fra Lavoro e Famiglia. - Pari Opportunità

Transcript

fra Lavoro e Famiglia. - Pari Opportunità
ASSESSORATO AL LAVORO, FORMAZIONE,
UNIVERSITÁ E IMMIGRAZIONE
fra
>
UNIONE EUROPEA
Fondo sociale europeo
Lavoro
e Famiglia.
I servizi di supporto
e l’organizzazione del lavoro:
ipotesi per nuove azioni positive
progetto cofinanziato dall’unione Europea
Ob. 3 E 1 2001-0371/Rer - Delibera di Giunta Regionale n. 1734 del 31/07/2001
0
FRA LAVORO E FAMIGLIA.
I SERVIZI DI SUPPORTO E L’ORGANIZZAZIONE DEL
LAVORO: IPOTESI PER NUOVE AZIONI POSITIVE.
Iniziativa realizzata con il contributo della Regione E.R. Ob. 3. E1
2001-0371/RER – Delibera di G.R. n. 1734 del 31/07/2001
1
Prima Parte - La ricerca sul campo
RicercAzione scrl (Faenza):
Annalisa Gambarrota, Claudia Gatta, Deborah Pelasgi,
Annica Perini, Doriana Togni, Alessandra Zattoni
Seconda Parte - Le riflessioni in materia di conciliazione
Networking srl (Bologna):
Si ringraziano per il loro prezioso contributo:
le donne, gli imprenditori, le istituzioni pubbliche, le
associazioni di categoria, le associazioni sindacali e tutti
coloro che hanno partecipato alla realizzazione del
progetto.
2
INDICE
Prima Parte: La ricerca sul campo
Nota metodologica
pag
7
Le carte dei servizi: aspetti legislativi
pag
10
La mappatura dei servizi sui territori
pag
16
Le imprese e la conciliazione: un contributo
degli imprenditori
pag
37
Donne e conciliazione: l’analisi quantitativa
pag
58
I focus
pag
75
Tra mito e ricerca
pag
130
Strumenti per realizzare la conciliazione tra
tempi di vita e tempi di lavoro
pag
141
La conciliazione: tempi di vita e tempi di
lavoro nelle PMI e nelle cooperative dell’Emilia
Romagna
pag
182
Un modello per il contesto aziendale
pag
200
Seconda Parte - Le riflessioni in materia di conciliazione
3
4
PRIMA PARTE
LA RICERCA SUL CAMPO
A cura di RicercAzione scrl (Faenza)
5
6
Fa così, caro Lucilio: renditi
veramente padrone di te e
custodisci con ogni cura quel
tempo che finora ti era portato
via, o ti sfuggiva…
Dunque, caro Lucilio, fa ciò che mi
scrivi; fa tesoro di tutto il tempo
che hai.
Sarai meno schiavo del domani, se
ti sarai reso padrone dell’oggi.
(Seneca, Lettere a Lucilio –
Lettera I: L’uso del tempo)
NOTA METODOLOGICA
Il progetto si colloca in un percorso di analisi e ricerche
da tempo avviato dai soggetti proponenti. Si tratta di un
approfondimento sul tema degli orari di lavoro in
relazione alle forme di organizzazione aziendale e dello
sviluppo dei servizi di supporto pubblici finalizzati a
favorire la conciliazione tra lavoro e vita famigliare.
L’obiettivo principale risiede nell’analisi e, di seguito, nella
progettazione di forme di conciliazione tra le esigenze
espresse dalle donne che operano all’interno di sistemi
produttivi territoriali e le aziende. Il progetto dovrà
raccordare e integrare le esperienze già in atto sui tempi
della città e, nello specifico, sui tempi delle donne, in
relazione all’organizzazione lavorativa e famigliare.
Il progetto è articolato in varie azioni.
La prima azione si è concretizzata nella “mappatura dei
servizi pubblici e privati” (al 31/12/2002) a supporto delle
donne.
Si è proceduto mediante un’azione di raccolta e analisi
delle informazioni sull’esistente, che è stata condotta nei
territori di riferimento. Gli ambiti di rilevazione hanno
riguardato: i servizi per l’infanzia e l’adolescenza, i servizi
per gli anziani e i servizi per i disabili. Attraverso la
mappatura si è cercato di capire: quali, quanti e dove
7
sono ubicati i servizi. In particolare si sono messe a fuoco
le caratteristiche che tali servizi hanno per rispondere alle
esigenze delle donne lavoratrici: orari, tipologia di
servizio, accesso, costi, periodi di funzionamento,
agevolazioni. Inoltre sono state raccolte informazioni sulle
nuove progettualità in corso nei diversi territori.
La seconda parte della ricerca ha coinvolto più
direttamente il mondo della piccola e media impresa. È
stato costruito un campione con l’ausilio dei responsabili
delle associazioni di categoria individuando alcuni criteri
per selezionare le aziende: la presenza di donne, la
dimensione fino a 50 dipendenti, l’appartenenza ad un
settore produttivo quale i servizi avanzati e tradizionali
alle imprese, i servizi alla persona e il settore
agroalimentare.
Per quanto riguarda lo strumento è stato ideato un
questionario diviso in sezioni:
ü anagrafica (età, titolo di studio, composizione del
nucleo familiare, tipo di contratto, orario di
lavoro);
ü i servizi di supporto (responsabilità di cura, utilizzo
o meno di servizi, valutazione dei servizi in base ai
bisogni, strumenti per far fronte al problema della
conciliazione);
ü l’organizzazione della realtà lavorativa (modalità
organizzative dei tempi, utilizzo di queste
modalità, nuove forme di lavoro per favorire la
conciliazione, le esigenze di conciliazione);
ü la normativa a favore della conciliazione (grado di
conoscenza e utilizzo degli strumenti previsti dalla
normativa italiana per sostenere la conciliazione);
ü l’informazione in materia di conciliazione (ricerca e
fonti
delle
informazioni
in
materia
di
conciliazione).
Sono stati distribuiti 250 questionari e ne sono ritornati
compilati 170.
Una parte della rilevazione quali-quantitativa è stata
rivolta agli imprenditori delle piccole-medie aziende
8
contattate nei territori di Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza,
Ravenna, Reggio Emilia al fine di rilevare i bisogni
emergenti nelle aziende contattate e le soluzioni adottate
dagli imprenditori in tema di conciliazione dei tempi di
lavoro e tempi di vita delle donne lavoratrici.
Lo strumento di indagine utilizzato è un questionario
semi-strutturato, suddiviso in 6 sezioni: Anagrafica
Aziendale - Dati dell’imprenditore - Tempi di lavoro e
tempi di cura: i servizi di supporto - L’organizzazione
della realtà lavorativa - La normativa a favore della
conciliazione - L’informazione in materia di conciliazione.
Il questionario così strutturato è stato sottoposto agli
imprenditori o legali rappresentanti, siano essi uomini o
donne, delle stesse aziende in cui si è proceduto a
rilevare i bisogni di conciliazione delle donne lavoratrici.
L’indagine è proseguita con i focus group: gruppi di
persone riunite per discutere in merito al tema della
conciliazione. Le persone coinvolte provengono da diverse
realtà organizzative e lavorative. I focus sono stati
previsti in 6 territori: Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza,
Ravenna, Reggio Emilia. Le ipotesi per nuove azioni
positive in tema di conciliazione sono state inserite, sotto
forma di idee e suggerimenti, nel paragrafo di lettura e
analisi dei focus.
Si è quindi proceduto con un’analisi teorica dei modelli di
organizzazione aziendale e sono stati individuati quelli
maggiormente diffusi, i meno utilizzati ed i più flessibili
ed innovativi presenti nelle imprese indagate in regione.
L’obiettivo di tale azione era l’identificazione dei livelli di
flessibilità aziendale rispetto all’utilizzo del lavoro
femminile, l’individuazione delle forme di contratti
prevalenti e del sistema degli orari, la rilevazione della
presenza di forme di raccordo con servizi di supporto per
la forza lavoro femminile all’interno della contrattazione
integrativa aziendale o territoriale.
9
LE CARTE DEI SERVIZI1: ASPETTI LEGISLATIVI
Negli anni novanta diversi stati europei hanno avviato
un’azione
di
rivalorizzazione
dei
pubblici
servizi
aumentando le garanzie dei fruitori, migliorando l’operato
dei
soggetti
erogatori,
instaurando
un
rapporto
comunicativo tra ente e cliente anche mediante
l’elaborazione e la diffusione di “Carte dei Servizi”.
In campo nazionale le “Carte dei servizi” si collocano nel
quadro di una produzione legislativa disegnata da
un’amministrazione che non lavora più per adempimenti,
ma progetta e risponde dei risultati ottenuti:
la L. 7 agosto 1990, n. 241 ha stabilito (art.1) che
“l’attività amministrativa è retta da criteri di economicità,
di efficacia e di pubblicità”;
il D. Lgs. 9 febbraio 1993, n. 29 ha codificato le
responsabilità dirigenziali, istituito i servizi di controllo
interno e gli uffici per le relazioni con il pubblico;
la L. 14 gennaio 1994, n. 20 ha riformato il controllo
esterno della Corte dei Conti includendovi il controllo sulle
gestioni.
Le Carte dei servizi sono uno strumento di cui devono
dotarsi gli enti erogatori di servizi pubblici previsto dalla
direttiva Ciampi e da leggi successive, fino al decreto
legislativo del 30 luglio 1999, n. 286.
Le Carte dei servizi possono definirsi come uno strumento
giuridico
e
amministrativo
volto
a
garantire
il
raggiungimento di soddisfacenti livelli di qualità ed
efficienza del servizio pubblico e vanno inquadrate in un
nuovo modo di intendere i rapporti tra amministrazione
erogatrice e cittadini/utenti, sempre più visti nella
dimensione
di
clienti.
Esse
stabiliscono
principi
fondamentali e regole specifiche relative all’erogazione di
determinati servizi pubblici, ponendo a carico dei soggetti
erogatori una serie di obblighi nei confronti degli utenti,
F. Ciarcia, “Le carte dei servizi. Un quadro aggiornato al D. Lgs.
286/1999, in attuazione dell’art. 11 della L. 59/1997, in
http://www.insa-italia.com
10
1
che così trovano una più efficace forma di tutela dei
propri diritti.
Inizialmente, la Carta dei servizi fu presentata come
un’iniziativa per allargare ai servizi pubblici le garanzie
già previste per i cittadini dalla L. 241/1990 nei confronti
dei procedimenti amministrativi.
Gli utenti dei servizi lamentano una insoddisfacente
realizzazione del proprio interesse, come conseguenza
della inefficiente e inefficace realizzazione dell’obiettivo di
interesse
generale
attribuito
alla
pubblica
amministrazione: gli interessi dell’utenza infatti non
confliggono con le finalità dell’amministrazione di
erogazione, ma al contrario ne costituiscono il nucleo
fondamentale. L’iniziativa della Carta dei Servizi avrebbe
dovuto rispondere:
• al problema giuridico dell’inefficace tutela degli utenti
da parte degli organi di giustizia ordinaria e
amministrativa;
• alle esigenze di miglioramento della qualità dei servizi
pubblici italiani che evidenziavano un divario sempre
maggiore
tra
quanto
i
cittadini
attendevano
dall’amministrazione pubblica e quanto, invece,
ricevevano in termini di servizio all’utenza e costi
sopportati per il raggiungimento degli obiettivi
prefissati di efficacia ed efficienza;
• all’esigenza di privatizzare il rapporto di utenza nei
rapporti con le amministrazioni di servizio e in
generale nei servizi pubblici in vista di liberalizzazioni e
privatizzazioni;
• all’esigenza di motivare il personale pubblico verso
obiettivi d’efficacia ed efficienza e a farsi soggetto
partecipe della riforma della pubblica amministrazione.
Le principali funzioni delle Carte dei servizi possono
essere così riassunte:
• tutela giuridica degli utenti dei servizi pubblici;
• iniziativa di miglioramento della qualità dei servizi
pubblici;
11
•
•
patto contrattuale tra gli utenti e i servizi in una logica
di mercato fuori dal diritto amministrativo;
occasione di mobilitazione del personale dei servizi
pubblici su valori positivi (la qualità del servizio, la
centralità dell’utente, il riconoscimento dell’impegno e
dei risultati locali, la valorizzazione di esperienze).
Le caratteristiche di fondo della Carta dei Servizi
delineata dalla direttiva Ciampi, devono rispettare tre
principali categorie di contenuti:
1. i principi fondamentali
2. gli strumenti per l’attuazione dei principi
3. i meccanismi di tutela.
I principi fondamentali
Eguaglianza: l’erogazione del servizio pubblico deve
essere ispirata al principio di eguaglianza dei diritti degli
utenti. Le regole riguardanti i rapporti tra utenti e servizi
pubblici devono essere uguali per tutti. Va garantita la
parità di trattamento, a parità di condizioni del servizio
prestato, sia fra le diverse aree geografiche di utenza sia
fra le diverse categorie o fasce di utenti. I soggetti
erogatori dei servizi sono tenuti a adottare le iniziative
necessarie per adeguare le modalità di prestazione del
servizio alle esigenze degli utenti.
Imparzialità: i soggetti erogatori hanno l’obbligo di
ispirare i propri comportamenti, nei confronti degli utenti,
a criteri di obiettività, giustizia ed imparzialità.
: l’erogazione dei servizi pubblici deve essere
continua, regolare e senza interruzioni. I casi di
funzionamento irregolare o di interruzione del servizio
devono essere espressamente regolati. In tali casi, i
soggetti erogatori devono adottare misure volte ad
arrecare agli utenti il minor disagio possibile.
Diritto di scelta: ove sia consentito dalla legislazione
vigente, l’utente ha diritto di scegliere tra i soggetti che
erogano il servizio.
12
Partecipazione: la partecipazione del cittadino alla
prestazione del servizio pubblico deve essere sempre
garantita, sia per tutelare il diritto alla corretta
erogazione del servizio, sia per favorire la collaborazione
nei confronti dei soggetti erogatori. L’utente ha diritto di
accesso alle informazioni in possesso del soggetto
erogatore che lo riguardano. Inoltre può prospettare
osservazioni
e
formulare
suggerimenti
per
il
miglioramento
del
servizio.
I
soggetti
erogatori
acquisiscono periodicamente la valutazione dell’utente
circa la qualità del servizio reso.
Efficienza ed efficacia: il servizio pubblico deve essere
erogato in modo da garantire l’efficienza e l’efficacia.
Gli strumenti per l’attuazione dei principi
Adozione di standard: i soggetti erogatori devono
individuare i fattori da cui dipende la qualità del servizio,
e sulla base di essi, adottare e pubblicare standard di
qualità e quantità di cui assicurano il rispetto. Inoltre
devono definire standard generali e standard specifici di
qualità e quantità dei servizi. I primi rappresentano
obiettivi di qualità che si riferiscono al complesso delle
prestazioni rese. I secondi si riferiscono a ciascuna delle
singole prestazioni rese all’utente, che può direttamente
verificarne il rispetto. Gli standard devono essere
accompagnati da una relazione illustrativa nella quale si
descrivono le modalità previste per il loro conseguimento;
i fattori principali esterni al soggetto erogatore e
indipendenti dal suo controllo che potrebbero incidere sul
conseguimento; i metodi di valutazione utilizzati per
fissare o rivedere gli standard. Nella relazione i soggetti
erogatori determinano gli indici da utilizzare per la
misurazione o la valutazione dei risultati conseguiti;
forniscono una base di comparazione per raffrontare i
risultati ottenuti con gli obiettivi previsti.
Gli standard sono sottoposti a verifica con gli utenti in
adunanze pubbliche e sono periodicamente aggiornati. I
13
soggetti erogatori adottano ogni anno piani diretti a
migliorare progressivamente gli standard dei servizi.
Semplificazione delle procedure: al fine di razionalizzare e
rendere conoscibili gli attivi relativi alla disciplina e alla
prestazione dei servizi pubblici, i soggetti erogatori
provvedono alla razionalizzazione, alla riduzione e alla
semplificazione delle procedure da essi adottate.
Informazione degli utenti: i soggetti erogatori
assicurano la piena informazione degli utenti circa le
modalità di prestazione dei servizi. Devono essere
assicurate e verificate la chiarezza e la comprensibilità dei
testi, oltre che la loro accessibilità al pubblico.
Rapporti con gli utenti: i soggetti erogatori e i loro
dipendenti sono tenuti a trattare gli utenti con rispetto e
cortesia e ad agevolarli nell’esercizio dei diritti e
nell’adempimento degli obblighi. L’apertura degli uffici
destinati ai rapporti con il pubblico deve essere assicurata
anche nelle ore pomeridiane. Le procedure interne degli
uffici non devono restringere le condizioni di esercizio dei
diritti degli utenti.
Dovere di valutazione della qualità dei servizi: per
valutare la qualità del servizio reso, specie in relazione al
raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse, i
soggetti erogatori svolgono apposite verifiche sulla
qualità e l’efficacia dei servizi prestati.
Rimborso: i soggetti erogatori assicurano agli utenti
forme di rimborso nei casi in cui è possibile dimostrare
che il servizio reso è inferiore, per qualità e tempestività,
agli standard pubblicati.
I meccanismi di tutela
Procedure di reclamo: i soggetti erogatori prevedono
procedure di reclamo dell’utente circa la violazione dei
principi sanciti nella presente direttiva e danno ad esse
piena pubblicità. Le procedure di reclamo devono essere
accessibili,
di
semplice
comprensione
e
facile
utilizzazione.
14
In tale materia è, infine, intervenuto il decreto legislativo
30 luglio 1999, n. 286, dal titolo “Riordino e
potenziamento
dei
meccanismi
e
strumenti
di
monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei
risultati
dell’attività
svolta
dalle
amministrazioni
pubbliche”; emanato a norma dell’articolo 11 della legge
15 marzo 1997, n. 59 perché al capo III, sotto il titolo
“Qualità dei servizi pubblici e carte dei servizi”, riforma in
buona parte la disciplina di cui in oggetto. In tale decreto
è infatti previsto che i servizi pubblici nazionali e locali
sono
erogati
con
modalità
che
promuovono
il
miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei
cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle
forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle
inerenti procedure di valutazione e definizione degli
standard qualitativi. Le modalità di definizione, adozione
e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le
modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di
misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di
tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di
indennizzo automatico e forfettario all’utenza per
mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite
con direttive, aggiornabili annualmente, del presidente
del Consiglio dei Ministri.
15
LA MAPPATURA DEI SERVIZI SUI TERRITORI
Questo progetto di ricerca-azione è partito da un’azione
di raccolta e analisi delle informazioni esistenti relative ai
servizi di supporto alla famiglia.
Attraverso la mappatura realizzata sui territori dei
Comuni di Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna e
Reggio Emilia è stato possibile individuare i servizi e i
progetti relativi alle aree minori, disabili e anziani, al 31
dicembre 2002.
I servizi e i progetti presi in considerazione possono
essere
definiti
come
azioni
che
supportano
la
conciliazione, quindi i tempi di cura dei familiari verso
minori, disabili e anziani.
Per la lettura e la comparazione dei servizi presenti nei
diversi Comuni si riportano alcune tabelle di sintesi.
Sono stati raccolti, dove erano presenti, i materiali
informativi che illustrano le modalità di accesso e
l’erogazione del servizio stesso. In alcuni Comuni esistono
guide ai servizi per i cittadini, che in qualche caso sono
riferite ad un’area o indirizzate ad un target di utenti; in
altri casi si tratta di guide riepilogative dei servizi per le
aree: minori, disabili anziani.
Minori
Territorio
Cesena
Minori
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 8
asili nido convenzionati: 4
centri ricreativi estivi: 1
Spazio Bimbi -centro giochi comunale
senza affido: 2
3-6
Scuole comunali dell’infanzia: 9
Scuole materne statali: 18
Scuole materne private/autonome: 5
Centri ricreativi estivi CREM
16
Faenza
Forlì
+ di 6 anni
Centri educativi pomeridiani gestiti dal
comune:2
Centri ricreativi estivi
Trasporto scolastico
Ristorazione scolastica
Progetti:
- udienze on line (dalle materne alle
elementari)
- l’associazione ADI di donne straniere ha
progettato un servizio di baby sitting
presso famiglie per bimbi stranieri e
italiani
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 2
asili nido convenzionati: 2
asili nido privati: 1
centri ricreativi estivi
3-6
Scuole materne statali: 6
Scuole materne private/autonome: 11
Centri ricreativi estivi materni CREM
+ di 6 anni
Centri ricreativi estivi elementari CREE
Trasporto scolastico
Refezione scolastica
Progetti:
- spazio giochi per bambini stranieri
presso il Centro per le famiglie, realizzato
durante il corso di lingua italiana per le
madri
- Servizio ludoteca
- “La casa di Pinocchio” kinder garden al
cinema
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 08
asili nido convenzionati: 2
17
Piacenza
Baby parking: 1
Spazio Bimbi -centro giochi con affido: 2
3-6
Scuole comunali dell’infanzia: 9
Scuole materne statali: 13
Scuole materne private/autonome: 13
Centri ricreativi estivi CREM
+ di 6 anni
Centri educativi pomeridiani:11
Centri ricreativi estivi
Trasporto scolastico
Ristorazione scolastica
Progetti:
- educatore domiciliare “Il portagioie”
- “A casa insieme”, educatore familiare,
nido in famiglia
- part-time per mamma e papà (con
assegno integrativo del reddito)
- contributo economico a favore dei datori
di lavoro che permettono l’utilizzo del
part-time ai genitori lavoratori
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 6
asili nido convenzionati: 7
spazio bambini:1
centri giochi senza affido:1
3-6
Scuole comunali dell’infanzia e statali: 5
Scuole materne private/autonome: 7
Centro educativo:1
Spazi giochi con affido: 2
Centri ricreativi estivi
Trasporto scolastico
+ di 6 anni
Centri ricreativi estivi:9
Trasporto scolastico
Ristorazione scolastica
Centri educativi:2
18
Ravenna
Reggio
Emilia
Progetti:
- servizio di baby sitter per il ritiro di
bambini dalle scuole materne ed
elementari
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 11
asili nido convenzionati: 5
centri ricreativi estivi: 7
Spazio Bimbi -centro giochi con affido: 1
Servizi sperimentali: 3 micro nidi (Baby
Gulp, Il Canguro)
3-6
Scuole comunali dell’infanzia: 22
Scuole materne statali: 9
Scuole materne private/autonome: 18
Centri ricreativi estivi CREM: 6
centro giochi con affido: 1
Centri di lettura: 2
+ di 6 anni
Centri ricreativi estivi
Trasporto scolastico
Ristorazione scolastica
Progetti:
- “Vado a scuola da solo”
- “Estate insieme. Sul filo della memoria”
- “Tempi e orari della città:Renna
- Baby centro
- “Ludobus Palomar”
Servizi:
0-3
asili nido comunali: 13
asili nido convenzionati: 9
Oasi - spazio bambini: 1
centri verdi per l’infanzia: 2
3-6
Scuole comunali dell’infanzia: 19
Scuole convenzionati: 1
19
Scuole materne statali: 12
Scuole materne private/autonome: 7
Centri verdi per l’infanzia: 2
+ di 6 anni
Trasporto scolastico
Ristorazione scolastica
Progetti:
- centri educativi pomeridiani: 3
- GET – Gruppi Educativi Territoriali
- Happy Children
- TOTEM – Centro di servizi autorizzato
per infanzia e preadolesceza, nido,
materna, doposcuola
- Vacanze estive per ragazzi
3 mesi
3 anni
In merito ai servizi che si occupano di minori dai 3 mesi
ai 3 anni, si nota la presenza di nidi comunali e
convenzionati su tutti i territori presi in considerazione.
Come emerge dalla lettura dei dati forniti dai Comuni, la
richiesta di questo servizio è elevata le domande in liste
d’attesa rimangono spesso inevase. Il numero di posti
disponibili nei nidi, comparati a quelli offerti dalle scuole
di infanzia, è di gran numero inferiore ed ha costi molto
elevati.
A supportare la carenza di posti nelle strutture
“tradizionali”, in alcuni comuni, sono presenti altri servizi
privati o convenzionati con il pubblico, che si occupano
della custodia dei bambini in questa fascia d’età quali:
centri e spazi gioco con affido e baby parking. Questi
sono servizi privati che mettono in pratica una modalità di
custodia a ore, o a pacchetti di ore; a Forlì ad esempio
oltre ad un baby parking già attivo ne sono stati
progettati altri che saranno attivati prossimamente.
La nascita di società private e associazioni che si
occupano di offrire servizi educativi e di custodia risponde
ai bisogni delle famiglie e dall’attività imprenditoriale
delle aree dell’Emilia Romagna prese in considerazione in
questa ricerca.
20
Per l’inserimento dei bambini negli asili nidi comunali o
convenzionati, dato che il numero di domande pervenute
supera il numero di posti, gli uffici istruzione dei comuni
procedono all’ammissione dei bambini sulla base di
graduatorie. I criteri, omogenei per i diversi comuni,
sono: la residenza del minore nel comune di riferimento,
il reddito dei genitori (vengono collocati in ordine
progressivo sulla base del minor reddito), l’occupazione di
entrambi o di un solo genitore, l’handicap del minore o
l’appartenenza
a
una
famiglia
monoparentale
in
condizione di grave disagio economico e sociale e la
distinzione del tipo di lavoro dei genitori (lavoro
dipendente o lavoro autonomo). Alcuni Comuni prendono
in considerazione anche le reti famigliari del minore e i
luoghi di lavoro dei genitori, questo per permettere al
genitore di inserire il proprio bambino in una struttura più
vicino al luogo di residenza e/o di lavoro.
In alcuni territori i responsabili degli uffici scuola hanno
sottolineato che, nonostante le difficoltà che una famiglia
incontra per far entrare i propri figli nei nidi comunali o
convenzionati, in qualche caso le famiglie rifiutano il
posto nella struttura a loro assegnata perché troppo
lontana dal luogo di abitazione e/o dal luogo di lavoro.
Per quanto riguarda il servizio educativo delle scuole
d’infanzia per bambini di 3-6 anni, esso garantisce la 3-6 anni
copertura dei posti solo per quanto riguarda gli asili
statali. Le scuole d’infanzia comunali e private
convenzionate non permettono a tutte le famiglie di
accedervi in quanto il numero di posti disponibili è
inferiore al numero di domande. È opportuno sottolineare
che le scuole di infanzia hanno un numero di domande
inevase minore di quelle dei nidi.
Per rispondere alle esigenze di conciliazione dei genitori e
delle famiglie, asili nido e scuole materne hanno attivato
flessibilità di orari su tutti i territori. Ciò nonostante la
maggior parte delle strutture ha un orario di chiusura fra
le 15,30 e le 16,30, solo in alcuni casi sono stati introdotti
tempi prolungati fino alle 18,30. In alcuni comuni sono
stati attivati altri servizi a pagamento di baby sitting per il
21
ritiro dei bambini dalle scuole e servizi di trasporto dalle
scuole materne ed elementari ai centri educativi (ad
esempio Piacenza), oppure sono stati realizzati spazi
gioco per bambini anche più piccoli. Questi servizi sono
soggetti al pagamento di tariffe mensili commisurata al
numero di presenze o sulla base di pacchetti di ore.
Oltre i 6
anni
Per i bambini di età superiore ai 6 anni, insieme alla
scuola dell’obbligo, vi sono servizi che facilitano la
gestione dei tempi di cura della famiglia:
• trasporto pubblico di linea o trasporto pubblico
integrativo per i bambini che abitano in zone non
coperte dal servizio pubblico;
• pre-scuola, possibilità per i bambini di accedere a
scuola prima dell’ordinario tempo di inizio delle
lezioni;
• post-scuola, permanenza a scuola in ore e/o in
giorni in cui non c’è attività didattica per facilitare i
genitori impegnati in attività lavorative non
compatibili con gli orari ordinari della scuola.
Questi servizi di pre e post scuola sono a
pagamento.
• servizio di mensa in caso di tempo pieno
(frequenza tutti i pomeriggi) e/o di modulo
(frequenza di due pomeriggi a settimana).
Vi sono inoltre dei servizi extra scolastici quali centri
educativi e ricreativi pomeridiani gestiti da scuole o da
cooperative sociali.
Anche le associazioni culturali e sportive organizzano
attività per i ragazzi dai 6 ai 15 anni con modalità
differenti e in pomeriggi specifici della settimana.
Nei periodi estivi a conclusione della scuola è possibile
utilizzare i centri estivi: numerosi per la fascia di età 6-14
anni (sia comunali che erogati dal privato sociale:
cooperative
sociali,
associazioni,
parrocchie),
numericamente inferiori per la fascia 3-6 anni e
pochissimi per quanto riguarda la fascia 3 mesi-3 anni.
22
Progetti specifici sono stati attivati per sopperire alla
chiusura dei servizi presenti sul territorio nei periodi delle I Progetti
vacanze natalizie ed estive. Tra questi il progetto “Renna
Natabefa” del Comune di Ravenna che offre il servizio di
accoglienza per bambini dai 3 ai 10 anni tutti i fine
settimana di dicembre e tutti i giorni da Natale alla
Befana, per permettere ai bambini di giocare mentre i
genitori fanno acquisti nei negozi del centro, si recano
presso uffici o sono impegnati al lavoro. La stessa
esigenza è sentita anche dall’amministrazione provinciale
di Piacenza che ha intenzione di effettuare convenzioni
con alcuni servizi educativi per minori da 0 a 18 anni nei
periodi di chiusura dei servizi tradizionali.
Alcuni territori si caratterizzano per aver progettato e
messo in opera servizi sperimentali per dare la possibilità
a gruppi di tre famiglie di usufruire di un educatore per la
cura dei bambini da 0 a 3 anni, presso l’abitazione di una
di queste famiglie. Tale progetto è stato realizzato grazie
alla convenzione stipulata tra Comune e imprese sociali;
tra questi è da citare il progetto del Comune di Forlì “A
Sono stati inoltre attivati servizi che permettono alle
famiglie di dare in custodia i loro bambini negli stessi
luoghi in cui i genitori “consumano” il loro tempo libero,
per esempio alcuni esercizi commerciali come pizzerie,
gelaterie e cinema si sono attivati con spazi adibiti a baby
sitting; per esempio il progetto “La casa di Pinocchio”
realizzata in un cinema di Faenza.
Anziani
Territorio
Cesena
Anziani
Servizi:
case di riposo:5
centri diurni:1
Assistenza domiciliare
Assistenza domiciliare integrata
Consegna a domicilio pasti
Firme e autenticazione presso il domicilio
23
Faenza
Forlì
Piacenza
Teleassistenza e Telesoccorso
Servizi di autotrasporto ed
accompagnamento assistito
Servizi:
Casa di riposo: 4
Casa albergo: 1
Casa protetta: 4
Residenza sanitaria assistenziale: 4
Comunità alloggio: 5
Centri diurni assistenziali: 5
Assistenza domiciliare
Assistenza domiciliare integrata
Consegna pasti a domicilio
Telesoccorso
Agenzia privata che offre servizi di cura
domiciliari
Progetti:
“Natale Anziani”
Servizi:
centri anziani:5
case di riposo:1
casa protetta: 3
comunità alloggio:1
centri diurni: 3 pubblici e 3 privati
centro alzheimer:1
Assistenza domiciliare
Assistenza domiciliare integrata
Consegna a domicilio pasti
Podologia
Servizio di lavanderia
Telesoccorso e telecompagnia
Trasporto
Servizi:
case di riposo:5
case protette:4
residenze sanitarie assistite:2
Comunità alloggio:2
Residenza protetta:1
Centri diurni:3
24
Ravenna
Reggio
Emilia
Progetto di
ricerca
regionale
assistenza domiciliare
assistenza domiciliare integrata
spesa e farmaci a domicilio
servizio di telesoccorso
Servizi:
Case di riposo - case albergo: 5
Case protette. 8
RSA: 1
Centri diurni assistenziali: 3
Comunità alloggio: 2
Assistenza domiciliare
Assistenza domiciliare integrata
Consegna a domicilio
Telesoccorso
Servizi:
Case protette. 5
Centri diurni: 8
RSA: 2
Nuclei speciali demenze
SOS taxi
Teleassistenza
Pasti a domicilio
Progetti:
“Demenza senile – circondiamola di aiuto”
Famiglia assistenza privata e rete dei
servizi per anziani in Emilia-Romagna
L’invecchiamento della popolazione si pone come una
delle principali sfide al sistema di welfare sociale con costi
crescenti dovuti all’assistenza sanitaria e sociale che
ricadono sia sui singoli che sulla collettività. L’assistenza
agli anziani prevede interventi rivolti a:
• prevenire e promuovere situazioni di bisogno,
abbandono e solitudine;
• favorire
la
permanenza
e
l’integrazione
nell’ambiente familiare e sociale di appartenenza;
25
•
garantire risposte idonee agli anziani non
autosufficienti anche mediante appropriati presidi
residenziali tutelari.
L’anziano non autosufficiente, che non può provvedere
alla cura della propria persona e mantenere una normale
vita di relazione senza l’aiuto determinante di altri,
necessita di cure e assistenza continua.
La famiglia ha un valore fondamentale nella terza età dal
punto di vista affettivo ed umano e il Comune, l’Azienda
Usl e le associazioni ne promuovono il ruolo insostituibile
attraverso sostegni e altre forme di aiuto.
La Legge regionale n.5 del 1994 si pone come obiettivo la
realizzazione di una rete completa di servizi che
garantiscano la globalità, l’unitarietà e la continuità delle
risposte ai bisogni dell’anziano non autosufficiente.
Nei territori mappati, le ASL in accordo con i Comuni,
intervengono a favore di persone anziane non
autosufficienti erogando servizi a domicilio volti al
mantenimento dell’anziano nel contesto familiare, come:
• assistenza domiciliare e assistenza domiciliare
integrata;
• assistenza infermieristica;
• consegna pasti a domicilio;
• servizio di trasporto, accompagnamento ed
assistenza nei luoghi di cura;
• servizio di tele-assistenza;
• spesa a domicilio;
• assegni di cura.
Quest’ultimo può essere percepito dai familiari che
accudiscono l’anziano non autosufficiente ma anche da
altre persone che dimostrano di svolgere attività
assistenziali nei suoi confronti. L’assegno di cura è
concesso
in
alternativa
all’ingresso
in
strutture
residenziali presenti in tutti i comuni presi in
considerazioni quali:
• case di riposo;
• case protette;
• centri diurni;
• R.S.A.;
26
•
case di riposo private e IPAB.
Si sottolinea che i posti disponibili nelle strutture sono
inferiori al numero delle richieste e le richieste
provengono anche da altri comuni. Le famiglie inseriscono
gli anziani in liste di attesa di più strutture anche distanti
dalla zona di residenza per assicurarsi una collocazione
più immediata possibile, visti i mutamenti rapidi dello
stato di salute dell’anziano. Il tempo di attesa non è
comunque prevedibile visto che spesso il turn over in
questi luoghi è dovuto al decesso delle persone residenti.
Nella mappatura sono stati elencati solo i servizi agli
anziani presenti nel singolo comune, spesso però le
strutture a cui fa riferimento la popolazione sono situate
in zone periferiche.
Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare fornita dai
servizi sociali, la richiesta supera il numero di offerte,
pertanto le famiglie utilizzano sempre più di frequente
l’assunzione diretta di assistenti e “badanti” straniere.
Queste prestazioni di servizi sono difficili da rilevare in
quanto implicano un contratto diretto fra le parti
contraenti, il datore e la lavoratrice straniera, e spesso
rimangono nel mercato del lavoro sommerso.
In alcuni dei Comuni sui quali è stata effettuata
l’indagine, sono nate imprese private (come a Faenza)
che fungono da mediatrici fra le “badanti e collaboratrici
domestiche straniere” e i cittadini che cercano un
assistente per il loro famigliare.
Questo tipo di servizio è richiesto anche dall’anziano
autosufficiente o parzialmente autosufficiente, che vive
da solo diventando contemporaneamente datore di lavoro
e assistito.
I Comuni mappati e le loro Province, recependo le linee
della Regione, hanno attivato percorsi formativi per le
“badanti”. In alcuni territori, assistenti e badanti italiane e
straniere si stanno organizzando in cooperative ed
imprese per fornire questi servizi.
27
Disabili
Territorio
Cesena
Faenza
Forlì
Disabili
Servizi:
Disabili in età evolutiva
centri socio-educativi e riabilitativi:12
ludoteche e centri di aggregazione:8
centri estivi:7
vacanze estive:2
associazioni varie attività:7
Disabili adulti:
pasti a domicilio
spesa a domicilio
servizio infermieristico domiciliare
Visite specialistiche domiciliare
Assistenza domiciliare educativa e
assistenziale Servizio di tele-assistenza
Servizi di trasporto
Progetti:
Formazione professionale per adolescenti e
adulti con deficit, con l’attivazione di borse
lavoro:2
Taxibus “Cesena per tutti”
Servizi:
Centri diurni socio riabilitativi assistenziali:
2
Centri occupazionali per disabili: 3
Centri residenziali: 2
Laboratorio integrato per disabili
Trasporto disabili in servizi
Servizi:
Disabili in età evolutiva
Servizi domiciliari educativi-riabilitativi ed
assistenziali
Servizi educativi a minori con handicap in
centri educativi e centri estivi
pasti a domicilio
spesa e farmaci a domicilio
28
Piacenza
Ravenna
Reggio
Emilia
trasporto
soggiorni climatici e centri estivi
Progetti:
azioni di accompagnamento per
inserimento al lavoro
Servizi:
Centri diurni socio-riabilitativi
servizi di trasporto
assistenza domiciliare
Progetti:
pronto bus
Servizi:
Centri socio-riabilitativi diurni: 3
Centri residenziali: 2
centri convenzionati diurno resid. a retta: 2
gruppo appartamento: 1
laboratorio polivalente: 1
Assistenza domiciliare
Servizio di trasporto socio sanitario
Progetti:
Servizio inserimenti Lavorativi integrati:
aziende agricole e attività commerciali
(legatoria, centro stampa, corniceria e
negozio di fiori) gestiti da cooperative in
convenzione con il Consorzio per i Servizi
Sociali
Servizi:
centri semiresidenziali: 5
appartamenti protetti: 2
centri residenziali: 2
pasti a domicilio
servizio infermieristico domiciliari
Visite specialistiche domiciliari
Assistenza domiciliare ai disabili adulti.
Servizio unificato handicap adulto
La tipologia di servizi offerta a disabili fa riferimento a
diversi ambiti di azione che rispondono a specifiche
tipologie di bisogni.
29
Nei casi in cui è richiesta un’assistenza sanitaria sono
previsti inserimenti in centri socio riabilitativi residenziali
e diurni.
Per i soggetti con una disabilità non grave e che sono
capaci di sviluppare percorsi di autonomia su alcune sfere
della vita quotidiana sono previsti inserimenti in centri
socio-occupazionali ed educativi oppure, attraverso azioni
di accompagnamento graduale, possono essere inseriti in
laboratori occupazionali e usufruire di interventi legati alla
promozione di politiche attive del lavoro (L. 68/99 “ – L.
Regionale 14/00 “Promozione dell’accesso al mercato del
lavoro
delle
persone
disabili
e
svantaggiate”).
L’inserimento lavorativo non è però sufficiente per un
adeguato inserimento sociale: per consentire la piena
integrazione è determinante il supporto della famiglia.
Per tale motivo, le ASL, in accordo con i Comuni,
intervengono a favore delle persone disabili erogando
servizi a domicilio, come:
• assistenza
domiciliare
sia
educativa
che
assistenziale;
• assistenza infermieristica;
• consegna pasti a domicilio;
• servizio di trasporto, accompagnamento ed
assistenza nei luoghi di cura;
• servizio di tele-assistenza;
• spesa a domicilio;
• contributi economici a sostegni di adulti in
difficoltà e di disabili.
Nel caso di minori con disabilità medio gravi gli interventi
sono spesso gestiti dai Comuni in accordo con le ASL che
erogano i seguenti servizi in convenzione o in accordo con
cooperative sociali, associazioni, strutture private e
volontariato:
• assistenza domiciliare (riabilitativa, educativa e
dell’accudimento)
• attività motorie e psicomotorie
• strutture residenziali e semiresidenziali
• laboratori protetti
• laboratori socio-occupazionali
30
•
•
•
•
•
•
•
contributi economici
centri pomeridiani
centri estivi
trasporti (da casa a scuola
riabilitazione)
centri socio-riabilitativi diurni
formazione
lavoro
o
al
centro
di
Dalla mappatura dei territori sui servizi offerti ai disabili
in età evolutiva e in età adulta emerge la particolarità di
Cesena che dispone di un elevato numero di centri sociali
ed educativi e riabilitativi, presenti comunque anche negli
altri comuni.
Questi centri pur avendo finalità diverse sono stati uniti
per l'obiettivo di fondo che li accomuna: facilitare i
processi di socializzazione in una prospettiva di
integrazione. Alcuni di questi restano aperti certi giorni a
settimana con l'intento di favorire l'integrazione dei
bambini e ragazzi con deficit psicofisici; altri offrono un
vero e proprio sostegno nel fare i compiti di scuola; altri
praticano riabilitazione di vari deficit con l'ausilio di
personale qualificato. Quasi tutti questi servizi sono aperti
nel periodo estivo e offrono la possibilità di effettuare
gite, escursioni, vacanze per bambini, adolescenti e adulti
con deficit psicofisici. Alcuni invece sono aperti tutto
l'anno ed utilizzano lo sport come occasione di incontro,
confronto e integrazione.
Un’altra specificità di Cesena consiste nei progetti
patrocinati da Centri di Formazione privati, come Enaip
ed Engim, rivolti ad adolescenti ed adulti con deficit
psicofisici di durata biennale o triennale; vengono
promosse borse-lavoro, pre-inserimenti e inserimenti
lavorativi.
Progetti di questo tipo vengono organizzati anche negli
altri Comuni ma a Cesena risultano avere una esperienza
continuativa e pluriennale.
31
La progettualità dei Comuni e delle imprese sulla
conciliazione
I Comuni più sensibili alla tematica della conciliazione
hanno progettato e realizzato azioni innovative a livello
nazionale.
Altri progetti sono nati dalle esigenze del territorio e dalle
richieste dei lavoratori e lavoratrici accolte dalle
associazioni di categoria, dai sindacati e dalle imprese
stesse.
Queste progettualità si diversificano da Comune a
Comune.
Territorio
Cesena
Associazioni di categorie, aziende,
sindacati, amministrazioni comunali e
provinciali
Progetti:
- asili aziendali nelle aree artigianali
progettati da associazioni di categoria
(ass. degli industriali ed Api);
- utilizzo del telelavoro per alcune figure
professionali;
- ricerca-intervento per individuare
iniziative di supporto per donne sole con
figli e per famiglie prive di reti familiari e
sociali. Promossa dal Comune e A.USL di
Cesena e condotta dal Centro donna del
Comune.
- servizio di baby sitting presso famiglie
per bimbi stranieri e italiani progettato
dall’associazione ADI di donne straniere
Progetti:
- “La rete in comune” quale promozione di
una cultura di genere alla costruzione sul
territorio di un sistema di politiche di
conciliazione fra tempi di lavoro e vita
personale
- Azioni di sviluppo sui temi della
32
flessibilità e dei congedi parentali. Ricerca
intervento in contesti aziendali e all’interno
di strutture pubbliche e convenzionate con
il privato sociale
- “Alla ricerca della flessibilità degli orari di
Piacenza
- sperimentazione del Job sharing in
aziende private
- “Progetto mamma” realizzato con la
confesercenti
- Adapt II: ricerche sulle difficoltà di
conciliazione dei tempi di lavoro e famiglia
- Adapt III: interventi locali a sostegno
della innovazione e conciliazione dei ruoli
nel lavoro e nella famiglia
- telelavoro presso cooperative di servizi
- progettazione di un asilo aziendale alla
confartigianato
- utilizzo del lavoro interinale per conciliare
le ferie dei dipendenti d’azienda con le
vacanze dei figli
- progetto per il settore delle acconciature
- progetto Asl
- ricerca “Tempi di vita e di lavoro” donne
e imprese sociali
- “Gioco di squadra per la promozione di
politiche e di pratiche di conciliazione tra
vita professionale e familiare”
Progetti:
- “attivazione di uno sportello famiglia”
presso la Cisl
- progetti di telelavoro e orari flessibili da
parte dell’ Amministrazione Provinciale
- “Tutti i minuti del mondo”, banca dei
tempi e dei saperi
- ricerca-azione “Esser donna nel topos
pubblico” sulle attività di management
femminile sia nel settore pubblico che
privato
33
Ravenna
Reggio
Emilia
- patto territoriale per Piacenza per le
donne
- “Progetto in ambito sociosanitario al
momento del rientro delle dipendenti dal
periodo di maternità” Unicoop
Progetti:
- Berenice: “Le donne e il doppio ruolo:
competenze gestionali e strategie di
conciliazione per il miglioramento del
rapporto tra vita privata e professionale”
- Form Art “Imprenditorialità femminile e
congedi parentali” della Confartigianato
(Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena)
-Banca del tempo
Progetti:
- “La promozione della presenza femminile
nei livelli,nei ruoli e nelle posizioni di
responsabilità all’interno delle
La tabella sopra riportata, suddivisa per comuni e per
progetti specifici realizzati nei diversi territori, mostra
come in alcune delle aree mappate sono stati attivati
progetti sperimentali. In alcuni territori si stanno
studiando modalità organizzative per potere concretizzare
la creazione di asili aziendali o di spazi idonei nelle aree
industriali e artigianali. Dal punto di vista progettuale le
associazioni di categoria hanno investito su questa
proposta ma le esperienze concrete di asili aziendali sono
ancora allo stato embrionale.
