinché possano essere usufruite da un numero maggiore di persone. Non è possibile quindi tenere in considerazione solo le storie personali ma è necessario ragionare sui grandi numeri per avere 91 una ricaduta sull’intera comunità; un tema centrale nella elaborazione delle politiche deve tenere in considerazione secondo le donne presenti i cicli di vita biologici, assumendo che questo può essere un criterio che deve guidare nelle scelte normative. Al giorno d’oggi vengono posticipate delle scelte sia legate alla maternità sia professionali, “perché si pensa che quel momento permetterà di conciliare meglio queste due dimensioni e perché si pretende che la società rispetti questo ritmo di vita anche se diverso da quello biologico mentre non è possibile fare a 40 anni quello che si potrebbe fare meglio a 25”; • per l’elaborazione delle politiche della conciliazione ritengono necessario creare le occasioni (le condizioni, i tempi, i modi) per poter stare insieme e parlare e ragionare sulla cultura della conciliazione non solo fra donne, perché viene riscontrato un vuoto totale sulla cultura della conciliazione; • le soluzioni alle esigenze di conciliazione dovrebbero essere ripensate; viene sottolineata l’importanza della costruzione di un sistema di cura complesso, in cui vengono attivate molteplici risorse, non solo i servizi o le possibilità offerte dalla normativa, ma anche le reti sociali; • è stato analizzato in maniera critica anche l’atteggiamento delle donne nei confronti delle opportunità e delle tutele previste dalla legge, che tendono al giorno d’oggi a sfruttare tutte le possibilità esistenti, riducendo a questo la conciliazione, senza interrogarsi sulla sostenibilità o meno della scelta. Al cattivo uso delle leggi sostengono, dovrebbe essere sostituito un uso creativo per evitare che le leggi si brucino e inducano dei comportamenti perversi. La conciliazione nel ruolo professionale: è stato sottolineato che è molto difficile per alcuni ruoli riuscire a conciliare il lavoro con la vita famigliare o semplicemente • 92 “decidere di stare a casa un venerdì pomeriggio”. Il senso di responsabilità viene individuato come motivazione principale, ma a questo si aggiunge la volontà di dimostrare le proprie capacità per essere “brava quanto” o “brava più” di un uomo e la difficoltà a delegare per “mantenere verde il proprio giardino”, “la paura che tutto quello che abbiamo conquistato, se non viene tenuto sempre sotto mano, possa essere preso da qualcun altro”. Le risposte interne dell’organizzazione in cui si opera: le donne presenti sottolineano come le loro organizzazioni di appartenenza sono costituite prevalentemente, se non esclusivamente, da donne. L’atteggiamento rispetto al problema della conciliazione è stato però profondamente diverso: • il percorso di vita della organizzazione è arrivato al punto di fare una riflessione per agevolare le lavoratrici concedendo quello che era previsto dalla legge, andando incontro il più possibile alle diverse esigenze, non per una questione di “bontà” ma perché è stato notato che “più si stringe la corda” e meno si ottiene; • c’è stata in un primo momento molta disponibilità, dalla flessibilità d’orario ai permessi concessi senza problemi. L’organizzazione ha cominciato a porre dei freni nel momento in cui sono aumentate le richieste di part time e non è stato possibile concederli a tutte. È presente inoltre una marcata differenza fra i ruoli impiegatizi e quelli dirigenziali dove il part time non viene generalmente concesso. Le risposte del territorio: le risposte che il territorio fornisce sono messe in relazione alla struttura produttiva che lo caratterizza, in particolare hanno evidenziato: • l’economia locale si regge principalmente su piccole e piccolissime aziende rendendo estremamente difficile l’uso di agevolazioni previste dalla legge; le grandi aziende ragionano di conciliazione per forza attraverso la contrattazione collettiva; • molte donne sul territorio sono lavoratrici autonome che non possono usufruire delle stesse 93 leggi o tutele delle dipendenti e hanno il grosso problema della sostituzione. Sono stati realizzati dei progetti specifici ma le soluzioni non sono semplici; • l’andamento positivo è stato interrotto dalla congiuntura economica che ha costretto a “stringere” e la cosa su cui si è “chiuso” è stata proprio la conciliazione. Nel territorio sono state seguite, e si continuano a seguire, diverse strade per affrontare i bisogni e le esigenze legate alla conciliazione. Da una parte si lavora sulla contrattazione, in quanto strumento collettivo fondamentale ed in particolar modo sulla flessibilità di orario; dall’altra, si lavora sui servizi anche attraverso attività di ricerca finalizzate alla loro programmazione. Ad esempio è emerso che i nidi sono un servizio in cui le donne hanno fiducia, ma di queste il 30% afferma che non lo userebbe soprattutto per la sua rigidità di orari. Viene messa di nuovo quindi in evidenza la necessità di individuare soluzioni articolate che non vadano a scapito della dimensione educativa e della qualità del servizio. Infine, sono state realizzate molte esperienze sperimentali all’interno di un progetto complesso ed articolato “La rete in Comune” che ha visto coinvolti a diverso titolo molte delle persone presenti, che hanno colto l’occasione fornita dal focus per ripensare alle cose fatte e leggerle con una prospettiva valutativa. Le lacune principali evidenziate riguardano la scarsità delle risorse e dell’informazione. LA VOCAZIONE Molte esperienze sono già state realizzate in seguito all’analisi dei bisogni e si percepisce che è fortemente avvertito non solo il bisogno di confrontarsi sulle cose fatte e di valutare i progetti ormai conclusi, ma anche di ripensare le cose fatte alla luce di una riflessione più ampia sulla cultura della conciliazione. PIACENZA 94 LA RETE nella città di Piacenza I presenti: Sindacato CISL, Lega coop, n.2 Imprenditori, Comune di Piacenza pari opportunità, Pari opportunità provincia di Piacenza, Comune di Piacenza Centro per le famiglie, N.1 Associazione onlus LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Parole stimolo: Conciliazione, Conciliazione e territorio, Conciliazione e propria realtà personale, Approfondimenti richiesti: i servizi per gli anziani Le parole chiave: Clima sereno Donne: figli, maternità Piano degli orari, Autoimprenditorialità: forme di lavoro che conciliano, Anziani, Reinserimento lavorativo, Studenti, Trasversalità, Servizi per la città, Legge 53, Tentativo perenne, Affettività dell’organizzazione, Clima caotico, Tempi e orari di lavoro, Sensibilità, Contratti: il telelavoro TEMI EMERGENTI Le risposte interne dell’organizzazione in cui si opera: La realtà piacentina, messa in luce attraverso le testimonianze raccolte nei focus, mostra alcune realtà lavorative che non hanno problemi (l’ente pubblico) o meglio “quelli che ci sono sembrano per ora gestiti bene”. Si passa da situazioni in cui è stata attuata una modifica dell’orario di lavoro: flessibile e differenziato, prolungato e part time a realtà, sempre del pubblico, in cui si stanno sperimentando nuove idee organizzative. Ad esempio il telelavoro per cui si sta attuando un piano di fattibilità (rientro maternità). Il 2004 sarà l’anno della sperimentazione. E’ stata fatta una rilevazione dei bisogni da cui è emersa la richiesta di servizi per i periodi scoperti (estate e festività) e si sta valutando la proposta di convenzioni con società (per i bambini dai 6 ai16 anni) e le possibilità di sconti per i dipendenti dell’ente. Si evidenzia che le azioni organizzative devono essere supportate da elementi economici (esempio dell’utilizzo della l.125) e da formazioni specifiche (dirigenti). Si fa 95 notare che tali aspetti sono ritenuti prioritari, per cui probabilmente verranno attuate con finanziamenti interni. Autoimprenditorialità Viene presentato lo sportello impresa per favorire l’imprenditorialità femminile e forme di lavoro che aiutano a conciliare. L’elemento dell’autoimprenditorialità emerge in relazione con la conciliazione per cui sono nate associazioni e imprese per la conciliazione, fatte soprattutto da donne che sentono maggiormente i problemi di conciliazione e per donne che vogliono rientrare nel mondo del lavoro. Durante l’incontro gli interventi si suddividono in modo chiaro per problematiche e riflessioni fra gli interventi fatti da soggetti che lavorano nel pubblico e altri del privato, sottolineando chiaramente la forte differenza e la caratteristica dell’imprenditorialità. Spesso il tema è riconosciuto come trasversale ed attuale ed ogni realtà ha inventato delle strategie. Chi si ha formalizzato di più (legge 53) attraverso delle progettualità concrete e chi invece ha evidenziato la conciliazione come un problema magmatico e perenne, permeato di emotività. L’impresa potrebbe conciliare l’imprenditorialità con la 96 La conciliazione personale Sul livello personale sono state espresse delle considerazioni su alcuni possibili modelli di conciliazione come l’eliminazione dell’orario di lavoro, il piacere di lavorare. Si riconosce nel personale che ci deve essere anche una famiglia che supporta le stranezze dell’orario di lavoro dovute ai settori. Oppure ci sono anche i casi in cui si fanno delle scelte che poi si pagano sulla base delle ore e quindi del guadagno. A questo punto ci si scontra con realtà fortemente connotate dalla differenza tra i sessi, per cui il salario delle donne è un salario accessorio. Non è un caso che le nuove povertà siano rappresentate da donne sole e anziane. Si affronta anche la situazione sempre più diffusa dei matrimoni che vanno avanti a volte più per motivi economici che per altro. I livelli personali rivelano momenti di crisi profonda che fanno percepire finte conciliazioni con “arrampicamenti su Una ragione viene identificata nell’aumento della consapevolezza del tempo per sé “quindi c’è una maggiore assertività che però paghiamo con il prezzo dell’arrampicamento su vetro inteso come sviluppo di capacità organizzative mostruose.” I percorsi di carriera Nel privato e nel pubblico emerge la situazione di uomini che chiedono il part time per fare la libera professione (carriera) mentre le donne lo richiedono di più per conciliare con la casa (genitori figli etc.). LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO Emerge un’attenzione ai bisogni che si suddivide su due livelli: il pubblico e il privato. Questa divisione si coglie sia nella fase di rilevazione sia nell’l’elaborazione delle risposte. Le risposte dell’organizzazione alla conciliazione sono diverse se si pensa alle risposte che l’ente pubblico dà al proprio interno rispetto a quelle fornite per l’esterno. Le 97 organizzazioni private evidenziano la necessità di un maggiore coordinamento da parte di un regista pubblico locale. RAVENNA LA RETE nella città di Ravenna Le realtà presenti: Sindacati CISL e CGIL, Impresa del Privato sociale, Assessorato pari opportunità della provincia, Associazione degli industriali, Ente di Formazione LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Parole stimolo: Conciliazione, Conciliazione agita a livello personale. Le parole chiave: Consumi, Non ufficialità, Contrattazione personale e gestione personale dei tempi, Luoghi ostici, Trasversalità, Politiche, Organizzazione dei servizi (diversificazione), Cultura (tempo), Orari, Adeguamento al mercato, Flessibilità (meno tutele, economia), Tempi e bisogni delle persone, aspetti più individuali, Cambiamento, Compiti di cura, Economia, Rapporto tra i sessi, Sensibilità, Interesse comune e Senso di appartenenza, Più ruoli, Patti, Interessi di categoria, Contrattualistica, Part time orizzontale per i giovani, Formazione e contrattazione, Difficoltà, Senso di responsabilità, Supporti famigliari, Ansia, Super organizzazione, Carico di relazioni, Resistenza al cambiamento TEMI EMERGENTI Riflessioni sul concetto di conciliazione e cultura della conciliazione Ragionare di conciliazione in un’ottica di pari opportunità significa non ritagliare degli spazi specifici per i soggetti femminili ma organizzare e valorizzare le competenze delle persone. La conciliazione è un tema cruciale per la regione Emilia Romagna ma sul piano culturale si ritiene che questo territorio sia ancora indietro. 98 Viene fatta una riflessione sui punti di vista in tema di conciliazione, ad esempio una posizione mette in evidenza che “c’è il lavoro e poi la vita della persona che ruota in funzione del lavoro, che occorrerebbe riflettere a più ampio raggio anche sull’idea di flessibilità e non dimenticare che oggi i bisogni sono sempre più Un grosso ruolo è giocato dal mercato che sostiene di essere flessibile ma che invece richiede che siano le persone a flessibilizzarsi per seguirlo. Emerge che i problemi della conciliazione sono problemi di cultura e di presa di coscienza. Nella nostra società si deve lavorare sempre di più e la nostra regione ha il numero più alto di donne lavoratrici. Quindi la conciliazione è anche una questione economica, organizzativa, oltre che di rapporti tra i sessi. Cercando di portare una riflessione locale emergono elementi di criticità legati al settore pubblico in qualità di ente locale, di erogatore dei servizi e gestione/controllo dei tempi di una città. In alcuni casi, “culturale” è inteso come bene comune di una società e, ancora, per definire i limiti della conciliazione si deve capire quale è l’interesse prevalente degli enti pubblici (ad esempio dare servizi a un certo tipo di società). Durante il dibattito è stato messo in evidenza che le donne continuano a trovarsi le strategie organizzative e conciliative da sole. Questo avviene per via di una cultura profonda, quella dell’emancipazione per cui la donna lavora tre volte di più per dimostrare che è capace. Oggi le donne rivendicano la libertà individuale di fare le proprie scelte compresa quella di avere un figlio a 30-35 anni perché prima si danno altri obiettivi. Le generazione sono cambiate e sono cambiati anche i sensi di colpa. La conciliazione è legata anche alle generazioni e alla cultura che cambia. Il tema della conciliazione non può essere ascrivibile alle donne. La conciliazione riguarda l’organizzazione di una società in quanto tale. 99 Il gruppo si interroga su come questo tema non sia un tema ascrivibile alle donne ma diventi un elemento centrale delle politiche. Le risposte interne dell’organizzazione in cui si opera: Le modalità di organizzazione e di valorizzazione interna alle realtà lavorative hanno una grossa ricaduta sulla conciliazione. Si rileva comunque una forte maschilizzazione del lavoro e dell’organizzazione del lavoro. All’interno dell’organizzazione bisogna distinguere tra le situazioni delle donne che fanno parte del sistema impiegatizio, che in molte strutture associative usufruiscono del part time, e delle donne che invece ricoprono ruoli funzionali con l’impossibilità del part time. Emerge una particolare riflessione in tema di infortuni all’interno degli ambienti di lavoro che, da statistiche pubblicate (2003), sembrano colpire più le donne che gli uomini. Si apre un dibattito: perché? Tra le risposte individuiamo: “c’è più stress, si va più di corsa, spesso alle donne spettano i lavori più dequalificati”. C’è questa criticità. Nel caso di servizi che operano in determinati orari il personale è suddiviso fra chi opera per la conciliazione degli altri e quindi fa fatica a conciliare con la propria famiglia e chi, con un orario più standard, riesce meglio a conciliare. Emerge che nel privato il lavoro si compone di elementi che incidono in diversa misura sulla conciliazione: il rapporto tra ore di lavoro svolte e lo stipendio, i ruoli ricoperti e il riconoscimento organizzativo, la gestione di mansioni su più ruoli. All’interno di organizzazioni medio piccole e nel privato il tema della conciliazione è stato affrontato spesso internamente ma in forma non ufficiale, con contrattazioni personali “tra lavoratrice/lavoratore e direttore” facendo leva sulla disponibilità. Le organizzazioni sono rigide per gli orari ad es. l’orario spezzato ormai è superato, come pure la chiusura totale 100 per ferie di tutti: “le palestre pullulano di gente durante la Quello che viene socialmente creduto come l’orario di 36 ore settimanale del pubblico è assolutamente un’altra cosa da quello che accade nel privato (anche privato sociale), gli orari straordinari (sopra le 36 ore) sono praticamente ordinari. Da una parte si afferma che occorrono le regole che dovrebbero essere seguite, poi dall’altra si consolidano delle prassi che non c’entrano con le regole. Una soluzione può essere quella di gestire autonomamente le ore di lavoro. “Fare in più quando c’è bisogno di fare e recuperare quando ce ne è la necessità. Questo dipende molto dalle mansioni”. Vengono fatti molti riferimenti concreti a nuove forme contrattuali, ad esempio le co.co.co., che dovrebbero essere le nuove forme flessibili (n.19.000 a Ravenna): ne usufruiscono in maggior parte donne laureate impegnate in lavori intellettuali, che hanno scelto questa forma perché la ritengono più flessibile e in grado di liberare del tempo. Di fatto dicono che questa flessibilità non c’è, il contratto è legato ad un progetto però poi sono obbligate ad essere presenti in ufficio e devono fare mansioni non sempre collegate ai loro progetti: fotocopie etc. “con il ricatto che se mi faccio vedere sempre poi mi rinnovano il progetto”. “Ecco! Queste donne rivendicano la flessibilità La flessibilità spesso non si concilia con la remunerazione. Le donne sono aumentate nel lavoro nero (per scelta) ed anche nello stagionale, “così si riesce a lavorare per un periodo ristretto e a conciliare ad es. con i figli”. Si verifica che è in aumento il part time dei giovanissimi per fare 6 mesi di lavoro e 6 mesi per studiare e/o viaggiare (esperienze all’ estero). Anche nel pubblico è aumentata questa richiesta. Oggi c’è la grossa difficoltà di andare a contrattare questi bisogni e queste richieste. E’ molto difficile per il sindacato quando ci sono così tante esigenze individuali. Questa organizzazione è alla ricerca di nuove idee e soluzioni. 101 Nell’organizzazione pubblica ci sono tanti lavoratori che non hanno contatto con il pubblico e che potrebbero fare un orario diverso. Ma ci sono anche pareri contrari a questo perché, nel momento in cui si è cercato di fare alcune modifiche, sono stati i lavoratori stessi che non hanno voluto, sia perché “scattano situazioni di invidia perché uno è allo sportello e allora è più vincolato ma perché sono allo sportello e se ho bisogno di altri che sono in servizi interni per vedere una pratica allora tu ci devi essere.” Affrontare questo significa mettere in conto che si portano nuovi problemi di organizzazione del lavoro. Mettere in discussione alcune situazioni consolidate sconcerta, ci sono grosse resistenze al cambiamento. La formazione E’ importante capire in che modo il mondo della formazione anche professionale può incidere sulla conciliazione, come incidono gli altri servizi che sono sul territorio. Ci si chiede anche che tipo di formazione possa essere utile per gestire “più ruoli” che necessariamente vanno portati avanti all’interno dell’organizzazione lavorativa (aspetto legato ai settori lavorativi). 102 La conciliazione personale Si rileva una discreta situazione di stress che però consente buoni margini di movimento. “Io penso di essere sicuramente stressata perché entro alla mattina e non so quando rientro alla sera, ma posso ritagliarmi degli spazi, ho delle libertà di movimento”. Molte sono le figure coinvolte nelle azioni di conciliazione: i nonni, la dada a pagamento etc. Rispetto ai ruoli si rileva che non è vero che se il livello lavorativo è alto c’è più flessibilità nel senso di libertà di gestione dei tempi, al massimo la flessibilità in entrata “magari si entra più tardi se non si hanno impegni ma gli impegni di riunioni e incontri, sono sempre prevalenti rispetto ai propri tempi”. È una mediazione continua e quello che viene sacrificato spesso è il piano personale perché il senso di responsabilità verso il proprio lavoro incide sui ritmi personali. “C’è chi può fare certi lavori perché c’è un supporto e bisogna avere la sensibilità di vederle queste cose, oppure caratteristiche come l’essere giovani”. Allo stress spesso si affianca anche il carico di ansia che è dato dalla super organizzazione perché oggi i bambini fanno più cose, gli anziani hanno una serie di loro programmi. C’è un carico di relazioni che si è aggiunto al peso della conciliazione, i parenti, i nonni etc. che aggrava le situazioni di ansia. E questo riguarda anche le relazioni fra le donne e gli uomini nella suddivisione dei compiti. Il territorio e le strategie comuni Sono necessari più servizi e purtroppo quelli esistenti sono sempre più a pagamento. In alcuni casi poi sono concentrati in determinate zone creando grossi problemi di traffico in determinate ore della giornata. Viene rilevata la problematica degli spostamenti anche per i bambini che a fatica si riescono a spostare (anche per tragitti brevi) in modo autonomo per la città, c’è troppo traffico e confusione. Mancano dei punti di aggregazione per i bambini quasi 103 ragazzini. Il territorio sembra soffrire di una programmazione che ha favorito alcuni settori a scapito di altri. Emerge il problema dell’interesse comune, durante i periodi di ferie se si gira per uffici spesso sono chiusi. I tempi della città, “non c’è niente da fare ruotano sempre dietro ai tempi dell’economia del lavoro, l’economia è al centro il resto vi ruota attorno”. La città di Ravenna è stata una delle prime a formulare il piano degli orari e dei tempi. O si iniziano a costruire dei patti che vadano oltre agli interessi delle singole categorie altrimenti non si riesce a costruire un interesse comune. Ci sono grosse difficoltà a vedere le cose comuni perché si pensa che sia più facile vedere solo la propria situazione. LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO Il territorio si distingue per una vocazione sulla formazione e la dimensione culturale, c’è un dibattito molto vivo sulla cultura della conciliazione. Inoltre c’è una ricerca costante di forme contrattuali più vicine alle esigenze di lavoratrici e lavoratori. REGGIO EMILIA LA RETE nella città di Reggio Emilia I presenti: Comune Reggio Emilia – Sportello Donna; Comune Reggio Emilia – Centro per le Famiglie; Confcooperative; Privato Sociale; Provincia di Reggio Emilia – Consigliera di Parità; Comitato Impresa Donna – CNA. LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS Le parole stimolo: conciliazione; la conciliazione viene vissuta meglio in un contesto dove prevale al presenza femminile o maschile?; la conciliazione e il territorio. Le parole chiave: Organizzazione/Tempi; Competenze; Riflessione personale; Esigenze; Ansia; Flessibilità/contratti: orari, part time, telelavoro; Tecnologia; Rigidità; Differenza livelli per uomini e donne; 104 Termini; Equilibrio: privato e di lavoro; Cultura/cambiamento/sistema di valori; Ambiente/politica/missione dell’organizzazione; Servizi; Sconfinamento; Emergenze; Necessità; Nuove generazioni; Energie; Staccarsi; Mission; Pensiero differente e integrazione; Appoggio familiare. TEMI EMERGENTI La conciliazione personale: il tema della conciliazione a livello personale è stato affrontato inizialmente dal punto di vista delle singole soluzioni adottate per affrontare le esigenze di conciliazione, per poi arrivare a considerazioni più generali sulla cultura della conciliazione. Anzitutto, è stata data una definizione ampia di conciliazione, non solo come gestione del tempo fra lavoro e figli piccoli, ma anche in relazione ai genitori anziani e al tempo per sé, per stare da sola, per fare un’attività sportiva o seguire una propria passione, con la consapevolezza che le organizzazioni faticano a fornire risposte per le situazioni di emergenza e sarebbe utopistico pensare che lo facciano per il benessere generale della persona. Dalle storie personali delle donne presenti la prima differenza che emerge è legata al modo in cui viene affrontato il tema della conciliazione nella propria famiglia e come è vissuta nell’ambiente di lavoro. Nel contesto personale, infatti, la conciliazione viene “affrontata in modo adulto”, in generale la gestione della famiglia e della casa è un tema su cui si ragiona e discute arrivando ad una condivisione, ad una gestione “concordata” in cui si mettono in campo le risorse disponibili all’interno della propria rete famigliare, e quelle fornite dai servizi o da persone esterne. Viene però sottolineato che gli strumenti di cui si dispone a parole sono accompagnati in alcuni casi da un forte senso di colpa, da una sorta di ansia legata alla conciliazione, nel momento in cui non si riesce a tenere completamente sotto controllo la dimensione domestica (per esempio le camice sempre pronte, le scarpe pulite). 