la sacra dì san michele - Cerchio Luce, la voce del silenzio di Bruno
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la sacra dì san michele - Cerchio Luce, la voce del silenzio di Bruno
LA SACRA DÌ SAN MICHELE IN VAL DI SUSA Di Bruno Daolio A ponente di Torino, là dove spicca la catena delle Alpi occidentali, con l’altezza superba delle sue cime e con la maestà dei ghiacciai e delle nevi del Moncenisio, del Monviso e del Monginevro; tra i numerosi squarci che interrompono la base della catena montuosa, ce n’è uno, di tutti il più largo, posto esattamente sulla linea occidentale; è lo sbocco e lo scenario della val di Susa, che si distende da levante a ponente. I due monti che gli fanno da guardia, il Musinè a destra e il Ciabergia a sinistra, scendono fra dorsi e groppe sul piano della valle Padana, allargandosi via via a ventaglio. Dalla scena principale dello sfondo si staccano nettamente i contrafforti del monte Pirchiriano, con il suo profilo che si drizza d’un tratto a costituire un pinnacolo ardito e capriccioso sul cui vertice è fieramente assisa la Sacra di San Michele: a 962 metri di altitudine sul mare, si trova a metà strada fra Torino e Susa, si tratta di un vero osservatorio aereo, fra i più belli d’Italia. Chi scende la valle di Susa dal Monginevro o dal Moncenisio, sarà costretto a fermarsi. Si formò così, migliaia di secoli fa, la tenaglia della <chiusa>: il Pirchiriano a sud, le scarpate del monte Caprasio a nord. Il nome “Chiusa” trae origini da “claustra”, chiusura di un luogo stretto, tale da impedire o rendere difficile il passaggio. Il nome antichissimo del “Pirchiriano” deriva in forma aggraziata del modesto “Porcariano”, /monte dei porci/, analogamente al vicino “Caprasio”, /monte delle capre/, e “Musinè” /monte degli asini/. Nomi che hanno un forte legame con il culto dei Celti, popolazione che tra le prime abitò questa valle. I primi abitanti archeolitici della valle di Susa, cercarono le loro dimore fra i massi abbandonati lungo la valle dalla fiumana morente, alla quale veniva meno l’alimento delle nevi alpine. Frugando nei detriti delle morene estrassero le selci e le serpentine che, pazientemente lavorate e rese taglienti, fornirono loro armi sicure per difendersi dalle belve vaganti, oltre al necessario sostentamento di vita con la caccia. Ẻ quindi consentito pensare che il monte Pirchiriano, abbia visto dapprima l’uomo delle caverne e, nella pianura sottostante, i pastori e agricoltori neolitici. Dalle rovine sparse si presume sia già stato fortificato dai Liguri e poi dai Celti, divenendo poi nell’epoca storica, dominio dei due Re Cozio. Nel 63 d.C. subentrano i Romani e le Alpi Cozie diventano una provincia Romana, di questa loro presenza si trovano le tracce nei frammenti marmorei ed epigrafici, come dimostra la fotografia della Lapide Romana. Nel 461 d.C. i valichi della valle di Susa e di Aosta vengono occupati dai Burgundi; nel 476 sono gli Eruli di Odoacre a saccheggiare e occupare queste valli, che l’anno successivo passano 1 sotto il potere dei Bizantini. Dal 569 al 773 i Longobardi invadono e occupano le Alpi Cozie. Ẻ in questo periodo che nella valle vengono erette le famose “Chiuse” dei Longobardi: questi innalzano muraglie e torri attraverso la valle, da un capo all’altro della tenaglia, quando sotto la guida del loro re Desiderio e di suo figlio Adelchi si radunano qui, per resistere all’entrata in Italia di Carlo Magno. Se il re dei Franchi, accampatosi alla Novalesa, poté superare le “Chiuse”, e impadronirsi di questa chiave d’Italia, ciò gli fu possibile solo in grazie ad uno stratagemma suggeritogli dal diacono Martino di Ravenna, per il quale una buona parte dei soldati, poté superare