La realtà imprenditoriali di alcuni territori, quali Forlì e
Cesena, è per lo più composta da piccole e medie imprese
e la concentrazione del numero di lavoratori in aree
artigianali, ha portato le associazioni di categoria a fare
progetti comuni per la costruzione di asili aziendali nelle
zone artigianali. Data l’alta densità d’imprese in queste
zone è possibile agevolare i lavoratori con la presenza di
strutture che permettano di ridurre la mobilità delle
famiglie all’interno del comune. Un esempio è quello della
34
Confartigianato di Forlì che ha progettato un asilo
aziendale per i figli dei propri dipendenti e di quelli delle
aziende associate.
Progettazioni e riflessioni sull’attuazione degli asili
aziendali sono state realizzate in tutti i territori mappati,
trovando anche sostegno da parte degli enti pubblici.
Alcune realtà come Piacenza e Reggio-Emilia sembrano
invece puntare maggiormente sull’integrazione dei servizi
esistenti piuttosto che costituirli ex novo.
Le richieste di conciliazione dei tempi vengono sempre
più ascoltate dalle associazioni di categoria e dai
sindacati. L’interesse verso tali bisogni ha permesso di
attivare, insieme ad enti di formazione, Università e
Amministrazioni Pubbliche, ricerche sociali per rilevare le
esigenze di servizi da parte dei lavoratori e per
individuare risposte innovative a tali bisogni.
Fra i territori di riferimento particolarmente propositivo
sembra essere quello di Forlì che ha progettato e
realizzato numerose azioni in materia di conciliazione.
A Cesena dal 2002 è in corso una ricerca-azione che ha
l’obiettivo di individuare modalità di erogazione di servizi
per donne sole con figli e per famiglie prive di reti
parentali. Questo progetto, attivato dal Comune e dalla
A.usl, vuole verificare la possibilità di realizzare interventi
di mediazione, tramite operatori sociali, fra i datori di
lavoro e le famiglie monoparentali.
Sullo
stesso
territorio
un
progetto
avviato
dall’Associazione di donne straniere sottolinea la
necessità di supportare famiglie senza reti parentali sul
territorio, fornendo un servizio gratuito di baby sitting a
figli di stranieri e italiani.
Riflessioni
In conclusione, la realizzazione della mappatura dei
servizi ha messo in evidenza la mancanza di una cartina
35
della città che rende visibile la dislocazione dei servizi
presenti. Questo strumento permetterebbe alle famiglie di
scegliere in modo razionale e sulla base di più i servizi
offerti sia privati che pubblici.
36
LE IMPRESE E LA CONCILIAZIONE:
UN CONTRIBUTO DEGLI IMPRENDITORI
Una fase della rilevazione quali-quantitativa si riferisce
specificatamente agli imprenditori delle piccole-medie
aziende contattate nei territori di Cesena, Faenza, Forlì,
Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, al fine di rilevare i
bisogni emergenti nelle aziende e le soluzioni adottate
dagli imprenditori in tema di conciliazione dei tempi di
lavoro e tempi di vita delle donne lavoratrici.
Lo strumento di indagine utilizzato è un questionario
semi-strutturato, suddiviso in 6 sezioni: Anagrafica
Aziendale - Dati dell’imprenditore - Tempi di lavoro e
tempi di cura: i servizi di supporto - L’organizzazione
della realtà lavorativa - La normativa a favore della
conciliazione - L’informazione in materia di conciliazione.
Il questionario così strutturato è stato sottoposto agli
imprenditori o legali rappresentanti, siano essi uomini o
donne, delle stesse aziende in cui si è proceduto a
rilevare i bisogni di conciliazione delle donne lavoratrici.
La rilevazione è stata condotta tenendo presente che una
delle finalità del progetto di ricerca è la diffusione della
CULTURA
DELLA
CONCILIAZIONE
all’interno
delle
aziende: in tale fase di ricerca si è voluto infatti
sensibilizzare in particolare gli imprenditori alle tematiche
della conciliazione.
Il contatto con gli imprenditori si è rivelato importante e
per alcuni territori è risultato molto proficuo poiché alcuni
di essi hanno continuato a collaborare alla ricerca,
intervenendo ai Focus Group che sono stati organizzati a
livello territoriale con la partecipazione di diversi soggetti
delle
realtà
imprenditoriali,
istituzionali
e
dell’associazionismo di categoria.
In corso d’opera è stato necessario adattarsi alle esigenze
degli imprenditori, diverse infatti sono state le difficoltà
incontrate nella fase di contatto con gli imprenditori:
• pochi imprenditori hanno acconsentito all’incontro
diretto con il ricercatore, mentre nella maggioranza dei
37
•
•
casi il questionario è stato compilato volutamente
senza alcun supporto.
la maggioranza degli imprenditori ha preferito
mantenere un contatto più rapido e meno impegnativo
con il ricercatore preposto, preferendo canali di
trasmissione diversi da quello personale (telefono, fax,
e-mail).
una buona parte di imprenditori contattati, pur dando
il consenso alla somministrazione dei questionari alle
lavoratrici della propria azienda, hanno riportato la
propria difficoltà di “trovare il tempo” sia per
incontrare
il
ricercatore,
sia
per
compilare
autonomamente il questionario.
Tali difficoltà hanno inciso sulla rilevanza statistica dei
dati emersi e giustificano la scarsità dei questionari
pervenuti: su n. 28 aziende che hanno collaborato alla
ricerca, n. 20 imprenditori hanno provveduto alla
compilazione del questionario.
Tuttavia, ricordiamo che la finalità di questa rilevazione
non era un’elaborazione statistica di dati, ma piuttosto
l’occasione per riflettere insieme ad alcuni imprenditori
sulle modalità aziendali adottate per affrontare le
dinamiche della conciliazione che si sviluppano all’interno
dell’organizzazione.
Anagrafica aziendale
Il campione di imprenditori coinvolti nella rilevazione
risulta essere costituito da un totale di 20 fra titolari,
legali rappresentanti, direttori responsabili di piccole
medie imprese con meno di 50 addetti che operano in
attività caratterizzate da una prevalente occupazione
femminile:
38
Servizi
tradizionali
alle imprese
Cesena
Faenza
Forlì
Piacenza
Ravenna
Reggio
Emilia
Tot.
Servizi
avanzati
alle
imprese
2
5
3
1
1
2
1
11
Servizi
alla
persona
Agroalimentare
1
Tot.
1
1
1
1
1
1
3
6
4
3
1
3
3
4
20
Come già ricordato, non si deve sopravalutare l’esiguo
numero di questionari pervenuti, che assumono
importante valore per la qualità delle risposte date e non
Come si evince dalla tabella riepilogativa sopra riportata,
gli imprenditori che maggiormente hanno dato la propria
disponibilità, operano in aziende del settore dei servizi
avanzati alle imprese. Questo è un dato che porta già a
riflettere su come a livello aziendale l’approccio alla
conciliazione varia a seconda della tipologia di attività
svolta.
Dall’insieme dei dati estrapolati, si evidenzia che la
struttura organizzativa più diffusamente utilizzata è
quella funzionale, con un grado di strutturazione interna
medio-alta: ossia caratterizzata dalla presenza di
organigramma, definizione dei ruoli e mansionari,
parziale o totale definizione dei processi organizzativi.
Si tratta per lo più di aziende con un medio rischio di
sopravvivenza nell’ambiente competitivo e con un grado
di programmazione delle proprie attività a breve-medio
termine (da 3 mesi a 1 anno). Il livello di contatto fra le
dipendenti
nelle
principali
funzioni
aziendali
(amministrazione,
produzione,
commerciale)
risulta
essere per lo più alto internamente e alto esternamente.
39
Una lettura più attenta alle specificità territoriali evidenzia
in modo più dettagliato gli elementi sopra riportati.
I casi aziendali presi in esami sul territorio di Cesena
risultano
avere
una
struttura
organizzativa
prevalentemente funzionale, con un medio rischio di
sopravvivenza sul mercato, un grado medio di
strutturazione delle proprie attività, e un grado di
programmazione delle attività a lungo e medio periodo
(da un anno fino a tre anni).
Le dinamiche relazionali fra le dipendenti nelle diverse
funzioni aziendali si differenziano in tal modo:
nell’amministrazione
le
lavoratrici
si
relazionano
maggiormente con i colleghi amministrativi che con quelli
delle altre aree aziendali (rapporto alto interno/basso
esterno); nella produzione, il contatto fra le lavoratrici è
ugualmente elevato sia internamente sia esternamente;
nel commerciale le risposte sono più diversificate.
La struttura organizzativa delle aziende coinvolte nel
territorio di Faenza è prevalentemente funzionale, con
competitività dell’ambiente a rischio di sopravvivenza
medio.
Il
grado
di
strutturazione
aziendale
è
prevalentemente
medio,
con
un
grado
di
programmazione delle attività per lo più a breve termine.
Il livello di contatto fra le dipendenti nelle tre funzioni
aziendali è prevalentemente alto sia internamente che
I casi aziendali presi in esame a Forlì, sono caratterizzati
da una struttura organizzativa funzionale, a medio rischio
di competitività sul mercato, con un grado medio di
strutturazione (alta strutturazione per l’azienda agroalimentare), e un grado di programmazione delle attività
a breve periodo (medio per un’azienda di servizi
avanzati).
In riferimento al contatto delle dipendenti nelle diverse
funzioni aziendali, si rileva che: a livello amministrativo e
a livello commerciale, il tipo di contatto che si verifica
maggiormente è alto sia internamente sia esternamente;
a livello produttivo si verifica la differenza tra il contatto
40
alto interno/basso esterno (per azienda agro-alimentare)
e alto interno ed esterno (azienda di servizi avanzati).
Le aziende intervistate a Piacenza sono caratterizzate da
una struttura organizzativa di tipo funzionale, con rischio
di sopravvivenza medio e alto nell’ambiente, con un
grado di strutturazione medio e alto, e un grado di
programmazione delle attività a medio termine (6 mesi-1
anno) e a lungo periodo (fino a 3 anni).
Il livello di contatto fra le dipendenti nelle diverse funzioni
organizzative
risulta
essere
prevalentemente
alto
internamente
e
alto
esternamente,
sia
nell’amministrazione
che
nel
commerciale.
Nella
produzione è diffuso il rapporto basso interno/alto
esterno (agro-alimentare) e alto interno/basso esterno
(servizi tradizionali).
L’unica testimonianza imprenditoriale che ci viene
riportata a Ravenna è quella di un’azienda di servizi
avanzati alle imprese, con struttura organizzativa
divisionale, a medio rischio di concorrenzialità, ad alto
grado di strutturazione ed un grado di programmazione
delle attività a medio termine (1 anno).
Il livello di contatto delle dipendenti nelle diverse funzioni
organizzative risulta essere alto internamente e basso
esternamente sia nella produzione sia nel commerciale.
Un’importante considerazione riportata dall’imprenditrice
donna sottolinea il fatto che “nel suo settore lavorativo il
99% dei lavoratori impiegati sono donne, in possesso di
laurea cosiddetta ‘debole’ e sono principalmente
collaboratrici. Il tipo di contratto e gli orari di lavoro non
permettono di conciliare: arrivate ad un certo punto o
lasciano la formazione oppure decidono di non avere una
famiglia”.
Il tipo di struttura organizzativa che accomuna i casi
aziendali di Reggio Emilia è quella funzionale, con un
rischio di sopravvivenza medio nell’ambiente. Il grado di
strutturazione utilizzato risulta essere medio per l’azienda
di servizi tradizionali e alto per le altre aziende (agroalimentare e servizi alla persona), mentre il grado di
41
programmazione delle attività è a medio termine per
tutte le aziende considerate.
Il contatto fra le dipendenti nelle principali funzioni
organizzative si distribuisce in maniera differenziata fra
tutti i livelli e fra le diverse aziende.
Gli imprenditori
Gli imprenditori che hanno collaborato alla compilazione
del questionario sono uomini e donne, in età
prevalentemente compresa tra 31 e 50 anni, per lo più
laureati, coniugati/conviventi e coniugati/conviventi con
figli, residenti nel comune in cui ha sede l’azienda, o nei
paesi limitrofi.
La maggioranza ha mantenuto un ruolo operativo, oltre al
ruolo gestionale/direttivo, e svolge la propria attività
prevalentemente senza vincolo di orario.
Piacenz
a
Reggio
Emilia
Ravenn
a
Faenza
Forlì
Cesena
Servizi
Servizi Servizi
Agrotradizional avanzat
alla
alimentar
i alle
i alle
person
e
imprese imprese
a
F
M
F
M
F
M
F
M
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
7
3
1
4
11
1
1
1
2
1
3
2
2
4
Tot.
F
2
M
1
1
2
1
-
2 4
3 1
2 1
11 9
20
Tempi di lavoro e tempi di cura: i servizi di supporto
42
In generale, agli imprenditori intervistati risulta che sui
territori di riferimento siano presenti i servizi “standard”
di supporto alle famiglie, quali: asilo nido, scuola
materna, centri estivi, riabilitativi, e diurni, case protette
e di riposo. Pochi sono quelli che sanno della presenza di
baby-parking, centri gioco con affido. Solo in un caso
viene riportata l’esistenza di asili aziendali.
La maggioranza degli intervistati non usufruisce di servizi
pubblici/privati perché non hanno necessità di questo tipo
o perché nei pochi casi riportati fanno affidamento sulla
rete familiare (nonni) o babysitter. Soltanto 4
imprenditori dichiarano di usufruire di alcuni servizi per
minori (centro diurno per ragazzi, asilo nido, centro
estivo, pre e dopo scuola) che riescono a rispondere ai
bisogni di conciliazione.
Si riportano le modalità di approccio ai servizi di supporto
adottate dalle aziende a livello territoriale.
Nei casi aziendali di Cesena, solo le imprenditrici donne
rispondono alle domande relative ai servizi di supporto ai
tempi di cura. Baby parking, centri gioco con affido e prescuola sono i servizi di cui non risulta la presenza nel
territorio, mentre sono conosciuti: asilo nido, scuola
materna, centri estivi, centri socio-educativi e riabilitativi,
case di riposo. Tali servizi di supporto non vengono
comunque utilizzati perché al momento non vi sono
necessità né esigenze familiari di questo tipo.
A
Faenza,
un
solo
imprenditore
uomo
(coniugato/convivente con 1 figlio) utilizza servizi per
minori, che rispondono solo in parte ai bisogni di
conciliazione. Gli altri intervistati non usufruiscono di
servizi pubblici o privati, perché “non interessati”; nel
caso di una imprenditrice donna (separata con 2 figli) la
motivazione è legata alla mancanza di un adeguato
servizio di trasporto, e fa fronte al problema della
conciliazione con l’auto-organizzazione.
43
I servizi che gli intervistati non ritengono presenti nel
territorio di Forlì risultano essere: baby parking, centri
gioco con affido, pre-scuola, centri socio-educativi e
riabilitativi,
centri
diurni,
case
protette.
Solo
l’imprenditore uomo conosce o ha sentito parlare di tutti i
servizi indicati, tranne i centri diurni e le case di riposo.
Nessuno degli imprenditori intervistati dichiara di
usufruire di servizi pubblici o privati perché “non
interessati”; solo nel caso di un’imprenditrice, il motivo è
da legarsi al fatto che la domanda presentata non è stata
accolta, e pertanto fa fronte al problema della
conciliazione affidandosi al sostegno dei parenti.
In generale, a Piacenza, gli imprenditori ritengono che
tutti i servizi elencati nel questionario siano presenti nel
territorio; solo un’imprenditrice non conosce i seguenti
servizi: baby parking, centri gioco con affido, pre-scuola,
centri socio-educativi e riabilitativi, centri diurni, case
protette e di riposo. Due imprenditori non usufruiscono di
servizi pubblici o privati perché non interessati; solo nel
caso di un’imprenditrice donna (coniugata/convivente con
due figli) vengono utilizzati servizi per minori (asilo nido,
scuola materna, centri estivi) che sembrano rispondere ai
suoi bisogni di conciliazione.
Considerando l’unica imprenditrice donna che a Ravenna
ha provveduto alla compilazione del questionario
(coniugata/convivente senza figli), non risulta che sul
territorio siano presenti i servizi di baby parking, centri
gioco con affido e centri estivi. Non usufruisce di servizi
pubblici o privati perché non interessata, e fa fronte al
problema della conciliazione affidandosi alla gestione
autonoma.
Gli imprenditori contattati a Reggio Emilia ritengono che
siano presenti quasi tutti i servizi loro elencati; in un caso
sono stati aggiunti i centri di aggregazione per anziani. I
servizi meno conosciuti sono centri gioco con affido, baby
44
parking, pre-scuola, centri socio-educativi e riabilitativi.
L’imprenditrice donna dichiara di non usufruire di servizi
pubblici o privati perché non interessata, e preferisce far
fronte al problema della conciliazione con il supporto dei
nonni. Al contrario, gli imprenditori uomini dichiarano di
usufruire di servizi per minori, quali: centro diurno per
ragazzi, asilo nido, centri estivi, scuole sportive e di
musica. Entrambi ritengono che tali servizi rispondano ai
propri bisogni di conciliazione; in un caso si riporta anche
il sostegno fornito dai parenti.
L’organizzazione della realta’ lavorativa
Nelle aziende contattate i tempi di lavoro sono organizzati
sottoforma di part time, flessibilità dell’orario di lavoro in
entrata e in uscita, e con orario continuato (in pochi casi
il lavoro a turni); forme queste che sono utilizzate per lo
più nell’area amministrativa.
Le organizzazioni sono state spinte ad utilizzare tali
modalità organizzative principalmente per un vantaggio
dell’azienda stessa e per andare incontro alle esigenze
personali espresse dalle lavoratrici, rispondendo in tutti i
casi riportati ai loro bisogni di conciliazione.
In riferimento alle modalità innovative che si stanno
sperimentando attualmente in Italia e in Europa
sull’articolazione dei tempi di lavoro, la maggioranza degli
intervistati non ha mai sentito parlare o comunque non
conosce tali forme sperimentali; solo in pochi casi citano
il job sharing e la banca delle ore.
Nelle aziende coinvolte non sono per nulla previste forme
di sostegno particolari: solo in due casi è prevista la
formazione al rientro dalla maternità e solo in un caso è
presente una figura simile ad un mentore per il sostegno
alla carriera.
Quasi tutti gli imprenditori consultati riferiscono della
possibilità di organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze dei singoli lavoratori, tramite accordi per lo più
informali e verbali, tentando di incrociare le esigenze del
45
momento; in alcuni casi ciò è possibile solo in parte e solo
per alcune figure professionali.
Comunque, sul tema della conciliazione in azienda, la
percezione generale degli imprenditori è che le esigenze
di conciliazione dei lavoratori vengano pienamente o
mediamente accolte dall’organizzazione, ritenendo che ciò
sia dovuto sicuramente all’interesse della dirigenza per il
personale e per le condizioni di lavoro, alla disponibilità
dei lavoratori a collaborare, e in parte anche all’assenza
di vincoli propri dell’azienda (struttura, mercato, ritmi
produttivi, ecc.); solo in un caso si ritiene che ciò sia
dovuto anche al fatto che è un problema diffuso tra il
personale.
Si riporta di seguito l’analisi per singoli territori.
Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro
utilizzate dalle aziende contattate a Cesena, sono
principalmente il part time e la flessibilità dell’orario di
lavoro in entrata e in uscita; nel caso di un’azienda di
servizi avanzati alle imprese si specifica anche la
possibilità di lavoro a domicilio. Tali modalità vengono
utilizzate più che altro dai lavoratori amministrativi,
anche se nel caso sopra riportato (azienda di servizi
avanzati) si specifica che la flessibilità dell’orario vale per
tutte le funzioni aziendali, tranne l’attività progettuale che
viene svolta principalmente a casa.
Le organizzazioni interessate sono state spinte ad
approntare tali modalità organizzative su richiesta delle
lavoratrici, per andare incontro alle loro esigenze
personali, e anche perché si considera un vantaggio per
L’adozione di tali forme di orario hanno risposto in tutti i
casi considerati ai bisogni di conciliazione, poiché si
specifica che “l’organico è composto dal 50% di donne
che sono anche mamme” e perché “c’è una maggiore
presenza in famiglia”.
Solo in un caso (azienda di servizi alle persone) non si
conoscono le modalità attualmente sperimentate in Italia
46
e in Europa per la diversa articolazione dei tempi di
lavoro; le altre due imprenditrici invece affermano di aver
sentito parlare di job sharing e di banca delle ore.
In due casi aziendali (aziende di servizi avanzati) sono
previste delle forme di sostegno, quali la formazione al
rientro dalla maternità e la presenza di una figura simile
ad un mentore per il sostegno alla carriera.
In tutti i casi é possibile organizzare l’orario di lavoro in
base alle esigenze dei singoli lavoratori tramite accordi
principalmente verbali che vengono messi in atto
“rispetto a singoli progetti” oppure settimanalmente o
all’occasione, come viene specificato in un caso: “si tratta
di una gestione delle attività concepita per obiettivi che
non prevede un presidio continuo in azienda ma il
raggiungimento dei risultati; pertanto le lavoratrici
comunicano settimanalmente la loro organizzazione e
possono far fronte con semplice comunicazione orale agli
imprevisti che subentrano, come ad esempio la malattia
di un figlio, ecc. sono presenti accordi formalizzati su
obiettivi e vengono definiti i tempi entro i quali devono
esser raggiunti”.
Gli imprenditori hanno la percezione che le esigenze di
conciliazione dei lavoratori siano pienamente accolte,
ritenendo che ciò sia dovuto sicuramente all’interesse
della dirigenza per il personale e le condizioni di lavoro e
alla disponibilità dei lavoratori a collaborare; non si ritiene
comunque che sia un problema molto diffuso tra il
personale. Solo in un caso (azienda di servizi avanzati) si
pensa che ciò sia dovuto anche al fatto che non vi sono
vincoli strutturali e organizzativi dell’azienda.
Fra gli imprenditori contattati a Faenza, uno solo decide
di non completare la parte relativa alla organizzazione
della propria realtà lavorativa.
Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro
maggiormente presenti nelle aziende interessate sono la
flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita e il
part time, in misura minore il lavoro a turni e l’orario
47
continuato. Sono forme adottate in quasi tutte le funzioni
aziendali e in modo specifico a livello amministrativo.
Le aziende sono state spinte ad approntare tali modalità
principalmente per rispondere alle esigenze espresse
dalle lavoratrici, e in forma ridotta per la sensibilità verso
le condizioni di lavoro, per un vantaggio dell’azienda, e
per la tipologia di lavoro.
Per quanto riguarda le forme innovative di articolazione
dei tempi che si stanno sperimentando in Italia e in
Europa, soltanto un’imprenditrice (azienda di servizi
avanzati) ha sentito parlare di job sharing, job splitting,
banca delle ore, lavoro term-time.
Non sono previste in azienda forme di sostegno
particolari, se non in un caso la formazione al rientro
dalla maternità.
In tutti i casi, tranne uno, é possibile organizzare l’orario
di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori, per lo
più tramite accordi verbali in base alle esigenze di
entrambi (lavoratore-azienda) o comunque che vengono
pattuiti in maniera informale; in un caso (azienda di
servizi alle imprese) si prevede nel contratto l’orario
continuato per i non residenti nel comune di lavoro.
La percezione generale è che le esigenze di conciliazione
dei lavoratori siano pienamente accolte dall’azienda,
grazie all’interesse della dirigenza per il personale e le
condizioni di lavoro, alla collaborazione dei lavoratori, al
fatto che è un problema diffuso tra il personale.
Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro presenti
nelle aziende contattate a Forlì sono principalmente la
flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita, il
part time e l’orario continuato (solo in un caso si riporta
anche il lavoro a turni), utilizzate principalmente nelle
funzioni aziendali dell’amministrazione e della produzione.
L’azienda è stata spinta ad adottare tali forme
principalmente per la richiesta da parte delle lavoratrici, e
in parte per: la sensibilità per le condizioni di lavoro dei
lavoratori, il vantaggio dell’azienda, le esigenze personali
e la tipologia di lavoro.
48
Tali modalità sembrano aver risposto ai bisogni di
conciliazione dei lavoratori, anche perché “ottimizza
meglio il lavoro di tutti”.
Riguardo alle modalità innovative di lavoro che articolano
diversamente i tempi di lavoro, nessuno degli
imprenditori contattati ha sentito parlare di tali forme, se
non in un caso in cui si riporta la conoscenza del job
sharing e job splitting.
Non sono previste in azienda forme di sostegno, anche se
è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze dei singoli lavoratori; in un caso ciò è possibile
solo per alcune figure professionali. In generale tale
flessibilità si mette in pratica con accordi verbali.
La percezione generale degli imprenditori è che le
esigenze
dei
lavoratori
vengano
accolte,
grazie
all’interesse della dirigenze per il personale e le condizioni
di lavoro, alla collaborazione dei lavoratori; solo in parte
lo si considera un problema diffuso tra il personale.
Le modalità di organizzazione dei tempi di lavoro
maggiormente presenti nelle aziende di Piacenza
risultano essere il part time, la flessibilità dell’orario di
lavoro in entrata e in uscita, il lavoro a turni, e l’orario
continuato. Queste forme vengono utilizzate in modo
diverso a seconda delle funzioni aziendali.
Le organizzazioni sono state spinte ad approntare tali
modalità, principalmente per una certa sensibilità che
l’azienda dimostra per le condizioni di lavoro dei
lavoratori, per andare incontro alle esigenze personali
espresse dai lavoratori e anche perché rappresenta un
vantaggio per la stessa azienda.
Tali modalità hanno risposto ai bisogni di conciliazione, in
si incastrano bene per i vari ruoli e settori”.
In riferimento alle modalità innovative di lavoro che
vengono attualmente sperimentate in Italia e in Europa
per una diversa articolazione dei tempi di lavoro, Banca
delle ore e Job sharing risultano essere le forme più
conosciute.
49
In azienda non sono previste particolari forme di
sostegno alla carriera o di conciliazione fra lavoro e
famiglia, anche se in tutte le aziende coinvolte è possibile
organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze dei
singoli lavoratori, tramite accordi per lo più formalizzati
(solo nel caso dell’azienda di servizi tradizionali gli accordi
sono verbali). Nel caso dell’azienda agro-alimentare, si
nei reparti non produttivi si formalizzano le
variazioni organizzative sulla base delle esigenze dei
singoli”.
Gli imprenditori hanno la percezione che le esigenze di
conciliazione dei lavoratori vengano pienamente o quasi
tutte accolte, pensando che ciò sia dovuto principalmente
all’interesse delle dirigenza per il personale e le condizioni
di lavoro e alla collaborazione dei lavoratori.
In due casi (servizi tradizionali e agro-alimentare) si
pensa che ciò sia dovuto in parte anche all’assenza di
vincoli strutturali e organizzativi propri dell’azienda, e in
un caso (servizi tradizionali) in parte anche al fatto che è
un problema diffuso tra il personale.
Nel caso aziendale di Ravenna, le modalità di
organizzazione dei tempi di lavoro adottate dall’azienda
contattata consistono nella flessibilità dell’orario di lavoro
in entrata e uscita e nell’orario continuato, che vengono
utilizzate a livello di funzione amministrativa e produttiva.
Nonostante si ritenga che non vi siano particolari
esigenze di conciliazione tra il personale, l’organizzazione
è stata spinta ad adottare tali modalità per la particolare
sensibilità verso le condizioni di lavoro dei lavoratori e
perché comunque è un vantaggio per l’azienda.
Delle forme innovative di articolazione dei tempi che si
stanno sperimentando in Italia e in Europa, sono
conosciute soltanto il job sharing e la banca delle ore.
Non sono previste in azienda forme particolari di sostegno
e non è possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze dei singoli lavoratori: infatti la percezione
riportata è che le esigenze di conciliazione dei lavoratori
siano accolte in una giusta misura.
50
A Reggio Emilia, le modalità di organizzazione dei tempi
di lavoro presenti nelle aziende contattate sono
principalmente il part time, il lavoro a turni, e l’orario
continuato, utilizzati per lo più a livello amministrativo e
produttivo.
Le aziende sono state spinte ad utilizzare tali forme
organizzative per richiesta da parte dei lavoratori, per la
sensibilità che l’azienda ha verso le condizioni di lavoro
dei lavoratori, e perché considerano un vantaggio per
l’azienda e, come riportato in un caso, “anche per la
clientela”.
In tutti i casi, tali modalità hanno risposto ai bisogni di
conciliazione, perché “corrispondenti alle nostre e alle
loro esigenze” e perché “con il part time sono
soddisfatte”.
Per quanto riguarda le modalità innovative di lavoro che
sono attualmente sperimentate in Italia e in Europa, solo
un imprenditore (servizi alla persona) ha sentito parlare
di job sharing e di banca delle ore; gli altri non conoscono
nessuna delle forme indicate.
Nelle aziende contattate non sono previste particolari
forme di sostegno, se non lo stage “per introdursi nel
lavoro” e “la formazione periodica per i dipendenti”.
In tutti i casi considerati, è possibile organizzare l’orario
di lavoro in base alle esigenze dei singoli lavoratori
tramite accordi verbali e informali, trovando un accordo
tra le esigenze del lavoratore e dell’azienda. In un caso il
part time viene visto come una modalità di organizzare
l’orario di lavoro in base alle esigenze di alcune figure
professionali.
Gli imprenditori consultati hanno la percezione che le
esigenze di conciliazione dei lavoratori siano totalmente
accolte, grazie all’interesse della dirigenza per il
personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei
lavoratori a collaborare, e in parte all’assenza di vincoli
strutturali-organizzativi dell’azienda. Non si ritiene
comunque che sia un problema diffuso tra il personale.
51
La normativa a favore della conciliazione
In riferimento agli strumenti previsti dalla Legge italiana
per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura, la
maggioranza degli imprenditori sostiene di conoscere o
comunque di aver sentito parlare di quasi tutti gli
strumenti loro elencati: congedo di maternità, parentale,
per ragioni familiari e per adozione; interruzione di
carriera con diritto sul posto di lavoro al rientro; part time
Tuttavia, fra questi strumenti pochi sono quelli che, oltre
ad essere conosciuti, vengono anche utilizzati in azienda,
e sono più che altro: congedi di maternità, parentale, per
ragioni familiari, assegni familiari, part time al rientro
dalla maternità; soltanto nel caso aziendale di Ravenna
viene riportato anche l’utilizzo dell’interruzione di carriera
con diritto sul posto di lavoro al rientro.
Rispetto agli strumenti utilizzati una parte degli
intervistati ritiene che tali strumenti abbiano soddisfatto i
bisogni di conciliazione dei lavoratori, perché hanno
riconosciuto la disponibilità dell’azienda, o perché per il
momento le esigenze sono poche, o perché sono contenti
o perché sono consoni alle esigenze. Una parte degli
intervistati invece pensa che tali strumenti rispondano
solo in parte ai bisogni dei lavoratori, perché sono
comunque obblighi di legge, o perché le esigenze del
personale non si sposano interamente con quelle
dell’azienda, o perché sono insufficienti, o perché per le
lavoratrici autonome sono economicamente insufficienti
da permettere di restare in maternità. Solo in un caso si
pensa che non abbiano avuto effetto perché non c’è stata
occasione per utilizzarli.
A Cesena, gli strumenti previsti dalla Legge sono quasi
tutti conosciuti dagli imprenditori contattati, e soltanto in
un caso nessuno di questi viene utilizzato (azienda di
servizi avanzati) perché “sono pochi”;
gli
altri
imprenditori utilizzano o hanno utilizzato per lo più
52
l’assegno di maternità e sgravi fiscali/altri contributi
economici, e tutte le altre forme di supporto alla
maternità.
Nei casi aziendali di Faenza, due imprenditori hanno
scelto di non rispondere a questa sezione del
questionario. Quasi tutti gli imprenditori interessati
conoscono tutti gli strumenti previsti dalla Legge italiana
per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura, ma pochi
sono quelli anche utilizzati. Comunque tutti ritengono che
gli strumenti utilizzati abbiano soddisfatto i bisogni di
conciliazione dei lavoratori, precisando che sono “consoni
alle esigenze”.
Nelle aziende coinvolte a Forlì, gli strumenti previsti dalla
Legge italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di
cura sono conosciuti da quasi tutti gli imprenditori
contattati, ma nessuno di questi viene utilizzato in
azienda. Solo in un caso (azienda di servizi avanzati) gli
strumenti utilizzati sono il congedo di maternità e gli
assegni familiari.
Riguardo agli strumenti previsti dalla Legge italiana, gli
imprenditori di Piacenza dichiarano di conoscere molti di
quelli indicati nel questionario, ma di questi pochi
risultano essere utilizzati in azienda.
Rispetto agli strumenti che vengono utilizzati, un solo
imprenditore pensa che tali strumenti abbiano soddisfatto
i bisogni di conciliazione degli imprenditori perché “per il
momento le esigenze sono ridotte”, mentre due
imprenditori ritengono che abbiano soddisfatto solo in
parte i bisogni dei lavoratori, perché “le esigenze
personali non si sposano interamente alle esigenze
dell’azienda”.
Nel caso aziendale di Ravenna, sono conosciuti tutti gli
strumenti previsti dalla Legge italiana per sostenere la
conciliazione e il lavoro di cura: di questi sono stati o
sono utilizzati in azienda il congedo di maternità, per
53
ragioni familiari e per adozione, l’interruzione di carriera
con diritto sul posto di lavoro al rientro, gli assegni
familiari e di maternità.
Si ritiene che gli strumenti utilizzati abbiano soddisfatto i
bisogni dei lavoratori solo in parte, perché “laddove
utilizzati é stato per adempiere ad obblighi di legge
A Reggio Emilia, gli imprenditori contattati sostengono
di conoscere quasi tutti gli strumenti di conciliazione
previsti dalla Legge italiana, anche se quelli utilizzati
all’interno delle proprie aziende sono: congedi di
maternità, parentale e per ragioni familiari, assegni
familiari e di maternità, part time dopo la nascita del
figlio, banche del tempo. Rispetto agi strumenti utilizzati
si ritiene che abbiano soddisfatto i bisogni di conciliazione
dei lavoratori perché “sono contenti” e perché “hanno
riconosciuto
la
disponibilità
dell’azienda
alla
conciliazione”.
L’informazione in materia di conciliazione
La maggior parte degli intervistati, e in particolare le
imprenditrici donne, ha ricercato informazioni sulla
possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura,
ottenendo informazioni prevalentemente da associazioni
di categoria e da servizi informativi territoriali e in parte
da sindacati, responsabili del personale, mass-media.
In generale, gli intervistati pensano che sia abbastanza o
molto agevole ottenere informazioni sulla possibilità di
conciliare i tempi di lavoro e i tempi di cura; soltanto in
cinque casi si ritenere poco o per nulla agevole l’accesso
alle informazioni.
In quasi tutte le organizzazioni consultate non sono per
nulla o quasi per niente previsti momenti di formazione o
apprendimento sulla tematica della conciliazione; soltanto
in un caso ciò avviene in base alle esigenze espresse.
Tuttavia per quasi tutte esiste la possibilità di discutere e
confrontarsi con i lavoratori sul tema della conciliazione,
anche se in alcuni casi ciò non è assolutamente possibile.
54
A Cesena tutti gli imprenditori intervistati hanno
ricercato e ottenuto informazioni sulla possibilità di
conciliare tempi di lavoro e tempi di cura da servizi
informativi territoriali, associazioni di categoria, sindacato
dei lavoratori e giornali. Ognuno di loro ha risposto in
maniera diversa alle considerazioni relative alla possibilità
di ottenere facilmente le informazioni sulla conciliazione.
Non sono previsti momenti di formazione sulla tematica
della conciliazione in azienda, anche se c’è la possibilità di
discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della
conciliazione.
La maggioranza degli imprenditori contattati a Faenza,
sostiene di non avere mai ricercato informazioni sulla
possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura;
soltanto un’imprenditrice donna dichiara di averle cercate
su internet.
Coloro che sostengono di non averle mai ricercate,
dichiarano tuttavia di aver ricevuto delle informazioni più
che altro da associazioni di categoria; in un caso anche
da colleghi/amici e mass-media.
Tutti ritengono che sia abbastanza agevole ottenere
informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro
e tempi di cura.
Nelle organizzazioni coinvolte non sono previsti momenti
di formazione sulla tematica della conciliazione, anche se
c’è la possibilità di discutere e confrontarsi con i lavoratori
sul tema della conciliazione.
Nessuno degli imprenditori contattati a Forlì ha mai
ricercato intenzionalmente informazioni sulla possibilità di
conciliare tempi di lavoro e tempi di cura; ciò nonostante
hanno informazioni fornite da colleghi, amici e dal
responsabile del personale. Tutti gli intervistati comunque
pensano che sia abbastanza agevole ottenere delle
informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro
e i tempi di cura.
55
Nelle organizzazioni interessate non sono previsti
momenti di formazione sulla tematica della conciliazione
e soltanto in un caso (azienda agro-alimentare) si riporta
la piena possibilità di discutere e confrontarsi con i
lavoratori sul tema della conciliazione; negli altri casi tale
possibilità è assente o molto limitata.
A Piacenza, gli imprenditori consultati hanno ricercato
informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro
e tempi di cura, ottenendole principalmente da
associazioni di categoria e sindacati, e in misura minore
da
servizi
informativi
territoriali,
mass-media
e
consulente del lavoro.
In generale si ritiene abbastanza o poco agevole ottenere
informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro
e i tempi di cura. Nonostante nelle organizzazioni
interessate non siano previsti momenti di formazione
sulla tematica della conciliazione, c’è la possibilità di
discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della
conciliazione.
Nel caso aziendale di Ravenna l’imprenditore sostiene di
non aver mai ricercato personalmente informazioni sulla
possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura,
anche se ritiene che sia molto agevole ottenere delle
informazioni sulle opportunità esistenti.
Nell’organizzazione non sono previsti momenti di
formazione sulla tematica della conciliazione, anche se in
parte è possibile discutere con i lavoratori sul tema della
conciliazione.
Nei casi aziendali considerati a Reggio Emilia, le
informazioni sulla conciliazione, anche senza richieste
specifiche, sono state fornite dalle associazioni di
categoria, sindacati e studio paghe. Solo nel caso di un
imprenditore, sono state intenzionalmente ricercate
informazioni sulla possibilità di conciliare tempi di lavoro
e tempi di cura dalle associazioni di categoria e da
colleghi/amici.
56
In generale, si considera abbastanza agevole ottenere
informazioni sulla possibilità di conciliare i tempi di lavoro
e i tempi di cura. Nelle organizzazioni è possibile
discutere e confrontarsi con i lavoratori sul tema della
conciliazione, ma non sono previsti momenti di
formazione sulla tematica della conciliazione.
57
DONNE E CONCILIAZIONE:
L’ANALISI QUANTITATIVA
La seconda fase della rilevazione tramite questionari si
riferisce alle donne che lavorano all’interno delle aziende
contattate nei territori presi in esame dalla ricerca.
Appare opportuno procedere ad un’analisi dei questionari
tenendo in considerazione la territorialità, in quanto,
come apparso dalla mappatura, ogni territorio è
caratterizzato da una propria cultura e dall’erogazione di
servizi specifici.
Cesena
dei
servizi
Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i
40 anni, con una leggera predominanza nella classe 3140 anni (42.3%) e si distribuiscono fra diplomate e
laureate.
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e
senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la
presenza di altre persone all’interno della famiglia.
Il 40% delle donne dichiara che nella propria vita sono
presenti persone verso cui si ha una responsabilità di
cura e che tali persone sono da identificare con i figli
(36%) e con i genitori anziani (4%).
Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (12.5%) e
con il marito ed i propri genitori (25%).
Il 76% delle intervistate dichiara di non utilizzare i servizi
pubblici e/o privati presenti sul proprio territorio, mentre
il 24% fa ricorso ai servizi per minori.
In particolare vengono utilizzati: asilo nido, scuola
materna, servizio di pre e dopo scuola, centri estivi. Per
quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e
bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente:
l’asilo nido così come il servizio di pre e dopo scuola non
appaiono essere gli strumenti migliori per la conciliazione,
mentre per gli altri servizi la valutazione si distribuisce fra
il “sì, in parte” e il no. Una nota di merito va ai centri
58
estivi: l’8.3% delle donne dichiara che tale servizio è in
grado di rispondere anche se non totalmente ai bisogni di
conciliazione.
Fra i motivi che portano a valutazioni negative per quanto
riguarda la corrispondenza troviamo: l’orario breve e/o
rigido, i costi elevati, la sede lontana e la mancanza di un
servizio di trasporto . Pertanto si fa ricorso all’aiuto dei
parenti e/o alla babysitter per soddisfare i propri bisogni
di conciliazione.
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la
maggior parte delle donne che si trova oggi in una
condizione in cui la conciliazione non sembra essere una
“problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza
di un figlio o di un anziano da accudire.
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
delle
famiglie
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 33.3% è
impiegata nel settore amministrativo e il 28.6% nel
settore gestionale. Poche lavorano totalmente sole, la
maggior parte di loro lavora in gruppo.
Il 34.6% ha un contratto a tempo indeterminato e il
26.9% è impiegata con un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa. Alta anche la percentuale di
donne che si rapportano con l’azienda con una modalità
libero professionale (19.2%). La distribuzione per l’orario
di lavoro si presenta con un 38.5% di donne che hanno
un orario di lavoro a tempo pieno, il 15.4% usufruisce di
un part-time e il 34.6% invece non ha vincoli di orario.
Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate
nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità
dell’orario di lavoro in entrata ed uscita e l’orario
continuato. Forte la presenza di donne che lavorano
senza un vincolo d’orario preciso.
Rispetto all’utilizzo di queste forme l’86.4% ha risposto
positivamente ed in particolare le donne intervistate
hanno fatto ricorso al part-time e/o alla flessibilità di
59
Le
modalità
organizza
tive
orario in entrata ed in uscita. Nei casi positivi, il 75%
delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di
organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di
conciliazione.
Inoltre l’80% dichiara che nella propria azienda è
possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze delle lavoratrici e il 74.7% ha la percezione che
le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto:
all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le
condizioni di lavoro, al fatto che la conciliazione sia un
problema diffuso tra il personale e alla disponibilità dei
colleghi a collaborare.
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
La ricerca
delle
informazi
oni
Per quanto concerne la conoscenza di modalità innovative
di lavoro che riducono e articolano diversamente i tempi
di lavoro, l’unico ad essere conosciuto è il job sharing.
Non si conoscono assolutamente il job splitting, la banca
delle ore e il lavoro term time.
Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme
di sostegno quali: la presenza di un mentore per il
sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la
formazione al rientro dalla maternità.
Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della
conciliazione si può affermare che vi è una buona
conoscenza delle diverse forme previste dalla legge
italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura.
Tuttavia il 25% delle donne intervistate ritengono che tali
modalità rispondano solamente in parte ai bisogni di
conciliazione.
La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare
tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dal 44% delle
donne e i canali sono i più diversi: si va dall’imprenditore
al sindacato, alle associazioni di categoria, ai massmedia. Inoltre il 54.5% ritiene che sia abbastanza
agevole ottenere le informazioni.
Tali informazioni invece non provengono da momenti di
formazione/apprendimento in azienda, anche se nella
60
propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e
confrontarsi sulla tematica della conciliazione.
Faenza
Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i
40 anni, con una predominanza nella classe 21-30 anni
(58.3%) e si distribuiscono fra diplomate (62.5%) e
laureate (20.8%).
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo una distribuzione omogenea fra coniugate con e
senza figli ed un picco più elevato di donne single
(66.7%). Non si riscontra nella maggioranza dei casi la
presenza di altre persone all’interno della famiglia.
La maggior parte delle donne dichiara che nella propria
vita non sono presenti persone verso cui hanno una
responsabilità di cura. Tale dato è riconducibile al fatto
che le donne intervistate sono giovani, con una scolarità
medio-alta ed inserite per lo più in aziende che offrono
servizi avanzati alle imprese. Coloro che invece
rispondono positivamente al quesito identificano tali
soggetti con i figli e/o con i genitori anziani. Il lavoro di
cura viene condiviso con il marito.
La maggior parte delle intervistate dichiara di non
utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio
territorio, mentre chi utilizza i servizi fa ricorso a servizi
per minori e per disabili.
In particolare vengono utilizzati nell’area minori: la scuola
materna, il servizio di pre e dopo scuola e i centri estivi;
nell’area disabili/anziani le case protette.
Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati
e bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente:
nell’area minori sembra che i servizi siano in grado di
rispondere ai bisogni di conciliazione, mentre per l’area
anziani e disabili i centri non sembrano ricevere la stessa
valutazione.
61
L’utilizzo
dei
servizi
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
delle
famiglie
Il motivo che porta a questa valutazione negativa risiede
nei costi elevati delle strutture e per soddisfare i propri
bisogni di conciliazione si fa ricorso alle badanti.
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”, ossia la maggior parte delle
donne si trova oggi in una condizione in cui la
conciliazione non sembra essere una “problematicità”.
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 58.3% è
impiegata nel settore amministrativo, il 20.8% è nel
settore produttivo e il 16.7% nel settore tecnico.
