Narrazione e identità politica. - Dipartimento di Scienze sociali e

Transcript

Narrazione e identità politica. - Dipartimento di Scienze sociali e
WWW.SOCIOL.UNIMI.IT
Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Università degli Studi di Milano
Working Paper 3/07
Narrazione e identità politica.
Quanto conta costruire una ‘buona’
narrazione in una campagna elettorale?
Cinzia Bianchi
WWW.SOCIOL.UNIMI.IT
Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Facoltà di Scienze Politiche,
via Conservatorio 7 - 20122
Milano - Italy
Tel.: 02 503 18801
02 503 18820
Fax: 02 503 18840
E-mail: [email protected]
Narrazione e identità politica: quanto conta costruire una
“buona” narrazione in una campagna elettorale?*
Cinzia Bianchi
Per iniziare il mio intervento, vorrei preliminarmente rispondere alla domanda
posta nel titolo. Se per “buona narrazione” si intende un racconto coerente di un
progetto politico coerente, che si propone di spiegare gli obiettivi da raggiungere e
su cui si chiede il voto agli elettori1, direi che l’ultima campagna elettorale italiana
ci porta a formulare una risposta negativa. Non sembra che questa sia la mossa
vincente per prevalere in una campagna elettorale, anche se poi si riesce a vincere
le elezioni, per effetto della legge elettorale e di alcune altre ragioni che i
politologi considerano piuttosto indipendenti dalla singola campagna elettorale.
Insomma, se siamo propensi a pensare che una “buona” campagna elettorale sia la
causa della vittoria elettorale, le elezioni politiche del 2006 sembrano invece
confermare che una narrazione basata sullo scontro, sulle frasi ad effetto e
sull’utilizzo di alcune tecniche persuasive come quelle di Berlusconi, sia tutto
sommato vincente. Anche se poi Berlusconi non ha vinto le elezioni, è però chiaro
a tutti che sia il vincitore della campagna elettorale2.
*
Una precedente versione di questo paper è stata presentata al XXXIV Congresso
dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici Narrazione ed Esperienza. Per una semiotica della
vita quotidiana Arcavacata di Rende (Cosenza), 17-19 novembre 2006.
1
Valentina Pisanty contrappone due tipi di narrazioni identitarie proprie del discorso politico: una
“narrazione del compito difficile”, in cui l’obiettivo del Soggetto NON è principalmente quello di
lottare contro l’avversario, se non limitatamente al fatto che quest’ultimo gli impedisce di
raggiungere il suo obiettivo; e una “narrazione dello scontro” tra il Soggetto e un Antisoggetto, in
cui l’obiettivo da perseguire cade in secondo piano. (paper in corso di pubblicazione)
2
Cfr. al proposito il recente libro Dov’è la vittoria? (Il Mulino, 2006) a cura di ITANES (Italian
National Election Study) in cui si sostiene proprio che il vincitore delle elezioni (Prodi e la
coalizione del Centro-sinistra) non è il vincitore della campagna elettorale.
1
Cercherò nelle prossime pagine di spiegare in modo più articolato questa
mia risposta, partendo però da una premessa teorica.
1. Introduzione
Si potrebbe infatti iniziare un intervento a un convegno di semiotica sulla
campagna elettorale partendo da una definizione di cosa sia la comunicazione e il
discorso politico, quali siano le sue categorie, i suoi confini e le sue pratiche,
constatando come tale tipo di discorso si sia evoluto, vista anche la sempre
maggiore sovrapposizione con altre forme discorsive (il marketing, la pubblicità,
ma anche il linguaggio televisivo e, ovviamente, l’informazione). E questo
sarebbe un modo a noi semiologi più consono di affrontare questo tipo di
argomento.
Seguiremmo in definitiva la linea tracciata da uno dei saggi semiotici più
importanti sull’argomento, scritto da Paolo Fabbri e Aurelia Marcarino più di 20
anni fa3 a cui sono seguiti, in tempi più recenti, i lavori sociosemiotici di Eric
Landowski e di molti altri che, spesso indagando oggetti e discorsi limitrofi, come
la guerra, i conflitti e il “pensiero strategico”, hanno dovuto tener conto del
discorso politico4. Vale la pena ricordare anche molte altre analisi di forme testuali
specifiche come i manifesti, i dibattiti televisivi, o gli spot elettorali5.
3
P. Fabbri, A. Marcarino, “Il discorso politico”, in Carte semiotiche, 1, 1985.
4
Cfr, in particolare E. Landowski, La société rèfrèchie. Essais de socio-sémiotique, Seuil, Paris,
1989 (tr. it. La società riflessa, Meltemi, 1999): Présence de l’Autre. Essais de socio-sémiotique
II, Puf, Paris, 1997; P. Fabbri, F. Montanari, “Semiotica della comunicazione strategica”, in L.
Bozzo (a cura di) Studi di strategia, Angeli, 2001. Un’interessante ricostruzione dell’evoluzione
dell’interesse semiotico nei confronti del discorso politico si trova in G. Marrone, Corpi sociali:
Processi comunicativi e semiotica del testo, Meltemi, 2001, cap. 5.
5
Cfr. in particolare: P. Guarino e I. Pezzini “I manifesti elettorali. Le legislative del 2001” in A.
Semprini (a cura di), Lo sguardo sociosemiotico (Angeli, 2003); I. Pezzini, Lo spot elettorale
(Meltemi, 2001). Molti altri contributi semiotici sul discorso politico in momenti di campagna
elettorali sono stati radunati in tre antologie curate da M. Livolsi e U. Volli per Franco Angeli: La
comunicazione politica tra prima e seconda repubblica (1995); Il televoto (1997);
Personalizzazione e distacco (2000).
