qui - Aiuto alla Chiesa che Soffre

Transcript

qui - Aiuto alla Chiesa che Soffre
GIORDANIA
AREA
89.300 km2
GIORDANIA
APPARTENENZA RELIGIOSA
Musulmani 93,9%
Non affiliati 3%
Cristiani 2,8%
Altre religioni 0,3%
POPOLAZIONE RIFUGIATI (interni*) RIFUGIATI (esterni**) SFOLLATI
6.330.000
613.104
1.588
-----
*Rifugiati stranieri che vivono in questo Paese **Cittadini di questo Paese rifugiati all’estero
Secondo la Costituzione del 1952, l’islam è la religione di Stato e l’arabo è la lingua ufficiale (art. 2), tuttavia il Regno hascemita riconosce alcune minoranze etniche (i circassi, in particolare) e religiose (i cristiani); i drusi sono considerati musulmani, mentre i baha’i sono intesi come un gruppo non religioso. La Costituzione dichiara che «i giordani sono uguali davanti alla legge. Non c’è distinzione tra
loro in materia di diritti e di doveri, sia per motivi di razza, di lingua o di religione»
(art. 6). La Costituzione riconosce altresì la libertà di culto in tutte le sue forme,
purché compatibile con ordine pubblico e buon costume (art. 14). Per risolvere
controversie di qualunque natura, il sistema giuridico si basa sulla Shari’a.
I cristiani sono rappresentati nelle istituzioni dello Stato, compreso il Parlamento –
con nove seggi, in base a un sistema di quote – e il Governo. Dal 2010, essi detengono sei dei 60 seggi della Camera alta, i cui membri sono di nomina regia; dal
2013, invece, ne hanno nove dei 150 nella Camera bassa che è un organo elettivo.
Il 21 gennaio 2009, le varie confessioni cristiane hanno costituito il Consiglio delle
Chiese di Giordania, organismo composto dai responsabili delle 11 comunità riconosciute, tra cui non solo le tradizionali Chiese cristiane orientali e i cattolici latini,
ma anche tre comunità protestanti. Questo Consiglio è un organo consultivo del
Governo per tutte le questioni relative ai cristiani e – in quanto organismo amministrativo – funziona anche come coordinamento con i Ministeri, per quanto concerne la costruzione di chiese, l’apertura di scuole e la concessione di permessi di
soggiorno e di lavoro. Complessivamente, le varie Chiese e comunità religiose gestiscono 93 istituti scolastici; di questi, 44 sono cattolici (24 appartengono al Patriarcato latino di Gerusalemme) e in essi sono numerosi gli allievi musulmani1.
Nonostante il rispetto e la considerazione di cui godono in società, i cristiani denunciano l’assenza – per il periodo che precede la conquista islamica del VII secolo – di qualsiasi riferimento al cristianesimo nei libri di storia adottati nella scuole pubbliche; essi, infatti, passano direttamente dall’Impero Romano alla presa
del potere da parte dell’islam.
1 http://en.lpj.org/the-diocese/schools/
200
GIORDANIA
I cristiani godono di autonomia statutaria nella gestione dei loro affari interni, in
materia di insegnamento e di lavoro sociale, nonché nelle questioni relative ai diritti della persona (come matrimonio e successione ereditaria). In ogni caso, in
base al Corano (cfr. Seconda Sura, versetto 221), a nessuna donna musulmana
è consentito sposare un uomo cristiano, mentre una donna cristiana può sposare
un musulmano. La normativa vigente sancisce anche il principio che i figli seguono la fede religiosa del padre2. Da segnalare, altresì, che un musulmano non può
convertirsi al cristianesimo.
La presenza di gruppi estremisti in Parlamento – tra cui i Fratelli Musulmani – e
l’influenza dei fondamentalisti salafiti, fa sì che il programma islamista riscuota
sempre più consensi in ambito sociale, elemento che genera nella comunità cristiana crescente preoccupazione3. Ad esempio, nel maggio 2012, una donna cristiana
impiegata presso la Jordan Dubai Islamic Bank è stata licenziata per essersi rifiutata di indossare il velo islamico, previsto da un nuovo regolamento interno4.
In questo contesto, Re Abdullah II ha dato prova di buona volontà nei confronti dei
cristiani, non solo verso quelli della Giordania, ma anche verso quelli delle comunità dei Paesi arabi vicini. Il 3 e 4 settembre 2013 ha accolto ad Amman i rappresentanti delle Chiese cristiane di tali Paesi per discutere della loro situazione in
un momento in cui la loro esistenza appare sempre più in pericolo; durante il Simposio, dal titolo «Le sfide che devono affrontare gli arabi cristiani», i partecipanti
hanno potuto esprimersi in piena libertà5.
Intanto, però queste sfide assumono sempre più importanza. A metà dell’anno
2014, oltre 600mila siriani si sono rifugiati in Giordania, cifra che corrisponde al
10% della popolazione del Paese. Questa immigrazione sta mettendo a dura prova l’economia già vacillante che ha un tasso di disoccupazione che rasenta il 30%
e che convive con il timore della concorrenza di tali immigrati/rifugiati sul mercato
del lavoro6. Il Governo giordano è tra i pochi ad essere sopravvissuto alla Primavera araba e molti temono che possano crescere i consensi per i gruppi estremisti già intolleranti nei confronti delle minoranze religiose. Scrivendo sul New York
Times, Marisa L. Porges afferma che «in un Paese a lungo considerato tra i più
stabili della regione […] i problemi socio-economici sono più che preoccupanti
[…] I giordani stanno cominciando a pensare che il loro Governo (e la comunità
internazionale) stia aiutando i profughi siriani a loro spese. Benché queste tensioni non abbiano ancora causato disordini o violenze su larga scala, osservatori locali temono che ciò possa verificarsi […] e quindi i profughi possano causare una
nuova Primavera araba in Giordania. Tale agitazione sarebbe devastante»7.
http://jordan.usembassy.gov/acs_marriage_jordan.html
www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/salafi-jihadists-on-the-rise-in-jordan
4 cf. Antoine Fleyfel, Géopolitique des chrétiens d’Orient, éd. L’Harmattan, 2013, p. 89
5 cf. Annie Laurent, «Une réunion inédite», in La Nef, n° 253, novembre 2013
6 Al Jazeera, 17th aprile 2014
7 New York Times – 17th marzo 2014 – Marsia L Porges
2 3 201