105 Viene quindi evidenziato che “per realizzare la conciliazione la prima cosa da fare è realizzare un cambiamento culturale nella relazione uomo donna”, intravedendolo già nelle generazioni più giovani che sperimentano all’interno della famiglia di origine una diversa distribuzione dei ruoli. La conciliazione nel ruolo professionale: se nel contesto famigliare vengono fatti dei tentativi affinché il lavoro di cura non resti unicamente una responsabilità femminile, nel lavoro è molto più difficile, a tal punto che viene sottolineato che non si era mai veramente pensato ad una reale differenza fra maschi e femmine fino all’ingresso nel mondo del lavoro. Sul lavoro scattano due meccanismi: il primo è legato alla dimostrazione di essere “bravi quanto”, se non “più bravi” facendo di più di quanto viene chiesto o è di competenza e dimostrandosi sempre più disponibile. La capacità, tipicamente femminile, di tenere insieme tante cose si rivela a questo proposito estremamente utile con il problema conseguente definito dello “sconfinamento”, inteso non solo come il portare fisicamente il lavoro a casa, ma anche mentalmente. Il secondo meccanismo è legato ad un fatto culturale, ed è legato al “ruolo da crocerossina” che si tende ad assumere sul lavoro, al trasferire anche sul lavoro l’abitudine a prendersi cura degli altri, al provvedere agli altri che è tipicamente femminile. Questo atteggiamento “protettivo” ha però delle ripercussioni negative nel momento in cui viene percepito dai colleghi o dai clienti in termini di percorsi di carriera . Le risposte interne dell’organizzazione in cui si opera: le risposte dell’organizzazione ai problemi posti dalle esigenze di conciliazione sono state messe in relazione sia alla maggiore presenza maschile o femminile che alla mission dell’organizzazione, facendo una distinzione fra quella politico-amministrativa e quella d’impresa. È importante sottolineare che erano presenti sia donne che lavorano come imprenditrici sia donne che lavorano all’interno della pubblica amministrazione. 106 Per quanto riguarda la prima dimensione, la maggiore presenza femminile all’interno di una organizzazione non viene considerata una caratteristica che comporta una maggiore sensibilità verso la conciliazione, al contrario le richieste di flessibilità delle lavoratrici si scontrano con le esigenze dei servizi, che devono essere flessibili e devono garantire una elevata qualità. Ne consegue che le risposte alle esigenze interne di conciliazione diventano estremamente complesse, si trasformano in “tante flessibilità e armonizzazioni di orario” che funzionano molto bene finché le lavoratrici sono costituite da ragazze molto giovani le cui esigenze di conciliazione sono legate principalmente al tempo libero. Il clima di lavoro inoltre viene considerato migliore quando la presenza è sia maschile che femminile. Nei contesti a prevalenza femminile non solo viene sottolineata la presenza di una “altissima competizione e dei meccanismi puramente maschili, peggiorati”, ma anche la mancanza di arricchimento che deriva dal confronto fra caratteristiche diverse. La conciliazione, in generale, viene vissuta meglio dove “ci sono persone intelligenti che su questo tema possono ragionare, che siano uomini o donne”, dipende quindi dal sistema di valori che le persone portano, se è un sistema che valorizza la differenza o se è fondato su degli stereotipi. Per quanto riguarda invece le risposte in tema di conciliazione in relazione alla mission dell’organizzazione, emerge: • Organizzazioni con mission politico-amministrativa: le organizzazioni si stanno muovendo nella direzione della realizzazione di una maggiore flessibilità sia attraverso l’impiego di tipologie contrattuali particolari (part time) sia attraverso la sperimentazione di nuove soluzioni organizzative che permettono una gestione diversa dei tempi (telelavoro, turni, flessibilità d’orario). • Organizzazioni con mission d’impresa: cominciano a sviluppare azioni che agevolano la conciliazione 107 ma questo obiettivo viene perseguito non tanto perché si è sviluppata una sensibilità particolare ai temi della conciliazione, ma soprattutto per ragioni di tipo economico, ovvero “per una razionalizzazione dei costi”.Ne consegue che non si ragiona solo al femminile. Nei contesti dove il personale è costituito sia da uomini che da donne, viene rilevato che spesso la concessione del part time viene interrotta perché gli uomini lo vivono come una discriminazione nei loro confronti; se le lavoratrici sono in prevalenza donne le richieste aumentano a tal punto che non è più una soluzione sostenibile dal punto di vista economico per l’impresa.Le misure che permettono una maggiore flessibilità sono sempre rivolte a donne , profili impiegatizi con poca responsabilità e non sono mai applicate ai ruoli dirigenziali. • Organizzazioni che hanno come mission il fornire risposte ai problemi di conciliazione (servizi pubblici e privati per l’infanzia o per i genitori): le risposte e gli strumenti di flessibilità delle altre organizzazioni sono difficilmente applicabili sia per la necessità di offrire un servizio di qualità sia perché dagli utenti provengono richieste di sempre maggiore flessibilità ed estensione dell’orario di apertura. Il problema non è emerso fino ad ora in queste organizzazioni poiché le donne che vi lavorano sono molto giovani e le esigenze maggiori di conciliazione sono legate al tempo libero. I percorsi di carriera: un tema critico fortemente legato alla conciliazione e ampiamente discusso durante il focus è quello legato ai percorsi di carriera. Viene messo in evidenza come spesso vengono utilizzate le esigenze di conciliazione della donna come pretesto per bloccare i percorsi di carriera. Viene infatti assunto che per ricoprire incarichi di responsabilità è necessaria una costante presenza all’interno dell’organizzazione che non è compatibile ad esempio con un part time, solitamente 108 concesso per i profili più bassi. La discriminazione nelle organizzazioni diventa ancora più evidente quando nei ruoli dirigenziali alti, molti uomini hanno il part time per conciliarlo con altri ruoli professionali e incarichi ampiamente retribuiti. Questo risulta vero a tal punto che nel caso degli uomini non viene nemmeno utilizzata l’espressione part time, ma doppia responsabilità. Viene sottolineato che a parità di titoli di studio e età fra maschi e femmine c’è molta differenza non solo nei ruoli occupati ma anche nella retribuzione; da una parte le donne tendono a non valorizzare il proprio lavoro anche dal punto di vista economico, dall’altra spesso viene percepito non tanto come una prestazione lavorativa che deve essere adeguatamente corrisposta, ma come “assistenza sociale” proprio per la partecipazione e il coinvolgimento tipici dell’atteggiamento femminile nel contesto lavorativo. L’ingresso in una organizzazione segue logiche politiche e di lobby che non facilitano spesso l’ingresso di figure femminili perché la loro presenza cambierebbe quei luoghi. Si sente però la necessità di modificare la cultura dirigenziale, introducendo un pensiero originale basato sulla “differenza e integrazione”. Le risposte del territorio: viene messa in evidenza come le risposte alle esigenze della conciliazione provengano molto dalle rete famigliare e la loro vicinanza è quindi fondamentale. La città di Reggio Emilia è però costituita ormai non solo da nativi del luogo, ma anche da numerosi migranti o da altre regioni d’Italia o da altri paesi e sono sempre più numerose le famiglie che possono contare solo sulle risposte offerte dai servizi pubblici e privati. Se la qualità dei servizi offerti a Reggio Emilia è per tradizione molto alta, vengono evidenziate altre lacune: dislocazione sul territorio: le strutture spesso sono dislocate nel centro della città e non nelle aree industriali o artigianali dove si concentra la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici che impiegano moltissimo tempo a raggiungere prima i servizi e poi i luoghi di 109 lavoro; periodi di apertura dei servizi: l’apertura dei servizi è legata all’anno scolastico tradizionale (settembre – giugno), di conseguenza in alcuni mesi dell’anno, in particolar modo durante il periodo estivo, si registra una forte richiesta di spazi e servizi non solo per la prima infanzia ma anche per la fascia di età che va dai 3 ai 5 anni. ; valorizzazione del settore privato: poiché il pubblico non riesce a far fronte alla domanda che proviene dal territorio in termini di servizi, viene sottolineata l’importanza di valorizzare gli interventi e le iniziative del settore privato e contemporaneamente le difficoltà enormi, soprattutto dovute alle normative regionali, che si incontrano in questo ambito; costi: le rette sono altissime. Hanno sviluppato una particolare sensibilità verso il tema conciliazione le organizzazioni che offrono risposte alle esigenze di conciliazione che si riflette ad esempio nel porre una attenzione particolare a tutte quelle soluzioni che facilitano la conciliazione: servizi nell’arco delle 24 ore, massima disponibilità, incontri e iniziative in orari “adeguati” e con la presenza di un servizio di baby sitting. Viene però sottolineato che nel momento in cui si dimostra sensibilità nei confronti di un tema come la conciliazione, le richieste sono sempre maggiori, si richiede “sempre più flessibilità, fino a troppa flessibilità, si finisce per rincorrere le esigenze dei singoli genitori ed emerge la necessità di mettere dei paletti, di educare alla LA VOCAZIONE La riflessione sviluppata nel territorio sui temi della conciliazione al momento attuale ha permesso: • un’analisi dei bisogni “primari” legati alla conciliazione che emergono dal territorio fornendo risposte in termini di servizi pubblici e privati con alcune criticità ma nel complesso adeguate e sostenibili dal punto di vista economico; • un’analisi approfondita sulla cultura della 110 conciliazione e sui bisogni “secondari” ad essa legati riflettendo ad esempio in maniera critica sui percorsi di carriera e sulle differenze di genere che li caratterizzano. Lettura e analisi L’analisi dei focus è stata organizzata per tematiche emergenti. I temi più trattati sono stati quelli stimolati attraverso specifiche domande preparate e proposte allo stesso modo in ogni incontro. Ogni area territoriale durante la discussione ha evidenziato e introdotto nuovi temi che sono risultati tipici di quelle zone. Oltre agli aspetti di contenuto abbiamo notato che il focus ha dato anche la possibilità di dialogare e lanciare messaggi e comunicazioni tra i soggetti presenti. In alcuni casi sono state chieste delle risposte a situazioni e problemi locali vissuti tra i soggetti presenti oppure si sono aperte opportunità di confronto e di dialogo. I soggetti riuniti in Luoghi per una libera questa occasione spesso si conoscevano già e insieme riflessione hanno partecipato a momenti di programmazione, progettazione, presentazione di studi e ricerche, sperimentazione di servizi etc.; ma il momento del focus è stato connotato più come uno spazio di libera riflessione. Quindi un luogo al di fuori dei compiti e ruoli normalmente ricoperti per lavoro, dove potersi confrontare anche sulle dinamiche tra attori che vivono e lavorano nello stesso territorio e che fanno o potrebbero fare rete sul tema della conciliazione. Questo aspetto, come altri che sono stati colti, si differenzia a seconda della maturità conciliativa del territorio di volta in volta preso in considerazione. Si potrebbe affermare che più un territorio è maturo, e quindi ha lavorato sia culturalmente che operativamente sulla conciliazione, meglio riesce, attraverso i suoi rappresentanti, a prendere le distanze da ruoli, mercati e politiche per lanciarsi liberamente in un confronto alternativo. 111 Riflessioni sulla conciliazione Sono state fatte delle riflessioni non ascrivibili alla realtà lavorativa, organizzativa, alla sfera personale o al territorio in senso stretto, bensì astrazioni pure sulla conciliazione, con collegamenti più filosofici sui massimi sistemi, la vita e la società nel suo complesso. Queste conversazioni davano la possibilità di uscire da alcuni ruoli per poi rientrare nella comunicazione con un’ambientazione maggiore e un contesto allargato. Spesso questi passaggi hanno aiutato a trovare delle risposte nella società definibile civile, nel senso che cogliendo le trasformazioni verso nuove esigenze sempre più individuali, è stato rivalutato il livello locale, territoriale, per fare leva sul bene pubblico e il bene comune. E da una tale valorizzazione trarrebbe giovamento proprio la conciliazione. Neces sità di un monit oraggi La conciliaz ione come priorità Emerge che la conciliazione non è un punto di arrivo ma è un processo. Quindi è molto importante il modo con cui si affronta e il sistema che viene messo in atto per arrivare alla definizione di una strategia. Posta da questo punto di vista la conciliazione ha in sè un altro problema, quello del monitoraggio continuo che va programmato per poter mantenere sempre aggiornati i bisogni e le nuove risposte che sono in sintonia con i territori e le offerte creative messe in atto. Questo strumento viene esplicitato ampiamente nel rapporto tra conciliazione e territorio. Uno dei nodi affrontati, mentre si cercava di definire i confini della conciliazione, è stato quello di cercare di capire quale è l’interesse prevalente degli enti pubblici, se ad esempio la conciliazione è una priorità o meno e quali sono le figure legittimate a trattare della conciliazione. Al fine di individuare strumenti per una rilevazione costante dei bisogni e per una loro rielaborazione in un’ottica di benessere comune, diventa determinante sapere che questa è la priorità da perseguire o da proporre. 112 Le risposte interne dell’organizzazione La partecipazione al focus di persone rappresentanti organizzazioni diverse, pubbliche e private, datoriali e dei lavoratori, ha permesso di cogliere non solo i diversi punti di vista ma anche le diverse esigenze, spesso opposte, ma comunque legittime. Emerge chiaramente che le dimensioni dell’organizzazione sono una variabile fondamentale per quanto riguarda le risposte interne: le organizzazioni pubbliche ad esempio possono, senza troppi problemi, andare incontro alle esigenze delle lavoratrici o lavoratori con strumenti quali il part time, la flessibilità d’orario, i permessi ed in generale con tutte le opportunità previste dalla legge in quanto economicamente sostenibili. Nel caso delle piccole aziende o piccolissime è molto più difficile avvalersi di questi strumenti perché difficilmente accessibili dal punto di vista economico, e la disponibilità reciproca sembra essere lo strumento più efficace. Spesso si riscontrano momenti diversi nel percorso di vita dell’organizzazione e ad una fase in cui vengono attivate molte soluzioni per le esigenze di conciliazione ne segue una caratterizzata da numerose restrizioni, sia a causa della congiuntura economica sia perché il numero di richieste aumenta sempre di più non appena qualcuna viene soddisfatta, sia per evitare gelosie ed invidie fra i lavoratori. Nel caso delle donne artigiane o libero professioniste gli strumenti legislativi perdono completamente di significato. Un secondo aspetto che condiziona fortemente le risposte dell’organizzazione sono i ruoli ricoperti: se a livello impiegatizio, o più in generale medio basso, le organizzazioni non hanno generalmente problemi ad andare incontro alle esigenze delle lavoratrici, per i ruoli dirigenziali questa possibilità non viene concessa. Per i ruoli di responsabilità, quelli in cui si devono gestire emergenze od urgenze, non sono previste agevolazioni 113 Applic are la creati vità Strume nti di concilia zione maschil i che permettano di conciliare meglio il lavoro con la vita privata. La giustificazione fornita è che “bisogna esserci”, quindi molte donne o finiscono per rinunciare ad incarichi di questo tipo o finiscono per fare scelte famigliari particolari, ad esempio legate alla rinuncia della maternità. Per gli uomini spesso non viene applicata la logica del “bisogna esserci” e riescono ad ottenere più incarichi part time, definiti però “doppia responsabilità”. Ogni organizzazione sviluppa una sensibilità diversa sul tema della conciliazione spesso in base alle esperienze e ai vissuti personali delle persone che vi lavorano. Il livello di sensibilità si manifesta sia in termini di disponibilità ad andare incontro alle esigenze sia nella volontà di trovare soluzioni ai problemi che si presentano, cercando di cogliere le opportunità in termini di risorse e attivando progetti sperimentali. Il livello di sensibilità influisce anche nel tentativo di creare nel contesto e nell’ambiente di lavoro un clima sereno partendo dalla convinzione che questa condizione sia molto più produttiva per l’organizzazione. Costruire un buon clima significa anche garantire alle lavoratrici una certa serenità sulle possibilità di conciliare le proprie esigenze famigliari con il lavoro, senza troppa ansia o preoccupazione. Nel complesso, quello che emerge è che nonostante le diverse necessità e i diversi interessi presenti è possibile trovare delle risposte e delle soluzioni se vengono fatti degli sforzi per cercarle, risposte che non devono essere necessariamente personalizzate ma possono essere pensate anche per la collettività. Un discorso a parte riguarda le richieste legate ad esigenze di conciliazione avanzate dagli uomini. Se infatti, come si è già detto, la richiesta di part time è finalizzata spesso allo svolgimento di un secondo incarico, quelle per i congedi parentali sono mirate alla conciliazione con esigenze famigliari. In questo si verificano tendenze opposte: da una parte, permane ancora una cultura forte per cui la conciliazione non è di competenza maschile e quindi si incontrano all’interno delle organizzazioni molte 114 resistenze; dall’altra, si registra una crescita delle richieste, ad esempio legate alla Legge 53/00. Per affrontare questo aspetto si potrebbe verificare l’uso degli strumenti della conciliazione in relazione ai ruoli e ai settori produttivi che sono prevalentemente maschili. Le organizzazioni lavorative possono trovare strumenti utili per affrontare le esigenze di conciliazione interne anche attraverso l’esperienza che proviene dalla formazione professionale. In particolare le tecniche per fare bilanci di competenze e quindi le strategie per l’orientamento sono suggerimenti validi da applicare alle lavoratrici/tori che manifestano disorientamento ed esigenze di conciliazione La conciliazione personale Uno degli obiettivi del focus era, come si è già detto, portare le persone presenti a riflettere sulla loro conciliazione personale per fare emergere le contraddizioni spesso presenti fra il livello privato e quello professionale di chi lavora su queste tematiche. La prima grande distinzione che è emersa è legata all’avere o meno figli, in particolare piccoli. Le donne che non hanno figli sottolineano una forte esigenza di conciliazione, soprattutto legata alla necessità di avere tempo per sé, ma sono quelle che più difficilmente riescono a “darsi una giustificazione morale adeguata” , per prendersi ad esempio un pomeriggio libero e finiscono per realizzare la conciliazione utilizzando il tempo in maniera molto intensa, sfruttando cioè tutti i minuti disponibili. Le donne che hanno figli presentano principalmente un problema concreto legato a dove collocare i figli mentre loro sono al lavoro, che viene affrontato attivando tutte le risorse disponibili: scelta dei lavori e delle opportunità privilegiando quelle che impegnano meno tempo per non “sacrificare la famiglia”, uso delle opportunità offerte dalle normative esistenti, servizi, reti famigliari e amicali, bambini al lavoro e lavoro a casa. 115 Formazio ne e orientam ento L’emoti vità della concilia zione Confronto sulla cultura A questo problema ne consegue uno di tipo emotivo dai contorni molto ampi legato alle preoccupazioni che questa complessa gestione comporta. I vissuti che emergono principalmente sono legati: all’ansia per la difficile gestione dei tempi e le capacità organizzative che questa comporta; alla stanchezza fisica e psicologica; ai sensi di colpa che si vivono non solo nei confronti della famiglia nel momento in cui non si riesce a “seguire la casa”, ma anche nei confronti del lavoro e dei colleghi nel momento in cui ci si deve allontanare per motivi famigliari. Un altro aspetto importante emerso nei focus riguarda i ruoli maschili e femminili e come questi stiano cambiando rispetto al passato: nelle nuove generazioni si vede un maggior coinvolgimento dell’uomo in tutti gli aspetti della vita famigliare soprattutto nella cura dei figli piuttosto che nel lavoro domestico. Le donne presenti evidenziano una situazione spesso paradossale, per cui, se da una parte affermano di avere affrontato la conciliazione “in modo adulto” e quindi c’è una gestione famigliare concordata e condivisa, dall’altra ammettono le difficoltà per superare i sensi di colpa nei confronti del marito “se le camicie non Un’ultima questione emersa riguarda la sempre maggiore consapevolezza circa i costi economici che la conciliazione comporta e che sono sostenuti dalle singole persone. Ossia quanto pesa la scelta ad esempio del part time sul proprio bilancio famigliare. Nonostante dal punto di vista economico la conciliazione non sia quindi una scelta vantaggiosa e vi sia consapevolezza di questo, non appare strano che una donna vada a lavorare praticamente per mantenere il lavoro e pagare i servizi o la babysitter. Culturalmente il salario delle donne viene ancora vissuto e considerato un salario accessorio che serve esclusivamente a contribuire al budget famigliare. La conciliazione e il territorio 116 I Focus, come altri parti di questo lavoro di ricerca, confermano il bisogno di avere le informazioni sul territorio elaborate e fornite in modo chiaro e visibile. Un’idea può essere quella di riuscire a visualizzare su una cartina la mappa dei servizi offerti sulla città, per avere un quadro immediato sulle distanze da percorrere dalla propria abitazione o dal luogo di lavoro al servizio di cui si usufruisce (per infanzia, handicap e anziani). Spesso si sprecano energie, tempo e risorse economiche dietro a soluzioni che non sono percorribili. Tale spreco colpisce i Nuova Mappa dei servizi presenti nella città sistema dei servizi che deve rallentare e modificare continuamente la propria programmazione. Come nel caso delle graduatorie che vengono fatte, sostituite e quindi ricambiate a causa di abbandoni, cambi e ripensamenti sempre più spesso dettati da problemi di mobilità e di costi. Il territorio è fondamentale nella problematica della conciliazione e come per le riflessioni generali, è stato verificato che un territorio è un’insieme di elementi: servizi, politiche dell’ente pubblico, tempi della città. Da alcune riflessioni emerge che il pubblico si è dato delle priorità senza verificare il cambiamento dei bisogni e quindi ci sono situazioni di grandi e costanti investimenti su alcuni settori a scapito di altri. Ogni territorio potrebbe dotarsi di un sistema di monitoraggio con specificità proprie. Senza una lettura costante del panorama risulta difficile procedere e navigare verso forme di conciliazione attuabili ed efficaci. Possibil La conciliazione nel territorio può essere fatta attraverso accordi, contrattazioni e patti, che coinvolgono le organizzazioni, i servizi, le normative ed anche le reti. Questa soluzione è successiva ad una fase di mappatura per riuscire a delineare bene il contesto e valutare quindi l’azione più opportuna per quel territorio. 