il fianco della valle e, riunitisi a Giaveno attraverso la valle del Sangone, presero alle spalle i Longobardi nel 773 d. C. Nell’888 termina anche l’età Carolingia; i Saraceni invadono le Alpi occidentali e si stanziano anche sul monte Pirchiriano, dove rimangono quasi un secolo. Nel 933, la valle di Susa fino ad Avigliana, è conglobata con il regno di Borgogna e nel 942, il re d’Italia Ugo di Provenza nomina Conte di Torino, Arduino Glabrione; questi, pochi anni dopo, per avere sfidato la potenza dei Saraceni, riceve da re Berengario la Marca della valle di Susa. lI Culto di San Michele. L’Arcangelo Michele compare cinque volte nelle Sacre Scritture, come Principe degli Angeli fedeli a Dio, ed è quindi venerato nella tradizione cristiana come difensore dei nemici della cristianità. Dall’oriente il culto dell’Arcangelo si diffuse e si sviluppò in particolare in Italia nel V° secolo sul promontorio del Gargano, dove sorse il più antico e famoso luogo di culto Micaelico, il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. Nei primi anni del 700, su un altro promontorio, in Francia fu consacrato a San Michele un altro edificio sacro, Mont-Saint-Michel. Anche nella valle di Susa, luogo di passaggio tra nord e sud Europa, si sviluppò il culto di San Michele. Fu portato quassù nei secoli V o VI, e vi giunse per opera di quei monaci persiani che, esuli dalla loro patria, erano stati mandati dalla Chiesa Romana ad evangelizzare il settentrione d’Italia, Anche qui, dice S. Gregorio Magno, la Chiesa romana aveva dei possedimenti, come dimostra la fotografia. La presenza di tali monaci è ancor oggi provata dal piccolo Santuario dedicato a San Baco –uno di loro- ai piedi del monte Musinè. I Bizantini ne coltivarono il culto; i Longobardi celebrarono il Glorioso Arcangelo per oltre un secolo; (avevano infatti per loro protettori S. Michele, S. Pietro, S. Ambrogio). I Carolingi non lasciarono ricordi o tracce quassù, ma la loro scomparsa alla fine del secolo IX, fu la causa di tali sconvolgimenti da permettere ai Saraceni l’invasione delle Alpi occidentali e del Pirchiriano. Fra tante rovine, la Chiesa andò acquistando il potere di esercitare sui propri fedeli “giurisdizione civile”; fu in tal modo che anche il Pirchiriano passò al vescovo di Torino. Le tre minuscole costruzioni, così addossate contro la roccia, in seguito incorporate al grande Monastero, apparivano prima del 1000, appiccicate sulla cima più elevata del monte Pirchiriano, quasi nidi di aquile. Esse formano tuttora il mistero del Santuario, e le due cappelle più piccole fanno pensare a un passaggio per entrare in quella più grande, da un sentiero fra le rocce che partiva dal vicino Castrum. Il Pirchiriano offriva una posizione così strategica che già molto tempo prima dei Romani era diventato un luogo d’interesse militare, <castrum.> La lontananza dei < castra> da luoghi abitati, rendeva necessaria per le truppe di fede cristiana la costruzione di cappelle castrensi, le quali venivano edificate presso 2 e non dentro il Castrum, che sul Pirchiriano si ergeva nello spiazzo a nord sullo strapiombo della chiusa, dove più tardi nascerà il Monastero nuovo, ora ridotto in rovina come dimostra la foto. L’oratorio castrense, costruito già nel tempo dell’impero romano, conservato dai Bizantini e dai Longobardi, fu presto dedicato al culto di S. Michele; alcuni secoli dopo venne dedicato dai monaci a S. Benedetto e solo più tardi a S. Giovanni Vincenzo. Era la chiesetta consacrata dagli Angeli, che si venera tutt’oggi: il luogo più /Sacro/ della Sacra, posto sotto la basilica, circoscritto e soffocato nelle posteriori gigantesche costruzioni monastiche. Tra il 983 e il 987, appena dopo la cacciata