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Milo Cesario
IN COSA MAI
SIAMO MORTALI?
ZONA Contemporanea
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13/01/2011, 20.20
In cosa mai siamo mortali?
poesie di Milo Cesario
ISBN 978-88–6438-181-7
Collana ZONA Contemporanea
© 2011 Editrice ZONA, via dei Boschi 244/4 loc. Pieve al Toppo
52040 Civitella in Val di Chiana – Arezzo
tel/fax 0575.411049
www.editricezona.it – [email protected]
ufficio stampa: Silvia Tessitore - [email protected]
progetto grafico: Serafina - [email protected]
Stampa: Digital Team - Fano (PU)
Finito di stampare nel mese di gennaio 2011
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A Marcella,
tu che sei tutta la folla di amate di questo libro.
A Marcella, fiore d’aria, bellezza di sabbia bianca, notte che decide di fare sul serio,
la tua voce la conoscevo da prima dell’innocenza, prima delle foglie.
A Marcella, schiuma vertiginosa che affoga il sogno migliore, universo di soli gelsi.
Follia, vaneggiamenti, illusioni, divagamenti che non servono perché tutto è
fantastico insieme, occhi che fanno venire il languore per il cielo al disincanto.
Amore che ha puntato sull’altro anche la strada di casa,
l’orizzonte, la pace e le scarpe.
Mi hai fatto credere che i brividi sono promesse fino alla morte.
Hai pietrificato la mia solitudine delirante come una tigre che ti fissa nella giungla,
non dovevo più portare da solo il peso di sapere che il sole parla,
cosa ci è successo?
È l’amore che fa più rumore della luna che cade sulla terra!
È l’amore, un treno che viaggia per te mentre dormi.
Sei il cuore che libero esce dal petto, sei l’unica con cui ho mostrato
il peso dei miei occhi, che sono fatto di fuoco e profumo e non di carne.
Amica con cui sono io come in una preghiera,
con te ho un cielo in più a cui dire bugie d’amore, sei una primavera personale,
mi attraversi come un fantasma, possiedi la chiave dell’alba e degli schizzi d’acqua.
Amore che non vuole niente più da nessuno di voi,
il mondo gioca solamente visto questo amore.
Amore per una donna che può fare a meno della menzogna,
che può fare a meno della coda di pavone del mondo che crediamo sia Dio.
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INTRODUZIONE. TRA
INCANTO E DISINCANTO
A prima vista, questi testi di prosa poetica si presentano come una sorta
di vaneggiamento lucido, segnato da quei tratti che Arthur Rimbaud attribuiva al poeta veggente: “…un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i
sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso,
esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza”. Questo disordine può spaventare o confondere il lettore, facendolo allontanare
dalle tante perle affioranti tra le valve di una scrittura eruttiva e
fantasmagorica.
Forse è allora meglio ricordare l’affermazione di Fernando Pessoa, secondo la quale il poeta è un così bravo fingitore “che arriva a fingere che è
dolore il dolore che davvero sente”. La spinta dell’autore a sentire tutto in
tutte le maniere, con il continuo rischio di perdersi, non deriva tanto dall’ambizione ad essere poeta ma, direbbe egli con Pessoa, “è la mia maniera di
stare solo”.
Chi sia il poeta, in ogni caso, ce lo dice chiaramente l’autore stesso, con
una potente immagine che ci rimanda al clangore dell’incontro/scontro tra le
parole offerte: “un incidente sulla strada principale”. È su questa strada,
dunque, che possiamo incontrarci con l’autore, anzi dobbiamo, visto che è lui
l’incidente, è lui l’umanità riversa di traverso sulla strada della nostra rassegnazione vestita a festa, del nostro disincanto.
In un modo o nell’altro, con i suoi infingimenti e i suoi trabocchetti, l’autore ci trascina, facendoci stralunare gli occhi e le idee, attraverso i territori
del Paradiso Perduto, della morte di Dio, del disincantamento del mondo. Se
c’è una vera follia, sembra gridare, quella è la fuga dalla Verità, l’errore
capitale del disincanto che ci allontana da Dio e da noi stessi. Già così, però,
ecco l’inganno del poeta, si scopre il reincantamento del mondo.
Non occorrono filtri magici, l’incanto “lo riconosci quando ti sembra che
gli uccellini dell’alba riempiano di arguzie e di sberleffi il disincanto”. Forse,
ci suggerisce l’autore, siamo ancora o siamo già nell’Eden, nel Paradiso
Eterno; basta riconoscere che il divino è ovunque. Non serve nominare Dio,
poiché lo si può trovare ugualmente nel cielo, nel mare, nelle stelle. Come
l’angelo informe che aleggia invisibile sul mare delle nostre anime, il miracolo non è altrove, né è da attendere o impetrare, è già qui, nella comprensione
intuitiva della vita e della sua bellezza, nella contemplazione del mistero.
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Ci contraddistingue la paradossalità, siamo ossimori viventi, condannati
forse a vivere nel disincanto, ma con la costante possibilità di farlo con un
senso di incantamento. Nella vita, prima o poi, si può avere la fortuna di
incappare in un “incidente” sulla nostra strada principale che orienti diversamente la nostra esistenza.
A Raoul Follereau, un giornalista e poeta francese del secolo scorso,
durante un viaggio in Africa, alla ricerca di uno scoop, accadde che la jeep
ebbe un surriscaldamento al motore. Fu in quella sosta forzata che gli apparvero i lebbrosi della savana ed egli potè scoprire che tanti esseri umani
vivevano in una condizione di doppia disgrazia: avevano la lebbra, erano
ammalati contagiosi, ed erano lebbrosi, esseri umani isolati completamente
dal consorzio umano. Tutta la vita di Follereau divenne allora il tentativo,
riuscito, non solo di difendere i diritti umani dei malati di lebbra, ma anche di
dimostrare che “con l’amore nulla è impossibile”.
Allora, nel disincanto, chi smette di dire la verità, l’universo o l’uomo?
Nel disincanto, nella visione della potenza del Male, la poesia dà alimento
all’incanto, alla visione del Bene che vince anche nei territori del Male.
Possiamo riguadagnare la fede, capire che non siamo qui per la nostra illusoria
felicità o che, come ancora sosteneva Follereau, “non si può essere felici da
soli”. Lo sguardo nudo, che viene direttamente da ciò che chiamiamo “fragilità umana”, distillando il dolore della persona, è capace di reincantare il
mondo evocando l’amore attivo. L‘autore si mette a nudo senza timore per
testimoniare questa verità: “Infatti il merito è dell’amore, che ha i suoi poteri
anche in un folle, se sono sopravvissuto. Anche nella follia l’unica spada è
l’amore, l’unico sollievo per il bruciore della follia, l’unico che non necessita
ali ma ti solleva, quindi l’unica lingua che si fa intendere anche qui”.
Dinanzi al perdurare della sofferenza umana, il buddista quasi santo, il
bodhisattva, ormai sulla soglia del nirvana, prova compassione e decide di
trattenersi sulla Terra, nel disincanto, rinunciando alla sua beatitudine per
continuare a spargere amore tra le persone.
Forse i nostri sogni portano dolore, forse non siamo fatti per la nostra
felicità, ma certamente possiamo vivere con meraviglia, stupore ed incanto,
dimorando nell’anima. Dimorando nello stesso luogo dove abita la poesia.
Francesco Colizzi
Presidente nazionale AIFO
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POESIE
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IL
MARE
“le tue maree tolgono spazio all’odio”.
Scritta, al posto di dire semplicemente, che il mare è
fuoco, cani che ti leccano e soprattutto, vivo!
Mare, che nei tuoi abissi regali,
anneghi i peccati capitali d’acqua eccitata,
le tue onde sono il tendersi della pietà
alle nostre sciocchezze d’oro,
le tue maree tolgono spazio all’odio,
le tue correnti sono la forza delle tue doti,
il tuo fragore è un mantra vertiginoso, un rosario possente,
il tuo odore infilza la mente, fluisce nel sesto senso,
nelle tue tempeste, nei tuoi maremoti, nascondi il sognatore,
dagli assalti del tempo.
Fedele spalla, di cobalto e polvere d’oro bianco,
del sole, nello spiritare la terra.
Quel blu immenso che sei,
sembra una lacrima del divino sui nostri tradimenti.
Sogno che non sfuma, che ha corpo e volontà,
nato da un gesto d’amore sicuramente.
Bellezza da milizia celeste,
turbi gli animi per consegnarli alla vita eterna.
Mare, ho affogato demoni nelle tue acque,
riesci a contenere ogni mio dramma,
vicino a te, il mondo umano, sembra solo un anello
che nessuno vuole sulla sabbia.
Ero sott’acqua, in te, di notte mare e ti ho visto,
sorpreso credendo di essere solo,
hai occhi di fuoco, riesci ad afferrare sogni
e non sei né nudo né vestito,
mi dicesti: se scordi le bestemmie dei tempi
senti il celeste parlare.
Io ti chiesi: nascondi qualche segreto?
Rispondesti: guarda la mia gloria,
ti sembra nasconda qualcosa?
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Mare, tu proteggi i desideri appena nati,
ti agiti sempre dopo una ingiustizia
ma dicono sia colpa del vento…
Ti scandalizzi molto più di noi della storia.
Ti ho visto vero lottatore, altro che tutti,
che ancora non sbirciano la loro anima,
fedele compagno dell’incanto,
tu senza chiarimenti da domandare a Dio,
ti sei consacrato a servire chi non ha casa sulla terra,
donne senza il serpente e onesti sanguinanti.
Affoghiamo in certezze brucianti quando ci mostri
la tua anima. Tu che servi il paradiso,
che precipiti la perdizione con i tuoi muscoli blu-verdi
per lasciar sfilare libero il cielo,
per lasciar sfilare libero il salvatore.
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PENSIERI
DI VIAGGIO
“diretti nel segreto che esprime un cinguettio”.
Scritta, per ricordarmi chiaramente di quel viaggio con lei,
che altrimenti la mia carne reputerà isteria,
ubriacatura, semplice suggestione.
Su un treno col muso puntato sulla stregoneria azzurra,
ammiccanti e stretti,
verso posti dove il chiaro di luna è l’intercessione
di una Santa,
diretti nel segreto che esprime un cinguettio,
e dove le farfalle sono belle come le donne.
Come sussulterà il fuoco per questo amore?
Lei ha baci onesti come l’anima per me.
Vogliamo incatenarci l’anima all’altro,
vogliamo scioglierci come neve nelle mani dell’altro.
Alle ginocchia abbiamo pianeti,
sulle unghie la mappa dei desideri
e fra la chioma il mistero di una gioia pesante.
Questo amore diretto dentro una nuvola febbrile.
Diretto verso il luogo da cui tutti stanno fuggendo inspiegabilmente.
Su questo treno per andare oltre il coraggio
nella luce che esce dalla carne.
Dentro un tunnel, il fischiare dell’aria,
pareva mille avvoltoi che strillavano
e una luna che sorrideva beffarda
ma noi eravamo pronti ad affrontare l’isteria delle meteore,
con i nostri sogni di piuma.
L’apocalisse chiarificherà questi folli legami?
Aria fischia ancora su questo amore, che non vuole sole,
che non vuole colori e stelle filanti
ma sussurri di promesse più pesanti del piombo.
Amore che si aggroviglia di deliziose ossessioni.
Legati nelle arterie e nel cuore da qualcosa talmente grande
da sembrare la visione dell’anima.
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Il mondo è una guancia, dal finestrino,
carezzata dagli occhi quando lei mi respira sul collo,
quando i miei sogni riposano nel suo calore prezioso.
Su questo ammasso di ferro, verso una stimmate di vita.
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I
POETI
“domano la follia e la lasciano fra i muscoli del sacro”.
Scritta, dopo che un giornalista in tv, si diceva un uomo di verità,
subito dopo ci fu un servizio su Arthur Rimbaud e questo
“amaro e dolce” ha creato la pozione
che mi ha ubriacato per scrivere “I poeti”.
Trafugano, i poeti, arcobaleni di fede dal paradiso,
loro lanciano un grillo di preghiera sulla terra,
hanno sfinito la giovinezza fino ad ottenere pozioni magiche, loro amano le
donne,
cavalle d’acido che devono essere scalze
sulla vertigine di vivere, loro amano gli uomini,
che hanno le stelle nelle vene e liberano sogni indomabili.
I poeti con le loro parole prevedono il volo degli albatros,
i poeti tolgono le catene al miraggio irrimediabile,
i poeti hanno sbranato le budella dei re,
sono andati a contrattare con la luce per salvarvi l’anima,
i poeti sono intoccabili perché la chimera sfrenata
sfianca persino il demonio.
I poeti sono un incidente sulla strada principale.
Il sole d’estate calma i poeti che prendono a calci
le porte del paradiso, ogni domanda umana
si racchiude nella fedeltà dei poeti ai giorni divini.
I poeti esorcizzano pozzanghere, mettono cattedrali nell’ignoto,
procurano possibilità, compongono invisibilità,
fanno arrossire le prostitute, portano umiltà nell’umanità,
domano la follia e la lasciano fra i muscoli del sacro.
I poeti raccontano di cose solo di altri mondi,
da dove vengono le parole dei poeti? Come fai a riconoscerle?
Sicuramente dai momenti che non spendeva nel peccato,
nel tradimento. I poeti mettono i cigni a predare ingiustizie
e nere muse a rubare bambini tristi,
mettono al muro la giornata assolata, catturandola,
sono proprietari del corpo sinuoso della grande eclisse.
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I poeti uccidono il tempo, mettono trappole sui tetti,
i poeti sono una malattia inguaribile al male,
i poeti si sono consumati come una candela accesa per vedere i tuoi baci,
i poeti sono una voragine nella ragione, nel regno freddo,
sono l’imprevedibilità di marzo.
I poeti hanno la vista di un falco per l’incomparabile,
scrivono di cose che nemmeno un esploratore trova, intrappolano agitazioni,
acquisiscono prove sull’esistenza dei sogni da sbattere in faccia a spettri e
vampiri,
traducono la lingua delle esplosioni.