117 ità di patti e contrat tazioni a livello locale L’impostazione di azioni come questa prevedono momenti di analisi e di valutazione che dovrebbero essere condivisi attraverso azioni di comunicazione e dialogo. Nei territori le organizzazioni devono tener conto delle singole aree per riuscire a funzionare efficientemente e efficacemente. Le grandi organizzazioni, se non decentrano in aree, non riescono a vedere quelle piccole soluzioni che possono essere utili e che “nel piccolo” emergono meglio. Promuovere Altro elemento è quello della sensibilità dei territori e di conseguenza delle realtà organizzative, in questo senso si azioni di sensibilizza può agire programmando azioni per promuovere e zione valorizzare la cultura della conciliazione. Azioni che non sono solo informative, ma che possano portare messaggi per sensibilizzare di più le singole realtà territoriali. Legata alla sensibilizzazione si inserisce la suddivisione, che a volte pare controproducente se esasperata, tra il livello pubblico e quello privato. Tale situazione sembra Identifica creare disagi, per l’identificazione di soggetti definibili zione di “referenti motivati”, che possono avere un ruolo notevole referenti nell’equilibrio della rete. Anche questo aspetto, che motivati emerge con intensità diversa nei territori di indagine, è collegato alla maturità degli stessi. La valutazione delle azioni per la conciliazione e la parità può essere uno strumento per avvicinare le due realtà, pubblico e privato. Ci sono alcuni territori che mostrano di essere già maturi in questo senso, si pensi al progetto “Una rete in Comune”, che gli stessi attori hanno definito come uno strumento per “ripensare alle cose fatte”. La rete dei partner presenti nei territori per essere attiva e propositiva dovrebbe raccogliere soggetti fortemente motivati a lavorare sulla conciliazione e disposti a fare da referenti. Le politiche per la conciliazione Gli stimoli forniti durante la realizzazione del focus avevano come obiettivo quello di portare le persone presenti ad affrontare il tema della conciliazione partendo 118 da punti di vista molto concreti, legati alle esperienze e ai vissuti personali sia all’interno della vita privata che dell’organizzazione. È stato molto significativo che siano passati presto a sviluppare riflessioni e considerazioni a livello più generale delle politiche e della cultura della conciliazione. Ciò conferma che si sente la forte necessità di confrontarsi su questi temi per creare soluzioni e progettare azioni che forniscano risposte reali e non legate ad immagini stereotipate o luoghi comuni. Emerge chiaramente che una delle priorità della progettazione delle politiche e della loro programmazione, deve essere il superamento di un sistema che produce risposte personalizzate alle esigenze dei singoli, per inserirle in un complesso che produce vantaggi per l’intera collettività. Non è pensabile che le politiche della conciliazione producono dei privilegi solo per qualcuno., Diventa necessario cominciare a costruire dei patti che vadano oltre agli interessi delle singole categorie per perseguire l’interesse e il bene comune. Ragionare in questi termini comporta una profonda riflessione sulla cultura della conciliazione e un ripensamento generale dell’organizzazione dell’intera società. Il tema della conciliazione non può essere ascrivibile solo alle donne e l’elaborazione delle politiche deve tenere conto dei cambiamenti in atto nella sfera dei ruoli famigliari. Acquisire consapevolezza sui cambiamenti culturali viene ritenuto fondamentale per potere disegnare delle politiche che abbiano “vision” rispetto al tema della conciliazione. Il problema che viene sottolineato è però la mancanza di momenti e occasioni per poter stare insieme e discutere, non solo fra donne, in contesti diversi da quelli professionali o istituzionali. Oltre a tenere in considerazione i cambiamenti dei ruoli famigliari, vengono proposti altri aspetti che le politiche dovrebbero tenere presenti nell’ottica di individuare soluzioni sostenibili sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del benessere delle persone. Un criterio possibile potrebbe essere quello del rispetto dei cicli di 119 Facilitare la formazio ne di reti vita biologici. Le scelte professionali e famigliari al giorno d’oggi vengono posticipate e “sfasate” rispetto a quelli che sono i ritmi biologici, per cui la scelta della maternità viene fatta a 40 anni piuttosto che a 25 e nel momento in cui le persone potrebbero essere al massimo delle loro potenzialità lavorative dal punto di vista della creatività e dinamicità si trovano spesso ancora a studiare. Questo comporta costi umani ed economici alti che pesano sui singoli individui ma anche sulla società nel suo complesso. Vengono infatti attivate molteplici risorse, non solo servizi e/o possibilità offerte dalle leggi, ma anche reti sociali, famigliari e amicali che svolgono un ruolo fondamentale. Un ulteriore aspetto riguarda l’educazione all’uso delle leggi che facilitano la conciliazione. Per evitare un cattivo uso delle stesse, occorre educare all’uso creativo per evitare che le leggi vengano concepite come una ricetta che risolve tutti i problemi piuttosto che come uno degli strumenti disponibili. Un’ultima considerazione riguarda la trasferibilità delle politiche e dei progetti realizzati che dovrebbe essere attuata tenendo in considerazione le realtà dei singoli territori, non solo rispetto al sistema di risposte alla conciliazione presente (servizi pubblici e privati, progetti ed esperienze), ma anche rispetto al livello di maturità della riflessione sulla conciliazione e alla diversa “vocazione” espressa dai referenti presenti sul territorio. La carriera e la conciliazione Questa tematica non è stata affrontata in tutti i gruppi focus, ma è emersa nei territori che hanno fatto percorsi dedicati alla diffusione della cultura della conciliazione e che quindi hanno già elaborato riflessioni sui percorsi di carriera. La carriera rappresenta dal punto di vista della conciliazione una doppia scelta: dell’organizzazione e personale. 120 Inoltre la carriera paga lo scotto di tutta una serie di stereotipi sia sul genere che sul tempo e il denaro. Una donna deve dimostrare doppiamente di essere brava, ha carichi di lavoro pari agli uomini ma di fatto un riconoscimento organizzativo ed economico minore. Una modalità per lavorare sugli stereotipi e sul miglioramento di alcune situazioni della carriera femminile è quello di identificare gli elementi che le diversificano dai percorsi al maschile “non devo lavorare con la mentalità di un uomo, non lo sono”. Le caratteristiche messe in luce per valorizzare i percorsi di carriera al femminile sono già stati sistematizzati da un precedente lavoro di ricerca (4 ) e hanno evidenziato che le donne nei loro percorsi di carriera a differenza degli uomini, riconoscono un peso fondamentale a caratteristiche quali: la capacità di condurre gli altri ad una meta, la competenza, la resistenza all’insuccesso, la spinta verso la propria realizzazione personale e la capacità di stare con gli altri. Per gli uomini le capacità messe in atto nei percorsi di carriera sono: la capacità manageriale individuale, quella di saper strutturare la situazione, la resistenza all’insuccesso e saper accettare gli altri. Ma oltre alle capacità messe in campo, i percorsi di carriera rivelano anche una serie di trabocchetti come pretesto per bloccare i percorsi delle donne: essere presenti costantemente nei luoghi di lavoro, lavorare oltre l’orario, non utilizzare il part time, la presa in carico di più ruoli con una remunerazione non corrispondente ed infine logiche politiche e di lobby che non facilitano spesso l’ingresso di figure femminili. 4 Donne dirigenti e imprese cooperative, Irecoop Emilia Romagna, RicercAzione scrl, 2002 121 L’Auto imprenditorialità Le caratteristiche di imprenditorialità e autoimprenditorialità vengono evidenziate attraverso aspetti innovativi come la creatività, che si dovrebbe prestare al concetto di soluzioni conciliative per il mondo dell’impresa; anzi dovrebbe farne parte integrale. In questo caso facciamo riferimento alla metodologia per le decisioni del problem solving in cui una delle regole base è quella di applicare soluzioni creative: saper notare, saper ricercare e saper generare alternative 5 . L’autoimprenditorialità emerge nel momento in cui il problema della conciliazione stimola la nascita di associazioni e imprese per facilitarla. Solitamente sono sempre le donne che lavorano e imprendono in questo settore. Nei territori coinvolti dall’azione dei focus si rileva la presenza di specifici progetti a favore della conciliazione che hanno sperimentato e/o individuato soluzioni articolate, nei tempi, nell’organizzazione e nelle risorse. Per affrontare questi tre livelli occorre mettere in atto una metodologia di approccio ai problemi di tipo imprenditoriale e manageriale. Facendo riferimento all’applicazione di problem solving, tale procedimento è consigliato in presenza di determinate condizioni: ü scostamento fra la situazione desiderata e quella reale; ü attenzione rivolta verso un determinato scostamento; ü motivazione a ridurre lo scostamento; ü capacità di fare davvero qualcosa per ridurre lo scostamento. Queste condizioni possono essere facilitate e quindi affrontate prima della programmazione e progettazione di azioni conciliative visto che appaiono come elementi di criticità durante la valutazione ex post delle azioni per la parità e la conciliazione. 5 A. Leigh, Decisioni, decisioni!, Franco Angeli/trend 122 L’autoimprenditorialità ha al suo interno la creatività e la creatività serve, quanto meno, ad accelerare il processo di problem solving. L’approccio creativo alla conciliazione emerge spesso come consiglio ed è auspicato da molti dei testimoni che hanno partecipato ai focus, indipendentemente dal territorio di riferimento. Le parole chiave Cesena Sensibilità Responsabilità nel pubblico/nel lavoro autonomo Organizzazione Clima sereno Armonizzazione dei tempi Strumenti agevolativi Mobilità Reti famigliari Associazioni genitori Gestione emergenze Orari Carichi di conciliazione delle donne Lavori stagionali Nuove generazioni Vicinato Forme spontanee di aiuto Senso di colpa Svalutazione Stanchezza Tempi disordinati Adolescenti Culture diverse Auto-emarginazione Faenza Occasionale Naturale, Organizzativo Esig.individuali/gruppo Responsabilità Strumenti Rete Solidarietà, Orari/ferie, Dialogo Decentrare decisioni Personalizzazione Consapevolezza Settore di lavoro Piano degli orari Monitoraggio bisogni Sfondo Ricerca costante Creatività Soluzioni Servizi istituzionali Privato Difficoltà Aspetto economico Periodi di vita Luoghi di vita C. con se stessi/e Chiedere e cercare Sofferenza Sopportazione Sofferenza in aumento Iper-stimolazioni forte settorializzazione Dove siamo? Ri interrogarci 123 Forlì Contratti Contrattazione Orientamento Gruppo di lavoro Economia Struttura produttiva Risorse Sfruttamento Percorso Punte di eccellenza Ridistribuzione Cicli di vita Cultura Reti Sistema di cura Uso/abuso leggi Riflessioni Verifica Scarsa informazione su strumenti esistenti Mix di soluzioni Confronto sugli aspetti educativi Carriera Responsabilità Sistema di delega Ricentrarsi Preoccupazione Internet Trasporti. Piacenza Clima sereno Donne Figli, maternità Piano degli orari Autoimprenditorialità Forme di lavoro che conciliano Anziani Reinserimento lavorativo Studenti Trasversalità Servizi per la città Legge 53 Tentativo perenne Affettività dell’organiz. Clima caotico Tempi e orari di lavoro Sensibilità Contratti: il telelavoro Ravenna Consumi Non ufficialità Contrattazione personale Gestione personale Luoghi ostici Trasversalità Politiche Organiz. dei servizi Diversificazione Cultura del tempo Orari Adeguam. al mercato Flessibilità Meno tutele Economia Tempi e bisogni Aspetti individuali Cambiamenti Compiti di cura Rapporto tra i sessi Sensibilità Interesse comune Senso appartenenza Più ruoli Patti Interessi categoria, Contrattualistica Part time orizzontale giovani Formazione Contrattazione, Difficoltà Senso di respons. Supporti famigliari Ansia Super organizzazione Carico di relazioni Resistenza al cambiamento Reggio Emilia Organizzazione/ Tempi Competenze Riflessione personale Esigenze Ansia Flessibilità/contratti: orari, part time, telelavoro Tecnologia Rigidità Differenza livelli per uomini e donne Termini Equilibrio: privato e di lavoro Cultura/cambiamento/sistema di valori Ambiente/politica/missione dell’organizzazione Servizi Sconfinamento Emergenze Necessità Nuove generazioni Energie Staccarsi Mission Pensiero differente e integrazione Appoggio familiare Questo schema raccoglie le parole chiave scritte durante la conduzione dei focus, analizzandole e facendo un 124 lavoro di categorizzazione abbiamo individuato una serie di aree tematiche: ü ü ü ü ü ü Area emotiva e dell’affettività: sensibilità, clima sereno, senso di colpa, svalutazione, stanchezza, difficoltà, sofferenza, sopportazione, sofferenza in aumento, preoccupazione, percorso, riflessioni, ricentrarsi, ansia, esigenze, sconfinamento, energie, staccarsi; Area della contrattualistica: strumenti agevolativi, lavori stagionali, occasionale, settore di lavoro, contratti, contrattazione, forme di lavoro che conciliano, legge 53, il telelavoro, contrattazione personale, flessibilità, meno tutele, contrattualistica, part time orizzontale, flessibilità; Area dei tempi e degli orari: tempi disordinati, ferie, piano degli orari, tempi e orari di lavoro, cultura del tempo, orari, tempi e bisogni, organizzazione dei tempi; Area delle reti e relazioni: reti famigliari, associazioni genitori, vicinato, forme spontanee di aiuto, rete, solidarietà, dialogo, supporti famigliari, carico di relazioni, appoggio famigliare; Area dei servizi e supporti: mobilità, personalizzazione, monitoraggio bisogni, servizi istituzionali, privato, chiedere e cercare,trasporti, sistema di cura, verifica, scarsa informazione su strumenti esistenti, anziani, re inserimento lavorativo studenti, trasversalità, servizi per la città, organizzazione dei servizi, diversificazione, servizi; Area della organizzazione aziendale: responsabilità, lavoro autonomo, armonizzazione dei tempi, gestione emergenze, naturale vs organizzativo, esigenze individuali e di gruppo, decentrare decisioni, creatività, soluzioni, orientamento, gruppo di lavoro, carriera, sistema di delega, auto-imprenditorialità, affettività dell’organizzazione, non ufficialità, gestione 125 ü ü ü ü personale, senso appartenenza, formazione, super organizzazione, competenze, rigidità, ambiente, politica, mission; Area delle politiche per la conciliazione: autoemarginazione, ricerca costante, aspetto economico, periodi di vita, luoghi di vita, riinterrogarci, punte di eccellenza, redistribuzione, cicli di vita, cultura, uso e abuso leggi,mix di soluzioni,confronto sugli aspetti educativi, tentativo perenne,trasversalità, politiche, compiti di cura, interesse comune, patti, interessi di categoria, equilibrio fra privato e lavoro, sistema di valori; Area del cambiamento: nuove generazioni, adolescenti, culture diverse, iper-stimolazioni, dove siamo?, internet, consumi, cambiamenti,giovani, resistenza al cambiamento, tecnologia; Area delle differenze tra uomini e donne: carichi di conciliazione delle donne, conciliazione con sé stessi, donne, figli, maternità, aspetti individuali, rapporto tra i sessi, differenza livelli per uomini e donne, pensiero differente, integrazione; Area dell’economia e del mercato: sfondo, iper-settorializzazione; economia, struttura produttiva, risorse, sfruttamento, luoghi ostici, adeguamento al mercato. Alcuni territori si contraddistinguono per un approccio più metodologico e organizzativo, altri per un approccio decisamente improntato sui servizi di supporto, mentre in altri ancora è stato sviluppata maggiormente la dimensione dell’affettività. Come è già stato spiegato, durante la realizzazione dei focus venivano forniti degli stimoli ma i presenti erano poi lasciati liberi di seguire il loro ragionamento e le loro riflessioni; è interessante notare che dall’analisi delle parole chiave emerge che anche senza essere guidati in questo, le discussioni 126 hanno affrontato tutti gli elementi che caratterizzano i discorsi sulla conciliazione e che vengono presi in considerazione per la costruzione delle politiche. Un’azione positiva per la conciliazione: il disco orario e le parole della conciliazione Alla luce di quanto emerso dall’intero lavoro di ricerca si è pensato di realizzare un’azione positiva che coprisse una delle esigenze principali emerse, il bisogno cioè di diffondere informazioni e di riflettere su questi temi in contesti non istituzionali o formalizzati ma quotidiani. Si è pensato quindi di utilizzare un oggetto di uso ricorrente che rimanda alla questione del tempo e di come questo viene utilizzato: il disco orario. A questo si è aggiunta l’idea maturata con la realizzazione dei focus di impiegare delle parole chiave che possano servire come stimolo e spunto di riflessione. Si è scelto di inserire quindi sul retro di un vero e proprio disco orario delle parole che sono visibili tre alla volta che oltre ad essere particolarmente significative sul tema della conciliazione cercano di mettere in evidenza l’esistenza di una relazione fra i termini usati e a cui normalmente non si presta attenzione. 127 128 SECONDA PARTE RIFLESSIONI IN MATERIA DI CONCILIAZIONE A cura di Networking srl (Bo) 129 TRA MITO E RICERCA: IL TEMA DELLA CONCILIAZIONE FRA TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO La tesi di partenza dalla quale nasce la presente ricerca è che il tema della conciliazione fra la vita lavorativa e la vita privata delle donne deve essere analizzato in maniera pragmatica, e va considerato un problema di natura socio-organizzativa, e non solamente una istanza di carattere etico. Conciliare significa, nella accezione qui considerata, mantenere un equilibrio dinamico tra le esigenze, gli obiettivi, le motivazioni di diversi soggetti; la conciliazione non va intesa come un risultato statico, bensì come un processo che coinvolge diversi interessi e bisogni e che si evolve nel tempo. Molto frequentemente si tratta la conciliazione come una questione di natura “etica”, una sorta di imperativo morale: conciliare significa aiutare le donne a raggiungere traguardi di carriera pari a quelli possibili per gli uomini, gestendo il surplus di stress dovuto alla necessità di presidiare concomitanti impegni di famiglia e di lavoro. L’assumere tale prospettiva rischia di proporre una lettura solo parziale e semplificata del fenomeno, riducendolo a una rappresentazione mono-dimensionale raffigurata dall’immagine stereotipata della donna che si affanna per mettere d'accordo le richieste che arrivano dal versante familiare e quelle che provengono da quello professionale. Tutto finisce per ridursi ad un unico dilemma che attanaglia le donne che lavorano: come allocare il mio tempo? Devo dedicarlo alla famiglia, penalizzando il lavoro e la carriera, o dedicarlo al lavoro, sfuggendo alle mie responsabilità di cura? Di conseguenza intervenire sulla conciliazione significa quasi sempre indurre la pubblica amministrazione a introdurre dei supporti normativi che consentano alle donne che lavorano di non essere eccessivamente assorbite dai propri impegni professionali (ad esempio tutte le forme 130 contrattuali orientate di riduzione del tempo pieno di lavoro) o dei servizi che le supportino nelle attività di cura (es. asili) o che comunque permettano di risparmiare o di flessibilizzare l’uso del tempo. Non c’è dubbio che questa rappresenti una parte della problematica della conciliazione, ma la questione è senz’altro più complessa, sia nelle sue manifestazioni che nella varietà di attori, interessi, comportamenti che la influenzano e che ne vengono influenzati. Possiamo qui riassumere i principali elementi che devono essere presi in esame sotto questo profilo per fornire una visione multidimensionale del tema della conciliazione: 1. Innanzitutto esiste una amplissima gamma di motivazioni, di esigenze e di obiettivi alla base del comportamento e delle richieste delle donne che lavorano. Non tutte condividono le medesime priorità o scale di valori, e di conseguenza le problematiche della conciliazione possono essere assolutamente differenti. Il tema della conciliazione può essere sentito in forme e modi diversi e l’assumere che tutte le donne lavoratrici abbiano (o peggio, debbano avere) le stesse “naturali” esigenze è irrealistico e prevaricatore. 2. Il ruolo delle aziende e delle organizzazioni nelle quali le donne lavorano deve essere tenuto in debita considerazione: in particolare va evidenziato il fatto che le esigenze di queste non sono sempre e comunque in contrasto con quelle delle donne. Il problema non può essere ridotto ad una sorta di “tiro alla fune” nel quale l’azienda – spinta dalla ricerca del profitto – cerca di appropriarsi della maggiore quantità di tempo della lavoratrice possibile. A seconda del configurarsi di un insieme di variabili strutturali (dimensioni, organizzazione, prodotto), culturali (atteggiamento dei decisori aziendali) e ambientali (competitività del mercato, atteggiamenti dei concorrenti, ruolo della pubblica amministrazione), il modo di affrontare il tema 131 della conciliazione cambia profondamente. Inoltre va considerato che sempre più le aziende delle economie avanzate richiedono un utilizzo “qualitativo” e non solo quantitativo della forza lavoro. In particolare poi nelle PMI l’insieme delle relazioni interpersonali tra personale, dirigenti e proprietari è un fattore di una certa rilevanza. 3. Il sindacato è un altro attore i cui comportamenti, soprattutto a livello aziendale giocano un ruolo importante nell’evolversi del processo di conciliazione. Non va dimenticato che, dal punto di vista sindacale, la tematica della conciliazione viene inserita in un più ampio insieme negoziale, e finisce inevitabilmente per assumere un valore relativo: a seconda del livello di conoscenza del tema da parte dei rappresentanti sindacali, delle possibili soluzioni che vengono considerate da questi, dell’emergere contingente di altri interessi dei lavoratori, la conciliazione finisce per essere sentita e affrontata in modi profondamente diversi. 4. Infine, l’atteggiamento degli enti pubblici (in particolare degli enti locali) nei confronti del tema diventa assolutamente determinante. È probabile che non sempre le azioni intraprese da questi a favore della conciliazione siano ideate come risposta ad esigenze effettivamente rilevate e misurate delle lavoratrici, ma siano a volte frutto di “mode” politiche o dell’influenza di alcuni degli stereotipi sulla conciliazione. La conseguenza dell’interazione delle esigenze, delle motivazioni, degli interessi differenti di questi soggetti produce un quadro altamente variabile e variegato, all’interno del quale la conciliazione assume la forma di un complesso sistema di negoziazione tra interessi della donna-lavoratrice, dell’azienda, del sindacato, della pubblica amministrazione. Diventa allora necessario tenere in considerazione tutte queste forze trainanti per poter tracciare una mappa utile a indirizzare gli attori che 132 si trovano ad esplorare il mutevole e tempestoso mare della conciliazione. Perché l’interesse per la conciliazione Al di là dell’intento di affrontare il tema della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro senza dare nulla per scontato, sarebbe poco utile non prendere le mosse dall’enorme mole di lavoro di ricerca che fino ad oggi è stato condotto L’interesse dimostrato anche da organizzazioni nazionali e sovranazionali, ha portato infatti alla realizzazione di numerose ricerche volte all’individuazione delle condizioni che rendono necessaria la conciliazione, e alla definizione di misure strategiche utili per realizzarla. Queste strategie, che fanno pressoché esclusivo riferimento alla definizione di contratti di lavoro con flessibilità di orario e alla istituzione di servizi di supporto per la famiglia, sono state anche precisate e incoraggiate da disegni di legge (a livello regionale, statale ed europeo); tuttavia la situazione del dipendente che ha necessità di conciliare vita lavorativa e vita familiare (ed in particolare, la condizione delle donne che lavorano) è ancora una situazione di forte svantaggio, e il numero di aziende che realizzano progetti per la conciliazione (specialmente se non opportunamente sovvenzionate da enti pubblici) è ancora esiguo. Le condizioni sociali che rendono oggi più che mai necessaria l’attuazione di politiche per la conciliazione sono state bene sintetizzate da un recente studio (Piazza, 2000 a). In particolare le condizioni contestuali che spingono verso una forte attenzione per il tema da parte dell’opinione pubblica e che lo portano ad un alto livello di priorità nelle agende politiche sono legate, da un lato al mutamento delle condizioni socio economiche, e dall’altro al mutamento del lavoro di cura richiesto alle donne. I principali fattori “sociologici” intervenenti sono: a. il calo delle nascite, che è probabilmente influenzato dalla mancanza di misure valide per il sostegno alla maternità. Il problema in questo caso 133 non risiede nella assenza di disposizioni in materia di tutela della maternità, ma dal fatto che esse, non essendo pensate in quella logica di complessità negoziale prima evidenziata, finiscono per costituire un motivo di segregazione sul lavoro. Quindi finiscono paradossalmente per essere temute dalle stesse donne. b. la crescita delle famiglie monogenitoriali, diretta conseguenza dell’incremento del numero nei divorzi. Ovviamente i genitori che da soli devono farsi carico della cura dei figli sentono ancora più fortemente l’esigenza di disporre più liberamente del tempo. c. il progressivo avanzamento dell’età della popolazione, che porta ad un maggior carico nella cura degli anziani da parte della famiglia. Si sta infatti configurando una ciclicità nel lavoro di cura (Piazza, 2002), per cui una donna intorno ai cinquanta o sessant’anni, esaurita la fase più gravosa nell’accudimento dei figli, si ritrova a doversi occupare degli anziani di casa, il che comporta nuove esigenze di tempo extra-lavorativo. d. il fatto che i figli abbandonano sempre più tardi il nido domestico, e la loro pressoché totale mancanza di autonomia: pur vivendo in casa non portano alcun tipo di contributo alla gestione familiare (Piazza, 2002); tutto ciò comporta per le madri un prolungamento del lavoro di cura anche per diversi anni dopo l’uscita dall’infanzia dei figli. e. la presenza e l’utilizzo di strumenti e macchine sofisticate per l’esecuzione dei lavori domestici, se da un lato accelera i tempi di esecuzione e riduce il carico di energie necessario per sostenere determinati lavori, finisce però anche con il moltiplicare le esigenze e rendere più complessa la gestione globale della cura della casa. f. oggi si richiede molto di più ad una madre in termini di dedizione ai propri figli, sia a livello di educazione (ad esempio, è recente l’esigenza di 134 programmare attività extrascolastiche, come quelle sportive), che di cura vera e propria. g. i padri continuano a non contribuire al lavoro familiare; questo fattore costituisce una caratteristica costante nella organizzazione della nostra società. Molte ricerche