2
Tornando al lavoro di Fabbri-Marcarino, colpisce, se così si può dire, l’attualità
del saggio che contiene tutte le questioni fondamentali della semiotica del
discorso politico: il problema della costruzione dell’oggetto “discorso politico”
nel quadro più generale di una tipologia dei discorsi “naturali”; la metodologia di
analisi che si può utilizzare; la necessità di considerare il discorso politico come
“discorso in campo” (e pensiamo a questo proposito ai lavori di Landowski sulla
“scena politica” e la sua teatralità) da cui deriva l’idea della strategia politica,
composta da parole e da atti pragmatici, mosse, tattiche, ma anche da strategie
narrative, enunciative e non per ultimo passionali.
Già prendendo come riferimento questo saggio sarebbe sicuramente
possibile, e forse anche utile, richiamare in modo critico tutti gli argomenti che
una semiotica dovrebbe affrontare per analizzare il discorso politico nella sua
complessità e anche dire qualcosa di sensato su una specifica campagna elettorale.
Vorremmo però in questo intervento iniziare da un altro punto di vista, più
esterno alla disciplina semiotica, cioè dalle riflessioni dei politologi per mostrare
come alcune caratteristiche della politica da loro individuate incentivino l’analisi
semiotica di singoli testi, frammenti testuali, di corpus più ampi e, in prospettiva
socio-semiotica, aiutino a “ricostruire i criteri generali attraverso i quali una
determinata società considera un’attività come strettamente politica e un’altra
impolitica” (Marrone, 2001, p. 234).
Vorremmo
poi
fare
alcuni
accenni
alla
questione
dell’identità,
dell’identificazione e dell’appartenenza politica, su cui molto hanno scritto
antropologi, sociologi, politologi. Infatti, la questione dell’elezione politica è
sempre strettamente collegata al problema dell’identificazione e dell’appartenenza
politica: non c’è, si ripete da più parti, il passaggio all’atto pragmatico di apporre
il proprio voto sulla scheda elettorale se non c’è una qualche forma di
identificazione con il partito o la coalizione che si va votando, oppure una qualche
opportunità espressa attraverso quel voto. Vedremo meglio questo punto.
In buona sostanza, la recente campagna elettorale viene da me presa ad
esempio di cosa sia oggi la comunicazione politica perché in essa si possono
3
ritrovare tutti quegli elementi che vengono ormai da almeno un decennio indicati
dagli studiosi di comunicazione politica, italiani e stranieri, come caratteristici
dell’attuale situazione6.
2. Le caratteristiche della comunicazione politica
Quali sono allora le caratteristiche della politica odierna?
L’essenza della comunicazione politica è sempre risieduta nello scontro di
idee e nella ricerca del consenso in un contesto competitivo, ma la negatività di
tale scontro sembra essere, ci dicono i politologi, una caratteristica piuttosto
recente. A ciò poi vanno aggiunte altre caratteristiche piuttosto importanti per il
nostro discorso come il fatto che ci sia una sorta di campagna elettorale
permanente (o comunque i tempi della campagna elettorale si sono allungati
sempre più e aldilà delle date ufficiali di inizio e fine della campagna stessa).
Pensiamo appunto alla campagna elettorale 2006 che non si sa realmente
quando è iniziata (già da gennaio la presenza di Berlusconi su tutti i canali fino
all’ora dell’inizio ufficiale della campagna elettorale) e quando è finita (la storia
dei brogli7, delle elezioni del Presidente della Repubblica, il referendum
costituzionale), anche se è evidente a tutti noi che non è finita con la chiusura dei
seggi e il conteggio delle schede elettorali. Il fenomeno della campagna elettorale
permanente non è specifico del nostro sistema politico, ma da noi tutti gli elementi
propri del discorso politico sembrano accentuarsi maggiormente che altrove, per
specificità e anomalie del tutto peculiari.
Alla campagna elettorale permanente e collegata a questa, si identificano
6
Tra tutti i contributi, cfr. in particolare G. Mazzoleni, La comunicazione politica, il Mulino,
1998.
7
Come ultima (?) coda della polemica sui brogli elettorali possiamo ricordare il documento-
inchiesta Uccidete la democrazia! curato da Beppe Cremonini e Enrico Deaglio (regia di R. H.
Oliva) che era stato preceduto da un instant book di fantapolitica di Agente Italiano intitolato Il
broglio (Aliberti editore, 2006).
4
altri
elementi
caratteristici
dell’attuale
comunicazione
politica:
una
professionalizzazione della politica, basata sul contributo di consulenti,
sondaggisti e professionisti del marketing; una personalizzazione della politica,
con le figure dei leader, sempre più un punto di riferimento intorno ai quali ruota
l’intera scena politica; una mediatizzazione del discorso politico.
Non mi vorrei soffermare troppo sul ruolo dei media nell’ambito sociale,
poiché il loro potere è ormai riconosciuto da pressoché tutti gli studiosi di media
studies. E un autore come Roger Silverstone risponde alla domanda “Perché
studiare i media?”,8 dicendo che c’è il “bisogno di capire quanto sono potenti nella
vita quotidiana, nella strutturazione dell’esperienza, in superficie e in profondità”
(p. 223). Facendo un’aggiunta molto gradita a noi semiologi, sostiene che in
particolare bisogna studiare “i testi dei media”, con gli strumenti e rivolgendo loro
le stesse domande che rivolgiamo ad altri tipi di testi. “Il fatto che si tratti di testi
popolari, in un certo senso ubiqui e effimeri, non toglie interesse a questo tipo di
indagine; al contrario permette l’uso di strumenti di analisi che sono già stati
utilizzati con buoni esiti altrove. Occorre capire come lavorano i media, cosa ci
offrono e in quale maniera”(p. 59).