Qualunque poeta non è vostro, nessun poeta ha mai parlato di ciò che credete, il poeta è un agnello travestito da mito, per imboccarvi nascostamente
una devozione.
I poeti strillano più forte della morte, lasciando l’umanità sola con la stella
polare.
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LONTANO
NEI PENSIERI DI UNA BAMBINA
“Muori mondo falle vedere la differenza fra buio e luce”.
Scritta, perché il rumore degli errori del mondo stava rubando la mia innocenza.
Le rocce franate necessitano l’imprevisto,
una vendetta delle falene, del sereno,
impassibilità per l’ingratitudine anche sugli occhi
dei cavalli.
Tombe pulite, lucide, più brilla una tomba
più credono alla resurrezione, questi umani.
Qualcosa fa soffrire l’umanità arresa alla prima stregoneria,
e la piega, sicuramente un amico di questa bambina
e ogni arcobaleno fa cadere la peste,
tutto affinché il sole per lei…
l’ingiustizia non fa ciò che vuole,
eppure non ci sono Santi ed eroi nel perimetro,
riesci a vedere di cosa ho parlato fin ora caro lettore?
Bisogna vederti almeno una volta nella vita,
come una gran puttana mondo,
smascherato dal buon odore della pioggia,
tutti hanno, almeno una volta, cercato
di farmi diventare normale come un demone.
I pavoni incidono sulle tombe lucenti,
rocce inseminate ancora franano,
la bambina ha l’espressione di una frusta,
è flessuosa e dura come un arbusto,
fissa tutto ciò e vuole più furia ancora,
lei non sarà sazia fino al paradiso,
lei non sarà sazia finché non sentirà la verità circa il mare,
non pesa le pene, spuntate per peccati che non conosce
ma solo perché non si fa festa.
Lontano nei pensieri di una bambina ci sono
compiti che scioglierebbero armature,
devi prendere il colpo a petto largo,
occhi aperti durante una esplosione,
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quando la luna deve metterci forza davvero
e la bambina guarda il mondo con quegli occhi di ferro!
Con quegli occhi che ti prendono come un branco di cani.
La notte salata scende come un miracolo dal colore
dei pozzi, il monsone è carico d’inganni,
si, il monsone credi ceda al tuo ateismo?
Ti lancia in mare…
monsone di una giustizia che non sbaglia mai.
È una vita di dolori, deve piegarsi il mondo sotto la sua colpa,
la bambina respira senza malizia grazie a ciò,
finiamola questo mondo è la fuga continua
dal leone della coscienza,
questo mondo è pazzo perché si mente.
Lei si concentra su un verme schiacciato,
nessuno starà dietro alle illuminazioni che sta avendo,
siamo nell’accelerazione della genialità, quando fa sul serio,
è seminare il vostro peccato,
distaccare le vostre parole che ci farebbero nascere invano,
vede fantasmi di donne uccise che si muovono fra i fiori,
lo sa, ma ne tacerà per qualche decennio,
e ha più sete di vendetta di una bestia feroce
per la festa rubata ma non penserà nulla di malvagio,
dove andrà riflettendo?
Mentre il mare distrae per gonfiarsi e inondare,
lei gli tende la mano gloglottando,
è saturo d’ignoranza il caro compatimento,
il satellite d’argento urla con un burka,
tutte le stelle vedono la mano alzata contro il fratello,
i fiori sono agghiacciati e nascondono un’ arma fra la corolla, tanto dicono
mani in alto!
Eco di estinzioni di dinosauri,
la rabbia di tutte le farfalle non può essere vendicata,
questa bambina non deve precipitare nell’insensatezza dei venti,
nella codardia di una vita solo felice, nella morte dei suoi tuffi.
Ecco la frana di nuovo e le tombe lucidate di nuovo,
tutta la distruzione del mondo, vale meno di lei,
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che distrugge castelli di sabbia,
è chiaro lei può ancora fare miracoli che ingrandiscono il sole.
Tutto affinché la bambina tagliasse il cordone
con la voglia di giustificare, col credere che parlate con umiltà,
affinché la bambina vincesse, il rancore grande come la luna,
di un mondo umiliato da qualunque bellezza,
affinché la sua vela sia gonfia, senza profeti di libertà vincente,
la libertà è un agnello!
Nasca senza contaminazioni il suo credo,
non venda il cielo per l’età adulta,
conosca davvero la strenna della pace,
oh pace di delfini di limone,
che è flagellata in questo inferno goffo.
Ecco amico ho sentito un’altra scudisciata.
Lontano nei pensieri di una bambina non c’è necessità
di sentirla.
Lei potrebbe camminare sull’acqua con la sua purezza,
in quegli occhi di ferro accadono big bang,
mani di piuma davvero! Con quelle mani piega l’acciaio del cuore.
Lontano nei pensieri di una bambina ci sono milioni di bombe atomiche,
idee più pericolose di un meteorite, ha la potenza di far cadere l’abitudine
all’omicidio,
per ridare il mondo al capriccio lieto.
Lì lontano non arrivate, è viva, protetta da un elmo mostruoso,
non occupate lo spazio destinato all’estasi.
Lontano nei pensieri di una bambina non ci sono rivali,
ma c’è il mondo che soffre per la verità d’arcobaleno,
lei non chiede perché gli adulti hanno lineamenti confusi, lo sa…
lei ha coscienza di ogni singolo inferno, lei gioca con le cose che muoiono e
le butta via come bambole strappate,
lei, fissando con quegli occhi di ferro tutto,
capisce qual è la strada anche se non c’è più nessun uomo che la conosce.
Muori mondo falle vedere la differenza fra buio e luce.
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NOTTI
MAGNANIME
“Di quelle notti che la carità affoga le stelle più piccole”.
Questo mondo non è solo consigli
asserenti di fregare l’altro, asserenti che la vita migliore
è una corsa disonesta alla corona.
Di quelle notti solo paventate dalla saggezza popolare,
che come miele entrano nel naso.
Notti non di sazietà, non di glorie o vittorie.
Di quelle notti, che la luna è una goccia
nel mare dell’ animo e sulle scogliere, scorgi di esser notti,
che solo avere in dono una manciata d’astri,
basta ad avere la beltà assoluta.
Notti che il diavolo non c’è la fa a sotterrare i nostri
più incustoditi giochi.
Di quelle notti che la carità affoga le stelle più piccole.
Notti dove si manifesta il cielo con la corona,
la gioia come scettro, da re magnanimo,
ti dice si alla tua più grande speranza e va.
Trovi le stelle che colgono fiori d’illusioni,
per inseminare nuovamente la terra di leggende
grandi quasi come Dio,
in quelle notti i pugnali scompaiono, un grillo fa
da guardia, i rumori rompono uova di sogno
e al posto della speranza secca c’ è la certezza di un
gran sole all’indomani.
Come se la luce della luna fosse la porta aperta di casa,
notti non di sazietà, notti solo d’immenso.
Notti dove sbattevi con i sogni,
dove vedevi chiaramente gli zigomi degli angeli…
Notti dove la possibilità covata, credendo ormai follemente,
ti carezza e ti addormenta.
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I
NOSTRI BACI
“erano baci più grossi di una bugia”.
I sogni tremavano pensandola ma la carta resta ferma e puoi fissarla.
Mi hai messo nelle mani la tua vita,
come un drappo in un bacio.
Abbiamo chiesto al sole, con i denti in vista
come i cani, per questi baci.
Il mio cuore è ormai segnato, abbiamo
avvertito i sogni che facevamo sul serio,
abbiamo liberato la mezzanotte, sicuramente.
Come se avessimo detto che l’infinito esiste,
nei nostri baci.
Si, in questi baci come li promettevano
i tulipani notte tempo, i baci facevano
mordere il gigante serpente invano,
sembrava che in ogni modo sarebbero scesi angeli
per raccogliere il copioso bouquet dei nostri baci,
con questi baci ci arrampicavamo sulle faville della luna,
baci che rivoltavano la terra da bruco a farfalla,
baci che conoscevano l’area dell’universo,
la profondità del buio,
baci come àmi, baci d’acqua,
baci che surclassavano la speranza,
baci che dissolvevano l’impostore,
erano baci più grossi di una bugia.
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GIOCANDO
CON LE ARMI DEGLI ANGELI
“Mi accorsi di essere ubriaco fra quelle armi”.
Il talento, il genio, l’amore non si compra, questo causa tutto l’odio.
Giocando con le armi degli angeli fui quasi morto,
vedendo la spada, la provai,
è difficilissimo maneggiare la perfezione,
la mano la sente quasi nemica,
ho capito che quello scudo, fatto di sola fede,
io non lo avrei saputo materializzare.
La mia impurità solo lo sforzo del sole
avrebbe colmato di luce,
per poi credere alla promessa di un colore,
per poi convincermi, che il fuoco di alcune loro armi,
non mi avrebbe bruciato come fossi un demone.
Giocando con le armi degli angeli pensavo
che non c’è niente qui che sia giusto, tranne
quando si sfoderano i miracoli.
Con in mano uno strano elmo,
già illudendomi uno di loro inneggiavo:
il peso dei sogni ci piegherà ancora ma la resurrezione
si aggira felpata, per questa terra, e con occhi d’oceano,
tutte le ferite sono sempre carezzate dall’arcobaleno,
quella carezza di fuoco che ci fa guerreggiare con i cataclismi.
Facevo sibilare uno strano pendolo fatto di luce
e capii che l’uomo si sdoppia di fronte all’empireo,
prende una palla per giocare con lui
ma non si aspetta che gli ritorni il passaggio,
cade nel momento di sensare la ferita provocatasi per lui.
Lì mi rendevo conto che gli uccelli notturni
passano da sempre nel momento
in cui necessitava un orologio d’amore,
a portar via dubbi, questa intuizione,
mi faceva sembrare d’intravedere gli utensili divini
che ti hanno forgiato terra,
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come la goccia che fa traboccare il vaso questa intuizione,
e hanno forgiato le armi degli angeli.
Mi accorsi di essere ubriaco fra quelle armi,
troppa luce, ero in qualcosa più grande di me,
destini fumanti! Non v’erano errori come ragni lì nascosti,
immaginai sguardi così seri e audaci,
sguardi d’arcobaleno di fronte al terrore,
sguardi senza nessun freno possibile dopo l’ordine dell’amore.
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IMBRATTATI
DEL PLASMA DI UN SOGNO
“facciamo tremare i nostri stessi sogni, che si sono mostrati ad occhi ardenti”.
Scritta, d’inverno mentre tutto muore cantando, sognando, festeggiando.
Mi troverai, tremante ed armato, per la beatitudine fanciullesca, per il carisma
dell’ innocente,
per ciò che tu chiami perdita di tempo, per ciò che tu hai bollato come fumo,
per il sogno mostruoso che t’ingannò facendoti amare.
Mi troverai senza paura di morire, perché ciò che lascio,
è racchiuso in una preghiera, che potrò fare altrove.
Perché non appartengo a niente della vita,
sono sposato con la musa rinnegata, con il sole scaduto in fiaba.
Avanti, verso l’alba dove verseremo dentro, il plasma, che brilla, nelle più
strane profondità di un presentimento.
Avanti, rincorriamo il nostro compito divino
come il vento lo adempie.
Tutt’uno con la severa beltà del mare,
facciamo tremare i nostri stessi sogni,
che si sono mostrati ad occhi ardenti.
Che l’eterno sia in pena per noi, per il nostro troppo zelo,
che gli angeli ci vedano sfrecciare!
Che è una vita dove non si cammina, si vola,
non possiamo farci niente, canto d’eunuco
che governi la storia, siamo fatti d’inebriante vino d’eternità, d’altro universo, siamo imbrattati del plasma
di un gran sogno, si, questo mondo ci illumina d’oro,
ha venti che piegano tutto come sotto il peso dell’innamoramento sempre
dietro l’angolo,
forme più impressionanti di una donna,
qui sudiamo di gioia.
Mi troverai tremante ed armato per la beatitudine fanciullesca, al prossimo
canto di qualsiasi
uccello notturno ricorda; il sacro Graal, il nirvana, la quintessenza, l’anima a
me non interessano,
voglio solo che la luna, quando si spoglia,
non chiuda la porta davanti a me…
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RIPRENDERE
LA MAGIA
“ci sentiremmo estranei nel paradiso
se non facessimo prodigi ora”.
Scritta, in ricordo di un viaggio a Parigi, fatto perché volevo
dimostrare nella realtà i miei attacchi al male
compiuti nella fantasia.
Volevamo rifare il giro del cuore cosmico.
Volevamo di nuovo fare uno scherzo
di cattivo gusto alla storia.
Per questo e molto, molto altro ricominciammo
il pellegrinaggio giallo.
Perché dovevamo un favore alle onde, anche.
Se credi che una sola onda sia vana,
non hai visto cosa se ne fanno gli innamorati.
Anche se attraversammo il campo delle rose
che cantavano di commozioni,vedemmo insetti fare il verso agli angeli,
resurrezioni di galassie intere
e scorgemmo le figlie del sole felici,
non potevamo accontentarci di una semplice amicizia
con le grazie, volevamo sentire il battito del cuore del colibrì,
volevamo confidenza con la luna,
perciò stiamo tornando sulle rive gelate,
per chiedere l’assoluzione e riprendere la croce.
Non si può lasciare vacillare ciò che è solo gloria,
mi capirai quando ricorderai i giorni
alla destra della giustizia implacabile,
ci sentiremmo estranei nel paradiso
se non facessimo prodigi ora,
se non domassimo le maree qui, possiamo con queste mani.
Spargiamo il profumo del sogno migliore sulla pelle,
galleggeremo in un sospiro luccicante,
perché solleticheremo l’assoluzione,
avvisiamo i cavalli bianchi di essere pronti,
animali ci serve nuovamente la vostra intelligenza ancestrale,
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prepariamo le creature non umane
ad una nuova preghiera,
non potevamo accontentarci di una semplice amicizia con le grazie,
le nostre ali devono rispaventare il demonio,
dobbiamo rimanifestare l’onnipotenza del brillare,
stiamo tornando sulle rive gelate
per chiedere l’assoluzione e riprendere la magia.