si sono occupate di quantificare e spiegare meglio questo fenomeno, osservandolo da diversi punti di vista (psicologico, sociologico, economico, ecc…). Il sociologo Carmine Ventimiglia, ad esempio (1994), tramite una ricerca condotta in Emilia Romagna, ha evidenziato come, in generale, l’uomo non si tiri indietro dal contribuire al ménage domestico con lavori saltuari, ma in realtà non condivida appieno le responsabilità gestionali della casa, che finiscono col ricadere quasi completamente sulla partner. Oltre a queste tendenze sociologiche, che influenzano primariamente il lato “familiare” della conciliazione, va anche considerata una serie di fattori legati all’evoluzione del mondo del lavoro e in particolare al ruolo delle donne nel contesto economico-produttivo: a. si registra un costante aumento del numero delle donne che si rendono disponibili sul mercato del lavoro (le donne occupate sono passate da 7.007.000 nel 1995 a 8.060.000 nel 2001– Fonte: ISTAT). b. le donne raggiungono livelli più elevati di scolarità, il che le porta a mettersi in competizione per rivestire ruoli lavorativi che prima erano di esclusivo dominio maschile. Gli uomini, invece, cominciano a sentire l’esigenza di un riconoscimento del ruolo che rivestono in famiglia, pur non potendo (o non volendo) rinunciare apertamente allo stereotipo familiare in cui il padre si occupa del mantenimento economico, mentre alla madre spettano tutti i compiti di cura. c. l’organizzazione del lavoro è cambiata: come ha messo in luce Marina Piazza (2002) oggi le 135 imprese sono caratterizzate da una forte “avidità temporale”: la richiesta di una grande disponibilità di tempo ai dipendenti che si trovano ad alti livelli, e di una flessibilità frazionata a quelli che occupano livelli più bassi. Questo ha aperto una contrattazione sul tempo che non può più configurarsi ed essere sostenuta come affare privato dei singoli individui, soprattutto delle donne, visto anche che “una contrattazione di questo tipo – tra organizzazioni e individui – coinvolge necessariamente anche tutta la famiglia, induce una contrattazione che si estende all’interno del contesto familiare e tra i suoi stessi componenti, per far fronte, tra turni dell’uno e varchi di disponibilità oraria dell’altro, alle necessità complessive del nucleo, ristretto o allargato che sia” (Piazza, 2002, p. 183) . Tutto ciò è accompagnato da alcune novità, quali la diffusione delle tecnologie informatiche e dei contratti di lavoro “atipici”, che rendono oggi possibili mutamenti nella scansione temporale del lavoro, introducendo forme di flessibilità sia nel tempo che nello spazio. Inoltre, Zucchetti (2002), ha sottolineato la presenza di cambiamenti anche per quanto riguarda l’investimento di risorse psicofisiche richiesto ai soggetti occupati, in particolare per quanto riguarda ansia da variabilità (del luogo, dei tempi, dei contenuti, delle modalità del lavoro), competizione individuale e solitudine. Secondo Zucchetti (2002, p.135) “si tratta di cambiamenti che richiedono a chi lavora un più forte investimento di risorse – professionali, tecniche, ma anche motivazionali, di qualità umane e di equilibrio psichico – e che rimettono in questione l’equilibrio tra le diverse dimensioni della vita personale, e in primo luogo la dinamica familiare”. Tutti questi mutamenti nella società, riscontrati pressoché uniformemente a livello nazionale ed europeo, hanno fatto sì che, a partire dall’inizio degli anni ’90, il concetto 136 di “conciliazione” tra lavoro e famiglia cominciasse ad essere introdotto nei documenti ufficiali dell’Unione Europea, con la predisposizione di direttive e raccomandazioni ai diversi paesi affinché, a livello nazionale, adottassero misure in grado di conciliare le esigenze della vita familiare e lavorativa. L’Italia ha risposto ufficialmente a queste raccomandazioni nel 1997, con la legge n. 285/97, che prevede interventi a livello centrale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza, privilegiando l’ambiente ad esse più confacente, vale a dire la famiglia naturale, adottiva o affidataria. I principi della conciliazione sono stati poi ribaditi nella recente legge 53 del 2002, recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”. La normativa, oltre ad introdurre nuove forme di flessibilità per la donna nella fruizione del periodo di congedo di maternità, prevede l’estensione al padre di diritti precedentemente riconosciuti solo alla donna e il loro ampliamento, favorendo la condivisione delle responsabilità di cura dei figli tra i genitori ed il rapido reinserimento della madre lavoratrice nell’ambiente di lavoro. A livello legislativo, dunque, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro è già stata trattata e definita in maniera approfondita, anche se presenta alcuni vizi di fondo. Effettuare interventi a favore della conciliazione significa infatti andare a influenzare un complesso sistema di relazioni ed interessi, all’interno del quale la donna non è un soggetto isolato o isolabile. Fornire un’opportunità o definire una tutela non implica necessariamente che quella opportunità verrà colta o quella tutela utilizzata. Infatti, nell’effettuare la scelta, la lavoratrice deve tenere in considerazione i rapporti di potere, le relazioni fiduciarie, le variabili economiche. Ad esempio, far valere il diritto sancito dalla norma, a congedi, riduzioni del 137 tempo di lavoro ecc. significa comunque rinunciare a una parte del reddito e può implicare, nel medio-lungo periodo, una riduzione delle possibilità di carriera. Spesso, quindi, il problema della lavoratrice non è semplicemente quello di avere un'arma in più a disposizione nel rapporto con la controparte datoriale, ma piuttosto individuare, negoziare e perseguire un percorso che le consenta di trovare un equilibrio dinamico tra le diverse esigenze. Il problema è quindi pluridimensionale, e per essere affrontato deve chiamare in causa come soggetti attivi anche la famiglia, l’impresa, il sindacato e In particolare va messo in evidenza che la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro non va considerata quasi esclusivamente, come i recenti dispositivi normativi tendono a fare, come misura in favore delle pari opportunità. In primo luogo essa è anche un’esigenza in termini di salute e benessere. Già nel 1986 infatti, nell’ambito della Carta di Ottawa per la promozione della salute, a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), veniva il mutare dei modelli di vita, del lavoro e del tempo libero influisce in modo decisivo sulla salute. Lavoro e tempo libero devono divenire fonti di benessere per tutti. Il modo stesso in cui la società organizza il lavoro deve contribuire a renderla più sana”, sottolineando, in pratica, come l’armonizzazione di tempi di vita e tempi di lavoro costituisca un elemento fondamentale per la salute dell’individuo e della Oltre a queste esigenze etiche, non vanno sottovalutate anche le motivazioni socio-economiche, che portano a considerare la conciliazione come una risorsa vitale, in una prospettiva di medio-lungo periodo, per il benessere economico e sociale. Questo perché lo stress prodotto da divergenti stimoli di ruolo interessa nel tempo non solo l’individuo, ma anche il sistema sociale che lo circonda. Infatti non conciliare comporta necessariamente sacrificare uno dei due “corni del dilemma” (lavoro o 138 famiglia), il che produce conseguenze opposte ma altrettanto sfavorevoli: 1. Se è la dimensione “professionale” ad essere sacrificata, le conseguenze negative si accumulano e finiscono per compromettere la competitività dell’impresa. Infatti l’evoluzione delle economie postindustriali sta determinando una sempre crescente richiesta di personale altamente motivato e qualificato per la gestione di ruoli che, sia per il loro elevato livello di complessità che per l’alta componente di servizio, determinano l’esigenza di operatori motivati, autonomi, bene addestrati, mentre i compiti operativi vengono progressivamente automatizzati o trasferiti in aree geografiche dove il costo del lavoro è più basso. Questo elemento, unito alla maggiore tendenza alla mobilità della forza lavoro determina, per le aziende, la necessità di “fidelizzare” il personale qualificato. Un eccessivo turn over si traduce infatti in un inaccettabile svantaggio competitivo in presenza di alti costi di reclutamento, formazione e socializzazione al job. Le organizzazioni possono sempre meno permettersi di “perdere” delle lavoratrici specializzate e affidabili a causa dello stress da conflitto di ruolo 6 . 2. Quando ad essere trascurata è la dimensione familiare, la prima e più evidente ripercussione negativa è la drastica riduzione del tasso di natalità, con i conseguenti scompensi socio-economici di lungo periodo (basti pensare alla crisi del sistema pensionistico) che numerosi paesi europei, Italia in testa, stanno cominciando a sperimentare. Delineati i motivi che rendono necessaria l’implementazione di misure per la conciliazione, e fornito un quadro riassuntivo dell’interesse istituzionale verso 6 Va sottolineato che il problema riguarda anche gli enti pubblici. In questo caso non è la competitività che rischia di essere compromessa, ma la qualità del servizio reso agli utenti, soprattutto a causa della riduzione di efficienza legata all’aumento dei costi del lavoro e di efficacia dovuta alle frequenti assenze di personale. 139 questa tematica, resta da stabilire quali siano gli strumenti in grado di realizzarla concretamente. In linea generale, le strategie individuate fanno capo alla flessibilizzazione dell’orario di lavoro, alla messa in atto di misure per la tutela della maternità/paternità, all’adeguamento dei ritmi della città alle esigenze dei lavoratori (visto sia come adeguamento nei tempi, che come riscoperta della solidarietà e del “buon vicinato”), alla realizzazione di progetti formativi volti alla divulgazione di una nuova cultura relativa sia all’organizzazione del tempo (utile alla soppressione degli atteggiamenti discriminatori in termini di carriera verso chi non ha un lavoro a tempo pieno o mostra esigenze di flessibilità nell’orario) che ai ruoli maschili e femminili all’interno della famiglia (utile alla realizzazione di una più equa distribuzione dei compiti domestici fra donne e uomini). Queste misure, nate e utilizzate soprattutto nell’ambito delle grandi imprese, possono essere applicate anche in quelle di piccole e medie dimensioni e nelle cooperative. L’elemento centrale da considerare in questo caso non è però la ricerca della soluzione ideale, una sorta di tayloristica one best way per la conciliazione, quanto piuttosto l’individuazione del mix di strumenti che, in considerazione delle esigenze e motivazioni individuali della lavoratrice, dell’insieme di aspettative ed esigenze dei detentori di interesse coinvolti (famiglia, azienda, sindacato, enti pubblici) e del sistema di potere e di scambi da essi generato, può consentire di trovare e mantenere un equilibrio dinamico, fatto di opportunità più che di rinunce. In altri termini non può esistere una soluzione che elimini lo stress da conciliazione: piuttosto va perseguito un insieme di azioni che permettano di gestire i problemi e le richieste contraddittorie, trasformare lo stress da negativo (perché non gestibile) in positivo, fonte di stimolo e crescita. 140 STRUMENTI PER REALIZZARE LA CONCILIAZIONE TRA TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO La concreta realizzazione di strategie in grado di rendere conciliabili i tempi del lavoro con quelli della vita privata si esplica tramite l’utilizzo di strumenti di diversa natura: le modalità flessibili di organizzazione del lavoro; il sistema dei congedi e dei permessi; i servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a disposizione dal territorio; i servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a disposizione dalle aziende; le risorse finanziarie aggiuntive; gli strumenti formativi; la riorganizzazione degli orari dei servizi pubblici. Nei paragrafi successivi si cercherà di fornire una definizione di tutti gli strumenti compresi nelle categorie elencate, dedicando l’attenzione a quelli attualmente in uso sia sul panorama nazionale che, più in generale, su quello europeo, e di delineare un quadro dei problemi e delle opportunità offerti dalla attuazione di ciascuno di essi. Inoltre, per quanto riguarda le modalità di organizzazione flessibile del lavoro ed i sistemi dei congedi e dei permessi, si dedicherà una particolare attenzione anche all’atteggiamento dimostrato verso di essi dai lavoratori e dagli imprenditori; in questo modo si metteranno in luce le difficoltà cui si va incontro nell’attuazione di misure per la conciliazione non solo dal punto di vista dei vincoli/risorse strutturali tipici di ogni azienda, ma anche dal punto di vista dei limiti/opportunità posti dalla cultura e dal clima dell’organizzazione. 1. Le modalità flessibili di organizzazione del lavoro. Le modalità flessibili di organizzazione del lavoro sono generalmente regolate da norme di legge e formalizzate in contratti standard. Sebbene queste forme di organizzazione del lavoro costituiscano una facilitazione notevole per le donne che devono farsi carico non solo degli impegni lavorativi, ma 141 anche di quelli familiari (la cosiddetta “doppia presenza” femminile), sono proprio le donne a temere l’utilizzo di questi strumenti: infatti, poiché “le organizzazioni premiano […] un’elevata, incondizionata disponibilità temporale e una continua presenza in azienda, sia durante la giornata sia nell’intero ciclo di vita” (Barbino et al., 2000, p. 31), la riduzione del tempo dedicato al lavoro rischia di diventare, anziché un’agevolazione del lavoro femminile, una nuova forma di segregazione verticale. Queste forme contrattuali, per non rischiare di portare ad un’ulteriore discriminazione delle donne, dovrebbero essere proposte non come strumenti creati e diretti esclusivamente ai lavoratori di sesso femminile, ma come strumenti legati, più genericamente, “ai cicli di vita, ai bisogni formativi, personali, di assistenza, di ozio ecc..” (Piazza, 1997, p. 52) di tutti i lavoratori. Dunque, la promozione e la diffusione di questi metodi dovrebbero essere abbinate a campagne di informazione e/o di formazione volte a precisarne le finalità e l’utilità, come pure si dovrebbe promuovere la formazione di una diversa cultura sul tempo del lavoro e sulla disponibilità temporale del lavoratore, che non deve più costituire un metro per la valutazione delle sue qualità. Part time È una tipologia di lavoro dipendente a orario ridotto. Può essere organizzato secondo diverse modalità: orizzontale, quando si presta il lavoro tutti i giorni ma con una riduzione nell’orario (ad esempio, 4 ore giornaliere su 5 giorni lavorativi); verticale, quando la prestazione si ha solo alcuni giorni della settimana con orario pieno o ridotto (ad esempio, 8 ore su 3 giorni lavorativi, oppure 6 ore su 4 giorni lavorativi); misto o ciclico, quando l’attività si svolge solo alcune settimane o mesi nell’arco dell’anno, con orario pieno o ridotto (ad esempio, quando il lavoro si distribuisce solamente nei mesi a piena attività turistica). Dal punto di vista legislativo, il part time (o lavoro a tempo parziale) in Italia è stato definito nel d. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, emanato in sostituzione della 142 preesistente normativa (v. art. 5 L. 863 del 1984) e in attuazione della direttiva n. 97/81/CE. Più recentemente sono state apportate alcune correzioni con il d. lgs. 26 febbraio 2001, n. 100: "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61”. Attualmente la legge italiana definisce “rapporto di lavoro a tempo parziale” qualsiasi contratto in cui l’orario di lavoro sia inferiore a quello a tempo pieno, cioè le 40 ore settimanali standard. Le tipologie di lavoro a tempo parziale individuate dal d. lgs. 20 febbraio 2000 n. 61, sono il part time orizzontale, verticale e misto (proprio quest’ultima tipologia non era prevista dalla legislazione italiana fino all’attuazione del decreto). È ammesso che un lavoratore sia impegnato contemporaneamente in più rapporti di lavoro part time con datori di lavoro diversi. Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere stipulato al momento dell’assunzione oppure successivamente, ma deve obbligatoriamente contenere le indicazioni relative alle mansioni svolte e alla distribuzione dell’orario di lavoro. La legge italiana prevede anche che, nel caso in cui il datore di lavoro intenda assumere personale a tempo parziale, debba prima avvisare i dipendenti già in servizio per verificare che non vi sia nessuno interessato a trasformare il suo contratto da tempo pieno a part time, e solo dopo aver svolto questo accertamento (ed eventualmente rifiutato le richieste dei dipendenti con motivazioni valide) possa assumere altro personale secondo questa modalità contrattuale. Con il d. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, sono state inoltre riconosciute legittime le cosiddette clausole flessibili o elastiche, cioè la possibilità di modificare la collocazione temporale della prestazione di lavoro nell’arco del giorno, settimana, mese o anno con le modalità individuate dai contratti collettivi di lavoro. La flessibilità è intesa solo in merito alla “collocazione temporale” della prestazione lavorativa: la durata complessiva della prestazione non è flessibile. L’effettuazione di prestazioni flessibili è subordinata al preventivo consenso scritto da parte del 143 lavoratore e deve essere richiesta con un preavviso di almeno 10 giorni, quando i contratti collettivi non prevedano un preavviso inferiore (in ogni caso non inferiore alle 48 ore). La prestazione flessibile dà luogo a una maggiorazione retributiva secondo le modalità dei contratti collettivi. Il lavoratore può ripristinare la distribuzione rigida dell’orario solo qualora si verifichino: esigenze a carattere familiare; esigenze di tutela della salute; esigenze di attendere ad altra attività lavorativa subordinata o autonoma; altre esigenze individuate dalla contrattazione collettiva. Questo diritto di ripensamento deve essere formulato per iscritto, con un preavviso di almeno 5 mesi. In ogni caso, il rifiuto da parte del lavoratore di svolgere prestazioni flessibili e l’esercizio del diritto di ripensamento non possono costituire un giustificato motivo di licenziamento. Per quanto concerne il “lavoro supplementare”, cioè quel lavoro svolto oltre l’orario concordato fra le parti ed entro il limite del tempo pieno, è previsto che siano i contratti collettivi a definirne l’entità (numero massimo di ore effettuabili nell’arco della giornata e dell’anno, e ipotesi che giustificano la richiesta del datore di lavoro). In ogni caso, l’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato e l’eventuale rifiuto non può costituire un giustificato motivo di licenziamento; il lavoro supplementare deve essere retribuito come lavoro ordinario, a meno che non si superi il limite di ore previste per un lavoro a tempo pieno. Il d.lgs. n. 61 del 2000 ha anche sancito espressamente il principio di non discriminazione del lavoratore part time rispetto al lavoratore a tempo pieno. In particolare, l’art. 4 riconosce al lavoratore part time gli stessi diritti dei lavoratori a tempo pieno comparabili (cioè inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione 144 stabiliti dai contratti collettivi) per quanto riguarda la retribuzione, il periodo di prova, le ferie, la sospensione del rapporto per malattia, infortunio e maternità, la sicurezza del lavoro, la formazione professionale e i diritti sindacali. Dal punto di vista dell’applicazione del part time da parte dei lavoratori nella realtà italiana, una ricerca sulla conciliazione tempi di vita e tempi di lavoro nelle aziende pubbliche e private delle province di Modena, Ferrara e Parma pubblicata su Internet (www.tempidelledonne.it) ha dimostrato come la richiesta di part time provenga sempre dalle lavoratrici interessate (in misura molto ridotta dai lavoratori), e come generalmente avvenga in seguito all’insorgere di esigenze familiari particolari. Inoltre, mentre per le lavoratrici di imprese private la possibilità di part time viene vista come una "concessione" e un onere per l'azienda (tanto che spesso le beneficiarie aumentano notevolmente l'impegno nelle ore lavorate anche con lavori a casa, per cui spesso per l'azienda la concessione non si rivela un problema, anzi diventa una significativa accentuazione dell'impegno professionale della dipendente), nelle aziende pubbliche il part time viene visto come un diritto e spesso viene utilizzato anche dagli uomini, ad esempio per poter compiere attività professionali esterne. Però l’utilizzo del part time può scaturire anche da concrete necessità organizzative delle imprese, che lo utilizzano per soddisfare particolari esigenze produttive, come carichi di lavoro brevi e concentrati in determinati periodi della giornata o della settimana. In questo caso oltre alla semplice riduzione del tempo di lavoro si aggiunge anche una diversa distribuzione di tale tempo. F LESSIBILITÀ IN ENTRATA E USCITA (FLEXI TIME ) Si tratta di una forma di organizzazione del lavoro che prevede la libera facoltà del lavoratore di gestire gli estremi temporali della prestazione, pur essendo vincolato dal dover compiere un determinato numero di ore giornaliere (settimanali o mensili) e, in taluni casi, dal 145 dover essere comunque presente in sede in una determinata fascia oraria. È in genere ammessa anche la flessibilità nella gestione degli orari per la pausa pranzo, con la possibilità di una riduzione del tempo totale di pausa. L’organizzazione flexi time è già stata adottata, con livelli più o meno ampi di autonomia per il lavoratore, in molte aziende e organizzazioni, specialmente per i dipendenti che lavorano a livello impiegatizio, nel terziario e nel settore pubblico. Spesso, soprattutto nelle piccole e medie imprese, questo modello organizzativo non viene formalizzato con una specificazione nel contratto di lavoro, ma gli imprenditori lasciano questa libertà ai loro dipendenti in maniera informale. È stato dimostrato come l’introduzione del flexi time nelle organizzazioni riduca il tasso di assenteismo, i ritardi nell’ingresso al lavoro e il turn over. Inoltre, risulta essere molto gradito dai dipendenti, con la conseguenza di un miglioramento nell’atteggiamento verso il lavoro, nella percezione del proprio lavoro (soprattutto relativamente alla percezione del sovraccarico e dello stress) e nella condotta stessa del lavoratore; tutto ciò si manifesta anche a livello del clima sociale dell’organizzazione, che tende a un miglioramento (Fraccaroli e Sarchielli, 2002). Secondo Marina Piazza (2000 a) le riserve degli imprenditori verso l’applicazione di questo modello di organizzazione del lavoro dipenderebbero dal timore di perdere il controllo totale sui dipendenti. Questo risulta tanto più evidente se si considerano le esperienze di questo tipo all’estero: in una ricerca che poneva a confronto i metodi di conciliazione attuati nella Provincia di Bologna e dell’Oxfordshire (U.K.) è emerso come ci sia una forte differenza nella modalità di organizzazione del lavoro nei due paesi. In particolare, mentre in Italia la registrazione dell’orario di lavoro del dipendente viene tenuta sotto controllo dal rigido metodo della timbratura del “cartellino”, in Gran Bretagna la registrazione dell’orario di lavoro in alcuni casi non viene nemmeno formalizzata, si ritiene che sia un dovere del dipendente e 146 i superiori sono vincolati per legge alla fiducia nei confronti del lavoratore (Manfredi, 2002). Tutto ciò facilita ovviamente l’organizzazione dei dipendenti, che vengono altresì valutati sulla base degli obiettivi raggiunti, e non sulla base di una assidua presenza sul luogo di lavoro. JOB SHARING Detto anche “lavoro ripartito”, “lavoro in coppia” o “lavoro gemellato”, è una forma di lavoro caratterizzata dalla flessibilità organizzativa del tempo di lavoro e dalla condivisione da parte di due o più persone, con pari responsabilità, del medesimo rapporto di lavoro subordinato (che corrisponde ad un posto di lavoro a tempo pieno). In pratica, i lavoratori coinvolti sono legati dalla stessa responsabilità, il che implica che si stabilisca un legame di solidarietà e di fiducia tra i due, che sono liberi di gestire l’organizzazione del loro alternarsi nel tempo. È una formula elaborata negli USA alla fine degli anni sessanta, e ancora non ampiamente diffusa in Italia. La formula del job sharing offre vantaggi sia al lavoratore che all'impresa, poiché mentre permette ai dipendenti di soddisfare esigenze personali e familiari, fa sì che si riducano gli effetti delle assenze e garantisce il mantenimento degli standard di produttività dell’impresa. “In Italia il contratto di job sharing è stato regolato con la circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 7 aprile 1998, n. 43, che fornisce un quadro normativo di base a tutela dei prestatori di lavoro coobbligati e a garanzia delle imprese che, in questo modo, si assicurano la continuità della prestazione lavorativa e una notevole riduzione dei livelli di assenteismo. Il contratto di job sharing richiede la forma scritta, con indicazione della ripartizione, in