E, per tornare in specifico al discorso politico, Silverstone sostiene che:
“mentre un tempo avremmo potuto pensare ai media come a un
complemento del processo politico, a un servitore di governi e partiti, al
tempo stesso come a un fastidio e un guardiano (il “quarto potere”), oggi
dobbiamo porci di fronte ai media come a soggetti fondamentalmente
inscritti nel processo politico stesso: la politica, come l’esperienza, non può
più neppure essere considerata fuori da un contesto mediale” (p. 223).
Se quindi politica e media di massa sono così collegati, l’altro elemento
portante del discorso politico è il populismo, cioè il richiamo generico alla
“gente” e, per usare le parole di Eco9, “l’appello diretto al popolo (o la presunta
8
R. Silverstone, Why Study the Media?, Sage Publication, 1999 (tr. it Perché studiare i media?, Il
Mulino, 2002).
9
Umberto Eco, A passo di gambero, Bompiani, 2006.
5
interpretazione della volontà popolare) fatto dal vertice” (p. 143). In particolare si
dovrebbe parlare di “populismo mediatico” che, secondo Eco, è un regime nel
senso più neutro possibile come forma di governo, “dove tra il Capo e il Popolo si
pone un rapporto diretto, attraverso i mezzi di massa, esautorando così il
parlamento”(pp. 141-142).
“In un regime mediatico, continua Eco, dove il dieci per cento della
popolazione ha accesso alla stampa di opposizione, e per il resto riceve notizie da
una televisione controllata, da un lato vige la persuasione che il dissenso sia
accettato (‘ci sono giornali che parlano contro il governo, prova ne sia che
Berlusconi se ne lamenta sempre, quindi c’è libertà’), dall’altro l’effetto di realtà
che la notizia televisiva produce, […] fa sì che si sappia e si creda solo quello che
dice la televisione. Una televisione controllata dal potere non deve
necessariamente censurare le notizie. [Ci sono tentativi, ma] il problema è che si
può instaurare un regime mediatico in positivo, avendo l’aria di dire tutto” (pp.
137-138). In buona sostanza, conclude Eco, “un regime mediatico non ha bisogno
di mandare in galera gli oppositori. Non li riduce al silenzio censurandoli, bensì
facendo sentire le loro ragioni per prime” (p. 139) dal momento che in televisione
ha ragione chi parla per ultimo.
Al di là dei media e del comportamento dei politici, l’altro punto importante
riguarda ciò che i politologi chiamano la “ricezione frammentata” della
comunicazione politica così collegata alla diversificazione “centrifuga” e alla
moltiplicazione dei canali di comunicazione. Questo è importante per noi perché
ci permette di fare una riflessione anche più strettamente semiotica e
metodologica.
Vorrei collegare cioè questa constatazione sulla ricezione a ciò che Maria
Pia Pozzato sostiene alla fine del suo intervento nel libro di Demaria su semiotica
e memoria10. Pozzato parlando di un fenomeno piuttosto variegato ed eterogeneo
come il terrorismo, dice:
10
Maria Pia Pozzato, “Postfazione” a Cristina Demaria, Semiotica e memoria, Carocci, 2006.
6
“… è facilmente prevedibile che la leggibilità globale dei fenomeni verrà
progressivamente sempre meno. A maggior ragione, quindi, sarà importante
riconsiderare l’effabilità locale dei testi: discorsi, documenti, testimonianze,
immagini che la semiotica, per sua propria vocazione, ha gli attrezzi giusti
per analizzare”(p. 205).
Così, come suggeriva anche Silverstone, l’analisi testuale può sicuramente
fare
presa
sull’odierno
discorso
politico.
La
sua
frammentazione,
le
sovrapposizione di sincretismi e discrasie dei discorsi sociali che hanno come
oggetto la politica, di cui sociologi e politologi hanno sentore, permette agli
strumenti semiotici di ampliare ed approfondirne la portata, favorendo quel
processo di verifica e riflessione sugli strumenti semiotici stessi (un tipo di
riflessione a cui la teoria semiotica tiene sempre molto) e al contempo permette di
aggiungere ulteriori tasselli interpretativi al fenomeno che si sta trattando.