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L’ALBATROS
“il suo volo è messaggi d’oro”
Scritta, perché Baudelaire mi fece rimanere con l’acquolina
della visione dell’albatros.
L’albatros elogia nelle sue evasioni,
le sofferenze fatte d’arcobaleno degli individui soli,
il suo volo è messaggi d’oro, proiezione di una preghiera,
il suo volo è simile al movimento delle nuvole,
la bellezza del suo volo è un desiderio realizzato,
è fonte d’ispirazione delle più squisite farneticazioni,
forse le sue uova sono stelle cadenti non bruciate
e disintegrate al suolo,
le sue ali sono patriarchi della scienza occulta,
ha ali abbastanza grandi da riscrivere,
con la sua piuma caduta, tutte le storie d’amore del mondo,
legato al cielo in tale meraviglioso modo.
L’albatros non volerebbe come se avesse messo
le briglie al vento se non eruttassero distaccati i vulcani,
il suo volo è una missione ignota, niente di casuale
ma adatto all’uomo più del vino,
fuggirebbe il mondo se non ci fossero addii così lontani
che il freddo dell’oceano piange sconvolto,
non volerebbe senza amori stravolgenti,
vola nella solitudine di chi vede le sofferenze
delle stelle a causa del mondo,
il suo volo distacca il presente e il futuro,
è simbolo della perfezione del senso della vita.
Il suo migrare è rarità perché come solo la luna,
distanze enormi colma nello sconfinato, come un pellegrino,
come un innamorato, come chi rincorre la verità,
vola su chi ha mancanza dell’imponenza dei sogni,
vola per l’altrove, bianco come un pezzo di cielo,
con le punte della coda e delle ali nere
come a voler attirare la nostra tristezza,
per portarla con sé a farla morire di vertigini.
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LA
FANTASIA
“bagno nello smeraldo, l’unico modo per carezzare il sole”.
Scritta, perché quella mattina volevo affrontare un vero colosso.
Oh fantasia, tu dai la parola al gigante sole,
trasfiguri l’intero universo,
facendo muovere passi di fiamme nella terra salva,
oltre le adultere imbecillità dei numi umani.
La fantasia mi ha dato la chiave della pace senza causa e senza numi,
coscienza di paradiso forse?
Si perché nessuna frase logica valorizza la primavera,
i suoi occhi, il mio vagare, questa notte, la mia goccia di sudore,
la fantasia è il linguaggio degli angeli!
La sua compagnia mi confidava che nessun numero di lame
può cambiare la meraviglia.
Con la fantasia, si attacca come sporco comune,
alle mani l’immortalità.
Mi ha portato a spasso e ho visto che tutto questo universo
è un inchino all’amore.
Quest’onda di piante e pianeti, d’astri e cavallucci marini
che gli si inchinano.
Fantasia, più spietata di ogni cosa, sfavillante surclassa
gli ammiccamenti delle tentazioni, beatitudine gratuita,
si muove velenosa della sua genialità
liberando dalle mille parole del mondo,
dalle false promesse dei dittatori.
Bagno nello smeraldo, l’unico modo per carezzare il sole!
È inafferrabile come una preghiera.
Mi sussurrò che ogni piovasco intreccia comunque
una missione gemente, nuvole viscerali,
gocce come frecce di cupido, tuoni esaudenti,
lampi scorsoi fra terra e cielo:
la fantasia è il settimo senso, vita che non puoi imprigionare!
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Fece ogni cosa con le sue ubriacature date agli artisti,
lei fra i fiori esangui e cadaverici lasciò al mondo
di volare e tremare come dei.
Ma l’umanità incredula l’ha rinnegata,
l’umanità non crede oltre i sassi
e infatti l’umanità non ha storia è solo un suicidio,
il ghigliottinamento di un girasole,
un tradimento ad una libellula d’argento che sapeva
il tragitto per l’eden
ma la fantasia sarà sempre tutto questo per me!
Quale essere che vive solo ottanta anni in questa immensità,
può decidere per me, com’è la vita; cosa significa realtà, pareti?
Sarebbe molto più che perdere un figlio perdere la fantasia.
La sconvolgente compagna che scaglia via
la mia corona di spine. Che spaventa il dinosauro.
Che mette dentro una violetta che oscilla
la forza per credere nel tutto.
Lei che mi lascia a piangere d’inverno, in acqua,
con Dio a mezzo metro.
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PACE
“la pace ha ali smisurate volte più grandi di un angelo”.
Nessuno ha mai portato il suo peso, nessuno l’affronta, nessuno la sa toccare,
lei abbaglia la mente, scritta, per portare la pace più vicina alla mia imperfetta comprensione.
Vaneggiamo di violaci evasioni,
guardando l’obelisco sciocco, ora sei salvo, ora sei vicino alla divinità uomo!
Limpido il motivo per cui ci troviamo in questo limbo,
ancora più chiara la scala per il paradiso guardando la luna blu,
chiedersi cosa? Vita inafferrabile. Questa vita è lucertole che non saettano.
Oh martirio di solo fumo! Oh dolore inutile!
Oh primavera sfortunata! Oh stelle di piaghe!
Avrà mai la balena il silenzio per saltare dall’acqua?
L’arcobaleno udirà parole più meravigliose di lui?
Avremo l’ardore di consegnare il paradiso nelle mani
del cielo? Inizierà mai la festa che ogni creatura muove?
Come trovare la chiave dello svago sottinteso dal sole.
L’ho fatto amico nelle notti che lei ambiva conversare
col crepitio del fuoco, che lei era tutte le lucciole, le api e le farfalle,
che lei era tutte le mie possibilità, il trionfo di ogni vena,
la fantasia unica!
L’ho fatto quando il nettare cadeva dalle stelle,
seguendo meramente il piegarsi docile di un giglio.
C’era lei con me ed era seminare le leggende in volo,
sui miraggi ci pioveva una burrasca,
un temporale che aveva forma, carattere e anima,
e fiorivano! I colori stritolavano la logica.
Le comete chiedevano di poter riprender fiato,
era come partecipare alle segrete feste ipotizzate nell’azzurro.
Solo puntammo il sentiero dove sospettavamo da sempre
si nascondesse l’immenso,
dove il mondo intero indicava pregando nascostamente,
dove i segreti potevano essere tutti svelati,
dove la divinità scherza con noi,
dove l’alba ci portava nelle logiche illusioni.
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Nella placenta abbiamo la bussola dell’immenso.
Via dalle guerre senza nemici, oh povertà fluorescente!
Via dal martirio di fumo! Via dal dolore inutile!
Dove la primavera è un reame, un patrimonio!
Dove le stelle non hanno dazio!
Lì, nel pensiero di piuma, a un passo da te,
proprio nel cuore che abbiamo, c’è il paradiso.
Balene zaffiro potevano saltare l’arcobaleno,
l’ho fatto amico, ho creduto all’ossigeno
e non alle persone, ho visto che levito non cammino,
mi sono preso l’immenso peso della pace
che non s’importa della mia stessa vita,
che rompe come un palloncino d’acqua la realtà,
lasciando il cuore senza gravità!
La pace fa più frastuono della caduta del mondo,
è un mostro che non puoi fissare negli occhi,
la pace è tanta acqua che spegne
i clamori infernali in un batter d’occhio,
la pace ha ali smisurate volte più grandi di un angelo,
seguimmo semplicemente fonti che ognuno conosce,
seguimmo profezie celebri e il brillare, il brillare,
il brillare e il brillare.
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SOGNO
TOSSICO
“perché ci siamo detti: amiamoci come fossero vere le nostre illusioni”.
Scritta, perché mi sentivo in una corsia di malati senza di lei, fra lamenti e pazzia,
mentre con la penna riconoscevo che il dolore è solo una dichiarazione d’amore.
Sogno tossico di te, che nessuna luna consola,
con nessun angelo il cielo ti può sostituire nella mia pancia,
tu sei il desiderio che ha dato i nomi alle stelle.
Nella notte insieme fuggì denudato, smascherato l’ateismo,
cosa vogliono tutte le parole da questo vento,
sicuramente divino, che si fa usare da noi due.
Chi muore è solo l’uomo, gli insetti scompaiono,
gli animali vanno a correre nelle fantasie dei pargoli,
le piante diventano arcobaleno, noi non ci facevamo impressionare, da un
corpo che non si muove più,
hai mai visto i suoi occhi quando si muovevano!
Hai mai visto il filo di saliva che tiene appeso tutto?
Si, insieme, c’erano cavalli alati che allontanavano
gli incubi indegni, c’erano stelle come ragni
che ci legavano all’altro, la vita era una sbornia,
ti faceva dire una verità felice.
La vita era catturare cavalli di desiderio
con anelli di fumo blu.
Tutte le stregonerie non ti distoglievano dal suo cuore,
perché oltre il cielo solo lei ha risposto alla mia anima.
Cantavo di te e si avvicinavano le chimere e gli unicorni,
pensavo ai tuoi boccoli e la primavera temeva
le nostre intese perché da esse veniva spodestata nel mio sangue,
tu nella tormenta dei fenomeni mi seguivi ad occhi chiusi,
mi seguivi come si segue solo la salvezza ma io ero solo un uomo.
Ora il sogno è tossico amore,
mentre sto qui a sognare ricordi e veggenze,
pensieri senza stazione, persi nelle proprie scarpe,
perché l’orizzonte dipende da te amore,
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perché ci siamo detti: amiamoci come fossero vere le nostre illusioni,
abbiamo preso i nostri due poveri cuori
e abbiamo stupito le regine dei colori unendoli.
Tutto straniero senza te, occhiata fredda col sole senza te,
sogno tossico che mi fa naufragare
nell’oblio, trasportato da inumane correnti fatte
delle tue bellezze.
Sogno tossico in questa lontananza,
ma le tue mani sono il celeste del cielo che ho su me.
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DANZA
CON L’ALDILÀ
“Avremmo corso senza schiantarci al buio,
se fosse il paradiso, per come siamo suoi figli”.
Io e lei danzavamo con ciò che il mondo ha paura anche solo a pronunciare.
In quella notte vedemmo a chi tiravamo pugni di piombo,
chi usa come messaggero la luna che ci imbambola,
con chi ballavamo nella gioia, una danza con l’aldilà.
In quella notte, con la certezza di ciò che è dubbio alla luce,
gli uccelli notturni con il loro cantare, lasciavano messaggi rari, che avrebbero sollevato popoli,
ogni animale e pianta intendeva la mano tesa in pace,
aveva negli occhi, nelle foglie, nei bagliori,
il riflesso dello stesso cuore roseo.
Era una danza con l’aldilà,
una danza dove esplodevano squisitezze,
danza con ciò che deve restare segreto,
con ciò che frega sempre chi si dice re.
Sfuggire dal peso delle stelle era impossibile.
Io e lei credevamo nel dolore che ruba tempo al pentimento,
uno spleen, un mal d’aurora, una maledizione
che è il contorcersi dell’anima per star dietro agli angeli.
Credevamo nel tormento come matrimonio con la vita,
come lacrima che cade al centro di un Dio,
di cui si cercavano i contorni da sempre,
visione di pertugi celesti.
Credevamo non alla vita felice ma alla vita dell’anima!
Ne stavamo parlando di questo e in quella notte un cavaliere,
in sella ad un cavallo grande quanto tre nuvole,
ombreggiò un monte con il suo busto,
il cavallo quando poggiava gli zoccoli faceva il rumore di tuoni,
il cavaliere aveva il viso di chi non si poneva domande, d’oro!
Ci fissò confermando il nostro credere,
rivelazioni di fondo amore.
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In quella notte era una danza con l’aldilà.
Tutto si opponeva alla morte in quella notte.
Avremmo corso senza schiantarci al buio,
se fosse il paradiso, per come siamo suoi figli
e allora per averlo di certo in quella notte di piuma
escogitammo tutto, ci lanciammo unendo gli indizi
delle stranezze dall’infanzia,
un corpo a corpo col demonio, non dormimmo per non morire,
non ci avrebbe riconosciuto nostra madre, eravamo fiamme;
c’era unicità nelle vene, nelle nostre vene velenose,
velenose per un paradiso da cercare ancora soli,
ancora al buio!
Ci lanciammo nel vuoto sulla base di una semplice intuizione,
ci buttammo nel vuoto con l’unica possibilità
di essere salvati da un miracolo e ora lo raccontiamo.
Danza con l’aldilà questa vita.
Chissà poi quanto vicini alle faccende
da stelle e semidei in quella notte ci siamo spinti
ma come primo comandamento capimmo,
non siamo assolutamente mortali.
Smettiamola di crederci mortali,
in quella notte troppo baccano fece lei, la notte eterna,
per non udire i suoi segreti, quella notte io e lei
dicemmo una preghiera e urlammo: fenice passa!
Passa sul mondo affamato di vendicatori dell’evanescenza,
di alchimisti colossali, di qualcuno che gli dica,
che tutti quei dubbi sono le ali di un angelo guardiano.
Si, in quella notte capimmo che la follia è credersi mortali.
Passa fenice, svela la danza con l’aldilà, come già facesti
in notti che l’umanità non scorda più e la fanno cantare,
al passaggio dei venti caldi.
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DENTI
STRETTI
“a denti stretti nella felicità perché miro altro”.
Scritta, un giorno in cui non potevo vincere, allora presi la penna
e mi misi sul primo gradino del podio, non illuminato,
con il foglio che si riempiva di imperi e aquile vittoriosi.
Mi troverai nella notte nera del vinto,
a mostrare che posseggo ancora
la volontà di giungere all’arcobaleno.
Nella miseria della virtù personale
a barcamenarmi d’impeto col sole come se fossi alla pari.
