Discorso del Santo Padre Francesco all`apertura del convegno
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Discorso del Santo Padre Francesco all`apertura del convegno
Diocesi di Rioma 14-16 giugno 2015 Convegno diocesano 2015 “Noi genitori testimoni della bellezza della vita” Discorso del Santo Padre Francesco all'apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma Religione e famiglia a Roma. Sintesi della ricerca del CENSIS. La responsabilità dei genitori, testimoni della bellezza della vita. Relazione di don Andrea Lonardo 1 DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALL'APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA Piazza San Pietro Domenica, 14 giugno 2015 Buonasera! Le previsioni ieri, a tarda sera, dicevano per oggi, per questo pomeriggio e questa sera: pioggia! Sì è vero, pioggia di famiglie in Piazza San Pietro! Grazie! E’ bello incontrarvi all'inizio del Convegno pastorale della nostra Diocesi di Roma. Ringrazio tanto voi genitori, di aver accettato l'invito a partecipare così numerosi a questo incontro, che è importante per il cammino della nostra comunità ecclesiale. Come sapete, da alcuni anni stiamo riflettendo e ci interroghiamo su come trasmettere la fede alle nuove generazioni della città che, anche a seguito di alcune ben note vicende, ha bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. E questo è un compito molto forte. La nostra città deve rinascere moralmente e spiritualmente, perché sembra che tutto sia lo stesso, che tutto sia relativo; che il Vangelo è sì una bella storia di cose belle, che è bello leggerlo, ma rimane lì, un’idea. Non tocca il cuore! La nostra città ha bisogno di questa rinascita. E questo impegno è tanto importante quando parliamo di educazione dei ragazzi e dei giovani, per la quale i primi responsabili siete voi genitori. I nostri ragazzi, ragazzini, che incominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo. Mi diceva, due settimane fa, una persona, un uomo molto cattolico, bravo, giovane, che i suoi ragazzini andavano in prima e seconda elementare e che la sera, lui e sua moglie tante volte dovevano “ri-catechizzare” i bambini, i ragazzi, per quello che riportavano da alcuni professori della scuola o per quello che dicevano i libri che davano lì. Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. A ottobre celebreremo un Sinodo sulla famiglia, per aiutare le famiglie a riscoprire la bellezza della loro vocazione e a esserle fedeli. Nella famiglia si vivono le parole di Gesù: "Non c'è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (cfr Gv 15,13). Con il vostro rapporto coniugale, esercitando la paternità e la maternità voi donate la vostra vita e siete la prova che vivere il Vangelo è possibile: vivere il Vangelo è possibile e rende felici. E questa è la prova, ma si fa nella famiglia. Questa sera vorrei soffermarmi con voi su alcune semplici parole che esprimono il mistero del vostro essere genitori. Non so se riuscirò a dire tutto quello che voglio dire, ma almeno vorrei parlare di vocazione, comunione, missione. La prima parola è vocazione. San Paolo ha scritto che da Dio deriva ogni paternità (cfr Ef 3,15) e possiamo aggiungere anche ogni maternità. Tutti siamo figli, ma diventare papà e mamma è una chiamata di Dio! E’ una chiamata di Dio, è una vocazione. Dio è l’amore eterno, che si dona incessantemente e ci chiama all'esistenza. È un mistero che, però, la Provvidenza ha voluto affidare in particolare all'uomo e alla donna, chiamati ad amarsi totalmente e senza riserve, cooperando con Dio in questo amore e nel trasmettere la vita ai figli. Il Signore vi ha scelti per amarvi e trasmettere la vita. Queste due cose sono la vocazione dei genitori. Questa è una chiamata bellissima perché ci fa essere, in modo del tutto speciale ad immagine e somiglianza di Dio. Diventare papà e mamma significa davvero realizzarsi pienamente, perché è diventare simili a 2 Dio. Questo non si dice sui giornali, non appare, ma è la verità dell’amore. Diventare papà e mamma ci fa molto più simili a Dio. Come genitori voi siete chiamati a ricordare a tutti i battezzati che ciascuno, anche se in modo diverso, è chiamato a essere papà o mamma. Anche un sacerdote, una suora, un catechista sono chiamati alla paternità e alla maternità spirituale. Infatti un uomo e una donna scelgono di costruire una famiglia perché Dio li chiama dopo aver fatto sperimentare loro la bellezza dell’amore. Non la bellezza della passione, non bellezza di un entusiasmo forse passeggero: la bellezza dell’amore! E questo si deve scoprire tutti i giorni, tutti i giorni. Dio chiama a diventare genitori – uomini e donne – che credono nell’amore, che credono nella sua bellezza. Io vorrei domandarvi, ma non rispondete, per favore: voi credete nella bellezza dell’amore? Voi credete nella grandezza dell’amore? Avete fede in questo? Avete fede? Questa è una fede quotidiana. L’amore è bello anche quando i genitori litigano; è bello, perché alla fine fanno la pace. E’ tanto bello fare la pace dopo una guerra! E’ tanto bello! Una bellezza è quella dell’amore coniugale, che neanche le più grandi difficoltà della vita sono in grado di oscurare. Una volta un bambino mi ha detto: "Che bello, i miei genitori si sono dati un bacio!". E’ bello quando il bambino vede che papà e mamma si baciano. Bella testimonianza. I vostri figli, cari genitori, hanno bisogno di scoprire, guardando la vostra vita, che è bello amarsi. Non vi dimenticate mai che i vostri figli vi guardano sempre. Voi ricordate quel film di una ventina di anni fa che si chiamava “I bambini ci guardano”? I bambini guardano. Guardano tanto, e quando vedono che papà e mamma si amano, i bambini crescono in quel clima di amore, di felicità e anche di sicurezza, perché non hanno paura: sanno che sono sicuri nell’amore del papà e della mamma. Mi permetto di dire una cosa brutta, ma pensiamo a quanto soffrono i bambini quando vedono papà e mamma, tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni sgridarsi, insultarsi, persino picchiarsi… Ma papà e mamma, quando voi cadete in questi peccati, pensate che le prime vittime sono proprio i vostri bambini, la vostra stessa carne? E’ brutto pensare a questo, ma è la realtà… I bambini ci guardano. Non vi guardano solo quando voi insegnate loro qualcosa. Vi guardano quando voi vi parlate l'un l'altro, quando tornate dal lavoro, quando invitate i vostri amici, quando vi riposate. Cercano di cogliere nel vostro sguardo, nelle vostre parole, nei vostri gesti, se siete felici di essere diventati genitori, se siete felici di essere marito e moglie, se credete che esiste la bontà nel mondo. Vi scrutano - non solo vi guardano, vi scrutano - per vedere se è possibile essere buoni e se è vero che con l'amore reciproco si supera ogni difficoltà. Per un figlio non c'è insegnamento e testimonianza più grande che vedere i propri genitori che si amano con tenerezza, si rispettano, sono gentili tra di loro, si perdonano a vicenda; questo riempie di gioia e di felicità vera il cuore dei figli. I figli, prima di abitare una casa fatta di mattoni, abitano un'altra casa, ancora più essenziale: abitano l'amore reciproco dei genitori. Vi domando, ognuno risponda nel suo cuore: i vostri figli abitano nel vostro amore reciproco? I genitori hanno la vocazione di amarsi. Dio ha seminato nel loro cuore la vocazione all’amore, perché Dio è amore. E questa è la vocazione vostra, dei genitori: l’amore. Ma pensate sempre ai bambini, pensate sempre ai bambini! La seconda parola che mi viene, il secondo pensiero su cui riflettere è comunione. Noi sappiamo che Dio è comunione nella diversità delle tre Persone della Santissima Trinità. L'essere genitori si fonda nella diversità di essere, come ricorda la Bibbia, maschio e femmina. Questa è la “prima” e più fondamentale differenza, costitutiva dell'essere umano. E’ una ricchezza. Le differenze sono ricchezze. C’è tanta gente che ha paura delle differenze, ma sono ricchezze. E questa differenza è la “prima” e la fondamentale differenza, costitutiva dell’essere umano. Quando i fidanzati vengono a sposarsi, a me piace dire a lui, dopo aver parlato del Vangelo: “Ma non dimenticarti che la tua vocazione è rendere la tua sposa più donna!”; e a lei dico: “la tua vocazione è rendere tuo marito più uomo!”. E così si amano, ma si amano nelle differenze, più uomo e più donna. E questo è il lavoro artigianale del matrimonio, della famiglia, ogni giorno; far crescere l’altro, pensare all’altro: il marito alla moglie, la moglie al marito. Questa è comunione. Io vi dico che tante volte vengono qui alla Messa a Santa Marta coppie che fanno il 50°, persino il 60° anniversario di matrimonio. E 3 sono felici, sorridono. Alcune volte ho visto – più di una volta – che il marito accarezzava la moglie. Dopo 50 anni! Io faccio la domanda: “Dimmi, chi ha sopportato chi?”. E loro rispondono sempre: “Ma, tutti e due”. L’amore ci porta a questo: avere pazienza. E in questi vecchi matrimoni, che sono come il buon vino, che diventa più buono quando è più vecchio, si vede questo lavoro quotidiano dell’uomo per fare più donna la moglie e della moglie per fare più uomo il marito. Non hanno paura delle differenze! Questa sfida di portare avanti le differenze, questa sfida li arricchisce, li matura, li fa grandi e hanno gli occhi brillanti di gioia, di tanti anni vissuti così nell’amore. Che grande ricchezza è questa diversità, una diversità che diventa complementarietà, ma anche reciprocità. E’ un nodo lì, l’uno all’altro. E questa reciprocità e complementarietà nella differenza è tanto importante per i figli. I figli maturano vedendo papà e mamma così; maturano la propria identità nel confronto con l’amore che hanno papà e mamma, nel confronto con questa differenza. Noi uomini impariamo a riconoscere, attraverso le figure femminili che incontriamo nella vita, la straordinaria bellezza di cui è portatrice la donna. E le donne fanno un percorso simile, imparando dalle figure maschili che l'uomo è diverso e ha un suo modo di sentire, capire, vivere. E questa comunione nella diversità è molto importante anche per l'educazione dei figli, perché le mamme hanno una maggiore sensibilità per alcuni aspetti della loro vita, mentre i papà l'hanno per altro. E' bella questa intesa educativa, che mette a servizio della crescita dei figli i talenti diversi dei genitori. E' una qualità importante, da coltivare e custodire. E' molto doloroso quando una famiglia vive una tensione che non si può risolvere, una frattura che non si riesce a sanare. E’ doloroso! Quando ci sono le prime avvisaglie di questo, un papà e una mamma hanno il dovere per sé e per i loro figli di chiedere aiuto, di farsi sostenere. Chiedete aiuto