dei Saraceni dalla Valle, vengono ristrutturate le due cappelle primitive della chiesetta tricora, e alla fine del 900, viene costruita dall’eremita S. G. Vincenzo la terza cappella, più ampia delle prime due, anche essa addossata alla roccia. Non passano molti anni che la Comunità dei monaci benedettini, con l’Abate Adverto che la dirigeva, trova insufficiente questa chiesetta. Probabilmente l’architetto Guglielmo da Volpiano, concepì il disegno grandioso e originalissimo di una quarta chiesa, di proporzioni adeguate, sopra le tre esistenti. Siamo fra il 1015 e il 1035, quando la cima del monte Pirchiriano è inglobata dalle strutture di questa nuova chiesa, detta di Ugone, della quale rimane la parte ovest, il cosiddetto Coro Vecchio, come descrive la fotografia, però la nuova chiesa era troppo corta. Fu probabilmente l’Abate Ermenegaldo, che resse l’Abbazia dal 109 al 1131, a fare realizzare da uno dei più grandi architetti e scultori di ogni tempo; Maestro Nicolao, un imponente e arditissimo basamento, che partendo dalla base dell’ultimo picco del monte avrebbe raggiunto il livello della vetta, su cui appoggiare il pavimento della quinta chiesa, creando così uno spazio veramente grandioso e degno della grande e potente abbazia edificata a quasi 1000 metri di altitudine, consacrata a S. Michele. In un epoca in cui non esistevano mezzi meccanici fornitori di energia per trasportare i massi che la sostengono, nell’interno del basamento fu ricavato un immenso scalone, detto “Scalone dei Morti” perché lungo le pareti, si aprono intervallate da piloni, ampie nicchie nelle quali apparivano fino al 1937 in cui furono terminati i restauri, diversi scheletri di monaci. Da ciò il nome di Scalone dei Morti, che supera il dislivello di oltre venti metri, fino alla base della scala che poi raggiunge a sud il piano pavimento della chiesa. Alle soglie dell’anno 1000 irrompe in questo eremo un personaggio che cerca redenzione da un discutibile passato: è Ugone lo scucito, ricco e nobile di Montboissier, così nominato per la sua folle prodigalità. Si reca in pellegrinaggio a Roma, con la moglie Isengarda per chiedere indulgenza a Papa Silvestro II; questi, a titolo di penitenza, gli concede di scegliere fra un esilio di sette anni, oppure completare l’opera del maestro Nicolao con una chiesa e un cenobio. Ugo arriva in val di Susa e acquista dal Marchese di Torino, Arduino, l’intero monte e i terreni adiacenti, le cui rendite serviranno al sostentamento del monastero nascente. Questi primi anni dalla fondazione dell’abbazia continuano ad essere avvolti da ipotesi e 3 leggende, quale quella della bella Alda che per sottrarsi alle violenze del feudatario si getto nel vuoto ma, gli Angeli la sorressero nella caduta adagiandola delicatamente al suolo. Il fatto certo è che il complesso della Sacra si avvia ad assumere il suo aspetto attuale, davvero maestoso; lo spettacolo che l’Abbazia offre al visitatore o al pellegrino. Essa infatti posa salda, in alto, a sfidare le ingiurie del tempo e della natura, orgogliosa della sua orrida bellezza e dominatrice fiera della valle, quasi fortezza inespugnabile posta dagli Angeli e da S. Michele a difesa dei monti e della Fede, seducendo il visitatore, offrendogli il fascino di ampie e mirabili visioni panoramiche, verso la pianura del Po e verso le Alpi. Ẻ una delle più strane costruzioni che si trovano in Italia: piantata sulle diverse punte con cui termina il Monte Pirchiriano, non solo si erge sulla roccia, ma da questa è in parte ricavata e vi è scolpita dentro, a punta di piccone; tanto che non completamente vinta, la roccia appare qua e là, persino nei piani più alti dell’edificio. La scelta del luogo fu certamente