Mi vedrai nella tragedia armato solo di una simbolica pace,
mi troverai a denti stretti per non emettere nemmeno
un lamento che sarebbe anche giusto,
ripetendomi che non ho mai visto piangere un astro,
mi troverai vampiro ma senza aver scordato
i giorni dell’abbaglio;
a denti stretti nella felicità perché miro altro.
A denti stretti mi accorgerò da solo,
se la ferita brucia meno.
A denti stretti nella pace perché ci sono giorni
dove nemmeno il sole può concedermi un sollazzo.
Ma nella devastazione che nutre l’atmosfera,
anche tu avrai l’accenno dei miracoli,
che il cielo attua per salvarmi.
Carezza il mio muso tirato,
mentre dormo e sogno a denti stretti
sa che ho in me un batuffolo di giustizia bianca,
che devo consegnare al violaceo
dell’orizzonte che mi attende.
Vedo fanciulli ovunque a denti stretti,
perché fuori il mondo è nero e nessun altro sarà Cristo e dirà la sua,
lo so, abbandoneranno la loro amicizia con la giungla,
frantumeranno il genio per farsi giustizia, nella lotta si trascinerà tutto all’inferno.
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Fanciulli che ancora tengono sogni come un cane malato
e affamato un topo.
Ma in ogni notte, una stella è affilata per te,
più di un intero esercito, fine, questo è quello che so.
In ogni buio e sepolcro il miracolo può insinuarsi.
Guardaci immensità, per te siamo cavalli di fuoco,
spalle aperte d’ali che non abbiamo,
vene rigonfie che cercano spontaneamente la tragedia,
come una valanga che si lascia cadere,
siamo sulla bocca dei miti per il nostro ardore,
siamo insultati, uccisi, siamo morti con i denti stretti.
I denti stretti sono solitudine anche in primavera,
se qualcuno mai confesserà davvero cosa sono i denti stretti,
si andrà vicino ad un po’ di Santità e basta, è tutto!
Salvaci ancora cielo, quando la carne puzza
e a denti stretti azzardiamo, osiamo amore, per l’ennesima volta.
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L’INTELLETTO
“Tu non hai controparte nel malvagio”.
Scritta, un giorno di luglio ed una ragione fu dimostrare
l’estraneità del male, da lui.
Sole intimo, pertugio dalla crudeltà della comune certezza.
Dai la speranza che fiammeggia,
ti impossessi delle folle come se fossi musica,
il tentativo perfetto per fare scacco matto
al tormento che sembrava eterno, accolto.
Intelletto tutte le forze del male e del bene
avvertono sussultanti la sommossa che sai provocare,
i tuoi fiori si sentono come doglie, danno visione di una possibilità vera.
Tu infilzi al volo l’universo, lo zero è uno con te,
sei compassione elettrica, sei la coerenza che ha l’anima a carissimo prezzo.
Commozione cosciente, alla luce, edotta,
consapevole della bontà delle costellazioni.
Conversione scatenata, lungi da me scetticismo!
Vade retro moltitudine che parla contro le stelle,
età adulta, fine del fischiettare.
Zampillo indomito, immune alla profanazione!
Tu non hai controparte nel malvagio.
L’intelletto affonda il suo colpo per la resurrezione dorata,
mai per se stesso.
L’intelletto è un cuore che sarà malato fino al paradiso.
L’intelletto ha perfino la forma di Dio ma ovviamente non la sostanza.
In un attimo calcoli il peso delle stelle e la loro gittata,
rapido più di un orologio, puro come fosse benedetto,
trasforma le fiabe in intuizioni che gli salvano la vita,
sa fare un grafico della fortuna, colosso che non puoi mistificare,
meglio che lasci i tuoi peccati quando ti rivolgi a lui
perché nemmeno le tigri fanno agguati così sordi,
nemmeno l’eroe colpisce così forte sugli zigomi.
Ti scaglia nel beato lisciamente, come fossi insaponato.
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Per lui è un insulto la limitazione umana anche se lo è umano,
ardore che viene da oltre il panorama stellato.
Per lui la perfezione è piena di imprevisti,
il mondo è la sconfitta di ogni bambino,
la contraddizione della logica è l’ingresso nel giardino,
come il marlin nelle acque, l’intelletto
si muove fra l’imperscrutabilità d’inferno, purgatorio e paradiso.
Distrugge la pace per continuare il gioco, la sorpresa,
qualcosa che alzi impareggiabili monumenti all’anima
anche quando l’anima ha bisogno del riposo.
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NOTTE
MAI RACCONTATA
“Tutti furono umili per sopravviverle”.
Pilastro de libro, scritta, per dire che la “notte mai raccontata” è l’unica da ringraziare
se ti senti umano.
Noi non avevamo paura delle pozioni magiche e andammo!
Giravamo fra ferro alla menta e meduse di profumo,
fra Africa con ali di libellula e silenzio che si strusciava:
mentì tutto il mondo su ciò che esisteva o no,
perché il paradiso incombe e fa fuggire verso una porta sicura,
ma noi fissammo la stupefazione,
raccontammo la notte dove le ombre erano
vestite da regine e il diavolo si era perso
nelle campagne intorno ai nostri cuori,
dove se non ci si affida alla follia ascetica si muore,
dove perse il male e si schiudevano leggende,
dove lei e lui si sporcarono di speranza infinita,
dove c’era la testa mozzata della pena
a cui tiravamo calci come una pigna,
eravamo più obbedienti dei delfini sulle regole dell’amore.
Noi spifferiamo, ciò che per vergogna, dall’inizio dei tempi
era muto, raccontammo che aveva il dna di colei
la notte altissima, i piccoli uccelli erano pronti a morire
per contribuire alla stregoneria amabile,
che un occhio attento può vedere
alzarsi ancora sogni dai cadaveri,
che gli sciamani, in strane lingue,
parlano con i pianeti dell’altrove, sciami di angeli.
Nella notte mai raccontata,
tutti erano nell’affanno del tentativo d’inseguire la gloria,
tutti avevano riverenza per l’infinito.
Tutti furono umili per sopravviverle.
Notte come una goccia di azoto liquido su un indolente,
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uccellino stecchito dall’euforia,
sangue inferocito fuori dalla ferita,
notte mai raccontata perché inghiottirebbe
la nostra falsa redenzione,
notte mai raccontata come farla troppo grossa,
senza perdono dai tiranni!
Parlammo dell’inconfessabile di una notte visionaria.
Che è come essere rapiti dalla fama che ha la vita.
Come un cielo che si china fino a baciarti la guancia.
Come rapiti dai segreti della perfezione.
Come rapiti da lei, la notte mai raccontata,
o era pazza l’umanità a fare sogni che competevano
col sole?
Come rapiti dai nostri occhi, che si nota contengono,
tutte le storie del terriccio celeste.
La notte mai raccontata è un gigantesco fiore fantasma,
che sa colpire come un invincibile cavaliere.
La notte mai raccontata è un colpo di cannone,
il caldo d’agosto, sul cubetto di ghiaccio delle nostre convinzioni contrattate,
cure sicure in ogni fine, fauci che non hanno morso ma leccato,
trabocchetto d’amore insuperabile delle sirene e i grilli.
È il vaccino al morso di tutto il male, l’addio ai sassi.
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AFFIDAMENTO
“Sii tu il mio rimorso di luce”.
Scritta, per non dover più divedere l’osso dell’infinito con l’idiozia.
Ogni dolce dono sgorga dall’alba di piume.
Ma che si chiuda il suo portone se io non sia nella purezza!
Che mi incatenino l’ira delle foglie ed i raggi di luce
perché io posso essere con loro, io posso profumare di miracolo,
io posso essere come la cenere, io posso brillare di virtù!
Posso essere dalla loro parte e aiutare le sacre colonne
rosa dell’aurora, aiuto-stregone della magia dell’eclisse,
scudiero degli angeli, cavallo figlio dell’onnipotenza.
Perché non voglio perdere la mia vita in scuse e perdoni
quando il suo sorgere è emblema della conoscenza,
emblema del volo, passaggio generoso per la grazia,
si, perdere la vita in scuse sarebbe dolore per le muse e gli albatros
che danzerebbero soli.
Che io abbia una palla al piede e la luna sempre dietro la mia nuca,
mia alba, se non sia in grado di gioire delle virtù
e danzare con loro, se la coscienza sporca
mi fa girare intorno ad un palo come cane alla catena,
senza tendermi all’infinito,
come accontentarsi del vizio, cuore che puzza di chiuso,
fuggire la maestosità di un campo fiorito,
dimezzare la bellezza del mare, nutrirsi di bucce.
Virtù per cui così tanto sangue è caduto,
così tanti fiori si sono immolati, così tante vite sono esplose
e che ora sono visibili come il cielo e nostre come la luce della luna
e il calore del giorno.
Liberami solo se sarò libero dalle sporcizie,
salvami solo se sarò salvo dalle eresie,
perciò non dare ascolto al mio dolore
oh mia alba, ma stringi la morsa
fino alla fine della mia vita, perché solo tu sei la mia vita,
voglio solo te, oh alba.
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Voglio essere meritevole della tua alchimia più imponente
per farla mia compagna di gioco, mia alleata,
mia vera confidente. Voglio la tua spada nelle membra ma non l’errore.
Uccidimi tu, trafiggimi tu e non farmi vedere ancora
gli occhi senza fantasia della morte,
sii tu il mio rimorso di luce.
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QUI
“Qui siamo come insetti nell’acquasantiera”.
Scritta, un lunedì in cui il mio solito parchetto si ingrigiva a causa
del mio considerarmi immaturo, nel credere ciecamente
che gli alberi fanno grandi discorsi.
Puoi sentire cosa scorre dentro le ossa qui,
la marea ingoia il rumore del progresso.
Stelle Sante e falene che potrei giurare
vibravano più fortemente vicino all’abbazia.
Qui la luna dispensa cibo e acqua,
dove l’onnipotenza tiene agitato il vento,
dove la gloria rallegra il sole perché sorga ancora,
dove la pietà bacia una pietra e posa la luna piena,
non di fiabe e leggende viola o alieni qui.
Qui siamo come insetti nell’acquasantiera.
Qui è luce che fa bollire l’anima.
Ma è un oblio per noi umili peccatori questo incantesimo,
troppo puro, sarò adatto?
Capisco la forza del peccato e la sua attrazione,
il suo intralcio ora.
Visione della difficoltà di essere Santi.
Fantastico sussurro d’angelo che dice: guarda cosa potrebbe essere!
Prega per noi cielo che sfidiamo le tue immensità,
noi limitati perché incoscienti, che il mal d’aurora,
non cesserà su coordinate umane,
ma su quelle della nostra magia.
Si, qui comprendi che ci sono strane missioni
per cui il sole sorge.
Missioni così caritatevoli da essere indegni anche i cigni.
È come un colore che acceca qui,
come una gioia invulnerabile,
come un fiore che compie la sua missione,
come capire perché esistono tanti colori,
è come se esistesse qualcosa che rincuorasse per sempre.
Qui, qui, qui.
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MIRAGGIO
“lui accontentava il mondo e faceva vedere lontane le stelle”.
Avrei scritto solamente che i pettegolezzi vi stanno succhiando il sangue scintillante.
Io ho illuso il mondo con la sua armatura numerica
e le sue gemme, bestia informe, che si vanta vaneggiando,
di essere creatore dei sentimenti.
L’ho illuso fingendomi un uomo ben piantato,
l’ho illuso fingendo di ridere a ciò che loro ridevano,
l’ho illuso lasciandolo vincere tutto ciò che non conta
ma io volevo solo urlare bugie e prendere in giro il mare.
Per quello che è, non ci ho voluto perdere un attimo!
Seguii da fanciullo immensi testi sacri e le intese con i cani.
Sono passato, da sotto il ventre del leone,
per raggiungere il miraggio.
Prima di raggiungere il miraggio, il serpente gonfio,
che si gonfia più ne hai terrore, che paga carnefici con sesso,
che addormenta la coscienza con l’invidia
parlò con superbia quindi già smascherato dal peccato,
dal caduco a cui portavano le sue parole.
Si, quando un’ idea è perfetta le aquile
possono volarci dentro in eterno.
Lui possedeva il mondo e possedeva le stelle,
anzi lui accontentava il mondo e faceva vedere lontane le stelle,
aveva il mondo come una donna gravida nella pancia
e le stelle traboccanti sembravano mute a causa dei suoi inganni,
io presi con me la mia immortalità,
che fino a quel momento perfettamente terrifico
la pensavo come una favola ben fatta e possibile,
la presi con la certezza dei Santi all’istante.
Lo affrontai capendo che io ho un’anima,
non il mondo con la sua armatura e le sue gemme
e che se avessi creduto a ciò che non muore l’avrei trafitto,
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perché sulla bilancia pesava più una mia morbida intuizione
che l’intero universo, dovevo scegliere se essere certo dell’amore impareggiabile
e tutto ciò che gli ruota intorno, dell’unica goccia d’acqua arrivata in questa
vita
o dell’odio così noioso in cui soggiorniamo,
lo trafissi, vinsi, morì di fronte ai miei occhi, si sgonfiò,
tutto iniziò a scintillare di purezza,
vidi che l’inferno è solo una pozzanghera che viene agitata.
Mentre moriva capii che io ho un arma in più,
il cielo d’estate.
Si ho un’ arma in più, la percezione che l’amore ti consegna dell’eterno.
Raggiunsi il miraggio dopo aver illuso il mondo
e ucciso la parte oscura di un miraggio.
Questo miraggio era la mia anima.
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SOGNATRICE
AL BAR DI CONFINE
“più delicata della cenere è la tua esistenza
ma hai spostato monti e ispirato intere costellazioni”
Ispirata ad Alda Merini.
Un mare di viole, imbevute d’impossibile,
sommerga le tue incertezze,
il tuo regno è un semplice raggio di sole, una goccia perfetta,
quando i tuoi occhi si muovono sono maremoti sull’odio,
fai piombare sulla bestemmia un vortice di rose vergini,
più delicata della cenere è la tua esistenza
ma hai spostato monti e ispirato intere costellazioni.