innanzitutto a Dio. Ricordate il racconto di Gesù, lo conoscete bene: è quel Padre che sa fare il primo passo verso i suoi due figli, uno che ha lasciato la casa e ha speso tutto, l'altro che è rimasto in casa... Il Signore vi darà la forza per capire che si può superare il male, che l’unità è più grande del conflitto, che si possono curare le ferite che ci siamo fatti l'un l'altro, in nome di un amore più grande, di quell'amore che Egli vi ha chiamato a vivere con il sacramento del matrimonio. E anche quando ormai la separazione – dobbiamo parlare anche di questo - sembra inevitabile, sappiate che la Chiesa vi porta nel cuore. E che il vostro compito educativo non si interrompe: voi siete e sarete sempre papà e mamma, che non possono vivere insieme per ferite, per problemi. Per favore cercate sempre un'intesa, una collaborazione, un'armonia per il bene e la felicità dei vostri figli. Per favore non usare i figli come ostaggi! Non usare i figli come ostaggi! Quanto male fanno i genitori che si sono separati, o almeno nel loro cuore sono separati, quando il papà parla male al figlio della mamma e la mamma gli parla male del papà. Questo è terribile, perché quel bambino, quel ragazzo, quella ragazza cresce con una tensione che non sa risolvere e impara il brutto cammino dell’ipocrisia, di dire quello che piace a ciascuno per approfittarne. Questo è un male terribile! Mai, mai parlare ai figli male dell’altro! Mai! Perché loro sono le prime vittime di questa lotta e – permettetemi la parola – anche di questo odio tante volte fra i due. I figli sono sacri. Non ferirli! “Guarda, papà e mamma non si capiscono, è meglio separarsi. Ma sai – dice la mamma – tuo papà è un buon uomo”; “Sai – dice il papà – tua mamma è una brava donna”. Tengono i problemi per sé, ma non li portano ai figli. Ma c’è anche la strada del perdono. Perdonarvi e accogliere reciprocamente i vostri limiti vi aiuterà anche a comprendere e accettare le fragilità e le debolezze dei vostri figli. Esse sono un'occasione per amarli ancora di più e farli crescere. Solo così anche loro potranno non spaventarsi di fronte ai propri limiti, non avvilirsi, ma andare avanti. Un papà e una mamma che si amano sanno come parlare al figlio o alla figlia che è su una strada difficile; anche come parlare senza parole. Mi diceva un dirigente che sua mamma era rimasta vedova e lui era l’unico figlio; a 20 anni si dava all’alcol e la mamma lavorava come domestica; erano molto poveri; e quando la mamma usciva per andare al lavoro, lo guardava dormire – ma lui non dormiva, vedeva - e senza dire una parola, se ne andava. Questo sguardo della mamma ha salvato il figlio, perché lui ha detto: “Non può essere che la mia mamma vada a lavorare e io viva per ubriacarmi!”. Così quest’uomo è cambiato. Lo sguardo, senza parole, può anche salvare i figli. I figli se ne accorgono di questo. 4 E il dono del matrimonio, che è tanto bello, ha anche una missione. Una missione che è molto importante. Voi siete collaboratori dello Spirito Santo che ci sussurra le parole di Gesù! Siatelo anche per i vostri figli! Siate missionari dei vostri figli. Essi impareranno dalle vostre labbra e dalla vostra vita che seguire il Signore dona entusiasmo, voglia di spendersi per altri, dona speranza sempre, anche di fronte alle difficoltà e al dolore, perché non si è mai soli, ma sempre con il Signore e con i fratelli. E questo è importante soprattutto nell'età della preadolescenza, quando la ricerca di Dio si fa più consapevole e le domande esigono risposte ben fondate. E non vorrei finire senza dire una parola ai nonni, ai nostri nonni. Voi sapete che a Roma gli anziani sono il 21,5 per cento della popolazione? Un quarto della popolazione romana sono i nonni. In questa città ci sono 617.635 nonni. Quanti anziani!… Una domanda soltanto: i nonni, nella famiglia, hanno posto di dignità? Adesso sono sicuro di sì, perché con la mancanza di lavoro vanno dai nonni a prendere la pensione… Questo sì, si fa… Ma i nonni, che sono la saggezza di un popolo, che sono la memoria di un popolo, che sono la saggezza della famiglia, hanno un posto degno? I nonni che hanno salvato la fede in tanti Paesi dove era proibito praticare la religione e portavano di nascosto i bambini a farli battezzare; e i nonni che insegnavano le preghiere. Oggi i nonni sono dentro la famiglia… I nonni sono noiosi, parlano sempre della stessa cosa, mettiamoli in casa di riposo… Quante volte pensiamo così. Sono sicuro che ho già raccontato questa storia, una storia che io ho sentito da bambino, a casa mia. Si racconta che in una famiglia il nonno abitava lì, col figlio, la nuora, i nipotini. Ma il nonno era invecchiato, aveva avuto un piccolo ictus, era anziano e quando era a tavola e mangiava, si sporcava un po’. Il papà aveva vergogna di suo padre, e diceva: “Non possiamo invitare gente a casa…”. E ha deciso di fare un tavolino, in cucina, perché il nonno prendesse il pasto da solo in cucina. La cosa è andata così… Alcuni giorni dopo, arriva a casa dopo il lavoro e trova suo figlio – 6-7 anni – che giocava con legni, col martello, con i chiodi… “Ma cosa fai, ragazzo?” - “Sto facendo un tavolino…” - “E perché?” - “Perché quando tu sarai vecchio, potrai mangiare da solo come mangia il nonno!”. Non vergognatevi del nonno. Non vergognatevi degli anziani. Loro ci danno saggezza, prudenza; ci aiutano tanto. E quando si ammalano ci chiedono tanti sacrifici, è vero. Alcune volte non c’è un’altra soluzione che portarli in una casa di riposo… Ma che sia l’ultima, l’ultima cosa che si fa. I nonni a casa sono una ricchezza. Grazie tante di questo. Ricordatevi: amore, amore. Seminate amore. Ricordatevi di quello che ha detto quel bambino: “Oggi ho visto papà e mamma baciarsi!”. Che bello! 5 CENSIS RELIGIONE E FAMIGLIA A ROMA Sintesi della ricerca Roma, ottobre 2014 13414_2013 Nota di metodo La ricerca “Religione e famiglia a Roma” di cui qui viene presentata una sintesi dei risultati, è stata realizzata dal Censis su incarico del Vicariato di Roma ed è stata finalizzata a conoscere il vissuto religioso e i percorsi di trasmissione della fede nelle famiglie romane. Il sondaggio, effettuato nel marzo 2014 con un questionario strutturato frutto della stretta collaborazione tra Censis e Vicariato di Roma è stato somministrato ad un campione di circa 1000 famiglie romane con almeno un figlio convivente. Nella stratificazione del campione si è tenuto conto delle seguenti variabili: classe di età della persona di riferimento, tipologia familiare (coppie con figli e famiglie monogenitoriali), zona di residenza La numerosità campionaria di 1000 casi assicura ad un livello di confidenza del 95 % un errore campionario del +/-3,1 % Si è scelto, per avere una voce più rappresentativa dell’intero nucleo familiare, di prevedere una quota pari a circa il 30 % di figli. Si è scelto inoltre di prevedere una quota di circa il 26 % di non cattolici per effettuare gli incroci ritenuti fondamentali per l’intero impianto della ricerca. Il campione intervistato è composto per il 62 % da donne, poiché l’81% delle famiglie monogenitoriali di Roma risulta essere composto da madri con figli. FONDAZIONE CENSIS 1 13414_2013 I risultati Il rapporto tra le famiglie della diocesi di Roma e la religione, come emerge dalla ricerca realizzata dal Censis su incarico del Vicariato, è un rapporto complesso, per certi aspetti problematico, per altri ricco di aperture e di speranze , certamente non riassumibile in poche parole. La lettura e l’interpretazione dei dati raccolti attraverso le interviste ad un campione rappresentativo di circa mille famiglie romane evidenziano prevalentemente un cattolicesimo identitario, autoprotettivo, in un certo senso “confortevole”: un cattolicesimo per certi versi “inconsapevole”, che ,mentre mantiene una certa adesione alla Chiesa, nei sacramenti e nei comportamenti di fede, lascia che microfenditure al suo interno guadagnino spazio e terreno, con un parziale infragilimento delle stesse basi dogmatiche del Cristianesimo. E, dall’altra parte, ci si imbatte in famiglie lontane dalla religione cattolica e dalla Chiesa che coltivano, anch’esse forse inconsapevolmente, una domanda di senso timida, repressa, che non riesce a diventare struggente e dunque dinamica. Un cattolicesimo incerto che però vuole ancora credere; una “nostalgia di fede” che in questo accomuna cattolici e non credenti che manifestano potenzialità di percorsi di ricerca imprevedibili Un cattolicesimo che ha metabolizzato la cultura del tangibile ormai radicata, che ha bisogno di vedere e di toccare la verità del Cristianesimo e che perciò considera esplicitamente Papa Francesco (una persona concreta) il punto di forza del cattolicesimo, ponendo in ombra anche ragioni altissime però più distanti nella Storia e nel Tempo. Queste sono alcune tra le principali evidenze emergenti dalla ricerca realizzata dal Censis per la Diocesi di Roma di cui si dà conto in queste pagine. 1) Famiglia e trasmissione dei valori Ripercorrendo brevemente i risultati emersi balza agli occhi come primo dato la sostanziale “tenuta della famiglia”: se ne sente il bisogno, la si considera un'istituzione ancora valida: però solo per il 43,8 % dei cattolici della diocesi di Roma questa “tenuta” fa riferimento al Sacro; citando, cioè a dire, come fondamento della famiglia il fatto che “essa è l'unione sacra di un uomo e di una donna davanti a Dio”. Per il 56 % delle famiglie cattoliche FONDAZIONE CENSIS 2 13414_2013 vengono addotte motivazioni del tutto laiche, in un certo senso “costituzionali” (“famiglia come fondamento della società”). Analizzando la concezione della famiglia dei romani si comincia ad avvertire quel fenomeno di “desacralizzazione” che emergerà in più punti dell'indagine. A questo punto della ricerca ci si è chiesti: “Come avviene la trasmissione dei valori all’interno delle famiglie?” Ebbene, la trasmissione dei valori risulta ancora prevalentemente matrilineare, anche se, dopotutto, i partner appaiono abbastanza compatti, soprattutto se visti con gli occhi dei figli. Ma, e qui un primo dato su cui riflettere molto approfonditamente, scuola e sacerdoti, secondo i genitori, cattolici e non, non sarebbero in grado di trasmettere valori. Il dato è molto forte e dunque è bene contestualizzarlo: verosimilmente non si tratta di un dato oggettivo, ma di un dato fortemente soggettivo che trova radici nel progressivo allontanamento , in diversi casi, un vero divorzio tra le agenzie di socializzazione educativa (famiglia, scuola, parrocchia), ormai sempre più distanti, sempre più incapaci di trovare un linguaggio comune a favore dei ragazzi. Un allontanamento per lo più riconducibile alla mutata “temperie” culturale all’interno delle famiglie, che vede i genitori spesso agguerriti difensori di “una facilità di vita”, di una deresponsabilizzazione dei ragazzi. Eppure, non solo di questo deve trattarsi, se questa sensazione di isolamento viene confermata dall’espressione di una sorta di “impotenza educativa” da parte dei genitori: a partire dai contenuti veicolati dai media per arrivare ai disvalori su cui si fonda oggi la società, i genitori dichiarano di percepire nettamente che gli sforzi educativi messi in atto vengono contraddetti da altri. Del resto le occasioni per il dialogo non sono molte e le famiglie sembrano quasi sottrarsi all’incontro Così come spesso i colloqui con i professori a scuola vanno semideserti anche l’interesse per il riferimento parrocchiale sembra diminuire: non a caso solo il 40 % delle famiglie cattoliche romane si dichiara praticante. 