Quando la deforestazione annienta una civiltà. Il mistero dell`isola di

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Quando la deforestazione annienta una civiltà. Il mistero dell`isola di
 Comunità Montana dei Monti Martani,
Serano e Subasio Quando la deforestazione
annienta una civiltà.
Il mistero dell’isola di Pasqua
La deforestazione è una tecnica da sempre usata
dall’uomo
al
fine
di
creare
spazi
utili
all’agricoltura, all’allevamento e alla nascita di
nuovi spazi urbani. Ma il legno proveniente dalle foreste è stato inoltre usato per costruire abitazioni,
navi, armi e tutto ciò che poteva essere utile ad un determinata cultura. Questa pratica è stata gestita in
modo diverso a seconda delle civiltà che ne hanno fatto ricorso. La popolazione che forse, più di altre,
ha estremizzato l’uso della deforestazione fino ad arrivare alla propria estinzione è quella che ha
abitato per secoli l’Isola di Pasqua.
Nella domenica di Pasqua (da qui il nome dell’isola) del 1772, l’olandese Jakob Roggeveen fu il primo
europeo a sbarcare su questo lembo situato nel mezzo dell’Oceano Pacifico, distante 3.600 Km dalle
coste cilene e 2.075 Km dalle Isole Pictairn. In realtà già nel 1687 l’sola sarebbe stata avvistata dal
pirata inglese Edward Davis, ma questo non vi sbarcò mai. Quando l’esploratore olandese sbarcò
sull’Isola, gli indigeni versavano in condizione di quasi completa indigenza, erano sulla soglia
dell’estinzione, dediti al cannibalismo, e vivevano tra le rovine dei grandi Moai, completamente
distrutti o parzialmente abbattuti. Un’isola che doveva essere rigogliosa, ricoperta di lussureggiante
vegetazione, si presentava invece come una piana desolata, costituita per lo più da aride praterie,
cespugli di felci, poca erba stentata, e rarissimi alberi non più alti di tre metri.
Cos’era avvenuto quindi su quell’isola?
Una domanda che nei secoli ha spinto molti studiosi a dare una risposta e che ha acceso
l’immaginazione di molti. La teoria più concreta sembra però essere quella connessa al
disboscamento dell’isola. Innanzitutto va detto che a colonizzare questo sperduto pezzo di terra furono
alcuni coloni di origine polinesiana vi si insediarono nel 900 d.C. Questi abbatterono i primi alberi al
fine di procurarsi il proprio spazio vitale, utile per la costruzione di abitazioni e per la coltivazione di
terreni agricoli. Il legno in un primo momento servì anche per alimentare il fuoco, costruire
Comunità Montana dei Monti Martani,
Serano e Subasio imbarcazioni per la pesca e per realizzare utensili vari. Fin qui si comportarono quindi come qualunque
altra civiltà che trasformava l’ambiente circostante al fine di soddisfare i propri bisogni. In seguito
però vi fu un uso spregiudicato della deforestazione dovuto soprattutto al forte incremento
demografico della popolazione e alla rivalità che si accese tra i diversi clan. Questa competizione si
concretizzava nella realizzazione di enormi statue di pietra chiamate moai. Ogni clan iniziò dunque
una corsa alla pietra, da utilizzare per scolpire queste opere. Ma come può l’eccessivo uso di pietra
aver avuto conseguenze dirette e negative sulla quantità di alberi presenti sull’isola? Semplice. La
pietra veniva estratta presso lacava di Rano Raraku, dove la stessa veniva lavorata per realizzare le
statue. Queste una volta pronte dovevano però essere trasportate per essere erette su piattaforme,
chiamate ahu, molto distanti dal luogo della lavorazione.
Mancando gli animali da tiro, gli abitanti dell’Isola di Pasqua al fine di trasportare le statue usarono
quindi i tronchi degli alberi come una specie di rulli, utili a far scivolare i moai fino a destinazione.
Per cui più statue si facevano e più alberi venivano abbattuti. Questo ciclo di spreco portò nel tempo
alla completa deforestazione dell’isola. Cominciò quindi anche il declino della società. Gli abitanti si
ritrovarono senza più legna da ardere e fu impossibile anche costruire navi più grandi che
permettessero di abbandonare l’isola. Inoltre, la scarsità delle risorse innescò violente guerre tra i
clan, combattute non più attraverso la costruzione della statua più grande, ma con l’uso delle armi e
della violenza. Il declino fu quindi inarrestabile. Nel 1872 si contavano solo 111 sopravvissuti
appartenenti a quell’antica civiltà polinesiana che secoli prima aveva abitato l’isola. Uno sparuto
gruppo di persone se pensiamo che durante il suo massimo sviluppo l’Isola di Pasqua contava 30.000
abitanti.
La storia degli abitanti dell’Isola di Pasqua conferma ancora una volta che la cattiva gestione delle
risorse naturali può portare a conseguenze drammatiche, come addirittura il declino e l’estinzione di
un’intera cultura. Lo stesso errore fatto dalla popolazione dell’Isola di Pasqua fu commesso in realtà
anche dai Romani che al fine di soddisfare i bisogni alimentari della crescente popolazione
dell’Impero disboscarono vaste aree del Nord Africa al fine di ricavarvi grandi coltivazioni di cereali.
Quelle stesse zone che oggi noi vediamo circondate dal deserto non sono quindi state sempre così.
Una volta a dominare in quei posti non era il giallo della sabbia, ma il verde di rigogliose foreste, che
la cattiva gestione dell’uomo ha annientato per sempre.