Il futuro passa brillante e ornato dietro di te
ma tu gli porgi le spalle, come se vedessi anche a tergo,
al tuo fianco c’è un angelo impegnato in calcoli,
ti metti a scudo di lui,
segnata dalle tragedie, solida di fede solida.
Guardi fissa l’apocalisse cercando un modo zuccherato
e folle per evitarla, poiché tu ingoi la tragedia,
sei piegata da una carità che non è sana.
Fra le tue mani, si distingue chiaramente
una lucciola di resurrezione.
Eri lì seduta ad un tavolino di un bar,
poteva essere il millecinquecento o il duemilatrenta,
ma tu avevi una espressione famigliare a nonni e nipoti,
un brivido mi corse per la pelle,
su quel viso c’era il segreto dell’infinito,
una espressione che accoglierebbe un alieno.
Sembrava respirassi balsami
e di più sopra il tuo capo ondeggiante, il cielo,
era simmetria della salvezza, era simmetria di ogni virtù,
era simmetria della provenienza divina.
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ROMANZA
DI UNA SERA
“Interrompemmo il legame con i pettegolezzi umani sul cielo
perché il bacio, in quella sera,
non ebbe pace se non nell’eternità”.
Scritta, per lo stesso motivo per cui si scrivono le fiabe,
io e lei visti da lontano sembravamo gigli al vento, dovevo immortalarlo.
Vidi la luna generosissima, una madre fatta di vertigini,
i petali dei fiori belli come la resurrezione,
la mia amata camminava sul prato,
durante il terremoto della beltà, in perfetto equilibrio.
Le stelle erano eserciti appostati fra i rami,
dalle quali uscivano bolle di respiro.
I brividi si muovevano rapidi come i ladri,
non ricordo che stagione fosse per come ero in un mondo
fatto di ciò che vede solo la spina dorsale.
Io sedevo sul fuoco e ascoltavo le battute delle fenici.
Il colore che la sera porgeva era simile alla pelle di una neonata,
il buio sul fondo della foresta era predato
dalle lattescenze dell’universo.
La realtà era un’ amica competitiva
alla quale, prendevano dei tic alla vista delle nostre grandezze.
La terra era un tempio confidenziale.
Allora noi cercavamo di far detonare le aurore boreali,
di avvelenare il dolore, di ubriacare le lucciole,
di denunciare l’infinito,
di convincere gli alberi a saltare da terra tutti insieme.
Quando nell’alto ci vedevano tentare,
come se fossimo invincibili,
il cielo sembrava si trasfigurasse in un occhio,
da cui cadeva una lacrima, che era la luna.
Il mare glorioso ci chiamava per nome.
Ci accolse questa sera e noi facemmo il miracolo,
di giurarci l’amore che fa nevicare e fa prendere
fiato alla via lattea.
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Camminavamo sul filo dell’utopia
ma era solo ciò che c’era nella creazione,
era solo non rinnegare la placenta,
i turbamenti infantili, l’innocenza affrancata,
lo sdegno prezioso, lo sberleffo al gigante,
le fluorescenze del respiro.
Interrompemmo il legame con i pettegolezzi umani sul cielo
perché il bacio, in quella sera,
non ebbe pace se non nell’eternità,
altrimenti avrebbe vagato rinnegandosi,
come una lite fra insetti,
eternità che oggi era presente sottoforma di cicale
che rispondevano chiassose alle burle di saturno.
Questa notte faceva il gioco delle tre carte coi re,
dava indicazioni stradali sbagliate agli eserciti.
Questo scrissi steso fra l’erba curiosa,
soavemente vinto e convinto, nei miei pensieri,
che prima erano solo storditi, stupefatti,
dalla carezza soavissima della sera appena passata.
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IL
GIROVAGARE DI UNA MUSA
“Perché questa lacrima in cui siamo nascosti,
si schianterà su un papavero rossissimo”.
Scritta, per essere con la vera terra, dove il monte non è lì
per una malattia geologica ma perché indispensabile alla fantasia.
Il cavallo nero si liberò delle corde attaccate alle stelle,
su tutto lampeggiò!
La frutta non confessò da dove prendesse colore
e l’acqua era vestita da regina ma nessuno se ne accorgeva,
gli uccelli più grandi custodivano il mistero della creazione,
ipnotizzando col il loro volo, velando.
Tutte le bestie feroci potevano eclissare la terra
ma celebravano il sole dormicchiando,
l’universo era un agnello con l’umanità.
Questo vide la musa nel suo girovagare,
nell’ultimo intrattenimento,
una nuvola a forma di mani tese verso la terra,
disse: non si udranno mai più, migliori parole
di quelle dei profeti.
La musa pensò: il paradiso è qui ed è stato indicato,
vedo il suo sole sorgere più in alto di qualsiasi terrore,
tutte queste creature e misteri che io vedo
in ogni possibilità di luce e me compresa,
qualcuno un giorno, ritornerà a farle cantare,
perché tutti vogliono volare altrove, ossia qui!
Perché più dell’aria necessitiamo l’estasi,
più che dentro casa ci orientiamo nelle aurore boreali.
Perché questa lacrima in cui siamo nascosti,
si schianterà su un papavero rossissimo.
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SENZA
SANTI ED EROI
“Se non ci fossero stati Santi ed eroi, scultori e muse
dove ci avresti e avresti portato i nostri fratelli, mondo?!”.
Scritta, per togliere un attimo il microfono ai proprietari.
Moriranno gli animali rimasti indietro alla primavera,
la piaga potrà arrivare all’osso, nessuno saprà mai la verità,
essa è solo degli amanti. Io non sono niente,
io sono il suo capello lasciato su me.
Perfino i vulcani dovranno farsi lontani dall’idea
delle nostri mani, può aprirsi la terra come un elastico rotto
ma che cambierà per noi due?
La luce viola di questo amore non si afferra, non si frantuma.
Io e te nel deserto fiorito di nomi e soprannomi alle dune
dati amorevolmente,
nella notte ad attaccare alle costellazioni le bugie,
tremare delle promesse che non manterremo all’altro.
La notte è solo rose, noi due talmente nelle nostre rispettive viscere
che vomitavamo pezzi del nostro amore da ubriachi,
e poi tendevamo agguati ai grilli che non cantavano.
Persi nei nostri corpi a fettine o no sarebbe uguale.
Che cambia? Cambierebbe solo per il mondo!
Cosa significa mondo? Esisti o non esisti mondo e chi sei?
Cosa centrano tutti i malauguri? E noi ti puntiamo mondo!
Se non ci fossero stati Santi ed eroi, scultori e muse
dove ci avresti e avresti portato i nostri fratelli, mondo?!
Conosciamo la monotonia e il tuo artificio in tre eresie
da tempi biblici.
Ma noi ci siamo orientati non sui tuoi opulenti giuramenti, mondo
ma con la luna e scomparimmo
nel buio di un vaneggiamento,
riconoscendo che gli acquazzoni sanno più di noi stranamente.
Aspettavamo un’alba che ci sorprese, i pini iniziavano a mormorare,
la brecciolina andava indisciplinata,
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eppure tutto aveva un senso qui dove scomparimmo,
lontano dai tuoi omicidi senza stelle,
sei qualcosa in più fra angeli e api, innamorati e geni,
qui lontano da te, mondo, tutto ha un senso,
una lingua che insieme strillava il nome del giorno che era!
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UN
RICORDO DI LEI
“fuggimmo dove i medium non potevano rintracciarci”.
Scritta, per convincermi che il batticuore non sia un invasato.
Vette così alte da essere sole come vedove,
lì, nella tormenta come l’esplosione di una stella
piovevano le polveri nivee, in una tenebra bianca.
Questo è il ricordo di lei.
Universo come nuovo, umanità all’angolo, senza dar fastidio all’amore.
Avevo qualche ferita sulla mano e me la strofinavo,
mi toccavo le ferite ed era come toccare il mio ricordo di lei,
una caduta nell’onirico, sogno da cui non mi potevo salvare
quando ricordavo quella carezza tua che spingeva via
ogni orizzonte, una carezza che come la neve
seppelliva tutto d’altro.
Noi due fuggimmo nelle nostre invenzioni d’amore,
fuggimmo sulle nostre pelli,
fuggimmo in intimità chiuse da lacrime e brividi,
fuggimmo dove i medium non potevano rintracciarci,
fuggimmo dentro l’anima dell’altro,
fuggimmo nella porta dell’amore mano nella mano,
impassibili, lasciando a invecchiare ogni sorte
e caso e dea bendata,
fuggimmo più in profondità delle leggende della notte,
fuggimmo e ci ritrovammo dove tutto non esisteva,
come nel bianco di una tormenta,
come se il mondo fosse scomparso,
finimmo in un vergineo bianco d’amore.
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INVOCAZIONE
ALLA LUNA
“tu che a nemmeno un figlio non hai narrato della salvezza”
Scritta, perché: si, lei mi risponde, si lei mi ha salvato da molte ferite mortali.
Dolce luna che trascini la notte verso il paradiso,
contrappeso di ogni tragedia,
tu che scintilli dal di là delle incertezze,
illumina il nostro pellegrinaggio, donandogli l’incanto,
che il nostro amore deve avere,
fallo vedere alla stella più lontana.
Oh luna, inchina il mondo alle volontà del cielo, salvaci!
Gigante giglio, porto ai sogni impossibili, che ingombrano
i prati notturni,
dicci che i nostri sogni hanno vinto le tenebre,
salva questo figlio, io so che puoi,
non posso dimenticare come invadesti l’inferno in furore
per salvare gli amanti,
tu che a nemmeno un figlio non hai narrato della salvezza,
ti accosti a noi come una gatta innamorata dalle magiche proprietà,
regina del fantasmagorico, paladina dei miraggi,
cremosa fata che lasci la ragione ai fanciulli, ai loro occhi pieni di angeli.
Oh luna moltiplichi magie e forse qualche pesce,
senza essere nuda attiri tutti,
quando arrivi sembri una madre col piatto fumante,
quando arrivi metti unguenti sulle nostre povere coscienze.
Le farfalle mi hanno confidato che tu, puoi fare miracoli
rapendo l’anima nella beltà,
noi abituati alla tua bellezza luna,
vediamo i miracoli come parte del creato.
Salvami luna!
Oh luna, carillon delle musiche delle nostre più deliziose fiducie,
tu illumini la verità che c’è in un sogno.
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Oh luna parlaci di chi ti benedisse dandoti la proprietà dei misteri.
Mi vedi luna, in questo mistero di dolore, a cercare un’utopia insabbiata?
In questo dolore mi trascino, come un angelo si sacrifica per l’impossibile.
Tu che non sfiguri contro il sole, dimmi il segreto per questo prodigio.
Oh luna salvami, ributtami nel sogno tu che puoi.
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DOLCE
IDEA
“Sentii nel mio fragile petto la spiegazione di ogni volo”.
Scritta, anche per studiare il peso che l’astratto ha nella vita.
Fissavo lontano e avvertivo l’impegno delle onde,
nel guerreggiare per le mie fortune fatte di esili prodigi,
dunque parte della mia chioma fu toccata da una benedizione,
mi passò un deviato brivido come se si fosse interrotto
il pulsare del cielo notturno,
sentii nel mio fragile petto la spiegazione di ogni volo,
allora passai imprudenti minuti al seguito
del mandato del chiaro di luna,
al suo seguito vidi che ci potrebbero essere
giorni dove la primavera si potrebbe pettinare fra noi,
le preghiere come fuochi d’artificio nel cielo
e le stelle potrebbero trafugare punizioni.
Il chiaro di luna teneva, come la mano di una donna una farfalla, il mondo.
Non potevo non rispondere, al richiamo della grazia,
di questa dolce idea che fa baciare tutti i punti cardinali,
era dolcezza della mia dolcezza, impagabile il suo infuso.
Non potevo lasciare in catene ad abbaiare disperata,
l’intuizione sul chiaro di luna e giuraci che andai amico!
Piombarono spettri e maledizioni, umani e demoni,
io mi seppi trasformare in un miracolo all’occorrenza,
quando voglio faccio magie che mi spettano.
Portai la mia anima nel centro di una rosa,
scommisi l’esistenza di Dio a costo della vita e sono vivissimo,
lasciai la mia luce alla luna, la mia fede al sole,
in questa distrazione di pochi minuti,
questo rapimento di una dolce idea.
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NOTTE
STELLATA
“ma come se potessimo fare miracoli,
in un giuramento ad una lucciola scompari!”.
Scritta, dopo un acquazzone, il cielo si mostrò con l’irruenza di un viso di donna,
di cosa più dovevo preoccuparmi pensai…
Oblio, rosa nera dai petali secchi,
più grande dell’eden è la tua ombra,
ma come se potessimo fare miracoli,
in un giuramento ad una lucciola scompari!
Prima stella della sera!
Il freddo raggiunge il fondo della tua fede,
deserto dove ogni granello di sabbia
è più scaltro di te perché nel divino,
allora nello slancio d’amore, nel salto cieco
insegui la prima frase sacra e si realizza, oh gloria d’amore!
Prima costellazione, che scambiamo per angelo, apre le ali!
In questa notte tutte le false divinità muoiono
sotto i colpi della tua reale soprannaturalità.
Ti fermi a pregare come se ti mancasse ossigeno,
lanci meteoriti su tutto ciò che non ha il suo vero nome,
io su sanguisughe porpora che si prendono il merito dell’anima,
la luna ti salva in questa notte,
ti tiene con fili di santità nel tuo lanciarti dalla scogliera,
ti mostra ventidue uscite dall’inferno,
è colei che scinde il sacro dal profano
per alleggerirti la corsa,
ti dice le parole d’amore che nessuno ha il coraggio di dirti.
Nevica la luce delicatissima della notte, morbida come
una bambina che spia, leggera come una donna che stringe letizie,
piccole immaginazioni e non veri fiori e gioielli, luce d’acqua!