2) Il matrimonio Sono state successivamente sondate le opinioni, il modo di vedere alcuni sacramenti centrali per la vita della famiglia a cominciare proprio dal matrimonio. Non sono pochi i cattolici che sottolineano che ci si dovrebbe FONDAZIONE CENSIS 3 13414_2013 arrivare con maggior consapevolezza , anche se quasi il 60 % ritiene di essere ben consapevole del profondo significato religioso del matrimonio. E tuttavia, sommando più risposte, per così dire, di rango modesto (il matrimonio come “occasione di una bella festa”, come modo “per accontentare i parenti”, perfino come occasione per” indossare un meraviglioso abito da sposa”) si arriva ad un 40,5% dei cattolici intervistati che hanno una concezione del matrimonio in Chiesa come qualcosa che poco o nulla a che vedere col significato sacro del matrimonio. Questa concezione per così dire “laica” del matrimonio diffusa anche tra cattolici non è un segmento isolato, ma un tratto antropologico consequenziale che produce a sua volta conseguenze si riverbera sulle scelte successive come l’educazione dei figli. Nel processo educativo non tutti i cattolici trasmettono la propria fede ai figli: quasi il 30% del campione rappresentativo di famiglie cattoliche romane ritiene più giusto lasciare che i figli si orientino e scelgano la propria strada da soli. 3) Le celebrazioni “di soglia” Diverso il discorso per il Battesimo: il 99%, praticamente la totalità dei genitori cattolici, ha battezzato i propri figli e considera il Battesimo il sacramento fondamentale che coinvolge l’intera comunità parrocchiale. Anche i non cattolici avvertono, in qualche modo, l’importanza del Battesimo: ben il 43,2 % ha battezzato i propri figli. Tuttavia la motivazione prevalente fa riferimento alla dimensione del rito festoso più che a dimensioni “di profondità”. Quando si parla di Prima comunione, il dato più interessante viene dai genitori non cattolici: più di un terzo di essi ritiene giusto far fare la Prima Comunione ai propri figli. Una percentuale rispettabile come quella appena citata può difficilmente essere spiegata solo come una forma di conformismo: comincia invece a profilarsi un atteggiamento diffuso tra quanti si sono allontanati dalla tradizione cattolica, o, pur vivendo in un paese di tradizione cattolica, non l’hanno mai conosciuta: un atteggiamento che, appunto, sarebbe troppo sbrigativo definire conformismo. Vi confluisce il desiderio di non privare il figlio o la figlia di un’esperienza bella, di una festa che è comunque qualcosa di più di una festa, forse un rito iniziatico. Prevedibilmente i non cattolici delegano la preparazione alla Prima Comunione dei figli ai catechisti, riservandosi semmai di parlare in famiglia dei contenuti appresi al catechismo; i genitori cattolici partecipano FONDAZIONE CENSIS 4 13414_2013 maggiormente alle riunioni, evidentemente alla Messa domenicale e discutono a loro volta in famiglia però anche in questo caso si registra una delega importante ai catechisti (41,2% dei casi). In ogni caso, quasi un terzo dei genitori cattolici definisce la Prima Comunione con connotazioni esperenziali (arricchimento personale, bella festa) che non fanno riferimento diretto all’incontro con Gesù. Dopo la Prima Comunione, negli anni successivi, è la presenza di un gruppo parrocchiale vivace la vera forza che può mantenere viva nei ragazzi l’esperienza religiosa, assieme allo sguardo attento dei genitori. Non si tratta di imporre una frequentazione, né di patteggiarla, come erroneamente fanno alcune madri e alcuni padri. Restano legati (e la rilevazione sul campione dei figli nell’ambito dell’indagine conferma questa conclusione) quei ragazzi che hanno la fortuna di incontrare un gruppo all’interno della Parrocchia che sia in grado di far avvertire loro l’attualità del Vangelo, la presenza di Gesù Cristo “qui e ora”, al di là di quanto hanno appreso negli anni del catechismo. Un gruppo parrocchiale vitale può trasmettere nella quotidianeità l’idea che non c’è niente di più moderno e promettente per il futuro del messaggio cristiano. 4) L’ultimo tabu’ Molto significative e rivelatrici le risposte date dai genitori sia cattolici sia, per altro verso, non cattolici a proposito del tema radicale rappresentato dalla morte. Solo un terzo dei genitori cattolici fa riferimento all’interpretazione data dalla Chiesa del funerale cattolico come “consegna del defunto attraverso il sacrificio di Cristo a Dio”. Gli altri intervistati scelgono opzioni per così dire laiche: primeggia “un saluto di riconoscenza al defunto”, seguito da “un momento di preghiera consolante”. Su questo tema, dunque, c’è una certa convergenza con la lettura della morte restituita dai non cattolici. Come già per il matrimonio, anche in questo caso si fa strada una sensibile desacralizzazione della celebrazione del funerale cattolico, ricondotto sempre più anche dai cattolici ad una forma di conforto per i vivi. Il 26% dei genitori cattolici evita di affrontare in alcun modo il tema della morte con i figli per non spaventarli, invece una buona percentuale cerca di rispondere alle loro domande “lasciando aperte però tutte le porte”(38,5 %). Tra i non cattolici è ancora più forte sia l’atteggiamento di evitazione sia quello dialogico. FONDAZIONE CENSIS 5 13414_2013 Il vero, grande tabù della nostra epoca è dunque la morte, forse l’unico argomento rimasto veramente proibito. Del resto una cultura basata sul piacere effimero e sul consumo , che solo la crisi, cioè l’impossibilità, sta riuscendo a scalfire, non ha argomenti rispetto al Mistero della morte. Può solo tentare di rimuoverla, al più tentare di addomesticarla. Il profluvio di film e contenuti mediatici dell’orrore che sembrano tanto attrarre le platee giovanili sono forse il rozzo tentativo di cercare una qualche catarsi di fronte ad un interrogativo che rimane senza neanche un abbozzo di risposta da parte degli adulti. E, davvero, l’afasia dei genitori cattolici su questo lascia piuttosto perplessi. 5) I comportamenti e le verità di fede Molte negli ultimi anni le denunce di progressiva disaffezione rispetto alla pratica religiosa: eppure a Roma oltre il 60% dei genitori cattolici dice di partecipare alla celebrazione eucaristica, prega abitualmente e in quasi il 70% fa beneficenza. Evidentemente il margine di soggettività in questo caso risulta piuttosto elevato. Tra i non cattolici quando si vuole cercare una dimensione che trascende il quotidiano prevale la meditazione. Dunque, considerate le tante attività contemporanee antagoniste alla pratica religiosa e i dati di alcune indagini nazionali (come quelle realizzate dalla CEI) si registrano percentuali di pratica se non confortanti, quantomeno non allarmanti. Se non allarme, certamente preoccupazione, evidenziano al contrario le risposte degli intervistati per quanto riguarda le verità di fede: oltre il 13% dei cattolici esprime dubbi sul fatto che Gesù sia figlio di Dio e circa la stessa percentuale dubita che Gesù sia morto e risorto. Se si considera l’inevitabile autocensura attiva in un contesto d’intervista come quello riguardante la ricerca, si comprende come il seme del dubbio sia più che presente nei cattolici romani. Quando si passa poi ad altri dogmi della dottrina cristiana, come quello della “resurrezione della carne” si registrano ulteriori e molto più profondi cedimenti: il dubbio, quando non la negazione, interessa oltre un terzo dei cattolici intervistati, anche se si avverte sensibilmente la voglia, la disponibilità a crederci. L’atteggiameto scientista, organicista imperante nella nostra epoca restituisce evidentemente una visione del mondo senza troppi slanci. FONDAZIONE CENSIS 6 13414_2013 6) La potenza rivelatrice del Natale e il materialismo L’assunzione del Natale come di una sorta di cartina al tornasole per continuare l’esplorazione dell’universo delle famiglie romane si è rivelata una scelta “euristicamente” felice, cioè efficace sul piano della ricerca, perché ha fatto emergere un ulteriore aspetto della prismatica relazione dei romani con il Sacro. Esaminando le risposte che riguardano il Natale e i suoi riti tra i cattolici, nel complesso si registra uno strano stato d’animo, un misto di amarezza, d’impotenza e di complicità, che ha del paradossale, se non fosse che un’interpretazione più sofisticata ci aiuta a comprendere il senso di quello che è verosimilmente accaduto negli ultimi decenni. Un primo paradosso è che mentre la quasi totalità dei non cattolici intervistati identifica immediatamente il Natale con la nascita di Gesù, un terzo dei cattolici sfugge a questa stessa identificazione optando per altre definizioni: il Natale come celebrazione degli affetti familiari, come trionfo del consumismo, come rituale stanco e stressante. Del resto tra i comportamenti associati al Natale c’è innanzitutto la preparazione dell’albero , poi il “recupero” delle relazioni familiari, il cenone, l’acquisto dei doni. Solo dopo viene la preparazione del presepe, e ancora dopo la Messa la notte di Natale. Si avverte forte dunque una complice stanchezza, quasi che tutta la fatica della festa finisse con l’esaurire, tristemente, le energie per pensare all’essenza stessa del Natale. Si è detto, una complice amarezza con la società dei consumi, che forse i cattolici detestano , ma che tengono in vita per quanto possono come tutti gli altri. 