3. Esempi di analisi semiotica
Possiamo quindi fare cenno ad analisi che potrebbero sicuramente essere
approfondite, a frammenti, eventi specifici della campagna elettorale intesi come
esempi del fenomeno della comunicazione politica e dell’informazione. Facendo
questo compiamo un’operazione attraverso la quale consideriamo più significativi
questi esempi di altri per rendere ragione di un evento durato appunto mesi (ma su
questo aspetto torneremo tra breve). Ecco appunto alcuni esempi:
a)
Prendiamo la trasmissione In mezz’ora del 12 marzo 2006, su
RAITRE condotta da Lucia Annunziata il cui ospite era Silvio Berlusconi e che si
concluse anticipatamente con l’uomo politico che lascia lo studio insultando la
conduttrice. Questo frammento televisivo può essere affrontato analizzando
sequenza per sequenza, domanda dopo domanda, per cercare dove si è annidato lo
scontro tra i due attori, ma può essere anche affrontato ponendo lo sguardo sulla
“crescita patemica” dello scontro, uno scontro non paritario tra politici ma tra un
portavoce “forte” del discorso politico e uno altrettanto “forte” del discorso
7
giornalistico11. Le domande a cui si è cercato di dare risposta nei giorni
immediatamente successivi, con commenti, articoli ed editoriali, erano le
seguenti: Berlusconi se n’è andato o è stato cacciato dallo studio? Chi aveva
ragione? Chi è il padrone di casa in una trasmissione, l’ospite o il conduttore? E
così via. Tutte domande interessanti poiché, rispondendo a queste, si può ampliare
la riflessione e considerare l’evento come un ulteriore tassello del rapporto tra
media e politica di cui abbiamo parlato precedentemente. Ma mi sembra
interessante spostare leggermente il punto di vista, e vedere come la vicenda sia
stata riproposta dai telegiornali della domenica sera e del giorno dopo (12 e 13
marzo 2006)12. Devo dire che, a differenza di ciò che hanno fatto spesso durante la
campagna elettorale, i telegiornali non hanno mostrato particolari differenze di
impostazione della copertura dell’evento; hanno raccontato l’accaduto, hanno
11
Dopo alcune domande “scomode” di Lucia Annunziata sullo scandalo del Laziogate, sul
fatturato pubblicitario di Mediaset e Rai, sulla libertà dei giornalisti, Berlusconi esordisce dicendo:
“Mi fa dire qualcosa che può interessare agli Italiani? Adesso le dico io che cosa… Vorrei che lei
mi domandasse perché gli elettori devono votare per noi e non per la Sinistra!”. Segue un
battibecco tra i due con accuse varie (partigianeria, violenza, maleducazione) e poi la giornalista
dice: “Vorrei avere il privilegio di essere una persona che con lei riesce a fare delle domande…
ricevendo delle risposte” e poi “Resta il fatto che le domande qui in casa mia le faccio io”.
Berlusconi ribatte: “Credevo che questa fosse la casa della RAI, di tutti gli Italiani… Mi domanda
che cosa ha fatto il Governo in questi cinque anni? Mi domanda che cosa ha intenzione di fare nei
prossimi cinque?”. Annunziata: “Ci arriviamo, Presidente.” Belusconi: “Quando? Alla fine della
trasmissione?” Annunziata: “Mancano ancora 15 minuti…” E poi dopo qualche altro minuto di
colloquio riguardante Montezemolo e la Confindustria si consuma lo scontro finale: Berlusconi: “
Se non mi lascia rispondere, io mi alzo e me ne vado!”; Annunziata: “Lei non può dire ‘Mi alzo e
me ne vado’”; Berlusconi: “Io mi alzo e me ne vado e questo rimarrà come una macchia nella sua
carriera professionale” e poi, già in piedi: “Lei ha illustrato bene come si comporta una persona
che ha pregiudizi e sia di sinistra. Le posso dire una cosa: deve avere un po’ di vergogna per come
si è comportata” a cui Annunziata ribatte con “Lei non sa parlare con i giornalisti!”
12
Sono interessanti in particolare i telegiornali della sera del 12 marzo perché fanno un resoconto
anche dei commenti pomeridiani dell’allora Presidente del Consiglio che, durante un raduno di
Forza Italia a Pescara, proietta la registrazione della trasmissione aggiungendo: “Avete visto come
io sia stato sempre educato e come abbia anche subito il sovrapporsi della Signora a tutte le
domande che davo. Poi voi non avete avuto modo di vederla mentre rispondevo perché continuava
a farmi segni, a scuotere la testa, insomma cercava di mettermi in condizione di difficoltà.
Naturalmente è molto difficile riuscirci!”
8
mostrato gli ultimi due minuti del colloquio-scontro e poi eventualmente hanno
aggiunto un commento. Ciò di cui però non potevano rendere conto è proprio il
crescendo patemico che inizia praticamente dopo solo alcuni minuti di
trasmissione e instaura subito due livelli del discorso: un primo di risposta a
domanda e l’altro che mira a far prevalere da parte di entrambi gli attori il proprio
discorso sull’altro. O meglio, i telegiornali avrebbero potuto “raccontare”,
“narrativizzare” non solo il “fattaccio” ma anche le passioni messe in gioco,
collegate in questo caso a un gioco di potere. Quando si parla di
passionalizzazione
della
politica
bisognerebbe,
lo
sappiamo,
lavorare
analiticamente anche all’intersezione tra discorsi e alla loro sovrapposizione. Non
solo
parlare
di
come
un
discorso
cerchi
di
coinvolgere
l’elettore
(spettatore/lettore) sulla passione o sulla ragione espressa dagli attori politici.
Esempio di questa classica opposizione tra ragione e passione che emerge in
politica è costituita dai consigli che la signora Prodi e la signora Berlusconi
elargiscono ai loro consorti prima del secondo faccia a faccia del 3 aprile (La
Repubblica, 2 aprile 2006). Il consiglio di Flavia Prodi è “Spiega, spiega, spiega”
che si contrappone a quello di Veronica Berlusconi che consiglia “Sii te stesso, sii
istintivo, coinvolgi gli elettori così come sai fare tu”.