Il 62.5% ha un contratto a tempo indeterminato e il
12.5% è impiegata con un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa. La distribuzione per l’orario di
lavoro si presenta con un 66.7% di donne che hanno un
orario di lavoro a tempo pieno, il 12.5% usufruisce di un
part-time e l’8.3% invece lavori su turni.
Le
modalità
organizza
tive
Le modalità organizzative dei tempi di lavoro presenti
nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità di
orario in entrata e in uscita, il lavoro a turni e l’orario
continuato. Pochi i casi in cui non vi è una
regolamentazione dell’orario.
Rispetto all’utilizzo di queste forme il 56.5% ha risposto
positivamente ed in particolare le donne intervistate
hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed
in uscita e alla combinazione flessibilità ed orario
continuato. Nei casi positivi, il 45.5% delle lavoratrici ha
dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi
hanno risposto ai bisogni di conciliazione.
Il 45.8% dichiara che nella propria azienda non è
possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze delle lavoratrici, tuttavia il 77.2% ha la
percezione che le esigenze di conciliazione siano accolte.
Ciò è dovuto: all’interesse dei dirigenti/titolare per il
personale e le condizioni di lavoro, alla disponibilità dei
62
colleghi a collaborare e al fatto che è un problema diffuso
tra il personale.
Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che
riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro,
emerge una non conoscenza di queste nuove forme di
lavoro, così come non si conoscono le forme di sostegno
che possono essere presenti in azienda, quali la presenza
di un mentore, il coordinatore work family o la
formazione al rientro dalla maternità.
Vi è una buona conoscenza invece degli strumenti previsti
dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il
lavoro di cura.
Poche sono le donne che ricercano informazioni sulla
possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura e i
canali sono: i colleghi/amici, la televisione e radio, i
giornali. Coloro che cercano informazioni tuttavia
ritengono nel 45.8% dei casi che sia agevole ottenere
informazioni sulla tematica della conciliazione.
Tali informazioni invece non provengono né da momenti
di formazione/apprendimento in azienda né da momenti
di discussione e confronto sulla tematica della
conciliazione.
Forlì
Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i
40 anni, con una leggera predominanza nella classe 2130 anni e si distribuiscono fra diplomate, laureate e
donne in possesso delle licenza media.
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e
senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la
presenza di altre persone all’interno della famiglia.
Il 37% delle donne dichiara che nella propria vita sono
presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e
che tali persone sono da identificare con i figli (19.2%) e
in altri casi con fratelli minori o con i genitori anziani.
63
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
La ricerca
delle
informazi
oni
L’utilizzo
dei
servizi
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
delle
famiglie
Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (11.1%) e
con i propri genitori (14.8%).
La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non
utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio
territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per
minori.
In particolare vengono utilizzati: la scuola materna, il
servizio di pre e dopo scuola, i centri estivi. Per quanto
riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e bisogni di
conciliazione, la distribuzione è la seguente: i servizi
sopra citati appaiono essere buoni strumenti per la
conciliazione. Viene sottolineato come elemento negativo
il costo di tali servizi che sembra essere troppo elevato.
Le donne invece che non utilizzano i servizi pur in
presenza di persone che devono essere accudite fanno
ricorso alla rete famigliare ed amicale.
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la
maggior parte delle donne che si trova oggi in una
condizione in cui la conciliazione non sembra essere una
“problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza
di un figlio o di un anziano da accudire.
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 33.3% è
impiegata nel settore produttivo, il 51.9% nel settore
amministrativo e l’11.1% nel settore gestionale. In
questo territorio sono in numero maggiore le donne che
lavorano da sole piuttosto che in gruppo o in coppia.
Il 74.1% ha un contratto a tempo indeterminato, il
14.8% è impiegata con un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa e l’11.1 ha un contratto a
tempo determinato. La distribuzione per l’orario di lavoro
si presenta con un 44.4% di donne che hanno un orario
di lavoro a tempo pieno, il 22.2% usufruisce di un parttime e il 7.4% utilizza l’orario continuato. Sono presenti
anche forme miste che prevedono la compresenza di
64
tempo pieno e turni, turni ed orario continuato, part-time
e orario continuato.
Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate
nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità
dell’orario di lavoro in entrata ed uscita e l’orario
continuato.
Rispetto all’utilizzo di queste forme il 92.6% ha risposto
positivamente ed in particolare le donne intervistate
hanno fatto ricorso al part-time, alla flessibilità di orario
in entrata ed in uscita e/o al part-time. Nei casi positivi,
l’88.5% delle lavoratrici ha dichiarato che queste forme di
organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di
conciliazione.
Inoltre il 57.7% dichiara che nella propria azienda è
possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze delle lavoratrici e il 65.4% ha la percezione che
le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto:
all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le
condizioni di lavoro e alla disponibilità dei colleghi a
collaborare.
Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che
riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si
percepisce una non conoscenza. Vi è un livello minimo di
conoscenza per la banca delle ore.
Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme
di sostegno quali: la presenza di un mentore per il
sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la
formazione al rientro dalla maternità.
Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della
conciliazione si può affermare che vi è una buona
conoscenza delle diverse forme previste dalla legge
italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura.
Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi
è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di
conciliazione.
65
Le
modalità
organizza
tive
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
La
ricerca
delle
informa
zioni
La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare
tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza
delle donne e i canali sono: le associazioni di categoria, i
colleghi/amici e i mass-media. Tuttavia il 45% ritiene che
sia abbastanza agevole ottenere le informazioni.
Tali informazioni invece non provengono da momenti di
formazione/apprendimento in azienda, anche se nella
propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e
confrontarsi sulla tematica della conciliazione.
Piacenza
L’età delle donne intervistate si distribuisce nel seguente
modo: il 44% ha un’età compresa fra i 21 e 30 anni, il
40% si posiziona nella classe 31-40 anni, l’8% dai 41 ai
50 anni ed infine l’8% ha un’età compresa fra i 51 e gli
oltre 61. Si rileva inoltre che il 48% possiede un diploma,
il 20% la laurea e il 16% la qualifica professionale.
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo la seguente distribuzione: single (36%),
coniugate senza figli (40%) e coniugate con figli (20%)
Non si riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di
altre persone all’interno della famiglia.
La maggior parte delle donne dichiara che nella propria
vita non sono presenti persone verso cui hanno una
responsabilità di cura. Coloro che invece rispondono
positivamente al quesito identificano tali soggetti con i
figli e/o con i genitori anziani. Il lavoro di cura viene
condiviso per lo più con il marito, ma non mancano i casi
di sostegno provenienti dalle reti famigliari (genitori e
sorelle di entrambi i coniugi).
L’utilizzo
dei
servizi
La maggior parte delle intervistate dichiara di non
utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio
territorio, mentre chi utilizza i servizi fa ricorso a servizi
per minori (21.7%) e per disabili (8.7%).
In particolare vengono utilizzati nell’area minori: l’asilo
nido, la scuola materna, il dopo scuola e i centri estivi;
66
nell’area
disabili/anziani
riabilitativi.
i
centri
socio-educativi-
Per quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati
e bisogni di conciliazione le risposte si concentrano nella
categoria “in parte”. L’unico picco di eccellenza spetta ai
centri estivi che ricevono una valutazione positiva
Il motivo che porta a questa valutazione non totalmente
negativa risiede nei costi elevati delle strutture e nella
rigidità di orario. Per far fronte alla necessità di
conciliazione si fa ricorso alle reti famigliari ed in alcuni
casi alla babysitter.
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”, ossia la maggior parte delle
donne si trova oggi in una condizione in cui la
conciliazione non sembra essere una “problematicità”.
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
della
famiglie
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 26.1% è
impiegata nel settore amministrativo, il 39.1% nel settore
gestionale e il 17.4% nel settore produttivo e nel settore
tecnico. La maggior parte lavora in coppia o in gruppo.
Il 52.2% ha un contratto a tempo indeterminato e il 13%
è impiegata con un contratto a tempo determinato. La
distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un
52.2% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo
pieno e un 34.8% usufruisce di un part-time.
Le modalità organizzative dei tempi di lavoro presenti
nelle aziende coinvolte sono: il part-time, la flessibilità di
orario in entrata e in uscita, il lavoro a turni e l’orario
continuato. Rispetto all’utilizzo di queste forme l’87% ha
risposto positivamente ed in particolare le donne
intervistate hanno fatto ricorso al lavoro a turni, alla
flessibilità di orario in entrata ed in uscita e alla
combinazione
di
flessibilità,
part-time
ed
orario
continuato. Nei casi positivi, il 73.9% delle lavoratrici ha
67
Le
modalità
organizza
tive
dichiarato che queste forme di organizzazione dei tempi
hanno risposto ai bisogni di conciliazione.
Il 59.1% dichiara che nella propria azienda è possibile
organizzare l’orario di lavoro in base alle esigenze delle
lavoratrici e il 63.7% ha la percezione che le esigenze di
conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto: all’interesse dei
dirigenti/titolare per il personale e le condizioni di lavoro,
alla disponibilità dei colleghi a collaborare e al fatto che è
un problema diffuso tra il personale.
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
La ricerca
delle
informazi
oni
Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che
riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro,
emerge un livello scarso di conoscenza di queste nuove
forme di lavoro, così come si conoscono poco le forme di
sostegno che possono essere presenti in azienda, quali la
presenza di un mentore, il coordinatore work family o la
formazione al rientro dalla maternità.
Vi è una buona conoscenza invece degli strumenti previsti
dalla legge italiana per sostenere la conciliazione e il
lavoro di cura e sembra che tali strumenti ricevano
parere favorevole per quanto riguarda la corrispondenza
bisogno di conciliazione e sua soddisfazione.
Poche sono le donne che ricercano informazioni sulla
possibilità di conciliare tempi di lavoro e tempi di cura e i
canali sono i più diversi: dal titolare all’associazione di
categoria, dal sindacato ai colleghi/amici, fino ai massmedia. Coloro che cercano informazioni tuttavia ritengono
che sia abbastanza agevole ottenere informazioni sulla
tematica della conciliazione.
Tali informazioni non provengono da momenti di
formazione/apprendimento in azienda, mentre sono
accolti positivamente momenti di discussione e confronto
sulla tematica della conciliazione.
Ravenna
Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i
50 anni, con una predominanza nella classe 21-30 anni
68
(33.3%) e nella classe 31-40 anni (50%) e si
distribuiscono fra diplomate e laureate.
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo una distribuzione fra single (38.1%), coniugate
senza figli (21.4%) e coniugate con figli (38.1%). Non si
riscontra nella maggioranza dei casi la presenza di altre
persone all’interno della famiglia.
Il 40.5% delle donne dichiara che nella propria vita sono
presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e
che tali persone sono da identificare con i figli (31.7%) e
in altri casi con fratelli minori o con i genitori anziani.
Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (14.6%) e
con la combinazione marito/genitori (12.2%).
La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non
utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio
territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per
minori (21.4%), per anziani (2.4%) e disabili (2.4%).
In particolare vengono utilizzati: l’asilo nido, la scuola
materna, il baby-parking, il servizio di pre e dopo scuola,
i centri estivi e i centri socio-educativi-riabilitativi. Per
quanto riguarda la corrispondenza fra servizi utilizzati e
bisogni di conciliazione, la distribuzione è la seguente: i
servizi per minori sopra citati sembrano essere buoni
strumenti per la conciliazione, mentre i servizi per anziani
e disabili rispondono solo in parte alle esigenze delle
famiglie. Gli elementi negativi sono: l’apertura breve,
l’orario rigido, i costi elevati, la mancanza di un servizio di
trasporto e la scarsa efficienza. Per supplire a tali carenza
le famiglie fanno ricorso alle proprie reti o a personale
specializzato (babysitter e badanti).
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la
maggior parte delle donne che si trova oggi in una
condizione in cui la conciliazione non sembra essere una
“problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza
di un figlio o di un anziano da accudire. Si ritrovano alcuni
casi in cui il non utilizzo è da ricondurre al fatto che la
69
dei
servizi
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
delle
famiglie
domanda non è stata accolta. Anche in questo caso si fa
ricorso all’aiuto dei parenti o di personale esterno.
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 61.5% è
impiegata nel settore amministrativo e il 23.1% nel
settore gestionale.
Il 53.7% ha un contratto a tempo indeterminato e il
43.9% è impiegata con un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa.
La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un
70.7% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo
pieno, il 9.8% usufruisce di un part-time oppure non
possiede una regolamentazione fissa del proprio orario di
lavoro. Sono presenti anche forme miste che prevedono
la compresenza di tempo pieno e senza vincolo d’orario.
Le
modalità
organizza
ive
La
modalità
organizzativa
dei
tempi
di
lavoro
maggiormente adottata nelle aziende coinvolte è la
flessibilità d’orario in entrata ed in uscita. Non mancano
tuttavia forme miste che prevedono la compresenza del
part-time, dell’orario continuato, della flessibilità e della
mancanza di vincoli.
Rispetto all’utilizzo di queste forme l’82.5% ha risposto
positivamente ed in particolare le donne intervistate
hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed
in uscita e/o al part-time. Nei casi positivi, il 73% delle
lavoratrici
ha
dichiarato
che
queste
forme
di
organizzazione dei tempi hanno risposto ai bisogni di
conciliazione.
Inoltre il 56.1% dichiara che nella propria azienda è
possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze delle lavoratrici e il 60% ha la percezione che le
esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto:
all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le
condizioni di lavoro, alla disponibilità dei colleghi a
collaborare e al fatto che la conciliazione sia percepita
come un elemento diffuso tra il personale.
70
Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che
riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si
percepisce una conoscenza del job sharing e della banca
delle ore. Non si conoscono invece il job splitting e il
lavoro term-time.
Inoltre nelle aziende contattate non sono previste forme
di sostegno quali: la presenza di un mentore per il
sostegno alla carriera, il coordinatore work-family e la
formazione al rientro dalla maternità.
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della
conciliazione si può affermare che vi è una buona
conoscenza delle diverse forme previste dalla legge
italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura.
Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi
è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di
conciliazione.
La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare
tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza
La ricerca
delle donne e i canali sono i più diversi: i titolari, le delle
associazioni di categoria, i sindacati, i colleghi/amici e i informazion
mass-media. Il 38.9% ritiene che sia abbastanza agevole
ottenere le informazioni e il 33.3% ritiene che sia molto
agevole.
Tali informazioni invece non provengono da momenti di
formazione/apprendimento in azienda, anche se nella
propria realtà aziendale vi è la possibilità di discutere e
confrontarsi sulla tematica della conciliazione.
Reggio emilia
Le donne intervistate hanno un’età compresa fra i 21 e i
50 anni, con una leggera predominanza nella classe 2130 anni. La distribuzione per il titolo di studio è la
seguente: 14.3% ha la licenza elementare, il 10.7%
possiede la licenza media o la qualifica professionale, il
42.9% ha un diploma e il 21.4% ha una laurea.
Per quanto riguarda la composizione del nucleo famigliare
abbiamo una distribuzione fra single, coniugate con e
71
L’utilizzo
dei
servizi
Le
criticità
dei
servizi e
le
risposte
delle
famiglie
senza figli. Non si riscontra nella maggioranza dei casi la
presenza di altre persone all’interno della famiglia.
Il 33.3% delle donne dichiara che nella propria vita sono
presenti persone verso cui ha una responsabilità di cura e
che tali persone sono da identificare con i figli (19.2%) e
in altri casi con genitori anziani o parenti anziani.
Il lavoro di cura viene condiviso con il marito (18.5%) e
con i propri genitori (11.1%).
La maggior parte delle donne intervistate dichiara di non
utilizzare i servizi pubblici e/o privati presenti sul proprio
territorio, mentre chi li utilizza si posiziona sui servizi per
minori e anziani.
In particolare vengono utilizzati: la scuola materna e i
centri diurni. Per quanto riguarda la corrispondenza fra
servizi utilizzati e bisogni di conciliazione, la valutazione
non è del tutto positiva. Tra i motivi di non rispondenza
vengono sottolineati: l’orario rigido e i costi elevati.
Le donne invece che non utilizzano i servizi pur in
presenza di persone che devono essere accudite fanno
ricorso alla rete famigliare ed amicale.
Il non utilizzo invece è da ricollegare soprattutto ad una
situazione di “non interesse”; è ipotizzabile che la
maggior parte delle donne che si trova oggi in una
condizione in cui la conciliazione non sembra essere una
“problematicità”, la ricolleghi direttamente alla presenza
di un figlio o di un anziano da accudire. Tra i motivi di
non utilizzo compaiono anche l’orario rigido e i costi
elevati.
Per quanto riguarda la posizione lavorativa delle
intervistate la distribuzione è la seguente: il 34.6% è
impiegata nel settore produttivo, il 26.9% nel settore
amministrativo e l’23.1% nel settore gestionale.
Il 64.3% ha un contratto a tempo indeterminato e il
35.7% è impiegata con un contratto di collaborazione
coordinata.
La distribuzione per l’orario di lavoro si presenta con un
40.7% di donne che hanno un orario di lavoro a tempo
72
pieno, il 14.8% usufruisce di un part-time e il 14.8% non
ha vincoli d’orario. Sono presenti anche forme miste che
prevedono la compresenza di tempo pieno e turni, tempo
pieno ed orario continuato.
Le modalità organizzative dei tempi di lavoro adottate
nelle aziende coinvolte sono: la flessibilità dell’orario di
lavoro in entrata ed uscita, il part-time e l’orario
continuato. Non mancano forme miste che prevedono la
compresenza di part-time, flessibilità e orario continuato.
Rispetto all’utilizzo di queste forme l’80.8% ha risposto
positivamente ed in particolare le donne intervistate
hanno fatto ricorso alla flessibilità di orario in entrata ed
in uscita, all’orario continuato e alla combinazione
turni/orario continuato. Da registrare anche un caso di
telelavoro.
Nei casi positivi, il 68% delle lavoratrici ha dichiarato che
queste forme di organizzazione dei tempi hanno risposto
ai bisogni di conciliazione.
Inoltre il 60% dichiara che nella propria azienda è
possibile organizzare l’orario di lavoro in base alle
esigenze delle lavoratrici e l’82.6% ha la percezione che
le esigenze di conciliazione siano accolte. Ciò è dovuto:
all’interesse dei dirigenti/titolare per il personale e le
condizioni di lavoro e alla disponibilità dei colleghi a
collaborare.
Per quanto concerne le modalità innovative di lavoro che
riducono/articolano diversamente i tempi di lavoro, si
percepisce una non conoscenza. Vi è un livello minimo di
conoscenza per la banca delle ore.
Inoltre nella maggior parte delle aziende contattate non
sono previste forme di sostegno quali: la presenza di un
mentore per il sostegno alla carriera, il coordinatore
work-family e la formazione al rientro dalla maternità.
Rispetto alla conoscenza della normativa a favore della
conciliazione si può affermare che vi è una buona
conoscenza delle diverse forme previste dalla legge
73
Le modalità
organizzati
ve
Il livello
di
conoscen
za degli
strumenti
La ricerca
delle
informazi
oni
italiana per sostenere la conciliazione e il lavoro di cura.
Inoltre tra coloro che hanno utilizzato una o più forme vi
è un’opinione positiva tra strumenti e possibilità di
conciliazione.
La ricerca di informazioni sulla possibilità di conciliare
tempi di lavoro e tempi di cura è fatta dalla minoranza
delle donne e i canali sono i più diversi: dal titolare al
direttore del personale, dalle associazioni di categoria ai
sindacati, dai colleghi/amici ai i mass-media. Tuttavia il
60% ritiene che sia abbastanza agevole ottenere le
informazioni.
Tali informazioni invece non provengono da momenti di
formazione/apprendimento in azienda.
74
I FOCUS
La preparazione dei Focus group
Il lavoro di ricerca prevedeva la realizzazione di un
focus group in ognuno dei territori oggetto di indagine:
Cesena, Faenza, Forlì, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia.
La realizzazione dei focus group è stata preceduta da un
lungo lavoro di preparazione svolto a partire dalla
mappatura dei servizi esistenti e attraverso la
distribuzione di questionari sia alle donne lavoratrici sia
agli imprenditori e imprenditrici. Sono stati raccolti ed
elaborati in questo modo dati qualitativi e quantitativi che
hanno fornito le indicazioni e i temi su cui riflettere per la
preparazione dei focus.
Il lavoro svolto nelle fasi precedenti della ricerca è
stato estremamente utile anche per individuare i soggetti
e i testimoni ritenuti significativi. In molti casi sono state
contattate le persone incontrate durante lo svolgimento
della azione di mappatura dei servizi esistenti sui vari
territori che avevano collaborato fornendo le informazioni
richieste; in altri, queste hanno fornito indicazioni utili
sulle persone da contattare.
Sono stati invitati a partecipare al focus i soggetti
che, per il ruolo ricoperto nella loro organizzazione, si
riteneva potessero fornire una testimonianza significativa.
In particolare, in ogni territorio sono state invitate: le
responsabili alle pari opportunità dei Comuni e delle
Province, le responsabili dei Centri per le Famiglie e dei
principali Servizi Sociali, i/le responsabili degli sportelli o
degli uffici rivolti specificatamente alle donne delle
associazioni di categoria, o i/le responsabili delle
associazioni di categoria stesse, i/le rappresentanti
sindacali, donne imprenditrici del mondo cooperativo e
non nell’ambito di servizi per la conciliazione, i/le
responsabili di progetti ed esperienze particolarmente
significative realizzate nel territorio.
In ogni territorio si sono avuti riscontri diversi per
quanto riguarda la partecipazione; questo aspetto è stato
75
letto come un segnale significativo, confermato durante la
realizzazione del focus. I soggetti che agiscono sul
territorio, fortemente motivati ai temi della conciliazione,
possono costituire i referenti possibili per future
progettualità ed interlocutori con cui sperimentare
ulteriori esperienze.
Le persone sono state contattate telefonicamente
e, nonostante alcune difficoltà legate all’organizzazione
(ad esempio conciliare le diverse disponibilità di tempo),
è stato riscontrato un notevole interesse e una forte
motivazione a partecipare.
Attraverso l’analisi del materiale raccolto nelle fasi
precedenti è stata individuata la finalità del focus e gli
obiettivi specifici. Questa fase di lavoro ha permesso di
tradurre ed esplicitare le riflessioni in parole chiave da
utilizzare come stimolo.
La realizzazione dei focus è stata concepita nel suo
complesso come una vera e propria azione positiva per
fare cultura della conciliazione. Gli obiettivi quindi
sono stati individuati per rispondere a queste finalità:
1. parlare della conciliazione confrontando le varie
realtà che a diverso titolo si occupano di parti della
conciliazione (pubblico-privato)
2. parlare e agire una cultura della conciliazione
(ruolo personale e professionale);
3. denifire la conciliazione (es. come problema ma
difficilmente agita da chi se ne occupa)
4. verificare gli stereotipi sulla conciliazione
La realizzazione
Per la realizzazione dei focus group si è pensato di
fornire non solo degli stimoli sotto forma di domande ma
anche degli stimoli visivi. Sono stati preparati quindi
alcuni cartelli che esplicitavano le parole chiave contenute
nella domanda. I cartelli sono stati posti su una lavagna a
fogli mobili e durante il focus, sotto ad ogni cartellostimolo, sono state annotate le parole ritenute
76
significative che emergevano dagli interventi dei
testimoni. Queste parole chiave diventavano loro stesse
ulteriori stimoli e sono successivamente riportate nella
analisi dei singoli focus.
I cartelli preparati sono stati:
• conciliazione
• conciliazione applicata/agita nell’organizzazione
• conciliazione applicata/agita a livello personale
• la conciliazione e il territorio
Per lo svolgimento concreto dei focus si è ritenuto
fondamentale ricreare un clima adeguato non solo per
raccogliere le informazioni ma anche le relazioni
esistenti fra i soggetti intervenuti, soprattutto rispetto al
ruolo ricoperto. Si è creato un contesto in cui ognuno si
sentisse legittimato ad effettuare una “introspezione
retrospettiva”(2 ), a ragionare e riflettere cioè sul proprio
contesto in riferimento al presente e al passato attraverso
il confronto con gli altri soggetti presenti. Per questo
motivo ad ogni focus erano presenti due persone: una
con il ruolo di conduttrice vera e propria e l’altra con il
compito di osservare e monitorare le dinamiche del
gruppo e le relazioni. La raccolta delle informazioni è
stata effettuata attraverso la registrazione integrale degli
incontri.
Ogni focus è stato realizzato seguendo la stessa
modalità e struttura in tutti gli incontri ottenendo però
andamenti diversi a seconda del gruppo presente e a
seconda delle dinamiche messe in atto dai partecipanti.
Una volta presentato il progetto di ricerca e l’attività dei
focus, veniva fornito il primo stimolo sia sotto forma di
domanda che di cartello ed ogni persona intervenuta
forniva il suo contributo o commento. Spesso i primi due
o tre interventi fornivano già elementi sufficienti di
discussione,
“il
giro
di
parola”
veniva
così
momentaneamente interrotto per poi riprendere e dare a
2
M. Bloor, J. Frankland, M. Thomas, K. Robson, I focus group nella
ricerca sociale, Erickson, 2002
77
tutti la possibilità di dare la propria risposta e il proprio
contributo. In alcuni casi è stato necessario frenare gli
interventi per evitare che alcuni monopolizzassero la
discussione e permettere a tutti di partecipare. Altre volte
si formavano dei piccoli gruppi di discussione fra le
persone vicine e anche in questo caso è stato necessario
riportare l’attenzione sulla persona che stava parlando.
Le basi teoriche 3 e la formulazione dell’ipotesi
Affrontiamo ora le basi teoriche su cui sono stati
impiantati i focus.
Prima di tutto si è cercato di individuare le vocazioni sul
tema della conciliazione nei diversi territori.
Gli aspetti su cui focalizzare l’indagine sono stati:
ü
ü
ü
La verifica dell’attenzione ai
conciliazione
L’analisi
delle
risposte
delle
lavorative
La sostenibilità delle soluzioni
efficacia
bisogni
della
organizzazioni
in
termini
di
Le diverse risposte, in termini di partecipazione al focus,
sono
aspetti
estremamente
rilevanti
ai
fini
dell’individuazione della maturità “conciliativa” dei
territori indagati. La maturità è il termine che è stato
scelto poiché gli aspetti della conciliazione sono legati alla
presenza di determinati bisogni, al tempo di risposta e
alle risorse.
Quindi per verificare la vocazione alla conciliazione di un
territorio abbiamo cercato di definire:
ü
ü
ü
3
La maturità di un territorio
I temi in ambito conciliativo (bisogni)
La rete tra i partner.
R. Williams, “Sociologia della cultura” – Universale Paperbacks – Il
Mulino, 1983
78
Un criterio che ci ha aiutato nella valutazione qualitativa
delle politiche sulla conciliazione è stato quello della
legittimazione.
Infatti
nella
buona
riuscita
e
sperimentazione di azioni a favore della cultura della
conciliazione, come in generale per altre politiche, la
partenza è vincolata alla forte motivazione e alla capacità
di portare avanti un disegno politico e attuativo. Tutto ciò
è possibile se c’è una legittimazione diffusa a diversi
livelli:
ü dalle istituzioni
ü dal territorio
ü dalle
singole
mission
aziendali
e/o
associazionistiche.
La convinzione del gruppo tecnico scientifico della ricerca
che ha permeato la filosofia e quindi l’ipotesi dell’intero
lavoro, è che la maturità territoriale emerga da un mix di
motivazioni, azioni, priorità e legittimità.
La conciliazione potrebbe essere visualizzata attraverso
l’immagine di una barca a vela: lo scafo rappresenta la
legittimità, indispensabile per navigare nei territori;
l’andamento e il movimento è dato dalle vele (randa,
fiocco, spinnaker). Per la conciliazione sono la maturità
del territorio, i bisogni e temi da affrontare, la rete dei
soggetti. Il timone della barca è manovrato nel nostro
caso dall’ente pubblico (R.E.R., Province, Enti locali), i
salvagenti
e
salvabordi
rappresentano
le
azioni
progettuali finanziate e sperimentate nelle singole realtà
regionali.
Pensando in che modo tali riflessioni teoriche potessero
divenire utili ai fini programmatori e divulgativi della
Regione Emilia Romagna è stato tenuto come criterio di
fondo quello della verifica della trasferibilità di modelli,
azioni e progetti da un territorio ad un altro. Anche se è
nostra convinzione che sia fondamentale per ogni realtà
saper generare alternative.
79
La barca
a vela
Questa riflessione si inserisce perfettamente nel nostro
percorso teorico in quanto è dal livello di maturità di un
territorio che spesso nascono idee e soluzioni che non
sempre sono adatte ad essere attuate in un’altra realtà,
nello quello stesso momento.
La cultura della conciliazione è sicuramente pronta per
entrare nei tessuti territoriali analizzati con un ruolo
prioritario che non può essere quindi relegato ad una
sfera piuttosto che ad un’altra.
Questo passaggio potrebbe essere propedeutico alla
destrutturazione di stereotipi e alla definizione di stili di
vita conciliativi per donne e uomini.
Dai focus emergeranno delle chiare linee di vocazione dei
territori che insieme costituiscono e compongono le
maturità sopra descritte.
Dalla lettura delle tavole di contenuto costruite al termine
dei focus group e dal confronto con le linee teoriche
proposte sono scaturiti alcuni suggerimenti e spunti per
azioni positive verso una cultura della conciliazione più
presente e trasversale nei territori e nelle organizzazioni
lavorative.
Tavole di lettura dei focus group
CESENA
LA RETE nella città di Cesena
I presenti: Associazione Piccole e Medie Industrie della
Provincia di Forlì-Cesena; Confartigianato di Cesena;
Comune di Cesena - Servizi per l’infanzia; privato sociale;
Servizi Sociali Ausl - Area Infanzia; Centro Donna;
rappresentante associazionismo.
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Le parole stimolo: conciliazione; conciliazione e
territorio.
Le parole chiave: sensibilità; responsabilità nel
pubblico/nel lavoro autonomo; organizzazione; clima
sereno; armonizzazione dei tempi; strumenti agevolativi;
80
mobilità; reti famigliari; associazioni genitori; gestione
emergenze; orari; carichi di conciliazione delle donne;
lavori stagionali; nuove generazioni; vicinato; forme
spontanee di aiuto; senso di colpa; svalutazione;
stanchezza; tempi disordinati; adolescenti; culture
diverse; auto-emarginazione.
TEMI EMERGENTI
La conciliazione personale: il tema della conciliazione a
livello personale è stato affrontato a partire dalle singole
esperienze in quanto quasi tutte le donne presenti hanno
avuto in prima persona esigenze di conciliazione sia legate
ai figli piccoli che ai genitori anziani. Dai vissuti personali
emerge la volontà di non lasciare il lavoro e di mantenere
il più possibile “il filo” che le legava alle loro attività,
sottolineando di svolgere attività verso cui si erano molto
motivate.
La conciliazione è stata nei loro casi possibile per:
• la presenza di servizi sul territorio che sono stati
“sfruttati molto e con molta soddisfazione”;
• la presenza e vicinanza di reti famigliari e amicali;
• la scelta accurata di collaboratrici famigliari che
potessero dare la garanzia di “partire di casa tranquilla,
senza avere l’ansia se capita un contrattempo”
• la possibilità di gestire i propri tempi e orari di lavoro in
quanto artigiane o libere professioniste e quindi senza
orari specifici, “portando a volte i bambini al lavoro o il
Viene sottolineato che la scelta di cercare la migliore
gestione possibile dei tempi comporta però un grande
sforzo di concentrazione e l’accumulo di stanchezza,
assieme ad una forte sensazione di inadeguatezza e sensi
di colpa per non riuscire ad incastrare bene tutti i tempi
portandosi spesso a casa i problemi.
Viene rilevata inoltre la differenza dei ruoli famigliari nelle
nuove generazioni che vedono i nuovi padri molto attivi
anche nella gestione di aspetti solo fino a pochi anni fa di
competenza esclusivamente femminile.
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
81
opera: il primo aspetto che viene sottolineato è la grande
differenza di opportunità fra le donne che lavorano nel
pubblico e quelle che lavorano come dipendenti nel settore
privato o come artigiane e libere professioniste.
Viene sottolineato come il settore pubblico può
permettersi di offrire numerose opportunità e soluzioni alle
proprie dipendenti per esigenze di conciliazione: la
possibilità di richiedere il part time, i permessi, la
flessibilità d’orario in entrata e in uscita; solo i livelli
dirigenziali e i ruoli di responsabilità hanno orari più simili
a quelli di una libera professionista.
Nelle aziende private le difficoltà che si incontrano sono
notevolmente maggiori, fino al verificarsi spesso della
situazione paradossale per cui chi ha l’opportunità di
usufruire di alcune agevolazioni (part time, telelavoro)
attira l’invidia dei colleghi, viene spesso considerato un
privilegiato nell’ambiente di lavoro. Gli imprenditori
tendono inoltre a non offrire opportunità particolari perché
temono che la loro richiesta aumenti di continuo e,
sapendo di non poterla soddisfare, finiscono per non
concedere niente a nessuno altrimenti “diventa un vizio”.
Viene messo in evidenza come organizzazioni più attente
ai temi della conciliazione, come quelle di appartenenza,
hanno maturato la loro sensibilità perché la questione era
stata molto sentita a livello personale. Questa sensibilità
ha
permesso,
di
fronte
a
realtà
caratterizzate
prevalentemente da donne non solo con bambini piccoli
ma molto spesso anche con genitori anziani, di agire
cercando delle soluzioni. Emerge infatti anche l’importanza
del clima che si crea all’interno della organizzazione e di
come questo possa essere condizionato dall’ansia e dalla
preoccupazione legata alle difficoltà della conciliazione
che, con il loro peso morale e emotivo, influiscono
moltissimo sull’organizzazione.
Le donne presenti affermano che non si sono messe
“attorno ad un tavolo a pensare cosa fare per il problema
della conciliazione”, ma si è cercato di andare incontro alle
esigenze particolari senza gravare sulla qualità del servizio
e compatibilmente con i ruoli. La dimensione “quasi
82
famigliare” viene indicata come un elemento che facilità la
flessibilità costruita sulla disponibilità e sul senso di
responsabilità nei confronti dei colleghi e permette di
trovare
soluzioni
organizzative
personalizzate
sperimentando in alcuni casi azioni concrete per facilitare
la conciliazione dei tempi attraverso le opportunità offerte
dalla normativa.
Molte riflessioni sono state condotte in maniera critica
sulle opportunità offerte dalle normative esistenti e su
alcune esperienze specifiche realizzate grazie a queste. In
particolare, si sono soffermate sulla Legge n. 53/00
sottolineando la sua importanza ma anche alcuni suoi
limiti; ad esempio, il fatto che è una legge molto
finanziata ma scarsamente utilizzata sia per una
mancanza di conoscenze ma spesso anche per una
mancanza di sensibilità generale sul tema, soprattutto da
parte delle aziende. Viene individuato come segno di
cambiamento dei tempi il fatto che nel settore pubblico
molti uomini comincino ad usufruirne, spesso se la moglie
svolge un’attività come libera professionista. In generale,
affermano che rispetto agli strumenti esistenti c’è molta
conoscenza teorica ma molto poco si conosce delle
realizzazione pratica.
Le esperienze realizzate riguardano: il telelavoro per la
durata della maternità e la sperimentazione di due part
time condivisi. Questi vengono realizzati introducendo
gradualmente le persone che verranno successivamente
integrate nella struttura e che condivideranno il lavoro.
Altri
elementi
che
creano
ulteriore
difficoltà
all’organizzazione sono la gestione delle emergenze, le
sostituzioni all’ultimo minuto e la pendolarità delle
lavoratrici che vengono dai territori limitrofi o ancora più
lontani.
I percorsi di carriera: le riflessioni sui percorsi di
carriera sono strettamente legate alle scelte personali
delle donne presenti. Benché tutte si definiscono
soddisfatte della posizione lavorativa a cui sono arrivate e
della
loro
situazione
famigliare,
affermano
che
effettivamente si è rinunciato ad opportunità di lavoro o
83
studio, per non far “fare pagare alla famiglia” la loro
minore presenza a casa.
Le risposte del territorio: il territorio di Cesena viene
descritto nel complesso come piuttosto ricco di offerte e
soluzioni ai problemi della conciliazione provenenti sia dal
pubblico sia dal privato che hanno sviluppato diverse
modalità di collaborazione. Ad esempio, i servizi pubblic,i
per vincoli dettati dai contratti di lavoro, non possono
permettersi economicamente la flessibilità richiesta dagli
utenti. Per tali motivi vengono appaltati all’esterno i centri
estivi per la fascia 3-6 anni che coprono non solo il mese
di luglio, ma anche agosto e i sabato mattina.
L’amministrazione si sta impegnando inoltre, sia con fondi
propri sia attraverso i finanziamenti previsti dai bandi
ministeriali, a promuovere la nascita di nidi aziendali che
prevedono alcuni posti anche per i figli delle non
dipendenti.
Gli aspetti più problematici messi in evidenza riguardano:
• la necessità di creare i servizi nelle aree di lavoro,
non solo per i bambini ma anche per gli anziani e
più in generale di tutti quelli che facilitano la
conciliazione, prevedendoli già nel momento in cui
si progettano le aree artigianali e industriali;
• la necessità di intensificare i servizi durante il
periodo estivo, poiché alcuni dei settori più
produttivi della zona di Cesena sono legati alla
stagione estiva “In questi periodi la famiglia ha dei
picchi di caduta nell’organizzazione quotidiana,
delle disattenzioni gravissime”, forse più che nella
fascia della prima infanzia nel periodo che va dalle
elementari a tutta la fase dell’adolescenza.
• la presenza di molte donne migranti, o da altri
paesi o da altre regioni d’Italia, che non possono
contare sulla presenza delle loro reti famigliari e
amicali ma nemmeno più dell’appoggio del vicinato,
risorsa che al giorno d’oggi si è persa
completamente e prevale il timore di invadere. Si
sente la necessità di creare forme di aiuto fra
donne o di favorire la nascita spontanea di forme di
84
aiuto soprattutto per far fronte alle situazioni di
emergenza, come soluzione “di appoggio”. È
fondamentale che la motivazione ad aiutarsi e
trovarsi non venga dall’alto (l’educatrice famigliare
non ha funzionato), ma che nasca in un contesto
diverso che porti le persone a conoscersi e a
fidarsi. Spesso momenti di aggregazione con altre
finalità attivano spontaneamente delle reti;
• la necessità di avere servizi con orari più flessibili e
lunghi. A questo proposito viene evidenziata la
situazione paradossale per cui negli ultimi anni non
si riesce ad avere un numero di richieste sufficienti
per tenere aperto i servizi per la prima infanzia fino
alle 18.30, mentre ci sono tante richieste per
l’orario anticipato: fino a pochi anni fa infatti erano
aperti anche il sabato mattina, ma adesso hanno
escluso questa opportunità per mancanza di iscritti.
Per soddisfare le esigenze anche dei pochi che lo
hanno richiesto si sta cercando di promuovere e
incentivare la nascita di associazioni dei genitori
che siano in grado di gestire questa situazione. Il
fatto che viene rilevato un bisogno forte, che però
non si concretizza in iscrizione ai servizi è legato
alla mentalità ancora oggi dominante: “c’è questa
malignità serpeggiante che se lasci il bambino
troppo ai servizi per andare a lavorare sei una
madre degenere”. Viene anche sottolineato che
spesso gli insegnanti scoraggiano a lasciare i
bambini tutto il giorno all’asilo e a frequentare i
centri estivi e “ti pongono in uno stato psicologico
per cui cerchi di organizzarti diversamente”.
LA VOCAZIONE
Sul territorio sono state attivate rilevazioni sui bisogni
presenti a cui i servizi hanno già fornito risposta. Le stesse
organizzazioni private si sono dimostrate particolarmente
sensibili e attente su queste tematiche, sperimentando al
loro interno delle soluzioni organizzative concrete,
attraverso le risorse finanziarie messe a disposizione dalle
normative esistenti. Emerge la necessità di riflettere sugli
85
aspetti più culturali della conciliazione per
soluzioni “dal basso”, reti di aiuto spontanee.
trovare
FAENZA
LA RETE nella città di Faenza
I presenti: Assessorato alle Pari opportunità del Comune
di Faenza,
Confartigianato, n.3 imprenditrici, FIDAPA
(Federazione italiana donna arti e professioni), Area
Minori AUSL Faenza, Servizi Sociali Comune di Faenza,
Centro per le famiglie, Sindacato CISL, Confcooperative
di Faenza.
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Parole stimolo: Conciliazione, conciliazione a livello
personale, Conciliazione e territorio
Le parole chiave: Occasionale, Naturale, Organizzativo,
Esigenze individuali e di gruppo, Responsabilità,
Strumenti,
Rete,
Solidarietà,
Orari/ferie,
Dialogo,
Decentramento
delle
decisioni,
Personalizzazione,
Consapevolezza, Settore di lavoro, Piano degli orari
(monitoraggio), Sfondo.
Ricerca costante e creativa, soluzioni, rete già costruita,
servizi istituzionali e del privato, difficoltà, aspetto
economico,Periodi di vita, luoghi di vita, con se stessi/e,
chiedere e cercare, sofferenza e sopportazione.
Orari di apertura, singole aree, sofferenza in aumento,
iper-stimolazioni, forte settorializzazione, dove siamo?, ri
interrogarci, timore richieste di nuovi servizi, internet,
trasporti.
TEMI EMERGENTI
Riflessioni sul concetto di conciliazione:
Viene fatta una discussione sul tema dei tempi intesi
come ritmi che vengono diversificati a seconda dei settori
lavorativi.
La conciliazione appare come un concetto filosofico che
vive tra la frenesia dei tempi di lavoro, denaro e mercato
86
da un lato e l’impotenza di non avere scelto tutto, inclusa
la possibilità che a livello di conciliazione si hanno bisogni
che non si sapeva di avere.
Emerge in modo forte l’interpretazione della conciliazione
come spazi della città che seguono la frenesia generale,
le piazze che si riempiono e si svuotano sempre più
velocemente.
Il problema della conciliazione è stato individuato anche
nella ricerca continua di servizi sempre più specializzati,
senza riportare il problema alla sua centralità iniziale. Per
cui le persone che hanno un problema di conciliazione,
una volta che “affidano” il loro problema, lo declinano in
toto.
Si esprime la preoccupazione della qualità del tempo e si
cerca di lanciare lo stimolo a trovare soluzioni più
alternative (vicinato, di aggregazione, di famiglia), per
riuscire a procurare ai propri figli ambienti di vita
emotivamente più consoni. Da questa preoccupazione
nasce un appello per fare un’inversione totale in favore
delle generazioni future.
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
opera:
Uno dei problemi è quello della libertà assoluta: le regole
sono fondamentali e uguali per tutte altrimenti vanno
giustificate le differenze.
A volte c’è una grande rigidità da parte del mondo del
lavoro ed da parte dei servizi dell’ente pubblico a trovare
soluzioni e modalità organizzative che possano essere
flessibili.
Uno strumento che può fare molto è il dialogo fra le parti:
occorre conciliare i diritti dell’organizzazione con le
necessità individuali che, a loro volta, si dovrebbero
integrare con quelle degli altri.
Una soluzione in questo senso viene dall’applicazione del
decentramento, cioè pur appartenendo allo stesso
contratto e alla stessa azienda, il gruppo di lavoro
costituito per settori e/o servizi può decidere le ferie e i
turni. E’ necessario che ci sia un buon clima di lavoro per
riuscire a fare questo. Inoltre occorre la condivisione di
87
poche
regole
ma
chiare
come
ad
esempio
il
mantenimento dell’andamento del servizio, la copertura
totale del lavoro etc.. In questo modo il gruppo di lavoro
affronta
il
tema
spinoso
della
personalizzazione
dell’organizzazione del lavoro. Da alcune sperimentazioni
in atto nel territorio è stato verificato che di solito il
gruppo di lavoro riesce a trovare una soluzione e matura
la consapevolezza delle difficoltà organizzative della
propria organizzazione. Una tecnica utilizzata è quella di
porre al centro la figura del lavoratore: se questo si sente
maggiormente portato a mediare nelle soluzioni.
All’interno del mondo del lavoro si vede comunque che la
donna ha il peso maggiore della gestione dei figli mentre
l’uomo lo ha di meno.
E’ importante un approccio creativo.
La conciliazione nell’organizzazione è legata anche ai
settori produttivi. Ad esempio in agricoltura, dove i
rapporti di lavoro seguono il clima e le stagioni, ci sono
vincoli imprescindibili.
Da considerare anche la conciliazione come rapporto fra
culture diverse all’interno delle realtà lavorative.
La conciliazione non è una soluzione, un punto di arrivo,
ma è un qualche cosa in movimento continuo.
Personalizzare non significa fare un’organizzazione
specifica per ogni persona, ma trovare il sistema più
vicino alle sue esigenze, “stranamente cercando si può
Anche elementi come il business delle certificazioni
entrano nella riflessione sulla conciliazione: “una spirale
da cui non esci: la sofferenza cosmica”.
La conciliazione personale
Gli
aspetti
personali
passano
attraverso
la
consapevolezza della propria situazione e delle difficoltà.
In alcuni casi si parla di un esame di coscienza o di un
bilancio della conciliazione personale che può essere fatto
mettendo a fuoco le motivazioni.
La conciliazione applicata e agita è una ricerca continua
sia per l’organizzazione che per i singoli.