In questa notte dalle sconfitte umane sale un lagno assordante,
che cerca la tua anima come se fosse
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il sogno un peccato, la misticità una illusione,
il batticuore meno importante del vento,
allora nella follia che ti vorrebbe cogliere
guardi la notte stellata e accenni un ballo con Venere,
proponi agli uccelli notturni di scrivere ciò che pensi nel cielo,
lanci urla che hanno come eco l’eternità.
La luna troneggia come una dea guerriera che interrompe
i furti dei frutti.
Notte stellata così sconfinata da poterti tenere sul dito
come una formica d’argento, quando l’occhio nostro s’avvampa.
S’avvampa per l’ennesimo trionfo della falena,
s’avvampa per l’ennesimo annuirci dell’angelo,
sempre mimetizzando per non farsi vedere coi sensi.
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NELL’OSSIGENO
“la fine di tutto non viene non per merito nostro!”.
Scritta, perché quel giorno l’ossigeno era vestito d’oro, ero spintonato da gioie
d’aria.
Decisi fra le urla del globo,
io come sempre viziato dalla luna soffusa presente nel giorno,
che la morte è un impostore, una calunnia,
forza mondo metti i tuoi occhi al posto del sole d’agosto!
Volli intuire il futuro del male
e colloquiare con cose più grandi di me,
il sunto del discorso fu che l’amore eterno,
se lo centri, avrai la pace che non necessita cibo e acqua,
forza mondo accoltella coi cinque sensi
le promesse ad un pettirosso, le urla sott’acqua,
la saetta di piombo che ti centra in un sospiro.
Nessuna virtù non mi venne a trovare fra le mie canzonature,
ebbi persino da suggerire agli angeli con circospezione,
non ci fu nessun motivo per non dirsi divini,
ho imparato dagli alberi la maggior parte di ciò che so,
qualcuno gli ha donato la parola inconfutabilmente,
la verità del mondo è quella che vede
anche una macchina fotografica.
Vidi che eroi hanno dato credibilità alle comete.
Vidi che ai piedi abbiamo un Dio, come corona la stessa
dell’ Everest e nell’anima il festino del paradiso,
ogni nostro passo smuove un stormo di aquile lussureggianti,
un bacio sulla guancia dalla salvezza,
una compassione che fa tremare più dei vulcani,
le onde del mare ci portano a spasso come figli,
la fine di tutto non viene non per merito nostro!
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Quando il sole brilla fra le nubi
sembra il nostro occhio voluttuoso,
abbiamo il sacro come un gioco regalato da uno zio ricco
e niente e nessuno conosce il prossimo miracolo.
Questo c’era in un respiro mentre su un tetto
ero sfinito al sole di colla,
nell’ossigeno c’è il più lontano desiderio,
nell’ossigeno c’è il più lontano desiderio che ci assale,
nell’ossigeno c’è il più lontano desiderio che ci scortica.
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NAUFRAGARE
SENZA MALEDIZIONI
“Questa maledizione in cui viviamo non ha una stella sola
che lo vuole imporre!”.
Scritta, una notte di febbraio, nell’oblio delle possibilità
che potrebbe concedere una farfalla, un sorriso, un buon uomo.
Sono ragazzi che vorrebbero smettere
di essere eroi per un attimo.
Girare inarrestabili come giovane polvere fra insetti,
fra ninfe e profeti, fra laghi e mare, fra tempo e infiniti.
Ci sono leggerissime essenze, che dovrebbero far loro sentire,
la mente una luce lanciata in corsa,
la coscienza una foglia al vento,
lacrime solitarie che nemmeno il sole deve vedere,
leggerissime rivelazioni di soprannaturalità, dovrebbero
venire senza croce a loro,
rimanete nell’impossibilità di un miraggio ragazzi,
continuate a leggere fra le righe di una pazza che urla per strada.
E voi che avete deciso di essere mortali,
di essere disincantati da una prostituta bellissima,
di dire senza senso il cinguettare,
di non prendere il treno della rugiada,
di volere un cielo scontato,
un universo non più grande delle vostre sconfitte,
lasciate in pace il figlio del miraggio!
La figlia del campo sterminato di margherite,
gigli e alberi di mimose! Concediamo loro l’eden!
Questo paradiso da disinfestare.
Questa festa che ti scongiura, questa intesa solo d’anima.
Mentre io e te amore dobbiamo sempre rincorrerlo esangui,
l’ennesima balenottera azzurra risale in superficie
per respirare, il millennio solo orrore ricorda,
tutto il salto in lungo dell’arcobaleno pulsa di pus.
Questa maledizione in cui viviamo non ha una stella sola
che lo vuole imporre!
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Questo è un olocausto messo in conto, accolto,
dettato dal non scegliere mai sull’amore, vergogna!
A tutto il mondo è stato negato il paradiso da qualche divinità?
Ma l’invadenza del sole impone immortalità e bellezza,
quindi mettiamoci il vestito migliore,
usciamo profumati fra i cadaveri,
abbracciami amica mia, cerchiamo piccole vendette insignificanti,
continuiamo a dirci bugie fra noi per essere felici,
naufraghiamo senza maledizioni, noi impazziti,
i ragazzi godendo dell’intelletto se arriverà il prescelto,
se ci sarà un altro giro di furore bianco.
Amica mia, hai scritto sul foglio che crediamo nell’infinito?
Ricordiamocelo nel caso qualche sortilegio
ci faccia parlare come l’umanità:
consigliare che il mondo non cambia, battezziamolo inferno allora
e che nessuno più si dica uomo, ma schiavo
e diamo della falsa alla primavera!
Se non sai di essere immortale la vita ti consuma in
un lampo.
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LA
MAGIA
“Se credevi che la magia fosse per le risa sbagliavi”.
Scritta, perché una notte riconobbi che non era vento
che muoveva il ramo ma era certamente il ramo che mi annuiva.
Seguimi amico nell’imbizzarrirsi delle stelle cadenti,
qualcosa d’ invisibile sorregge il mondo da sempre!
Seguimi per sentieri dove gli spettri non scandalizzano,
sentieri dove cogli l’attimo, anticipi la luce,
dove puoi convincere fate a regalare verità agli uomini,
dove rompi stregonerie in fiumi di lacrime,
dove ci sono le bellezze taciute
per mantenere, l’impostore la corona,
sentieri stretti, dove puoi far accadere una profezia
o tradire la tua nascita. Vieni nel nero dell’amore,
nel terrore di aver capito che il cielo vive
ma anche nella sete soddisfatta col sole,
stracciamo il velo, che non ti fa chiamare fratello,
l’inspiegabile sotto il cuscino.
Partire amico perché sappiamo
dove colpire l’ingranaggio dell’incertezza infinita,
seguimi nella notte in cui sfidiamo l’universo
per promesse fatte sotto insane verità,
a nostro agio in essa come fantasmi millenari.
Seguimi nei venti magici quando rintocca la porta
e crediamo non sia nessuno,
quando siamo certi che ci abbia dato una indicazione un ramo,
quando diciamo chissà e qualcosa striscia a nascondersi,
lì e nelle ombre e nei riflessi c’è una mappa nitida al bambino,
muoviti con me amico, verso i sensi che ha il cuore,
verso gli affidamenti che facemmo alla luna piena,
raggiungiamo la magia che avvera i segreti della veduta,
che prevede il movimento di una lama
e senza sapere come, si ha ancora la vita.
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Avremo amico, escoriazioni dovute al seguir
invulnerabilità scintillanti,
seguimi dove si spogliano tranquille le perle,
in ciò che si crede suggestione per sentirsi le spalle coperte,
dove i fiori prospettano la primavera, i miti fondono speranze.
La magia non è di nessun mondo, è oltrepassare le pene mortali, la magia è
oltre i lamenti dell’inferno e del purgatorio, è come un furbo mendicante
sulle porte del paradiso,
ma tutto in un orizzonte senza pietà sarà per noi,
nuvole mute e occhi socchiusi,
perché la magia la conosci se comprendi
che la farfalla vola così perché ferita a morte,
un fiore in fuga è!
Se credevi che la magia fosse per le risa sbagliavi,
la magia è per far sentire le ragioni dei vulcani
è per accompagnare il suono del mare,
è smascherare sacralità,
è un sacrificio di una libellula che volava pacifica,
è tradurre le parole di una buia foresta,
è la pietà di fronte all’universo, che muove i suoi passi,
come un eterno neonato, che cade in continuazione,
incredulo della magia, che conoscono gli angeli devastanti.
La magia è far uscire, dal formicaio della labilità, l’umanità,
in questa notte, desiderata persino dalle divinità più potenti,
notte, che non può essere migliorata,
da nessun ente supremo.
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LONTANI
“Lontani dalla culla fatta per noi, spintonammo i sogni,
per sapere cosa avevano da strillare, se fossero dei pazzi”.
Un ricordo di me e di lei di fronte ad un fuoco e mi fece iniziare questa poesia:
una delle tante volte che abbiamo osato insieme.
Lontani dall’orizzonte ustionante di speranze,
lontani dal sole impassibile alle divinità,
lontani dalla luna impassibile alle catastrofi di tutte le ere,
lontani dalla strenna del creato.
Lontani andammo per seguire, quel qualcosa,
che da sempre fa credere alle bugie più belle.
Lontani dalla culla fatta per noi, spintonammo i sogni,
per sapere cosa avevano da strillare, se fossero dei pazzi.
Facendo ciò capimmo che volano cigni annunciando
strane indistruttibilità, mistico esempio!
Così lontani vedemmo ladri di bambini
che giravano per questa notte,
rapiti per mostrar loro che l’amore era altro,
in barba alle urla dei genitori, donando loro libertà spaziali.
Così lontani vedemmo i meccanismi segreti, erano così imponenti e regali
che ridemmo, ricordando parlare, tutti delle loro tre zuffe dette esperienza,
si bruciarono tutte le maledizioni di fronte al polo sud guardiano,
l’apocalisse era chiarificata dalle cicatrici di due innamorati in un santuario,
e udimmo: forse troppa grazia ha concesso questo mondo agli umani,
questo volevano i petali secchi, ammettesse l’angelo.
Lontani vedemmo il nulla di una vita promessa alle cose
che puoi giustificare con la carne.
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T RAGEDIA
“l’anima non si stanca mai”.
Scritta, sentendo la tv parlare dell’olocausto, ero più amareggiato
del fatto che chi era in tv si permetteva di dirsi vicino alle vittime
“proprio la tv che è un campo di concentramento della verità, della purezza”
che dell’olocausto stravisto, quasi.
Alba che non giunge, in attesa ormai disperata,
nessun miracolo risponderebbe,
solo l’anima che si contorce come cavallo
fra mura di certezza.
La forza dei reclusi, dei sofferenti è su questa terra
o nell’altra?
Avevi mai notato come è affilato l’arcobaleno?
Vita fiorente rubata fra elettricità arrogante;
che non è il coraggio, che non è il dolore straziante,
forse è la gloria degli angeli che pulsa in noi.
Figli della dichiarazione d’amore alla cascata,
a malmenare l’obliare senza pietà,
che non mi restituirà voi.
Quest’alba che non giungerà mai,
insetto nella tela del ragno sembra
la mente di questo mondo.
Una tragedia che si attorciglia intorno alla pietà
del paradiso ma nessun miracolo questa volta,
l’anima non si stanca mai,
tragedia amico.
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UN
ACCENNO CONTEMPORANEO
“per dunque l’uomo non è mai esistito”.
Scritta, perché dovevo assolutamente far capire
che non prende in giro nessuno il diavolo.
La nausea di tutto questo luccicare!
Come se la ride chi annuncia con felicità inspiegabile
la semplice discendenza dalle scimmie.
Mascherine antismog per coprire la vergogna.
Questo mondo, prostituzione della luce,
bimbi che si dissolveranno nello stesso incubo,
nell’età adulta è vero che Dio non c’è!
Non c’è nessuna promessa alle bollicine rispettata!
Mi era stata promessa una vita invece siamo
intrappolati in una commedia, come nati per sbaglio qui,
estasi immeritata, fresca ombra immeritata!
Ingiusto persino che si vedano i colori!
La luce è stata invasa da giornali che mettono
la lacca al diavolo e televisioni che fanno intuire
i modi sgraziati della meretrice,
difendono il loro peccato dentro le case di tutto il mondo.
Tutti gli scienziati lavorano per vendere una menzogna.
La politica? Malattia mentale per l’onestà,
fabbrica di disgrazie, ha portato i demoni in purgatorio,
il sole brilla meno del loro assassinio!
Sporca della codardia dei lussuriosi tutte le nazioni.
La ragione per cui i giornali
non mi hanno informato né di Dio, né della poesia,
la ragione per cui le televisioni
non trasmettono mai e mai un uomo,
la ragione per cui gli scienziati non fanno miracoli.
Il denaro?Il denaro?
Solamente le cacate di questo strano animale,
di questo ogm che parla con voce spinta sul sexy;
il bello sarebbe vedere il grottesco teatro
nella mente di chi lo muove, il denaro.
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Accade, solo quando l’angelo passa sulle loro teste vuote,
che piangano chiamando cagna la coscienza,
se rotte le loro scuse, lei fa volare loro come palloncini,
bavosi come ragni si ritessono una morale che tenga un po’,
si creano una verità, come un bambino,
che s’immagina animali e armi
e canticchiano, convinti di averne amore, canzoni d’amore.
Le logiche dell’apocalisse sono chiare,
come spiegate alla lavagna.
Per liberarci di tutti i tiranni basterebbe la costituzione,
guardiamo la terra, non hanno commesso reati sufficienti su questo fiore
blu?
Oh fiore blu che t’infiammi di dolcezza!
La terra ha di tutto in abbondanza, una sola primavera è simbolo!
Eppure ci è rimasta una cella con un panorama propagandistico,
dov’è il leone d’ebbrezza? Dove sono i fantastici schiamazzi notturni?
Dov’è l’uomo degno compagno di gioco dei venti?