Noi semiologi lo sappiamo, bisogna rendere ragione anche del livello
patemico del discorso in quanto tale, al di là del contenuto specifico in
discussione. E’ rilevante da questo punto di vista che si stesse parlando della
pubblicità su Mediaset e sugli affari delle aziende di Berlusconi? Forse no, lo
scontro e la rottura si sarebbero potuti consumare su un qualsiasi altro argomento
perché a prevalere in quel momento era un’altra logica. Per i TG è stato
impossibile “rendere ragione” di quel pezzo di tv perché in questo caso il livello
passionale e narrativo si intersecano e prevale il primo come motore della rottura,
questa sì narrativa tra i due.
b) Altro esempio. Il racconto degli speciali del pomeriggio-sera del lunedì
del 10 aprile durante i quali i risultati elettorali, tra sondaggi, exit poll e dati dal
Viminale, sono cambiati continuamente, con i conseguenti commenti e
valutazioni sbagliate da parte di politici, commentatori e militanti politici che
9
mostravano, ad ogni cambiamento dei dati, il loro coinvolgimento passionale
positivo o negativo a seconda dell’appartenenza politica13. Ovviamente in tutta la
campagna elettorale i sondaggi hanno avuto una grossa importanza e, come
sottolinea Gianfranco Marrone in Corpi sociali, “al di là del valore effettivo di
quei sondaggi, o dei metodi adoperati per raccoglierli, quel che è importante è il
teatro strategico di simulazione e di controsimulazione che [un dato] uomo
politico, nell’atto di parlarne, mette in atto” (p. 232).
Ma ciò che emerge dall’analisi del pomeriggio (sera e notte) post-elettorale
è che si è creato un senso di veridicità dovuta all’uniformità dei dati dei sondaggi
che riconoscevano da ormai diverse settimane la vittoria al Centro-sinistra. In
questo caso sarebbe interessante approfondire la questione dell’estrema
autoreferenzialità dei sistemi di previsione (se tutti gli istituti di ricerca hanno gli
stessi dati o dati simili, allora quello è il dato “vero”!) da cui deriva la costruzione
di effetto di verità. Gli exit poll stavano confermando i sondaggi precedenti e
quindi i dati si sono, per così dire, “auto-verificati”. Ma oltre a questo c’è
effettivamente anche un valore che comunemente si riconosce al dato statistico,
che sia ovviamente più veritiero di un’opinione. Infatti dodici ore di televisione si
sono basati su questa convinzione ben radicata nel nostro comune percepire il
mondo: politici, commentatori e gente comune ha vissuto passionalmente queste
discrasie tra dato aspettato (e sperato) e dato reale, una situazione ben evidenziate
da Ballarò dell’11 aprile con un bel servizio di apertura della trasmissione, un
buon esempio di sintesi degli umori collettivi14.
Quindi questo esempio può essere riletto in chiave semiotica sottolineando
l’importanza del dato, del numero, dell’orizzonte di verificabilità su cui siamo
propensi a basare le nostre percezioni e passioni15.
13
Per un’analisi dei sondaggi e dei metodi usati per la rilevazione, cfr. R. Mannheimer, P. Natale,
L’Italia a metà, Cairo Editore, 2006.
14
In verità questo servizio viene trasmesso dopo circa un quarto d’ora di trasmissione, dopo
l’apertura dedicata alla cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano con una intervista a Pietro
Grasso, procuratore generale della Direzione Nazionale Antimafia.
15
Interessante da questo punto di vista una battuta di un militante del Centro-sinistra che intorno
alle 23, quando ormai disperava sulla vincita della propria coalizione, dichiara molto deluso: “
Credevamo nei sondaggi di oggi pomeriggio, ma la realtà è un’altra!”
10
c) Altro esempio: i due faccia a faccia Prodi-Berlusconi del 14 marzo e 3
aprile 2006. Molto si è parlato delle regole del faccia a faccia e la domanda
principe è stata: chi ha vinto e chi ha perso? E qui le risposte sono state
ovviamente molto diverse. Quello che a noi potrebbe interessare riguarda il
tentativo di neutralizzazione sia del discorso televisivo (regole su tutto il
linguaggio filmico, i giochi di telecamere, il montaggio in diretta, i punti di vista,
ecc. per riportare la televisione a mero mezzo di diffusione) sia del discorso
giornalistico (i giornalisti ponevano domande identiche ai due sfidanti, il ruolo dei
giornalisti-conduttori era semplicemente di notai del tempo) per far emergere il
discorso dei due politici-leader di coalizioni (e non tanto il discorso politico che,
abbiamo visto, è costitutivamente intersecato a altri tipi di discorsi del sociale).
Se si fa poi un confronto tra il primo e il secondo scontro, sembra che
Berlusconi abbia subito le regole del dibattito non apprezzandole per niente (e non
ne ha fatto certo mistero!) ma nonostante ciò è riuscito lo stesso a piazzare un
colpo da buon venditore (l’abolizione dell’ICI) grazie al quale ha sfiorato la
vittoria elettorale.
E’ interessante notare come nella pubblicazioni sulle elezioni non ci si
sbilanci troppo rispetto all’efficacia di questa proposta; non si cerca di rispondere
alla domanda specifica se essa abbia oppure no effettivamente fatto conquistare
dei voti al Centro-destra; gli si riconosce una “indubbia presa comunicativa”
(Itanes, p. 44) ma si aggiunge che probabilmente il contesto generale, e non tanto
questa battuta, ha convinto alcuni elettori a votare di nuovo Berlusconi che ha così
“quasi” vinto; ha insomma contribuito di più il balbettio del Centro-sinistra,
specialmente riguardo ai temi economici, che non la battuta di Berlusconi.
Credo che questo sia un dato di difficile verificabilità, ma è sicuramente
emerso qui lo spirito del “buon venditore” che è proprio di Berlusconi. Eco in A
passo di gambero, sottolinea come:
“Colpisce in Berlusconi l’eccesso di tecnica del venditore. Il venditore non si
preoccupa che voi sentiate l’insieme del suo discorso come coerente; gli
interessa che, tra quanto dice, di colpo vi possa interessare un tema, sa che
reagirete alla sola sollecitazione che vi può toccare e che, una volta che vi
11
sarete fissati su quella, avrete dimenticato le altre. Quindi il venditore usa
tutti gli argomenti, a catena e a mitraglia, incurante delle contraddizioni in
cui può incorrere. Deve fare in modo di parlare molto, con insistenza, per
impedire che facciate obiezioni.” (pp. 128-129).