88
Le esigenze cambiano rapidamente e quindi si pongono
sempre nuovi problemi dando come acquisito che si tratta
di una ricerca costante.
Le reti famigliari e sociali giocano sempre un ruolo
primario. Si mette in luce che il problema della rete deve
essere “a monte”, non può essere tessuta solo quando
emerge il bisogno. Un esempio interessante è quello degli
immigrati che riescono ad averla solo se hanno altre
persone sul territorio che sono, il più delle volte, del
proprio paese di origine.
Viene sottolineata anche la caratteristica dei tempi che
contraddistingue la conciliazione: ci sono periodi della vita
in cui si va a lavorare per mantenere il lavoro, periodi in
cui il reddito viene ridistribuito per conciliare (asilo nido,
baby sitter) e il lavoro rappresenta un elemento di mera
gratificazione spirituale.
Un’idea che è venuta da problematiche di conciliazione
personale legate alla gestione dei figli, è quella della
condivisione con altri della babysitter, ma il problema è
reperirle.
Si parla di situazioni in cui è stato fruttuoso anche
l’accordo con il proprio dirigente. Un accordo lavorativo è
importante ma lo è anche il contesto di riferimento cioè
l’ambiente, perché se opportunamente stimolato può dare
delle soluzioni.
La conciliazione viene definita come estremamente
soggettiva.
La donna torna al centro delle situazioni conciliative ed
emerge che soffre molto del vecchio retaggio storico che
in parte la blocca mentre dovrebbe impegnarsi anche a
chiedere di più.
Anche le nuove tecnologie, come Internet, possono
essere un aiuto alla conciliazione: si recupera la
dimensione della scrittura, dei ritmi e della comunicazione
con agli altri.
Il territorio
Vengono descritti problemi e criticità che riguardano la
scuola ed il settore del commercio. Tale settore non orari
molto flessibili: “bisogna comprare molto in fretta”, altri
89
orari potrebbero permettere di fare tutto con più calma.
Oppure il settore dei trasporti pubblici che appare
abbastanza carente e non si integra con gli orari dei
trasporti su ferrovia. Si evidenzia la necessità di fare un
monitoraggio dei bisogni e delle esigenze in modo
costante.
E’ vero che le organizzazioni devono tener conto delle
singole aree per riuscire a funzionare perché la grande
organizzazione non riesce a vedere quelle piccole
soluzioni che invece possono essere utili e che nel piccolo
emergono meglio. Il piccolo è più flessibile.
Orientamento e formazione
E’ importante anche aprire una riflessione che porti a
riconsiderare i casi uno per uno per cui la donna
dovrebbe valutare la possibilità di cambiare lavoro e
cercarne uno compatibile con le proprie esigenze
conciliative.
LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO
Emergono più aspetti di imprenditorialità e conciliazione.
Il
tema
è
frammentato
all’interno
delle
varie
organizzazioni. Si mettono in luce alcuni punti di
eccellenza soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei
bisogni.
FORLI’
LA RETE nella città di Forlì
Le realtà presenti: Comune di Forlì – Centro Donna;
Comune di Forlì - Centro per le Famiglie; rappresentante
di un’associazione; Provincia Forlì-Cesena; Associazione
Industriali; Comitato Impresa Donna - CNA; Sindacati CGIL; Confcooperative; Privato Sociale.
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Le parole stimolo: conciliazione; conciliazione e
territorio.
Le parole chiave:
contratti;
la
contrattazione;
orientamento; gruppo di lavoro; economia; risorse;
percorso; cicli di vita; cultura; reti; uso/abuso.
90
TEMI EMERGENTI
La conciliazione personale: le donne presenti hanno
evidenziato le loro difficoltà a conciliare le proprie attività
professionali con la sfera privata, affermando di non
riuscire a conciliare niente e di far passare spesso la
propria vita personale e privata in secondo piano,
collocandola in una sorta di “momento dopo” che però
viene sempre posticipato.
Alcune donne hanno sottolineato l’importanza di avere
tempo per sé e riescono a trovare tutti i giorni un paio
d’ore da dedicare ad esempio alle attività sportive,
sfruttando tutti i momenti in cui gli altri fanno altre cose;
per loro conciliare diventa un po’ una corsa ad occupare il
tempo nel modo più efficiente possibile.
Le politiche della conciliazione: un tema fondamentale
sviluppato durante la realizzazione del focus riguarda le
politiche della conciliazione su cui sono state fatte diverse
considerazioni:
• non si può ragionare di conciliazione senza tenere
in considerazione i costi, sia umani che economici,
che questa comporta. Spesso tali costi non sono
visibili nel momento in cui si agisce la conciliazione,
ma ci si ritrova a fare i conti successivamente e
questi devono gravare sulla società e non sulle
singole persone;
• è necessario modificare il sistema polarizzato che si
avverte attualmente, per cui le politiche della
conciliazione producono dei privilegi, pagati
dall’intera collettività, ma di cui usufruiscono solo
alcuni. Viene sottolineato quindi il bisogno di
distribuire
la
conciliazione
per
renderla
umanamente possibile a tutti, inventando e
proponendo come soluzioni non le punte di
eccellenza ma le esperienze più condivisibili,
affinché possano essere usufruite da un numero
maggiore di persone. Non è possibile quindi tenere
in considerazione solo le storie personali ma è
necessario ragionare sui grandi numeri per avere
91
una ricaduta sull’intera comunità;
un tema centrale nella elaborazione delle politiche
deve tenere in considerazione secondo le donne
presenti i cicli di vita biologici, assumendo che
questo può essere un criterio che deve guidare
nelle scelte normative. Al giorno d’oggi vengono
posticipate delle scelte sia legate alla maternità sia
professionali, “perché si pensa che quel momento
permetterà di conciliare meglio queste due
dimensioni e perché si pretende che la società
rispetti questo ritmo di vita anche se diverso da
quello biologico mentre non è possibile fare a 40
anni quello che si potrebbe fare meglio a 25”;
• per l’elaborazione delle politiche della conciliazione
ritengono necessario creare le occasioni (le
condizioni, i tempi, i modi) per poter stare insieme
e parlare e ragionare sulla cultura della
conciliazione non solo fra donne, perché viene
riscontrato un vuoto totale sulla cultura della
conciliazione;
• le
soluzioni
alle
esigenze
di
conciliazione
dovrebbero essere ripensate; viene sottolineata
l’importanza della costruzione di un sistema di cura
complesso, in cui vengono attivate molteplici
risorse, non solo i servizi o le possibilità offerte
dalla normativa, ma anche le reti sociali;
• è stato analizzato in maniera critica anche
l’atteggiamento delle donne nei confronti delle
opportunità e delle tutele previste dalla legge, che
tendono al giorno d’oggi a sfruttare tutte le
possibilità esistenti, riducendo a questo la
conciliazione, senza interrogarsi sulla sostenibilità o
meno della scelta. Al cattivo uso delle leggi
sostengono, dovrebbe essere sostituito un uso
creativo per evitare che le leggi si brucino e
inducano dei comportamenti perversi.
La conciliazione nel ruolo professionale: è stato
sottolineato che è molto difficile per alcuni ruoli riuscire a
conciliare il lavoro con la vita famigliare o semplicemente
•
92
“decidere di stare a casa un venerdì pomeriggio”. Il senso
di responsabilità viene individuato come motivazione
principale, ma a questo si aggiunge la volontà di
dimostrare le proprie capacità per essere “brava quanto” o
“brava più” di un uomo e la difficoltà a delegare per
“mantenere verde il proprio giardino”, “la paura che tutto
quello che abbiamo conquistato, se non viene tenuto
sempre sotto mano, possa essere preso da qualcun altro”.
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
opera: le donne presenti sottolineano come le loro
organizzazioni
di
appartenenza
sono
costituite
prevalentemente, se non esclusivamente, da donne.
L’atteggiamento rispetto al problema della conciliazione è
stato però profondamente diverso:
• il percorso di vita della organizzazione è arrivato al
punto di fare una riflessione per agevolare le
lavoratrici concedendo quello che era previsto dalla
legge, andando incontro il più possibile alle diverse
esigenze, non per una questione di “bontà” ma
perché è stato notato che “più si stringe la corda” e
meno si ottiene;
• c’è stata in un primo momento molta disponibilità,
dalla flessibilità d’orario ai permessi concessi senza
problemi. L’organizzazione ha cominciato a porre
dei freni nel momento in cui sono aumentate le
richieste di part time e non è stato possibile
concederli a tutte. È presente inoltre una marcata
differenza fra i ruoli impiegatizi e quelli dirigenziali
dove il part time non viene generalmente concesso.
Le risposte del territorio: le risposte che il territorio
fornisce sono messe in relazione alla struttura produttiva
che lo caratterizza, in particolare hanno evidenziato:
• l’economia locale si regge principalmente su piccole
e piccolissime aziende rendendo estremamente
difficile l’uso di agevolazioni previste dalla legge; le
grandi aziende ragionano di conciliazione per forza
attraverso la contrattazione collettiva;
• molte donne sul territorio sono lavoratrici
autonome che non possono usufruire delle stesse
93
leggi o tutele delle dipendenti e hanno il grosso
problema della sostituzione. Sono stati realizzati
dei progetti specifici ma le soluzioni non sono
semplici;
• l’andamento positivo è stato interrotto dalla
congiuntura economica che ha costretto a
“stringere” e la cosa su cui si è “chiuso” è stata
proprio la conciliazione.
Nel territorio sono state seguite, e si continuano a seguire,
diverse strade per affrontare i bisogni e le esigenze legate
alla conciliazione. Da una parte si lavora sulla
contrattazione,
in
quanto
strumento
collettivo
fondamentale ed in particolar modo sulla flessibilità di
orario; dall’altra, si lavora sui servizi anche attraverso
attività di ricerca finalizzate alla loro programmazione. Ad
esempio è emerso che i nidi sono un servizio in cui le
donne hanno fiducia, ma di queste il 30% afferma che non
lo userebbe soprattutto per la sua rigidità di orari. Viene
messa di nuovo quindi in evidenza la necessità di
individuare soluzioni articolate che non vadano a scapito
della dimensione educativa e della qualità del servizio.
Infine, sono state realizzate molte esperienze sperimentali
all’interno di un progetto complesso ed articolato “La rete
in Comune” che ha visto coinvolti a diverso titolo molte
delle persone presenti, che hanno colto l’occasione fornita
dal focus per ripensare alle cose fatte e leggerle con una
prospettiva valutativa.
Le lacune principali evidenziate riguardano la scarsità delle
risorse e dell’informazione.
LA VOCAZIONE
Molte esperienze sono già state realizzate in seguito
all’analisi dei bisogni e si percepisce che è fortemente
avvertito non solo il bisogno di confrontarsi sulle cose
fatte e di valutare i progetti ormai conclusi, ma anche di
ripensare le cose fatte alla luce di una riflessione più
ampia sulla cultura della conciliazione.
PIACENZA
94
LA RETE nella città di Piacenza
I presenti: Sindacato CISL, Lega coop, n.2 Imprenditori,
Comune di Piacenza pari opportunità, Pari opportunità
provincia di Piacenza, Comune di Piacenza Centro per le
famiglie, N.1 Associazione onlus
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Parole stimolo: Conciliazione, Conciliazione e territorio,
Conciliazione e propria realtà personale,
Approfondimenti richiesti: i servizi per gli anziani
Le parole chiave: Clima sereno Donne: figli, maternità
Piano degli orari, Autoimprenditorialità: forme di lavoro
che
conciliano,
Anziani,
Reinserimento
lavorativo,
Studenti, Trasversalità, Servizi per la città, Legge 53,
Tentativo perenne, Affettività dell’organizzazione, Clima
caotico, Tempi e orari di lavoro, Sensibilità, Contratti: il
telelavoro
TEMI EMERGENTI
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
opera:
La realtà piacentina, messa in luce attraverso le
testimonianze raccolte nei focus, mostra alcune realtà
lavorative che non hanno problemi (l’ente pubblico) o
meglio “quelli che ci sono sembrano per ora gestiti bene”.
Si passa da situazioni in cui è stata attuata una modifica
dell’orario di lavoro: flessibile e differenziato, prolungato
e part time a realtà, sempre del pubblico, in cui si stanno
sperimentando nuove idee organizzative. Ad esempio il
telelavoro per cui si sta attuando un piano di fattibilità
(rientro
maternità).
Il
2004
sarà
l’anno
della
sperimentazione.
E’ stata fatta una rilevazione dei bisogni da cui è emersa
la richiesta di servizi per i periodi scoperti (estate e
festività) e si sta valutando la proposta di convenzioni con
società (per i bambini dai 6 ai16 anni) e le possibilità di
sconti per i dipendenti dell’ente.
Si evidenzia che le azioni organizzative devono essere
supportate da elementi economici (esempio dell’utilizzo
della l.125) e da formazioni specifiche (dirigenti). Si fa
95
notare che tali aspetti sono ritenuti prioritari, per cui
probabilmente verranno attuate con finanziamenti interni.
Autoimprenditorialità
Viene presentato lo sportello impresa per favorire
l’imprenditorialità femminile e forme di lavoro che aiutano
a conciliare.
L’elemento dell’autoimprenditorialità emerge in relazione
con la conciliazione per cui sono nate associazioni e
imprese per la conciliazione, fatte soprattutto da donne
che sentono maggiormente i problemi di conciliazione e
per donne che vogliono rientrare nel mondo del lavoro.
Durante l’incontro gli interventi si suddividono in modo
chiaro per problematiche e riflessioni fra gli interventi
fatti da soggetti che lavorano nel pubblico e altri del
privato, sottolineando chiaramente la forte differenza e la
caratteristica dell’imprenditorialità.
Spesso il tema è riconosciuto come trasversale ed attuale
ed ogni realtà ha inventato delle strategie.
Chi si ha formalizzato di più (legge 53) attraverso delle
progettualità concrete e chi invece ha evidenziato la
conciliazione come un problema magmatico e perenne,
permeato di emotività.
L’impresa potrebbe conciliare l’imprenditorialità con la
96
La conciliazione personale
Sul livello personale sono state espresse delle
considerazioni su alcuni possibili modelli di conciliazione
come l’eliminazione dell’orario di lavoro, il piacere di
lavorare.
Si riconosce nel personale che ci deve essere anche una
famiglia che supporta le stranezze dell’orario di lavoro
dovute ai settori.
Oppure ci sono anche i casi in cui si fanno delle scelte che
poi si pagano sulla base delle ore e quindi del guadagno.
A questo punto ci si scontra con realtà fortemente
connotate dalla differenza tra i sessi, per cui il salario
delle donne è un salario accessorio.
Non è un caso che le nuove povertà siano rappresentate
da donne sole e anziane.
Si affronta anche la situazione sempre più diffusa dei
matrimoni che vanno avanti a volte più per motivi
economici che per altro.
I livelli personali rivelano momenti di crisi profonda che
fanno percepire finte conciliazioni con “arrampicamenti su
Una ragione viene identificata nell’aumento della
consapevolezza del tempo per sé “quindi c’è una
maggiore assertività che però paghiamo con il prezzo
dell’arrampicamento su vetro inteso come sviluppo di
capacità organizzative mostruose.”
I percorsi di carriera
Nel privato e nel pubblico emerge la situazione di uomini
che chiedono il part time per fare la libera professione
(carriera) mentre le donne lo richiedono di più per
conciliare con la casa (genitori figli etc.).
LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO
Emerge un’attenzione ai bisogni che si suddivide su due
livelli: il pubblico e il privato.
Questa divisione si coglie sia nella fase di rilevazione sia
nell’l’elaborazione delle risposte.
Le risposte dell’organizzazione alla conciliazione sono
diverse se si pensa alle risposte che l’ente pubblico dà al
proprio interno rispetto a quelle fornite per l’esterno. Le
97
organizzazioni private evidenziano la necessità di un
maggiore coordinamento da parte di un regista pubblico
locale.
RAVENNA
LA RETE nella città di Ravenna
Le realtà presenti: Sindacati CISL e CGIL, Impresa del
Privato sociale,
Assessorato pari opportunità della
provincia,
Associazione
degli
industriali,
Ente
di
Formazione
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Parole stimolo: Conciliazione, Conciliazione agita a
livello personale.
Le
parole
chiave:
Consumi,
Non
ufficialità,
Contrattazione personale e gestione personale dei tempi,
Luoghi ostici, Trasversalità, Politiche, Organizzazione dei
servizi
(diversificazione),
Cultura
(tempo),
Orari,
Adeguamento al mercato, Flessibilità (meno tutele,
economia), Tempi e bisogni delle persone, aspetti più
individuali, Cambiamento, Compiti di cura, Economia,
Rapporto tra i sessi, Sensibilità, Interesse comune e
Senso di appartenenza, Più ruoli, Patti, Interessi di
categoria, Contrattualistica, Part time orizzontale per i
giovani, Formazione e contrattazione, Difficoltà, Senso di
responsabilità,
Supporti
famigliari,
Ansia,
Super
organizzazione, Carico di relazioni, Resistenza al
cambiamento
TEMI EMERGENTI
Riflessioni sul concetto di conciliazione e cultura
della conciliazione
Ragionare di conciliazione in un’ottica di pari opportunità
significa non ritagliare degli spazi specifici per i soggetti
femminili ma organizzare e valorizzare le competenze
delle persone.
La conciliazione è un tema cruciale per la regione Emilia
Romagna ma sul piano culturale si ritiene che questo
territorio sia ancora indietro.
98
Viene fatta una riflessione sui punti di vista in tema di
conciliazione, ad esempio una posizione mette in
evidenza che “c’è il lavoro e poi la vita della persona che
ruota in funzione del lavoro, che occorrerebbe riflettere a
più ampio raggio anche sull’idea di flessibilità e non
dimenticare che oggi i bisogni sono sempre più
Un grosso ruolo è giocato dal mercato che sostiene di
essere flessibile ma che invece richiede che siano le
persone a flessibilizzarsi per seguirlo.
Emerge che i problemi della conciliazione sono problemi
di cultura e di presa di coscienza.
Nella nostra società si deve lavorare sempre di più e la
nostra regione ha il numero più alto di donne lavoratrici.
Quindi la conciliazione è anche una questione economica,
organizzativa, oltre che di rapporti tra i sessi.
Cercando di portare una riflessione locale emergono
elementi di criticità legati al settore pubblico in qualità di
ente locale, di erogatore dei servizi e gestione/controllo
dei tempi di una città.
In alcuni casi, “culturale” è inteso come bene comune di
una società e, ancora, per definire i limiti della
conciliazione si deve capire quale è l’interesse prevalente
degli enti pubblici (ad esempio dare servizi a un certo tipo
di società).
Durante il dibattito è stato messo in evidenza che le
donne continuano a trovarsi le strategie organizzative e
conciliative da sole. Questo avviene per via di una cultura
profonda, quella dell’emancipazione per cui la donna
lavora tre volte di più per dimostrare che è capace.
Oggi le donne rivendicano la libertà individuale di fare le
proprie scelte compresa quella di avere un figlio a 30-35
anni perché prima si danno altri obiettivi.
Le generazione sono cambiate e sono cambiati anche i
sensi di colpa. La conciliazione è legata anche alle
generazioni e alla cultura che cambia. Il tema della
conciliazione non può essere ascrivibile alle donne.
La conciliazione riguarda l’organizzazione di una società
in quanto tale.
99
Il gruppo si interroga su come questo tema non sia un
tema ascrivibile alle donne ma diventi un elemento
centrale delle politiche.
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
opera:
Le modalità di organizzazione e di valorizzazione interna
alle realtà lavorative hanno una grossa ricaduta sulla
conciliazione.
Si rileva comunque una forte maschilizzazione del lavoro
e dell’organizzazione del lavoro.
All’interno dell’organizzazione bisogna distinguere tra le
situazioni delle donne che fanno parte del sistema
impiegatizio,
che
in
molte
strutture
associative
usufruiscono del part time, e delle donne che invece
ricoprono ruoli funzionali con l’impossibilità del part time.
Emerge una particolare riflessione in tema di infortuni
all’interno degli ambienti di lavoro che, da statistiche
pubblicate (2003), sembrano colpire più le donne che gli
uomini. Si apre un dibattito: perché?
Tra le risposte individuiamo: “c’è più stress, si va più di
corsa, spesso alle donne spettano i lavori più
dequalificati”. C’è questa criticità.
Nel caso di servizi che operano in determinati orari il
personale è suddiviso fra chi opera per la conciliazione
degli altri e quindi fa fatica a conciliare con la propria
famiglia e chi, con un orario più standard, riesce meglio a
conciliare.
Emerge che nel privato il lavoro si compone di elementi
che incidono in diversa misura sulla conciliazione: il
rapporto tra ore di lavoro svolte e lo stipendio, i ruoli
ricoperti e il riconoscimento organizzativo, la gestione di
mansioni su più ruoli.
All’interno di organizzazioni medio piccole e nel privato il
tema della conciliazione è stato affrontato spesso
internamente
ma
in
forma
non
ufficiale,
con
contrattazioni personali “tra lavoratrice/lavoratore e
direttore” facendo leva sulla disponibilità.
Le organizzazioni sono rigide per gli orari ad es. l’orario
spezzato ormai è superato, come pure la chiusura totale
100
per ferie di tutti: “le palestre pullulano di gente durante la
Quello che viene socialmente creduto come l’orario di 36
ore settimanale del pubblico è assolutamente un’altra
cosa da quello che accade nel privato (anche privato
sociale), gli orari straordinari (sopra le 36 ore) sono
praticamente ordinari.
Da una parte si afferma che occorrono le regole che
dovrebbero essere seguite, poi dall’altra si consolidano
delle prassi che non c’entrano con le regole.
Una
soluzione
può
essere
quella
di
gestire
autonomamente le ore di lavoro. “Fare in più quando c’è
bisogno di fare e recuperare quando ce ne è la necessità.
Questo dipende molto dalle mansioni”.
Vengono fatti molti riferimenti concreti a nuove forme
contrattuali, ad esempio le co.co.co., che dovrebbero
essere le nuove forme flessibili (n.19.000 a Ravenna): ne
usufruiscono in maggior parte donne laureate impegnate
in lavori intellettuali, che hanno scelto questa forma
perché la ritengono più flessibile e in grado di liberare del
tempo. Di fatto dicono che questa flessibilità non c’è, il
contratto è legato ad un progetto però poi sono obbligate
ad essere presenti in ufficio e devono fare mansioni non
sempre collegate ai loro progetti: fotocopie etc. “con il
ricatto che se mi faccio vedere sempre poi mi rinnovano il
progetto”. “Ecco! Queste donne rivendicano la flessibilità
La flessibilità spesso non si concilia con la remunerazione.
Le donne sono aumentate nel lavoro nero (per scelta) ed
anche nello stagionale, “così si riesce a lavorare per un
periodo ristretto e a conciliare ad es. con i figli”.
Si verifica che è in aumento il part time dei giovanissimi
per fare 6 mesi di lavoro e 6 mesi per studiare e/o
viaggiare (esperienze all’ estero). Anche nel pubblico è
aumentata questa richiesta. Oggi c’è la grossa difficoltà di
andare a contrattare questi bisogni e queste richieste.
E’ molto difficile per il sindacato quando ci sono così tante
esigenze individuali. Questa organizzazione è alla ricerca
di nuove idee e soluzioni.
101
Nell’organizzazione pubblica ci sono tanti lavoratori che
non hanno contatto con il pubblico e che potrebbero fare
un orario diverso. Ma ci sono anche pareri contrari a
questo perché, nel momento in cui si è cercato di fare
alcune modifiche, sono stati i lavoratori stessi che non
hanno voluto, sia perché “scattano situazioni di invidia
perché uno è allo sportello e allora è più vincolato ma
perché sono allo sportello e se ho bisogno di altri che
sono in servizi interni per vedere una pratica allora tu ci
devi essere.”
Affrontare questo significa mettere in conto che si
portano nuovi problemi di organizzazione del lavoro.
Mettere in discussione alcune situazioni consolidate
sconcerta, ci sono grosse resistenze al cambiamento.
La formazione
E’ importante capire in che modo il mondo della
formazione anche professionale può incidere sulla
conciliazione, come incidono gli altri servizi che sono sul
territorio.
Ci si chiede anche che tipo di formazione possa essere
utile per gestire “più ruoli” che necessariamente vanno
portati avanti all’interno dell’organizzazione lavorativa
(aspetto legato ai settori lavorativi).
102
La conciliazione personale
Si rileva una discreta situazione di stress che però
consente buoni margini di movimento. “Io penso di
essere sicuramente stressata perché entro alla mattina e
non so quando rientro alla sera, ma posso ritagliarmi
degli spazi, ho delle libertà di movimento”.
Molte sono le figure coinvolte nelle azioni di conciliazione:
i nonni, la dada a pagamento etc.
Rispetto ai ruoli si rileva che non è vero che se il livello
lavorativo è alto c’è più flessibilità nel senso di libertà di
gestione dei tempi, al massimo la flessibilità in entrata
“magari si entra più tardi se non si hanno impegni ma gli
impegni di riunioni e incontri, sono sempre prevalenti
rispetto ai propri tempi”.
È una mediazione continua e quello che viene sacrificato
spesso è il piano personale perché il senso di
responsabilità verso il proprio lavoro incide sui ritmi
personali. “C’è chi può fare certi lavori perché c’è un
supporto e bisogna avere la sensibilità di vederle queste
cose, oppure caratteristiche come l’essere giovani”.
Allo stress spesso si affianca anche il carico di ansia che è
dato dalla super organizzazione perché oggi i bambini
fanno più cose, gli anziani hanno una serie di loro
programmi. C’è un carico di relazioni che si è aggiunto al
peso della conciliazione, i parenti, i nonni etc. che
aggrava le situazioni di ansia. E questo riguarda anche le
relazioni fra le donne e gli uomini nella suddivisione dei
compiti.
Il territorio e le strategie comuni
Sono necessari più servizi e purtroppo quelli esistenti
sono sempre più a pagamento.
In alcuni casi poi sono concentrati in determinate zone
creando grossi problemi di traffico in determinate ore
della giornata.
Viene rilevata la problematica degli spostamenti anche
per i bambini che a fatica si riescono a spostare (anche
per tragitti brevi) in modo autonomo per la città, c’è
troppo traffico e confusione.
Mancano dei punti di aggregazione per i bambini quasi
103
ragazzini.
Il territorio sembra soffrire di una programmazione che
ha favorito alcuni settori a scapito di altri.
Emerge il problema dell’interesse comune, durante i
periodi di ferie se si gira per uffici spesso sono chiusi.
I tempi della città, “non c’è niente da fare ruotano
sempre dietro ai tempi dell’economia del lavoro,
l’economia è al centro il resto vi ruota attorno”.
La città di Ravenna è stata una delle prime a formulare il
piano degli orari e dei tempi. O si iniziano a costruire dei
patti che vadano oltre agli interessi delle singole categorie
altrimenti non si riesce a costruire un interesse comune.
Ci sono grosse difficoltà a vedere le cose comuni perché
si pensa che sia più facile vedere solo la propria
situazione.
LA VOCAZIONE DEL TERRITORIO
Il territorio si distingue per una vocazione sulla
formazione e la dimensione culturale, c’è un dibattito
molto vivo sulla cultura della conciliazione. Inoltre c’è una
ricerca costante di forme contrattuali più vicine alle
esigenze di lavoratrici e lavoratori.
REGGIO EMILIA
LA RETE nella città di Reggio Emilia
I presenti: Comune Reggio Emilia – Sportello Donna;
Comune Reggio Emilia – Centro per le Famiglie;
Confcooperative; Privato Sociale; Provincia di Reggio
Emilia – Consigliera di Parità; Comitato Impresa Donna –
CNA.
LO SVOLGIMENTO DEL FOCUS
Le parole stimolo: conciliazione; la conciliazione viene
vissuta meglio in un contesto dove prevale al presenza
femminile o maschile?; la conciliazione e il territorio.
Le parole chiave: Organizzazione/Tempi; Competenze;
Riflessione
personale;
Esigenze;
Ansia;
Flessibilità/contratti:
orari,
part
time,
telelavoro;
Tecnologia; Rigidità; Differenza livelli per uomini e donne;
104
Termini;
Equilibrio:
privato
e
di
lavoro;
Cultura/cambiamento/sistema
di
valori;
Ambiente/politica/missione dell’organizzazione; Servizi;
Sconfinamento;
Emergenze;
Necessità;
Nuove
generazioni;
Energie;
Staccarsi;
Mission;
Pensiero
differente e integrazione; Appoggio familiare.
TEMI EMERGENTI
La conciliazione personale: il tema della conciliazione a
livello personale è stato affrontato inizialmente dal punto
di vista delle singole soluzioni adottate per affrontare le
esigenze di conciliazione, per poi arrivare a considerazioni
più generali sulla cultura della conciliazione.
Anzitutto, è stata data una definizione ampia di
conciliazione, non solo come gestione del tempo fra lavoro
e figli piccoli, ma anche in relazione ai genitori anziani e al
tempo per sé, per stare da sola, per fare un’attività
sportiva o seguire una propria passione, con la
consapevolezza che le organizzazioni faticano a fornire
risposte per le situazioni di emergenza e sarebbe
utopistico pensare che lo facciano per il benessere
generale della persona.
Dalle storie personali delle donne presenti la prima
differenza che emerge è legata al modo in cui viene
affrontato il tema della conciliazione nella propria famiglia
e come è vissuta nell’ambiente di lavoro. Nel contesto
personale, infatti, la conciliazione viene “affrontata in
modo adulto”, in generale la gestione della famiglia e della
casa è un tema su cui si ragiona e discute arrivando ad
una condivisione, ad una gestione “concordata” in cui si
mettono in campo le risorse disponibili all’interno della
propria rete famigliare, e quelle fornite dai servizi o da
persone esterne.
Viene però sottolineato che gli strumenti di cui si dispone
a parole sono accompagnati in alcuni casi da un forte
senso di colpa, da una sorta di ansia legata alla
conciliazione, nel momento in cui non si riesce a tenere
completamente sotto controllo la dimensione domestica
(per esempio le camice sempre pronte, le scarpe pulite).
105
Viene
quindi
evidenziato
che
“per
realizzare
la
conciliazione la prima cosa da fare è realizzare un
cambiamento culturale nella relazione uomo donna”,
intravedendolo già nelle generazioni più giovani che
sperimentano all’interno della famiglia di origine una
diversa distribuzione dei ruoli.
La conciliazione nel ruolo professionale: se nel
contesto famigliare vengono fatti dei tentativi affinché il
lavoro di cura non resti unicamente una responsabilità
femminile, nel lavoro è molto più difficile, a tal punto che
viene sottolineato che non si era mai veramente pensato
ad una reale differenza fra maschi e femmine fino
all’ingresso nel mondo del lavoro.
Sul lavoro scattano due meccanismi: il primo è legato alla
dimostrazione di essere “bravi quanto”, se non “più bravi”
facendo di più di quanto viene chiesto o è di competenza e
dimostrandosi sempre più disponibile. La capacità,
tipicamente femminile, di tenere insieme tante cose si
rivela a questo proposito estremamente utile con il
problema conseguente definito dello “sconfinamento”,
inteso non solo come il portare fisicamente il lavoro a
casa, ma anche mentalmente.
Il secondo meccanismo è legato ad un fatto culturale, ed è
legato al “ruolo da crocerossina” che si tende ad assumere
sul lavoro, al trasferire anche sul lavoro l’abitudine a
prendersi cura degli altri, al provvedere agli altri che è
tipicamente femminile. Questo atteggiamento “protettivo”
ha però delle ripercussioni negative nel momento in cui
viene percepito dai colleghi o dai clienti in termini di
percorsi di carriera .
Le risposte interne dell’organizzazione in cui si
opera: le risposte dell’organizzazione ai problemi posti
dalle esigenze di conciliazione sono state messe in
relazione sia alla maggiore presenza maschile o femminile
che alla mission dell’organizzazione, facendo una
distinzione fra quella politico-amministrativa e quella
d’impresa. È importante sottolineare che erano presenti
sia donne che lavorano come imprenditrici sia donne che
lavorano all’interno della pubblica amministrazione.
106
Per quanto riguarda la prima dimensione, la maggiore
presenza femminile all’interno di una organizzazione non
viene considerata una caratteristica che comporta una
maggiore sensibilità verso la conciliazione, al contrario le
richieste di flessibilità delle lavoratrici si scontrano con le
esigenze dei servizi, che devono essere flessibili e devono
garantire una elevata qualità. Ne consegue che le risposte
alle
esigenze
interne
di
conciliazione
diventano
estremamente complesse, si trasformano in “tante
flessibilità e armonizzazioni di orario” che funzionano
molto bene finché le lavoratrici sono costituite da ragazze
molto giovani le cui esigenze di conciliazione sono legate
principalmente al tempo libero.
Il clima di lavoro inoltre viene considerato migliore quando
la presenza è sia maschile che femminile. Nei contesti a
prevalenza femminile non solo viene sottolineata la
presenza di una “altissima competizione e dei meccanismi
puramente maschili, peggiorati”, ma anche la mancanza di
arricchimento che deriva dal confronto fra caratteristiche
diverse.
La conciliazione, in generale, viene vissuta meglio dove “ci
sono persone intelligenti che su questo tema possono
ragionare, che siano uomini o donne”, dipende quindi dal
sistema di valori che le persone portano, se è un sistema
che valorizza la differenza o se è fondato su degli
stereotipi.
Per quanto riguarda invece le risposte in tema di
conciliazione in relazione alla mission dell’organizzazione,
emerge:
• Organizzazioni con mission politico-amministrativa:
le organizzazioni si stanno muovendo nella
direzione della realizzazione di una maggiore
flessibilità sia attraverso l’impiego di tipologie
contrattuali particolari (part time) sia attraverso la
sperimentazione di nuove soluzioni organizzative
che permettono una gestione diversa dei tempi
(telelavoro, turni, flessibilità d’orario).
• Organizzazioni con mission d’impresa: cominciano
a sviluppare azioni che agevolano la conciliazione
107
ma questo obiettivo viene perseguito non tanto
perché si è sviluppata una sensibilità particolare ai
temi della conciliazione, ma soprattutto per ragioni
di
tipo
economico,
ovvero
“per
una
razionalizzazione dei costi”.Ne consegue che non si
ragiona solo al femminile. Nei contesti dove il
personale è costituito sia da uomini che da donne,
viene rilevato che spesso la concessione del part
time viene interrotta perché gli uomini lo vivono
come una discriminazione nei loro confronti; se le
lavoratrici sono in prevalenza donne le richieste
aumentano a tal punto che non è più una soluzione
sostenibile dal punto di vista economico per
l’impresa.Le misure che permettono una maggiore
flessibilità sono sempre rivolte a donne
,
profili
impiegatizi
con
poca
responsabilità e non sono mai applicate ai ruoli
dirigenziali.
• Organizzazioni che hanno come mission il fornire
risposte ai problemi di conciliazione (servizi pubblici
e privati per l’infanzia o per i genitori): le risposte e
gli strumenti di flessibilità delle altre organizzazioni
sono difficilmente applicabili sia per la necessità di
offrire un servizio di qualità sia perché dagli utenti
provengono
richieste
di
sempre
maggiore
flessibilità ed estensione dell’orario di apertura. Il
problema non è emerso fino ad ora in queste
organizzazioni poiché le donne che vi lavorano
sono molto giovani e le esigenze maggiori di
conciliazione sono legate al tempo libero.
I percorsi di carriera: un tema critico fortemente legato
alla conciliazione e ampiamente discusso durante il focus è
quello legato ai percorsi di carriera. Viene messo in
evidenza come spesso vengono utilizzate le esigenze di
conciliazione della donna come pretesto per bloccare i
percorsi di carriera. Viene infatti assunto che per ricoprire
incarichi di responsabilità è necessaria una costante
presenza all’interno dell’organizzazione che non è
compatibile ad esempio con un part time, solitamente
108
concesso per i profili più bassi. La discriminazione nelle
organizzazioni diventa ancora più evidente quando nei
ruoli dirigenziali alti, molti uomini hanno il part time per
conciliarlo con altri ruoli professionali e incarichi
ampiamente retribuiti. Questo risulta vero a tal punto che
nel caso degli uomini non viene nemmeno utilizzata
l’espressione part time, ma doppia responsabilità.
Viene sottolineato che a parità di titoli di studio e età fra
maschi e femmine c’è molta differenza non solo nei ruoli
occupati ma anche nella retribuzione; da una parte le
donne tendono a non valorizzare il proprio lavoro anche
dal punto di vista economico, dall’altra spesso viene
percepito non tanto come una prestazione lavorativa che
deve essere adeguatamente corrisposta, ma come
“assistenza sociale” proprio per la partecipazione e il
coinvolgimento tipici dell’atteggiamento femminile nel
contesto lavorativo.
L’ingresso in una organizzazione segue logiche politiche e
di lobby che non facilitano spesso l’ingresso di figure
femminili perché la loro presenza cambierebbe quei
luoghi. Si sente però la necessità di modificare la cultura
dirigenziale, introducendo un pensiero originale basato
sulla “differenza e integrazione”.
Le risposte del territorio: viene messa in evidenza
come le risposte alle esigenze della conciliazione
provengano molto dalle rete famigliare e la loro vicinanza
è quindi fondamentale. La città di Reggio Emilia è però
costituita ormai non solo da nativi del luogo, ma anche da
numerosi migranti o da altre regioni d’Italia o da altri
paesi e sono sempre più numerose le famiglie che possono
contare solo sulle risposte offerte dai servizi pubblici e
privati.
Se la qualità dei servizi offerti a Reggio Emilia è per
tradizione molto alta, vengono evidenziate altre lacune:
dislocazione sul territorio: le strutture spesso sono
dislocate nel centro della città e non nelle aree industriali
o artigianali dove si concentra la maggior parte dei
lavoratori e delle lavoratrici che impiegano moltissimo
tempo a raggiungere prima i servizi e poi i luoghi di
109
lavoro;
periodi di apertura dei servizi: l’apertura dei servizi è
legata all’anno scolastico tradizionale (settembre –
giugno), di conseguenza in alcuni mesi dell’anno, in
particolar modo durante il periodo estivo, si registra una
forte richiesta di spazi e servizi non solo per la prima
infanzia ma anche per la fascia di età che va dai 3 ai 5
anni. ;
valorizzazione del settore privato: poiché il pubblico non
riesce a far fronte alla domanda che proviene dal territorio
in termini di servizi, viene sottolineata l’importanza di
valorizzare gli interventi e le iniziative del settore privato e
contemporaneamente le difficoltà enormi, soprattutto
dovute alle normative regionali, che si incontrano in
questo ambito;
costi: le rette sono altissime.
Hanno sviluppato una particolare sensibilità verso il tema
conciliazione le organizzazioni che offrono risposte alle
esigenze di conciliazione che si riflette ad esempio nel
porre una attenzione particolare a tutte quelle soluzioni
che facilitano la conciliazione: servizi nell’arco delle 24
ore, massima disponibilità, incontri e iniziative in orari
“adeguati” e con la presenza di un servizio di baby sitting.
Viene però sottolineato che nel momento in cui si dimostra
sensibilità nei confronti di un tema come la conciliazione,
le richieste sono sempre maggiori, si richiede “sempre più
flessibilità, fino a troppa flessibilità, si finisce per
rincorrere le esigenze dei singoli genitori ed emerge la
necessità di mettere dei paletti, di educare alla
LA VOCAZIONE
La riflessione sviluppata nel territorio sui temi della
conciliazione al momento attuale ha permesso:
• un’analisi
dei
bisogni
“primari”
legati
alla
conciliazione che emergono dal territorio fornendo
risposte in termini di servizi pubblici e privati con
alcune criticità ma nel complesso adeguate e
sostenibili dal punto di vista economico;
• un’analisi
approfondita
sulla
cultura
della
110
conciliazione e sui bisogni “secondari” ad essa
legati riflettendo ad esempio in maniera critica sui
percorsi di carriera e sulle differenze di genere che
li caratterizzano.
Lettura e analisi
L’analisi dei focus è stata organizzata per tematiche
emergenti. I temi più trattati sono stati quelli stimolati
attraverso specifiche domande preparate e proposte allo
stesso modo in ogni incontro. Ogni area territoriale
durante la discussione ha evidenziato e introdotto nuovi
temi che sono risultati tipici di quelle zone. Oltre agli
aspetti di contenuto abbiamo notato che il focus ha dato
anche la possibilità di dialogare e lanciare messaggi e
comunicazioni tra i soggetti presenti. In alcuni casi sono
state chieste delle risposte a situazioni e problemi locali
vissuti tra i soggetti presenti oppure si sono aperte
opportunità di confronto e di dialogo. I soggetti riuniti in Luoghi per
una libera
questa occasione spesso si conoscevano già e insieme
riflessione
hanno partecipato a momenti di programmazione,
progettazione, presentazione di studi e ricerche,
sperimentazione di servizi etc.; ma il momento del focus
è stato connotato più come uno spazio di libera
riflessione. Quindi un luogo al di fuori dei compiti e ruoli
normalmente
ricoperti
per
lavoro,
dove
potersi
confrontare anche sulle dinamiche tra attori che vivono e
lavorano nello stesso territorio e che fanno o potrebbero
fare rete sul tema della conciliazione.
Questo aspetto, come altri che sono stati colti, si
differenzia a seconda della maturità conciliativa del
territorio di volta in volta preso in considerazione. Si
potrebbe affermare che più un territorio è maturo, e
quindi ha lavorato sia culturalmente che operativamente
sulla conciliazione, meglio riesce, attraverso i suoi
rappresentanti, a prendere le distanze da ruoli, mercati e
politiche per lanciarsi liberamente in un confronto
alternativo.
111
Riflessioni sulla conciliazione
Sono state fatte delle riflessioni non ascrivibili alla realtà
lavorativa, organizzativa, alla sfera personale o al
territorio in senso stretto, bensì astrazioni pure sulla
conciliazione, con collegamenti più filosofici sui massimi
sistemi, la vita e la società nel suo complesso.
Queste conversazioni davano la possibilità di uscire da
alcuni ruoli per poi rientrare nella comunicazione con
un’ambientazione maggiore e un contesto allargato.
Spesso questi passaggi hanno aiutato a trovare delle
risposte nella società definibile civile, nel senso che
cogliendo le trasformazioni verso nuove esigenze sempre
più individuali, è stato rivalutato il livello locale,
territoriale, per fare leva sul bene pubblico e il bene
comune. E da una tale valorizzazione trarrebbe
giovamento proprio la conciliazione.
Neces
sità di
un
monit
oraggi
La
conciliaz
ione
come
priorità
Emerge che la conciliazione non è un punto di arrivo ma è
un processo. Quindi è molto importante il modo con cui si
affronta e il sistema che viene messo in atto per arrivare
alla definizione di una strategia. Posta da questo punto di
vista la conciliazione ha in sè un altro problema, quello
del monitoraggio continuo che va programmato per poter
mantenere sempre aggiornati i bisogni e le nuove
risposte che sono in sintonia con i territori e le offerte
creative messe in atto. Questo strumento viene
esplicitato ampiamente nel rapporto tra conciliazione e
territorio.
Uno dei nodi affrontati, mentre si cercava di definire i
confini della conciliazione, è stato quello di cercare di
capire quale è l’interesse prevalente degli enti pubblici, se
ad esempio la conciliazione è una priorità o meno e quali
sono le figure legittimate a trattare della conciliazione. Al
fine di individuare strumenti per una rilevazione costante
dei bisogni e per una loro rielaborazione in un’ottica di
benessere comune, diventa determinante sapere che
questa è la priorità da perseguire o da proporre.
112
Le risposte interne dell’organizzazione
La partecipazione al focus di persone rappresentanti
organizzazioni diverse, pubbliche e private, datoriali e dei
lavoratori, ha permesso di cogliere non solo i diversi punti
di vista ma anche le diverse esigenze, spesso opposte,
ma comunque legittime.
Emerge
chiaramente
che
le
dimensioni
dell’organizzazione sono una variabile fondamentale per
quanto riguarda le risposte interne: le organizzazioni
pubbliche ad esempio possono, senza troppi problemi,
andare incontro alle esigenze delle lavoratrici o lavoratori
con strumenti quali il part time, la flessibilità d’orario, i
permessi ed in generale con tutte le opportunità previste
dalla legge in quanto economicamente sostenibili.
Nel caso delle piccole aziende o piccolissime è molto più
difficile avvalersi di questi strumenti perché difficilmente
accessibili dal punto di vista economico, e la disponibilità
reciproca sembra essere lo strumento più efficace.
Spesso si riscontrano momenti diversi nel percorso di vita
dell’organizzazione e ad una fase in cui vengono attivate
molte soluzioni per le esigenze di conciliazione ne segue
una caratterizzata da numerose restrizioni, sia a causa
della congiuntura economica sia perché il numero di
richieste aumenta sempre di più non appena qualcuna
viene soddisfatta, sia per evitare gelosie ed invidie fra i
lavoratori.
Nel caso delle donne artigiane o libero professioniste gli
strumenti
legislativi
perdono
completamente
di
significato.