percentuale, dell’orario di lavoro fra i lavoratori interessati, peraltro modificabile in qualsiasi momento. La retribuzione di ogni lavoratore viene determinata in base alle ore effettivamente prestate. I lavoratori sono tenuti a informare il datore di lavoro, con cadenza almeno 147 settimanale, della distribuzione dell’orario di lavoro. In caso di assenza di uno dei contraenti, il datore di lavoro può pretendere dall’altro l’adempimento dell’intera prestazione, ovvero la contrattazione collettiva può stabilire modalità differenti” (www.minwelfare.gov.it). Tra le obiezioni più comuni dei senior manager rispetto all’applicabilità del job sharing nella propria azienda vi erano: la difficoltà di trovare due persone compatibili, la mancanza di una cultura del job sharing fra i dipendenti, l’incompatibilità di questo metodo di distribuzione del lavoro con le posizioni manageriali; è interessante notare come, nonostante queste opinioni contrarie, i senior manager ammettessero la frequenza (seppur a livello informale) di accordi fra colleghi per la distribuzione del lavoro. I dipendenti delle aziende, invece, ritenevano problematica l’applicazione del job sharing a causa della difficoltà di conciliare le modalità di organizzazione del lavoro di persone diverse. Tutte queste riserve e la mancata diffusione del job sharing nel nostro paese devono però essere confrontate con le esperienze estere di attuazione di questo metodo: nella ricerca già citata di Manfredi (2002), l’analisi di esperienze di job sharing in alcune organizzazioni della Provincia dell’Oxfordshire (U.K.) ha fatto emergere dati interessanti circa le opinioni che se ne sono fatti lavoratori e gestori del personale che si trovano ad utilizzare questa tipologia organizzativa. In particolare, è emerso come da parte dei lavoratori che lo hanno già sperimentato, questo metodo sia ritenuto un ottimo espediente per conciliare vita lavorativa e impegni familiari e non costituisca un problema per chi vi è coinvolto; anche un direttore del personale (attivo in un’azienda del settore privato) ha dichiarato che gli svantaggi dovuti ad una maggiore complessità amministrativa e l’aumento dei costi nella formazione del personale, inevitabili con il job sharing, sono però perfettamente ricompensati da una maggiore produttività (esistono però anche datori di lavoro o direttori del personale che preferiscono offrire contratti part time 148 piuttosto che formule di job sharing e che, in ogni caso, tengono sotto controllo il numero di lavoratori impiegati secondo questa modalità). In alcune aziende dell’Oxfordshire esiste anche un “registro del job sharing” in cui possono iscriversi i lavoratori interessati a sperimentare questa formula, in questo modo è più facile per chi gestisce il personale venire incontro alle esigenze individuali; quanto invece alla difficoltà di conciliare modalità di organizzazione del lavoro dei singoli dipendenti, la ricerca di Manfredi riporta un caso in cui questa possibilità è stata verificata nell’ambito di alcuni colloqui preliminari volti proprio ad accertare la compatibilità delle due future job sharer (l’esperienza è poi stata portata avanti con buon esito). JOB SPLITTING Prevede la suddivisione di un posto di lavoro in due unità lavorative distinte, ciascuna con un proprio ruolo. Si differenzia dal job sharing poiché i lavoratori coinvolti non condividono responsabilità od obiettivi, ma si occupano del lavoro in maniera autonoma. Ciò permette di ridurre la necessità di coordinamento, inoltre ha il vantaggio di rendere possibile una suddivisione del lavoro in modo che si possano raggruppare mansioni che necessitano di abilità particolari. È anche possibile che i tempi di lavoro dei due lavoratori che occupano la stessa posizione si sovrappongano. TELELAVORO O LAVORO A DISTANZA Il telelavoro consiste nella possibilità, da parte del dipendente, di svolgere il lavoro a distanza (principalmente da casa, o in postazioni fuori sede organizzate dalle stesse aziende), mantenendosi in collegamento diretto con la sede (o le sedi) di lavoro tramite l'impiego di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (prevalentemente internet); è l’unico strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro 149 che prevede, oltre alla flessibilità nei tempi, anche l’autonomia nello spazio. Il telelavoro in Italia è disciplinato da un regolamento attuativo, previsto dall’art.4, comma1, della legge 191/1998, e approvato con D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 e dall’accordo quadro nazionale sottoscritto il 23-3-2000. In generale, si ritiene che il telelavoro possa comportare notevoli vantaggi sia per il dipendente, che gode così di una maggiore libertà nel gestire i tempi e gli spazi del proprio lavoro, sia per l’azienda, che in questo modo può ridurre i costi di gestione e garantirsi la produttività. Può essere anche utile quale misura sostitutiva dei congedi di maternità (o paternità), poiché permette al lavoratore di accudire i figli senza abbandonare, nemmeno temporaneamente, il posto di lavoro; tuttavia è stato dimostrato (Sbordone, 2000) come i vantaggi del telelavoro siano massimi quando il dipendente riesce ad organizzare un tempo per il lavoro distinto da quello necessario per gli impegni domestici (cosa che difficilmente si realizza se, ad esempio, una madre deve continuamente interrompersi per venire incontro alle esigenze di un figlio neonato), viceversa, infatti, si creano situazioni confuse in cui il lavoratore non riesce ad essere produttivo né per il proprio lavoro né per sé e la propria famiglia. 150 Benefici e rischi del telelavoro (Oteri e Sbordone, 1996; fonte: Sbordone, 2000, p. 165). BENEFICI AZIENDA risparmio sui costi; aumento della capacità produttiva; applicazione di diverse modalità contrattuali di lavoro. 151 RISCHI timore della perdita del potere di controllo diretto; problemi di rapporto con le organizzazioni sindacali ed i lavoratori; perdita del senso di appartenenza all’azienda e riduzione della motivazione e del rendimento sul lavoro per i lavoratori; costo aggiuntivo rappresentato dalle spese di “riorganizzazione”; formazione per la riqualificazione del personale; minor sicurezza sulla riservatezza dei propri dati. INDIVIDUI riduzione dei costi di mobilità; riduzione dello stress dovuto al tempo di spostamento e al traffico per raggiungere il luogo di lavoro; autoregolazione delle attività lavorative durante l’arco della giornata; possibilità di conciliare al meglio “tempo di vita e tempo di lavoro”; opportunità di impiego per coloro che non possono agevolmente raggiungere il luogo di lavoro; rafforzamento del legame con la comunità con cui si vive. 152 incremento dei rapporti di lavoro di tipo precario e non tutelato; perdita della gestione e pianificazione dei processi lavorativi; aumento della fatica e dello stress; rischi per la salute del lavoratore; riduzione della visibilità per il lavoratore delle strategie aziendali, della sua forza contrattuale e delle possibilità di carriera; perdita delle opportunità di apprendimento “on the job” e di formazione professionale in azienda; crisi degli equilibri della vita familiare (nel caso di telelavoro a domicilio). SOCIETÀ riduzione della mobilità causata da spostamenti per ragioni di lavoro con conseguenti riduzioni della congestione e dell’inquinamento urbano; sviluppo delle aree depresse; opportunità di impiego per gruppi sociali svantaggiati; creazione di nuovi servizi e aumento della loro qualità; riduzione del divario tra le regioni povere e quelle ricche; nuove opportunità in armonia con l’agricoltura ed il turismo. aumento di lavoro precario e del lavoro nero; dispersione della manodopera; diminuzione della partecipazione ad attività sindacali; esclusione di alcune fasce di lavoratori dal dialogo sociale; trasferimento dei lavori ripetitivi e poco qualificati nelle regioni periferiche del mercato mondiale. L’introduzione di forme di lavoro a distanza è utile poiché può modificare l’erronea tendenza a valutare la produttività del lavoratore in base non alla quantità e qualità del lavoro svolto, ma alla continuità della sua presenza fisica all’interno dell’azienda, favorendo invece l’acquisizione di una nuova filosofia di organizzazione e valutazione del lavoro per obiettivi (Presidenza del Consiglio dei Ministri – a cura di, 2000). Uno dei difetti principali del telelavoro consiste, invece, nell’atteggiamento che i lavoratori dimostrano verso questo sistema organizzativo: l’idea di lavorare da casa e non sul luogo di lavoro, anche per periodi di tempo limitati, sembra determinare infatti un forte timore di esclusione sociale. Ricerche sui telelavoratori hanno però dimostrato come questo tipo di vissuto possa scaturire 153 nelle situazioni in cui il telelavoro costituisce un’imposizione sul dipendente, e non il frutto di una sua libera scelta: in questi casi i dipendenti si sentono esclusi dalla “vita dell’organizzazione e dalle sue opportunità di sviluppo di carriera. […] Il coinvolgimento con gli obiettivi organizzativi tende a ridursi e spesso si determina una sindrome da isolamento sociale assai stressante che può manifestarsi con varie forme di burn-out o con conseguenze di eccessivo impegno e carico di lavoro (workaholism) sostenuti per superare una condizione vissuta come frustrante” (Fraccaroli e Sarchielli, 2002, p. 53). Viceversa, quando è il dipendente a scegliere il telelavoro come modalità di conciliazione fra il tempo per il lavoro e quello per sé, oltre ai vantaggi precedentemente esposti, è stato verificato che “il telelavoratore si sente di poter progettare, eseguire e controllare meglio il proprio lavoro rispetto a quando opera nel normale ufficio; ciò determina sentimenti di autonomia e di soddisfazione per la propria attività” (Fraccaroli e Sarchielli, 2002, p. 52). Dal punto di vista pratico è bene sottolineare che il telelavoro non si adatta a tutte le mansioni che si svolgono all’interno di un’azienda: non è infatti applicabile per tutti gli impieghi in cui sia necessario un rapporto diretto con il pubblico, si adatta invece per ruoli caratterizzati da ampia autonomia nella gestione e organizzazione del lavoro; questo è emerso chiaramente nella ricerca già citata di Accornero e colleghi (2001), in cui fra i motivi citati dagli imprenditori quali ragioni per cui il telelavoro non viene utilizzato nella loro impresa vi era, all’86.1%, “la sua inadeguatezza per questo tipo di azienda” (tra le altre risposte possibili, le più frequentemente selezionate erano: “la difficoltà nella gestione organizzativa” e “i costi della strumentazione tecnologica”). È inoltre da ricordare che chi lavora da casa ha diritto a tutte le misure per la sicurezza disposte per i luoghi di lavoro tradizionali, dunque l’ambiente in cui installare il materiale necessario per telelavorare deve essere predisposto e strutturato a norma di legge. 154 LAVORO “TERM TIME ” Si tratta di una pratica non molto solamente in Gran Bretagna; prevede ottenere un congedo non retribuito per delle vacanze scolastiche dei figli (Piazza, diffusa, in uso la possibilità di tutto il periodo 2000 a). BANCA DELLE ORE È una modalità particolare di conteggio delle ore, per cui viene stabilito un monte annuo da raggiungere; il dipendente ha dunque la facoltà di svolgere giornalmente ore di lavoro straordinario che vengono conteggiate sulla busta paga per essere successivamente convertite in riposi parziali o totali. La Banca delle Ore, oltre a fornire ai dipendenti la possibilità di conciliare vita lavorativa e vita privata, permette anche alle aziende che ne fanno uso di sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro coerenti con le necessità produttive: “l’azienda chiede più ore nel momento del bisogno e registra un credito in ore intestato a chi ha erogato la prestazione; questo tempo potrà essere recuperato dalla lavoratrice e dal lavoratore nel momento di suo bisogno, previa richiesta al responsabile di riferimento” (Poli, 2001, p. 59). In Italia è stato possibile introdurre questa modalità di regolazione dell’orario di lavoro con l’art. 13 della L. 196/1997, che prevede espressamente la possibilità di modulare l’orario di lavoro lungo un arco temporale ultrasettimanale non superiore all’anno. LAVORO A TURNI Nonostante il lavoro a turni costituisca da sempre uno strumento di flessibilità dell’orario utile ai fini dell’impresa, può essere utile anche per favorire l’organizzazione familiare di lavoratori con carichi di cura e, in generale, agevola il lavoratore nell’utilizzo di servizi che spesso risultano inaccessibili a chi lavora a tempo pieno, a causa della coincidenza degli orari. 155 Dagli anni Novanta si sta assistendo a un boom del lavoro a turni, che si accompagna anche ad una nuova organizzazione della turnistica: “dai due turni avvicendati di otto ore, tipici dei settori industriali negli anni Sessanta e Settanta, si è via via passati ai tre turni di otto ore (compreso un turno notturno) e anche ai quattro (è noto lo schema 6X6X4 del settore tessile), o ai cinque e più turni richiesti dagli impianti a ciclo continuo” (Piazza et al., 1999). Negli ultimi anni, poi, si stanno diffondendo gli schemi che allungano la settimana lavorativa, prevedendo turni anche il sabato e la domenica. A fronte dei disagi arrecati al lavoratore dall’organizzazione in turni, le aziende in genere offrono maggiorazioni salariali o una diminuzione dell’orario medio settimanale. Il vantaggio maggiore in termini di conciliazione è fornito laddove sia possibile per i dipendenti provvedere ad un’auto-organizzazione dei turni (Manfredi, 2002). Questa modalità di gestione della turnistica necessita ovviamente di una grande responsabilizzazione dei lavoratori e di un cambiamento nella cultura organizzativa dell’impresa, ma può essere estremamente utile per favorire i dipendenti portandoli a più elevati livelli di soddisfazione sul lavoro. Tra i temi discussi a livello legislativo in merito alla organizzazione in turni viene riservata particolare attenzione al lavoro notturno, che può costituire un problema per le donne con carichi di cura. In particolare, la legge (tramite il d.p.r. 532 del 26/11/1999) stabilisce che anche le donne (alle quali precedentemente era vietato) possano svolgere lavoro di notte (dalle 24 alle 6), purché non siano in stato di gravidanza o madri di un bambino di età inferiore a un anno 7 . Sono molte le ricerche che si sono occupate della percezione del lavoro a turni da parte dei lavoratori, 7 In ogni caso, la legge prevede che non possono essere obbligati a prestare lavoro di notte la madre (o in alternativa il padre) di un bambino di età inferiore ai tre anni, un genitore che sia unico affidatario di un figlio al di sotto dei 12 anni o lavoratori che abbiano a carico un soggetto disabile. 156 anche rispetto al tema della conciliazione, giungendo però spesso a conclusioni diverse. Nell’ambito di una ricerca condotta su 51 infermieri di un’azienda ospedaliera di Firenze (e sui 32 loro partners) è risultato come l’organizzazione a turni sia vissuta dai lavoratori come pienamente soddisfacente ed estremamente utile per la gestione della vita familiare (e in particolare, per la cura dei figli); in pratica, si può dire che il lavoro a turni sia risultato effettivamente un’ottima misura per la conciliazione (Spina, 2001). L’utilità del lavoro a turni per la gestione della vita familiare è stata dichiarata anche da un gruppo di dipendenti di aziende dell’Emilia-Romagna; in questo caso, però, questa organizzazione del lavoro è stata descritta come penalizzante e faticosa, probabilmente a causa dello stress psico-fisico comportato dall’alternanza dei turni (Masotti e Ronchi, 1996) 8 . Attualmente, in Italia, sono il part time ed il lavoro a turni gli strumenti di conciliazione più diffusi fra tutti quelli presentati; tuttavia, almeno per quanto riguarda il part time, la nazione detiene uno dei più bassi primati a livello europeo per quanto attiene la sua applicazione rispetto sia alla totalità dei lavoratori, che alle dipendenti di sesso femminile: da un’indagine Eurostat del 2000 è infatti risultato che i fanalini di coda a livello europeo nella media dell’incidenza del part time sull’intera forza lavoro (generale e femminile) sono proprio Italia, Spagna, Grecia e Portogallo (Arrowsmith e Sisson, 2002). Il sistema dei congedi e dei permessi. In Italia esiste, fin dagli anni settanta, una forte tutela legislativa per far sì che le lavoratrici possano conciliare la 8 È probabile che la diversa percezione del lavoro a turni nelle due ricerche sia dovuta o alle caratteristiche peculiari dell’azienda ospedaliera considerata, o alla missione di chi lavora in un ospedale, motivante al punto da non far pesare lo stress lavorativo. In ogni caso è bene valutare l’opportunità di un’organizzazione del lavoro su turni considerando le caratteristiche dell’azienda. 157 maternità con il lavoro remunerato. Questa tutela legislativa è stata ulteriormente rafforzata dall’introduzione della Legge 53/2000 a sostegno della maternità, della paternità, del diritto alla cura dei figli, alla formazione e al coordinamento dei tempi nei contesti cittadini, che propone un approccio nuovo rispetto al passato specialmente per quanto riguarda una serie di disposizioni volte a incoraggiare i padri ad assumere un ruolo più attivo nei confronti dei figli; porta infatti un’innovazione rispetto alla legge precedente 903/77, introducendo l’individualizzazione dei diritti di paternità non solo in alternativa a quelli della madre, ma come diritti e doveri del padre in quanto tale. Inoltre, l’obiettivo principale della legge è l’individuazione di strumenti concreti e flessibili che consentano la conciliazione delle contrapposte esigenze personali e di lavoro, coerentemente con quanto previsto dalle direttive (96/94/Cee, 92/85/Cee) e raccomandazioni (92/241/Cee) dell’Unione europea. Dunque, le misure di sostegno alla maternità (e paternità) che vengono delineate anche dal punto di vista legislativo, e che sono fruibili da parte dei lavoratori a livello europeo, sono: C ONGEDO DI MATERNITÀ (OBBLIGATORIO) A livello europeo c’è una grande differenziazione nella legislazione dei singoli stati in materia di congedo obbligatorio di maternità, anche se vige il principio (ufficializzato da una direttiva della Commissione Europea) che sia per tutte le nazioni di almeno tre mesi. In Italia, la legge 53/20009 permette la decisione individuale su come ripartire - prima e dopo il parto - i 9 I provvedimenti previsti con la legge 53/2000 sono stati poi ribaditi nel decreto del 26 marzo 2001, noto come “Testo unico sulla maternità e relativamente alla fruizione del congedo nel caso di parti gemellari, di malattia del figlio, ecc…). 158 cinque mesi obbligatori di astensione dal lavoro: se fino al 2000 questi dovevano essere suddivisi obbligatoriamente in due precedenti e tre successivi al parto, ora è possibile distribuirli in maniera autonoma. Dal punto di vista remunerativo, è previsto che la madre in congedo di maternità riceva una retribuzione pari almeno all’80% dello stipendio. Il padre lavoratore può assentarsi dal lavoro nei primi 3 mesi dalla nascita del figlio, nel caso di morte o grave infermità della madre, abbandono del figlio da parte della madre o di affidamento esclusivo del bambino al padre. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del congedo di maternità è tenuto a presentare al datore di lavoro una certificazione relativa alle condizioni che gliene attribuiscono il diritto, e gli viene riconosciuto uno stipendio pari all’80%. A questa forte tutela legislativa bisogna però affiancare qualche considerazione circa l’atteggiamento con cui le donne decidono di fruire del congedo di maternità: come nel caso degli strumenti precedentemente elencati (part time, flexi time, ecc..) risulta essersi diffusa l’opinione che giovare di queste misure significhi automaticamente rinunciare ad avanzamenti di carriera, se non essere addirittura sottoposte a trattamenti discriminatori e a comportamenti di esclusione che rientrano perfettamente nel moderno concetto di mobbing. Nell’ambito di una ricerca sulle aziende (grandi e piccole, pubbliche e private) della provincia di Bologna (Manfredi 2002) è emerso come le donne, sia nell’ambiente pubblico che in quello privato e soprattutto se in posizioni elevate (mansioni per cui è richiesta una laurea), temano fortemente le forme di congedo, specialmente se prolungate; è infatti opinione comune che l’allontanamento dal posto di lavoro durante la maternità costituisca la fonte principale di segregazione verticale all’interno delle aziende, a causa del fatto che la lavoratrice assente viene dimenticata, esclusa dai progetti di lavoro futuri (nonostante sia previsto il suo ritorno) e percepita dai superiori come disaffezionata al lavoro. 159 Questo tipo di vissuto rispetto al congedo di maternità è emerso anche nell’ambito di una ricerca sulle lavoratrici delle cooperative sociali della provincia di Forlì (Bassi, 2000): nel sottolineare le peculiarità del clima all’interno di questo tipo di cooperative, che lasciano ampio spazio e non discriminano la dipendente-madre, molte delle lavoratrici mettevano in luce le differenze con il mondo delle imprese lucrative (da loro personalmente vissuto), in cui la maternità finisce col costituire un handicap. Tra l’altro, nell’ambito di questa indagine è emerso che il clima delle cooperative sociali, non ponendo ostacoli alle donne in maternità, fa sì che si stimoli l’attaccamento al lavoro delle dipendenti, che continuano a frequentare il luogo di lavoro anche durante il periodo di congedo e che non temono affatto l’emarginazione al loro rientro. In effetti, come sostengono gli autori della ricerca, l’impresa lucrativa non ha ancora compreso quanto forti siano i vantaggi dell’investire nella qualità della vita della propria forza lavoro, specie se qualificata: fare questo tipo di investimento, infatti, “significa aumentare la qualità dei propri prodotti e/o servizi e quindi, in ultima analisi, accrescere il proprio vantaggio competitivo su un mercato sempre più sensibile alle esigenze e ai desideri dei clienti/consumatori” (Bassi, 2000, p. 135). C ONGEDO DI PATERNITÀ In Italia non è previsto a livello legislativo una forma di congedo destinata unicamente ai padri, però la legge 53/2000, che ha perfezionato i termini previsti per i congedi parentali, ha attribuito anche agli uomini diritti e doveri in termini di cura dei figli. A livello europeo, invece, esistono forme di congedo di paternità in Belgio, in Francia, in Spagna (due/tre giorni, pagati al 100%), in Danimarca (10 giorni, pagati come il congedo di maternità), in Norvegia (due settimane non pagate), in Finlandia (una settimana, pagata come il congedo di maternità) e in Svezia (10 giorni pagati all’80%). 160 C ONGEDO PARENTALE È con la legge 53/2000 1 0 , recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città” che si stabiliscono le regole per fruire dei congedi parentali; la legge infatti prevede, per entrambi i genitori, che: - ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro (nei primi otto anni di vita del figlio), per un periodo complessivo non superiore ai dieci mesi per entrambi i genitori; - nel caso che sia un solo genitore, questi ha il diritto di utilizzare i dieci mesi previsti complessivamente per la coppia; - ciascun genitore può astenersi dal lavoro per cinque giorni l’anno in occasione della malattia del figlio (purché fra i tre e gli otto anni); - nel caso di astensione dal lavoro, il genitore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, e al rientro ha diritto ad essere collocato nella stessa unità operativa occupata in precedenza. - rispetto alla retribuzione nel periodo di astensione facoltativa, entrambi i genitori hanno diritto al 30% della retribuzione per un periodo massimo complessivo di entrambi i genitori di sei mesi fino al terzo anno di vita del bambino; dal terzo all’ottavo anno di vita del figlio, i genitori hanno diritto ad una retribuzione pari al 30% se il reddito individuale è inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. Per quanto riguarda nello specifico la madre: trascorso il periodo di congedo di maternità obbligatorio, ha diritto ad altri sei mesi di astensione (continuativa o frazionata); il periodo di riposo viene raddoppiato se si tratta di parto plurimo (ad esempio, nel caso di 10 v. nota 3. 