7) I punti di forza del cattolicesimo La complessità delle contraddizioni e delle difficoltà di questo passaggio d’epoca dal punto di vista antropologico emerge con ancora più evidenza nei risultati alla domanda del questionario finalizzata ad indagare, nell’opinione degli intervistati, i punti di forza della religione cattolica. Tra questi, svetta su tutti con una percentuale molto alta (quasi il 78 %) il “carisma di Papa Francesco”, che supera perfino la “potenza del messaggio d’amore” e il “messaggio di speranza” del cristianesimo. L’attuale Papa, è più che evidente, ha saputo fin dai primi attimi del suo pontificato aprire un canale di intensa e profonda comunicazione con tutti, sia cattolici sia non cattolici: non stupisce dunque che questa sua naturale capacità, assieme alle importanti innovazioni del suo pontificato e , si vorrebbe aggiungere, a FONDAZIONE CENSIS 7 13414_2013 caratteristiche amabili di personalità, magnetizzi i consensi durevoli di larga parte degli intervistati. Quello che però colpisce profondamente è che solo il 25,5% individua nell’”incarnazione di Cristo” il principale punto di forza del cattolicesimo. Il dato è fortissimo, quasi imbarazzante. Una lettura superficiale di questi risultati (in termini quasi di competizione tra le radici della fede e il “magnetimo” sulle masse di figure religiose contemporanee) sarebbe però del tutto fuorviante. Il risultato va invece contestualizzato all’interno del paradigma della concretezza, del tangibile, della nostra epoca in Occidente, che comunque rifugge dal farsi coinvolgere da un’ideale, da un principio, da un valore, da un Messia comunque lontano nel tempo, non tangibile come invece è un Papa vivente. Ancora una volta i risultati ci rivelano un sorta di fragilità dall’interno del cattolicesimo, che però cerca (disperatamente?) una Persona da seguire, un motivo per continuare a dirsi credenti. Su questo bisognerebbe forse interrogarsi a fondo. 8) Le resistenze A questo punto della ricerca, dopo aver evidenziato i punti di forza del cattolicesimo secondo le famiglie romane, si è cercato di far emergere il loro contrario, cioè le insofferenze, le resistenze, quello che “mal si digerisce”; ciò che, sempre nell’opinione degli intervistati, costituisce un punto di debolezza. Una fondamentale tessera del mosaico rivelatore delle famiglie cattoliche a Roma emerge proprio da questa domanda. Ebbene primo motivo di insofferenza in graduatoria: è “la morale sessuale e l’ingerenza nelle scelte personali” (35,5%); poi l’“incoerenza di alcuni esponenti della Chiesa” e “l’eccesso di precetti (regole, divieti, obblighi)”. Dunque per i cattolici romani le difficoltà nell’essere un buon cattolico sono relative alla vita quotidiana, a regole troppo ardue nella vita privata più che a verità difficili da accettare. La difficoltà dunque sta nella “normazione” della vita quotidiana più che nell’accettazione di dogmi (rispetto ai quali il cattolico sembra quasi di ritenere di poter legittimamente avere dubbi). Ed è un fatto rivelatore che siano le stesse cose che infastidiscono i non cattolici. L’antropologia contemporanea, al di là delle appartenenze di fede, sembra non tollerare ingerenze in materia di comportamenti privati. Dunque la soggettivizzazione delle scelte private è un marker antropologico più potente perfino delle scelte religiose. FONDAZIONE CENSIS 8 13414_2013 9) Le attese:cosa si vorrebbe dalla Chiesa di Roma e dalle parrocchie A leggere in filigrana le risposte degli intervistati che riguardano le loro aspettative rispetto alla Chiesa di Roma, si intravede un ulteriore aspetto del cattolicesimo di oggi. Quello che viene chiesto per essere aiutati a vivere la religione è innanzitutto l’organizzazione da parte delle parrocchie di eventi culturali sul territorio (28,1%), seguito dalla “testimonianza di carità” (27%); seguono, ma a 10 punti di distanza, “migliorare la liturgia domenicale” e “invitare in Chiesa persone di spessore culturale e umano”. Solo dopo compare “promuovere incontri sul Vangelo nei caseggiati”. Non sembrano volere un’innovazione di superficie, ma approfondimento vero e conoscenza; il dato si inanella con fluida coerenza con altri risultati precedentemente analizzati e che evidenzia il bisogno di una sorta di “scatto in avanti”, di coraggio e fiducia nel guardare alla religione con gli occhi dell’uomo contemporaneo. In qualche modo alla Chiesa viene riconosciuta la potenzialità di essere Soggetto promotore di nuovo umanesimo, a fronte di una società che ha dimenticato il significato profondo della dignità umana. Non però di arida e illuministica conoscenza si parla, ma di una curiosità e di un acume intellettuale illuminato dalla qualità umana di guide credibili e autorevoli e dalla carità. Rispetto al nuovo Medioevo di paure, confusioni e divisioni che dilaga nella società, la Chiesa può secondo gli intervistati contrapporre la forza dell’intelligenza illuminata dalla carità. E che non si tratti di un’opzione intellettualistica in opposizione all’ortodossia lo dimostrano le risposte ad un'altra domanda relativa alla scelta dell’insegnamento della religione a scuola: oltre il 96% delle famiglie cattoliche ha scelto l’insegnamento scolastico della religione. Che alla Chiesa cattolica si riconosca una credibilità super partes lo dimostra il fatto che anche nel campione di non cattolici si ritrova un atteggiamento di fiducia: il 25% di non cattolici ha scelto comunque l’insegnamento scolastico della religione sperando in una qualche educazione morale per i figli. Sempre sul rapporto scuola-religione va registrata un’ulteriore indicazione: se molti cattolici si dicono soddisfatti delle scuole cattoliche, si registrano anche alcune critiche imputabili in parte a possibili esperienze personali, in parte all’eco di rozze e aggressive campagne stampa. FONDAZIONE CENSIS 9 13414_2013 10) I cattolici: tra bisogno di guida e difesa dell’autonomia A fronte dei dati citati fin’ora, nel complesso confortanti, va però registrato un aspetto, apparentemente contraddittorio, che in realtà illustra e conferma l’atteggiamento prevalente tra i cattolici a questo proposito. Infatti, mentre si chiedono occasioni di approfondimento alla Chiesa e alla parrocchia, si dichiara una scarsa confidenza con i testi sacri. Solo l’11% dei cattolici legge Vangeli e Bibbia in famiglia, non arriva a un terzo la percentuale di quanti leggono per proprio conto. La motivazione è che non c’è tempo. Altri non sentono nemmeno il bisogno, come cattolici, di spiegare questa scarsa familiarità con i testi sacri. Quelli che lo fanno adducono sì, il bisogno di rendere viva la fede, ma anche una motivazione culturale: arricchire il proprio bagaglio, ritrovare il senso profondo dell’umanità, recuperare le radici dell’identità. Questi dati, secondo un’interpretazione articolata, non solo non contraddicono i precedenti, ma li confermano. In una società, in cui si è diffusa a macchia d’olio una incapacità individuale di approfondimento, una quotidianità fatta di emozioni superficiali e volatili, i cattolici sentono il bisogno di essere accompagnati e guidati culturalmente anche nell’affrontare una pagina di Vangelo e di Bibbia. L’uomo contemporaneo, a causa delle tante trasformazioni sociali (tra cui innanzitutto la velocizzazione indotta dalla cultura digitale), ha perso probabilmente capacità di approfondimento, di riflessione, di ascolto di sé stesso e degli altri. Tuttavia ha acquistato anche nuove consapevolezze, in parte disordinate: ad esempio, quella di appartenere ad un mondo sociale, ad un mondo fisico, ad un mondo biochimico, ad un mondo storico. Si è pure in larga parte emancipato da una certa religiosità devozionale della tradizione. E questo è parte di un processo più ampio che ha fatto mettere in discussione i principi di autorità in ambito familiare, sociale e anche religioso. Al tempo stesso, però, si intuisce che vorrebbero accostarvisi in modo nuovo, si direbbe antropologico-culturale. Forse la vera sfida sta nel trovare un linguaggio contemporaneo per le Verità di sempre, non soltanto in termini linguistici, ma anche nell’enfasi su determinati aspetti piuttosto che su altri, nell’uso delle metafore, nel tipo di empatie da promuovere. Si avverte inoltre come il bisogno di sganciarsi da un approccio regolativo/normativo che in qualche modo possono aver incontrato in passato, per un approccio più valoriale. Non a caso meno del 12% ritiene la Messa domenicale un obbligo, mentre prevalgono interpretazioni di scelta proattive (“E’ la fonte e il culmine della vita cristiana,” ”esperienza FONDAZIONE CENSIS 10 13414_2013 necessaria alla comunità dei credenti”, “esperienza che può aiutare a riflettere”). Siamo di fronte a cattolici disponibili ad approfondire, essendo guidati, ma sentendosi percepiti in tale processo come persone che vengono arricchite e non normate o “indottrinate”. Si avverte lo sganciamento praticamente compiuto rispetto alla dimensione normativa della religione a favore di una dimensione soggettiva, privata, meno sacrale e più legata alla crescita interiore e della comunità. L’autonomia viene affermata in più momenti ed è proprio il privato a segnare una delle grandi linee di demarcazione rispetto al passato. Il 73,2% ritiene che ormai i comportamenti sessuali dei cattolici si discostino dalle indicazioni della Chiesa (cfr. punto 8 “Le resistenze”). Essi invitano la Chiesa a prendere atto dei cambiamenti sociali e a rivedere alcune sue posizioni alla luce della sensibilità di oggi. 11) Quell’insopprimibile bisogno di senso dei non credenti Dai non cattolici (si ricorda per la stragrande maggioranza del campione in questione agnostici e atei) vengono altri stimoli incoraggianti; non si ritrova in loro la spavalda sicumera di alcuni intellettuali dichiaratamente non credenti. Infatti il 57% del campione di non cattolici intervistato dichiara: “Non esiste altro senso se non la vita stessa: ne sono abbastanza convinto, ma qualche volta sento che vorrei che la vita avesse un significato più grande”. Questa lieve inquietudine, questa sottile e sommersa insoddisfazione non si traduce in un’esigenza esplicita né tantomeno, nell’avvicinamento alla dimensione normativa del cattolicesimo. Sono come in attesa di un ulteriore scossone, per portare frutti Non a caso Papa Francesco è riuscito a scuotere la loro indifferenza, in diversi casi in maniera “forte”. Sono diffidenti, dicono di non volersi in alcun modo far indottrinare, ma sono pronti a farsi coinvolgere da un gruppo di cattolici capaci di farli riflettere: potrebbero allora rimettersi in discussione. C’è anche (quasi un 20%) chi si dice molto o abbastanza d’accordo con questa frase “Vorrei credere, ma evidentemente Dio non mi da la fede”. Quell’insopprimibile bisogno di senso che abita il cuore di ogni essere umano non lascia indifferenti neanche quanti si dichiarano esplicitamente “senza Dio”. 