Un secondo aspetto che condiziona fortemente le risposte
dell’organizzazione sono i ruoli ricoperti: se a livello
impiegatizio, o più in generale medio basso, le
organizzazioni non hanno generalmente problemi ad
andare incontro alle esigenze delle lavoratrici, per i ruoli
dirigenziali questa possibilità non viene concessa. Per i
ruoli di responsabilità, quelli in cui si devono gestire
emergenze od urgenze, non sono previste agevolazioni
113
Applic
are la
creati
vità
Strume
nti di
concilia
zione
maschil
i
che permettano di conciliare meglio il lavoro con la vita
privata. La giustificazione fornita è che “bisogna esserci”,
quindi molte donne o finiscono per rinunciare ad incarichi
di questo tipo o finiscono per fare scelte famigliari
particolari, ad esempio legate alla rinuncia della
maternità. Per gli uomini spesso non viene applicata la
logica del “bisogna esserci” e riescono ad ottenere più
incarichi part time, definiti però “doppia responsabilità”.
Ogni organizzazione sviluppa una sensibilità diversa sul
tema della conciliazione spesso in base alle esperienze e
ai vissuti personali delle persone che vi lavorano. Il livello
di sensibilità si manifesta sia in termini di disponibilità ad
andare incontro alle esigenze sia nella volontà di trovare
soluzioni ai problemi che si presentano, cercando di
cogliere le opportunità in termini di risorse e attivando
progetti sperimentali.
Il livello di sensibilità influisce anche nel tentativo di
creare nel contesto e nell’ambiente di lavoro un clima
sereno partendo dalla convinzione che questa condizione
sia molto più produttiva per l’organizzazione. Costruire un
buon clima significa anche garantire alle lavoratrici una
certa serenità sulle possibilità di conciliare le proprie
esigenze famigliari con il lavoro, senza troppa ansia o
preoccupazione.
Nel complesso, quello che emerge è che nonostante le
diverse necessità e i diversi interessi presenti è possibile
trovare delle risposte e delle soluzioni se vengono fatti
degli sforzi per cercarle, risposte che non devono essere
necessariamente personalizzate ma possono essere
pensate anche per la collettività.
Un discorso a parte riguarda le richieste legate ad
esigenze di conciliazione avanzate dagli uomini. Se infatti,
come si è già detto, la richiesta di part time è finalizzata
spesso allo svolgimento di un secondo incarico, quelle per
i congedi parentali sono mirate alla conciliazione con
esigenze famigliari. In questo si verificano tendenze
opposte: da una parte, permane ancora una cultura forte
per cui la conciliazione non è di competenza maschile e
quindi si incontrano all’interno delle organizzazioni molte
114
resistenze; dall’altra, si registra una crescita delle
richieste, ad esempio legate alla Legge 53/00. Per
affrontare questo aspetto si potrebbe verificare l’uso degli
strumenti della conciliazione in relazione ai ruoli e ai
settori produttivi che sono prevalentemente maschili.
Le organizzazioni lavorative possono trovare strumenti
utili per affrontare le esigenze di conciliazione interne
anche attraverso l’esperienza che proviene dalla
formazione professionale. In particolare le tecniche per
fare bilanci di competenze e quindi le strategie per
l’orientamento sono suggerimenti validi da applicare alle
lavoratrici/tori che manifestano disorientamento ed
esigenze di conciliazione
La conciliazione personale
Uno degli obiettivi del focus era, come si è già detto,
portare le persone presenti a riflettere sulla loro
conciliazione
personale
per
fare
emergere
le
contraddizioni spesso presenti fra il livello privato e quello
professionale di chi lavora su queste tematiche.
La prima grande distinzione che è emersa è legata
all’avere o meno figli, in particolare piccoli. Le donne che
non hanno figli sottolineano una forte esigenza di
conciliazione, soprattutto legata alla necessità di avere
tempo per sé, ma sono quelle che più difficilmente
riescono a “darsi una giustificazione morale adeguata” ,
per prendersi ad esempio un pomeriggio libero e finiscono
per realizzare la conciliazione utilizzando il tempo in
maniera molto intensa, sfruttando cioè tutti i minuti
disponibili.
Le donne che hanno figli presentano principalmente un
problema concreto legato a dove collocare i figli mentre
loro sono al lavoro, che viene affrontato attivando tutte le
risorse disponibili: scelta dei lavori e delle opportunità
privilegiando quelle che impegnano meno tempo per non
“sacrificare la famiglia”, uso delle opportunità offerte dalle
normative esistenti, servizi, reti famigliari e amicali,
bambini al lavoro e lavoro a casa.
115
Formazio
ne e
orientam
ento
L’emoti
vità
della
concilia
zione
Confronto
sulla
cultura
A questo problema ne consegue uno di tipo emotivo dai
contorni molto ampi legato alle preoccupazioni che questa
complessa gestione comporta. I vissuti che emergono
principalmente sono legati: all’ansia per la difficile
gestione dei tempi e le capacità organizzative che questa
comporta; alla stanchezza fisica e psicologica; ai sensi di
colpa che si vivono non solo nei confronti della famiglia
nel momento in cui non si riesce a “seguire la casa”, ma
anche nei confronti del lavoro e dei colleghi nel momento
in cui ci si deve allontanare per motivi famigliari.
Un altro aspetto importante emerso nei focus riguarda i
ruoli maschili e femminili e come questi stiano cambiando
rispetto al passato: nelle nuove generazioni si vede un
maggior coinvolgimento dell’uomo in tutti gli aspetti della
vita famigliare soprattutto nella cura dei figli piuttosto che
nel lavoro domestico. Le donne presenti evidenziano una
situazione spesso paradossale, per cui, se da una parte
affermano di avere affrontato la conciliazione “in modo
adulto” e quindi c’è una gestione famigliare concordata e
condivisa, dall’altra ammettono le difficoltà per superare i
sensi di colpa nei confronti del marito “se le camicie non
Un’ultima questione emersa riguarda la sempre maggiore
consapevolezza circa i costi economici che la conciliazione
comporta e che sono sostenuti dalle singole persone.
Ossia quanto pesa la scelta ad esempio del part time sul
proprio bilancio famigliare. Nonostante dal punto di vista
economico la conciliazione non sia quindi una scelta
vantaggiosa e vi sia consapevolezza di questo, non
appare strano che una donna vada a lavorare
praticamente per mantenere il lavoro e pagare i servizi o
la babysitter. Culturalmente il salario delle donne viene
ancora vissuto e considerato un salario accessorio che
serve esclusivamente a contribuire al budget famigliare.
La conciliazione e il territorio
116
I Focus, come altri parti di questo lavoro di ricerca,
confermano il bisogno di avere le informazioni sul
territorio elaborate e fornite in modo chiaro e visibile.
Un’idea può essere quella di riuscire a visualizzare su una
cartina la mappa dei servizi offerti sulla città, per avere
un quadro immediato sulle distanze da percorrere dalla
propria abitazione o dal luogo di lavoro al servizio di cui si
usufruisce (per infanzia, handicap e anziani). Spesso si
sprecano energie, tempo e risorse economiche dietro a
soluzioni che non sono percorribili. Tale spreco colpisce i
Nuova
Mappa
dei
servizi
presenti
nella città
sistema dei servizi che deve rallentare e modificare
continuamente la propria programmazione. Come nel
caso delle graduatorie che vengono fatte, sostituite e
quindi ricambiate a causa di abbandoni, cambi e
ripensamenti sempre più spesso dettati da problemi di
mobilità e di costi.
Il territorio è fondamentale nella problematica della
conciliazione e come per le riflessioni generali, è stato
verificato che un territorio è un’insieme di elementi:
servizi, politiche dell’ente pubblico, tempi della città. Da
alcune riflessioni emerge che il pubblico si è dato delle
priorità senza verificare il cambiamento dei bisogni e
quindi ci sono situazioni di grandi e costanti investimenti
su alcuni settori a scapito di altri. Ogni territorio potrebbe
dotarsi di un sistema di monitoraggio con specificità
proprie. Senza una lettura costante del panorama risulta
difficile procedere e navigare verso forme di conciliazione
attuabili ed efficaci.
Possibil
La conciliazione nel territorio può essere fatta attraverso
accordi, contrattazioni e patti, che coinvolgono le
organizzazioni, i servizi, le normative ed anche le reti.
Questa soluzione è successiva ad una fase di mappatura
per riuscire a delineare bene il contesto e valutare quindi
l’azione più opportuna per quel territorio.
117
ità
di
patti e
contrat
tazioni
a
livello
locale
L’impostazione di azioni come questa prevedono momenti
di analisi e di valutazione che dovrebbero essere condivisi
attraverso azioni di comunicazione e dialogo.
Nei territori le organizzazioni devono tener conto delle
singole aree per riuscire a funzionare efficientemente e
efficacemente.
Le
grandi
organizzazioni,
se
non
decentrano in aree, non riescono a vedere quelle piccole
soluzioni che possono essere utili e che “nel piccolo”
emergono meglio.
Promuovere Altro elemento è quello della sensibilità dei territori e di
conseguenza delle realtà organizzative, in questo senso si
azioni di
sensibilizza può agire programmando azioni per promuovere e
zione
valorizzare la cultura della conciliazione. Azioni che non
sono solo informative, ma che possano portare messaggi
per sensibilizzare di più le singole realtà territoriali.
Legata alla sensibilizzazione si inserisce la suddivisione,
che a volte pare controproducente se esasperata, tra il
livello pubblico e quello privato. Tale situazione sembra
Identifica
creare disagi, per l’identificazione di soggetti definibili
zione di
“referenti motivati”, che possono avere un ruolo notevole
referenti
nell’equilibrio della rete. Anche questo aspetto, che
motivati
emerge con intensità diversa nei territori di indagine, è
collegato alla maturità degli stessi.
La valutazione delle azioni per la conciliazione e la parità
può essere uno strumento per avvicinare le due realtà,
pubblico e privato. Ci sono alcuni territori che mostrano di
essere già maturi in questo senso, si pensi al progetto
“Una rete in Comune”, che gli stessi attori hanno definito
come uno strumento per “ripensare alle cose fatte”.
La rete dei partner presenti nei territori per essere attiva
e propositiva dovrebbe raccogliere soggetti fortemente
motivati a lavorare sulla conciliazione e disposti a fare da
referenti.
Le politiche per la conciliazione
Gli stimoli forniti durante la realizzazione del focus
avevano come obiettivo quello di portare le persone
presenti ad affrontare il tema della conciliazione partendo
118
da punti di vista molto concreti, legati alle esperienze e ai
vissuti personali sia all’interno della vita privata che
dell’organizzazione. È stato molto significativo che siano
passati presto a sviluppare riflessioni e considerazioni a
livello più generale delle politiche e della cultura della
conciliazione. Ciò conferma che si sente la forte necessità
di confrontarsi su questi temi per creare soluzioni e
progettare azioni che forniscano risposte reali e non
legate ad immagini stereotipate o luoghi comuni.
Emerge chiaramente che una delle priorità della
progettazione delle politiche e della loro programmazione,
deve essere il superamento di un sistema che produce
risposte personalizzate alle esigenze dei singoli, per
inserirle in un complesso che produce vantaggi per
l’intera collettività. Non è pensabile che le politiche della
conciliazione producono dei privilegi solo per qualcuno.,
Diventa necessario cominciare a costruire dei patti che
vadano oltre agli interessi delle singole categorie per
perseguire l’interesse e il bene comune.
Ragionare in questi termini comporta una profonda
riflessione sulla cultura della conciliazione e un
ripensamento generale dell’organizzazione dell’intera
società. Il tema della conciliazione non può essere
ascrivibile solo alle donne e l’elaborazione delle politiche
deve tenere conto dei cambiamenti in atto nella sfera dei
ruoli famigliari. Acquisire consapevolezza sui cambiamenti
culturali viene ritenuto fondamentale per potere
disegnare delle politiche che abbiano “vision” rispetto al
tema della conciliazione.
Il problema che viene sottolineato è però la mancanza di
momenti e occasioni per poter stare insieme e discutere,
non solo fra donne, in contesti diversi da quelli
professionali o istituzionali.
Oltre a tenere in considerazione i cambiamenti dei ruoli
famigliari, vengono proposti altri aspetti che le politiche
dovrebbero tenere presenti nell’ottica di individuare
soluzioni sostenibili sia dal punto di vista economico sia
dal punto di vista del benessere delle persone. Un criterio
possibile potrebbe essere quello del rispetto dei cicli di
119
Facilitare
la
formazio
ne di reti
vita biologici. Le scelte professionali e famigliari al giorno
d’oggi vengono posticipate e “sfasate” rispetto a quelli
che sono i ritmi biologici, per cui la scelta della maternità
viene fatta a 40 anni piuttosto che a 25 e nel momento in
cui le persone potrebbero essere al massimo delle loro
potenzialità lavorative dal punto di vista della creatività e
dinamicità si trovano spesso ancora a studiare. Questo
comporta costi umani ed economici alti che pesano sui
singoli individui ma anche sulla società nel suo
complesso. Vengono infatti attivate molteplici risorse,
non solo servizi e/o possibilità offerte dalle leggi, ma
anche reti sociali, famigliari e amicali che svolgono un
ruolo fondamentale.
Un ulteriore aspetto riguarda l’educazione all’uso delle
leggi che facilitano la conciliazione. Per evitare un cattivo
uso delle stesse, occorre educare all’uso creativo per
evitare che le leggi vengano concepite come una ricetta
che risolve tutti i problemi piuttosto che come uno degli
strumenti disponibili.
Un’ultima considerazione riguarda la trasferibilità delle
politiche e dei progetti realizzati che dovrebbe essere
attuata tenendo in considerazione le realtà dei singoli
territori, non solo rispetto al sistema di risposte alla
conciliazione presente (servizi pubblici e privati, progetti
ed esperienze), ma anche rispetto al livello di maturità
della riflessione sulla conciliazione e alla diversa
“vocazione” espressa dai referenti presenti sul territorio.
La carriera e la conciliazione
Questa tematica non è stata affrontata in tutti i gruppi
focus, ma è emersa nei territori che hanno fatto percorsi
dedicati alla diffusione della cultura della conciliazione e
che quindi hanno già elaborato riflessioni sui percorsi di
carriera.
La carriera rappresenta dal punto di vista della
conciliazione una doppia scelta: dell’organizzazione e
personale.
120
Inoltre la carriera paga lo scotto di tutta una serie di
stereotipi sia sul genere che sul tempo e il denaro. Una
donna deve dimostrare doppiamente di essere brava, ha
carichi di lavoro pari agli uomini ma di fatto un
riconoscimento organizzativo ed economico minore.
Una modalità per lavorare sugli stereotipi e sul
miglioramento di alcune situazioni della carriera
femminile è quello di identificare gli elementi che le
diversificano dai percorsi al maschile “non devo lavorare
con la mentalità di un uomo, non lo sono”.
Le caratteristiche messe in luce per valorizzare i percorsi
di carriera al femminile sono già stati sistematizzati da un
precedente lavoro di ricerca (4 ) e hanno evidenziato che
le donne nei loro percorsi di carriera a differenza degli
uomini,
riconoscono
un
peso
fondamentale
a
caratteristiche quali: la capacità di condurre gli altri ad
una meta, la competenza, la resistenza all’insuccesso, la
spinta verso la propria realizzazione personale e la
capacità di stare con gli altri.
Per gli uomini le capacità messe in atto nei percorsi di
carriera sono: la capacità manageriale individuale, quella
di saper strutturare la situazione, la resistenza
all’insuccesso e saper accettare gli altri.
Ma oltre alle capacità messe in campo, i percorsi di
carriera rivelano anche una serie di trabocchetti come
pretesto per bloccare i percorsi delle donne: essere
presenti costantemente nei luoghi di lavoro, lavorare oltre
l’orario, non utilizzare il part time, la presa in carico di più
ruoli con una remunerazione non corrispondente ed infine
logiche politiche e di lobby che non facilitano spesso
l’ingresso di figure femminili.
4
Donne dirigenti e imprese cooperative, Irecoop Emilia Romagna,
RicercAzione scrl, 2002
121
L’Auto imprenditorialità
Le
caratteristiche
di
imprenditorialità
e
autoimprenditorialità vengono evidenziate attraverso
aspetti innovativi come la creatività, che si dovrebbe
prestare al concetto di soluzioni conciliative per il mondo
dell’impresa; anzi dovrebbe farne parte integrale.
In questo caso facciamo riferimento alla metodologia per
le decisioni del problem solving in cui una delle regole
base è quella di applicare soluzioni creative: saper
notare, saper ricercare e saper generare alternative 5 .
L’autoimprenditorialità emerge nel momento in cui il
problema della conciliazione stimola la nascita di
associazioni e imprese per facilitarla. Solitamente sono
sempre le donne che lavorano e imprendono in questo
settore.
Nei territori coinvolti dall’azione dei focus si rileva la
presenza di specifici progetti a favore della conciliazione
che hanno sperimentato e/o individuato soluzioni
articolate, nei tempi, nell’organizzazione e nelle risorse.
Per affrontare questi tre livelli occorre mettere in atto una
metodologia
di
approccio
ai
problemi
di
tipo
imprenditoriale e manageriale. Facendo riferimento
all’applicazione di problem solving, tale procedimento è
consigliato in presenza di determinate condizioni:
ü scostamento fra la situazione desiderata e quella
reale;
ü attenzione
rivolta
verso
un
determinato
scostamento;
ü motivazione a ridurre lo scostamento;
ü capacità di fare davvero qualcosa per ridurre lo
scostamento.
Queste condizioni possono essere facilitate e quindi
affrontate prima della programmazione e progettazione di
azioni conciliative visto che appaiono come elementi di
criticità durante la valutazione ex post delle azioni per la
parità e la conciliazione.
5
A. Leigh, Decisioni, decisioni!, Franco Angeli/trend
122
L’autoimprenditorialità ha al suo interno la creatività e la
creatività serve, quanto meno, ad accelerare il processo
di problem solving.
L’approccio creativo alla conciliazione emerge spesso
come consiglio ed è auspicato da molti dei testimoni che
hanno partecipato ai focus, indipendentemente dal
territorio di riferimento.
Le parole chiave
Cesena
Sensibilità
Responsabilità nel
pubblico/nel lavoro
autonomo
Organizzazione
Clima sereno
Armonizzazione dei
tempi
Strumenti
agevolativi
Mobilità
Reti famigliari
Associazioni genitori
Gestione emergenze
Orari
Carichi di
conciliazione delle
donne
Lavori stagionali
Nuove generazioni
Vicinato
Forme spontanee di
aiuto
Senso di colpa
Svalutazione
Stanchezza
Tempi disordinati
Adolescenti
Culture diverse
Auto-emarginazione
Faenza
Occasionale
Naturale,
Organizzativo
Esig.individuali/gruppo
Responsabilità
Strumenti
Rete
Solidarietà,
Orari/ferie,
Dialogo
Decentrare decisioni
Personalizzazione
Consapevolezza
Settore di lavoro
Piano degli orari
Monitoraggio bisogni
Sfondo
Ricerca costante
Creatività
Soluzioni
Servizi istituzionali
Privato
Difficoltà
Aspetto economico
Periodi di vita
Luoghi di vita
C. con se stessi/e
Chiedere e cercare
Sofferenza
Sopportazione
Sofferenza in aumento
Iper-stimolazioni
forte settorializzazione
Dove siamo?
Ri interrogarci
123
Forlì
Contratti
Contrattazione
Orientamento
Gruppo di lavoro
Economia
Struttura produttiva
Risorse
Sfruttamento
Percorso
Punte di eccellenza
Ridistribuzione
Cicli di vita
Cultura
Reti
Sistema di cura
Uso/abuso leggi
Riflessioni
Verifica
Scarsa informazione su
strumenti esistenti
Mix di soluzioni
Confronto sugli aspetti
educativi
Carriera
Responsabilità
Sistema di delega
Ricentrarsi
Preoccupazione
Internet
Trasporti.
Piacenza
Clima sereno
Donne
Figli, maternità
Piano degli orari
Autoimprenditorialità
Forme di lavoro che
conciliano
Anziani
Reinserimento
lavorativo Studenti
Trasversalità
Servizi per la città
Legge 53
Tentativo perenne
Affettività
dell’organiz.
Clima caotico
Tempi e orari di
lavoro Sensibilità
Contratti: il
telelavoro
Ravenna
Consumi
Non ufficialità
Contrattazione
personale
Gestione personale
Luoghi ostici
Trasversalità
Politiche
Organiz. dei servizi
Diversificazione
Cultura del tempo
Orari
Adeguam. al mercato
Flessibilità
Meno tutele
Economia
Tempi e bisogni
Aspetti individuali
Cambiamenti
Compiti di cura
Rapporto tra i sessi
Sensibilità
Interesse comune
Senso appartenenza
Più ruoli
Patti
Interessi
categoria,
Contrattualistica
Part time orizzontale
giovani
Formazione
Contrattazione,
Difficoltà
Senso di respons.
Supporti famigliari
Ansia
Super organizzazione
Carico di relazioni
Resistenza al
cambiamento
Reggio Emilia
Organizzazione/ Tempi
Competenze
Riflessione personale
Esigenze
Ansia
Flessibilità/contratti: orari,
part time, telelavoro
Tecnologia
Rigidità
Differenza livelli per uomini e
donne
Termini
Equilibrio: privato e di lavoro
Cultura/cambiamento/sistema
di valori
Ambiente/politica/missione
dell’organizzazione
Servizi
Sconfinamento
Emergenze
Necessità
Nuove generazioni
Energie
Staccarsi
Mission
Pensiero differente e
integrazione
Appoggio familiare
Questo schema raccoglie le parole chiave scritte durante
la conduzione dei focus, analizzandole e facendo un
124
lavoro di categorizzazione abbiamo individuato una serie
di aree tematiche:
ü
ü
ü
ü
ü
ü
Area emotiva e dell’affettività: sensibilità,
clima sereno, senso di colpa, svalutazione,
stanchezza, difficoltà, sofferenza, sopportazione,
sofferenza in aumento, preoccupazione, percorso,
riflessioni,
ricentrarsi,
ansia,
esigenze,
sconfinamento, energie, staccarsi;
Area
della
contrattualistica:
strumenti
agevolativi, lavori stagionali, occasionale, settore
di lavoro, contratti, contrattazione, forme di lavoro
che
conciliano,
legge
53,
il
telelavoro,
contrattazione personale, flessibilità, meno tutele,
contrattualistica, part time orizzontale, flessibilità;
Area dei tempi e degli orari: tempi disordinati,
ferie, piano degli orari, tempi e orari di lavoro,
cultura del tempo, orari, tempi e bisogni,
organizzazione dei tempi;
Area delle reti e relazioni: reti famigliari,
associazioni genitori, vicinato, forme spontanee di
aiuto, rete, solidarietà, dialogo, supporti famigliari,
carico di relazioni, appoggio famigliare;
Area
dei
servizi
e
supporti:
mobilità,
personalizzazione, monitoraggio bisogni, servizi
istituzionali, privato, chiedere e cercare,trasporti,
sistema di cura, verifica, scarsa informazione su
strumenti esistenti, anziani, re inserimento
lavorativo studenti, trasversalità, servizi per la
città, organizzazione dei servizi, diversificazione,
servizi;
Area
della
organizzazione
aziendale:
responsabilità, lavoro autonomo, armonizzazione
dei tempi, gestione emergenze, naturale vs
organizzativo, esigenze individuali e di gruppo,
decentrare
decisioni,
creatività,
soluzioni,
orientamento, gruppo di lavoro, carriera, sistema
di
delega,
auto-imprenditorialità,
affettività
dell’organizzazione,
non
ufficialità,
gestione
125
ü
ü
ü
ü
personale, senso appartenenza, formazione, super
organizzazione, competenze, rigidità, ambiente,
politica, mission;
Area delle politiche per la conciliazione: autoemarginazione,
ricerca
costante,
aspetto
economico, periodi di vita, luoghi di vita, riinterrogarci, punte di eccellenza, redistribuzione,
cicli di vita, cultura, uso e abuso leggi,mix di
soluzioni,confronto
sugli
aspetti
educativi,
tentativo perenne,trasversalità, politiche, compiti
di cura, interesse comune, patti, interessi di
categoria, equilibrio fra privato e lavoro, sistema
di valori;
Area del cambiamento: nuove generazioni,
adolescenti, culture diverse, iper-stimolazioni,
dove
siamo?,
internet,
consumi,
cambiamenti,giovani, resistenza al cambiamento,
tecnologia;
Area delle differenze tra uomini e donne:
carichi di conciliazione delle donne, conciliazione
con sé stessi, donne, figli, maternità, aspetti
individuali, rapporto tra i sessi, differenza livelli
per
uomini
e
donne,
pensiero
differente,
integrazione;
Area dell’economia e del mercato: sfondo,
iper-settorializzazione;
economia,
struttura
produttiva, risorse, sfruttamento, luoghi ostici,
adeguamento al mercato.
Alcuni territori si contraddistinguono per un approccio più
metodologico e organizzativo, altri per un approccio
decisamente improntato sui servizi di supporto, mentre in
altri ancora è stato sviluppata maggiormente la
dimensione dell’affettività. Come è già stato spiegato,
durante la realizzazione dei focus venivano forniti degli
stimoli ma i presenti erano poi lasciati liberi di seguire il
loro ragionamento e le loro riflessioni; è interessante
notare che dall’analisi delle parole chiave emerge che
anche senza essere guidati in questo, le discussioni
126
hanno affrontato tutti gli elementi che caratterizzano i
discorsi sulla conciliazione e che vengono presi in
considerazione per la costruzione delle politiche.
Un’azione positiva per la conciliazione: il disco
orario e le parole della conciliazione
Alla luce di quanto emerso dall’intero lavoro di ricerca si è
pensato di realizzare un’azione positiva che coprisse una
delle esigenze principali emerse, il bisogno cioè di
diffondere informazioni e di riflettere su questi temi in
contesti non istituzionali o formalizzati ma quotidiani.
Si è pensato quindi di utilizzare un oggetto di uso
ricorrente che rimanda alla questione del tempo e di
come questo viene utilizzato: il disco orario. A questo si è
aggiunta l’idea maturata con la realizzazione dei focus di
impiegare delle parole chiave che possano servire come
stimolo e spunto di riflessione.
Si è scelto di inserire quindi sul retro di un vero e proprio
disco orario delle parole che sono visibili tre alla volta che
oltre ad essere particolarmente significative sul tema
della conciliazione cercano di mettere in evidenza
l’esistenza di una relazione fra i termini usati e a cui
normalmente non si presta attenzione.
127
128
SECONDA PARTE
RIFLESSIONI IN MATERIA DI CONCILIAZIONE
A cura di Networking srl (Bo)
129
TRA MITO E RICERCA:
IL TEMA DELLA CONCILIAZIONE FRA TEMPI DI
VITA E TEMPI DI LAVORO
La tesi di partenza dalla quale nasce la presente ricerca è
che il tema della conciliazione fra la vita lavorativa e la
vita privata delle donne deve essere analizzato in
maniera pragmatica, e va considerato un problema di
natura socio-organizzativa, e non solamente una istanza
di carattere etico. Conciliare significa, nella accezione qui
considerata, mantenere un equilibrio dinamico tra le
esigenze, gli obiettivi, le motivazioni di diversi soggetti; la
conciliazione non va intesa come un risultato statico,
bensì come un processo che coinvolge diversi interessi e
bisogni e che si evolve nel tempo.
Molto frequentemente si tratta la conciliazione come una
questione di natura “etica”, una sorta di imperativo
morale: conciliare significa aiutare le donne a raggiungere
traguardi di carriera pari a quelli possibili per gli uomini,
gestendo il surplus di stress dovuto alla necessità di
presidiare concomitanti impegni di famiglia e di lavoro.
L’assumere tale prospettiva rischia di proporre una lettura
solo parziale e semplificata del fenomeno, riducendolo a
una rappresentazione mono-dimensionale raffigurata
dall’immagine stereotipata della donna che si affanna per
mettere d'accordo le richieste che arrivano dal versante
familiare
e
quelle
che
provengono
da
quello
professionale. Tutto finisce per ridursi ad un unico
dilemma che attanaglia le donne che lavorano: come
allocare il mio tempo? Devo dedicarlo alla famiglia,
penalizzando il lavoro e la carriera, o dedicarlo al lavoro,
sfuggendo
alle
mie
responsabilità
di
cura?
Di
conseguenza intervenire sulla conciliazione significa quasi
sempre indurre la pubblica amministrazione a introdurre
dei supporti normativi che consentano alle donne che
lavorano di non essere eccessivamente assorbite dai
propri impegni professionali (ad esempio tutte le forme
130
contrattuali orientate di riduzione del tempo pieno di
lavoro) o dei servizi che le supportino nelle attività di cura
(es. asili) o che comunque permettano di risparmiare o di
flessibilizzare l’uso del tempo.
Non c’è dubbio che questa rappresenti una parte della
problematica della conciliazione, ma la questione è
senz’altro più complessa, sia nelle sue manifestazioni che
nella varietà di attori, interessi, comportamenti che la
influenzano e che ne vengono influenzati.
Possiamo qui riassumere i principali elementi che devono
essere presi in esame sotto questo profilo per fornire una
visione multidimensionale del tema della conciliazione:
1.
Innanzitutto esiste una amplissima gamma
di motivazioni, di esigenze e di obiettivi alla base
del comportamento e delle richieste delle donne
che lavorano. Non tutte condividono le medesime
priorità o scale di valori, e di conseguenza le
problematiche della conciliazione possono essere
assolutamente
differenti.
Il
tema
della
conciliazione può essere sentito in forme e modi
diversi e l’assumere che tutte le donne lavoratrici
abbiano (o peggio, debbano avere) le stesse
“naturali” esigenze è irrealistico e prevaricatore.
2.
Il
ruolo
delle
aziende
e
delle
organizzazioni nelle quali le donne lavorano
deve essere tenuto in debita considerazione: in
particolare va evidenziato il fatto che le esigenze
di queste non sono sempre e comunque in
contrasto con quelle delle donne. Il problema non
può essere ridotto ad una sorta di “tiro alla fune”
nel quale l’azienda – spinta dalla ricerca del
profitto – cerca di appropriarsi della maggiore
quantità di tempo della lavoratrice possibile. A
seconda del configurarsi di un insieme di variabili
strutturali (dimensioni, organizzazione, prodotto),
culturali (atteggiamento dei decisori aziendali) e
ambientali
(competitività
del
mercato,
atteggiamenti dei concorrenti, ruolo della pubblica
amministrazione), il modo di affrontare il tema
131
della conciliazione cambia profondamente. Inoltre
va considerato che sempre più le aziende delle
economie
avanzate
richiedono
un
utilizzo
“qualitativo” e non solo quantitativo della forza
lavoro. In particolare poi nelle PMI l’insieme delle
relazioni interpersonali tra personale, dirigenti e
proprietari è un fattore di una certa rilevanza.
3.
Il sindacato è un altro attore i cui
comportamenti, soprattutto a livello aziendale
giocano un ruolo importante nell’evolversi del
processo di conciliazione. Non va dimenticato che,
dal punto di vista sindacale, la tematica della
conciliazione viene inserita in un più ampio
insieme negoziale, e finisce inevitabilmente per
assumere un valore relativo: a seconda del livello
di
conoscenza
del
tema
da
parte
dei
rappresentanti sindacali, delle possibili soluzioni
che vengono considerate da questi, dell’emergere
contingente di altri interessi dei lavoratori, la
conciliazione finisce per essere sentita e affrontata
in modi profondamente diversi.
4.
Infine, l’atteggiamento degli enti pubblici
(in particolare degli enti locali) nei confronti del
tema diventa assolutamente determinante. È
probabile che non sempre le azioni intraprese da
questi a favore della conciliazione siano ideate
come risposta ad esigenze effettivamente rilevate
e misurate delle lavoratrici, ma siano a volte frutto
di “mode” politiche o dell’influenza di alcuni degli
stereotipi sulla conciliazione.
La conseguenza dell’interazione delle esigenze, delle
motivazioni, degli interessi differenti di questi soggetti
produce un quadro altamente variabile e variegato,
all’interno del quale la conciliazione assume la forma di
un complesso sistema di negoziazione tra interessi della
donna-lavoratrice, dell’azienda, del sindacato, della
pubblica amministrazione. Diventa allora necessario
tenere in considerazione tutte queste forze trainanti per
poter tracciare una mappa utile a indirizzare gli attori che
132
si trovano ad esplorare il mutevole e tempestoso mare
della conciliazione.
Perché l’interesse per la conciliazione
Al di là dell’intento di affrontare il tema della conciliazione
tra tempi di vita e di lavoro senza dare nulla per scontato,
sarebbe poco utile non prendere le mosse dall’enorme
mole di lavoro di ricerca che fino ad oggi è stato condotto
L’interesse dimostrato anche da organizzazioni nazionali e
sovranazionali, ha portato infatti alla realizzazione di
numerose ricerche volte all’individuazione delle condizioni
che rendono necessaria la conciliazione, e alla definizione
di misure strategiche utili per realizzarla. Queste
strategie, che fanno pressoché esclusivo riferimento alla
definizione di contratti di lavoro con flessibilità di orario e
alla istituzione di servizi di supporto per la famiglia, sono
state anche precisate e incoraggiate da disegni di legge
(a livello regionale, statale ed europeo); tuttavia la
situazione del dipendente che ha necessità di conciliare
vita lavorativa e vita familiare (ed in particolare, la
condizione delle donne che lavorano) è ancora una
situazione di forte svantaggio, e il numero di aziende che
realizzano progetti per la conciliazione (specialmente se
non opportunamente sovvenzionate da enti pubblici) è
ancora esiguo.
Le condizioni sociali che rendono oggi più che mai
necessaria l’attuazione di politiche per la conciliazione
sono state bene sintetizzate da un recente studio (Piazza,
2000 a). In particolare le condizioni contestuali che
spingono verso una forte attenzione per il tema da parte
dell’opinione pubblica e che lo portano ad un alto livello di
priorità nelle agende politiche sono legate, da un lato al
mutamento delle condizioni socio economiche, e dall’altro
al mutamento del lavoro di cura richiesto alle donne. I
principali fattori “sociologici” intervenenti sono:
a.
il calo delle nascite, che è probabilmente
influenzato dalla mancanza di misure valide per il
sostegno alla maternità. Il problema in questo caso
133
non risiede nella assenza di disposizioni in materia
di tutela della maternità, ma dal fatto che esse, non
essendo pensate in quella logica di complessità
negoziale prima evidenziata, finiscono per costituire
un motivo di segregazione sul lavoro. Quindi
finiscono paradossalmente per essere temute dalle
stesse donne.
b.
la crescita delle famiglie monogenitoriali,
diretta conseguenza dell’incremento del numero nei
divorzi. Ovviamente i genitori che da soli devono
farsi carico della cura dei figli sentono ancora più
fortemente l’esigenza di disporre più liberamente del
tempo.
c.
il progressivo avanzamento dell’età della
popolazione, che porta ad un maggior carico nella
cura degli anziani da parte della famiglia. Si sta
infatti configurando una ciclicità nel lavoro di cura
(Piazza, 2002), per cui una donna intorno ai
cinquanta o sessant’anni, esaurita la fase più
gravosa nell’accudimento dei figli, si ritrova a
doversi occupare degli anziani di casa, il che
comporta nuove esigenze di tempo extra-lavorativo.
d.
il fatto che i figli abbandonano sempre più
tardi il nido domestico, e la loro pressoché totale
mancanza di autonomia: pur vivendo in casa non
portano alcun tipo di contributo alla gestione
familiare (Piazza, 2002); tutto ciò comporta per le
madri un prolungamento del lavoro di cura anche
per diversi anni dopo l’uscita dall’infanzia dei figli.
e.
la presenza e l’utilizzo di strumenti e
macchine sofisticate per l’esecuzione dei lavori
domestici, se da un lato accelera i tempi di
esecuzione e riduce il carico di energie necessario
per sostenere determinati lavori, finisce però anche
con il moltiplicare le esigenze e rendere più
complessa la gestione globale della cura della casa.
f.
oggi si richiede molto di più ad una madre in
termini di dedizione ai propri figli, sia a livello di
educazione (ad esempio, è recente l’esigenza di
134
programmare attività extrascolastiche, come quelle
sportive), che di cura vera e propria.
g.
i padri continuano a non contribuire al
lavoro familiare; questo fattore costituisce una
caratteristica costante nella organizzazione della
nostra società. Molte ricerche si sono occupate di
quantificare e spiegare meglio questo fenomeno,
osservandolo da diversi punti di vista (psicologico,
sociologico, economico, ecc…). Il sociologo Carmine
Ventimiglia, ad esempio (1994), tramite una ricerca
condotta in Emilia Romagna, ha evidenziato come,
in generale, l’uomo non si tiri indietro dal contribuire
al ménage domestico con lavori saltuari, ma in
realtà non condivida appieno le responsabilità
gestionali della casa, che finiscono col ricadere quasi
completamente sulla partner.
Oltre a queste tendenze sociologiche, che influenzano
primariamente il lato “familiare” della conciliazione, va
anche considerata una serie di fattori legati all’evoluzione
del mondo del lavoro e in particolare al ruolo delle donne
nel contesto economico-produttivo:
a.
si registra un costante aumento del numero
delle donne che si rendono disponibili sul mercato
del lavoro (le donne occupate sono passate da
7.007.000 nel 1995 a 8.060.000 nel 2001– Fonte:
ISTAT).
b.
le donne raggiungono livelli più elevati di
scolarità, il che le porta a mettersi in competizione
per rivestire ruoli lavorativi che prima erano di
esclusivo dominio maschile. Gli uomini, invece,
cominciano a sentire l’esigenza di un riconoscimento
del ruolo che rivestono in famiglia, pur non potendo
(o non volendo) rinunciare apertamente allo
stereotipo familiare in cui il padre si occupa del
mantenimento economico, mentre alla madre
spettano tutti i compiti di cura.
c.
l’organizzazione del lavoro è cambiata:
come ha messo in luce Marina Piazza (2002) oggi le
135
imprese sono caratterizzate da una forte “avidità
temporale”: la richiesta di una grande disponibilità
di tempo ai dipendenti che si trovano ad alti livelli, e
di una flessibilità frazionata a quelli che occupano
livelli più bassi. Questo ha aperto una contrattazione
sul tempo che non può più configurarsi ed essere
sostenuta come affare privato dei singoli individui,
soprattutto delle donne, visto anche che “una
contrattazione di questo tipo – tra organizzazioni e
individui – coinvolge necessariamente anche tutta la
famiglia, induce una contrattazione che si estende
all’interno del contesto familiare e tra i suoi stessi
componenti, per far fronte, tra turni dell’uno e
varchi di disponibilità oraria dell’altro, alle necessità
complessive del nucleo, ristretto o allargato che sia”
(Piazza, 2002, p. 183) . Tutto ciò è accompagnato
da alcune novità, quali la diffusione delle tecnologie
informatiche e dei contratti di lavoro “atipici”, che
rendono oggi possibili mutamenti nella scansione
temporale del lavoro, introducendo forme di
flessibilità sia nel tempo che nello spazio. Inoltre,
Zucchetti (2002), ha sottolineato la presenza di
cambiamenti
anche
per
quanto
riguarda
l’investimento di risorse psicofisiche richiesto ai
soggetti occupati, in particolare per quanto riguarda
ansia da variabilità (del luogo, dei tempi, dei
contenuti, delle modalità del lavoro), competizione
individuale e solitudine. Secondo Zucchetti (2002,
p.135) “si tratta di cambiamenti che richiedono a chi
lavora un più forte investimento di risorse –
professionali, tecniche, ma anche motivazionali, di
qualità umane e di equilibrio psichico – e che
rimettono in questione l’equilibrio tra le diverse
dimensioni della vita personale, e in primo luogo la
dinamica familiare”.
Tutti questi mutamenti nella società, riscontrati pressoché
uniformemente a livello nazionale ed europeo, hanno
fatto sì che, a partire dall’inizio degli anni ’90, il concetto
136
di “conciliazione” tra lavoro e famiglia cominciasse ad
essere introdotto nei documenti ufficiali dell’Unione
Europea,
con
la
predisposizione
di
direttive
e
raccomandazioni ai diversi paesi affinché, a livello
nazionale, adottassero misure in grado di conciliare le
esigenze della vita familiare e lavorativa. L’Italia ha
risposto ufficialmente a queste raccomandazioni nel
1997, con la legge n. 285/97, che prevede interventi a
livello centrale e locale per favorire la promozione dei
diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione
individuale
e
la
socializzazione
dell’infanzia
e
dell’adolescenza, privilegiando l’ambiente ad esse più
confacente, vale a dire la famiglia naturale, adottiva o
affidataria.
I principi della conciliazione sono stati poi ribaditi nella
recente legge 53 del 2002, recante “Disposizioni per il
sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi
della città”. La normativa, oltre ad introdurre nuove
forme di flessibilità per la donna nella fruizione del
periodo di congedo di maternità, prevede l’estensione al
padre di diritti precedentemente riconosciuti solo alla
donna e il loro ampliamento, favorendo la condivisione
delle responsabilità di cura dei figli tra i genitori ed il
rapido
reinserimento
della
madre
lavoratrice
nell’ambiente di lavoro. A livello legislativo, dunque, la
conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro è già stata
trattata e definita in maniera approfondita, anche se
presenta alcuni vizi di fondo.
Effettuare interventi a favore della conciliazione significa
infatti andare a influenzare un complesso sistema di
relazioni ed interessi, all’interno del quale la donna non è
un soggetto isolato o isolabile. Fornire un’opportunità o
definire una tutela non implica necessariamente che
quella opportunità verrà colta o quella tutela utilizzata.
Infatti, nell’effettuare la scelta, la lavoratrice deve tenere
in considerazione i rapporti di potere, le relazioni
fiduciarie, le variabili economiche. Ad esempio, far valere
il diritto sancito dalla norma, a congedi, riduzioni del
137
tempo di lavoro ecc. significa comunque rinunciare a una
parte del reddito e può implicare, nel medio-lungo
periodo, una riduzione delle possibilità di carriera.
Spesso, quindi, il problema della lavoratrice non è
semplicemente quello di avere un'arma in più a
disposizione nel rapporto con la controparte datoriale, ma
piuttosto individuare, negoziare e perseguire un percorso
che le consenta di trovare un equilibrio dinamico tra le
diverse esigenze. Il problema è quindi pluridimensionale,
e per essere affrontato deve chiamare in causa come
soggetti attivi anche la famiglia, l’impresa, il sindacato e
In particolare va messo in evidenza che la conciliazione
tra tempi di vita e tempi di lavoro non va considerata
quasi esclusivamente, come i recenti dispositivi normativi
tendono a fare, come misura in favore delle pari
opportunità.
In primo luogo essa è anche un’esigenza in termini di
salute e benessere. Già nel 1986 infatti, nell’ambito della
Carta di Ottawa per la promozione della salute, a cura
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), veniva
il mutare dei modelli di vita, del lavoro e
del tempo libero influisce in modo decisivo sulla salute.
Lavoro e tempo libero devono divenire fonti di benessere
per tutti. Il modo stesso in cui la società organizza il
lavoro
deve
contribuire
a
renderla
più
sana”,
sottolineando, in pratica, come l’armonizzazione di tempi
di vita e tempi di lavoro costituisca un elemento
fondamentale per la salute dell’individuo e della
Oltre a queste esigenze etiche, non vanno sottovalutate
anche le motivazioni socio-economiche, che portano a
considerare la conciliazione come una risorsa vitale, in
una prospettiva di medio-lungo periodo, per il benessere
economico e sociale. Questo perché lo stress prodotto da
divergenti stimoli di ruolo interessa nel tempo non solo
l’individuo, ma anche il sistema sociale che lo circonda.
Infatti
non
conciliare
comporta
necessariamente
sacrificare uno dei due “corni del dilemma” (lavoro o
138
famiglia), il che produce conseguenze opposte ma
altrettanto sfavorevoli:
1. Se è la dimensione “professionale” ad essere
sacrificata, le conseguenze negative si accumulano e
finiscono
per
compromettere
la
competitività
dell’impresa. Infatti l’evoluzione delle economie postindustriali sta determinando una sempre crescente
richiesta di personale altamente motivato e qualificato
per la gestione di ruoli che, sia per il loro elevato
livello di complessità che per l’alta componente di
servizio, determinano l’esigenza di operatori motivati,
autonomi, bene addestrati, mentre i compiti operativi
vengono progressivamente automatizzati o trasferiti
in aree geografiche dove il costo del lavoro è più
basso. Questo elemento, unito alla maggiore tendenza
alla mobilità della forza lavoro determina, per le
aziende, la necessità di “fidelizzare” il personale
qualificato. Un eccessivo turn over si traduce infatti in
un inaccettabile svantaggio competitivo in presenza di
alti costi di reclutamento, formazione e socializzazione
al job. Le organizzazioni possono sempre meno
permettersi di “perdere” delle lavoratrici specializzate
e affidabili a causa dello stress da conflitto di ruolo 6 .
2. Quando ad essere trascurata è la dimensione
familiare, la prima e più evidente ripercussione
negativa è la drastica riduzione del tasso di natalità,
con i conseguenti scompensi socio-economici di lungo
periodo (basti pensare alla crisi del sistema
pensionistico) che numerosi paesi europei, Italia in
testa, stanno cominciando a sperimentare.
Delineati
i
motivi
che
rendono
necessaria
l’implementazione di misure per la conciliazione, e fornito
un quadro riassuntivo dell’interesse istituzionale verso
6
Va sottolineato che il problema riguarda anche gli enti pubblici. In
questo caso non è la competitività che rischia di essere compromessa,
ma la qualità del servizio reso agli utenti, soprattutto a causa della
riduzione di efficienza legata all’aumento dei costi del lavoro e di
efficacia dovuta alle frequenti assenze di personale.