161 parto gemellare, la madre ha diritto a un periodo di astensione pari alla somma di quello previsto per ciascuno dei figli); Per quanto riguarda nello specifico il padre: ha diritto a sei mesi di astensione dal lavoro (continuativa o frazionata); se si astiene dal lavoro per un periodo non inferiore ai tre mesi, il limite viene elevato a sette mesi così che il limite stabilito per la coppia di dieci mesi aumenta fino ad undici mesi complessivi; ha diritto ad un congedo di tre mesi dalla nascita del figlio se la madre muore, o è gravemente malata, o abbandona il figlio, o se gli viene riconosciuto l’affidamento esclusivo. ha diritto ai periodi di riposo della madre se è l’affidatario esclusivo dei figli, se la madre non se ne avvale o se la madre è una lavoratrice autonoma. Marina Piazza (2000 a) sostiene che si tratti di una buona legge per quanto riguarda la possibilità anche da parte dei padri di provvedere alle esigenze familiari, ma che sia necessario sostenerla con azioni di sensibilizzazione rivolte sia alle aziende che ai dipendenti, perché le opportunità che offre non sono state ancora sfruttate adeguatamente. A giudicare da quanto emerso finora rispetto alla situazione italiana, sembra realistica l’affermazione di un giovane manager intervistato nell’ambito di una ricerca sui lavoratori della provincia di Bologna, secondo cui la legge ha precorso i tempi, fornendo strumenti che non sono ancora utilizzabili a causa dei vincoli culturali della nostra società (Manfredi, 2002). In effetti, “le principali difficoltà dei padri a chiedere ed ottenere i congedi parentali sembrano essere: − La cultura esistente e condivisa per cui l’accudimento del bambino è compito della madre, quindi la presenza di un condizionamento sociale e culturale ancora molto forte, che non solo fa mancare 162 la legittimazione di comportamenti peraltro promossi da una legge dello Stato, ma produce forti effetti di stigmatizzazione negli ambienti di lavoro. − L’ostilità delle aziende a permettere ai dipendenti di usufruire di tali congedi fino a casi di induzione al licenziamento. − La collocazione professionale e il reddito dei coniugi, che vedono ancora prevalere il reddito e lo status del marito su quello della moglie. Da quanto finora affermato, deriva la conseguenza che in presenza di codici sociali e culturali ancora forti che non legittimano la figura del padre «orientato alla famiglia» non esistono in Italia esempi di buone prassi di incentivazione da parte delle aziende in questi casi. Esistono invece casi - reperibili soprattutto nelle organizzazioni pubbliche - non di incentivazione attiva, ma perlomeno di mancanza di penalizzazione” (Piazza, 2000 a, pp. 34 - 35). Probabilmente ciò di cui si necessita oggi in Italia, rispetto al tema dei congedi parentali, non è tanto una politica di tutela dei diritti/doveri dei padri (già ampiamente realizzata a livello legislativo), quanto una forte azione promozionale in grado di diffondere informazioni sulle possibilità che si offrono ai lavoratori con figli e una nuova cultura di non discriminazione. PERMESSI DI ALLATTAMENTO (RIPOSI GIORNALIERI ) La legge 53 prevede che, fino al primo anno di età del bambino, la madre possa godere di due riposi giornalieri completamente retribuiti di un’ora ciascuno per l’allattamento (sia al seno che artificiale) o per la cura del bambino. I riposi possono essere cumulati ma vanno concordati col datore di lavoro per salvaguardare sia le esigenze dell’azienda che quelle del bambino; vengono inoltre ridotti a mezz’ora di tempo ciascuno se sul posto di lavoro esiste una stanza per l’allattamento o un asilo nido. Se l’orario di lavoro è inferiore a sei ore giornaliere si ha invece diritto ad una sola ora di riposo. Nel caso di parto 163 gemellare, è previsto un tempo di permesso pari al doppio di quello previsto per un unico figlio. I permessi possono essere usufruiti dal padre nel caso in cui la madre venga a mancare o sia gravemente malata, nel caso in cui la madre non se ne avvalga o non ne abbia diritto (perché non è lavoratrice dipendente) o ancora se è l’unico affidatario del figlio. C ONGEDO PER RAGIONI FAMILIARI La legge 53 del 2000 aveva introdotto, oltre a tutte le innovazioni già menzionate, anche la possibilità di richiedere per gravi e documentati motivi familiari un congedo non retribuito continuativo o frazionato fino a un massimo di due anni senza copertura previdenziale. Tale provvedimento è stato modificato con la legge finanziaria per il 2001 (388/2000) che prevede la retribuzione completa nei due anni di congedo per l’assistenza a figli disabili gravi da parte della madre o del padre. Inoltre, per le dipendenti con figli disabili entro i primi tre anni di vita del figlio (e oltre il periodo di astensione obbligatorio) esiste la possibilità di fruire di due ore di permesso giornaliero, retribuito e coperto da contributi figurativi oppure di prolungare il periodi di astensione facoltativa. C ONGEDO PER ADOZIONE La legge 53/2000 aveva già parificato le condizioni di genitore naturale, adottivo e affidatario, ma è con il decreto legislativo 151 del 2001 che sono state stabilite le attuali regole per il congedo in caso di adozione o affido. Se il bambino affidato o adottato ha meno di sei anni, è previsto un congedo della madre adottiva/affidataria di tre mesi dal momento in cui entra in famiglia. Qualora la madre rinunci a questo diritto, se ne può avvalere il padre. Sono inoltre previste misure di congedo temporaneo per malattia del figlio adottivo e misure speciali per adozioni dall’estero (ad esempio, è possibile usufruire di un congedo non retribuito per il 164 tempo che si trascorre nel paese d’origine del bambino necessario all’adempimento delle pratiche burocratiche INTERRUZIONE DI CARRIERA CON DIRITTO AL POSTO DOPO IL RIENTRO La legge 53/2000 prevede che sia possibile fruire di periodi di astensione dal lavoro riservandosi, però, il diritto sul proprio posto di lavoro: il lavoratore ha quindi la possibilità (salvo sua rinuncia) di rientrare nella stessa unità produttiva nella quale era impiegato, e di occuparsi delle stesse mansioni svolte in precedenza, o almeno di compiti equivalenti (v. anche sezione dedicata ai congedi parentali). DIRITTO AL PART TIME AL RIENTRO DOPO LA NASCITA DI UN FIGLIO Rientra nell’ambito del diritto a trasformare il proprio contratto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale e viceversa (v. anche sezione dedicata al part time) . I servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a disposizione dal territorio SERVIZI PER I MINORI E ALTRI SERVIZI DI CURA In questa categoria rientrano tutti i molteplici servizi (asili nido, scuole materne, centri anziani, case protette, case di riposo ecc.) che vengono promossi dagli Enti locali per supportare le famiglie nel loro ruolo di cura dei minori e degli anziani. Sebbene (con l’eccezione degli asili nido) non siano creati primariamente ai fini della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, costituiscono una risorsa di primaria importanza. 165 BANCHE DEL TEMPO Si tratta di organizzazioni il cui scopo è promuovere e realizzare il mutuo scambio di tempo fra i cittadini: quando un iscritto ha del tempo a disposizione lo impiega per fornire un servizio richiesto da un altro iscritto, in cambio, qualcuno svolgerà i servizi di cui lui farà richiesta in futuro. Queste organizzazioni sono state chiamate “banche” perché il sistema su cui si fondano è ispirato alle modalità di funzionamento di una vera e propria banca: ciascuno può aprire un conto su cui depositare e ritirare tempo. Il deposito avviene quando si svolgono attività per gli altri (e, in questo caso, verrà addebitato sul proprio conto una quantità di tempo pari a quello utilizzato per attuare il servizio), il ritiro si realizza quando si delegano ad un altro correntista servizi di necessità personale (e, in questo caso, verranno ritirate dal conto personale tante unità di tempo quante quelle utilizzate dall’altro correntista per svolgere la prestazione richiesta). Le banche del tempo sono sistemi di mutuo scambio, dunque ciascuno può ritirare una quantità di tempo pari, né più né meno, a quella versata1 1 . Le prestazioni che si possono scambiare nelle banche del tempo non sono di natura professionale, ma si tratta di semplici servizi, quali: prestare cure o fare compagnia a bambini, anziani e adulti (sia in casa, sia all’esterno), curare e custodire piante e animali, svolgere lavori domestici di varia natura (fare la spesa, stirare, cucinare,…), recarsi presso uffici pubblici per ottenere documenti, realizzare lavori di artigianato o artistici, ecc.. In pratica, tramite le banche del tempo si ristabiliscono quelle regole di buon vicinato che si sono andate progressivamente perdendo. In questo senso le banche del tempo assolvono anche un’importante funzione sociale: quella di creare nuove reti di rapporti e sistemi di aggregazione. 11 Fanno eccezione le banche del tempo create da associazioni o gruppi di pensionati, il cui scopo è unicamente quello di prestare, e non ricevere, servizi. 166 Le banche del tempo possono nascere spontaneamente per iniziativa di gruppi sociali come persone legate da rapporti di amicizia, o appartenenti ad associazioni di volontariato, o ancora organizzazioni di stampo religioso o politico; in altri casi si tratta di iniziative delle strutture amministrative locali (principalmente gli assessorati alle Pari Opportunità dei Comuni) promosse per aiutare chi lavora (in particolar modo le donne). Attualmente in Italia esistono 300 Banche del tempo 1 2 ; di queste, 39 si trovano in Emilia-Romagna, regione che detiene il merito di essere stata la prima in cui siano state istituite banche del tempo in Italia: la prima banca, infatti, è sorta a Parma nel 1991, ad opera di un gruppo di pensionati mossi dall’intenzione di fornire aiuto agli altri, la seconda (che è anche la più nota in Italia, e viene erroneamente ritenuta la prima) è stata progettata ed istituita nel 1995 a Sant’Arcangelo di Romagna (RN) ad opera della Commissione Pari Opportunità del Comune (Giusto, 1997). Banca del Tempo di Ravenna. Nel 1995 l’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Ravenna ha promosso l’istituzione di una banca del tempo. Per la realizzazione di questo progetto sono stati coinvolti gruppi di cittadini, altre Banche del Tempo, e personalità impegnate nella gestione e nello studio delle banche del tempo già presenti sul territorio. Il progetto ha beneficiato inizialmente di fondi pubblici (Bilancio Comunale e della Circoscrizione) che hanno fornito risorse umane, una sede e la strumentazione necessaria, nonché l’attività promozionale; successivamente, con la costituzione della Banca in Associazione, si sono utilizzate anche risorse private e sponsorizzazioni. 12 Censimento delle Banche del tempo aggiornato al 23 settembre 2002, presente sul sito: http://www.cgil.it/cittadinoritrovato/tempomat/BANCHE-ITALIANE.htm 167 per la popolazione della Circoscrizione Prima del comune. I promotori hanno dapprima preso contatti con le banche del tempo esistenti, per poter definire le linee guida del progetto sulla scorta delle esperienze concrete di altre organizzazioni similari. Successivamente, si è promossa la formazione di un gruppo di attori da coinvolgere nella realizzazione del progetto. Per l’impostazione e la prima sperimentazione della banca sono stati impiegati circa sei mesi, ed il 1° marzo del 1997 la Banca è stata inaugurata. Nel dicembre dell’anno successivo la Banca del Tempo si è costituita in Associazione, ed è stata stipulata una convenzione triennale col Comune e la Circoscrizione, volta allo scambio tra le parti: da parte del Comune è previsto un contributo di € 1807,6 (lire 3 milioni 500 mila) e la concessione di spazi nella sede della Circoscrizione Prima, in cambio la Banca del tempo mette a disposizione 200 ore per attività complementari. La convenzione è stata rinnovata nel marzo 2002 (www.racine.ra.it). La prima valutazione del progetto, effettuata in occasione della ricerca “Cittadine in Europa. Buone prassi nelle amministrazioni locali” (Regione Emilia Romagna – a cura di, 2000), ha messo in evidenza come l’efficacia di un progetto di banca del tempo necessiti di tempi lunghi prima di poter fornire risultati diffusi, ad esempio, l’estensione del progetto ad altre Circoscrizioni del Comune. I servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a disposizione dalle aziende Per quanto riguarda le strutture a sostegno del lavoro di cura che possono attivare direttamente le aziende, è possibile individuare i seguenti servizi: § asili nido nei luoghi di lavoro; 168 § nidi famiglia aziendali; § doposcuola; § colonie estive. In Italia non è ancora ben diffusa la pratica di aprire servizi aziendali per l’accudimento dei figli dei dipendenti, i casi realizzati sono sporadici. Questa cultura è comunque maggiormente diffusa nel settore pubblico rispetto a quello privato, che sembra essere piuttosto avaro nell’offerta di servizi ai dipendenti. Proprio per quanto riguarda le aziende private, è più frequente il caso in cui si stabiliscono accordi (prevalentemente con la partecipazione di fondi regionali o comunali) con le strutture già presenti sul territorio. È il caso, ad esempio, del progetto che coinvolge la Zanussi ed il comune di Forlì, che prevede la rimodulazione degli orari di un nido comunale e di un servizio integrato per l’infanzia collocati vicino allo stabilimento aziendale (si tratta di un progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna). Sembra però che da parte del governo ci sia un interesse verso queste strutture di supporto aziendali, infatti recentemente è stato emanato un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Gazzetta Ufficiale n.122, del 27 maggio 2002), volto ad incoraggiare proprio iniziative di questo tipo: il decreto prevede sgravi fiscali per i lavoratori e i datori di lavoro che sostengono spese per la partecipazione alla gestione di micro-asili e nidi nei luoghi di lavoro (le somme spese a tal fine vengono cioè inserite nella denuncia dei redditi). La deducibilità è limitata agli anni 2002, 2003 e 2004 e riguarda i redditi da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e d'impresa, sempre che si tratti di spese di partecipazione ad iniziative gestite dai comuni. Gli importi deducibili non possono superare i 2 mila euro per ogni bambino, indifferentemente dal fatto che siano state versate dai lavoratori o dai datori di lavoro. Le risorse finanziarie aggiuntive Si possono includere in questa categoria le seguenti formule: 169 § risorse aggiuntive per l’assistenza ai bambini; § risorse per il lavoro di cura, § risorse per la cura agli anziani e ai non autosufficienti; § assistenza finanziaria; § vouchers di cura. Si tratta di agevolazioni economiche alle famiglie che derivano da fondi pubblici (erogati in genere da Comuni e ASL) o che vengono offerti spontaneamente delle imprese. Ovviamente il vantaggio in termini di conciliazione è in questo caso indiretto, poiché riconducibile alla possibilità di fruire di servizi assistenziali (pubblici o privati) che “liberano il tempo” 1 3 del lavoratore con carichi di cura. Gli strumenti formativi In questa sezione vengono descritti quei particolari interventi formativi, rivolti ai lavoratori o ai dirigenti d’azienda, che hanno lo scopo di illustrare e promuovere strategie e informazioni utili a creare una nuova organizzazione del tempo, con il fine ultimo di diffondere una nuova cultura sul tempo e sul suo utilizzo nei luoghi di lavoro, indispensabile per realizzare in concreto le pari opportunità fra uomo e donna. In Italia, allo stato attuale, sono metodi ancora poco diffusi. MENTORING (PRESENZA DI UN TUTOR O UN MENTORE ) SULLE CARRIERE Si tratta dell’inserimento di figure interne alle imprese che forniscono un sostegno personalizzato all’avvio della carriera, intesa nel significato più ampio di questo termine. Infatti, il termine carriera non deve essere inteso solo come avanzamento verso la copertura di incarichi sempre più elevati nella scala gerarchica, ma anche come acquisizione di competenze e copertura di ruoli diversi, non necessariamente secondo una direzione 13 Ci si riferisce alla classificazione operata da Marina Piazza. 170 verticale, dall’alto verso il basso 1 4 . In Italia non sono ancora diffuse figure aziendali di questo tipo. Il mentoring ha lo scopo di promuovere lo sviluppo della carriera aiutando il lavoratore a far fronte agli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo. “Il mentoring rappresenta una forma di facilitazione allo sviluppo della carriera professionale completa e complessa, orientata a promuovere il superamento di tutti gli aspetti problematici e i fattori di ostacolo a tale sviluppo: dalla capacità di stabilire dei legami all’interno dell’organizzazione con soggetti «che contano» (networking), alla capacità di rendere visibile il proprio operato e di sapersi presentare; alla conoscenza dell’ambiente e delle dinamiche che si possono sviluppare all’interno dell’organizzazione e che può essere utile controllare per non trovarsi in difficoltà, al più tradizionale apprendimento di tecniche e metodologie messe a punto dall’organizzazione stessa o comunque necessarie allo svolgimento delle attività lavorative. La Commissione Europea individua come elementi chiave del mentoring: • il coaching (il mentor è come l’allenatore, che incoraggia il mentee a sviluppare competenze e attitudini per il futuro); • l'advising (il mentor è come un confidente che aiuta il mentee a risolvere i problemi e a prendere le decisioni importanti mettendosi dalla sua parte); • l'assisting (il mentor spiana la strada al mentee, in ogni senso: dall’aiutarlo a trovare un semplice numero di 14 Le possibili definizioni del termine carriera fanno in genere capo a quattro macro tipologie: 1. carriera come avanzamento. 2. carriera come professione: cioè i passaggi di status regolamentati 3. carriera come sequenza di lavori che vengono svolti durante la vita di una persona: cioè il suo curriculum. 4. carriera come sequenza di ruoli legati all’esperienza: cioè il modo in cui la persona ha esperito i lavori, le attività, i ruoli che ha ricoperto nella sua vita lavorativa. (Majer e Garavaglia, 1994). 171 telefono al presentarlo a persone importanti nel campo professionale in cui si sta inserendo); • il networking (il mentor facilita il mentee nel lavoro di creazione di una rete di contatti anche al di fuori del contesto professionale)” (Gruppo Cerfe – Laboratorio – ASDO, 2000 b, p. 41). Una relazione di mentoring si qualifica dunque come una relazione di aiuto in cui il mentor è estraneo alla linea gerarchica del mentee, il suo intervento si colloca in corrispondenza di significative transizioni nella vita professionale del mentee e la finalità della relazione è lo sviluppo sistematico del mentee, inteso anche come acquisizione di competenze, conoscenze e di un modo di pensare compatibile con la cultura dell’organizzazione. Nell’ambito degli interventi volti alla conciliazione, la presenza di un mentor potrebbe svolgere il ruolo strategico di aiutare le dipendenti a far fronte a tutti quei fattori che le ostacolano nell’avanzamento di carriera. PRESENZA DI UN COORDINATORE “WORK-FAMILY” O “WORKLIFE ” Si tratta di figure di mediazione tra i bisogni di flessibilizzazione dei dipendenti che hanno responsabilità in famiglia e le necessità dell’impresa. Si tratta di uno strumento molto innovativo, sperimentato negli USA e attualmente ancora poco diffuso nella realtà europea. Negli Stati Uniti i casi più pubblicizzati della presenza di coordinatori work-family riguardano le Università (fra le altre, la University of Texas-Houston); in questi ambiti il servizio fornito dal coordinatore work-family si rivolge soprattutto ai lavoratori e agli studenti delle Università, con lo scopo di informarli sulle politiche di conciliazione della struttura, inoltre svolge un ruolo di interfaccia tra la struttura e le istituzioni locali, mantenendosi aggiornato sulle possibilità che vengono offerte al lavoratore con carichi di cura dal contesto locale. Alcuni studi sulle conseguenze della presenza di un coordinatore workfamily nelle organizzazioni hanno dimostrato come 172 determini effetti positivi sul morale, la produttività, il reclutamento e il turnover (www.uth.tmc.edu). F ORMAZIONE AL RIENTRO DALLA MATERNITÀ Le imprese possono offrire alle dipendenti che rientrano dalla maternità corsi di formazione utili a mantenersi aggiornate sulle novità del lavoro. Prevista dalla L.53/2000, si sta cominciando a sperimentarla anche nell’ambito di alcuni contratti aziendali. Si tratta di interventi che si basano sul reciproco interesse di azienda e lavoratrice: l’impresa può rendere pienamente operativo il personale aggiornandolo tempestivamente sulle innovazioni intervenute durante la sua assenza, mentre la dipendente riesce a non essere esclusa dalla vita aziendale. F ORMAZIONE ALLA GENITORIALITÀ É, questa, un’offerta formativa che proviene quasi esclusivamente dalle strutture pubbliche, ed in particolare dai “centri per le famiglie”: centri le cui attività si rivolgono sia ai bambini che ai genitori, che si pongono come finalità sia il sostegno nella cura dei figli, che la promozione di interventi formativi. Nell’ambito di questi interventi formativi è opportuno sottolineare l’importanza degli interventi mirati alla incentivazione della condivisione di responsabilità tra uomo e donna. A tale riguardo, insieme ad attività di sensibilizzazione delle donne stesse, vanno previsti interventi diretti agli uomini, quali campagne educative su larga scala o incontri sul luogo di lavoro delle partner. Un altro importante ambito ove far maturare una nuova consapevolezza e sperimentare nuove pratiche in questa direzione è quello dei servizi di accoglienza per i bambini (asili nido e altre forme di servizio per l'infanzia). In questo ambito, una ricerca svolta dal Gruppo Cerfe in 7 paesi europei (compresa l'Italia), ha messo in luce l'esistenza di una serie di pratiche in cui i padri vengono attivamente coinvolti all'interno di tali servizi (accompagnamento, 173 animazione, cura, ecc.) . Si tratta di esperienze che devono essere oggetto di specifiche attività di informazione e diffusione (Gruppo Cerfe – Laboratorio – ASDO, 2000 b). Strumenti che creano sinergie fra tempi del lavoro e tempi della città. La conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro non si realizza soltanto tramite forme di flessibilità o contratti particolari, infatti al di là dei ritmi e dei tempi del lavoro, spesso sono anche i cosiddetti “tempi della città” a contribuire alla difficoltà di gestire vita privata e vita lavorativa. In una ricerca sulle dipendenti di 13 cooperative sociali di Forlì (Bassi, 2000) è emerso come l’orario di disponibilità dei servizi (fra cui: trasporti, negozi, super ed ipermercati, uffici pubblici, servizi per la formazione, attività extrascolastiche) sia vissuto dalle donne che lavorano come uno dei più importanti fattori da migliorare per far sì che sia realizzabile una conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro. Risultati simili si erano già rinvenuti in una ricerca del Coordinamento Femminile CISL dell’Emilia Romagna (Casotti e Ronchi, 1996) su di un campione di 439 dipendenti (di cui il 43.7% uomini e 56.3% donne) di aziende pubbliche e private nelle province di Modena, Bologna, Ravenna, Ferrara e Forlì. Proprio per venire incontro alle esigenze di chi deve conciliare lavoro e vita familiare si stanno realizzando a livello locale iniziative volte ad adeguare i ritmi della città a quelli di chi lavora. Queste iniziative sono state espressamente richieste dallo Stato tramite la legge 53/2000, i cui punti principali riguardano: La chiamata in causa delle regioni nel compito di coordinamento degli interventi e nella gestione delle partecipazioni finanziarie. La promulgazione di piani territoriali in materia di orari, approvati a livello comunale e finalizzati 174 all’armonizzazione e i sistemi degli orari e dei servizi urbani. La messa in campo di “banche del tempo” per favorire lo scambio di servizi tipico del buon vicinato e per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali. La concertazione locale nel quadro di un tavolo trilaterale a cui partecipino, fra gli altri, rappresentanti delle istituzioni scolastiche, e delle società dei trasporti. Allo stato attuale la partecipazione dei comuni alle attività proposte dalla legge non è ancora uniformemente diffusa: in alcuni casi esistevano già piani locali prima della promulgazione della legge, in altri ancora oggi non si è arrivati a promuovere iniziative per la flessibilizzazione degli orari della città. È comunque bene sottolineare come le iniziative esterne al mondo delle imprese non sempre nascano per volere delle istituzioni locali: spesso sono anche i cittadini che, autonomamente, organizzano attività di sostegno per i lavoratori (è il caso di talune banche del tempo). FAMILY DAY CARE HOMES (NIDI FAMIGLIA) Le Family day care homes (nidi famiglia) sono servizi organizzati presso il domicilio di una famiglia che, previa autorizzazione, fornisce cura e assistenza a un piccolo gruppo di bambini (da 0 a 3 anni) dietro compenso erogato dalle famiglie che ne usufruiscono. In taluni casi, questi servizi beneficiano di fondi comunali e, comunque, si costituiscono come attività senza fini di lucro. Sono servizi innovativi che si affiancano e si integrano con gli altri interventi per la famiglia (sostegno economico, flessibilità negli orari di lavoro, ecc…). Il significato di queste esperienze è particolarmente importante, perché evidenziano la possibilità di un incontro tra interventi macro di politica degli orari a livello urbano, come i Piani degli Orari comunali, e interventi micro, cioè capaci di affrontare il problema al livello più concreto: quello del vissuto quotidiano delle persone. La famiglia, soprattutto se gravata da carichi familiari di minori e di anziani, ha 175 bisogno anche di risposte a piccoli bisogni quotidiani, ad imprevisti ed emergenze rispetto alle quali forme di intervento micro (reti di vicinato e volontariato, più o meno associato) possono rispondere meglio di interventi a livello istituzionale, poiché sono in grado di agire in modo immediato e calibrato sulle esigenze del caso (Zucchetti, 2002). ADEGUAMENTO DEGLI ORARI DEI SERVIZI ALLE NECESSITÀ DEI LAVORATORI. Molte amministrazioni pubbliche (in particolare i Comuni) stanno sperimentando o mettendo in atto politiche volte all’adeguamento degli orari dei servizi alle esigenze di chi lavora, come pure alla de-sincronizzazione nell’espletamento di tali servizi. Queste politiche costituiscono la risposta alla legge 53/2000 (che richiede espressamente questo tipo di facilitazioni per i lavoratori), e al bisogno diffuso di usufruire di particolari servizi negli orari che precedono e seguono quelli classici del lavoro a tempo pieno, e vengono in genere inserite nella elaborazione del “Piano Regolatore degli Orari” cittadino. I servizi maggiormente interessati sono: Ä Trasporti. Specialmente nei piccoli centri, dove il trasporto pubblico è meno presente e attivo che nelle grandi città, vi è l’esigenza di disporre di un maggior numero di servizi (specialmente nelle ore di punta). Inoltre, è sentita quasi ovunque la necessità di una maggiore disponibilità di parcheggi per gli autoveicoli. Ä Servizi scolastici. Si stanno mettendo in atto molti provvedimenti volti ad anticipare al mattino e a prolungare fino al pomeriggio inoltrato l’erogazione dei servizi, in modo da permettere al genitore che lavora a tempo pieno di continuare nell’attività lavorativa. I principali mezzi con cui si realizzano questi progetti sono: o Creazione di servizi di accoglimento pre e post scuola, gestiti direttamente dagli istituti 176 scolastici o da associazioni e cooperative, durante i quali i bambini svolgono attività didattiche, ricreative o sportive. o Prolungamento dell’orario degli asili nido e scuole materne fino alle ore 18. Ä Servizi per gli anziani. Servizi di assistenza attivati in favore degli anziani, come centri di accoglimento diurni, ecc… Ä Uffici pubblici. Inserimento dell’orario prolungato per gli uffici, apertura fino alle ore 18 per almeno un giorno alla settimana. Anche la possibilità di ottenere informazioni e consegnare documenti attraverso le reti telematiche può favorire i lavoratori dipendenti. Ä Attività commerciali. Incentivi al prolungamento dell’orario con apertura durante la pausa pranzo, apertura nei giorni festivi. 