Alla messa in atto di questa tecnica di vendita, si deve poi aggiungere una
certa “furbizia” comunicativa: Berlusconi ha sfruttato il fatto di avere l’ultimo
turno di parola, senza nessuna possibilità di replica, e ha piazzato lì il suo colpo
utilizzando il suo linguaggio da venditore, interpellando direttamente lo
spettatore/elettore e ripetendo in modo chiaro e inequivocabile la sua offerta, da
non perdere!16
Molti altri esempi si potrebbero ovviamente trovare e si potrebbero
analizzare con gli strumenti della semiotica del testo, ma anche quelli più specifici
dell’intertestualità, sottolineando appunto richiami, citazioni, parodie e altro,
anche tra sostanze espressive diverse.
Rimane comunque una riflessione metodologica da fare riguardo
all’opportunità e all’effettiva efficacia dell’applicazione di strumenti appropriati
per le analisi (relativamente) micro su testi del discorso politico, così connesso e
intrecciato con il discorso dell’informazione piuttosto che con quello pubblicitario
e del marketing, se lo scopo non sia poi quello di riflettere sulla dinamica dei
discorsi sociali (alla Landowski, per intenderci) ma voglia rimanere nell’ambito
della spiegazione del singolo evento comunicativo.
Da questa constatazione emergono sempre le stesse domande: come si
costruisce un campione di analisi? Come si giudica la rilevanza dei singoli testi in
un’analisi di ampio raggio? Ci può bastare un concetto come quello di pertinenza
di prietiana memoria?
Sebbene questo sia un punto che spesso sia stato discusso e la nostra
disciplina continua a dare (e a darmi) delle risposte rassicuranti, la costruzione del
16
Berlusconi, guardando in macchina e con un leggero sorriso, dice: “ Noi aboliremo l’ICI. Avete
capito bene? Aboliremo l’ICI su tutte le prime case e quindi anche sulla vostra.”
12
corpus di analisi e l’individuazione del frammento di testo significativo da
analizzare, dove il senso si addensa tanto da poter essere considerato
esemplificativo di un fenomeno o di una situazione più ampia, continua a farmi
problema. E’ la mia una preoccupazione teorica più che di pratica di analisi, dal
momento che, quando mi sono trovata a confrontare interdisciplinarmente queste
mie analisi, ho trovato sempre conferma alle mie ipotesi e ho verificato la
sostanziale appropriatezza locale dei nostri strumenti. Ma in ogni caso,
l’applicazione di strumenti micro a campioni d’analisi ampi e così articolati, mi
crea sempre un po’ di perplessità teoriche e rimane per me un problema aperto.
4. Identità e identificazione politica
Ma vorrei adesso tornare alla questione della “battuta sull’ICI” di
Berlusconi (ma ci si potrebbe concentrare anche su altre, come quella del
“coglione” rivolto all’elettore di sinistra) per accennare brevemente all’altro
argomento
già
presente
nel
titolo,
cioè
la
questione
dell’identità
e
dell’identificazione politica, perché questo ci permette di capire meglio anche
l’importanza e il ruolo che tali battute ricoprono nella comunicazione dell’allora
Presidente del Consiglio.
Gli studiosi che si sono occupati del problema dell’identità possono essere
accomunati (e mi scuso della brutalità della sintesi) da alcune idee fondamentali:
il fatto che una identità si costruisca sempre e non sia predefinita; che sia sempre
frammentata e in mutamento in una modernità in mutamento essa stessa
(“liquida”, come la definisce Zygmund Bauman17); che possa essere costruita
17
Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Laterza, 2003. Nel libro Bauman ci spiega che “il
mondo intorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite
individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati tra loro” (p.7). E
continua: “Noi, abitanti del mondo della modernità liquida, differiamo dal passato. I riferimenti
comuni delle nostre identità noi li inseguiamo, li costruiamo e li teniamo insieme mentre siamo in
movimento, sforzandoci di tenere il passo di quei gruppi, anch’essi mobili, anch’essi in rapido
13
attraverso un processo di “narrativizzazione del sé”, come ci dice Stuart Hall18; e
che dobbiamo imparare a convivere con uno “stato permanente di crisi”, come
sostiene Eco durante un colloquio con Hall19.
Un sociologo come Alessandro Pizzorno20 ci dice poi che l’identificazione
politica è solo una conseguenza di un processo di identità collettiva più ampio e
ciò che è veramente fondamentale è il processo stesso di costituzione collettiva,
proprio di una logica di appartenenza quasi indipendente dall’attività “efficiente”
(cioè la presa di decisioni politiche). In buona sostanza, contro le cosiddette
“teorie neoutilitaristiche” di Oltreoceano, Pizzorno sostiene che in Italia prevale
una logica di scelta politica che ha poco a che vedere, per esempio, con gli atti
compiuti da un qualsiasi governo, mentre prevalgono altri criteri e una sostanziale
logica dell’appartenenza.