139
questa tematica, resta da stabilire quali siano gli
strumenti in grado di realizzarla concretamente.
In linea generale, le strategie individuate fanno capo alla
flessibilizzazione dell’orario di lavoro, alla messa in atto di
misure
per
la
tutela
della
maternità/paternità,
all’adeguamento dei ritmi della città alle esigenze dei
lavoratori (visto sia come adeguamento nei tempi, che
come riscoperta della solidarietà e del “buon vicinato”),
alla realizzazione di progetti formativi volti alla
divulgazione
di
una
nuova
cultura
relativa
sia
all’organizzazione del tempo (utile alla soppressione degli
atteggiamenti discriminatori in termini di carriera verso
chi non ha un lavoro a tempo pieno o mostra esigenze di
flessibilità nell’orario) che ai ruoli maschili e femminili
all’interno della famiglia (utile alla realizzazione di una più
equa distribuzione dei compiti domestici fra donne e
uomini).
Queste misure, nate e utilizzate soprattutto nell’ambito
delle grandi imprese, possono essere applicate anche in
quelle di piccole e medie dimensioni e nelle cooperative.
L’elemento centrale da considerare in questo caso non è
però la ricerca della soluzione ideale, una sorta di
tayloristica one best way per la conciliazione, quanto
piuttosto l’individuazione del mix di strumenti che, in
considerazione delle esigenze e motivazioni individuali
della lavoratrice, dell’insieme di aspettative ed esigenze
dei detentori di interesse coinvolti (famiglia, azienda,
sindacato, enti pubblici) e del sistema di potere e di
scambi da essi generato, può consentire di trovare e
mantenere un equilibrio dinamico, fatto di opportunità più
che di rinunce.
In altri termini non può esistere una soluzione che elimini
lo stress da conciliazione: piuttosto va perseguito un
insieme di azioni che permettano di gestire i problemi e le
richieste contraddittorie, trasformare lo stress da
negativo (perché non gestibile) in positivo, fonte di
stimolo e crescita.
140
STRUMENTI PER REALIZZARE LA CONCILIAZIONE
TRA TEMPI DI VITA E TEMPI DI LAVORO
La concreta realizzazione di strategie in grado di rendere
conciliabili i tempi del lavoro con quelli della vita privata
si esplica tramite l’utilizzo di strumenti di diversa natura:
le modalità flessibili di organizzazione del lavoro;
il sistema dei congedi e dei permessi;
i servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a
disposizione dal territorio;
i servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a
disposizione dalle aziende;
le risorse finanziarie aggiuntive;
gli strumenti formativi;
la riorganizzazione degli orari dei servizi pubblici.
Nei paragrafi successivi si cercherà di fornire una
definizione di tutti gli strumenti compresi nelle categorie
elencate, dedicando l’attenzione a quelli attualmente in
uso sia sul panorama nazionale che, più in generale, su
quello europeo, e di delineare un quadro dei problemi e
delle opportunità offerti dalla attuazione di ciascuno di
essi.
Inoltre, per quanto riguarda le modalità di organizzazione
flessibile del lavoro ed i sistemi dei congedi e dei
permessi, si dedicherà una particolare attenzione anche
all’atteggiamento dimostrato verso di essi dai lavoratori e
dagli imprenditori; in questo modo si metteranno in luce
le difficoltà cui si va incontro nell’attuazione di misure per
la conciliazione non solo dal punto di vista dei
vincoli/risorse strutturali tipici di ogni azienda, ma anche
dal punto di vista dei limiti/opportunità posti dalla cultura
e dal clima dell’organizzazione.
1. Le modalità flessibili di organizzazione del lavoro.
Le modalità flessibili di organizzazione del lavoro sono
generalmente regolate da norme di legge e formalizzate
in contratti standard.
Sebbene queste forme di organizzazione del lavoro
costituiscano una facilitazione notevole per le donne che
devono farsi carico non solo degli impegni lavorativi, ma
141
anche di quelli familiari (la cosiddetta “doppia presenza”
femminile), sono proprio le donne a temere l’utilizzo di
questi strumenti: infatti, poiché “le organizzazioni
premiano […] un’elevata, incondizionata disponibilità
temporale e una continua presenza in azienda, sia
durante la giornata sia nell’intero ciclo di vita” (Barbino et
al., 2000, p. 31), la riduzione del tempo dedicato al
lavoro rischia di diventare, anziché un’agevolazione del
lavoro femminile, una nuova forma di segregazione
verticale. Queste forme contrattuali, per non rischiare di
portare ad un’ulteriore discriminazione delle donne,
dovrebbero essere proposte non come strumenti creati e
diretti esclusivamente ai lavoratori di sesso femminile,
ma come strumenti legati, più genericamente, “ai cicli di
vita, ai bisogni formativi, personali, di assistenza, di ozio
ecc..” (Piazza, 1997, p. 52) di tutti i lavoratori. Dunque,
la promozione e la diffusione di questi metodi dovrebbero
essere abbinate a campagne di informazione e/o di
formazione volte a precisarne le finalità e l’utilità, come
pure si dovrebbe promuovere la formazione di una
diversa cultura sul tempo del lavoro e sulla disponibilità
temporale del lavoratore, che non deve più costituire un
metro per la valutazione delle sue qualità.
Part time
È una tipologia di lavoro dipendente a orario ridotto. Può
essere organizzato secondo diverse modalità: orizzontale,
quando si presta il lavoro tutti i giorni ma con una
riduzione nell’orario (ad esempio, 4 ore giornaliere su 5
giorni lavorativi); verticale, quando la prestazione si ha
solo alcuni giorni della settimana con orario pieno o
ridotto (ad esempio, 8 ore su 3 giorni lavorativi, oppure 6
ore su 4 giorni lavorativi); misto o ciclico, quando
l’attività si svolge solo alcune settimane o mesi nell’arco
dell’anno, con orario pieno o ridotto (ad esempio, quando
il lavoro si distribuisce solamente nei mesi a piena attività
turistica).
Dal punto di vista legislativo, il part time (o lavoro a
tempo parziale) in Italia è stato definito nel d. lgs. 25
febbraio 2000, n. 61, emanato in sostituzione della
142
preesistente normativa (v. art. 5 L. 863 del 1984) e in
attuazione della direttiva n. 97/81/CE. Più recentemente
sono state apportate alcune correzioni con il d. lgs. 26
febbraio 2001, n. 100: "Disposizioni integrative e
correttive del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61”.
Attualmente la legge italiana definisce “rapporto di lavoro
a tempo parziale” qualsiasi contratto in cui l’orario di
lavoro sia inferiore a quello a tempo pieno, cioè le 40 ore
settimanali standard. Le tipologie di lavoro a tempo
parziale individuate dal d. lgs. 20 febbraio 2000 n. 61,
sono il part time orizzontale, verticale e misto (proprio
quest’ultima tipologia non era prevista dalla legislazione
italiana fino all’attuazione del decreto). È ammesso che
un lavoratore sia impegnato contemporaneamente in più
rapporti di lavoro part time con datori di lavoro diversi.
Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere
stipulato
al
momento
dell’assunzione
oppure
successivamente, ma deve obbligatoriamente contenere
le indicazioni relative alle mansioni svolte e alla
distribuzione dell’orario di lavoro.
La legge italiana
prevede anche che, nel caso in cui il datore di lavoro
intenda assumere personale a tempo parziale, debba
prima avvisare i dipendenti già in servizio per verificare
che non vi sia nessuno interessato a trasformare il suo
contratto da tempo pieno a part time, e solo dopo aver
svolto questo accertamento (ed eventualmente rifiutato
le richieste dei dipendenti con motivazioni valide) possa
assumere altro personale secondo questa modalità
contrattuale.
Con il d. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, sono state inoltre
riconosciute legittime le cosiddette clausole flessibili o
elastiche, cioè la possibilità di modificare la collocazione
temporale della prestazione di lavoro nell’arco del giorno,
settimana, mese o anno con le modalità individuate dai
contratti collettivi di lavoro. La flessibilità è intesa solo in
merito alla “collocazione temporale” della prestazione
lavorativa: la durata complessiva della prestazione non è
flessibile. L’effettuazione di prestazioni flessibili è
subordinata al preventivo consenso scritto da parte del
143
lavoratore e deve essere richiesta con un preavviso di
almeno 10 giorni, quando i contratti collettivi non
prevedano un preavviso inferiore (in ogni caso non
inferiore alle 48 ore). La prestazione flessibile dà luogo a
una maggiorazione retributiva secondo le modalità dei
contratti collettivi.
Il lavoratore può ripristinare la distribuzione rigida
dell’orario solo qualora si verifichino:
esigenze a carattere familiare;
esigenze di tutela della salute;
esigenze di attendere ad altra attività
lavorativa subordinata o autonoma;
altre
esigenze
individuate
dalla
contrattazione collettiva.
Questo diritto di ripensamento deve essere formulato per
iscritto, con un preavviso di almeno 5 mesi. In ogni caso,
il rifiuto da parte del lavoratore di svolgere prestazioni
flessibili e l’esercizio del diritto di ripensamento non
possono
costituire
un
giustificato
motivo
di
licenziamento.
Per quanto concerne il “lavoro supplementare”, cioè quel
lavoro svolto oltre l’orario concordato fra le parti ed entro
il limite del tempo pieno, è previsto che siano i contratti
collettivi a definirne l’entità (numero massimo di ore
effettuabili nell’arco della giornata e dell’anno, e ipotesi
che giustificano la richiesta del datore di lavoro). In ogni
caso,
l’effettuazione
di
prestazioni
di
lavoro
supplementare richiede il consenso del lavoratore
interessato e l’eventuale rifiuto non può costituire un
giustificato
motivo
di
licenziamento;
il
lavoro
supplementare deve essere retribuito come lavoro
ordinario, a meno che non si superi il limite di ore
previste per un lavoro a tempo pieno.
Il d.lgs. n. 61 del 2000 ha anche sancito espressamente il
principio di non discriminazione del lavoratore part time
rispetto al lavoratore a tempo pieno. In particolare, l’art.
4 riconosce al lavoratore part time gli stessi diritti dei
lavoratori a tempo pieno comparabili (cioè inquadrati
nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione
144
stabiliti dai contratti collettivi) per quanto riguarda la
retribuzione, il periodo di prova, le ferie, la sospensione
del rapporto per malattia, infortunio e maternità, la
sicurezza del lavoro, la formazione professionale e i diritti
sindacali.
Dal punto di vista dell’applicazione del part time da parte
dei lavoratori nella realtà italiana, una ricerca sulla
conciliazione tempi di vita e tempi di lavoro nelle aziende
pubbliche e private delle province di Modena, Ferrara e
Parma pubblicata su Internet (www.tempidelledonne.it)
ha dimostrato come la richiesta di part time provenga
sempre dalle lavoratrici interessate (in misura molto
ridotta dai lavoratori), e come generalmente avvenga in
seguito all’insorgere di esigenze familiari particolari.
Inoltre, mentre per le lavoratrici di imprese private la
possibilità di part time viene vista come una
"concessione" e un onere per l'azienda (tanto che spesso
le beneficiarie aumentano notevolmente l'impegno nelle
ore lavorate anche con lavori a casa, per cui spesso per
l'azienda la concessione non si rivela un problema, anzi
diventa una significativa accentuazione dell'impegno
professionale della dipendente), nelle aziende pubbliche il
part time viene visto come un diritto e spesso viene
utilizzato anche dagli uomini, ad esempio per poter
compiere attività professionali esterne. Però l’utilizzo del
part time può scaturire anche da concrete necessità
organizzative delle imprese, che lo utilizzano per
soddisfare particolari esigenze produttive, come carichi di
lavoro brevi e concentrati in determinati periodi della
giornata o della settimana. In questo caso oltre alla
semplice riduzione del tempo di lavoro si aggiunge anche
una diversa distribuzione di tale tempo.
F LESSIBILITÀ IN ENTRATA E USCITA (FLEXI TIME )
Si tratta di una forma di organizzazione del lavoro che
prevede la libera facoltà del lavoratore di gestire gli
estremi temporali della prestazione, pur essendo
vincolato dal dover compiere un determinato numero di
ore giornaliere (settimanali o mensili) e, in taluni casi, dal
145
dover essere comunque presente in sede in una
determinata fascia oraria. È in genere ammessa anche la
flessibilità nella gestione degli orari per la pausa pranzo,
con la possibilità di una riduzione del tempo totale di
pausa. L’organizzazione flexi time è già stata adottata,
con livelli più o meno ampi di autonomia per il lavoratore,
in molte aziende e organizzazioni, specialmente per i
dipendenti che lavorano a livello impiegatizio, nel
terziario e nel settore pubblico. Spesso, soprattutto nelle
piccole e medie imprese, questo modello organizzativo
non viene formalizzato con una specificazione nel
contratto di lavoro, ma gli imprenditori lasciano questa
libertà ai loro dipendenti in maniera informale.
È stato dimostrato come l’introduzione del flexi time nelle
organizzazioni riduca il tasso di assenteismo, i ritardi
nell’ingresso al lavoro e il turn over. Inoltre,
risulta
essere molto gradito dai dipendenti, con la conseguenza
di un miglioramento nell’atteggiamento verso il lavoro,
nella
percezione
del
proprio
lavoro
(soprattutto
relativamente alla percezione del sovraccarico e dello
stress) e nella condotta stessa del lavoratore; tutto ciò si
manifesta
anche
a
livello
del
clima
sociale
dell’organizzazione, che tende a un miglioramento
(Fraccaroli e Sarchielli, 2002).
Secondo Marina Piazza (2000 a) le riserve degli
imprenditori verso l’applicazione di questo modello di
organizzazione del lavoro dipenderebbero dal timore di
perdere il controllo totale sui dipendenti. Questo risulta
tanto più evidente se si considerano le esperienze di
questo tipo all’estero: in una ricerca che poneva a
confronto i metodi di conciliazione attuati nella Provincia
di Bologna e dell’Oxfordshire (U.K.) è emerso come ci sia
una forte differenza nella modalità di organizzazione del
lavoro nei due paesi. In particolare, mentre in Italia la
registrazione dell’orario di lavoro del dipendente viene
tenuta sotto controllo dal rigido metodo della timbratura
del “cartellino”, in Gran Bretagna la registrazione
dell’orario di lavoro in alcuni casi non viene nemmeno
formalizzata, si ritiene che sia un dovere del dipendente e
146
i superiori sono vincolati per legge alla fiducia nei
confronti del lavoratore (Manfredi, 2002). Tutto ciò
facilita ovviamente l’organizzazione dei dipendenti, che
vengono altresì valutati sulla base degli obiettivi
raggiunti, e non sulla base di una assidua presenza sul
luogo di lavoro.
JOB SHARING
Detto anche “lavoro ripartito”, “lavoro in coppia” o “lavoro
gemellato”, è una forma di lavoro caratterizzata dalla
flessibilità organizzativa del tempo di lavoro e dalla
condivisione da parte di due o più persone, con pari
responsabilità, del medesimo rapporto di lavoro
subordinato (che corrisponde ad un posto di lavoro a
tempo pieno). In pratica, i lavoratori coinvolti sono legati
dalla stessa responsabilità, il che implica che si stabilisca
un legame di solidarietà e di fiducia tra i due, che sono
liberi di gestire l’organizzazione del loro alternarsi nel
tempo. È una formula elaborata negli USA alla fine degli
anni sessanta, e ancora non ampiamente diffusa in Italia.
La formula del job sharing offre vantaggi sia al lavoratore
che all'impresa, poiché mentre permette ai dipendenti di
soddisfare esigenze personali e familiari, fa sì che si
riducano gli effetti delle assenze e garantisce il
mantenimento degli standard di produttività dell’impresa.
“In Italia il contratto di job sharing è stato regolato con la
circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale 7 aprile 1998, n. 43, che fornisce un quadro
normativo di base a tutela dei prestatori di lavoro
coobbligati e a garanzia delle imprese che, in questo
modo, si assicurano la continuità della prestazione
lavorativa e una notevole riduzione dei livelli di
assenteismo. Il contratto di job sharing richiede la forma
scritta, con indicazione della ripartizione, in percentuale,
dell’orario di lavoro fra i lavoratori interessati, peraltro
modificabile in qualsiasi momento. La retribuzione di ogni
lavoratore
viene
determinata
in
base
alle
ore
effettivamente prestate. I lavoratori sono tenuti a
informare il datore di lavoro, con cadenza almeno
147
settimanale, della distribuzione dell’orario di lavoro. In
caso di assenza di uno dei contraenti, il datore di lavoro
può pretendere dall’altro l’adempimento dell’intera
prestazione, ovvero la contrattazione collettiva può
stabilire modalità differenti” (www.minwelfare.gov.it).
Tra le obiezioni più comuni dei senior manager rispetto
all’applicabilità del job sharing nella propria azienda vi
erano: la difficoltà di trovare due persone compatibili, la
mancanza di una cultura del job sharing fra i dipendenti,
l’incompatibilità di questo metodo di distribuzione del
lavoro con le posizioni manageriali; è interessante notare
come, nonostante queste opinioni contrarie, i senior
manager ammettessero la frequenza (seppur a livello
informale) di accordi fra colleghi per la distribuzione del
lavoro. I dipendenti delle aziende, invece, ritenevano
problematica l’applicazione del job sharing a causa della
difficoltà di conciliare le modalità di organizzazione del
lavoro di persone diverse.
Tutte queste riserve e la mancata diffusione del job
sharing nel nostro paese devono però essere confrontate
con le esperienze estere di attuazione di questo metodo:
nella ricerca già citata di Manfredi (2002), l’analisi di
esperienze di job sharing in alcune organizzazioni della
Provincia dell’Oxfordshire (U.K.) ha fatto emergere dati
interessanti circa le opinioni che se ne sono fatti
lavoratori e gestori del personale che si trovano ad
utilizzare questa tipologia organizzativa. In particolare, è
emerso come da parte dei lavoratori che lo hanno già
sperimentato, questo metodo sia ritenuto un ottimo
espediente per conciliare vita lavorativa e impegni
familiari e non costituisca un problema per chi vi è
coinvolto; anche un direttore del personale (attivo in
un’azienda del settore privato) ha dichiarato che gli
svantaggi
dovuti
ad
una
maggiore
complessità
amministrativa e l’aumento dei costi nella formazione del
personale, inevitabili con il job sharing, sono però
perfettamente ricompensati da una maggiore produttività
(esistono però anche datori di lavoro o direttori del
personale che preferiscono offrire contratti part time
148
piuttosto che formule di job sharing e che, in ogni caso,
tengono sotto controllo il numero di lavoratori impiegati
secondo questa modalità).
In alcune aziende dell’Oxfordshire esiste anche un
“registro del job sharing” in cui possono iscriversi i
lavoratori interessati a sperimentare questa formula, in
questo modo è più facile per chi gestisce il personale
venire incontro alle esigenze individuali; quanto invece
alla difficoltà di conciliare modalità di organizzazione del
lavoro dei singoli dipendenti, la ricerca di Manfredi riporta
un caso in cui questa possibilità è stata verificata
nell’ambito di alcuni colloqui preliminari volti proprio ad
accertare la compatibilità delle due future job sharer
(l’esperienza è poi stata portata avanti con buon esito).
JOB SPLITTING
Prevede la suddivisione di un posto di lavoro in due unità
lavorative distinte, ciascuna con un proprio ruolo. Si
differenzia dal job sharing poiché i lavoratori coinvolti non
condividono responsabilità od obiettivi, ma si occupano
del lavoro in maniera autonoma. Ciò permette di ridurre
la necessità di coordinamento, inoltre ha il vantaggio di
rendere possibile una suddivisione del lavoro in modo che
si possano raggruppare mansioni che necessitano di
abilità particolari. È anche possibile che i tempi di lavoro
dei due lavoratori che occupano la stessa posizione si
sovrappongano.
TELELAVORO O LAVORO A DISTANZA
Il telelavoro consiste nella possibilità, da parte del
dipendente,
di
svolgere
il
lavoro
a
distanza
(principalmente da casa, o in postazioni fuori sede
organizzate dalle stesse aziende), mantenendosi in
collegamento diretto con la sede (o le sedi) di lavoro
tramite l'impiego di tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (prevalentemente internet); è l’unico
strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
149
che prevede, oltre alla flessibilità nei tempi, anche
l’autonomia nello spazio.
Il telelavoro in Italia è disciplinato da un regolamento
attuativo, previsto dall’art.4, comma1, della legge
191/1998, e approvato con D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 e
dall’accordo quadro nazionale sottoscritto il 23-3-2000.
In generale, si ritiene che il telelavoro possa comportare
notevoli vantaggi sia per il dipendente, che gode così di
una maggiore libertà nel gestire i tempi e gli spazi del
proprio lavoro, sia per l’azienda, che in questo modo può
ridurre i costi di gestione e garantirsi la produttività. Può
essere anche utile quale misura sostitutiva dei congedi di
maternità (o paternità), poiché permette al lavoratore di
accudire
i
figli
senza
abbandonare,
nemmeno
temporaneamente, il posto di lavoro; tuttavia è stato
dimostrato (Sbordone, 2000) come i vantaggi del
telelavoro siano massimi quando il dipendente riesce ad
organizzare un tempo per il lavoro distinto da quello
necessario per gli impegni domestici (cosa che
difficilmente si realizza se, ad esempio, una madre deve
continuamente interrompersi per venire incontro alle
esigenze di un figlio neonato), viceversa, infatti, si creano
situazioni confuse in cui il lavoratore non riesce ad essere
produttivo né per il proprio lavoro né per sé e la propria
famiglia.
150
Benefici e rischi del telelavoro (Oteri e Sbordone, 1996;
fonte: Sbordone, 2000, p. 165).
BENEFICI
AZIENDA
risparmio sui costi;
aumento
della
capacità produttiva;
applicazione
di
diverse
modalità
contrattuali di lavoro.
151
RISCHI
timore
della
perdita del potere di
controllo diretto;
problemi
di
rapporto
con
le
organizzazioni sindacali
ed i lavoratori;
perdita del senso
di
appartenenza
all’azienda e riduzione
della motivazione e del
rendimento sul lavoro
per i lavoratori;
costo
aggiuntivo
rappresentato
dalle
spese
di
“riorganizzazione”;
formazione per la
riqualificazione
del
personale;
minor
sicurezza
sulla riservatezza dei
propri dati.
INDIVIDUI
riduzione dei costi
di mobilità;
riduzione
dello
stress dovuto al tempo
di spostamento e al
traffico
per
raggiungere il luogo di
lavoro;
autoregolazione
delle attività lavorative
durante
l’arco
della
giornata;
possibilità
di
conciliare
al
meglio
“tempo di vita e tempo
di lavoro”;
opportunità
di
impiego per coloro che
non
possono
agevolmente
raggiungere il luogo di
lavoro;
rafforzamento del
legame
con
la
comunità con cui si
vive.
152
incremento
dei
rapporti di lavoro di
tipo precario e
non
tutelato;
perdita
della
gestione
e
pianificazione
dei
processi lavorativi;
aumento
della
fatica e dello stress;
rischi per la salute
del lavoratore;
riduzione
della
visibilità
per
il
lavoratore
delle
strategie
aziendali,
della
sua
forza
contrattuale
e
delle
possibilità di carriera;
perdita
delle
opportunità
di
apprendimento “on the
job” e di formazione
professionale
in
azienda;
crisi degli equilibri
della vita familiare (nel
caso di telelavoro a
domicilio).
SOCIETÀ
riduzione
della
mobilità causata da
spostamenti
per
ragioni di lavoro con
conseguenti
riduzioni
della
congestione
e
dell’inquinamento
urbano;
sviluppo delle aree
depresse;
opportunità
di
impiego
per
gruppi
sociali svantaggiati;
creazione di nuovi
servizi e aumento della
loro qualità;
riduzione
del
divario tra le regioni
povere e quelle ricche;
nuove opportunità
in
armonia
con
l’agricoltura
ed
il
turismo.
aumento di lavoro
precario e del lavoro
nero;
dispersione
della
manodopera;
diminuzione della
partecipazione
ad
attività sindacali;
esclusione
di
alcune
fasce
di
lavoratori dal dialogo
sociale;
trasferimento
dei
lavori ripetitivi e poco
qualificati nelle regioni
periferiche del mercato
mondiale.
L’introduzione di forme di lavoro a distanza è utile poiché
può modificare l’erronea tendenza a valutare la
produttività del lavoratore in base non alla quantità e
qualità del lavoro svolto, ma alla continuità della sua
presenza fisica all’interno dell’azienda, favorendo invece
l’acquisizione di una nuova filosofia di organizzazione e
valutazione del lavoro per obiettivi (Presidenza del
Consiglio dei Ministri – a cura di, 2000).
Uno dei difetti principali del telelavoro consiste, invece,
nell’atteggiamento che i lavoratori dimostrano verso
questo sistema organizzativo: l’idea di lavorare da casa e
non sul luogo di lavoro, anche per periodi di tempo
limitati, sembra determinare infatti un forte timore di
esclusione sociale. Ricerche sui telelavoratori hanno però
dimostrato come questo tipo di vissuto possa scaturire
153
nelle
situazioni
in
cui
il
telelavoro
costituisce
un’imposizione sul dipendente, e non il frutto di una sua
libera scelta: in questi casi i dipendenti si sentono esclusi
dalla “vita dell’organizzazione e dalle sue opportunità di
sviluppo di carriera. […] Il coinvolgimento con gli obiettivi
organizzativi tende a ridursi e spesso si determina una
sindrome da isolamento sociale assai stressante che può
manifestarsi con varie forme di burn-out o con
conseguenze di eccessivo impegno e carico di lavoro
(workaholism) sostenuti per superare una condizione
vissuta come frustrante” (Fraccaroli e Sarchielli, 2002, p.
53). Viceversa, quando è il dipendente a scegliere il
telelavoro come modalità di conciliazione fra il tempo per
il lavoro e quello per sé,
oltre ai vantaggi
precedentemente esposti, è stato verificato che
“il
telelavoratore si sente di poter progettare, eseguire e
controllare meglio il proprio lavoro rispetto a quando
opera nel normale ufficio; ciò determina sentimenti di
autonomia e di soddisfazione per la propria attività”
(Fraccaroli e Sarchielli, 2002, p. 52).
Dal punto di vista pratico è bene sottolineare che il
telelavoro non si adatta a tutte le mansioni che si
svolgono all’interno di un’azienda: non è infatti applicabile
per tutti gli impieghi in cui sia necessario un rapporto
diretto con il pubblico, si adatta invece per ruoli
caratterizzati da ampia autonomia nella gestione e
organizzazione del lavoro; questo è emerso chiaramente
nella ricerca già citata di Accornero e colleghi (2001), in
cui fra i motivi citati dagli imprenditori quali ragioni per
cui il telelavoro non viene utilizzato nella loro impresa vi
era, all’86.1%, “la sua inadeguatezza per questo tipo di
azienda” (tra le altre risposte possibili, le più
frequentemente selezionate erano: “la difficoltà nella
gestione organizzativa” e “i costi della strumentazione
tecnologica”). È inoltre da ricordare che chi lavora da
casa ha diritto a tutte le misure per la sicurezza disposte
per i luoghi di lavoro tradizionali, dunque l’ambiente in cui
installare il materiale necessario per telelavorare deve
essere predisposto e strutturato a norma di legge.
154
LAVORO “TERM TIME ”
Si tratta di una pratica non molto
solamente in Gran Bretagna; prevede
ottenere un congedo non retribuito per
delle vacanze scolastiche dei figli (Piazza,
diffusa, in uso
la possibilità di
tutto il periodo
2000 a).
BANCA DELLE ORE
È una modalità particolare di conteggio delle ore, per cui
viene stabilito un monte annuo da raggiungere; il
dipendente ha dunque la facoltà di svolgere giornalmente
ore di lavoro straordinario che vengono conteggiate sulla
busta paga per essere successivamente convertite in
riposi parziali o totali.
La Banca delle Ore, oltre a fornire ai dipendenti la
possibilità di conciliare vita lavorativa e vita privata,
permette anche alle aziende che ne fanno uso di
sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro
coerenti con le necessità produttive: “l’azienda chiede più
ore nel momento del bisogno e registra un credito in ore
intestato a chi ha erogato la prestazione; questo tempo
potrà essere recuperato dalla lavoratrice e dal lavoratore
nel momento di suo bisogno, previa richiesta al
responsabile di riferimento” (Poli, 2001, p. 59).
In Italia è stato possibile introdurre questa modalità di
regolazione dell’orario di lavoro con l’art. 13 della L.
196/1997, che prevede espressamente la possibilità di
modulare l’orario di lavoro lungo un arco temporale
ultrasettimanale non superiore all’anno.
LAVORO A TURNI
Nonostante il lavoro a turni costituisca da sempre uno
strumento
di
flessibilità
dell’orario
utile
ai
fini
dell’impresa, può essere utile anche per favorire
l’organizzazione familiare di lavoratori con carichi di cura
e, in generale, agevola il lavoratore nell’utilizzo di servizi
che spesso risultano inaccessibili a chi lavora a tempo
pieno, a causa della coincidenza degli orari.
155
Dagli anni Novanta si sta assistendo a un boom del
lavoro a turni, che si accompagna anche ad una nuova
organizzazione della turnistica: “dai due turni avvicendati
di otto ore, tipici dei settori industriali negli anni Sessanta
e Settanta, si è via via passati ai tre turni di otto ore
(compreso un turno notturno) e anche ai quattro (è noto
lo schema 6X6X4 del settore tessile), o ai cinque e più
turni richiesti dagli impianti a ciclo continuo” (Piazza et
al., 1999). Negli ultimi anni, poi, si stanno diffondendo gli
schemi
che
allungano
la
settimana
lavorativa,
prevedendo turni anche il sabato e la domenica. A fronte
dei disagi arrecati al lavoratore dall’organizzazione in
turni, le aziende in genere offrono maggiorazioni salariali
o una diminuzione dell’orario medio settimanale.
Il vantaggio maggiore in termini di conciliazione è fornito
laddove sia possibile per i dipendenti provvedere ad
un’auto-organizzazione dei turni (Manfredi, 2002).
Questa modalità di gestione della turnistica necessita
ovviamente di una grande responsabilizzazione dei
lavoratori
e
di
un
cambiamento
nella
cultura
organizzativa dell’impresa, ma può essere estremamente
utile per favorire i dipendenti portandoli a più elevati
livelli di soddisfazione sul lavoro.
Tra i temi discussi a livello legislativo in merito alla
organizzazione in turni viene riservata particolare
attenzione al lavoro notturno, che può costituire un
problema per le donne con carichi di cura. In particolare,
la legge (tramite il d.p.r. 532 del 26/11/1999) stabilisce
che anche le donne (alle quali precedentemente era
vietato) possano svolgere lavoro di notte (dalle 24 alle
6), purché non siano in stato di gravidanza o madri di un
bambino di età inferiore a un anno 7 .
Sono molte le ricerche che si sono occupate della
percezione del lavoro a turni da parte dei lavoratori,
7
In ogni caso, la legge prevede che non possono essere obbligati a
prestare lavoro di notte la madre (o in alternativa il padre) di un
bambino di età inferiore ai tre anni, un genitore che sia unico affidatario
di un figlio al di sotto dei 12 anni o lavoratori che abbiano a carico un
soggetto disabile.
156
anche rispetto al tema della conciliazione, giungendo però
spesso a conclusioni diverse. Nell’ambito di una ricerca
condotta su 51 infermieri di un’azienda ospedaliera di
Firenze (e sui 32 loro partners) è risultato come
l’organizzazione a turni sia vissuta dai lavoratori come
pienamente soddisfacente ed estremamente utile per la
gestione della vita familiare (e in particolare, per la cura
dei figli); in pratica, si può dire che il lavoro a turni sia
risultato
effettivamente
un’ottima
misura
per
la
conciliazione (Spina, 2001). L’utilità del lavoro a turni per
la gestione della vita familiare è stata dichiarata anche da
un gruppo di dipendenti di aziende dell’Emilia-Romagna;
in questo caso, però, questa organizzazione del lavoro è
stata
descritta
come
penalizzante
e
faticosa,
probabilmente
a
causa
dello
stress
psico-fisico
comportato dall’alternanza dei turni (Masotti e Ronchi,
1996) 8 .
Attualmente, in Italia, sono il part time ed il lavoro a turni
gli strumenti di conciliazione più diffusi fra tutti quelli
presentati; tuttavia, almeno per quanto riguarda il part
time, la nazione detiene uno dei più bassi primati a livello
europeo per quanto attiene la sua applicazione rispetto
sia alla totalità dei lavoratori, che alle dipendenti di sesso
femminile: da un’indagine Eurostat del 2000 è infatti
risultato che i fanalini di coda a livello europeo nella
media dell’incidenza del part time sull’intera forza lavoro
(generale e femminile) sono proprio Italia, Spagna,
Grecia e Portogallo (Arrowsmith e Sisson, 2002).
Il sistema dei congedi e dei permessi.
In Italia esiste, fin dagli anni settanta, una forte tutela
legislativa per far sì che le lavoratrici possano conciliare la
8
È probabile che la diversa percezione del lavoro a turni nelle due
ricerche sia dovuta o alle caratteristiche peculiari dell’azienda
ospedaliera considerata, o alla missione di chi lavora in un ospedale,
motivante al punto da non far pesare lo stress lavorativo. In ogni caso è
bene valutare l’opportunità di un’organizzazione del lavoro su turni
considerando le caratteristiche dell’azienda.
157
maternità con il lavoro remunerato. Questa tutela
legislativa
è
stata
ulteriormente
rafforzata
dall’introduzione della Legge 53/2000 a sostegno della
maternità, della paternità, del diritto alla cura dei figli,
alla formazione e al coordinamento dei tempi nei contesti
cittadini, che propone un approccio nuovo rispetto al
passato specialmente per quanto riguarda una serie di
disposizioni volte a incoraggiare i padri ad assumere un
ruolo più attivo nei confronti dei figli; porta infatti
un’innovazione rispetto alla legge precedente 903/77,
introducendo l’individualizzazione dei diritti di paternità
non solo in alternativa a quelli della madre, ma come
diritti e doveri del padre in quanto tale. Inoltre, l’obiettivo
principale della legge è l’individuazione di strumenti
concreti e flessibili che consentano la conciliazione delle
contrapposte
esigenze
personali
e
di
lavoro,
coerentemente con quanto previsto dalle direttive
(96/94/Cee, 92/85/Cee) e raccomandazioni (92/241/Cee)
dell’Unione europea.
Dunque, le
misure di sostegno alla maternità (e
paternità) che vengono delineate anche dal punto di vista
legislativo, e che sono fruibili da parte dei lavoratori a
livello europeo, sono:
C ONGEDO DI MATERNITÀ (OBBLIGATORIO)
A livello europeo c’è una grande differenziazione nella
legislazione dei singoli stati in materia di congedo
obbligatorio di maternità, anche se vige il principio
(ufficializzato da una direttiva della Commissione
Europea) che sia per tutte le nazioni di almeno tre mesi.
In Italia, la legge 53/20009 permette la decisione
individuale su come ripartire - prima e dopo il parto - i
9
I provvedimenti previsti con la legge 53/2000 sono stati poi ribaditi nel
decreto del 26 marzo 2001, noto come “Testo unico sulla maternità e
relativamente alla fruizione del congedo nel caso di parti gemellari, di
malattia del figlio, ecc…).
158
cinque mesi obbligatori di astensione dal lavoro: se fino al
2000 questi dovevano essere suddivisi obbligatoriamente
in due precedenti e tre successivi al parto, ora è possibile
distribuirli in maniera autonoma. Dal punto di vista
remunerativo, è previsto che la madre in congedo di
maternità riceva una retribuzione pari almeno all’80%
dello stipendio.
Il padre lavoratore può assentarsi dal lavoro nei primi 3
mesi dalla nascita del figlio, nel caso di morte o grave
infermità della madre, abbandono del figlio da parte della
madre o di affidamento esclusivo del bambino al padre.
Il padre lavoratore che intenda avvalersi del congedo di
maternità è tenuto a presentare al datore di lavoro una
certificazione
relativa
alle
condizioni
che
gliene
attribuiscono il diritto, e gli viene riconosciuto uno
stipendio pari all’80%.
A questa forte tutela legislativa bisogna però affiancare
qualche considerazione circa l’atteggiamento con cui le
donne decidono di fruire del congedo di maternità: come
nel caso degli strumenti precedentemente elencati (part
time, flexi time, ecc..) risulta essersi diffusa l’opinione
che giovare di queste misure significhi automaticamente
rinunciare ad avanzamenti di carriera, se non essere
addirittura sottoposte a trattamenti discriminatori e a
comportamenti di esclusione che rientrano perfettamente
nel moderno concetto di mobbing. Nell’ambito di una
ricerca sulle aziende (grandi e piccole, pubbliche e
private) della provincia di Bologna (Manfredi 2002) è
emerso come le donne, sia nell’ambiente pubblico che in
quello privato e soprattutto se in posizioni elevate
(mansioni per cui è richiesta una laurea), temano
fortemente le forme di congedo, specialmente se
prolungate;
è
infatti
opinione
comune
che
l’allontanamento dal posto di lavoro durante la maternità
costituisca la fonte principale di segregazione verticale
all’interno delle aziende, a causa del fatto che la
lavoratrice assente viene dimenticata, esclusa dai progetti
di lavoro futuri (nonostante sia previsto il suo ritorno) e
percepita dai superiori come disaffezionata al lavoro.
159
Questo tipo di vissuto rispetto al congedo di maternità è
emerso anche nell’ambito di una ricerca sulle lavoratrici
delle cooperative sociali della provincia di Forlì (Bassi,
2000): nel sottolineare le peculiarità del clima all’interno
di questo tipo di cooperative, che lasciano ampio spazio e
non discriminano la dipendente-madre, molte delle
lavoratrici mettevano in luce le differenze con il mondo
delle imprese lucrative (da loro personalmente vissuto),
in cui la maternità finisce col costituire un handicap. Tra
l’altro, nell’ambito di questa indagine è emerso che il
clima delle cooperative sociali, non ponendo ostacoli alle
donne in maternità, fa sì che si stimoli l’attaccamento al
lavoro delle dipendenti, che continuano a frequentare il
luogo di lavoro anche durante il periodo di congedo e che
non temono affatto l’emarginazione al loro rientro. In
effetti, come sostengono gli autori della ricerca, l’impresa
lucrativa non ha ancora compreso quanto forti siano i
vantaggi dell’investire nella qualità della vita della propria
forza lavoro, specie se qualificata: fare questo tipo di
investimento, infatti, “significa aumentare la qualità dei
propri prodotti e/o servizi e quindi, in ultima analisi,
accrescere il proprio vantaggio competitivo su un mercato
sempre più sensibile alle esigenze e ai desideri dei
clienti/consumatori” (Bassi, 2000, p. 135).
C ONGEDO DI PATERNITÀ
In Italia non è previsto a livello legislativo una forma di
congedo destinata unicamente ai padri, però la legge
53/2000, che ha perfezionato i termini previsti per i
congedi parentali, ha attribuito anche agli uomini diritti e
doveri in termini di cura dei figli. A livello europeo,
invece, esistono forme di congedo di paternità in Belgio,
in Francia, in Spagna (due/tre giorni, pagati al 100%), in
Danimarca (10 giorni, pagati come il congedo di
maternità), in Norvegia (due settimane non pagate), in
Finlandia (una settimana, pagata come il congedo di
maternità) e in Svezia (10 giorni pagati all’80%).
160
C ONGEDO PARENTALE
È con la legge 53/2000 1 0 , recante “Disposizioni per il
sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi
della città” che si stabiliscono le regole per fruire dei
congedi parentali; la legge infatti prevede, per entrambi i
genitori, che:
- ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro
(nei primi otto anni di vita del figlio), per un periodo
complessivo non superiore ai dieci mesi per entrambi i
genitori;
- nel caso che sia un solo genitore, questi ha il
diritto
di
utilizzare
i
dieci
mesi
previsti
complessivamente per la coppia;
- ciascun genitore può astenersi dal lavoro per
cinque giorni l’anno in occasione della malattia del
figlio (purché fra i tre e gli otto anni);
- nel caso di astensione dal lavoro, il genitore ha
diritto alla conservazione del posto di lavoro, e al
rientro ha diritto ad essere collocato nella stessa unità
operativa occupata in precedenza.
- rispetto alla retribuzione nel periodo di astensione
facoltativa, entrambi i genitori hanno diritto al 30%
della
retribuzione
per
un
periodo
massimo
complessivo di entrambi i genitori di sei mesi fino al
terzo anno di vita del bambino; dal terzo all’ottavo
anno di vita del figlio, i genitori hanno diritto ad una
retribuzione pari al 30% se il reddito individuale è
inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo
di pensione a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria.
Per quanto riguarda nello specifico la madre:
trascorso il periodo di congedo di maternità
obbligatorio, ha diritto ad altri sei mesi di
astensione (continuativa o frazionata);
il periodo di riposo viene raddoppiato se si
tratta di parto plurimo (ad esempio, nel caso di
10
v. nota 3.
161
parto gemellare, la madre ha diritto a un periodo
di astensione pari alla somma di quello previsto
per ciascuno dei figli);
Per quanto riguarda nello specifico il padre:
ha diritto a sei mesi di astensione dal
lavoro (continuativa o frazionata);
se si astiene dal lavoro per un periodo non
inferiore ai tre mesi, il limite viene elevato a sette
mesi così che il limite stabilito per la coppia di
dieci mesi aumenta fino ad undici mesi
complessivi;
ha diritto ad un congedo di tre mesi dalla
nascita del figlio se la madre muore, o è
gravemente malata, o abbandona il figlio, o se gli
viene riconosciuto l’affidamento esclusivo.
ha diritto ai periodi di riposo della madre se
è l’affidatario esclusivo dei figli, se la madre non
se ne avvale o se la madre è una lavoratrice
autonoma.
Marina Piazza (2000 a) sostiene che si tratti di una buona
legge per quanto riguarda la possibilità anche da parte
dei padri di provvedere alle esigenze familiari, ma che sia
necessario sostenerla con azioni di sensibilizzazione
rivolte sia alle aziende che ai dipendenti, perché le
opportunità che offre non sono state ancora sfruttate
adeguatamente.
A giudicare da quanto emerso finora rispetto alla
situazione italiana, sembra realistica l’affermazione di un
giovane manager intervistato nell’ambito di una ricerca
sui lavoratori della provincia di Bologna, secondo cui la
legge ha precorso i tempi, fornendo strumenti che non
sono ancora utilizzabili a causa dei vincoli culturali della
nostra società (Manfredi, 2002). In effetti, “le principali
difficoltà dei padri a chiedere ed ottenere i congedi
parentali sembrano essere:
− La cultura esistente e condivisa per cui
l’accudimento del bambino è compito della madre,
quindi la presenza di un condizionamento sociale e
culturale ancora molto forte, che non solo fa mancare
162
la legittimazione di comportamenti peraltro promossi
da una legge dello Stato, ma produce forti effetti di
stigmatizzazione negli ambienti di lavoro.
− L’ostilità delle aziende a permettere ai dipendenti
di usufruire di tali congedi fino a casi di induzione al
licenziamento.
− La collocazione professionale e il reddito dei
coniugi, che vedono ancora prevalere il reddito e lo
status del marito su quello della moglie.
Da quanto finora affermato, deriva la conseguenza che in
presenza di codici sociali e culturali ancora forti che non
legittimano la figura del padre «orientato alla famiglia»
non esistono in Italia esempi di buone prassi di
incentivazione da parte delle aziende in questi casi.
Esistono invece casi - reperibili soprattutto nelle
organizzazioni pubbliche - non di incentivazione attiva,
ma perlomeno di mancanza di penalizzazione” (Piazza,
2000 a, pp. 34 - 35).
Probabilmente ciò di cui si necessita oggi in Italia,
rispetto al tema dei congedi parentali, non è tanto una
politica di tutela dei diritti/doveri dei padri (già
ampiamente realizzata a livello legislativo), quanto una
forte azione promozionale in grado di diffondere
informazioni sulle possibilità che si offrono ai lavoratori
con figli e una nuova cultura di non discriminazione.
PERMESSI DI ALLATTAMENTO (RIPOSI GIORNALIERI )
La legge 53 prevede che, fino al primo anno di età del
bambino, la madre possa godere di due riposi giornalieri
completamente
retribuiti
di
un’ora
ciascuno
per
l’allattamento (sia al seno che artificiale) o per la cura del
bambino. I riposi possono essere cumulati ma vanno
concordati col datore di lavoro per salvaguardare sia le
esigenze dell’azienda che quelle del bambino; vengono
inoltre ridotti a mezz’ora di tempo ciascuno se sul posto
di lavoro esiste una stanza per l’allattamento o un asilo
nido.
Se l’orario di lavoro è inferiore a sei ore giornaliere si ha
invece diritto ad una sola ora di riposo. Nel caso di parto
163
gemellare, è previsto un tempo di permesso pari al
doppio di quello previsto per un unico figlio.
I permessi possono essere usufruiti dal padre nel caso in
cui la madre venga a mancare o sia gravemente malata,
nel caso in cui la madre non se ne avvalga o non ne abbia
diritto (perché non è lavoratrice dipendente) o ancora se
è l’unico affidatario del figlio.