177 Gli strumenti: una valutazione d’insieme È possibile effettuare diversi tipi di catalogazione di questi diversi strumenti, come ad esempio ha fatto Marina Piazza (2000 a), distinguendoli in: strumenti che riducono o articolano diversamente i tempi di lavoro; a) strumenti che liberano tempo; b) strumenti che formano una diversa cultura sul tempo. Ai nostri fini è però più interessante proporre una loro sintetica comparazione, mirata a metterne in evidenza costi e vantaggi per i principali soggetti coinvolti, e a delinearne quelle che sono – a livello teorico – le condizioni che ne favoriscono un impiego ottimale. La tabella seguente ha questo obiettivo: Strumento Vantaggi (costi) azienda Utilizzo ottimale forza lavoro part time / per punte term time domanda (aumento costo del lavoro) Più motivazione flexi time personale (riduzione controllo) aumento produttività e orientament o del personale job sharing all’obiettivo (complessità amministrati va) Vantaggi (costi) lavoratrice più tempo a disposizione (diminuzione entrate) Costi sociali ed economici diminuzione dei consumi della famiglia Condizioni ottimali interesse reciproco (esigenza organizzativ a) flessibilità nessuno nell’uso del tempo fiducia reciproca flessibilità nessuno nell’uso del tempo e più tempo a disposizione (gestione della relazione e dei potenziali conflitti con il/la collega) 178 fiducia / professionali tà dipendenti Strumento job splitting tele lavoro banca ore turni Vantaggi (costi) azienda Mantenimen to della copertura del ruolo (ridondanza di ruoli o riduzione integrazione ) produttività (costi tecnologici e riduzione controllo) flessibilità e motivazione del personale (potenziale conflitto in caso di esigenze di flessibilità incompatibili ) possibilità di ottimizzare l’utilizzo delle attrezzature / di fornire servizi al cliente in un ampio arco temporale Vantaggi (costi) lavoratrice tempo Costi sociali Condizioni ed ottimali economici nessuno Grandi dimensioni dell’azienda con più soggetti che ricoprono lo stesso ruolo flessibilità nell’uso del tempo (isolamento) rischio Servizio/fun riduzione zione tutele per i produttiva lavoratori compatibile flessibilità nessuno nell’uso del tempo (potenziale conflitto in caso di esigenze di flessibilità incompatibili ) possibilità di conciliare lavoro e ritmi di vita “atipici” (conflitti tra esigenze azienda ed esigenze lavoratore) (aumento congedi e più tempo a costo del permessi disposizione lavoro) servizi degli EE.LL disponibilità della dipendente riduzione del carico di cura (costo economico) 179 rischi di usura psicofisica dei lavoratori costretti a turni penalizzanti (aumento malattie e infortuni) fiducia reciproca e limitata pressione del mercato capacità dell’azienda di comtemplar e le esigenze specifiche del lavoratore nell’organizz azione dei turni flessibilità produttiva e nessuno fair play delle dipendenti disponibilità costo per risorse da l’organizzazi parte one dell’Ente; Strumento Vantaggi (costi) azienda Vantaggi (costi) lavoratrice motivazione e disponibilità riduzione del della Servizi dipendente carico di aziendali (costo per la cura organizzazio ne e gestione) riduzione del disponibilità carico di Risorse della cura grazie aggiuntive dipendente all’acquisto servizi Utilizzo ottimale conoscenze mentoring delle e supporto / potenzialità psicologico coordinato delle risorse per gestire i re work- umane molteplici family (costi di ruoli realizzazione ) formazione al rientro possibilità di immediato reimpiego del dipendente (costo per la formazione) formazione genitori disponibilità della dipendente Nidi famiglia disponibilità della dipendente adeguame nto orari disponibilità della Costi sociali Condizioni ed ottimali economici corretta programmaz ione nessuno cultura aziendale compatibile e disponibilità di risorse da parte dell’azienda costo disponibilità finanziament fondi i nessuno cultura aziendale compatibile e disponibilità di risorse da parte dell’azienda possibilità di un reinseriment nessuno o più facile sul lavoro cultura aziendale compatibile e disponibilità di risorse da parte dell’azienda conoscenze e supporto psicologico per gestire i molteplici ruoli riduzione del carico di cura (costo economico) flessibilità nell’uso del 180 interesse dei costo per genitori e l’organizzazi disponibilità one del servizio fondi per disponibilità supportare del servizio l’avvio problemi disponibilità organizzativi risorse da Strumento Vantaggi (costi) azienda dipendente Vantaggi (costi) lavoratrice tempo 181 Costi sociali ed economici ed esigenze di conciliazione dei propri dipendenti Condizioni ottimali parte dell’Ente; corretta programmaz ione LA CONCILIAZIONE: TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO NELLE PMI E NELLE COOPERATIVE DELL’EMILIA ROMAGNA L’esigenza di interventi per la conciliazione in Emilia-Romagna Prima di verificare lo stato dell’applicazione delle misure di conciliazione nelle piccole e medie imprese dell’Emilia Romagna, sembra opportuno delineare un breve quadro della situazione della società emiliano-romagnola, volto ad individuare quanto sia forte l’esigenza di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro. A tale scopo è possibile segnalare i seguenti fattori: a. Bassa natalità e mortalità: a livello europeo, oltre che nazionale, l’Emilia Romagna è tra le regioni a più bassa natalità (già dagli anni sessanta) e a più bassa mortalità (già agli inizi degli anni novanta il tasso era di 11 decessi ogni 1000 abitanti). Il modello di fecondità dell’Emilia Romagna può essere descritto come caratterizzato dalla scomparsa di figli di ordine superiore al secondo, da un’elevata percentuale di donne senza figli e dall’affermazione del modello familiare con un unico figlio. Attualmente, le coppie senza figli, che nel 1951 erano il 10%, sono duplicate. È ipotizzabile che la ragione di questo fenomeno sia “la persistenza di modelli culturali e assetti sociali tradizionali nel più circoscritto ambito familiare (ad esempio il tipo di divisione dei ruoli e dei carichi lavorativi tra coniugi)” (Barbagli et al., 2001, p. 22). b. Crescita delle famiglie monogenitoriali: l’aumento dei divorzi e delle separazioni ha portato nella regione ad un notevole aumento delle famiglie composte da un solo genitore (generalmente la madre). È stato stimato che, su 100 famiglie, in Italia 11 sono monogenitoriali e la quota si eleva a 13 nel caso dell’Emilia-Romagna. 182 c. Innalzamento dell’età del matrimonio e crescita del numero dei singles (celibi e nubili): fenomeno che si accompagna al prolungamento della permanenza dei figli nella famiglia di origine. d. Carico totale del lavoro domestico sulle donne: gli ultimi dati regionali sulla divisione del lavoro domestico (risalenti al 1997) mostrano come siano le donne a farsi carico degli impegni domestici con una media di 35 ore settimanali di lavoro casalingo (mentre gli uomini hanno una media di 6.9 ore di lavoro domestico settimanale), il che, pur confrontato con una media superiore di ore di lavoro extradomestico per gli uomini, le porta a lavorare mediamente 16.7 ore settimanali in più rispetto al coniuge/convivente. Ciò significa che, come nel resto d’Italia, nelle famiglie emiliano-romagnole è la donna a farsi carico del lavoro domestico; in pratica, “sono ancora le donne, più degli uomini, a dover gestire le interferenze e il potenziale conflitto tra le due forme di lavoro, retribuito e domestico: con la conseguenza che la partecipazione della moglie al mercato del lavoro può contribuire a fare aumentare il tempo libero del marito, ma non necessariamente la presenza di questi nella vita familiare e soprattutto nel lavoro che questa richiede” (Barbagli et al., 2001, p. 37). e. Elevata percentuale di donne che lavorano: il tasso di attività femminile in Emilia-Romagna è il più alto del paese (38.2% contro il 29.9% della media italiana) e, contemporaneamente, il tasso regionale di individui la cui fonte di reddito è rappresentata dal mantenimento da parte dei familiari è il più basso a livello nazionale. Le donne emiliano-romagnole che lavorano sono, per il 40.6%, sposate o conviventi more uxorio, contro una percentuale italiana di donne sposate/conviventi occupate del 29.4%. Questo dato è in stretta relazione sia con il basso livello di 183 natalità, che con l’elevato tasso di separazioni/matrimoni della regione. Inoltre, lavorano sia donne appartenenti alla classe media (commercianti, impiegati, quadri) che donne appartenenti a famiglie operaie; in particolare, in Emilia-Romagna si registra un tasso molto elevato di donne occupate nella classe operaia: 68%, contro la media nazionale del 40%. Questo fattore è molto importante se si considera che proprio in queste famiglie con la minore disponibilità di reddito si concentrano maggiormente le problematiche femminili legate alla “doppia f. Qualità della vita e accessibilità dei servizi di buon livello: rispetto alla media nazionale, sembra che i cittadini dell’Emilia-Romagna godano di una buona qualità della vita e possano fare affidamento su servizi accessibili e pronti alle loro esigenze. A questo livello, le principali carenze sono sentite rispetto alla disponibilità di parcheggi. Tutti i fattori segnalati, come si può facilmente notare, sono gli stessi individuati nell’introduzione di questo lavoro come fattori che rendono necessaria l’implementazione di misure per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; dunque è possibile sostenere che i lavoratori, e in particolar modo le donne che lavorano, dell’Emilia Romagna necessitano di misure di questo tipo. A giudicare dai dati disponibili però, sembra che l’organizzazione delle strutture territoriali sia già di buon livello (la qualità della vita e l’accessibilità dei servizi sono percepite come positive), dunque probabilmente è l’area relativa all’organizzazione del lavoro nelle imprese a richiedere il maggiore investimento di sforzi ed energie per giungere alla realizzazione di una conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. Questi dati vanno nella stessa direzione dell’esito di una precedente ricerca su 439 lavoratori dell’Emilia-Romagna (Casotti e Ronchi, 1996): rispetto agli interventi possibili per il miglioramento della qualità della vita, il 33.5% degli 184 intervistati dichiarava l’esigenza di intervenire sull’orario di lavoro, il 28.5% sull’orario dei servizi, il 20% su entrambi (vi era poi un 15% di lavoratori che non ritenevano necessario alcun intervento). La conciliazione nelle piccole e medie imprese Le misure di conciliazione descritte nel primo capitolo sono state, fin dalla nascita, strumenti tipici delle grandi imprese, che vi hanno fatto ricorso per diversi motivi (Piazza, 2000 b): a. l’esigenza di trattenere i lavoratori più competenti, offrendo loro dei vantaggi non solo monetari, ma anche in termini di qualità della vita; b. l’intento di promuovere un’immagine della propria impresa come “avanzata”, che si occupa del benessere dei dipendenti; c. la volontà di seguire l’impulso proveniente dagli U.S.A. a praticare il diversity management. Ovviamente, questi fattori che possono spingere una grande impresa a realizzare misure per la conciliazione possono non avere un peso così forte per un’organizzazione (imprenditoriale o di tipo cooperativo) di piccola o media grandezza. Inoltre, come sottolinea Betty Leone (2000), specialmente nelle imprese più piccole, in cui manca la rappresentanza sindacale a fare da portavoce delle esigenze dei dipendenti, la probabilità che si realizzino spontaneamente misure per la conciliazione sono piuttosto basse. Un ulteriore fattore di difficoltà è poi rappresentato dal fatto che i dipendenti di imprese di piccole e medie dimensioni hanno minor possibilità di sostituirsi fra loro nelle diverse mansioni, specialmente laddove la produzione sia di tipo specialistico anziché in serie (Sezzi, 2000). Per quanto poi concerne specificatamente le piccole imprese, è bene ricordare come costituiscano elementi di difficoltà per l’implementazione di misure di conciliazione (Merelli et al. – a cura di, 2000): a. il fatto che l’organizzazione della produzione sia di tipo just in time, il che rende l’organizzazione schiava del mercato. 185 b. il fatto che spesso gli orari siano lunghi, rendendo difficile la conciliazione con i tempi di vita. Elementi favorevoli e sfavorevoli alla conciliazione nelle piccole imprese (meno di 50 dipendenti). Fonte: Merelli et al., 2000 p. 26 ELEMENTI FAVOREVOLI ELEMENTI SFAVOREVOLI Ä Maggiore efficienza e Ä Minor controllo competitività. sindacale e collettivo dei Ä Maggiore lavoratori. partecipazione e Ä Maggior peso delle coinvolgimento dei decisioni dell’imprenditore dipendenti. (anche in caso di Ä Opportunità di licenziamento). un’organizzazione più Ä Minor formazione flessibile del lavoro. formalizzata. Ä Adattamento rapido Ä Minori investimenti in alle esigenze del mercato. nuove tecnologie e meno Ä Relazioni più strategie d’impresa. personalizzate all’interno Ä Rischio di scomparire dell’impresa. sul mercato a causa della Ä Partecipazione ai globalizzazione. valori, confiance. Ä Maggiore dipendenza Ä Formazione sul campo, dal mercato. grazie all’osservazione del personale esperto, che lavora da più tempo all’interno dell’impresa. Ä Orari più flessibili e possibilità di accordo in funzione delle esigenze personali. Ä Ambiente informale, meno burocrazia e controllo. Tuttavia, come sottolinea Marina Piazza (2000 b), si possono individuare anche alcuni fattori tipici delle piccole e medie imprese che possono giocare a favore dell’implementazione di strategie per la conciliazione: 186 1. Le piccole imprese/cooperative riescono a mettersi in rapporto con le politiche territoriali più facilmente delle grandi organizzazioni. Questo fattore (dimostrato nell’ambito di numerose esperienze sul campo) costituisce una grande facilitazione per la realizzazione delle misure di conciliazione: infatti, come sottolinea anche Azio Sezzi (2000), le iniziative interne alle aziende devono necessariamente accompagnarsi ad iniziative territoriali, altrimenti si rischia che la flessibilità degli orari di lavoro si scontri con una rigidità nelle strutture territoriali, con la conclusione di una totale perdita di efficacia delle misure di conciliazione aziendali. 2. Le piccole e medie imprese/cooperative riescono a gestire in maniera più agile e informale le esigenze dei dipendenti, così come i diritti individuali. Al contrario, nelle grandi imprese vi è una maggiore burocratizzazione che rende più tortuoso il passaggio dalle esigenze del lavoratore all’applicazione di misure per la conciliazione. A tal proposito, però, è bene considerare anche l’osservazione di Azio Sezzi (2000), secondo cui nelle piccole e medie imprese si assiste ad un fenomeno per cui, se da un lato i rapporti con i dipendenti sono più diretti e si possono condividere più facilmente gli obiettivi, dall’altro però i piccoli numeri determinano una maggiore complessità nella gestione del personale: “in termini di impatto sull’organizzazione, le esigenze di due persone su venti hanno molta più risonanza di quelle di due persone su duecento” (Sezzi, 2000, p. 99). Dunque, Sezzi sottolinea l’esigenza di stabilire un clima di collaborazione e cooperazione non solamente fra il dipendente e l’impresa, ma anche tra i dipendenti; la collaborazione fra i lavoratori è infatti indispensabile per creare un’atmosfera elastica e costruttiva basata sul giusto equilibrio fra 187 responsabilità, disponibilità e conoscenza dei propri e altrui diritti, un’atmosfera, questa, indispensabile per introdurre misure di flessibilità senza ripercussioni sull’organizzazione. Oltre a questi fattori di facilitazione tipici dell’organizzazione delle PMI, è anche bene ricordare come la legge 53/2000 abbia previsto (oltre alla flessibilizzazione degli orari cittadini che, come precedentemente ricordato, è un fattore indispensabile) la disposizione di incentivi economici per le aziende che dispongano interventi per la conciliazione. Di questi incentivi, la metà è diretta ad imprese con meno di 50 dipendenti che realizzino azioni positive di flessibilità degli orari e organizzazione del lavoro (come: banca delle ore, tempo parziale reversibile, telelavoro, ecc..). In particolare, per esempio, è previsto uno sgravio pari al 50% dei costi per l’assunzione temporanea del sostituto di un dipendente in congedo per ragioni familiari, nelle imprese con meno di 20 salariati. Alcuni esempi di applicazione di strumenti per la conciliazione nelle PMI e nelle cooperative dell’Emilia Romagna Prima di illustrare alcuni dei progetti realizzati nell’ambito delle piccole e medie imprese/cooperative dell’EmiliaRomagna, è bene premettere una breve riflessione sulla visibilità di questi progetti: in linea generica, tramite una ricerca mirata su Internet 1 5 , non è possibile incontrare con facilità documenti relativi agli esiti di esperienze di conciliazione in questo ambiente. Mentre è possibile trovare pubblicazioni e documenti relativi a ricerche sostenute dagli enti locali (nazionali ed europei), dagli 15 Si riportano alcuni esempi dei criteri di ricerca utilizzati (la ricerca è stata effettuata anche in lingua inglese e francese): PMI + donne + lavoro + conciliazione; conciliazione + tempo + vita + famiglia; conciliazione + donne + pari opportunità; conciliazione + donne + carriera; conciliazione + tempo + famiglia + donne; conciliazione + lavoro + famiglia + donne; imprese + emilia + romagna + conciliazione; ecc…. 188 istituti di statistica e dai sindacati sulle necessità di conciliazione e sulle esperienze già realizzate (che, però, sono legati al mondo delle grandi imprese o della pubblica amministrazione), è da evidenziare come, evidentemente, le PMI e le cooperative che si impegnano in campagne per la conciliazione non pubblicizzino ampiamente queste loro iniziative. LA CONCILIAZIONE NELLE PICCOLE IMPRESE DELL ’EMILIAROMAGNA . Nel 2000 è stata condotta una ricerca per conto della Commissione Europea, dal titolo “Conciliazione fra famiglia e lavoro nelle micro e piccole imprese”. Lo studio comprendeva l’analisi di casi di organizzazioni con meno di 50 dipendenti sul territorio italiano (in particolare, si trattava di imprese emiliano-romagnole), francese, spagnolo e tedesco (Merelli et al., 2000), e aveva tra gli obiettivi l’individuazione di prototipi di “buone pratiche” all’interno di questa tipologia aziendale. Nell’ambito di questa ricerca sono state esaminate 38 piccole aziende, impegnate nei seguenti settori: 4 nell’agricoltura, 15 nell’industria, 13 nei servizi e 6 nel commercio. Dall’analisi compiuta dalle autrici è emerso, a livello generale, che esistono degli elementi ricorrenti nelle “buone prassi” di conciliazione all’interno delle piccole imprese: § Iniziative dei dipendenti per combinare in maniera meno faticosa esigenze personali e familiari con gli orari di lavoro; § Attenzione delle aziende (dunque dei datori di lavoro) a rispondere positivamente alle richieste dei dipendenti, per creare un clima di lavoro cooperativo e disponibilità a dare libertà di scelta (pur con limiti di compatibilità) per un orario di lavoro individualizzato; § Iniziative di imprenditrici e imprenditori per rispondere a proprie esigenze di raccordo fra diversi tempi della vita; 189 § Coinvolgimento e co-determinazione dei/delle dipendenti nell’organizzazione del lavoro aziendale; § Strategia aziendale volta a concertare, per mantenere buone relazioni, clima aziendale favorevole e personale di buon livello professionale; § Capacità di adattare e riadattare le soluzioni “conciliative” con l’evolversi delle esigenze di chi lavora, in relazione alle varie fasi del ciclo di vita. Inoltre, è stato riscontrato come la presenza di flessibilizzazione degli orari all’interno delle aziende possa derivare da due esigenze di diversa natura: esigenze aziendali legate alla produzione o alla presenza dei clienti (cui i lavoratori devono adeguarsi), oppure esigenze dei dipendenti stessi. La flessibilizzazione dell’orario di lavoro avviene all’interno delle piccole imprese secondo due modalità: l’inserimento all’interno dei contratti di lavoro di norme presenti nei contratti nazionali o tipici delle grandi aziende (part time, permessi non retribuiti, flexi time, ecc..) oppure in maniera del tutto informale, tramite accordi con il datore di lavoro (è questa però una soluzione più rischiosa per il dipendente, poiché se viene a mancare il clima di relazione positivo entro cui nascono questi accordi, gli accordi stessi rischiano di essere revocati). Esistono, però, differenze nelle modalità di organizzazione aziendale a seconda del settore cui si rivolge l’impresa: nell’ambito della produzione si ritrovano soluzioni tradizionali, come part time o flexi time, mentre si ritrovano soluzioni più “innovative” nell’ambito dei servizi e del commercio. Un caso particolare è costituito dalle imprese che nascono e si organizzano fin da subito sulla base delle esigenze dell’imprenditore di conciliare vita lavorativa e privata: si tratta principalmente di imprese gestite da donne che hanno preferito organizzare il lavoro in modo da avere tempo per sé (e in particolare per famiglia, studio, 190 attività non lucrative) anche a scapito di un maggior guadagno. LA CONCILIAZIONE NELLE DELL’EMILIA ROMAGNA PICCOLE E MEDIE IMPRESE Nel 2000 è stata realizzata in Emilia Romagna un’indagine dal titolo “Flessibilità e Conciliazione”, che aveva come scopo anche la verifica delle possibilità di implementazione della Banca delle ore nelle imprese. Tale progetto prevedeva diverse fasi successive, tra cui anche la realizzazione di interviste in profondità con alcuni testimoni privilegiati all’interno del sindacato, della direzione aziendale pubblica, delle associazioni datoriali e delle imprese cooperative, volte a comprendere quanto e secondo quali modalità i temi della flessibilità e della conciliazione fossero entrati a far parte della mentalità degli attori coinvolti. L’esito di queste interviste è stata un’inequivocabile dimostrazione di come questi temi siano vissuti diversamente da chi si fa portavoce delle esigenze dei datori di lavoro da un lato, e dei lavoratori dall’altro: mentre per i rappresentanti delle associazioni datoriali (con l’eccezione di alcuni settori della pubblica amministrazione) ciò che è interessante riguardo ai temi flessibilità/conciliazione è il vantaggio che è possibile trarre in termini di produttività e competitività aziendale, ed hanno ben poca importanza le esigenze dei lavoratori, da parte del sindacato si registra uno spiccato interesse verso la tutela dei lavoratori, specialmente in riferimento alla possibilità di migliorare i loro standard di vita. Un altro dato interessante emerso nel corso di questa ricerca è la possibilità di individuare tre modelli di organizzazione del lavoro (inteso nei termini della flessibilità), riconducibili a grandi linee a tre settori: 1. modello “industriale” (abbigliamento/ confezioni/ calzature), caratterizzato da una certa rigidità: gli orari sono strutturati secondo il modello del lavoro giornaliero. Sono previsti margini di flessibilità, anche se si riferiscono 191 principalmente agli impiegati, mentre gli operai sono legati a modelli organizzativi più rigidi. 