12) Chiesa e cambiamento E’ stata sottoposta alle famiglie romane una batteria di domande esplicitamente finalizzata alla richiesta di cambiamento nella Chiesa e nell’atteggiamento di essa rispetto ad alcuni problemi cruciali. FONDAZIONE CENSIS 11 13414_2013 Quasi il 93 % delle famiglie cattoliche romane vuole che la Chiesa riscopra il vero spirito francescano. Questa richiesta è molto più pressante tra i cattolici che tra i non cattolici. L’88,3% chiede una “Chiesa forte, che riscopra l’eredità del Concilio vaticano II”. Percentuali molto più contenute, ma comunque importanti, intorno al 55,6% vorrebbero più ruolo per le donne all’interno della Chiesa e vorrebbero che i sacerdoti potessero sposarsi (i non cattolici arrivano in questo caso quasi al 90%). Vorrebbero soprattutto che la Chiesa comprendesse la vita reale delle famiglie, degli uomini e delle donne. Quasi al 94% il consenso verso una Chiesa che metta in dialogo le diverse religioni per costruire il Bene dell’umanità. Quest’ultimo dato testimonia la grande disponibilità e apertura mentale dei cattolici di Roma, il desiderio di dialogare al di là delle differenze storiche e antropologiche per cercare la Verità Universale. Dunque, la globalizzazione non ha portato solo problemi, ma anche la consapevolezza dell’universalità della condizione umana. I cattolici chiedono infine, e i Sinodi prossimi sulla famiglia sono già la risposta, una grande attenzione da parte della Chiesa ai problemi delle famiglie di oggi (97%);ancor più chiedono attenzione ai problemi dei giovani(98,3 %). Si chiede uno sguardo franco e coraggioso, che non vuol dire adeguamento ideologico ad un nuovismo indistinto. Non a caso le perplessità sulle adozioni da parte di coppie omosessuali da parte dei cattolici romani restano forti. 13) La carità Si è voluto concludere l’indagine invitando tutti ad esprimersi sul concetto di carità. Ed è proprio da questo ultimo approfondimento, che emerge una maggiore intensità umana dei cattolici, un essere meno vincolati da una concezione materialista da cui pure, come si è visto a proposito della celebrazione del Natale, sono anch’essi coinvolti e condizionati. Se per i non cattolici la carità si identifica prevalentemente con la beneficenza , i cattolici ne svelano la vera e superiore natura che include certamente l’aiuto materiale ai meno fortunati, ma che in esso certamente non si esaurisce. La carità è per essi innanzitutto amore universale, disponibilità, generatività, comprensione umana per l’Altro. E’ come se il Cristianesimo avesse regalato loro un senso in più per valutare la vita. E questa è certamente una buona base per riprendere nuovo slancio. FONDAZIONE CENSIS 12 La responsabilità dei genitori, testimoni della bellezza della vita. Relazione di don Andrea Lonardo 1/ Chi ama e chi genera la vita è la vera novità del mondo, tutto il resto muore Parlare di marito e moglie, di genitori, di famiglia e parlarne in relazione all’annunzio della fede potrebbe sembrare a torto una delle cose più antiquate che ci sia. La dott.ssa Manna ci diceva che la gente vuole che i preti si sposino, ma i laici preferiscono convivere! Apparentemente non interessa la famiglia, quanto la convivenza, rapporti leggeri senza impegno. Anche la questione dei figli sembrerebbe in apparenza vecchia: dalle statistiche risulta che la natalità in Italia e a Roma è bassissima e dell’“ecologia” umana, della sopravvivenza della popolazione, nessun politico sembra preoccuparsi, dal momento che nessuno interviene con aiuti, sgravi, attenzioni a quelle persone che sono più povere delle altre – ma più felici – perché hanno bambini o ne attendono uno in più. L’ISTAT pubblicava oggi dei dati nei quali si afferma che ci sono -100.000 nati nel 2014 rispetto ai morti, cosa che non avveniva dal 1919, alla fine della I guerra mondiale, dove i nati erano stati pochissimi per i tanti uomini morti al fronte che non avevano generato bambini. Ed, invece, la dott.ssa Manna ci ha detto che non è così, ci ha detto che i romani sono interessati alla famiglia. E ieri papa Francesco non ha fatto che parlarci della famiglia. Si sentiva dagli applausi: come tutti noi, soprattutto le famiglie, si riconoscevano in quello che il papa diceva. Era come se sentirlo parlare fosse una liberazione, una conferma, un assenso alla nostra vita. Non possiamo non domandarci: perché? Lascio ad altri analisi sociologiche o storiche. A me spetta dare una risposta che è innanzitutto “spirituale”, cioè “ebraico-cristiana”. Le persone sono e saranno sempre interessate alla famiglia, finché durerà il mondo, perché questo lo abbiamo scritto nel cuore, poiché Dio ve lo ha posto, perché Dio ci ha fatto così e non in un altro modo. Si potrebbe dire innanzitutto che tutti amano la famiglia semplicemente perché sono grati, perché sanno di avere ricevuto la vita da un padre e da una madre, sanno di essere vivi esattamente per questo. Il papa ci ha ricordato che la differenza tra l’uomo e la donna è la differenza fondamentale, la differenza più grande, che apre all’amore. È straordinario che nei primi capitoli di Genesi per due volte, nel primo e nel secondo capitolo, si parli dell’amore tra l’uomo e la donna – l’uomo e la donna a immagine e somiglianza di Dio e poi Eva tratta dal fianco di Adamo. Straordinario è pure che negli stessi testi si parli per ben due volte della benedizione della fecondità, della benedizione di donare la vita. E per due volte si parla ancora dell’annunzio della fede a quei due esseri così differenti, l’uomo e la donna – infatti, in Genesi si parla subito del dono del sabato che permette all’uomo di ritrovare all’inizio di ogni settimana il suo rapporto con Dio e di Dio che parla con l’uomo, mentre nessun altra creatura è in grado né di bestemmiare né di lodare il Creatore. Tre cose una vicina all’altra: l’amore dell’uomo e della donna, i figli, la fede che deve essere trasmessa con il sabato. Si potrebbe dire che la famiglia è antica quanto l’uomo: ognuno di noi deve la sua vita ad un’infinità di famiglie che lo hanno preceduto. Sarebbe bastata una coppia che non si fosse amata almeno per un istante e che non avesse avuto un bambino da quando esiste l’uomo ad oggi, ed ecco che noi non ci saremmo. In ogni cellula del nostro corpo c’è un DNA fatto da geni che vengono per metà da un uomo e per metà da una donna e a sua 1 volta il DNA di quell’uomo e di quella donna vengono da un altro uomo e da un'altra donna e così via all’indietro, fino all’inizio della vita umana. Noi preti confessiamo e siamo amici anche di tante persone omosessuali che ci dicono quello che talvolta non hanno il coraggio di gridare in piazza: “Io chiedo di essere rispettato, ma guai a chi equipara una mia relazione affettiva alla famiglia. Io so che c’è una grandissima differenza. Io so che è una famiglia fatta di un uomo e di una donna che mi ha dato la vita e questo è primario. E io voglio bene ai miei genitori. E so che sono state famiglie dopo famiglie che mi hanno portato ad avere la vita e così sempre sarà e deve essere”. La famiglia poi non è un diritto, è un impegno, anche e soprattutto dal punto di vista civile: la famiglia non è composta solo da due persone - due innamorati non fanno una famiglia - ma da un uomo e da una donna che si impegnano a spendersi per il bene supremo dell'altro coniuge, dei figli e della famiglia stessa. La famiglia implica necessariamente i figli, non li prevede solo come una remota possibilità. Ed ecco che questa realtà vecchia quanto l’uomo è anche la realtà più nuova: noi siamo nuovi, i genitori dei ragazzi dell’Iniziazione cristiana sono nuovi, i loro figli che fra solo una quindicina di anni nasceranno se Dio vorrà, saranno nuovi, saranno unici al mondo. Mai è esistito uno come me, uno come voi. E mai esisterà un altro come il figlio che nascerà fra una quindicina d’anni da quel ragazzo che quest’anno ha vissuto la tappa dell’Eucarestia o della Confermazione. Si potrebbe dire che il secondo motivo per cui tutti amano la famiglia è perché vogliono trasmettere ciò che hanno ricevuto, vogliono che la vita non muoia con loro, vogliono che i loro figli diventino a loro volta capaci di dare la vita, di fare nuove famiglie. Si commuovono quando diventano nonni e vedono i figli dei loro figli. Ecco perché gli uomini d’oggi sono interessati alla famiglia. Ecco perché spesso anche chi dolorosamente divorzia, spesso poi ri-crea una nuova “famiglia”: perché Dio ci ha fatti per l’amore e ci ha fatti per un amore fecondo capace di dare la vita. Il papa ci ha detto ieri: «Il Signore vi ha scelti per amarvi e trasmettere la vita. Queste due cose sono la vocazione dei genitori». Se parliamo di famiglia e di genitori, ne parliamo perché sappiamo che questo è ciò che attira l’uomo: è questo il discorso sempre nuovo, anche se forse non è quello più di moda. Perché la novità è ben diversa e più profonda delle news e dell’attualità. Pensate anche a due episodi recenti: papa Francesco ha fatto qualche settimana fa una catechesi sul fidanzamento ed ha detto: «La Chiesa, nella sua saggezza, custodisce la distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi». Questa catechesi è stata ripresa in tantissimi modi da tante persone, perché nonostante tante apparenze, tutti sanno che esiste una differenza fra dire “ti amo”, come fa un fidanzato” e dire “ti amerò”, come fa una persona che si sposa. Pensate anche alla curiosa notizia che il Comune di Parigi rimuoverà dal Pont des Arts 45 tonnellate di lucchetti, messi da amanti parigini a imitazione dei romani di Ponte Milvio, per dire che l’amore è per sempre ed è per una sola persona, come un lucchetto dice una sicurezza di qualcosa che non sarà violato. 2/ La Chiesa di Roma vuole porsi al servizio di questi uomini e queste donne Noi cristiani di Roma vogliamo camminare insieme alle persone che si amano e che amano i loro figli. 