Le multinazionali perseguitano il genio della scienza bianca
che vincerebbe tutto, come penicillina su un malato,
uomo che apporterebbe al creato come gli alberi,
correremmo al passo di un miracolo!
Grazie a tutto ciò ci nutriamo unicamente del tremare di un bimbo,
tremano per le guerre in africa che forniscono prodotti con cui ci imbellettiamo,
ogni cosa che compriamo è sporco del tremare di un bimbo.
Ci stanno facendo nutrire di carne umane verniciata.
L’uomo interferisce con il denaro e va eliminato,
si annienta per le logiche di mercato,
logiche come bambini senza genitori,
come forze incontrastabili, protette da alieni, indiscutibili,
chi sono gli altri oltre l’uomo? La colpa è fra le nostre chiome,
Dio non può pretendere ma le logiche di mercato,
possono dirci come spendere il nostro fiato,
possono pretendere l’impazzire di tanti di quei figli,
da formare un arcobaleno di morti nel cielo.
Sei miliardi di poveri sempre più straziati
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e il grano continua a crescere in abbondanza
e la luna prepara feste sempre più desolate.
Altro che costituzioni, la realtà è quella di un mattatoio,
per dunque l’uomo non è mai esistito.
I diritti dell’uomo, sono una bufala da riso contagioso,
sicuramente, con in mano quella carta,
all’inferno, organizzano teatrini molto divertenti.
In tutto ciò il segreto non è Dio con le sue previsioni
meglio dei metereologi, il segreto è dove ho perso
i miei occhiali da sole con i brillantini.
C’è però un imprevedibile mistero su questo sacrilegio
contrario allo strillo dell’universo tutto,
diversamente sarebbe assurdo che noi, così orrendi,
siamo sotto colate d’oro dal cielo,
con un cielo addobbato come un albero di Natale di beatitudini,
morti eroiche, profumate per me,
così lontano e pigro, una corrente di stelle che ci turba.
Un mistero dove c’è una oscura fiammella,
che scrive tutta la storia sulla coscienza dell’umanità,
quello della parentela con la magia, le vertigini e la grazia
che provoca anticipazioni d’apocalisse, moniti turgidi,
di tale impeto che lascia in piedi l’amore se gli va bene.
Ci sono terremoti che madre natura deve solo ammirare,
altro che i vulcani sono troppo crudeli per ammettere
un Dio, ci sono terremoti vomitati dalla coscienza bianca,
che rischia di tremare l’amore delle madri persino.
Mai scordarsi le ali fantasmagoriche dell’uomo.
Mai scordarsi quella genialità che si è fatta vedere da tutti,
burlandovi amorevolmente.
Sono fottuti, da sempre.
Contemporaneamente l’uomo, con i valori e diritti millantati, non è mai esistito.
Contemporaneamente vedo formiche sul corpo steso
di un unicorno, vedo una dolce fata di granito,
una carta da gioco trasparente, testi sacri veggenti,
un portone con un lucchetto d’incredulità,
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un mare senza anima, bosco che puzza di vernice,
tutti crocifissi ad una sciocchezza,
nessuna busta paga o giustizia sul comodino,
ogni giorno cozziamo con una bomba miracolosa
che ridonerebbe l’anima al mare se esplodesse,
bomba vicina proprio come la verità,
vedo il demonio scoperto dall’avidità sua, nudo,
consapevole dell’essere orrendo ma che non se ne
fa una ragione da adulto.
Nella terra non ci sono più miniere, un semplice fosso,
per sotterrare la verità.
Non trovo una metafora, una similitudine,
un parallelismo nell’universo per dire ciò
che stanno facendo, hanno perso il lume della ragione,
abbandonato l’ordine dei pianeti,
si sono amputati la loro umanità, che tormentava loro solo per salvarli,
sono golosi assassini, nere iene troppo eccitate ormai.
Contemporaneamente vedo un cielo che fa tutto solo,
che ci avvisa, si sbraccia, da sempre, fine.
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VITA
ROSSA
“Perché l’amore può ogni giorno smuovere più del sole”.
Scritta, ispirandomi ad amici che hanno un agriturismo in Puglia,
dove andavo a ripararmi dall’ignoranza, la natura è i peli verdi,
le lacrime impassibili, la barba di vapore acqueo e la pelle rossa di Dio.
Attaccato il mondo al seno della casa dove si curano le rose.
Cosa trascina questa vita che sa solo uccidere quando
è facile?
Ma trafitto il Santo rimarrà in piedi fino a che il cielo lo vorrà,
come non si comanda la primavera,
così non comandi il nostro disprezzo mondo.
Questo mondo è trascinato inconsapevolmente,
dallo sguardo distratto, incrociato con una
sognatrice scalza,
attaccato al seno della casa dove si curano le rose
e nessuno se ne ricorda, nessuno se ne accorge.
Questo scarabocchiavo mentre un uomo ed una donna
curavano le rose, entrambi talmente affaccendati
che scordarono di giudicarmi.
In quella casa c’è un uomo nella bufera dell’esistenza,
che rimane in piedi con gli occhi che pulsano,
tu non ti vedi ma non ti è rimasta carne,
sei solo anima bruciata dal sole, come il grano.
C’è una donna, tu sei l’ancella degli angeli,
nelle tue perdite di tempo e sollazzi,
come il macellaio più cattivo,
leggera come una vecchia dopo la confessione,
sgozzi il male del mondo.
Io poeta sempre fradicio al vento,
vago disperato per le richieste delle troppe amenità,
che vengono a cinguettare nelle mie orecchie senza segretaria,
nei dintorni di questa campagna,
mi nascondo all’eterno affinché mi cerchi,
sorprendo molti movimenti di esso ma ancora urlo e chiedo dov’è,
come un bambino ingordo.
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Una notte, fra le rose, rosso come loro,
feci un agguato al male,
fra la bellezza inquadri subito l’impostore,
accoltellai la bestia grande come il mondo,
volevo bere la verità di questa vita rossa,
volevo che la rosa non fosse chiamata illusione,
volevo azzittire la coscienza, il giudizio dei saggi e l’accusa,
morì perché sapevo le parole magiche da pronunciare
quando la lama la colpì, cioè “colpa mia”.
Perché l’amore può ogni giorno smuovere più del sole,
può aprire la sacca che contiene le stelle,
mi addormentai protetto dai versi notturni.
Mi svegliai e trovai ancora la croce,
ebbi visioni mentre impugnai il sole e ripartii lontano da lì,
non siamo inchiodati al dolore ma al paradiso
e quello che ne comporta.
Oh casa dove si curano le rose, non mi guardasti
per ricevere un grazie, ripartii, oh mia vita rossa.
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UNGHIE
E FANTASIE
“le punte dei suoi capelli indicano le entrate nel paradiso”.
Scritta, perché solo la poesia può; non sanno parlare di lei, del nostro amore la
ragione,
le sicurezze della mente.
Lei è la parte magica della luna,
senza il cuore vivi ugualmente, sorretto dalla sua bellezza.
Nel mare scuro nuotano i suoi occhi,
le punte dei suoi capelli indicano le entrate nel paradiso.
Lei dolce come una mora, cammina di segreto in segreto
come fossero sassi in un guado,
nascondendosi alle cupidigie del mondo.
Lei dice che se sapesse perché mi ama, non sarebbe amore.
Amore che riesce a far intenerire il sole austero,
abbiamo visto come l’incanto ci mantiene ancora
sani di mente tutti, addentrandoci nei cuori l’uno dell’altro.
Un amore alla deriva,
un amore che ci fa parlare ai muri di noi,
un amore che corre sulle chiome degli alberi,
un amore che fa per l’altro come una preghiera,
un amore di cui vociferano le grandi creature marine,
un amore che ha rotto la matematica!
Elevato al fondersi delle due anime.
Disperato di baci, disperato di gloria,
disperato di fame, disperato perché nemmeno tutte le albe
vestite di brividi e frutti maturi, potranno mai spiegarle il mio batticuore,
disperato perché nemmeno nella stessa lacrima
saremo mai vicini come desideriamo.
Come se l’anima riconoscesse solo il suo odore,
come una cella colma di confetti questo amore.
Come una colonia di formiche,
si muovono fra loro i nostri pensieri, i nostri intendimenti.
Volontà vinta dallo scintillare dell’altro,
come fiori io e lei nella maledizione dell’altro,
come cori di cattedrale io e lei nell’ultima follia dell’altro,
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abbracciati al peccato che l’altro non si perdona,
fino all’inferno di un giuramento cieco seguirci,
come legati da mille catene dorate,
come se il sole dicesse una sola frase che vale per entrambi.
Abbiamo visto la bellezza di una creatura che ama,
nulla può più portare buio, tutte le fiabe sono vere sicuramente!
Amore che segna la vita, trasportato da un vortice di chimere variopinte.
Amore dove abbandoniamo l’equilibrio, i sensi e la ragione
fra i sicuri vagheggiamenti dell’altro,
senza nessuna paura di scivolare da questo amore,
grazie alla fedeltà di cui è convinta persino l’anima,
ma le sue unghie si aggrappano sempre alle mie fantasie.
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IO
E LEI
“insetti che impollinano con vigore”.
“Io e lei” la scrissi per competere con tutte le poesie d’amore,
con tutto l’amore, con tutto.
Ebbi grandi sogni con lei
come veder spostare un monte con la fede,
come essere certi che la bellezza non mente,
cuore senza tarli, tutto il freddo scomparso,
arpa ripresa per suonare con la luna,
rimontare a cavallo e seguire il mare,
diavolo che perde un continente,
insetti che impollinano con vigore.
Come guadi di galassie i nostri pensieri,
tutto fu solo lungimiranti rischi,
come toglierci il dente col destino.
I nostri piccoli morsi, con denti color latte,
sollevavano dall’oblio i maestosi campi colorati,
Ogni nostro gesto ingravidava di realtà un miraggio!
Nessuna pausa, ci scordammo i peccati capitali nella frenesia delle stazioni,
io e lei corremmo troppo in alto
per lodare solo l’amore e le stelle,
commossi dall’ intera vita creata con cura e dolcezza,
commossi dall’ instancabile canto del gufo,
come quel canto io e lei.
Era come non temere la grazia insieme.
Sogni e stelle si incontravano come due amanti insieme.
Io e lei eravamo in bilico sulla purezza,
che rende la natura irraggiungibile.
Tutto l’immenso muoversi,
dalle foglie alle nubi, succedeva su un brillare d’amore.
Io e lei accoccolati sul futuro dell’altro,
come un dono in più, come un giorno di festa in più,
come una luna o un sole in più, come un angelo in più.
Ebbi grandi sogni con lei,
come essere trattati meglio degli altri dagli uccellini.
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RAGAZZO
IL MIRACOLO È ABBORDABILE
“Ragazzo, il miracolo è il profilo, il chissà che incroci ogni giorno”.
Scritta, perché nessun consiglio che l’intero mondo da ai ragazzi è veramente utile.
Ragazzo, nato martire, non perdere questo privilegio,
non rinnegheresti mai le profezie della nebbia dell’alba,
moriresti per le sue confidenze zuppe di sangue bianco.
Non smettere di crederci, non c’è mondo che sosterrebbe
i tuoi sogni pesanti, perché essi non sono del mondo
sono dei sussurri delle farfalle,
delle irraggiungibilità dei corpi celesti.
Tutto allontana dalla Santità delle tue turbe
dall’odore di clorofilla,
ma senza di essa non ci sarebbe l’ebbrezza del sole,
l’appuntamento certo con la luna.
Scegli il cielo come casa, ti dico un segreto;
quando il cielo non ti parla è perché ti sta
dando un bacio candido come tutto il bocciolo dell’avvenire.
Sentiti a casa dagli eroi, non tradire i tuoi miraggi stravolgenti,
con un miracolo potresti realizzarli,
i miracoli sono più frequenti dei colpi allo stomaco.
Ragazzo il miracolo è abbordabile.
Ragazzo ho visto l’intera storia temere un sognatore,
ragazzo ho visto nella notte scura i devoti, come pantere frenetiche e esatte,
rimettere l’amore sul trono in modi che non si possono spiegare
se non dicendo che è un segreto,
ho visto il mare organizzare tattiche con alcune ragazze di rugiada,
ho visto il sole accusare il colpo dei puri,
ho visto che nessun buono ha mai fatto un passo indietro, sudando anima.
Ho visto un uomo in croce che aveva ancora la lucidità
per essere l’unico a dire qualcosa
di dannatamente giusto.
Ragazzo, ho visto angeli, tanti, bellissimi
che sono stati difesi da bocche che dicevano semplici no.
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Ragazzo, quando questa vita finirà,
tutti pendevano dalla bocca dell’amore, si scoprirà.
Troverai ragazzo tutti i tuoi desideri
se continuerai a credere nelle parole dell’alba,
se non ti dirai pazzo, per esserti fidato
dello zigzag di un rapace ubriaco di sacro,
ragazzo non rinunciare alle amicizie con le nuvole,
per la mosca dell’odio che gira in questo giardino,
accostati al sole ragazzo e vedrai che questa desolazione,
c’è solo perché l’eterno non è ascoltato, solo per questo!
Luce che corre sulle nostre speranze,
morte che non sa più come ingannare,
accuse che diventano mute, tutto il peso della verità
è un sole che richiede milioni d’azioni,
piccole fate che ti seguono a cavallo di variopinte creature,
più veloce del destino sei quando con ali maestose
discuti con gli animali mitologici,
di avvenimenti di altre galassie, circondato da verità che ti riconvincono
di avere un’anima. Tutto questo accadde
in un pomeriggio di maggio,
ragazzo forse stavi in tutto ciò passeggiando con un Santo?
La notte nasconde uomini mai morti che incontrerai.
Ragazzo, fidati dell’impossibile,
perché di quello è fatta la tua carne,
lo riconosci quando ti sembra che gli uccellini dell’alba,
riempiano di arguzie e sberleffi il disincanto.