Alcune analisi empiriche confermano questa opinione, come, per esempio, il
fatto che in Italia continui a prevalere la “territorializzazione del voto”21, una
movimento, che ricerchiamo, che costruiamo e che cerchiamo di tenere in vita ancora un
momento, ma non molto di più”. (p. 27)
18
Stuart Hall, “Chi ha bisogno dell’identità”, in Bianchi, Demaria, Nergaard, a cura di) Spettri del
potere (Meltemi, 2002) e in Leghissa (a cura di) Politiche del quotidiano (Saggiatore, 2006)
19
Umberto Eco, Stuart Hall, “Il ruolo degli intellettuali è quello di creare crisi” in Stuart Hall,
Politiche del quotidiano (Saggiatore, 2006), saggi scelti da Giovanni Leghissa. Sostiene Eco:
“Nelle società antiche si sarebbe potuto vivere per millenni con la stessa struttura sociale o lo
stesso genere d’informazione. In una società come la nostra, così profondamente pervasa dallo
scambio d’informazione e di contatti, dobbiamo imparare a convivere con una condizione di crisi
permanente”. (p. 113) Ciò è dovuto da un tratto costante della modernità che è “l’accelerazione del
ritmo della crisi” di ogni tipo (biologica, fisica, culturale) e, conclude Eco, “il ruolo della cultura è
quello di meditare su queste altalenanti dialettiche, e indicare criticamente in che modo sia
possibile rovesciare questo senso di disillusione, d’impotenza” (p. 115). Solo così, forse, si può
tentare di colmare quello che a Stuart Hall sembra un insanabile “divario tra la posizione politica
della gente e le istituzioni e organizzazioni che le danno un’espressione politica formale”; “tra i
partiti e le posizioni reali dei loro elettori, tra la loro idea delle opinioni politiche della gente e le
vere opinioni della gente” (p. 111).
20
Alessandro Pizzorno, Le radici della politica assoluta, Feltrinelli, 1993.
21
Cfr. in particolare Ilvo Diamanti, Bianco, rosso, verde… e azzurro (Il Mulino, 2003), dove si
sostiene che lo stretto legame dei partiti con il territorio sia continuato anche dopo la fine della
Prima Repubblica. In alcune zone del Paese continua infatti a persistere uno stesso orientamento
14
caratteristica che è rimasta costante tra Prima e Seconda Repubblica e che non
risente, se non marginalmente, della differenza di generazioni, di stato economico
e di livello culturale degli elettori. Ciò che è cambiato è l’offerta politica (i partiti
sono cambiati, si sono fatte e disfatte alleanze e cartelli elettorali, sono cambiate
leggi elettorali e così via) ma non un’omogeneità di identificazione tra territorio e
partiti o coalizioni politiche.
Altre ricerche, come quella di Lorenzo De Sio22, mostrano come i cosiddetti
elettori “fluttuanti” (o “in movimento”) siano una percentuale irrisoria, sebbene,
in presenza di sistemi partitici bipolari in cui le due Coalizioni hanno consistenza
simile, siano cruciali per l’esito della competizione. Ma, al di là della consistenza
numerica, mi sembra più interessante il profilo che viene presentato di tali elettori.
In molte altre democrazie occidentali con un sistema bipolare “alcuni strati della
popolazione, dotati di maggiori risorse strutturali e cognitive” si sono liberati, se
mai l’hanno avuta, “dalla gabbia del tradizionale voto di appartenenza per
approdare al voto di opinione, in cui la decisione di voto non era più dettata da un
obbligo sociale derivante dal proprio gruppo di riferimento, ma diveniva una
decisione libera e in parte pragmatica, legata alle specifiche proposte
programmatiche in campo”, dando così origine alla mobilità e a un vero e proprio
“mercato elettorale”. In Italia invece c’è “una situazione in cui gli individui
potenzialmente più facili da persuadere sono i meno istruiti, meno informati e
meno interessati alla politica, che prenderanno le loro decisioni di voto in base ad
aspetti secondari rispetto alle informazioni ricevute”. La competizione elettorale
politico, in particolare nella “zona rossa” del Centro Italia (dal Partito Comunista Italiano ai suoi
eredi), mentre in altre zone, come il Nord, la dissoluzione della Democrazia Cristiana (la “zona
bianca”) ha costituito omogeneamente prima una “zona verde” (la Lega) e poi, dopo l’irrompere
sulla scena politica di Forza Italia, una zona verde e “azzurra” (Forza Italia). Il Sud continua ad
essere ondivago, così come è sempre stato anche nella Prima Repubblica. Per un’approfondita
analisi del comportamento di voto durante l’ultima tornata elettorale cfr. R. Mannheimer, P.
Natale, 2006.
22
“Dove sta davvero il mercato elettorale?”, paper presentato al panel “Gli elettori nell’era
bipolare” della sessione “Il sistema politico italiano” del XX Congresso Nazionale SISP, Bologna,
12-14 settembre 2006, www.sisp.it. Cfr. anche gli interventi di De Sio in Itanes 2006 e
Mannheimer, Natale 2006.
15
attraverso i media che raggiungono anche i cittadini meno informati e interessati
alla politica, continua De Sio, sembra così inevitabilmente “destinata a fare ampio
uso di messaggi inverosimilmente semplicistici, di meccanismi di persuasione più
o meno scoperta e più o meno occulta, di formule ad effetto, di promesse non
necessariamente mantenibili e così via”. “In altre parole, più che a un mercato ci
troveremmo di fronte a un vero e proprio bazar elettorale, in cui i clienti più
avvertiti vanno sempre nella stessa bottega, mentre gli unici disposti a cambiare
negoziante sono i più sprovveduti, che però cadono in balia dell’imbonitore con la
voce più potente o l’immaginazione più fantasiosa”.
Ed ecco perché allora un’uscita ad effetto sull’abolizione dell’ICI, in quanto
“pezzo forte” di una strategia comunicativa basata su una “narrazione dello
scontro” (cfr. n. 1), abbia la possibilità di far cambiare l’esito di una tornata
elettorale, mettendo a dura prova sondaggisti e professionisti della politica.