2 Noi ci raduniamo in questo Convegno diocesano, come in tutti i nostri consigli pastorali parrocchiali e in tutte le nostre riunioni, perché sappiamo che sono i genitori ad avere bisogno del Vangelo. Ne hanno bisogno esattamente per la loro vita di amore e per il bene dei loro figli. Noi non siamo come un azienda che si preoccupa di se stessa, dei suoi ricavati, dei suoi utili, delle statistiche che calcolano l’aumento o il decremento dei clienti in percentuale. Noi siamo la Chiesa del Signore che si preoccupa dei ragazzi e dei loro genitori perché sa che senza il Signore tutti loro sarebbero più tristi ed, in fondo, più cattivi. In maniera non sempre pienamente consapevole - ma lo stesso reale come ci diceva la dott.ssa Manna - i genitori desiderano oggi che i loro figli vengano nelle nostre comunità perché sanno che è un’esperienza che farà loro bene, che li arricchirà, perché sanno che le parole del Signore danno speranza, infondono carità, invitano alla fiducia. Mi diceva per telefono che appare evidente dai dati che la percentuale di chi vive la Prima comunione come un’occasione di fare un regalo o di vestire un abito bianco è in diminuzione. Vogliono, spesso anche gli agnostici, che i figli “facciano la Comunione” perché quel percorso è una “esperienza importante”. Sanno di avere bisogno di quella esperienza, sanno che è educativamente utile. Quando ascoltiamo i dati di una scarsa partecipazione dei genitori, dobbiamo contestualizzarli. Nessuno oggi partecipa più a niente, questo è il dramma nella sua globalità. Alle ultime elezioni regionali hanno votato meno della metà delle persone. I genitori non partecipano alla vita scolastica, se non ci sono lamentele da fare ai professori. Ed ecco chescegliere di invitare i genitori ad “appartenere” alla Chiesa è, da un lato, annunziare il vangelo, ma è anche mettere un mattone sulla via del recupero della partecipazione alla vita pubblica e sociale, dove invece tutto è in crisi, partiti, sindacati, associazioni di volontariato, e così via. 3/ Siamo debitori del Vangelo alle famiglie: hanno bisogno del Dio di misericordia per camminare nell’amore Dobbiamo crescere nella consapevolezza che le famiglie hanno bisogno di Dio. Forse uno dei tratti più caratteristici del nostro tempo è la confusione, il non sapere bene dove andare, cosa è veramente bello, buono, vero. Se i genitori non hanno chiaro qual è la bellezza della vita, non possono trasmetterla ai loro figli. Dobbiamo commuoverci come Gesù si commosse quando vide tanta gente che gli sembrò “come pecore senza pastore”. La verità è che il nostro tempo è “disorientato”. Pensate che la parola “orientarsi”, che tante volte usiamo in relazione alle scelte scolastiche o universitarie dei nostri figli, vuol dire proprio “sapere dov’è l’oriente”, “dove è la luce”. Spesso l’educazione diventa allora una cosa di modestissime prospettive, mentre si tace se sia bene che un bambino diventi poi padre, se è bene che si sposi, se è meglio essere atei o credenti, cristiani o di un'altra religione. Il politicamente corretto ha come emarginato tutte le cose belle e grandi dalla vita: non se ne parla più o si dice: “Deciderà lui”. Ai figli si dice sempre: “Boh, non lo so. Devi decidere tu”. Papa Francesco in Evangelii Gaudium dice: «A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni» (EG 265-266). Ecco perché vogliamo annunziare Gesù ai genitori e non solo ai ragazzi: perché anche i grandi debbono poter trovare la felicità, la luce, l’orientamento. Innanzitutto per loro stessi, per 3 essere felici, per vivere bene, per non pentirsi un giorno delle scelte fatte o del tempo sprecato. Ma c’è un secondo motivo per il quale sentono di avere bisogno di Dio e della sua luce sulla vita. Perché sanno di essere guide, per guidare i loro figli. Non ci guida tanto la consapevolezza - pur vera - che senza il coinvolgimento dei genitori, il lavoro con i ragazzi diventa molto più difficile. Quello che ci spinge è proprio un amore ai genitori stessi, l’avvertire che la loro vita è preziosa e che essi, avendo donato la vita ai loro bambini, si sono comunque già incamminati su di una via di bene. È molto significativo che i documenti recenti della Chiesa italiana utilizzano meno che in passato il termine “adulti”, mentre parlano sempre più di “genitori”, di “famiglie”, di “persone che hanno delle responsabilità pubbliche”. Il passaggio è molto bello. Perché si è adulti proprio perché non si è più preoccupati di se stessi, ma innanzitutto degli altri, della moglie, del marito, dei figli della famiglia, della società. Chi non si spende per gli altri, in fondo, è ancora un bambino, un narcisista, un “adolescente prolungato”. Per un genitore è più importante il futuro che il presente. Dice: “posso anche affrontare oggi la fatica, la crisi, i rischi, purché nel futuro si giunga alla pace, purché il mondo in cui mio figlio diventerà grande sia migliore”. Chi invece vive per se stesso pensa: “Dopo la mia pensione o la mia morte tutto può pure crollare, basta che adesso non succeda niente di male”. E chi è genitore deve sapere che ogni suo gesto educa, nel bene come nel male, anche se non lo volesse. Questo ci ha detto il papa con quell’espressione così semplice e vera che potremmo scegliere come una sintesi del suo discorso – lui stesso ce l’ha ripetuta alla fine: «Ricordatevi di quello che ha detto quel bambino: “Oggi ho visto papà e mamma baciarsi!”. Che bello!». In fondo dividere adulti e ragazzi come se fossero due categorie e domandarsi da quale delle due partire è astratto e non ci aiuta. Gli adulti si sentono amati proprio quando si sentono aiutati a trasmettere la bellezza della vita l’un l’altro ed ai loro figli. I figli, dal canto loro, sentono che è importante il cammino della fede proposto dalla Chiesa quando avvertono che il Vangelo è così bello che i genitori lo vivono e lo annunziano. 4/ La silenziosa richiesta di una guida, di un cammino, che però non ci renda infantili A questo proposito voglio sottolineare - è la quarta cosa su cui voglio soffermarmi – che gli adulti di oggi chiedono una guida, chiedono di essere accompagnati sostenuti, chiedono di essere incoraggiati e talvolta anche consolati nella fatica del cammino. Questo lo dice – ci diceva la dott.ssa Manna – innanzitutto l’amore che il popolo di Dio porta a Papa Francesco e che abbiamo sperimentato anche ieri. Tanti stanno riscoprendo grazie alla sua autorevolezza che la fede non è qualcosa di disincarnato, ma diventa vera proprio quando Dio prende carne, donandoci qualcuno che ci aiuti a camminare, a pensare, a pregare, ad amarci, a servire i poveri. Ma lo dicono anche i rilievi della dott.ssa Manna sul desiderio espresso dagli intervistati che le comunità cristiane nel territorio diventino punti di riferimenti, che aiutino a pensare, a proporre una visione culturale del mondo. Non possiamo esser sordi a questa richiesta. Le famiglie non ci dicono: “lasciateci fare come vogliamo”, ma ci dicono piuttosto: “Aiutateci, aiutateci a capire, perché siamo in difficoltà”. 4 Certo non chiedono di esser “imboccate” come dei bambini. Anzi tutto ciò che è infantilismo nella catechesi non va bene. Non va bene per i ragazzi che a volte sono trattati come se fossero degli stupidi che non capiscono niente, che non sanno niente di scienza, di evoluzione di Darwin, di problemi esistenziali e sociali, ecc. ecc. Ma non va nemmeno bene per i genitori che capiscono subito quando una comunità è un punto di riferimento serio perché conserva la chiarezza sulle questioni decisive della vita e della fede ed aiuta tutti a confrontarsi con esse. Una proposta “molle” di catechesi sarebbe assolutamente inutile e non sarebbe apprezzata. I genitori emergono, si coinvolgono, si avvicinano alla fede, quando avvertono la serietà di un cammino pure gioioso, quando comprendono che nella Chiesa ci sono le risposte a quelle domande che li attanagliano, quando capiscono che lì c’è qualcosa che vale. Spesso la catechesi si è ridotta ad attività, come colorare, recitare, fare collage, imparare metodi, invece le domande di grandi e bambini sono su grandi temi della fede: solo quelli conquistano i cuori. Gesù non metteva gli apostoli a colorare, piuttosto insegnava le beatitudini, la preghiera, la sequela, la carità, il giudizio, l’eucarestia, parlava di ciò che conduce alla vita e di ciò che fa morire, parlava sempre del rischio che si possa diventare infelici senza il Padre e della via della felicità: “beati, beati, beati voi se…” Nel dialogo con i genitori e nella catechesi con i figli si tratta di alzare l’asticella, non di abbassarla ulteriormente! Importante è anche rendersi conto sulla stessa linea come l’analisi del CENSIS ci mostri che ormai le persone ignorano quasi totalmente i principali contenuti della fede, tanto l’annunzio che hanno ricevuto negli ultimi decenni è stato frammentario, forse anche a seguito di teorie pedagogiche che hanno guidato l’insegnamento in Europa negli ultimi decenni e che ora sono, finalmente, in fase di revisione. Anche la nostra catechesi, talvolta, ha talmente dimenticato di soffermarsi sui contenuti principali della fede che non appena qualcuno torna a parlare di creazione, di peccato, di vizi e virtù, di Dio e della di grandezza dell’uomo ad immagine di Dio, di comandamenti fatti per la felicità dell’uomo, subito la gente accorre ad ascoltare. Così come è evidente che non appena una liturgia è ben celebrata tanti si riavvicinano alla fede e ringraziano Dio di quel dono. È come se tanti ci chiedessero di ritrovare il coraggio – e le giuste modalità – per parlare delle grandi realtà della fede e delle scelte morali, mostrando quanto esse siano belle e attraenti. Non è più vero che oggi la catechesi è troppo dottrinale: è vero piuttosto che nessuno presenta più i grandi temi della fede in maniera da farne cogliere la bellezza, la vitalità, in maniera da trafiggere i cuori su di essi. I “contenuti” sono scomparsi dalla catechesi e dal rapporto con i genitori: invece debbono rientrare, ma in maniera viva e vitale, con un linguaggio che ne mostri l’aspetto esistenziale. 5/ Le spine, oltre che le rose, e le conversioni pastorali che ci attendono Insomma è come, al di là delle apparenze, questo fosse un tempo molto bello, molto favorevole, dove si attende la proposta nostra, dove la proposta della Chiesa è attesa. Ma ecco che dinanzi a questo compito così esaltante e necessario che ci attende dobbiamo riconoscere che non tutto va bene. Con le rose, ecco che dobbiamo parlare anche delle spine. 