condizionata dall’imponenza, quasi alla predisposizione al sacro del monte Pirchiriano, che si trova sulla linea retta che unisce Mont San Michel, la Sacra e Monte San Angelo nel Gargano, e per la sua stessa posizione strategica eccezionale la Sacra fu concepita, fin dalle origini non solo come luogo di preghiera, ma anche come baluardo difensivo per le popolazioni situate attorno. L’abbazia, uno dei monumenti più singolari del Piemonte, non era solamente un monastero, o un punto di sosta sulla via di Roma e della Terra Santa, frequentata soprattutto da viaggiatori di elevato livello, divenendo anche un centro culturale oltre che religioso. Assumeva addirittura funzioni protettive per la valle, che era attraversata dai pellegrini che si recavano attraverso la Francia, a San Giacomo di Compostela e a Roma. Oltre che soddisfare le esigenze della cultura e del pellegrinaggio che si svolgeva sull’antica via franchigena. Dagli inizi e fino alla metà del 1300, l’abbazia vive il suo periodo di maggior gloria e potenza, sotto la guida di abati intelligenti e coraggiosi si arricchisce di una biblioteca e opere d’arte notevoli, nonché di possedimenti, in Francia, nel Piemonte, fino al Gargano, diventando una Sacra fortezza, rispettata e temuta. Nel 1379 sotto il malgoverno dell’abate Piero di Forgeret, inizia la decadenza: la Sacra perse di lustro e importanza, fino a quando nel 1622 il monastero fu soppresso, destinando le sue rendite alla Costruzione della Collegiata dei Canonici di Giaveno, i quali gestirono ancora il Santuario fino al 1629. La Sacra restò quasi abbandonata per oltre due secoli. fino al 1831 in cui il Re Carlo Alberto di Savoia, ottenne dal Papa Gregorio XVI l’autorizzazione per l’insediamento di una particolare Congregazione religiosa che fece risorgere a nuova vita l’Abbazia. Nel 1835 Re Carlo Alberto, desideroso di far risorgere il monumento, penso di collocare, stabile, una congregazione religiosa, offrendo l’opera ad Antonio Rosmini, fondatore dell’istituto di Carità, e Papa Gregorio XVI nell’agosto 1836 nominò i Padri Rosminiani amministratori della Sacra e delle superstiti rendite abbaziali. Contemporaneamente, nel 1836 il Re affidò loro in custodia 24 salme dei principi Sabaudi, già tumulate nel Duomo di Torino, che vennero traslate nella Basilica in grandi sarcofagi di pietra. La posizione strategica del luogo la rese spesso, attraverso i secoli, teatro di episodi bellici che insanguinarono il Piemonte. Invasioni e devastazioni avevano spinto i Benedettini a munire il monastero di una cinta fortificata, a difesa loro e dei pellegrini; cinta che si varca ancora attraverso la Porta di ferro. Durante il trascorrere dei secoli, l’Abbazia fu invasa e saccheggiata infinite volte, dalle milizie armate che oltrepassavano la valle; fu devastata dai cannoni francesi nel 1693 e nel 1706, specie quegli edifici ridotti a ruderi, che si sporgono sulla val di Susa. I Padri Rosminiani continuarono a rimanere alla Sacra, tra sacrifici miseria e terremoti che frequentemente scuotevano quel monte, sperando in anni migliori. Sono 166 anni che vi dimorano e pare che il tempo stia dando loro ragione. La celebrazione del Giubileo del nuovo millennio, ha sollecitato e dato il modo di avviare e realizzare un programma di 4 opere per l’accessibilità e la valorizzazione culturale della Sacra di San Michele, cardine alle porte d’Italia e dell’antica via Franchigena, e il 14 luglio 1991, la Sacra ha vissuto una giornata unica, incisa con stili d’oro nelle pagine della sua gloriosa e millenaria storia, con il pellegrinaggio di Papa Giovanni Paolo II, che affrontò con giovanile disinvoltura i quasi trecento gradini, sostando in preghiera nella Basilica