2. modello “commercio” (commercio/ turismo/ ristorazione/ grande distribuzione/ assicurazioni), caratterizzato da un’estrema flessibilità, soprattutto nelle forme del part time e, con minore frequenza, della flessibilità in entrata e uscita. Il part time è comunque organizzato in maniera piuttosto rigida, ad esempio per quanto riguarda la distribuzione giornaliera delle ore. 3. modello “pubblico” (Comune di Bologna e USL), caratterizzato dalla transizione da un’organizzazione rigida verso modelli di flessibilità: il part time e il flexi time si stanno diffondendo e si comincia ad assumere a termine anche il personale dirigente. Nonostante l’elevata partecipazione femminile, le imprese risultavano tutte caratterizzate da segregazione verticale di genere: la classe dirigente, infatti, vedeva al suo interno un rapporto di presenza dei sessi tutto a favore dell’universo maschile. IL TELELAVORO NELLE COOPERATIVE SOCIALI Tra il 1998 e il 1999 ha preso vita un progetto per l’implementazione del telelavoro nelle cooperative sociali aderenti al Consorzio Solidarietà Sociale di Forlì-Cesena, realizzato con i fondi del Ministero del Lavoro e in collaborazione con la CISL (Bassi et al. – a cura di, 2000). I motivi per cui questo progetto di ricerca/intervento veniva portato avanti erano due, uno di ordine più generale, legato alla mission delle cooperative sociali, per cui essendo lo scopo ultimo di queste organizzazioni il “perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini" (art.1 L.381/91) non è possibile sostenere di aver raggiunto questo scopo se non si garantisce un miglioramento della qualità della vita, sia a chi usufruisce del servizio che a chi lo offre (gli operatori delle 192 cooperative). Il secondo invece era legato alle peculiarità della forza lavoro delle cooperative sociali, che è prevalentemente composta di donne. Le cooperative implicate erano 13, di piccole o medie dimensioni: la più grande comprendeva 92 lavoratori ma vi erano anche cooperative composte da poche unità. Due terzi dei lavoratori di queste cooperative erano donne, di cui il 60% con figli a carico. Il progetto di ricerca e azione prevedeva due fasi: la prima in cui si dovevano raccogliere informazioni sulle esigenze di conciliazione delle socie/dipendenti delle cooperative (tramite un questionario e tre focus groups), e una seconda, nell’ambito della quale si sarebbe provveduto alla sperimentazione del telelavoro su cinque lavoratrici, che avevano esigenze di conciliare vita lavorativa e familiare. In questa sezione non si intende dedicare spazio ai dati raccolti nella prima fase della ricerca (che sono già stati accennati anche nel capitolo precedente), si vuole invece fornire un breve quadro degli esiti della sperimentazione del telelavoro, che è durata sei mesi sotto il costante monitoraggio e la valutazione dei responsabili del progetto (Comitato Tecnico Organizzativo, responsabili delle risorse umane delle cooperative). Pilastri fondamentali per la sperimentazione del telelavoro (Sbordone, 2000, p. 176). 1. volontarietà di chi partecipa alla sperimentazione; 2. reversibilità dell’organizzazione del lavoro in qualsiasi momento della sperimentazione; 3. parità di condizioni nei diritti e nei doveri; 4. pari opportunità rispetto alla possibilità di carriera e formazione; 5. definizione delle condizioni di prestazione del telelavoro (orario parziale, intero, ecc…); 6. mantenimento dell’impegno professionale in termini quantitativi e qualitativi. 193 La scelta delle lavoratrici è stata effettuata sulla base della considerazione di alcuni elementi: volontarietà; carichi di cura familiari; buona alfabetizzazione informatica e capacità di utilizzo delle apparecchiature; distanza dell’abitazione dalla sede di lavoro; disponibilità in casa di una sede adeguata per l’impianto della postazione di telelavoro; professionalità medio/alta e competenze in lavori complessi (progettazione, coordinamento, amministrazione) 1 6 ; autovalutazione del lavoratore delle proprie capacità di gestione autonoma. Inoltre, alcune condizioni sono state tenute a garanzia sia della cooperativa che delle lavoratrici (anche in riferimento ai pilastri fondamentali per la sperimentazione del telelavoro, riportati nella tabella): reversibilità; idoneità del domicilio; garanzia delle condizioni di sicurezza in linea con le normative vigenti (L. 626/94), con particolare riguardo agli impianti elettrici (L. 46/90); assicurazione per gli infortuni; assenza di controlli rigidi sui tempi di esecuzione del lavoro e sulla prestazione; alternanza del telelavoro con periodi di presenza in sede; garanzie di comunicazione con al sede (e-mail e fax); riunioni e rientri in sede; 16 Nella fase precedente di raccolta dei dati era emerso come le peculiarità del lavoro delle cooperative sociali (che prevede un continuo e diretto contatto con l’utenza) non rendessero possibile l’applicazione del telelavoro a tutti i ruoli presenti nelle cooperative. 194 verifiche periodiche. La gestione dell’alternanza telelavoro a domicilio/lavoro in sede è stata stabilita da ogni lavoratrice con la cooperativa; in media ogni lavoratrice utilizzava la postazione domestica due giorni alla settimana su cinque (con margini di flessibilità). I risultati di questa sperimentazione hanno dimostrato che le attese delle volontarie, in merito alla possibilità di conciliare tempi di lavoro e di vita, di recuperare il tempo dovuto ai trasferimenti, e di migliorare la propria organizzazione del lavoro, venivano effettivamente soddisfatte dalla possibilità di telelavorare. Inoltre, le volontarie hanno dichiarato di aver svolto il lavoro da casa meglio di quanto avrebbero potuto fare in ufficio, grazie al fatto di potersi organizzare meglio la giornata e, conseguentemente, di poter concentrarsi maggiormente sul compito. Le difficoltà maggiori da parte delle cooperative nel loro complesso si sono presentate soprattutto all’inizio dell’esperienza, ed erano collegate alla necessità di adattare lavoratori in sede ai nuovi tempi di organizzazione delle colleghe che telelavoravano; queste difficoltà si sono però risolte abbastanza velocemente, grazie anche alla disponibilità, da parte delle telelavoratrici, del telefono cellulare. In ogni caso questa difficoltà rientra nella cultura della necessità di presenza fisica del lavoratore nella sede dell’impresa, di cui si è già parlato in precedenza e che, come si è detto, dovrebbe essere rivisitata. In ogni caso, alla fine del periodo di sperimentazione, è stato elaborato un bilancio dell’esperienza su tre punti: criticità, motivi per proseguire l’iniziativa, proposte per il futuro. Di seguito si riportano i punti individuati in questo bilancio che, anche se strettamente collegati all’esperienza particolare, possono essere comunque utili come spunti di riflessione per l’organizzazione di altre sperimentazioni di questo tipo. Sono stati segnalati come punti critici: 195 a. la difficoltà di utilizzare una formula di lavoro a distanza relativamente alle esigenze di contatto continuo con l’utenza, tipiche delle cooperative sociali; b. l’impossibilità di astenersi dalla presenza in ufficio per alcuni ruoli professionali, anche dei cosiddetti “polivalenti” che rivestono un ruolo centrale per l’organizzazione e il funzionamento della cooperativa; c. mancanza (relativamente a questa esperienza) di momenti adeguati di socializzazione delle esperienze delle colleghe, utili alla comprensione della loro organizzazione da parte dei lavoratori in sede; d. necessità di organizzare la presenza delle telelavoratrici in sede in modo da far fronte alle urgenze che si pongono quotidianamente alla cooperativa; e. necessità di disporre di mezzi informatici migliori; Sono stati valutati come motivi per proseguire la sperimentazione: a. l’apprezzamento, da parte delle telelavoratrici, per il guadagno di energie da dedicare al lavoro; b. l’apprezzamento, da parte delle telelavoratrici, per il guadagno di energie da dedicare a sé e alla propria famiglia; c. l’investimento sulle capacità dei singoli di gestire autonomamente il proprio lavoro e le responsabilità che comporta; d. introduzione della cultura del lavoro per obiettivi (e conseguente rivalutazione del presenzialismo); e. investimento sui rapporti di fiducia tra la cooperativa ed i lavoratori, e responsabilizzazione degli addetti all’erogazione del servizio. Sono state indicate come proposte per il futuro: 196 a. maggior investimento sulla formazione e sull’organizzazione e la comunicazione interne; b. maggiore investimento sulla responsabilizzazione del personale; c. miglioramento della rete informatica; d. allargamento dell’esperienza anche ad altri lavoratori delle cooperative; e. ipotesi di riservare il telelavoro ad alcune attività specifiche (elaborazioni statistiche, ricerche, redazione di report, contabilità), in modo da render possibile l’alternarsi dell’uso del telelavoro fra i lavoratori; f. pianificazione delle attività in merito alle urgenze, con conseguente necessità di rotazione del telelavoro fra i dipendenti e nello svolgimento di determinate mansioni; g. progettazione in gruppo del coordinamento delle attività. 197 Una conclusione: il panorama della conciliazione in Emilia Romagna In conclusione, ciò che si può trarre dagli esiti delle ricerche esposte è come il panorama delle misure per la conciliazione già presente nelle piccole aziende e cooperative dell’Emilia Romagna sia un panorama multiforme, caratterizzato prevalentemente da quattro situazioni tipiche: a. situazioni in cui le misure per la conciliazione vengono attuate in maniera informale da imprenditori particolarmente attenti alle esigenze delle dipendenti (o alle proprie); b. situazioni in cui le misure per la conciliazione vengono attuate (in maniera formale o informale) dagli imprenditori per rispondere a precise richieste portate avanti dalle dipendenti; c. situazioni in cui vengono attuate (in maniera informale o formale) misure di flessibilizzazione dei tempi e degli spazi del lavoro, che partono però come misure utili primariamente ai ritmi produttivi dell’impresa o ai tempi di afflusso dell’utenza, e che possono diventare utili alla conciliazione dei tempi delle dipendenti pur non essendo nate a questo scopo; d. situazioni in cui le misure per la conciliazione vengono avviate nell’ambito di sperimentazioni sovvenzionate da fondi pubblici. In generale, comunque, l’atteggiamento della piccola impresa verso forme contrattuali favorevoli alla conciliazione pare essere ancora un atteggiamento di diffidenza: evidentemente, manca ancora una cultura dello stretto legame tra il benessere del lavoratore e la sua produttività. È inoltre evidente come non esistano strategie in assoluto utili alla conciliazione, ma come sia necessario calibrare ogni intervento sulla base di: 198 1. 2. 3. le esigenze delle lavoratrici; le caratteristiche dell’impresa; l’offerta territoriale. 199 UN MODELLO PER IL CONTESTO AZIENDALE Il peso del contesto sulla possibilità di adozione degli strumenti di conciliazione Come esplicitato nei precedenti capitoli, ogni azione – di iniziativa pubblica o privata – a favore della conciliazione tra lavoro e famiglia, o più in generale a favore dell’armonizzazione dei tempi di vita legati ai diversi ruoli ricoperti dalle donne, può avere una differente efficacia a seconda del contesto nel quale viene inserita. Conciliare lavoro e famiglia non significa semplicemente “liberare tempo”, ma piuttosto gestire ruoli differenti nel medesimo arco temporale. La gestione di un ruolo implica la gestione di un complesso sistema di aspettative, e – conseguentemente – trovare un equilibrio tra diversi ruoli comporta la ridefinizione della rete di relazioni interpersonali e organizzative (di scambio e di potere) nel quale il soggetto è inserito. Diventa quindi evidente che adottare uno strumento di conciliazione produce una perturbazione nel sistema di relazioni nel quale la donna è inserita, e le conseguenze di tale perturbazione sono positive solo se il sistema trova un altro punto di equilibrio più favorevole ai bisogni e alle motivazioni della persona. In altre parole, come viene delineato nella tabella che chiude il precedente capitolo, a livello di singola organizzazione e di singola lavoratrice, l’utilizzo di un qualsiasi strumento a favore della conciliazione comporta degli “effetti collaterali”, sotto forma di costi economici, organizzativi, sociali. La valutazione del rapporto costi-benefici legato all’impiego di uno strumento di conciliazione ben conosciuto è - a livello individuale – piuttosto naturale: ciascuna lavoratrice ad esempio effettua una valutazione di questo tipo al momento di optare o meno per il part time, mettendo sulla bilancia i suoi effetti positivi (più tempo a disposizione) con quelli negativi (diminuzione del reddito disponibile). 200 La valutazione diventa assai meno ovvia e agevole quando si riferisce a strumenti meno noti o di più complessa applicazione, o quando ad essere ponderati sono gli effetti sul sistema delle relazioni, e in particolare quelli sul conteso lavorativo. Utilizzare uno strumento “sbagliato” può avere effetti profondamente negativi – ad esempio – sul contesto di relazioni professionali e finire per compromettere lo sviluppo di carriera o il clima lavorativo. Questo aspetto è particolarmente determinante nel contesto delle PMI, dove le ridotte dimensioni e l’elevato interscambio relazionale tra lavoratrice, colleghi, dirigenti e datori di lavoro rende più difficile comportamenti “egoistici”, ovvero basati sulla valutazione della propria convenienza e dei propri interessi, indipendentemente da quelli dell’azienda. Anche nel momento di decidere l’opportunità di fruire di un diritto sancito dalla legge la lavoratrice sarà più portata a considerare l’impatto che la sua scelta avrà sul sistema di relazioni interno. Questo per una serie di motivi: Ä il sistema di tutele sindacali è generalmente più debole nelle piccole imprese; Ä nel caso di deterioramenti del clima lavorativo (ad esempio un peggioramento delle relazioni con il datore di lavoro) non si ha la possibilità di trasferimenti interni; Ä l’effetto negativo sull’azienda prodotto da una riduzione del contributo lavorativo della lavoratrice è molto più immediato ed evidente, e di conseguenza essa ne viene molto più responsabilizzata. Diventa quindi indispensabile valutare anche la “capacità di assorbimento” dell’uso di uno strumento di conciliazione all’interno di uno specifico contesto lavorativo, per avere una effettiva stima della sua potenziale efficacia in quel caso. 201 Un modello per valutare lo “stato conciliazione” nel contesto della PMI della Lo stato della conciliazione, inteso come insieme di condizioni di contesto che possono favorire o ostacolare l’utilizzo di specifici strumenti di conciliazione, può essere a nostro avviso analizzato su 3 diverse dimensioni: 1. la visione delle lavoratrici, che può essere studiata utilizzando un modello di riferimento, il “Modello climatico delle lavoratrici”, che rappresenta il risultato dell’interazione tra il grado di conoscenza delle lavoratrici e il loro interesse soggettivo. 2. il contesto organizzativo nel quale esse lavorano, che è stato letto in termini di “Permeabilità alla conciliazione”, in considerazione dell’insieme dei vincoli e delle opportunità strutturali e dell’atteggiamento dei decisori verso i temi della conciliazione. 3. l’analisi del contributo del Sindacato all’interno dell’organizzazione, che si esplica nella divulgazione delle informazioni relative alle possibilità di conciliazione e nella proposizione di azioni positive. Un’analisi dello stato della conciliazione di uno specifico contesto organizzativo può di conseguenza essere effettuata con la finalità di verificare - a livello ipotetico l’impatto dei diversi strumenti di conciliazione e la loro compatibilità/incompatibilità con le realtà in analisi, al fine di sviluppare progetti per possibili azioni positive la cui realizzazione sia possibile ed effettivamente vantaggiosa per tutte le parti in gioco. Questo perché solo con il raggiungimento di un equilibrio mutuamente vantaggioso per tutti gli attori considerati si può avere la certezza di avere effettivamente migliorato, in maniera stabile ed efficace nel lungo periodo, il livello della conciliazione tra vita privata e professionale. 202 MODELLO CLIMATICO DELLE LAVORATRICI Il “modello climatico” intende analizzare la conoscenza e le percezioni delle lavoratrici circa i temi della conciliazione e si può delineare secondo due dimensioni: ü il grado di informazione: presenza/assenza di una cultura specifica in merito alla conciliazione e agli strumenti con cui essa viene realizzata; ü il grado di interesse: presenza/assenza di un’attenzione specifica verso il tema della conciliazione (tale interesse non deriva necessariamente da esigenze personali e familiari, né dall’intervento sindacale). La considerazione delle caratteristiche delle dipendenti è uno dei fattori più importanti, nell’ottica della progettazione di interventi a favore della conciliazione, poiché sarà l’impatto che questi avranno sul lavoratore a determinarne la reale efficacia. Inoltre, dall’analisi della letteratura è evidente come, in genere, sia la presenza di lavoratrici con richieste specifiche a determinare uno stimolo all’attuazione di buone prassi di conciliazione, mentre nelle aziende in cui manchi una domanda da parte delle dipendenti, anche se in presenza di una struttura tale da poter accogliere l’impatto di una strategia di conciliazione, difficilmente si realizzano interventi di questo tipo (con l’unica eccezione di organizzazioni in cui la classe dirigente è particolarmente pronta e/o sensibile alle esigenze delle lavoratrici). A livello teorico, dunque, è possibile delineare alcuni profili di lavoratrici, ricavabili dalle diverse possibilità di combinazione dei livelli delle variabili informazione e interesse: 203 Alto Basso Grado di interesse Grado di informazione Basso Alto Ignare Consapevoli Estranee Trattenute Trattenute: caratterizzate da un alto livello di informazione, ma un basso livello di interesse. Pur conoscendo la tematica della conciliazione non sono interessate a fruire dei vantaggi che questa potrebbe offrire. Si tratta, ad esempio, di dipendenti che non hanno necessità di tempo per la famiglia, o che pur avendone non richiedono l’attivazione di strumenti di conciliazione per il timore che questo possa arrecare loro uno svantaggio nello sviluppo professionale. Rientrano in questo gruppo le dipendenti “rassegnate”, che pur avendo un certo grado di informazioni non ritengono percorribile alcun intervento di conciliazione nella loro realtà organizzativa poiché non ricettiva. Consapevoli: caratterizzate da un alto livello di informazione ed un alto livello di interesse. Si tratta di dipendenti che conoscono la tematica della conciliazione e sono interessate alla messa in pratica di misure per favorirla. Appartengono a questa categoria prevalentemente lavoratrici con carichi di cura impellenti, altri impegni extralavorativi, oppure dipendenti attive nel sindacato. Ignare: caratterizzate da un basso livello di informazione ed un elevato livello di interesse. Si tratta di dipendenti 204 che pur avendo esigenze specifiche di conciliazione non sono però informate sulle possibilità di realizzarla. Estranee: caratterizzate da un basso livello di informazione ed un basso livello di interesse. Si tratta di dipendenti che non sono informate né interessate ai temi della conciliazione. Nel caso di questa categoria è interessante verificare se il disinteresse derivi dalla disinformazione o se si tratti di un disinteresse paragonabile a quello delle dipendenti della categoria “Ignare”, poiché nel primo caso un’opportuna campagna informativa potrebbe modificare la situazione. Queste quattro tipologie, efficaci dal punto di vista teorico per una visione complessiva delle sfaccettature più evidenti del problema, non devono essere però intese come categorie universali, poiché ogni realtà organizzativa è una realtà a sé stante. ANALISI DEL CONTESTO ORGANIZZATIVO La permeabilità del contesto organizzativo, ovvero la facilità di applicare ad esso strategie e strumenti di conciliazione viene valutata considerando due dimensioni: ü la capacità di assorbimento strutturale ü la consapevolezza dei decisori circa gli strumenti della conciliazione. La capacità di assorbimento strutturale si sostanzia nella presenza/assenza di vincoli propri dell’azienda, derivanti, ad esempio, dalla tipologia di struttura organizzativa, dalla presenza di concorrenti sul mercato, dalla programmazione delle attività. Il grado di consapevolezza dei decisori, ovvero delle figure chiave, dirigenti o datori di lavoro, dalle cui prese di posizione dipende il ruolo e lo sviluppo di carriera delle dipendenti si concretizza nella loro conoscenza degli strumenti di conciliazione, nell’interesse e nella disposizione a realizzare misure per favorirla o, viceversa, in un atteggiamento pregiudiziale di disinteresse e ostilità verso queste tematiche. 205 Alta Bassa Consapevolezza decisore del Capacità di assorbimento strutturale Bassa Alta Innovazione obbligata Tutela Preclusione strutturale Credenza Sulla base delle diverse possibilità di combinazione dei livelli delle due variabili, è possibile delineare quattro profili idealtipici, definibili come: • Credenza: in cui si presenta un’elevata capacità di assorbimento da parte della struttura, ma una scarsa consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In queste aziende è l’atteggiamento dell’imprenditore a determinare l’assenza di misure per la conciliazione. • Tutela: in cui si presenta un’elevata capacità di assorbimento da parte della struttura, accompagnata da una forte consapevolezza da parte dei datori di lavoro. È in queste aziende che, generalmente, si ritrovano con più facilità misure di conciliazione per i dipendenti. • Preclusione strutturale: in cui si presenta una bassa capacità di assorbimento da parte della struttura, accompagnata da una scarsa consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In queste aziende non vengono realizzate misure di conciliazione perché l’imprenditore (anche sulla base dell’assenza di informazioni adeguate) ritiene che le misure di conciliazione siano impraticabili all’interno della sua azienda. 206 • Innovazione obbligata: in cui si presenta una bassa capacità di assorbimento da parte della struttura, accompagnata da una elevata consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In queste aziende vengono realizzate misure di conciliazione sulla base di un interesse specifico del datore di lavoro (in molti casi incentivato dalla presenza di dipendenti che richiedono questo tipo di intervento, o dall’esigenza dell’imprenditore stesso di avere più tempo per sé) che riesce a superare o a trovare un compromesso con i vincoli strutturali dell’azienda. La tipologia di impresa/organizzazione è quindi di fondamentale importanza perché, laddove sia presente una domanda specifica da parte dei dipendenti, sono le capacità di assorbimento da parte dell’impresa e il grado di consapevolezza dei decisori organizzativi (imprenditori e/o dirigenti) a determinare la possibilità di realizzazione degli interventi per la conciliazione. Quando manca una richiesta diretta dei dipendenti, invece, si possono incontrare due situazioni tipiche: o sono proprio le caratteristiche strutturali dell’impresa (ad esempio, i ritmi di produzione) a rendere necessaria una flessibilità negli orari di lavoro, che finisce col costituire (anche senza essere nata con questo scopo) una misura di conciliazione; oppure è l’imprenditore stesso a proporre interventi per la conciliazione sulla base di una motivazione personale, senza che vi sia stata una richiesta diretta da parte dei dipendenti. IL RUOLO DEL SINDACATO La presenza e il grado di incidenza del sindacato all’interno delle singole realtà oggetto d’indagine è un’ulteriore variabile in grado di influenzare direttamente la realizzazione di misure di conciliazione, agendo sia sulla situazione climatica delle dipendenti, che sulla consapevolezza dei decisori. Per questo motivo è importante possedere una misura del grado di informazione e di interesse anche di questa terza 207 tipologia di attori. In questo caso la dimensione dell’informazione riveste un ruolo di primaria importanza, poiché il Sindacato, per il suo ruolo e per la missione che si attribuisce, dovrebbe essere uno dei più importanti canali di diffusione delle informazioni relative al tema della conciliazione. L’analisi delle variabili precedentemente elencate, così come si esplicano a livello di ogni singola organizzazione, rende possibile l’individuazione dei modelli di buone prassi adattabili e adeguati alle diverse realtà. 208 Bibliografia Libri e articoli Accornero Aris, Altieri Giovanna e Oteri Cristina (2001) Lavoro flessibile. Cosa pensano davvero imprenditori e manager. Roma: Ediesse. AECA – a cura di (2002) Progetto Geografia dei Tempi. Analisi dei modelli organizzativi che caratterizzano i Servizi della Sanità pubblica. Report Indagine di Sfondo. 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