5 Per questo Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ha più volte utilizzato l’espressione “conversione pastorale”– si veda, ad esempio, EG 25 che si intitola “pastorale in conversione”, ma tutto il documento e tutto il magistero del papa sono un invito a convertire la nostra pastorale, uscendo incontro a chi ha bisogno di Dio - ad indicare che siamo noi i primi a doverci sempre di nuovo convertire, ad indicare che è la Chiesa tutta ad essere sempre in conversione per poter testimoniare al mondo con il suo cambiamento di vita la presenza del Signore e della sua gioia in mezzo a noi. Voglio indicare qui alcune ipotesi di lavoro, che richiedono una conversione ed un impegno nuovi. Le proposte cui accennerò nascono non solo dall’esperienza di parroco e da tanti incontri con voi nelle diverse parrocchie, ma soprattutto dagli scambi di idee vissuti nella preparazione al Convegno, con il Cardinale, con il Consiglio dei Prefetti, con tanti amici preti, suore e laici. Non sono assolutamente esaustive, vogliono essere solo un contributo concreto per mostrare che esistono vie possibili. Le cose che dirò saranno già pane quotidiano per molti, ma condividerle insieme è molto importante. Pensate cosa vorrebbe dire se una famiglia comprendesse che quello che le viene donato nella sua parrocchia, viene donato in maniera altrettanto generosa in ogni comunità della nostra stessa diocesi! Sono comunque un contributo insieme ai tantissimi contributi che voi stessi offrirete domani nei Laboratori. A/ Un rapporto personale con tutti che renda possibile nel tempo l’“amicizia” Noi siamo felici quando siamo trattati non come numeri, ma come persone conosciute con il nostro nome, con la nostra storia, con la nostra vita. Uno dei drammi di una grande città come Roma è proprio quella della burocratizzazione di ogni rapporto, in particolare per le questioni amministrative, per cui fatichiamo a venir considerati come persone. Anche Internet tende a farci vivere rapporti virtuali, per i quali possiamo pensare che aver mandato ad uno un “mi piace” su FB o avergli inviato una mail, ce lo rende più vicino. Ebbene nel rapporto con i genitori niente vale quanto l’affetto personale. Uso apposta questa parola del gergo “affettivo”. Se il Vangelo è misericordia, si tratta di voler bene, di affezionarsi, di diventare intimi, di “addomesticarsi” l’un l’altro – direbbe il Piccolo principe. Papa Francesco pochi giorni fa, parlando di San Filippo Neri nel cinquecentenario della nascita, citava le fonti antiche su di lui: «San Filippo Neri si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici». Tutti riconosciamo in questo tratto anche la testimonianza di tanti parroci romani che sono stati nostri maestri – ripenso a don Tonino, il mio parroco di quand’ero ragazzo, ma lo stesso posso dire dei vice-parroci che mi formarono allora. Ogni viso era conosciuto, ogni incontro era un’occasione, ogni gioia o lutto un momento di famiglia. Come un catechista che non conoscesse i nomi dei suoi ragazzi sarebbe un disastro, oggi dobbiamo dire lo stesso di un catechista che non conoscesse i “nomi” dei genitori di quel ragazzo: questa è la conversione che ci attende. I nostri “santi”, sugli altari o meno, ci ricordano innanzitutto che noi siamo manchevoli se non viviamo questo rapporto personale e non ci spendiamo totalmente per i genitori dei nostri ragazzi. Si tratta di “esserci” semplicemente: non è una tattica, è la verità dell’affetto che passa da cuore a cuore e che nessun incontro comunitario potrà mai sostituire. Nessuno riesce ad ingannarci: noi capiamo subito se l’amore proclamato di qualcuno per noi è autentico o se per quella persona siamo solo uno dei tanti. Pensate anche, in questa prospettiva, all’importanza di esperienze come una due giorni fuori con i genitori, ad un pellegrinaggio a piedi, ad un campo estivo. L’anno scorso dicevamo che una due giorni fuori Roma con i bambini vale quanto un anno di catechesi, oggi lo 6 stesso diciamo del rapporto con i genitori. Non dovrebbe passare anno senza che abbiano una possibilità di stare con noi non solo a parlare, ma anche a camminare, giocare, mangiare insieme, diventare “più vicini”. Come possiamo crescere allora in questo? Come i catechisti stessi possono avvicinarsi ai genitori dei ragazzi approfondendo l’affetto, la conoscenza, il dialogo? B/ La domenica, giorno del riposo che ricrea e della famiglia Un secondo punto che vorrei sottolineare è il grande dono della Domenica che Dio ha fatto al mondo. Il cuore di questo incontro con i genitori è la domenica: lì sta o cade tutto. Quando ero parroco mi rendevo conto che le due obiezioni che i genitori avevano nel coinvolgersi nel Giorno del Signore erano: “Don Andrea, la settimana mi distrugge con i suoi ritmi, mi lasci almeno in pace la domenica e mi lasci riposare” e ancora “Don Andrea, durante la settimana non sto mai con la mia famiglia, non ho tempo per parlare con mia moglie e con i miei figli, mi lasci almeno la domenica per farlo”. Io rispondevo loro: “ Ti capisco benissimo ed hai ragione. Io aggiungo però che se tu non verrai a Messa con loro, tu non ti riposerai e non starai in famiglia! La Domenica serve esattamente per ciò di cui tu hai bisogno!”. Vedete, noi dobbiamo recuperare il valore della domenica. Le famiglie vivono domenica molto stressanti, andando ai centri commerciali o perdendo tempo ognuno individualmente con i suoi smartphone. Dobbiamo mostrare loro che a messa si entra stanchi e si esce ristorati, ricreati, dobbiamo mostrare che la messa aiuta a parlarsi fra marito e mogie, aiuta a fare la pace, aiuta a testimoniare la fede ed ogni cosa buona ai figli, aiuta a stare insieme. Eppure, a volte, la Messa viene proposta come un obbligo oltre alla riunione, obbligo che termina con il mese di maggio. Cosa possiamo fare perché l’anno liturgico sia la colonna portante di una proposta ai genitori che li ricrea e li aiuta a stare insieme? Questo è il punto determinante di un rinnovamento della catechesi in stile catecumenale. I catecumeni vivevano l’esperienza della liturgia ogni domenica. Certo non partecipavano ancora alla preghiera eucaristica, ma erano lì con gli altri. Pensiamo anche alla testimonianza del cammino neo-catecumenale: non c’è cammino senza eucarestia domenicale, anche per chi è peccatore! Senza la centralità della domenica, di ogni domenica, non si da alcuno stile catecumenale. Senza la domenica insieme, mai una proposta ai genitori diverrà una vera esperienza ed una esperienza ecclesiale. La messa, invece, se celebrata come il Signore vuole, li attira, piace loro, li aiuta, li rasserena, li nutre, li converte. Solo per fare qualche esempio, dato che siamo a giugno: non sarebbe possibile spostare la messa animata dalle famiglie dell’Iniziazione cristiana d’estate alle 19.00 la sera, in maniera da continuare ad incontrarsi anche d’estate? Non potrebbe essere la messa domenicale della sera parte costitutiva del GREST e degli oratori estivi? La prof.ssa Manna ci diceva che i cammini di catechesi finiscono a maggio ed, infatti, noi facciamo la festa di fine anno catechistico: ma l’estate non fa parte dell’anno catechistico? Ma, per guardare indietro e sempre a mo’ di esempio, non potrebbe un’attenzione maggiore all’anno liturgico far sì che la catechesi diventi un’esperienza proprio per genitori? Penso, solo per fare due esempi, al Giovedì Santo nella notte ed al Mercoledì delle Ceneri: ritrovarsi tutti insieme nella notte il Giovedì Santo, genitori e figli, anche solo per 10 minuti, o vivere in famiglia tutti il digiuno, impegnandosi alla carità, all’inizio della Quaresima non aiuterebbe ogni genitore a vivere più profondamente il tempo con lo sguardo di Dio? 7 L’anno liturgico è maestro di vita: lì troviamo il silenzio e la carità, il canto e la festa, Maria e i santi, e tutti i “misteri” del Signore! E le riunioni con i genitori non potrebbero essere sempre di domenica mattina, al termine della messa, in maniera da venire incontro alle loro esigenze, come suggeriva il Convegno dell’anno scorso? C/ La proposta di un itinerario per i genitori Se vogliamo crescere nell’attenzione ai genitori, nel desiderio di coinvolgerli, sarà bella e necessaria un’altra scelta. Affiancare al cammino dei bambini anche la proposta di un itinerario per genitori. Nei Laboratori si potrà discutere delle tante tipologie possibili – un cammino parallelo a quello dei figli, una scuola per genitori, un percorso di annunzio della fede – ma certo un itinerario con poro e per loro è una via maestra. Non si tratta tanto di un obbligo da imporre, quanto di una proposta in cui credere con tanta passione da parte della comunità, investendovi forze e creatività. I genitori sono spesso disponibili ad incontrarsi dopo la messa domenicale, con un calendario pre-fissato e con temi già stabiliti, ad inizio anno, mentre i figli possono fare altre attività in oratorio con i catechisti. Spesso sono loro a dirci: nella società non c’è una scuola per noi genitori, dopo i primi mesi del pediatra e nessuno ci aiuta ad esserlo, ci fa riflettere, ci dona contributi. Non si tratterebbe tanto di riunioni nelle quali spiegare loro le modalità del cammino dei figli, ma piuttosto di momenti formativi e di fraternità che li aiutino a crescere insieme proprio sui temi importanti per loro: l’essere genitori, il rapporto fra regole e libertà in famiglia, l’educazione agli affetti, il cristianesimo e il dialogo con le altre religioni. Io credo che i genitori percepiscano subito quando abbiamo qualcosa di bello e di importante da dire loro sulla vita. Lo ripeto: non si tratta di imporre qualcosa a tutti, ma di proporre qualcosa di molto bello in un orario che sia confacente alle loro necessità, come la domenica mattina. [Lo vediamo bene: i genitori ci chiedono questo! Non appena si offre loro un’occasione di riflettere sulle regole in famiglia, sull’educazione all’uso di Internet perché i ragazzi non vivano in un mondo virtuale – aumentano i segnali di allarme di esperti sul rischio che la virtualità alieni da zone sempre più ampie del reale - e perché si accorgano che Internet non è democratico, non appena li si aiuta ad accompagnare i ragazzi quando entrano nella fase turbolenta dell’adolescenza o quando le questioni della sessualità divengono esplosive, si vede che i genitori attendono un aiuto] L’anno scorso il Cardinale Vicario ci aveva detto: «Qualsiasi attività offerta alle famiglie non deve essere misurata sui tempi dell’Iniziazione dei figli, ma piuttosto nella visione di una semina, che sfugge ad ogni determinazione temporale e la cui efficacia dipenderà dalla capacità di farla percepire come un piacere da concedersi, e poi fiducia nell’opera dello Spirito Santo. Il Vangelo entra nei cuori per attrazione, non per dovere e secondo le scadenze di un calendario. Mi domando: non è forse il caso di mettere a tema una seria pastorale degli adulti?». Con i lavori di questo Convegno e con le proposte che nasceranno vogliamo rispondere a questo suo invito. L’anno scorso si sono aperti 16 itinerari di formazione dei catechisti nelle diverse prefetture. Sarebbe opportuno che nel II anno di queste scuole e nelle scuole che apriranno nelle prefetture che ancora non sono partite uno specifico stage di formazione riguardi proprio i catechisti e gli itinerari per i genitori dell’Iniziazione cristiana. Potrebbe essere utile anche preparare dei video per i genitori o far girare dei video già esistenti, come quelli che abbiamo già preparato sul sito www.catechistiroma.it e che sono disponibili sul Canale Youtube Catechistiroma con anche alcune playlist per temi di video presi in giro dal web? 8 D/ La proposta gioiosa della fede, della sua necessità, della sua bellezza I genitori amano certamente che li si aiuti ad essere genitori, ad orientarsi nel mondo in cui viviamo, ma a loro noi siamo debitori soprattutto della stessa fede. Guai a noi se non annunziamo loro la fede! Non possiamo lasciare niente di intentato in questo. Faccio anche qui un esempio della mia esperienza. Quando incontravo i genitori per la prima volta, avevo imparato che era bene da un lato spiazzarli, non