C ONGEDO PER RAGIONI FAMILIARI
La legge 53 del 2000 aveva introdotto, oltre a tutte le
innovazioni già menzionate, anche la possibilità di
richiedere per gravi e documentati motivi familiari un
congedo non retribuito continuativo o frazionato fino a un
massimo di due anni senza copertura previdenziale. Tale
provvedimento è stato modificato con la legge finanziaria
per il 2001 (388/2000) che prevede la retribuzione
completa nei due anni di congedo per l’assistenza a figli
disabili gravi da parte della madre o del padre.
Inoltre, per le dipendenti con figli disabili entro i primi tre
anni di vita del figlio (e oltre il periodo di astensione
obbligatorio) esiste la possibilità di fruire di due ore di
permesso giornaliero, retribuito e coperto da contributi
figurativi oppure di prolungare il periodi di astensione
facoltativa.
C ONGEDO PER ADOZIONE
La legge 53/2000 aveva già parificato le condizioni di
genitore naturale, adottivo e affidatario, ma è con il
decreto legislativo 151 del 2001 che sono state stabilite
le attuali regole per il congedo in caso di adozione o
affido. Se il bambino affidato o adottato ha meno di sei
anni,
è
previsto
un
congedo
della
madre
adottiva/affidataria di tre mesi dal momento in cui entra
in famiglia. Qualora la madre rinunci a questo diritto, se
ne può avvalere il padre. Sono inoltre previste misure di
congedo temporaneo per malattia del figlio adottivo e
misure speciali per adozioni dall’estero (ad esempio, è
possibile usufruire di un congedo non retribuito per il
164
tempo che si trascorre nel paese d’origine del bambino
necessario all’adempimento delle pratiche burocratiche
INTERRUZIONE DI CARRIERA CON DIRITTO AL POSTO DOPO IL
RIENTRO
La legge 53/2000 prevede che sia possibile fruire di
periodi di astensione dal lavoro riservandosi, però, il
diritto sul proprio posto di lavoro: il lavoratore ha quindi
la possibilità (salvo sua rinuncia) di rientrare nella stessa
unità produttiva nella quale era impiegato, e di occuparsi
delle stesse mansioni svolte in precedenza, o almeno di
compiti equivalenti (v. anche sezione dedicata ai congedi
parentali).
DIRITTO AL PART TIME AL RIENTRO DOPO LA NASCITA DI UN
FIGLIO
Rientra nell’ambito del diritto a trasformare il proprio
contratto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo
parziale e viceversa (v. anche sezione dedicata al part
time) .
I servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a
disposizione dal territorio
SERVIZI PER I MINORI E ALTRI SERVIZI DI CURA
In questa categoria rientrano tutti i molteplici servizi (asili
nido, scuole materne, centri anziani, case protette, case
di riposo ecc.) che vengono promossi dagli Enti locali per
supportare le famiglie nel loro ruolo di cura dei minori e
degli anziani. Sebbene (con l’eccezione degli asili nido)
non siano creati primariamente ai fini della conciliazione
tra tempi di vita e di lavoro, costituiscono una risorsa di
primaria importanza.
165
BANCHE DEL TEMPO
Si tratta di organizzazioni il cui scopo è promuovere e
realizzare il mutuo scambio di tempo fra i cittadini:
quando un iscritto ha del tempo a disposizione lo impiega
per fornire un servizio richiesto da un altro iscritto, in
cambio, qualcuno svolgerà i servizi di cui lui farà richiesta
in futuro. Queste organizzazioni sono state chiamate
“banche” perché il sistema su cui si fondano è ispirato
alle modalità di funzionamento di una vera e propria
banca: ciascuno può aprire un conto su cui depositare e
ritirare tempo. Il deposito avviene quando si svolgono
attività per gli altri (e, in questo caso, verrà addebitato
sul proprio conto una quantità di tempo pari a quello
utilizzato per attuare il servizio), il ritiro si realizza
quando si delegano ad un altro correntista servizi di
necessità personale (e, in questo caso, verranno ritirate
dal conto personale tante unità di tempo quante quelle
utilizzate dall’altro correntista per svolgere la prestazione
richiesta). Le banche del tempo sono sistemi di mutuo
scambio, dunque ciascuno può ritirare una quantità di
tempo pari, né più né meno, a quella versata1 1 .
Le prestazioni che si possono scambiare nelle banche del
tempo non sono di natura professionale, ma si tratta di
semplici servizi, quali: prestare cure o fare compagnia a
bambini, anziani e adulti (sia in casa, sia all’esterno),
curare e custodire piante e animali, svolgere lavori
domestici di varia natura (fare la spesa, stirare,
cucinare,…), recarsi presso uffici pubblici per ottenere
documenti, realizzare lavori di artigianato o artistici, ecc..
In pratica, tramite le banche del tempo si ristabiliscono
quelle regole di buon vicinato che si sono andate
progressivamente perdendo. In questo senso le banche
del tempo assolvono anche un’importante funzione
sociale: quella di creare nuove reti di rapporti e sistemi di
aggregazione.
11
Fanno eccezione le banche del tempo create da associazioni o gruppi
di pensionati, il cui scopo è unicamente quello di prestare, e non
ricevere, servizi.
166
Le banche del tempo possono nascere spontaneamente
per iniziativa di gruppi sociali come persone legate da
rapporti di amicizia, o appartenenti ad associazioni di
volontariato, o ancora organizzazioni di stampo religioso
o politico; in altri casi si tratta di iniziative delle strutture
amministrative locali (principalmente gli assessorati alle
Pari Opportunità dei Comuni) promosse per aiutare chi
lavora (in particolar modo le donne).
Attualmente in Italia esistono 300 Banche del tempo 1 2 ; di
queste, 39 si trovano in Emilia-Romagna, regione che
detiene il merito di essere stata la prima in cui siano state
istituite banche del tempo in Italia: la prima banca,
infatti, è sorta a Parma nel 1991, ad opera di un gruppo
di pensionati mossi dall’intenzione di fornire aiuto agli
altri, la seconda (che è anche la più nota in Italia, e viene
erroneamente ritenuta la prima) è stata progettata ed
istituita nel 1995 a Sant’Arcangelo di Romagna (RN) ad
opera della Commissione Pari Opportunità del Comune
(Giusto, 1997).
Banca del Tempo di Ravenna. Nel 1995
l’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune
di Ravenna ha promosso l’istituzione di una
banca del tempo. Per la realizzazione di questo
progetto sono stati coinvolti gruppi di cittadini,
altre Banche del Tempo, e personalità
impegnate nella gestione e nello studio delle
banche del tempo già presenti sul territorio. Il
progetto ha beneficiato inizialmente di fondi
pubblici
(Bilancio
Comunale
e
della
Circoscrizione) che hanno fornito risorse
umane, una sede e la strumentazione
necessaria, nonché l’attività promozionale;
successivamente, con la costituzione della
Banca in Associazione, si sono utilizzate anche
risorse private e sponsorizzazioni.
12
Censimento delle Banche del tempo aggiornato al 23 settembre
2002,
presente sul sito:
http://www.cgil.it/cittadinoritrovato/tempomat/BANCHE-ITALIANE.htm
167
per la popolazione della Circoscrizione Prima
del comune. I promotori hanno dapprima
preso contatti con le banche del tempo
esistenti, per poter definire le linee guida del
progetto sulla scorta delle esperienze concrete
di
altre
organizzazioni
similari.
Successivamente, si è promossa la formazione
di un gruppo di attori da coinvolgere nella
realizzazione del progetto. Per l’impostazione
e la prima sperimentazione della banca sono
stati impiegati circa sei mesi, ed il 1° marzo
del 1997 la Banca è stata inaugurata. Nel
dicembre dell’anno successivo la Banca del
Tempo si è costituita in Associazione, ed è
stata stipulata una convenzione triennale col
Comune e la Circoscrizione, volta allo scambio
tra le parti: da parte del Comune è previsto un
contributo di € 1807,6 (lire 3 milioni 500 mila)
e la concessione di spazi nella sede della
Circoscrizione Prima, in cambio la Banca del
tempo mette a disposizione 200
ore per
attività complementari. La convenzione è stata
rinnovata nel marzo 2002 (www.racine.ra.it).
La prima valutazione del progetto, effettuata
in occasione della ricerca “Cittadine in Europa.
Buone prassi nelle amministrazioni locali”
(Regione Emilia Romagna – a cura di, 2000),
ha messo in evidenza come l’efficacia di un
progetto di banca del tempo necessiti di tempi
lunghi prima di poter fornire risultati diffusi, ad
esempio, l’estensione del progetto ad altre
Circoscrizioni del Comune.
I servizi per il sostegno al lavoro di cura messi a
disposizione dalle aziende
Per quanto riguarda le strutture a sostegno del lavoro di
cura che possono attivare direttamente le aziende, è
possibile individuare i seguenti servizi:
§
asili nido nei luoghi di lavoro;
168
§
nidi famiglia aziendali;
§
doposcuola;
§
colonie estive.
In Italia non è ancora ben diffusa la pratica di aprire
servizi aziendali per l’accudimento dei figli dei dipendenti,
i casi realizzati sono sporadici. Questa cultura è
comunque maggiormente diffusa nel settore pubblico
rispetto a quello privato, che sembra essere piuttosto
avaro nell’offerta di servizi ai dipendenti. Proprio per
quanto riguarda le aziende private, è più frequente il caso
in cui si stabiliscono accordi (prevalentemente con la
partecipazione di fondi regionali o comunali) con le
strutture già presenti sul territorio. È il caso, ad esempio,
del progetto che coinvolge la Zanussi ed il comune di
Forlì, che prevede la rimodulazione degli orari di un nido
comunale e di un servizio integrato per l’infanzia collocati
vicino allo stabilimento aziendale (si tratta di un progetto
finanziato dalla Regione Emilia-Romagna).
Sembra però che da parte del governo ci sia un interesse
verso queste strutture di supporto aziendali, infatti
recentemente è stato emanato un decreto del Ministero
dell’Economia e delle Finanze (Gazzetta Ufficiale n.122,
del 27 maggio 2002), volto ad incoraggiare proprio
iniziative di questo tipo: il decreto prevede sgravi fiscali
per i lavoratori e i datori di lavoro che sostengono spese
per la partecipazione alla gestione di micro-asili e nidi nei
luoghi di lavoro (le somme spese a tal fine vengono cioè
inserite nella denuncia dei redditi). La deducibilità è
limitata agli anni 2002, 2003 e 2004 e riguarda i redditi
da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e d'impresa,
sempre che si tratti di spese di partecipazione ad
iniziative gestite dai comuni. Gli importi deducibili non
possono superare i 2 mila euro per ogni bambino,
indifferentemente dal fatto che siano state versate dai
lavoratori o dai datori di lavoro.
Le risorse finanziarie aggiuntive
Si possono includere in questa categoria le seguenti
formule:
169
§
risorse aggiuntive per l’assistenza ai
bambini;
§
risorse per il lavoro di cura,
§
risorse per la cura agli anziani e ai non
autosufficienti;
§
assistenza finanziaria;
§
vouchers di cura.
Si tratta di agevolazioni economiche alle famiglie che
derivano da fondi pubblici (erogati in genere da Comuni e
ASL) o che vengono offerti spontaneamente delle
imprese. Ovviamente il vantaggio in termini di
conciliazione è in questo caso indiretto, poiché
riconducibile alla possibilità di fruire di servizi assistenziali
(pubblici o privati) che “liberano il tempo” 1 3 del lavoratore
con carichi di cura.
Gli strumenti formativi
In questa sezione vengono descritti quei particolari
interventi formativi, rivolti ai lavoratori o ai dirigenti
d’azienda, che hanno lo scopo di illustrare e promuovere
strategie e informazioni utili a creare una nuova
organizzazione del tempo, con il fine ultimo di diffondere
una nuova cultura sul tempo e sul suo utilizzo nei luoghi
di lavoro, indispensabile per realizzare in concreto le pari
opportunità fra uomo e donna. In Italia, allo stato
attuale, sono metodi ancora poco diffusi.
MENTORING (PRESENZA DI UN TUTOR O UN MENTORE ) SULLE
CARRIERE
Si tratta dell’inserimento di figure interne alle imprese
che forniscono un sostegno personalizzato all’avvio della
carriera, intesa nel significato più ampio di questo
termine. Infatti, il termine carriera non deve essere
inteso solo come avanzamento verso la copertura di
incarichi sempre più elevati nella scala gerarchica, ma
anche come acquisizione di competenze e copertura di
ruoli diversi, non necessariamente secondo una direzione
13 Ci si riferisce alla classificazione operata da Marina Piazza.
170
verticale, dall’alto verso il basso 1 4 . In Italia non sono
ancora diffuse figure aziendali di questo tipo. Il mentoring
ha lo scopo di promuovere lo sviluppo della carriera
aiutando il lavoratore a far fronte agli ostacoli che ne
impediscono lo sviluppo.
“Il mentoring rappresenta una forma di facilitazione allo
sviluppo della carriera professionale completa e
complessa, orientata a promuovere il superamento di
tutti gli aspetti problematici e i fattori di ostacolo a tale
sviluppo: dalla capacità di stabilire dei legami all’interno
dell’organizzazione
con
soggetti
«che
contano»
(networking), alla capacità di rendere visibile il proprio
operato e di sapersi presentare; alla conoscenza
dell’ambiente e delle dinamiche che si possono sviluppare
all’interno dell’organizzazione e che può essere utile
controllare per non trovarsi in difficoltà, al più tradizionale
apprendimento di tecniche e metodologie messe a punto
dall’organizzazione stessa o comunque necessarie allo
svolgimento delle attività lavorative. La Commissione
Europea individua come elementi chiave del mentoring:
• il coaching (il mentor è come l’allenatore, che
incoraggia il mentee a sviluppare competenze e attitudini
per il futuro);
• l'advising (il mentor è come un confidente che aiuta il
mentee a risolvere i problemi e a prendere le decisioni
importanti mettendosi dalla sua parte);
• l'assisting (il mentor spiana la strada al mentee, in ogni
senso: dall’aiutarlo a trovare un semplice numero di
14
Le possibili definizioni del termine carriera fanno in genere capo a
quattro macro tipologie:
1. carriera come avanzamento.
2. carriera come professione: cioè i passaggi di status regolamentati
3.
carriera come sequenza di lavori che vengono svolti durante la
vita di una persona: cioè il suo curriculum.
4. carriera come sequenza di ruoli legati all’esperienza: cioè il modo
in cui la persona ha esperito i lavori, le attività, i ruoli che ha
ricoperto nella sua vita lavorativa.
(Majer e Garavaglia, 1994).
171
telefono al presentarlo a persone importanti nel campo
professionale in cui si sta inserendo);
• il networking (il mentor facilita il mentee nel lavoro di
creazione di una rete di contatti anche al di fuori del
contesto professionale)” (Gruppo Cerfe – Laboratorio –
ASDO, 2000 b, p. 41).
Una relazione di mentoring si qualifica dunque come una
relazione di aiuto in cui il mentor è estraneo alla linea
gerarchica del mentee, il suo intervento si colloca in
corrispondenza di significative transizioni nella vita
professionale del mentee e la finalità della relazione è lo
sviluppo sistematico del mentee, inteso anche come
acquisizione di competenze, conoscenze e di un modo di
pensare compatibile con la cultura dell’organizzazione.
Nell’ambito degli interventi volti alla conciliazione, la
presenza di un mentor potrebbe svolgere il ruolo
strategico di aiutare le dipendenti a far fronte a tutti quei
fattori che le ostacolano nell’avanzamento di carriera.
PRESENZA DI UN COORDINATORE “WORK-FAMILY” O “WORKLIFE ”
Si tratta di figure di mediazione tra i bisogni di
flessibilizzazione dei dipendenti che hanno responsabilità
in famiglia e le necessità dell’impresa.
Si tratta di uno strumento molto innovativo, sperimentato
negli USA e attualmente ancora poco diffuso nella realtà
europea.
Negli Stati Uniti i casi più pubblicizzati della presenza di
coordinatori work-family riguardano le Università (fra le
altre, la University of Texas-Houston); in questi ambiti il
servizio fornito dal coordinatore work-family si rivolge
soprattutto ai lavoratori e agli studenti delle Università,
con lo scopo di informarli sulle politiche di conciliazione
della struttura, inoltre svolge un ruolo di interfaccia tra la
struttura e le istituzioni locali, mantenendosi aggiornato
sulle possibilità che vengono offerte al lavoratore con
carichi di cura dal contesto locale. Alcuni studi sulle
conseguenze della presenza di un coordinatore workfamily nelle organizzazioni hanno dimostrato come
172
determini effetti positivi sul morale, la produttività, il
reclutamento e il turnover (www.uth.tmc.edu).
F ORMAZIONE AL RIENTRO DALLA MATERNITÀ
Le imprese possono offrire alle dipendenti che rientrano
dalla maternità corsi di formazione utili a mantenersi
aggiornate sulle novità del lavoro. Prevista dalla
L.53/2000, si sta cominciando a sperimentarla anche
nell’ambito di alcuni contratti aziendali. Si tratta di
interventi che si basano sul reciproco interesse di azienda
e lavoratrice: l’impresa può rendere pienamente
operativo il personale aggiornandolo tempestivamente
sulle innovazioni intervenute durante la sua assenza,
mentre la dipendente riesce a non essere esclusa dalla
vita aziendale.
F ORMAZIONE ALLA GENITORIALITÀ
É, questa, un’offerta formativa che proviene quasi
esclusivamente dalle strutture pubbliche, ed in particolare
dai “centri per le famiglie”: centri le cui attività si
rivolgono sia ai bambini che ai genitori, che si pongono
come finalità sia il sostegno nella cura dei figli, che la
promozione di interventi formativi. Nell’ambito di questi
interventi formativi è opportuno sottolineare l’importanza
degli interventi mirati alla
incentivazione della
condivisione di responsabilità tra uomo e donna. A tale
riguardo, insieme ad attività di sensibilizzazione delle
donne stesse, vanno previsti interventi diretti agli uomini,
quali campagne educative su larga scala o incontri sul
luogo di lavoro delle partner. Un altro importante ambito
ove far maturare una nuova consapevolezza e
sperimentare nuove pratiche in questa direzione è quello
dei servizi di accoglienza per i bambini (asili nido e altre
forme di servizio per l'infanzia). In questo ambito, una
ricerca svolta dal Gruppo Cerfe in 7 paesi europei
(compresa l'Italia), ha messo in luce l'esistenza di una
serie di pratiche in cui i padri vengono attivamente
coinvolti all'interno di tali servizi (accompagnamento,
173
animazione, cura, ecc.) . Si tratta di esperienze che
devono essere oggetto di specifiche attività di
informazione e diffusione (Gruppo Cerfe – Laboratorio –
ASDO, 2000 b).
Strumenti che creano sinergie fra tempi del lavoro
e tempi della città.
La conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro non si
realizza soltanto tramite forme di flessibilità o contratti
particolari, infatti al di là dei ritmi e dei tempi del lavoro,
spesso sono anche i cosiddetti “tempi della città” a
contribuire alla difficoltà di gestire vita privata e vita
lavorativa. In una ricerca sulle dipendenti di 13
cooperative sociali di Forlì (Bassi, 2000) è emerso come
l’orario di disponibilità dei servizi (fra cui: trasporti,
negozi, super ed ipermercati, uffici pubblici, servizi per la
formazione, attività extrascolastiche) sia vissuto dalle
donne che lavorano come uno dei più importanti fattori
da migliorare per far sì che sia realizzabile una
conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro. Risultati
simili si erano già rinvenuti in una ricerca del
Coordinamento Femminile CISL dell’Emilia Romagna
(Casotti e Ronchi, 1996) su di un campione di 439
dipendenti (di cui il 43.7% uomini e 56.3% donne) di
aziende pubbliche e private nelle province di Modena,
Bologna, Ravenna, Ferrara e Forlì.
Proprio per venire incontro alle esigenze di chi deve
conciliare lavoro e vita familiare si stanno realizzando a
livello locale iniziative volte ad adeguare i ritmi della città
a quelli di chi lavora. Queste iniziative sono state
espressamente richieste dallo Stato tramite la legge
53/2000, i cui punti principali riguardano:
La chiamata in causa delle regioni nel compito di
coordinamento degli interventi e nella gestione delle
partecipazioni finanziarie.
La promulgazione di piani territoriali in materia di orari,
approvati
a
livello
comunale
e
finalizzati
174
all’armonizzazione e i sistemi degli orari e dei servizi
urbani.
La messa in campo di “banche del tempo” per favorire lo
scambio di servizi tipico del buon vicinato e per favorire
l’estensione della solidarietà nelle comunità locali.
La concertazione locale nel quadro di un tavolo trilaterale
a cui partecipino, fra gli altri, rappresentanti delle
istituzioni scolastiche, e delle società dei trasporti.
Allo stato attuale la partecipazione dei comuni alle attività
proposte dalla legge non è ancora uniformemente diffusa:
in alcuni casi esistevano già piani locali prima della
promulgazione della legge, in altri ancora oggi non si è
arrivati a promuovere iniziative per la flessibilizzazione
degli orari della città. È comunque bene sottolineare
come le iniziative esterne al mondo delle imprese non
sempre nascano per volere delle istituzioni locali: spesso
sono anche i cittadini che, autonomamente, organizzano
attività di sostegno per i lavoratori (è il caso di talune
banche del tempo).
FAMILY DAY CARE HOMES (NIDI FAMIGLIA)
Le Family day care homes (nidi famiglia) sono servizi
organizzati presso il domicilio di una famiglia che, previa
autorizzazione, fornisce cura e assistenza a un piccolo
gruppo di bambini (da 0 a 3 anni) dietro compenso
erogato dalle famiglie che ne usufruiscono. In taluni casi,
questi servizi beneficiano di fondi comunali e, comunque,
si costituiscono come attività senza fini di lucro. Sono
servizi innovativi che si affiancano e si integrano con gli
altri interventi per la famiglia (sostegno economico,
flessibilità negli orari di lavoro, ecc…). Il significato di
queste esperienze è particolarmente importante, perché
evidenziano la possibilità di un incontro tra interventi
macro di politica degli orari a livello urbano, come i Piani
degli Orari comunali, e interventi micro, cioè capaci di
affrontare il problema al livello più concreto: quello del
vissuto quotidiano delle persone. La famiglia, soprattutto
se gravata da carichi familiari di minori e di anziani, ha
175
bisogno anche di risposte a piccoli bisogni quotidiani, ad
imprevisti ed emergenze rispetto alle quali forme di
intervento micro (reti di vicinato e volontariato, più o
meno associato) possono rispondere meglio di interventi
a livello istituzionale, poiché sono in grado di agire in
modo immediato e calibrato sulle esigenze del caso
(Zucchetti, 2002).
ADEGUAMENTO DEGLI ORARI DEI SERVIZI ALLE
NECESSITÀ DEI LAVORATORI.
Molte amministrazioni pubbliche (in particolare i Comuni)
stanno sperimentando o mettendo in atto politiche volte
all’adeguamento degli orari dei servizi alle esigenze di chi
lavora,
come
pure
alla
de-sincronizzazione
nell’espletamento di tali servizi. Queste politiche
costituiscono la risposta alla legge 53/2000 (che richiede
espressamente questo tipo di facilitazioni per i
lavoratori), e al bisogno diffuso di usufruire di particolari
servizi negli orari che precedono e seguono quelli classici
del lavoro a tempo pieno, e vengono in genere inserite
nella elaborazione del “Piano Regolatore degli Orari”
cittadino.
I servizi maggiormente interessati sono:
Ä Trasporti. Specialmente nei piccoli centri, dove il
trasporto pubblico è meno presente e attivo che nelle
grandi città, vi è l’esigenza di disporre di un maggior
numero di servizi (specialmente nelle ore di punta).
Inoltre, è sentita quasi ovunque la necessità di una
maggiore disponibilità di parcheggi per gli autoveicoli.
Ä Servizi scolastici. Si stanno mettendo in atto molti
provvedimenti volti ad anticipare al mattino e a
prolungare fino al pomeriggio inoltrato l’erogazione
dei servizi, in modo da permettere al genitore che
lavora a tempo pieno di continuare nell’attività
lavorativa. I principali mezzi con cui si realizzano
questi progetti sono:
o
Creazione di servizi di accoglimento pre e
post scuola, gestiti direttamente dagli istituti
176
scolastici o da associazioni e cooperative,
durante i quali i bambini svolgono attività
didattiche, ricreative o sportive.
o
Prolungamento dell’orario degli asili nido e
scuole materne fino alle ore 18.
Ä Servizi per gli anziani. Servizi di assistenza attivati
in favore degli anziani, come centri di accoglimento
diurni, ecc…
Ä Uffici pubblici. Inserimento dell’orario prolungato
per gli uffici, apertura fino alle ore 18 per almeno un
giorno alla settimana. Anche la possibilità di ottenere
informazioni e consegnare documenti attraverso le
reti telematiche può favorire i lavoratori dipendenti.
Ä Attività commerciali. Incentivi al prolungamento
dell’orario con apertura durante la pausa pranzo,
apertura nei giorni festivi.
177
Gli strumenti: una valutazione d’insieme
È possibile effettuare diversi tipi di catalogazione di questi
diversi strumenti, come ad esempio ha fatto Marina
Piazza (2000 a), distinguendoli in:
strumenti che riducono o articolano diversamente i tempi
di lavoro;
a)
strumenti che liberano tempo;
b)
strumenti che formano una diversa cultura
sul tempo.
Ai nostri fini è però più interessante proporre una loro
sintetica comparazione, mirata a metterne in evidenza
costi e vantaggi per i principali soggetti coinvolti, e a
delinearne quelle che sono – a livello teorico – le
condizioni che ne favoriscono un impiego ottimale. La
tabella seguente ha questo obiettivo:
Strumento
Vantaggi
(costi)
azienda
Utilizzo
ottimale
forza lavoro
part time / per
punte
term time
domanda
(aumento
costo
del
lavoro)
Più
motivazione
flexi time
personale
(riduzione
controllo)
aumento
produttività
e
orientament
o
del
personale
job sharing
all’obiettivo
(complessità
amministrati
va)
Vantaggi
(costi)
lavoratrice
più tempo a
disposizione
(diminuzione
entrate)
Costi sociali
ed
economici
diminuzione
dei consumi
della
famiglia
Condizioni
ottimali
interesse
reciproco
(esigenza
organizzativ
a)
flessibilità
nessuno
nell’uso del
tempo
fiducia
reciproca
flessibilità
nessuno
nell’uso del
tempo e più
tempo
a
disposizione
(gestione
della
relazione e
dei
potenziali
conflitti con
il/la collega)
178
fiducia
/
professionali
tà
dipendenti
Strumento
job
splitting
tele lavoro
banca ore
turni
Vantaggi
(costi)
azienda
Mantenimen
to
della
copertura
del
ruolo
(ridondanza
di ruoli o
riduzione
integrazione
)
produttività
(costi
tecnologici e
riduzione
controllo)
flessibilità e
motivazione
del
personale
(potenziale
conflitto in
caso
di
esigenze di
flessibilità
incompatibili
)
possibilità di
ottimizzare
l’utilizzo
delle
attrezzature
/ di fornire
servizi
al
cliente in un
ampio arco
temporale
Vantaggi
(costi)
lavoratrice
tempo
Costi sociali Condizioni
ed
ottimali
economici
nessuno
Grandi
dimensioni
dell’azienda
con
più
soggetti che
ricoprono lo
stesso ruolo
flessibilità
nell’uso del
tempo
(isolamento)
rischio
Servizio/fun
riduzione
zione
tutele per i produttiva
lavoratori
compatibile
flessibilità
nessuno
nell’uso del
tempo
(potenziale
conflitto in
caso
di
esigenze di
flessibilità
incompatibili
)
possibilità di
conciliare
lavoro
e
ritmi di vita
“atipici”
(conflitti tra
esigenze
azienda ed
esigenze
lavoratore)
(aumento
congedi e
più tempo a
costo
del
permessi
disposizione
lavoro)
servizi
degli EE.LL
disponibilità
della
dipendente
riduzione del
carico
di
cura (costo
economico)
179
rischi
di
usura psicofisica
dei
lavoratori
costretti
a
turni
penalizzanti
(aumento
malattie
e
infortuni)
fiducia
reciproca e
limitata
pressione
del mercato
capacità
dell’azienda
di
comtemplar
e
le
esigenze
specifiche
del
lavoratore
nell’organizz
azione
dei
turni
flessibilità
produttiva e
nessuno
fair
play
delle
dipendenti
disponibilità
costo
per
risorse
da
l’organizzazi
parte
one
dell’Ente;
Strumento
Vantaggi
(costi)
azienda
Vantaggi
(costi)
lavoratrice
motivazione
e
disponibilità
riduzione del
della
Servizi
dipendente
carico
di
aziendali
(costo per la cura
organizzazio
ne
e
gestione)
riduzione del
disponibilità carico
di
Risorse
della
cura grazie
aggiuntive
dipendente
all’acquisto
servizi
Utilizzo
ottimale
conoscenze
mentoring
delle
e supporto
/
potenzialità
psicologico
coordinato delle risorse
per gestire i
re
work- umane
molteplici
family
(costi
di
ruoli
realizzazione
)
formazione
al rientro
possibilità di
immediato
reimpiego
del
dipendente
(costo per la
formazione)
formazione
genitori
disponibilità
della
dipendente
Nidi
famiglia
disponibilità
della
dipendente
adeguame
nto orari
disponibilità
della
Costi sociali Condizioni
ed
ottimali
economici
corretta
programmaz
ione
nessuno
cultura
aziendale
compatibile
e
disponibilità
di risorse da
parte
dell’azienda
costo
disponibilità
finanziament
fondi
i
nessuno
cultura
aziendale
compatibile
e
disponibilità
di risorse da
parte
dell’azienda
possibilità di
un
reinseriment nessuno
o più facile
sul lavoro
cultura
aziendale
compatibile
e
disponibilità
di risorse da
parte
dell’azienda
conoscenze
e supporto
psicologico
per gestire i
molteplici
ruoli
riduzione del
carico
di
cura (costo
economico)
flessibilità
nell’uso del
180
interesse dei
costo
per
genitori
e
l’organizzazi
disponibilità
one
del servizio
fondi
per
disponibilità
supportare
del servizio
l’avvio
problemi
disponibilità
organizzativi risorse
da
Strumento
Vantaggi
(costi)
azienda
dipendente
Vantaggi
(costi)
lavoratrice
tempo
181
Costi sociali
ed
economici
ed esigenze
di
conciliazione
dei
propri
dipendenti
Condizioni
ottimali
parte
dell’Ente;
corretta
programmaz
ione
LA CONCILIAZIONE: TEMPI DI VITA E TEMPI DI
LAVORO NELLE PMI E NELLE COOPERATIVE
DELL’EMILIA ROMAGNA
L’esigenza di interventi per la conciliazione in
Emilia-Romagna
Prima di verificare lo stato dell’applicazione delle misure
di conciliazione nelle piccole e medie imprese dell’Emilia
Romagna, sembra opportuno delineare un breve quadro
della situazione della società emiliano-romagnola, volto
ad individuare quanto sia forte l’esigenza di conciliare
tempi di vita e tempi di lavoro. A tale scopo è possibile
segnalare i seguenti fattori:
a.
Bassa natalità e mortalità: a livello
europeo, oltre che nazionale, l’Emilia Romagna è
tra le regioni a più bassa natalità (già dagli anni
sessanta) e a più bassa mortalità (già agli inizi
degli anni novanta il tasso era di 11 decessi ogni
1000 abitanti). Il modello di fecondità dell’Emilia
Romagna può essere descritto come caratterizzato
dalla scomparsa di figli di ordine superiore al
secondo, da un’elevata percentuale di donne
senza figli e dall’affermazione del modello
familiare con un unico figlio. Attualmente, le
coppie senza figli, che nel 1951 erano il 10%, sono
duplicate. È ipotizzabile che la ragione di questo
fenomeno sia “la persistenza di modelli culturali e
assetti sociali tradizionali nel più circoscritto
ambito familiare (ad esempio il tipo di divisione
dei ruoli e dei carichi lavorativi tra coniugi)”
(Barbagli et al., 2001, p. 22).
b.
Crescita delle famiglie monogenitoriali:
l’aumento dei divorzi e delle separazioni ha
portato nella regione ad un notevole aumento
delle famiglie composte da un solo genitore
(generalmente la madre). È stato stimato che, su
100 famiglie, in Italia 11 sono monogenitoriali e la
quota si eleva a 13 nel caso dell’Emilia-Romagna.
182
c.
Innalzamento dell’età del matrimonio e
crescita del numero dei singles (celibi e nubili):
fenomeno che si accompagna al prolungamento
della permanenza dei figli nella famiglia di origine.
d.
Carico totale del lavoro domestico sulle
donne: gli ultimi dati regionali sulla divisione del
lavoro domestico (risalenti al 1997) mostrano
come siano le donne a farsi carico degli impegni
domestici con una media di 35 ore settimanali di
lavoro casalingo (mentre gli uomini hanno una
media di 6.9 ore di lavoro domestico settimanale),
il che, pur confrontato con una media superiore di
ore di lavoro extradomestico per gli uomini, le
porta a lavorare mediamente 16.7 ore settimanali
in più rispetto al coniuge/convivente. Ciò significa
che, come nel resto d’Italia, nelle famiglie
emiliano-romagnole è la donna a farsi carico del
lavoro domestico; in pratica, “sono ancora le
donne, più degli uomini, a dover gestire le
interferenze e il potenziale conflitto tra le due
forme di lavoro, retribuito e domestico: con la
conseguenza che la partecipazione della moglie al
mercato del lavoro può contribuire a fare
aumentare il tempo libero del marito, ma non
necessariamente la presenza di questi nella vita
familiare e soprattutto nel lavoro che questa
richiede” (Barbagli et al., 2001, p. 37).
e.
Elevata percentuale di donne che lavorano:
il tasso di attività femminile in Emilia-Romagna è il
più alto del paese (38.2% contro il 29.9% della
media italiana) e, contemporaneamente, il tasso
regionale di individui la cui fonte di reddito è
rappresentata dal mantenimento da parte dei
familiari è il più basso a livello nazionale. Le donne
emiliano-romagnole che lavorano sono, per il
40.6%, sposate o conviventi more uxorio, contro
una
percentuale
italiana
di
donne
sposate/conviventi occupate del 29.4%. Questo
dato è in stretta relazione sia con il basso livello di
183
natalità,
che
con
l’elevato
tasso
di
separazioni/matrimoni della regione. Inoltre,
lavorano sia donne appartenenti alla classe media
(commercianti, impiegati, quadri) che donne
appartenenti a famiglie operaie; in particolare, in
Emilia-Romagna si registra un tasso molto elevato
di donne occupate nella classe operaia: 68%,
contro la media nazionale del 40%. Questo fattore
è molto importante se si considera che proprio in
queste famiglie con la minore disponibilità di
reddito
si
concentrano
maggiormente
le
problematiche femminili legate alla “doppia
f.
Qualità della vita e accessibilità dei servizi
di buon livello: rispetto alla media nazionale,
sembra che i cittadini dell’Emilia-Romagna godano
di una buona qualità della vita e possano fare
affidamento su servizi accessibili e pronti alle loro
esigenze. A questo livello, le principali carenze
sono sentite rispetto alla disponibilità di parcheggi.
Tutti i fattori segnalati, come si può facilmente notare,
sono gli stessi individuati nell’introduzione di questo
lavoro
come
fattori
che
rendono
necessaria
l’implementazione di misure per la conciliazione dei tempi
di vita e di lavoro; dunque è possibile sostenere che i
lavoratori, e in particolar modo le donne che lavorano,
dell’Emilia Romagna necessitano di misure di questo tipo.
A giudicare dai dati disponibili però, sembra che
l’organizzazione delle strutture territoriali sia già di buon
livello (la qualità della vita e l’accessibilità dei servizi sono
percepite come positive), dunque probabilmente è l’area
relativa all’organizzazione del lavoro nelle imprese a
richiedere il maggiore investimento di sforzi ed energie
per giungere alla realizzazione di una conciliazione tra
vita lavorativa e vita privata. Questi dati vanno nella
stessa direzione dell’esito di una precedente ricerca su
439 lavoratori dell’Emilia-Romagna (Casotti e Ronchi,
1996):
rispetto
agli
interventi
possibili
per
il
miglioramento della qualità della vita, il 33.5% degli
184
intervistati dichiarava l’esigenza di intervenire sull’orario
di lavoro, il 28.5% sull’orario dei servizi, il 20% su
entrambi (vi era poi un 15% di lavoratori che non
ritenevano necessario alcun intervento).
La conciliazione nelle piccole e medie imprese
Le misure di conciliazione descritte nel primo capitolo
sono state, fin dalla nascita, strumenti tipici delle grandi
imprese, che vi hanno fatto ricorso per diversi motivi
(Piazza, 2000 b):
a.
l’esigenza di trattenere i lavoratori più
competenti, offrendo loro dei vantaggi non solo
monetari, ma anche in termini di qualità della vita;
b.
l’intento di promuovere un’immagine della
propria impresa come “avanzata”, che si occupa
del benessere dei dipendenti;
c.
la volontà di seguire l’impulso proveniente
dagli U.S.A. a praticare il diversity management.
Ovviamente, questi fattori che possono spingere una
grande impresa a realizzare misure per la conciliazione
possono
non
avere
un
peso
così
forte
per
un’organizzazione (imprenditoriale o di tipo cooperativo)
di piccola o media grandezza. Inoltre, come sottolinea
Betty Leone (2000), specialmente nelle imprese più
piccole, in cui manca la rappresentanza sindacale a fare
da portavoce delle esigenze dei dipendenti, la probabilità
che si realizzino spontaneamente misure per la
conciliazione sono piuttosto basse. Un ulteriore fattore di
difficoltà è poi rappresentato dal fatto che i dipendenti di
imprese di piccole e medie dimensioni hanno minor
possibilità di sostituirsi fra loro nelle diverse mansioni,
specialmente laddove la produzione sia di tipo
specialistico anziché in serie (Sezzi, 2000).
Per quanto poi concerne specificatamente le piccole
imprese, è bene ricordare come costituiscano elementi di
difficoltà per l’implementazione di misure di conciliazione
(Merelli et al. – a cura di, 2000):
a.
il
fatto
che
l’organizzazione
della
produzione sia di tipo just in time, il che rende
l’organizzazione schiava del mercato.
185
b.
il fatto che spesso gli orari siano lunghi,
rendendo difficile la conciliazione con i tempi di
vita.
Elementi
favorevoli
e
sfavorevoli
alla
conciliazione nelle piccole imprese (meno di
50 dipendenti). Fonte: Merelli et al., 2000 p. 26
ELEMENTI FAVOREVOLI
ELEMENTI SFAVOREVOLI
Ä Maggiore efficienza e
Ä Minor
controllo
competitività.
sindacale e collettivo dei
Ä Maggiore
lavoratori.
partecipazione
e
Ä Maggior
peso
delle
coinvolgimento
dei
decisioni dell’imprenditore
dipendenti.
(anche
in
caso
di
Ä Opportunità
di
licenziamento).
un’organizzazione
più
Ä Minor
formazione
flessibile del lavoro.
formalizzata.
Ä Adattamento
rapido
Ä Minori investimenti in
alle esigenze del mercato.
nuove tecnologie e meno
Ä Relazioni
più
strategie d’impresa.
personalizzate
all’interno
Ä Rischio di scomparire
dell’impresa.
sul mercato a causa della
Ä Partecipazione
ai
globalizzazione.
valori, confiance.
Ä Maggiore
dipendenza
Ä Formazione sul campo,
dal mercato.
grazie all’osservazione del
personale esperto, che
lavora
da
più
tempo
all’interno dell’impresa.
Ä Orari più flessibili e
possibilità di accordo in
funzione delle esigenze
personali.
Ä Ambiente
informale,
meno
burocrazia
e
controllo.
Tuttavia, come sottolinea Marina Piazza (2000 b), si
possono individuare anche alcuni fattori tipici delle piccole
e medie imprese che possono giocare a favore
dell’implementazione di strategie per la conciliazione:
186
1.
Le piccole imprese/cooperative riescono a
mettersi in rapporto con le politiche territoriali più
facilmente delle grandi organizzazioni. Questo
fattore (dimostrato nell’ambito di numerose
esperienze sul campo) costituisce una grande
facilitazione per la realizzazione delle misure di
conciliazione: infatti, come sottolinea anche Azio
Sezzi (2000), le iniziative interne alle aziende
devono
necessariamente
accompagnarsi
ad
iniziative territoriali, altrimenti si rischia che la
flessibilità degli orari di lavoro si scontri con una
rigidità
nelle
strutture
territoriali,
con
la
conclusione di una totale perdita di efficacia delle
misure di conciliazione aziendali.
2.
Le piccole e medie imprese/cooperative
riescono a gestire in maniera più agile e informale
le esigenze dei dipendenti, così come i diritti
individuali. Al contrario, nelle grandi imprese vi è
una maggiore burocratizzazione che rende più
tortuoso il passaggio dalle esigenze del lavoratore
all’applicazione di misure per la conciliazione. A tal
proposito, però, è bene considerare anche
l’osservazione di Azio Sezzi (2000), secondo cui
nelle piccole e medie imprese si assiste ad un
fenomeno per cui, se da un lato i rapporti con i
dipendenti sono più diretti e si possono
condividere più facilmente gli obiettivi, dall’altro
però i piccoli numeri determinano una maggiore
complessità nella gestione del personale: “in
termini di impatto sull’organizzazione, le esigenze
di due persone su venti hanno molta più risonanza
di quelle di due persone su duecento” (Sezzi,
2000, p. 99). Dunque, Sezzi sottolinea l’esigenza
di stabilire un clima di collaborazione e
cooperazione non solamente fra il dipendente e
l’impresa, ma anche tra i dipendenti; la
collaborazione
fra
i
lavoratori
è
infatti
indispensabile per creare un’atmosfera elastica e
costruttiva basata sul giusto equilibrio fra
187
responsabilità, disponibilità e conoscenza dei
propri e altrui diritti, un’atmosfera, questa,
indispensabile per introdurre misure di flessibilità
senza ripercussioni sull’organizzazione.
Oltre
a
questi
fattori
di
facilitazione
tipici
dell’organizzazione delle PMI, è anche bene ricordare
come la legge 53/2000 abbia previsto (oltre alla
flessibilizzazione
degli
orari
cittadini
che,
come
precedentemente ricordato, è un fattore indispensabile)
la disposizione di incentivi economici per le aziende che
dispongano interventi per la conciliazione. Di questi
incentivi, la metà è diretta ad imprese con meno di 50
dipendenti che realizzino azioni positive di flessibilità degli
orari e organizzazione del lavoro (come: banca delle ore,
tempo parziale reversibile, telelavoro, ecc..).
In
particolare, per esempio, è previsto uno sgravio pari al
50% dei costi per l’assunzione temporanea del sostituto
di un dipendente in congedo per ragioni familiari, nelle
imprese con meno di 20 salariati.
Alcuni esempi di applicazione di strumenti per la
conciliazione nelle PMI e nelle cooperative
dell’Emilia Romagna
Prima di illustrare alcuni dei progetti realizzati nell’ambito
delle piccole e medie imprese/cooperative dell’EmiliaRomagna, è bene premettere una breve riflessione sulla
visibilità di questi progetti: in linea generica, tramite una
ricerca mirata su Internet 1 5 , non è possibile incontrare
con facilità documenti relativi agli esiti di esperienze di
conciliazione in questo ambiente. Mentre è possibile
trovare pubblicazioni e documenti relativi a ricerche
sostenute dagli enti locali (nazionali ed europei), dagli
15
Si riportano alcuni esempi dei criteri di ricerca utilizzati (la ricerca è
stata effettuata anche in lingua inglese e francese): PMI + donne +
lavoro + conciliazione; conciliazione + tempo + vita + famiglia;
conciliazione + donne + pari opportunità; conciliazione + donne +
carriera; conciliazione + tempo + famiglia + donne; conciliazione +
lavoro + famiglia + donne; imprese + emilia + romagna +
conciliazione; ecc….
188
istituti di statistica e dai sindacati sulle necessità di
conciliazione e sulle esperienze già realizzate (che, però,
sono legati al mondo delle grandi imprese o della pubblica
amministrazione),
è
da
evidenziare
come,
evidentemente, le PMI e le cooperative che si impegnano
in campagne per la conciliazione non pubblicizzino
ampiamente queste loro iniziative.
LA CONCILIAZIONE NELLE PICCOLE IMPRESE DELL ’EMILIAROMAGNA .
Nel 2000 è stata condotta una ricerca per conto della
Commissione Europea, dal titolo “Conciliazione fra
famiglia e lavoro nelle micro e piccole imprese”. Lo studio
comprendeva l’analisi di casi di organizzazioni con meno
di 50 dipendenti sul territorio italiano (in particolare, si
trattava di imprese emiliano-romagnole), francese,
spagnolo e tedesco (Merelli et al., 2000), e aveva tra gli
obiettivi l’individuazione di prototipi di “buone pratiche”
all’interno di questa tipologia aziendale.
Nell’ambito di questa ricerca sono state esaminate 38
piccole aziende, impegnate nei seguenti settori: 4
nell’agricoltura, 15 nell’industria, 13 nei servizi e 6 nel
commercio.