L’elettore è infatti disposto a cambiare area politica da un’elezione all’altra,
un comportamento impegnativo e minoritario, solo se la posta in gioco è molto
alta. E questo ad ulteriore riprova del fatto che il mercato elettorale italiano sia
“lontano dal cuore della politica; in regioni remote popolate da persone che in
realtà di politica si interessano poco e sanno forse ancora meno”.
Cos’è infatti successo nell’ultima campagna elettorale?
Se si parla di identità politica e di appartenenza sembra quasi che le elezioni
le abbia perse Berlusconi (nonostante la rimonta delle ultime ore), e non le abbia
vinte l’Ulivo.
Ma io sono convinta che Berlusconi ha quasi vinto ponendo l’accento su
questioni di economia, mentre avrebbe con più probabilità vinto anche le elezioni
puntando sulla contraddizione valoriale presente nell’Unione e nel suo
Programma e che sta esplodendo (o esploderà) prima o poi su PACS,
procreazione assistita, eutanasia – questioni che stanno alla base anche della
futura nascita del Partito Democratico. Leggendo il Programma dell’Unione ci
sono passaggi in cui il linguaggio serve a trovare un accordo valoriale e politico in
modo superficiale, oppure, se lo vogliamo dire in modo diverso, a nascondere le
diversità e tutti noi sappiamo che spesso il lessico e il discorso (nel senso di frasi
16
composte) nascondono invece di chiarire23. Per fare un esempio, Arturo Parisi in
un’intervista recente (Corriere della sera, 16 ottobre 2006), alla domanda se nel
Partito Democratico ci saranno molte tribù risponde:
“E’ una certezza: nel Pd le tribù saranno molte. Quello che mi auguro è però
che non siano la perpetuazione di nomi passati, ma nascano e mutino a
partire dalle risposte che riguardano il futuro. La necessità di semplificazione
dei partiti non deriva dalla semplificazione della società, semmai all’opposto
dalla consapevolezza della sua crescente complessità. L’alternativa a pochi
partiti di governo sono mille partiti d’identità: dai cattolico-democratici agli
islamo-democratici passando per i teo-dem, e così via”.
Come si fa quindi a costruire una identità politica nuova partendo da queste
premesse? Vogliamo, per concludere, citare ancora una volta Lorenzo De Sio:
“In questo caso una eventuale capacità dei partiti di stabilizzare nel corso dei
prossimi anni le proprie strutture, identità politiche e programmatiche, reti
organizzative e collaterali, potrebbe riportarci a una situazione in cui anche
l’elettorato meno informato e interessato si stabilizza intorno a nuove
appartenenze”.
Le appartenenze del passato provenivano da forti identità che precedevano
l’appartenenza a un partito: identità religiose, progetti di cambiamento
rivoluzionario della società e così via, che solo poi, come sostiene Pizzorno, si
traducevano in voto politico. Nessun soggetto sociale (e tanto meno i partiti di
oggi) sembra in grado di ricostruire appartenenze così forti e il problema di come
23
Un esempio per tutti: “L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e
facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di
un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va
considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali
e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà”. L’interpretazione e la relativa conversione in atti
pragmatici della prima frase (così come di altri passaggi del Programma) aprirà presumibilmente
conflitti interni alla coalizione del Centro-Sinistra.
17
raccontarle, prima, durante e dopo la campagna elettorale, diventa spesso del tutto
secondario.
18
Bibliografia
Bauman Z.
2003, Intervista sull’identità, Laterza
Bianchi C., Demaria C., Nergaard S. (a cura di)
2002, Spettri del potere. Ideologià, identità e traduzione negli studi culturali,
Meltemi
De Sio L.
2006, “Dove sta davvero il mercato elettorale?” paper presentato al panel “Gli
elettori nell’era bipolare” della sessione “Il sistema politico italiano” del XX Congresso
Nazionale SISP (Bologna, 12-14 settembre 2006), www.sisp.it.
Eco U.
2006, A passo di gambero, Bompiani
Fabbri P., Marcarino A.
1985, “Il discorso politico”, in Carte semiotiche, 1
Fabbri P., Montanari F.
2001, “Semiotica della comunicazione strategica”, in L. Bozzo (a cura di) Studi di
strategia, Franco Angeli
Guarino P., Pezzini I.
2003, “I manifesti elettorali. Le legislative del 2001” in A. Semprini (a cura di), Lo
sguardo sociosemiotico, Franco Angeli
Hall S.
2006, Politiche del quotidiano, Il Saggiatore; saggi scelti da G. Leghissa
ITANES
2006, Dov’è la vittoria?, Il Mulino, 2006
19
Landowski E.
1989, La société rèfrèchie. Essais de socio-sémiotique, Seuil, Paris (tr. it. La
società riflessa, Meltemi, 1999)
1997, Présence de l’Autre. Essais de socio-sémiotique II, Puf, Paris
Livolsi M., Volli U.
1995, La comunicazione politica tra prima e seconda repubblica, Franco Angeli
1997, Il televoto, Franco Angeli
2000, Personalizzazione e distacco, Franco Angeli
Marrone G.
2001, Corpi sociali: Processi comunicativi e semiotica del testo, Meltemi
Mannheimer R., Natale P.
2006, L’Italia a metà, Cairo Editore
Mazzoleni G.
1998, La comunicazione politica, il Mulino
Pezzini I.
2001, Lo spot elettorale, Meltemi
Pizzorno A.
1993, Le radici della politica assoluta, Feltrinelli
Pozzato M. P.
2006, “Postfazione” a Cristina Demaria, Semiotica e memoria, Carocci
Silverstone R.
1999, Why Study the Media?, Sage Publication (tr. it Perché studiare i media?, Il
Mulino, 2002)
20