dire loro quello che si aspettavano. E che, d’altro lato era bene dire loro subito ciò che era essenziale, ciò che era più bello, ciò che forniva il perché delle cose. Parlavo loro al primo incontro del bisogno di Dio. Gli dicevo: “Non voglio oggi parlarvi del fatto che dovrete portare i vostri bambini a Messa tutte le domeniche, perché se siete intelligenti – e lo siete – lo sapete già: che senso avrebbe prepararsi alla Comunione, senza andare a Messa? Quello che voglio dirvi è un’altra cosa: voi avete portato qui i vostri figli, perché sapete, anche se talvolta non chiaramente, che senza Dio si diventa più tristi e più cattivi. Noi abbiamo bisogno di una speranza, di una misericordia, più grandi. Perché i vostri figli pregano per voi? Perché sanno che c’è un Padre più grande dei loro genitori e che i padri in terra non basterebbero per essere felici! E perché non basta studiare la scienza, ma servono la morale e la fede? Perché la scienza non ci dice come diventare felici, qual è la nostra vocazione, se la vita ha un senso”. Ecco, come e quando, annunziare ogni volta di nuovo la fede nell’itinerario dei genitori a fianco dei figli? Possiamo proporre loro itinerari per la riscoperta della fede, come il Cammino neocatecumenale, i Dieci Comandamenti, gli itinerari dell’Azione Cattolica o delle Équipes Notre Dame, ma anche cammini pensati in parrocchia o nei palazzi, adatti alle esigenze di quel quartiere e di quelle persone. Dobbiamo forse proporre itinerari di grande impegno, ma anche itinerari semplici, adatti a tutti, con quello stile popolare a cui ci invita Papa Francesco. Itinerari cadenzati una volta al mese o nei grandi tempi liturgici. E/ Guardare il mondo con gli occhi dei piccoli Un altro ambito di proposte importantissimo viene dalle esigenze della carità. Educare alla fede è anche educare alla carità. Quindi, si tratta di coinvolgere i genitori a scoprire la carità, a scoprire che nei poveri si nasconde Gesù. Mentre educhiamo i ragazzi - alla sobrietà, a non essere viziati, a donarsi per il compagno in difficoltà, a rinunciare ai propri desideri per mettere da parte doni per i più poveri, a scoprire la bontà delle missioni cristiana nel mondo che vincono la povertà convertendo a Cristo e rendendo così le persone più capaci di costruire in maniera diversa il mondo, ad accogliere gli immigrati anche grazie alle cappellanie dei migrati ed alla collaborazione con loro - non possiamo trascurare i genitori. Anche per loro la scoperta dei “piccoli”, dei poveri, è la scoperta di un modo diverso di vivere la vita, di dare diverso peso alle cose, di concentrarsi cu ciò che vale, di imparare che non c’è gioia senza condivisione, di riscoprire che la coscienza obbliga alla carità, di riscoprire che la carità è annunzio del Vangelo. Vorrei solo riprendere un’esperienza vissuta da alcune parrocchie nell’anno pastorale passato, per domandare se iniziative come questa possano divenire impegno di tutti nell’anno prossimo. Su richiesta della Caritas si è pensato di proporre in Quaresima alle famiglie di recarsi dinanzi ai supermercati del quartiere per la raccolta alimentare a favore delle 9 Caritas. A volte queste iniziative sono proposte solo a chi è già operatore della Caritas, invece la Caritas ha il compito di animare la comunità perché tutti crescano nella carità. Alcune parrocchie hanno raccontato che tutti, genitori, nonni e bambini ed anche ragazzi adolescenti della Cresima, sono andati a chiedere dinanzi ai supermercati il cibo perché fosse poi distribuito dalla Caritas. Ed alla fine è stata un’esperienza molto arricchente. Sarebbe possibile che iniziative come questa potessero coinvolgere le famiglie di tutta la diocesi? E quali iniziative di carità e di educazione al servizio possono essere proposte alle famiglie dell’Iniziazione cristiana e non solo agli operatori che già da molti anni vivono questa dimensione? Fra l’altro, diverse sono le sensibilità delle persone e tanti i linguaggi della fede. Proprio l’esperienza ci dimostra che mentre per alcuni genitori un riavvicinamento alla Chiesa inizierà da una riunione o da un approfondimento biblico, altri si avvicineranno invece perché coinvolti in un’attività di servizio, in un lavoro fatto con le proprie mani a servizio degli altri o dell’oratorio. Sento forte il desiderio di condividere qui con voi anche il grido silenzioso delle famiglie con bambini disabili. Con d. Luigi D’Errico che è referente per il tema della catechesi con persone disabili, ci confrontiamo spesso sul fatto che nelle nostre comunità non ci sono tanti ragazzi disabili che ricevono la Comunione e la Cresima. Se partecipiamo ad una messa delle 10.00 domenicale, dove sono? Si vedono, ci sono, sono presenti? Perché spesso non sono con noi, per la loro gioia e per la nostra? Che belle quelle comunità dove genitori con figli disabili sono una ricchezza per tutti e l’incontro si cementa nella comune partecipazione alla domenica ed è assolutamente ordinario essere a messa tutti insieme. Pensiamo anche a quanto l’incontro di genitori di recente immigrazione con genitori che sono da sempre in Italia all’interno dello stesso cammino di Iniziazione cristiana possa aiutare a superare tanti pregiudizi ed essere fecondo per una piena integrazione. Non abbiamo bisogno di nuovi ghetti, ma di spazi di scambio vero in cui si comunichino liberamente le tradizioni di diversi paesi. Mi hanno raccontato di parrocchie dove il chiamare a testimoniare genitori filippini, sudamericani cinesi, o di altre nazionalità, o cristiani di Baghdad o della Siria, ha aiutato tantissimo i genitori dell’Iniziazione cristiana che ascoltavano la loro testimonianza. Papa Francesco ci ricordava nell’Evangelii Gaudium (EG 200) che le famiglie povere che bussano alle porte dell’occidente hanno bisogno di Dio, hanno bisogno dell’annuncio del Vangelo. Da arcivescovo di Buenos Aires aveva detto più volte che le famiglie povere sono un antidoto potente alla secolarizzazione! F/ I genitori protagonisti insieme ai ragazzi in oratorio Un altro ambito di proposte è quello dell’oratorio. Talvolta la mancanza di persone disponibili o scelte pregresse, hanno fatto sì purtroppo che gli spazi parrocchiali vengano appaltati a gruppi esterni, siano essi sportivi o teatrali, così come palestre e così via. Il coinvolgimento progressivo dei genitori, a partire dalle famiglie con bambini piccoli che hanno bisogno di spazi di verde, mostra invece possibilità diverse. Dove l’oratorio è saldamente in mano alla parrocchia, ecco che esso diventa un luogo di educazione, dove genitori e ragazzi possono crescere insieme. Straordinaria è l’esperienza dei GREST, degli ORES, ecc., di tante parrocchie: in queste esperienze estive crescono insieme i ragazzi che sono già Confermati e che scoprono il servizio, i bambini dell’Iniziazione cristiana e tanti nonni e genitori che si mettono a disposizione. Come far sì che queste esperienze coinvolgano sempre più i genitori ed i nonni? Come far sì che divengano sempre più esperienze di fede, mettendo al centro l’Eucarestia domenicale, come si diceva in precedenza? 10 Un parroco mi raccontava che quando si è accorto che i papà partecipavano meno delle mamme – come diceva anche la prof.ssa Manna – ha chiesto ai papà di diventare Orsi di San Corb iniano (un orso aiutò San Corbiniano a giungere in pellegrinaggio a Roma). Spesso i papà si avvicinano prima con un lavoro concreto, con la costruzione di qualcosa in oratorio, e solo poi giungono ad una lectio divina o ad una riunione sul magistero della Chiesa, a differenza delle donne! G/ Aiutare i genitori a scoprire che la fede si fa cultura e che la cultura è aperta alla fede Vorrei infine sottolineare un settimo ambito di proposte di cui i genitori hanno sicuramente bisogno, quello della riscoperta del loro ruolo culturale e laicale. La cultura moderna talvolta spinge i genitori a ritenere che la fede sia da deprezzare, perché non ha dignità culturale. Papa Francesco, invece, in Evangelii Gaudium, ricorda che la bellezza delle fede si manifesta proprio nella sua capacità di promuovere una diversa visione della vita: l’annunzio si impoverirebbe se non si parlasse delle dimensioni pubbliche e sociali che esso comporta. Il Papa stesso ha detto recentemente che dobbiamo riscoprire i Promessi sposi perché spiegano ai nostri ragazzi che cosa è il fidanzamento. Alcune esperienze romane recenti, come i Cinque Passi della Chiesa Nuova o come gli incontri con il prof. Nembrini su Dante e sull’educazione che hanno visto la partecipazione di tante persone e di tanti orientamenti diversi, così come tante esperienze di tante parrocchie, ci indicano che possiamo crescere nel proporre ai genitori anche una maturazione culturale, perché possano, fra l’altro, accompagnare meglio i figli nel percorso scolastico. Pensiamo anche ai Dialoghi in cattedrale o alle Letture teologiche organizzate da mons. Leuzzi e dalla pastorale universitaria. Queste iniziative sono diventate dei veri e propri percorsi di annunzio e di approfondimento della fede – si pensi alla Divina Commedia come itinerario di riscoperta del dramma della vita e della presenza di Dio che salva. Si pensi anche ad itinerari di pellegrinaggio ed arte e fede che diverse parrocchie propongono a tanti e che potrebbero essere rivolti specificamente ai genitori dell’Iniziazione cristiana. La dott.ssa Manna ci ricordava che c’è desiderio ed, anzi, richiesta esplicita di questo. Ed il Cardinale ci diceva proprio qualche minuto fa che quando pensiamo agi genitori, agli adulti, dobbiamo domandarci se li stiamo aiutando ed educando a vivere la loro responsabilità laicale, ad andare a Dio con il mondo in cui vivono. Quali proposte è possibile ipotizzare di modo che, almeno in ogni prefettura, ci sia qualcosa che stimola i genitori alla riscoperta del loro ruolo culturale e li coinvolga in questa direzione? Conclusione Voglio concludere con una parola sulla gioia. G.K. Chesterton scrive di un suo personaggio, in cui non è difficile intravedere sua moglie: «Il suo silenzio era un applauso ininterrotto». Un applauso ininterrotto alla meraviglia della vita, perché tutto riceviamo senza merito, dalla vita alla Nutella, dal Battesimo all’estate che si avvicina. Voler camminare insieme alle famiglie, voler condividere con loro il Vangelo, ha senso perché abbiamo capito la bellezza della vita. I nostri silenzi e le nostre parole sono un applauso ininterrotto, nascono dalla gioia di chi dice: vieni anche tu, ne vale la pena, ti trasmettiamo la fede, perché l’abbiamo ricevuta e non abbiamo parole per dire perché proprio a noi sia capitata una cosa così grande. E la gioia di vivere e di essere cristiani dei genitori sarà quell’applauso che conquista i loro figli. 11