Dall’analisi compiuta dalle autrici è emerso, a livello
generale, che esistono degli elementi ricorrenti nelle
“buone prassi” di conciliazione all’interno delle piccole
imprese:
§
Iniziative dei dipendenti per combinare in
maniera meno faticosa esigenze personali e
familiari con gli orari di lavoro;
§
Attenzione delle aziende (dunque dei datori
di lavoro) a rispondere positivamente alle
richieste dei dipendenti, per creare un clima di
lavoro cooperativo e disponibilità a dare libertà di
scelta (pur con limiti di compatibilità) per un
orario di lavoro individualizzato;
§
Iniziative di imprenditrici e imprenditori per
rispondere a proprie esigenze di raccordo fra
diversi tempi della vita;
189
§
Coinvolgimento
e
co-determinazione
dei/delle dipendenti nell’organizzazione del lavoro
aziendale;
§
Strategia aziendale volta a concertare, per
mantenere buone relazioni, clima aziendale
favorevole
e
personale
di
buon
livello
professionale;
§
Capacità di adattare e riadattare le
soluzioni “conciliative” con l’evolversi delle
esigenze di chi lavora, in relazione alle varie fasi
del ciclo di vita.
Inoltre, è stato riscontrato come la presenza di
flessibilizzazione degli orari all’interno delle aziende possa
derivare da due esigenze di diversa natura: esigenze
aziendali legate alla produzione o alla presenza dei clienti
(cui i lavoratori devono adeguarsi), oppure esigenze dei
dipendenti stessi.
La flessibilizzazione dell’orario di lavoro avviene
all’interno delle piccole imprese secondo due modalità:
l’inserimento all’interno dei contratti di lavoro di norme
presenti nei contratti nazionali o tipici delle grandi
aziende (part time, permessi non retribuiti, flexi time,
ecc..) oppure in maniera del tutto informale, tramite
accordi con il datore di lavoro (è questa però una
soluzione più rischiosa per il dipendente, poiché se viene
a mancare il clima di relazione positivo entro cui nascono
questi accordi, gli accordi stessi rischiano di essere
revocati). Esistono, però, differenze nelle modalità di
organizzazione aziendale a seconda del settore cui si
rivolge l’impresa: nell’ambito della produzione si ritrovano
soluzioni tradizionali, come part time o flexi time, mentre
si ritrovano soluzioni più “innovative” nell’ambito dei
servizi e del commercio.
Un caso particolare è costituito dalle imprese che nascono
e si organizzano fin da subito sulla base delle esigenze
dell’imprenditore di conciliare vita lavorativa e privata: si
tratta principalmente di imprese gestite da donne che
hanno preferito organizzare il lavoro in modo da avere
tempo per sé (e in particolare per famiglia, studio,
190
attività non lucrative) anche a scapito di un maggior
guadagno.
LA
CONCILIAZIONE NELLE
DELL’EMILIA ROMAGNA
PICCOLE
E
MEDIE
IMPRESE
Nel 2000 è stata realizzata in Emilia Romagna
un’indagine dal titolo “Flessibilità e Conciliazione”, che
aveva come scopo anche la verifica delle possibilità di
implementazione della Banca delle ore nelle imprese.
Tale progetto prevedeva diverse fasi successive, tra cui
anche la realizzazione di interviste in profondità con
alcuni testimoni privilegiati all’interno del sindacato, della
direzione aziendale pubblica, delle associazioni datoriali e
delle imprese cooperative, volte a comprendere quanto e
secondo quali modalità i temi della flessibilità e della
conciliazione fossero entrati a far parte della mentalità
degli attori coinvolti. L’esito di queste interviste è stata
un’inequivocabile dimostrazione di come questi temi siano
vissuti diversamente da chi si fa portavoce delle esigenze
dei datori di lavoro da un lato, e dei lavoratori dall’altro:
mentre per i rappresentanti delle associazioni datoriali
(con l’eccezione di alcuni settori della pubblica
amministrazione) ciò che è interessante riguardo ai temi
flessibilità/conciliazione è il vantaggio che è possibile
trarre in termini di produttività e competitività aziendale,
ed hanno ben poca importanza le esigenze dei lavoratori,
da parte del sindacato si registra uno spiccato interesse
verso la tutela dei lavoratori, specialmente in riferimento
alla possibilità di migliorare i loro standard di vita.
Un altro dato interessante emerso nel corso di questa
ricerca è la possibilità di individuare tre modelli di
organizzazione del lavoro (inteso nei termini della
flessibilità), riconducibili a grandi linee a tre settori:
1.
modello
“industriale”
(abbigliamento/
confezioni/ calzature), caratterizzato da una certa
rigidità: gli orari sono strutturati secondo il
modello del lavoro giornaliero. Sono previsti
margini di flessibilità, anche se si riferiscono
191
principalmente agli impiegati, mentre gli operai
sono legati a modelli organizzativi più rigidi.
2.
modello “commercio” (commercio/ turismo/
ristorazione/ grande distribuzione/ assicurazioni),
caratterizzato
da
un’estrema
flessibilità,
soprattutto nelle forme del part time e, con minore
frequenza, della flessibilità in entrata e uscita. Il
part time è comunque organizzato in maniera
piuttosto rigida, ad esempio per quanto riguarda la
distribuzione giornaliera delle ore.
3.
modello “pubblico” (Comune di Bologna e
USL),
caratterizzato
dalla
transizione
da
un’organizzazione
rigida
verso
modelli
di
flessibilità: il part time e il flexi time si stanno
diffondendo e si comincia ad assumere a termine
anche il personale dirigente.
Nonostante l’elevata partecipazione femminile, le imprese
risultavano tutte caratterizzate da segregazione verticale
di genere: la classe dirigente, infatti, vedeva al suo
interno un rapporto di presenza dei sessi tutto a favore
dell’universo maschile.
IL TELELAVORO NELLE COOPERATIVE SOCIALI
Tra il 1998 e il 1999 ha preso vita un progetto per
l’implementazione del telelavoro nelle cooperative sociali
aderenti al Consorzio Solidarietà Sociale di Forlì-Cesena,
realizzato con i fondi del Ministero del Lavoro e in
collaborazione con la CISL (Bassi et al. – a cura di,
2000).
I motivi per cui questo progetto di ricerca/intervento
veniva portato avanti erano due, uno di ordine più
generale, legato alla mission delle cooperative sociali, per
cui essendo lo scopo ultimo di queste organizzazioni il
“perseguire l’interesse generale della comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini"
(art.1 L.381/91) non è possibile sostenere di aver
raggiunto questo scopo se non si garantisce un
miglioramento della qualità della vita, sia a chi usufruisce
del servizio che a chi lo offre (gli operatori delle
192
cooperative). Il secondo invece era legato alle peculiarità
della forza lavoro delle cooperative sociali, che è
prevalentemente composta di donne.
Le cooperative implicate erano 13, di piccole o medie
dimensioni: la più grande comprendeva 92 lavoratori ma
vi erano anche cooperative composte da poche unità.
Due terzi dei lavoratori di queste cooperative erano
donne, di cui il 60% con figli a carico.
Il progetto di ricerca e azione prevedeva due fasi: la
prima in cui si dovevano raccogliere informazioni sulle
esigenze di conciliazione delle socie/dipendenti delle
cooperative (tramite un questionario e tre focus groups),
e una seconda, nell’ambito della quale si sarebbe
provveduto alla sperimentazione del telelavoro su cinque
lavoratrici, che avevano esigenze di conciliare vita
lavorativa e familiare.
In questa sezione non si intende dedicare spazio ai dati
raccolti nella prima fase della ricerca (che sono già stati
accennati anche nel capitolo precedente), si vuole invece
fornire un breve quadro degli esiti della sperimentazione
del telelavoro, che è durata sei mesi sotto il costante
monitoraggio e la valutazione dei responsabili del
progetto (Comitato Tecnico Organizzativo, responsabili
delle risorse umane delle cooperative).
Pilastri fondamentali per la sperimentazione del telelavoro
(Sbordone, 2000, p. 176).
1. volontarietà di chi partecipa alla sperimentazione;
2. reversibilità dell’organizzazione del lavoro in
qualsiasi momento della sperimentazione;
3. parità di condizioni nei diritti e nei doveri;
4. pari opportunità rispetto alla possibilità di carriera
e formazione;
5. definizione delle condizioni di prestazione del
telelavoro (orario parziale, intero, ecc…);
6. mantenimento
dell’impegno
professionale
in
termini quantitativi e qualitativi.
193
La scelta delle lavoratrici è stata effettuata sulla base
della considerazione di alcuni elementi:
volontarietà;
carichi di cura familiari;
buona alfabetizzazione informatica e
capacità di utilizzo delle apparecchiature;
distanza dell’abitazione dalla sede di
lavoro;
disponibilità in casa di una sede
adeguata per l’impianto della postazione di
telelavoro;
professionalità
medio/alta
e
competenze
in
lavori
complessi
(progettazione,
coordinamento,
amministrazione) 1 6 ;
autovalutazione del lavoratore delle
proprie capacità di gestione autonoma.
Inoltre, alcune condizioni sono state tenute a garanzia sia
della cooperativa che delle lavoratrici (anche in
riferimento ai pilastri fondamentali per la sperimentazione
del telelavoro, riportati nella tabella):
reversibilità;
idoneità del domicilio;
garanzia delle condizioni di sicurezza
in linea con le normative vigenti (L.
626/94), con particolare riguardo agli
impianti elettrici (L. 46/90);
assicurazione per gli infortuni;
assenza di controlli rigidi sui tempi di
esecuzione del lavoro e sulla prestazione;
alternanza del telelavoro con periodi
di presenza in sede;
garanzie di comunicazione con al
sede (e-mail e fax);
riunioni e rientri in sede;
16
Nella fase precedente di raccolta dei dati era emerso come le
peculiarità del lavoro delle cooperative sociali (che prevede un continuo
e diretto contatto con l’utenza) non rendessero possibile l’applicazione
del telelavoro a tutti i ruoli presenti nelle cooperative.
194
verifiche periodiche.
La gestione dell’alternanza telelavoro a domicilio/lavoro in
sede è stata stabilita da ogni lavoratrice con la
cooperativa; in media ogni lavoratrice utilizzava la
postazione domestica due giorni alla settimana su cinque
(con margini di flessibilità).
I risultati di questa sperimentazione hanno dimostrato
che le attese delle volontarie, in merito alla possibilità di
conciliare tempi di lavoro e di vita, di recuperare il tempo
dovuto ai trasferimenti, e di migliorare la propria
organizzazione del lavoro, venivano effettivamente
soddisfatte dalla possibilità di telelavorare. Inoltre, le
volontarie hanno dichiarato di aver svolto il lavoro da
casa meglio di quanto avrebbero potuto fare in ufficio,
grazie al fatto di potersi organizzare meglio la giornata e,
conseguentemente, di poter concentrarsi maggiormente
sul compito.
Le difficoltà maggiori da parte delle cooperative nel loro
complesso si sono presentate soprattutto all’inizio
dell’esperienza, ed erano collegate alla necessità di
adattare lavoratori in sede ai nuovi tempi di
organizzazione delle colleghe che telelavoravano; queste
difficoltà si sono però risolte abbastanza velocemente,
grazie
anche
alla
disponibilità,
da
parte
delle
telelavoratrici, del telefono cellulare. In ogni caso questa
difficoltà rientra nella cultura della necessità di presenza
fisica del lavoratore nella sede dell’impresa, di cui si è già
parlato in precedenza e che, come si è detto, dovrebbe
essere rivisitata.
In ogni caso, alla fine del periodo di sperimentazione, è
stato elaborato un bilancio dell’esperienza su tre punti:
criticità, motivi per proseguire l’iniziativa, proposte per il
futuro. Di seguito si riportano i punti individuati in questo
bilancio
che,
anche
se
strettamente
collegati
all’esperienza particolare, possono essere comunque utili
come spunti di riflessione per l’organizzazione di altre
sperimentazioni di questo tipo.
Sono stati segnalati come punti critici:
195
a.
la difficoltà di utilizzare una formula di
lavoro a distanza relativamente alle esigenze di
contatto continuo con l’utenza, tipiche delle
cooperative sociali;
b.
l’impossibilità di astenersi dalla presenza in
ufficio per alcuni ruoli professionali, anche dei
cosiddetti “polivalenti” che rivestono un ruolo
centrale per l’organizzazione e il funzionamento
della cooperativa;
c.
mancanza
(relativamente
a
questa
esperienza) di momenti adeguati di socializzazione
delle
esperienze
delle
colleghe,
utili
alla
comprensione della loro organizzazione da parte
dei lavoratori in sede;
d.
necessità di organizzare la presenza delle
telelavoratrici in sede in modo da far fronte alle
urgenze che si pongono quotidianamente alla
cooperativa;
e.
necessità di disporre di mezzi informatici
migliori;
Sono stati valutati come motivi per proseguire la
sperimentazione:
a.
l’apprezzamento,
da
parte
delle
telelavoratrici, per il guadagno di energie da
dedicare al lavoro;
b.
l’apprezzamento,
da
parte
delle
telelavoratrici, per il guadagno di energie da
dedicare a sé e alla propria famiglia;
c.
l’investimento sulle capacità dei singoli di
gestire autonomamente il proprio lavoro e le
responsabilità che comporta;
d.
introduzione della cultura del lavoro per
obiettivi
(e
conseguente
rivalutazione
del
presenzialismo);
e.
investimento sui rapporti di fiducia tra la
cooperativa ed i lavoratori, e responsabilizzazione
degli addetti all’erogazione del servizio.
Sono state indicate come proposte per il futuro:
196
a.
maggior investimento sulla formazione e
sull’organizzazione e la comunicazione interne;
b.
maggiore
investimento
sulla
responsabilizzazione del personale;
c.
miglioramento della rete informatica;
d.
allargamento dell’esperienza anche ad altri
lavoratori delle cooperative;
e.
ipotesi di riservare il telelavoro ad alcune
attività
specifiche
(elaborazioni
statistiche,
ricerche, redazione di report, contabilità), in modo
da render possibile l’alternarsi dell’uso del
telelavoro fra i lavoratori;
f.
pianificazione delle attività in merito alle
urgenze, con conseguente necessità di rotazione
del telelavoro fra i dipendenti e nello svolgimento
di determinate mansioni;
g.
progettazione in gruppo del coordinamento
delle attività.
197
Una conclusione: il panorama della conciliazione in
Emilia Romagna
In conclusione, ciò che si può trarre dagli esiti delle
ricerche esposte è come il panorama delle misure per la
conciliazione già presente nelle piccole aziende e
cooperative dell’Emilia Romagna sia un panorama
multiforme, caratterizzato prevalentemente da quattro
situazioni tipiche:
a.
situazioni in cui le misure per la
conciliazione vengono attuate in maniera
informale da imprenditori particolarmente attenti
alle esigenze delle dipendenti (o alle proprie);
b.
situazioni in cui le misure per la
conciliazione vengono attuate (in maniera
formale o informale) dagli imprenditori per
rispondere a precise richieste portate avanti
dalle dipendenti;
c.
situazioni in cui vengono attuate (in
maniera informale o formale) misure di
flessibilizzazione dei tempi e degli spazi del
lavoro, che partono però come misure utili
primariamente ai ritmi produttivi dell’impresa o
ai tempi di afflusso dell’utenza, e che possono
diventare utili alla conciliazione dei tempi delle
dipendenti pur non essendo nate a questo
scopo;
d.
situazioni in cui le misure per la
conciliazione vengono avviate nell’ambito di
sperimentazioni sovvenzionate da fondi pubblici.
In generale, comunque, l’atteggiamento della piccola
impresa
verso
forme
contrattuali
favorevoli
alla
conciliazione pare essere ancora un atteggiamento di
diffidenza: evidentemente, manca ancora una cultura
dello stretto legame tra il benessere del lavoratore e la
sua produttività.
È inoltre evidente come non esistano strategie in assoluto
utili alla conciliazione, ma come sia necessario calibrare
ogni intervento sulla base di:
198
1.
2.
3.
le esigenze delle lavoratrici;
le caratteristiche dell’impresa;
l’offerta territoriale.
199
UN MODELLO PER IL CONTESTO AZIENDALE
Il peso del contesto sulla possibilità di adozione
degli strumenti di conciliazione
Come esplicitato nei precedenti capitoli, ogni azione – di
iniziativa pubblica o privata – a favore della conciliazione
tra lavoro e famiglia, o più in generale a favore
dell’armonizzazione dei tempi di vita legati ai diversi ruoli
ricoperti dalle donne, può avere una differente efficacia a
seconda del contesto nel quale viene inserita.
Conciliare lavoro e famiglia non significa semplicemente
“liberare tempo”, ma piuttosto gestire ruoli differenti nel
medesimo arco temporale. La gestione di un ruolo implica
la gestione di un complesso sistema di aspettative, e –
conseguentemente – trovare un equilibrio tra diversi ruoli
comporta la ridefinizione della rete di relazioni
interpersonali e organizzative (di scambio e di potere) nel
quale il soggetto è inserito. Diventa quindi evidente che
adottare uno strumento di conciliazione produce una
perturbazione nel sistema di relazioni nel quale la donna
è inserita, e le conseguenze di tale perturbazione sono
positive solo se il sistema trova un altro punto di
equilibrio più favorevole ai bisogni e alle motivazioni della
persona. In altre parole, come viene delineato nella
tabella che chiude il precedente capitolo, a livello di
singola organizzazione e di singola lavoratrice, l’utilizzo di
un qualsiasi strumento a favore della conciliazione
comporta degli “effetti collaterali”, sotto forma di costi
economici, organizzativi, sociali.
La valutazione del rapporto costi-benefici legato
all’impiego di uno strumento di conciliazione ben
conosciuto è - a livello individuale – piuttosto naturale:
ciascuna lavoratrice ad esempio effettua una valutazione
di questo tipo al momento di optare o meno per il part
time, mettendo sulla bilancia i suoi effetti positivi (più
tempo a disposizione) con quelli negativi (diminuzione del
reddito disponibile).
200
La valutazione diventa assai meno ovvia e agevole
quando si riferisce a strumenti meno noti o di più
complessa applicazione, o quando ad essere ponderati
sono gli effetti sul sistema delle relazioni, e in particolare
quelli sul conteso lavorativo. Utilizzare uno strumento
“sbagliato” può avere effetti profondamente negativi – ad
esempio – sul contesto di relazioni professionali e finire
per compromettere lo sviluppo di carriera o il clima
lavorativo.
Questo aspetto è particolarmente determinante nel
contesto delle PMI, dove le ridotte dimensioni e l’elevato
interscambio relazionale tra lavoratrice, colleghi, dirigenti
e datori di lavoro rende più difficile comportamenti
“egoistici”, ovvero basati sulla valutazione della propria
convenienza e dei propri interessi, indipendentemente da
quelli dell’azienda.
Anche nel momento di decidere
l’opportunità di fruire di un diritto sancito dalla legge la
lavoratrice sarà più portata a considerare l’impatto che la
sua scelta avrà sul sistema di relazioni interno. Questo
per una serie di motivi:
Ä il sistema di tutele sindacali è generalmente più
debole nelle piccole imprese;
Ä nel caso di deterioramenti del clima lavorativo (ad
esempio un peggioramento delle relazioni con il
datore di lavoro) non si ha la possibilità di
trasferimenti interni;
Ä l’effetto negativo sull’azienda prodotto da una
riduzione del contributo lavorativo della lavoratrice è
molto più immediato ed evidente, e di conseguenza
essa ne viene molto più responsabilizzata.
Diventa quindi indispensabile valutare anche la “capacità
di
assorbimento”
dell’uso
di
uno
strumento
di
conciliazione all’interno di uno specifico contesto
lavorativo, per avere una effettiva stima della sua
potenziale efficacia in quel caso.
201
Un
modello
per
valutare
lo
“stato
conciliazione” nel contesto della PMI
della
Lo stato della conciliazione, inteso come insieme di
condizioni di contesto che possono favorire o ostacolare
l’utilizzo di specifici strumenti di conciliazione, può essere
a nostro avviso analizzato su 3 diverse dimensioni:
1.
la visione delle lavoratrici, che può essere
studiata utilizzando un modello di riferimento, il
“Modello
climatico
delle
lavoratrici”,
che
rappresenta il risultato dell’interazione tra il grado
di conoscenza delle lavoratrici e il loro interesse
soggettivo.
2.
il contesto organizzativo nel quale esse
lavorano, che è stato letto in termini di
“Permeabilità alla conciliazione”, in considerazione
dell’insieme dei vincoli e delle opportunità
strutturali e dell’atteggiamento dei decisori verso i
temi della conciliazione.
3.
l’analisi del contributo del Sindacato
all’interno dell’organizzazione, che si esplica nella
divulgazione delle informazioni relative alle
possibilità di conciliazione e nella proposizione di
azioni positive.
Un’analisi dello stato della conciliazione di uno specifico
contesto organizzativo può di conseguenza essere
effettuata con la finalità di verificare - a livello ipotetico l’impatto dei diversi strumenti di conciliazione e la loro
compatibilità/incompatibilità con le realtà in analisi, al
fine di sviluppare progetti per possibili azioni positive la
cui
realizzazione
sia
possibile
ed
effettivamente
vantaggiosa per tutte le parti in gioco. Questo perché solo
con il raggiungimento di un equilibrio mutuamente
vantaggioso per tutti gli attori considerati si può avere la
certezza di avere effettivamente migliorato, in maniera
stabile ed efficace nel lungo periodo, il livello della
conciliazione tra vita privata e professionale.
202
MODELLO CLIMATICO DELLE LAVORATRICI
Il “modello climatico” intende analizzare la conoscenza e
le percezioni delle lavoratrici circa i temi della
conciliazione e si può delineare secondo due dimensioni:
ü
il grado di informazione: presenza/assenza
di una cultura specifica in merito alla conciliazione
e agli strumenti con cui essa viene realizzata;
ü
il grado di interesse: presenza/assenza di
un’attenzione specifica verso il tema della
conciliazione
(tale
interesse
non
deriva
necessariamente da esigenze personali e familiari,
né dall’intervento sindacale).
La considerazione delle caratteristiche delle dipendenti è
uno
dei
fattori
più
importanti,
nell’ottica
della
progettazione di interventi a favore della conciliazione,
poiché sarà l’impatto che questi avranno sul lavoratore a
determinarne la reale efficacia. Inoltre, dall’analisi della
letteratura è evidente come, in genere, sia la presenza di
lavoratrici con richieste specifiche a determinare uno
stimolo all’attuazione di buone prassi di conciliazione,
mentre nelle aziende in cui manchi una domanda da
parte delle dipendenti, anche se in presenza di una
struttura tale da poter accogliere l’impatto di una
strategia di conciliazione, difficilmente si realizzano
interventi di questo tipo (con l’unica eccezione di
organizzazioni in cui la classe dirigente è particolarmente
pronta e/o sensibile alle esigenze delle lavoratrici).
A livello teorico, dunque, è possibile delineare alcuni
profili di lavoratrici, ricavabili dalle diverse possibilità di
combinazione dei livelli delle variabili informazione e
interesse:
203
Alto
Basso
Grado di interesse
Grado di informazione
Basso
Alto
Ignare
Consapevoli
Estranee
Trattenute
Trattenute: caratterizzate da un alto livello di
informazione, ma un basso livello di interesse. Pur
conoscendo la tematica della conciliazione non sono
interessate a fruire dei vantaggi che questa potrebbe
offrire. Si tratta, ad esempio, di dipendenti che non
hanno necessità di tempo per la famiglia, o che pur
avendone non richiedono l’attivazione di strumenti di
conciliazione per il timore che questo possa arrecare loro
uno svantaggio nello sviluppo professionale. Rientrano in
questo gruppo le dipendenti “rassegnate”, che pur
avendo un certo grado di informazioni non ritengono
percorribile alcun intervento di conciliazione nella loro
realtà organizzativa poiché non ricettiva.
Consapevoli: caratterizzate da un alto livello di
informazione ed un alto livello di interesse. Si tratta di
dipendenti che conoscono la tematica della conciliazione e
sono interessate alla messa in pratica di misure per
favorirla.
Appartengono
a
questa
categoria
prevalentemente lavoratrici con carichi di cura impellenti,
altri impegni extralavorativi, oppure dipendenti attive nel
sindacato.
Ignare: caratterizzate da un basso livello di informazione
ed un elevato livello di interesse. Si tratta di dipendenti
204
che pur avendo esigenze specifiche di conciliazione non
sono però informate sulle possibilità di realizzarla.
Estranee: caratterizzate da un basso livello di
informazione ed un basso livello di interesse. Si tratta di
dipendenti che non sono informate né interessate ai temi
della conciliazione. Nel caso di questa categoria è
interessante verificare se il disinteresse derivi dalla
disinformazione o se si tratti di un disinteresse
paragonabile a quello delle dipendenti della categoria
“Ignare”, poiché nel primo caso un’opportuna campagna
informativa potrebbe modificare la situazione.
Queste quattro tipologie, efficaci dal punto di vista teorico
per una visione complessiva delle sfaccettature più
evidenti del problema, non devono essere però intese
come
categorie
universali,
poiché
ogni
realtà
organizzativa è una realtà a sé stante.
ANALISI DEL CONTESTO ORGANIZZATIVO
La permeabilità del contesto organizzativo, ovvero la
facilità di applicare ad esso strategie e strumenti di
conciliazione viene valutata considerando due dimensioni:
ü la capacità di assorbimento strutturale
ü la consapevolezza dei decisori circa gli strumenti
della conciliazione.
La capacità di assorbimento strutturale si sostanzia nella
presenza/assenza di vincoli propri dell’azienda, derivanti,
ad esempio, dalla tipologia di struttura organizzativa,
dalla presenza di concorrenti sul mercato, dalla
programmazione delle attività.
Il grado di consapevolezza dei decisori, ovvero delle
figure chiave, dirigenti o datori di lavoro, dalle cui prese
di posizione dipende il ruolo e lo sviluppo di carriera delle
dipendenti si concretizza nella loro conoscenza degli
strumenti
di
conciliazione,
nell’interesse
e
nella
disposizione a realizzare misure per favorirla o, viceversa,
in un atteggiamento pregiudiziale di disinteresse e ostilità
verso queste tematiche.
205
Alta
Bassa
Consapevolezza
decisore
del
Capacità di assorbimento strutturale
Bassa
Alta
Innovazione
obbligata
Tutela
Preclusione
strutturale
Credenza
Sulla base delle diverse possibilità di combinazione dei
livelli delle due variabili, è possibile delineare quattro
profili idealtipici, definibili come:
• Credenza: in cui si presenta un’elevata capacità di
assorbimento da parte della struttura, ma una scarsa
consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In
queste aziende è l’atteggiamento dell’imprenditore a
determinare l’assenza di misure per la conciliazione.
• Tutela: in cui si presenta un’elevata capacità di
assorbimento da parte della struttura, accompagnata
da una forte consapevolezza da parte dei datori di
lavoro. È in queste aziende che, generalmente, si
ritrovano con più facilità misure di conciliazione per i
dipendenti.
• Preclusione strutturale: in cui si presenta una
bassa capacità di assorbimento da parte della
struttura,
accompagnata
da
una
scarsa
consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In
queste aziende non vengono realizzate misure di
conciliazione perché l’imprenditore (anche sulla base
dell’assenza di informazioni adeguate) ritiene che le
misure di conciliazione siano impraticabili all’interno
della sua azienda.
206
• Innovazione obbligata: in cui si presenta una
bassa capacità di assorbimento da parte della
struttura,
accompagnata
da
una
elevata
consapevolezza da parte dei datori di lavoro. In
queste aziende vengono realizzate misure di
conciliazione sulla base di un interesse specifico del
datore di lavoro (in molti casi incentivato dalla
presenza di dipendenti che richiedono questo tipo di
intervento, o dall’esigenza dell’imprenditore stesso di
avere più tempo per sé) che riesce a superare o a
trovare un compromesso con i vincoli strutturali
dell’azienda.
La tipologia di impresa/organizzazione è quindi di
fondamentale importanza perché, laddove sia presente
una domanda specifica da parte dei dipendenti, sono le
capacità di assorbimento da parte dell’impresa e il grado
di consapevolezza dei decisori organizzativi (imprenditori
e/o dirigenti) a determinare la possibilità di realizzazione
degli interventi per la conciliazione. Quando manca una
richiesta diretta dei dipendenti, invece, si possono
incontrare due situazioni tipiche: o sono proprio le
caratteristiche strutturali dell’impresa (ad esempio, i ritmi
di produzione) a rendere necessaria una flessibilità negli
orari di lavoro, che finisce col costituire (anche senza
essere nata con questo scopo) una misura di
conciliazione; oppure è l’imprenditore stesso a proporre
interventi per la conciliazione sulla base di una
motivazione personale, senza che vi sia stata una
richiesta diretta da parte dei dipendenti.
IL RUOLO DEL SINDACATO
La presenza e il grado di incidenza del sindacato
all’interno delle singole realtà oggetto d’indagine è
un’ulteriore variabile in grado di influenzare direttamente
la realizzazione di misure di conciliazione, agendo sia
sulla situazione climatica delle dipendenti, che sulla
consapevolezza dei decisori.
Per questo motivo è importante possedere una misura del
grado di informazione e di interesse anche di questa terza
207
tipologia di attori. In questo caso la dimensione
dell’informazione riveste un ruolo di primaria importanza,
poiché il Sindacato, per il suo ruolo e per la missione che
si attribuisce, dovrebbe essere uno dei più importanti
canali di diffusione delle informazioni relative al tema
della conciliazione.
L’analisi delle variabili precedentemente elencate, così
come si esplicano a livello di ogni singola organizzazione,
rende possibile l’individuazione dei modelli di buone
prassi adattabili e adeguati alle diverse realtà.
208
Bibliografia
Libri e articoli
Accornero Aris, Altieri Giovanna e Oteri Cristina (2001)
Lavoro flessibile. Cosa pensano davvero imprenditori e
manager. Roma: Ediesse.
AECA – a cura di (2002) Progetto Geografia dei Tempi.
Analisi dei modelli organizzativi che caratterizzano i
Servizi della Sanità pubblica. Report Indagine di Sfondo.
Fase 3 – Monitoraggio servizi per le donne, esperienze
realizzate. Su: http:// www.aeca.it
Arcidonna – a cura di (2001)
Ricette per il
Mainstreaming. Arcidonna
Arrowsmith J. E Sisson K. (2002) Working time
developments
and
the
quality
of
work.
Su:
http://www.eiro.eurofound.ie
Ascoli Ugo, Barbagli Marzio, Cossentino Francesco, Ecchia
Giulio – a cura di (2001) Le politiche sociali in EmiliaRomagna. Primo Rapporto – febbraio 2001. Regione
Emilia Romagna.
Avallone Francesco (1990) Donna e lavoro. Ricerca
psicosociale sulla condizione lavorativa della donna nelle
organizzazioni. Milano: Franco Angeli.
Barbino Maria C., Maggio Maria A., Simeone Flavia (2000)
La letteratura italiana sul tema “Donne e management”.
In: Di Pietro Patrizia, Piccardo Claudia, Simeone Flavia –
a cura di (2000) Oltre la parità. Lo sviluppo delle donne
nelle imprese: approcci ed esperienze. Milano: Guerini e
Associati.
Barbagli Marzio, Pisati Maurizio e Santoro Marco (2001)
Alcuni mutamenti della società dell’Emilia Romagna. In:
Ascoli Ugo, Barbagli Marzio, Cossentino Francesco, Ecchia
Giulio – a cura di (2001) Le politiche staili in EmiliaRomagna. Primo Rapporto – febbraio 2001. Regione
Emilia Romagna.
Bassi Andrea (2000) La ricerca: Indagine sulle lavoratrici
con carichi di cura delle cooperative sociali aderenti al
Consorzio Solidarietà Sociale di Forlì. In: Bassi Andrea,
Masotti Gilberta, Sbordone Francesca – a cura di, Tempi
209
di vita e tempi di lavoro. Donne e impresa sociale nel
nuovo welfare. Milano: FrancoAngeli.
Bassi Andrea, Masotti Gilberta, Sbordone Francesca – a
cura di (2000) Tempi di vita e tempi di lavoro. Donne e
impresa sociale nel nuovo welfare. Milano: FrancoAngeli.
Burr Vivien (1998) Psicologia delle differenze di genere.
Bologna: il Mulino.
Chiesi Antonio M. (2000) I tempi delle donne e il sistema
degli orari. In: Degiarde Elvina e Gregorio Daniela – a
cura di (2000) Donne in Lombardia verso il 2000.
Quaderni Regionali di Ricerca N.11, IreR-Regione
Lombardia, Milano.
Coordinamento Femminile CISL Emilia-Romagna – a cura
di (1996) In corsa col tempo. Tempi di vita e tempi di
lavoro. Una ricerca in Emilia Romagna rivolta a lavoratori
e lavoratrici dipendenti. CDS Editore.
Consiglio
Nazionale
dell’Economia
e
del
Lavoro.
Commissione dell’Informazione – a cura di (2002)
Rapporto. Il lavoro delle donne tra tutela legislativa e
previsioni contrattuali. Su: www.cnel.it
Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna – a cura di
(1997) Le donne nell’economia globale. Opportunità,
innovazione, democrazia economica. Atti del Forum
Internazionale, 2 –3 ottobre 1997. Consiglio Regionale
dell’Emilia-Romagna.
De Vito Piscicelli Paola (2000) La Banca del Tempo: una
organizzazione o più organizzazioni? Psicologia e Lavoro,
2, 11, 25 – 29.
Degiarde Elvina e Gregorio Daniela – a cura di (2000)
Donne in Lombardia verso il 2000. Quaderni Regionali di
Ricerca N.11, IreR-Regione Lombardia, Milano.
Demetrio Duccio, Donini Elisabetta, Mapelli Barbara,
Natoli Salvatore, Piazza Marina e Segre Anna (1999) Il
libro della cura di sé, degli altri, del mondo. Torino:
Rosenberg & Sellier.
Di Pietro Patrizia, Piccardo Claudia, Simeone Flavia – a
cura di (2000) Oltre la parità. Lo sviluppo delle donne
nelle imprese: approcci ed esperienze. Milano: Guerini e
Associati.
210
Fraccaroli Franco e Sarchielli Guido (2002) È tempo di
lavoro? Per una psicologia dei tempi lavorativi. Bologna:
CLUEB.
Giovani Marika (2000) Dall’ora et labora al malessere nel
lavoro: una direzione che può essere cambiata.
Disponibile sul sito: ww.arcaviola.it
Giusto Fernanda (1996) Le banche del tempo. In:
Coordinamento Femminile CISL Emilia-Romagna – a cura
di, In corsa col tempo. Tempi di vita e tempi di lavoro.
Una ricerca in Emilia Romagna rivolta a lavoratori e
lavoratrici dipendenti. CDS Editore.
Gottardi Donata (2000) Les politiques de la conciliation
dans la législation italienne. In: Merelli Maria, Nava Paola,
Ruggerini Grazia – a cura di. Reconciliation de la vie
familiale et du travail dans les micros et petites
entreprises. Etude.
Gruppo Cerfe – Laboratorio – ASDO (2000 a)
RADI.
Ricerca-azione su Donna e Impresa. Ricerca-azione per la
formazione continua alle pari opportunità nelle piccole e
medie imprese di Campania, Puglia e Sardegna.
Disponibile sul sito: www.gruppo-cerfe.org
Gruppo Cerfe – Laboratorio – ASDO (2000 b) RAGEP.
Ricerca-Azione su Genere e Professione. Ricerca-azione
sull'inserimento delle donne in aree professionali a
dominanza maschile. Disponibile sul sito: www.gruppocerfe.org
Guest David E. (2001) Prospettive nello studio
dell’equilibrio vita-lavoro. Psicologia e Lavoro, 3, 122, 5 –
18.
Istituto Per il Lavoro – a cura di (2000) Salute e sicurezza
nel lavoro in Emilia - Romagna. IPL. Disponibile sul sito:
http://www.comune.bologna.it/frame_economia.htm
Lanucara Antonella (2000) Conciliazione della vita
professionale e della vita familiare: il coinvolgimento dei
padri nella cura dei figli. Disponibile sul sito:
ww.arcaviola.it
Leone Betty (2000) Le rapport entre emploi féminin dans
les petites entreprises et soutien à la conciliation entre
vie privée et vie professionnelle. In: Merelli Maria, Nava
211
Paola, Ruggerini Grazia – a cura di. Reconciliation de la
vie familiale et du travail dans les micros et petites
entreprises. Etude.
Majer Vincenzo e Garavaglia Alberto (1994) Stadi di
carriera e sviluppo professionale: aspetti teorici e verifica
empirica condotta tramite il Career Development
Inventory. Risorsa Uomo, 2, 2, 181 – 197.
Manfredi Simonetta (2002) Buone Prassi: una ricerca
comparata Bologna /Oxfordshire. In: Atti del Convegno:
Armonizzazione famiglia e lavoro. Pratiche di flessibilità
positiva nelle imprese.
Masotti Monica e Ronchi Maria T. (1996) Tempi di vita e
tempi di lavoro: un’indagine condotta in Emilia Romagna.
In: Coordinamento Femminile CISL Emilia-Romagna – a
cura di, In corsa col tempo. Tempi di vita e tempi di
lavoro. Una ricerca in Emilia Romagna rivolta a lavoratori
e lavoratrici dipendenti. CDS Editore.
Merelli Maria, Nava Paola, Ruggerini Grazia – a cura di
(2000) Reconciliation de la vie familiale et du travail dans
les micros et petites entreprises. Etude. Les modeles et
les strategies family friendly en Italie, en Espagne, en
France, en Allemagne. [Modelli e strategie family friendly
nelle imprese sotto i cinquanta dipendenti in Italia,
Spagna, Francia, Germania. Estratto.]
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale – a cura di
(2001) Aliseo. Riorganizzazione del lavoro e modelli di
formazione flessibili. Editrice della Sicurezza Sociale.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – a cura di
(2002) Monitoraggio delle politiche occupazionali e del
lavoro n.1/2002. Nota di aggiornamento.
Pedersini Roberto (1997) Due recenti accordi aziendali
affrontano il tema del telelavoro. Pubblicato su:
http://www.eiro.eurofound.ie
Piazza Marina (1997) Conciliazione tra responsabilità
lavorative e familiari: criticità e prospettive. In: Consiglio
Regionale dell’Emilia-Romagna – a cura di, Le donne
nell’economia
globale.
Opportunità,
innovazione,
democrazia economica. Atti del Forum Internazionale, 2 –
3 ottobre 1997. Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna.
212
Piazza Marina (1997) Conciliazione tra responsabilità
lavorative e familiari: criticità e prospettive. In: Consiglio
Regionale dell’Emilia-Romagna – a cura di, Le donne
nell’economia
globale.
Opportunità,
innovazione,
democrazia economica. Atti del Forum Internazionale, 2 –
3 ottobre 1997. Genova: Stabilimento Tipografico
Fabbiani.
Piazza Marina (1998) Il tempo delle famiglie. In:
Osservatorio Permanente sulle Famiglie, Comune di
Reggio Emilia – a cura di. Storie di famiglie
Bisogni e risorse nei racconti di vita familiare a Reggio
Emilia. Collana Strumenti. Comune di Reggio Emilia.
(disponibile
su:
http://iis.comune.re.it/osservatoriofamiglie)
Piazza Marina, Ponzellini Anna M., Provengano Elena e
Tempia Anna (1999) Riprogettare il tempo. Manuale per
al progettazione degli orari di lavoro. Roma: Edizioni
Lavoro.
Piazza Marina (2000 a) I sistemi di conciliazione tra i
tempi del lavoro familiare, i tempi del lavoro
professionale e i tempi dei servizi. Rapporto di ricerca
pubblicato in: Osservatorio sulla condizione femminile.
Nuove forme di lavoro, sistemi di conciliazione dei tempi,
strategie per la carriera. Quaderni Regionali di Ricerca
N.16, IreR-Regione Lombardia, Milano.
Piazza Marina (2000 b) Au-delà des modèles consolidés:
transféribilité de « bonne pratiques » des grandes aux
petites entreprises. In : Merelli Maria, Nava Paola,
Ruggerini Grazia – a cura di, Reconciliation de la vie
familiale et du travail dans les micros et petites
entreprises. Etude.
Piazza
Marina
(2002)
Intervento
al
Convegno
Armonizzazione Famiglia e lavoro. In: Atti del Convegno:
Armonizzazione famiglia e lavoro. Pratiche di flessibilità
positiva nelle imprese.
Piazza Marina (2002 b) Per un nuovo equilibrio tra lavoro
e vita. Una rete tra i progetti. Relazione presentata al
Convegno “Per un nuovo equilibrio tra lavoro e vita. Una
rete tra i progetti”, Roma 6/6/2002. Disponibile sul sito:
213
www.governo.it/cmparita/commissione/attivita/iniziative/
conciliazione/relazionepiazza.asp
Poli Nicoletta (2001) I diversi aspetti della flessibilità. In:
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale – a cura
di, Aliseo. Riorganizzazione del lavoro e modelli di
formazione flessibili. Editrice della Sicurezza Sociale.
Presidenza del Consiglio dei Ministri – a cura di (2000)
Flessibilità e lavoro pubblico. 1° Report. Analisi ed
esperienze. Su: www.funzionepubblica.it/
Regione Emilia-Romagna. Assessorato alla Scuola,
Formazione professionale, Università, Lavoro e Pari
Opportunità – a cura di (2000) Cittadine in Europa.
Buone prassi nelle Amministrazioni Locali. Regione
Emilia-Romagna.
Romagnoli Patrizia (2002) Primo asilo in una università.
Fonte: http://www.vetunibo.it.
Sbordone
Francesca
(2000)
La
sperimentazione :
Cooperazione sociale e telelavoro.
In: Bassi Andrea,
Masotti Gilberta, Sbordone Francesca – a cura di, Tempi
di vita e tempi di lavoro. Donne e impresa sociale nel
nuovo welfare. Milano: FrancoAngeli.
Schneider B. (1973) The perception of organizational
climate: the customer’s view. Journal of Applied
Psychology, 57, 248 – 256.
Sezzi Azio (2000)
Petites entreprises, flexibilitè,
conciliation. In : Merelli Maria, Nava Paola, Ruggerini
Grazia – a cura di (2000) Reconciliation de la vie familiale
et du travail dans les micros et petites entreprises. Etude.
Spina Erika (2001) Lavoro a turni e qualità della vita
lavorativa. Pubblicato su: www.psiconline.it
Zucchetti Eugenio (2002) Il rapporto famiglia-lavoro:
questione aperta e snodo rilevante dell’attuale transizione
sociale. Vita e pensiero, 2, 133 – 147.
WHO (1986) La Carta di Ottawa per la promozione della
salute. Ginevra: WHO.
Siti internet:
http://donnalavoro.ticonuno.it/homepag1.htm
dati Donna al Lavoro)
214
(Banca
http://europa.eu.int/comm/employment_social/equ_opp/
index_en.htm (Sito
sulla Gender Equality dell’Unione
Europea)
http://helios.unive.it/~cpo/ (Comitato Pari Opportunità,
Università Ca’ Foscari, Venezia)
http://iis.comune.re.it/osservatorio-famiglie.htm
(Sito
dell’Osservatorio Permanente sulle Famiglie del Comune
di Reggio Emilia)
http://www.aziendalex.kataweb.it/ (sito dedicato alle
leggi di interesse aziendale)
http://www.cgil.it/cittadinoritrovato/tempomat/BANCHEITALIANE.htm (Anagrafe delle Banche del tempo in Italia)
http://www.comune.bologna.it/Banca_del_tempo/index.h
tml (Sito della Banca del Tempo di Iperbole, Bologna)
http://www.comune.bologna.it/iperbole/capopp/conv_tel
el.htm (Atti del Convegno Nazionale sul Telelavoro)
http://www.comune.fe.it/cpf (Sito dedicato all’attività dei
Centri per le Famiglie del Comune di Ferrara)
http://www.eiro.eurofound.ie/index.html
(Sito
dell’
European Industrial Relations Observatory On-line)
http://www.form-azione.it
http://www.iira2001.org/proceedings/index.htm
(Sito
dell’ IIRA 6th European Industrial Relations Congress)
http://www.ispesl.it (Sito dell’ Istituto Superiore per la
Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro)
http://www.istat.it/index.htm (Sito dell’Istituto Nazionale
di Statistica)
http://www.jobtel.it/
(Sito
di
JobTel,
il
Portale
dell’Orientamento)
http://www.osservatoriodonna.igol.it/
(Sito
dell’Osservatorio per l’imprenditoria femminile)
http://www.progettoaliseo.it (Sito del progetto Aliseo)
http://www.psiconline.it/psiconline.html
(Psicologia
e
Psicologi in Rete)
http://www.racine.ra.it/ravenna/comune/uff_stampa/con
siglio/archivi/marzo02/020312_03.htm (Rete Civica dei
Comuni e della Provincia di Ravenna)
215
http://www.rccr.cremona.it/doc_comu/tempi/index.htm
(Sito del Comune di Cremona. Progetto Tempi e Orari
della Città)
http://www.regione.emiliaromagna.it/banchedeltempo/index.htm (Sezione del sito
della Regione Emilia-Romagna dedicata alle Banche del
Tempo)
http://www.starnet.unioncamere.it/
(lo
sportello
statistico-economico on-line delle Camere di Commercio)
http://www.tempodelledonne.it (Sito dedicato all’esito di
una ricerca realizzata da Modena Formazione s.r.l. con
finanziamenti dal F.S.E. e dalla Regione Emilia Romagna)
http://www.uth.tmc.edu (Sito della Univerity of Texas –
Houston).
216
grafica e illustrazione / Jona Sbarzaglia