e impartendo poi la Santa Benedizione dalla terrazza a tutta la Valle di Susa, come fece San Carlo Borromeo nel 1578 prima di lasciare la Valle. Da quel periodo la Sacra riprende tutto il suo splendore, diventando una meta per tutti i credenti e per i devoti a San Michele. La crescente attenzione per la Sacra, quale polo religioso e culturale si è tradotta in una intensa frequentazione che ha richiesto la soluzione dei problemi di carattere pratico, relativi all’accessibilità, alla sicurezza, al conforto e al soddisfacimento della crescente richiesta di informazione culturale a favore del visitatore. L’accesso a tutti i luoghi della Sacra, era storicamente impervio e tale difficoltà di ascesa appare tutt’ora caratterizzante e simbolica. Con gli interventi avviati, e oggi in gran parte ultimati, è migliorata l’accessibilità alla Sacra per tutti i visitatori. Ẻ stato realizzato un percorso di discesa alla chiesa che evita il pericoloso incrociarsi del flusso di pellegrini sulla ripida e ininterrotta gradinata dello Scalone dei Morti, e lo stretto passaggio obbligato della Porta dello Zodiaco, offrendo al tempo stesso, l’occasione di rendersi conto del monumento in tutta la sua complessità e grandiosità, di notevole interesse archeologico e di forte suggestione paesaggistica offerta dal Belvedere. Il percorso, il cui uso è regolato dalle guide della Sacra, è costituito da una strada su terrapieno che aggira a quota più bassa la Porta di Ferro, valicando il vallone su un ponte, per attestarsi ad un livello più basso in adiacenza alla piccola Foresteria. Da qui parte un ascensore che permette l’accesso ai due livelli. La prima uscita consente, attraverso il ripiano del Belvedere, l’accesso al Centro Convegni della Grande Foresteria. Il livello superiore si apre sul percorso perimetrale. Splendida è la Biblioteca, con migliaia di volumi miniati a mano dai monaci nei secoli, il Refettorio, la Sala Reale di Carlo Alberto, l’antica officina al quinto livello, che era il piano del vecchio monastero che è ora un ambiente caratteristico ed esemplare dell’Abbazia, dove la gigantesca struttura muraria si piega sempre, timida e rispettosa, alla dura roccia, mentre fascia il Monte Pirchiriano e quasi lo imprigiona. L’interno della Chiesa con il Coro Vecchio, i grandi affreschi e il Portale romanico d’ingresso alla Chiesa. 5 La Loggia del Viretti, lo Scalone dei Morti, la Porta dello Zodiaco, e le infinite sculture simboliche sui capitelli raffiguranti animali mitologici, i maestosi contrafforti di sostegno alla parete sud-est della Chiesa. L’antica legnaia oggi diventata il Museo del quotidiano, in cui si possono ammirare tutti gli arnesi antichi usati dai contadini e artigiani della Valle di Susa. La visita della Sacra è consigliata nei giorni di sabato e domenica nei quali ci sono le visite guidate, e anche la foresteria è aperta con innumerevoli manifestazioni e mostre che si susseguono nell’arco dell’anno. L’intero percorso si svolge nell’arco di quattro- cinque ore, lasciando il visitatore sgomento per la sua maestosità. Con la Legge Regionale speciale del 21/12/1994, la Sacra viene riconosciuta monumento simbolo del Piemonte. Questo per quanto riguarda l’aspetto religioso e panoramico con la vista dell’intera catena montuosa della Valle di Susa ma, la Sacra di San Michele ha però anche un aspetto che riguarda la sua posizione molto importante sulle linee sinergiche della Terra, che gli assegnano anche un significato esoterico poiché essa è situata sull’incrocio della linea positiva e negativa, che si trovano proprio sulla sommità del monte Pirchiriano. Ma di questo collegamento con l’esoterismo parleremo nel prossimo articolo. Il museo del Quotidiano 6