Ci saranno amori che solo i prodigi sanno spiegare,
amori che ti faranno sentire tue tutte le poesie,
perché il miracolo è abbordabile.
Il miracolo è già sulle tue tracce!
Ragazzo, il miracolo è il profilo, il chissà, che incroci ogni giorno.
Ragazzo, l’anima è la tua certezza,
fra gli strattoni dei colossi in preziose vesti,
che tutto è nato da una mina d’amore,
la porta è grande, non avere paura della gioia.
Ragazzo il miracolo è abbordabile!
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FUOCO D’EBREZZA
“non farmi perdere la vita a chiedermi se Dio c’è”.
Scritta, per liberare la mia noia dal parlare di politica, donne e feste.
Portami via fuoco d’ebbrezza,
questa vita è una musa febbricitante di voglie,
è conchiglie di lava e pozzanghere d’acido,
è lampeggiante più della fantasia di un’ innamorata,
è la certezza dell’ incredibile.
Portami via fuoco d’ebbrezza,
nelle notti in cui ti batti per il tuo posto nel cielo
e sei solo in un deserto di stelle, nelle notti in cui capisci se la luce
avrà bisogno di te o dovrà solo aiutarti,
nelle notti dove il tempo e la morte si bruciano il motore
nel seguire i tuoi salti di sogno in desiderio.
Io voglio seguire solo la leggenda che c’è sulla terra,
non mettermi nelle armate del finito,
non farmi perdere la vita a chiedermi se Dio c’è.
Hai visto cosa possono fare le mie intuizioni forzute,
hai visto che mi leccano le chimere
e metto ghirlande nelle tenebre,
hai visto che riesco a donare chiaro di luna,
evidenziare sviste su fate, tradurre i versi
degli uccelli notturni.
Portami via fuoco d’ebbrezza,
mi hai notato nella notte stellata
a sfidare ciò che non sapevo se esistesse,
mi hai notato nel giorno a vagare
in cerca del laccio che stringe i polmoni del mondo,
come un diamante, a testa bassa,
come un alieno compassionevole.
Portami fra i colossi, disarmato,
con titanico sentimento che urla,
questo urlo è una grande pace,
urla come un neonato che ancora non teme nulla.
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Portami dove il mondo è solo un peccato smascherato,
il mare un genitore, le stelle sono nude
e sei arso vivo dalla luna,
portami nel palazzo reale cioè nella realtà dei grandi piani.
Portami via fuoco d’ebbrezza
dalle domande dei morti,
dalle gabbie della saggezza,
dagli accordi per sognare,
dalla vergogna dell’essere unico,
dove posso stuzzicare l’impossibile
e porgere fiori direttamente alle divinità,
io voglio ancora sorprendere la luna e scacciare maledizioni,
io voglio assaltare e demolire, la muraglia funerea
che fa sentire ovattato il canto delle muse,
portami via fuoco d’ebbrezza
verso il giorno con la luce che si struscia su noi.
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RINNEGAZIONE
“La notte, la terra è avvolta dal fumo
d’incensi di preghiere ma sono tutte false”.
Scritta, perché mi sembra che a tutti sia facile sputare sull’anima
ma non sul carnefice.
Sostenuti come il vento gli albatros dallo scintillio in
ogni passo, la virtù ha tenuto in un pugno di fuoco il mondo.
Ma ho visto un fiammeggiare oscuro in degli occhi,
si ho visto l’apocalisse negli occhi di un neonato,
che strillava di tutto tranne di noi, urla d’estasi incomprese.
Rinneghiamo la resurrezione sotto un diluvio di prodigi di fuoco,
mentiamo alla primavera,
si sente il lamento della bellezza certe sere nella brezza,
il nostro crimine è una mosca bianca guardando tutte le stelle.
La notte, la terra è avvolta dal fumo
d’incensi di preghiere ma sono tutte false.
Sono tutte false se un poeta che ha solo fatto faccette a ciò
a cui tenete, vede che si è sacrificata la carità
per sentirsi dei.
Il mondo è un cuore esangue di fronte alla verità,
occhi chiusi di fronte all’arcobaleno,
la terra è una enorme fragola senza una bocca.
Queste nuvole sopra di noi nascondono angeli,
abbiamo magie così grandi nel cuore…
Vorrei galleggiare come astronauta
fra donne che non si concedono, ridere.
Vorrei scherzare con le tenebre del pianeta, disarmato,
vorrei godermi i miracoli che ci sono fra vino e precipizi.
Alba nel deserto invece, nessuno ha amato ciò che siamo,
la nostra anima pirotecnica. Rinnegazione dell’abbaglio,
rinnegazione che ha incappucciato il mondo,
rinnegazione del peso dei monti.
Rinneghiamo lo scintillio, rinneghiamo il sacrificio della virtù.
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Rinneghiamo la beltà stesi fra i fiori, col desiderio che pesa più dell’afa,
rinneghiamo le corse in tunnel di luce,
rinneghiamo di viaggiare nel tempo,
rinneghiamo il brivido della pioggia,
rinneghiamo il fresco d’estate, rinneghiamo l’oro!
Rinneghiamo perché non può essere così meraviglioso!
Rinneghiamo tutto, altrimenti riconosceremmo che la colpa è solo nostra,
fuggiremmo come vampiri la luce.
Vedremmo satana!
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INCONTRO
CON UN SERAFINO
“con la sua forza sembra di essere alleato al mare”.
Scritta, in una decina di minuti, in treno, tornando da un Santuario.
Bere in un solo sorso la saggezza,
visione di tutta la verità all’improvviso,
quando mi apparve lo sguardo che veniva dall’ignoto
del mio stesso cuore. Nulla più sarà pace,
i sussurri delle lucciole sono sapienti come il cielo notturno,
nello sparlare delle libellule ci sono compiti da assolvere,
metamorfosi della salvezza in devozione acerrima e pericolosa,
il sogno diventa missione,
la speranza da scostare e fare il passo nella foresta in fiamme,
coscienza di essere un po’ di fiato di devozione e basta,
quando mi apparve quello sguardo.
Sotto le sue ali affilate ci sono misteri limpidi come acqua,
con la sua forza sembra di essere alleato al mare,
sembra di essere con chi può ordinare al sole,
le sue parole fanno imperare l’attrazione
per la compassione.
Un viso intento a lanciare l’aurora,
a tagliare in un sol colpo tutte le zavorre oscure dall’anima,
un viso che non avrà mai un’ espressione
senza l’amore più fondo, culla di fiducia,
lui fa vegliare le stelle sulle tue spalle,
acconsente alla vita più splendida,
tutto l’universo è un puntino nei sui occhi,
il campo fiorito è un suo pezzo di pelle,
tutto il vento che arriva lo produce la sua bellezza.
Tutta la storia dell’umanità è uno dei suoi mille ciondoli,
nella foga della meraviglia dissi:
inspiegabile tutto senza ammettere la Sacralità,
quale uomo ci sta difendendo anche ora dalla perdizione?
L’unica ragione per cui c’è ancora profumo è la sacralità!
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Fui tirato via dai venti del paradiso,
per dieci anni che sembrarono un attimo
nel vociferare delle creature mute,
mi accorsi di una cicatrice di preghiera su me,
cicatrice che mi fa vedere più di tutto simile alla magia.
Lui è vestito di miracoli e i suoi boccoli sembrano
più pericolosi della sua forza,
se vedi che corre qualcosa di paradisiaco sull’orizzonte,
come un mito d’amore,
come un fuoco che attraversa la mente,
che fa fuggire l’umanità e innamorare il devoto
sarà un Serafino?
Altrimenti cosa era lo scintillare dovunque di quell’attimo?
Cos’era quella volta che potevamo dire fratello
ad occhi aperti, sicuri?
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R IVE
“Seguiamo i consigli di quel blu,
che da sempre ci lecca come la pecora l’agnello!”
Dopo vent’anni di vita guardai negli occhi cosa le rive di un mare
d’Otranto facevano per me.
Via verso le rive dei turbamenti azzurri,
dove il mare gonfia il petto per colpire la tua angoscia
e la grazia come un tulipano cresce sempre più in alto,
oppure come una tigre soffoca l’accusa,
gli orizzonti cercano la rivoluzione dimenando il collo
come una lucertola d’arcobaleno al cappio,
su quegli orizzonti appaiono sagome celesti rapidissime,
impercettibili ma giganti, certezze di un secondo.
Ci sono rive che ancora trattengono le parole del primo sogno.
Rive che sembrano suore di carità,
che centrano il pensiero occultato,
che bombardano le paure, che ringhiano alla tristezza.
Queste rive ci vedono con dita affusolate ad accordare le stelle
e con i capelli sfiorare le nubi dove siedono i cori angelici,
perché loro ci fissano, come se i nostri turbamenti fossero nulla,
non considerano tutto ciò che chiamiamo vita.
Vedendo volare un gabbiano potremmo dirlo,
non uscito da qualche stregoneria?
Dunque, via verso le rive dei turbamenti azzurri,
verso le rive che non ci hanno fatto scordare
che urliamo come giusti, recidiamo il legame con i mostri
delle pericolanti certezze umane.
Questo legame con la prostituzione imposta al neonato,
facciamoci convincere da tutto tranne che dagli uomini,
avremo il calore del suolo d’agosto.
Seguiamo i consigli di quel blu,
che da sempre ci lecca come la pecora l’agnello!
Il legame con questa menzogna che è
sulla punta della lingua della storia.
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Via verso le rive dei turbamenti azzurri.
Verso le rive simmetriche al tuo primo spasimo.
Via verso le rive dove ricordi l’odore che aveva la tua nascita,
il primo discorso con la notte.
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FIORI
“i loro petali fanno arrossire il malvagio
e risaltare gli occhi del buono”.
Un poeta non può esimersi dall’affrontarli e rischiare la propria penna,
nel reggere il confronto con la loro, comunque indescrivibile, e mistica effervescenza.
Ho visto fiori, ergersi come scudi d’oro,
nella battaglia per la quintessenza
ed essere celestiali vie di fuga dal mondo conosciuto,
come cavalieri valorosi dell’arcobaleno,
loro vincono per noi i dittatori rubandone credibilità!
Fiori soffici come la saliva dei pargoli nel sonno,
i loro petali fanno arrossire il malvagio
e risaltare gli occhi del buono,
i fiori sono semidei e non ci possiamo fare niente,
corone dell’emarginato, frenetici menestrelli di verità afose,
loro hanno tutta la bellezza giurata ad un arcangelo,
il loro cromatico esercito è sabbie mobili per la menzogna.
Mi accorsi che mi vedevano mentre scrivevo,
smascherato dal mio non aver imparato ad essere poeta
ma solo che esisteva l’estasi stessa sul pianeta cobalto,
della quale prendere semplici appunti.
Capii mentre mi fissavano la loro magia,
era come essere fissato da una tigre di grazia,
un leone di diamante,
avevano lo sguardo che provocava un panico gioioso,
come se rispondessero alle domande più lontane di un vagheggiamento.
Loro che stracciati dal vento rubino d’estate non soffrono,
perché sono come Cristo,
si sacrificano al turbinio che decide la regina guerriera dell’incanto.
Loro che se risorgessero non sarebbe un miracolo,
sarebbe normale per il nome che hanno,
mi costrinsero alla realtà e piansi.
I fiori la notte fanno capire che non scherzano,
che in ogni bocciolo c’è un nettare di salvezza,
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sono megafoni dei terrori,
avvertimenti spietati quanto i tuoni,
provocano i loro variopinti ondeggiamenti.
Fiori dalle imprevedibilità del gatto
e dalla imponenza della luna nonostante la loro fragilità.
Hanno colori indefinibili come le azioni di eroi e muse,
i fiori pesano sulle storie e leggende, ti chiedono se stai amando!
Fanno tremare i ragazzi e le ragazze che sanno
che esiste la virtù! Scintillano per tutti!
I fiori ipnotizzati dal loro compito,
schiavi per sempre di quei sogni giganteschi,
ubriachi del loro celebrare atroce,
ogni secondo, come donne che perdono la verginità,
soffrono qui, ma per amore sbocciano ancora e ancora,
rimangono in piedi come un bambino tremante al freddo,
tremanti di pietà per l’umanità.
Il loro veleno, la loro arma è un amore stomachevole,
esagerato, sembrano stupidi che danno fiducia a tutti.
I loro colori mettono la lussuria in secondo piano,
i fiori infatti hanno il potere di fustigare la superbia,
l’avarizia,l’accidia,la gola, l’ira, la lussuria, l’invidia
con scudisci di bellezza e bellezza e bellezza orfica,
scacciano tutti i demoni perché l’anima non è un gioco,
loro dolci sulle dolcezze, servi della pace.
Non sapevo questo ma lo fecero vedere a me per raccontarlo,
fu nessun calcolo nero su bianco
mi poteva far esimere dal raccontarlo,
riconobbi che imponevano qualcosa con la forza
non del mondo mortale, dovevo raccontare
per dare una parola a questi profeti sgargianti,
infine i fiori in croce perché consci di Dio.
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LA
STELLA
“stella come un sole riscaldi il mal di vivere”.
Scritta, dopo che una stella salvò la mia storia d’amore.
Oh amica sublime, terrore delle illusioni,
arciera contro tutto ciò che striscia,
germoglio di luce nato da virtù, sferica anima nuda,
tesoro negli scrigni del sentimento umano,
stella come un sole riscaldi il mal di vivere,
sei un oggetto di nostra proprietà perso durante
un gioco in un divagamento.
Stella, pozzanghera dove s’inzuppano
i momenti, niveo chicco di grano del padrone.
Stella, rompi il ghiaccio fra noi e il seducente ignoto,
oh stella che trionfi per noi lasciando verità dorate.
Stella, meno restia degli angeli, a dirci segreti
ma sembra di vedere l’invulnerabilità di un angelo,
fissando, come fai cadere i regni umani e i loro eserciti,
lasci un mistero brillante che acceca tutta la superbia.
La sua luce riflette semplicemente il cuore come uno specchio,
la stella e la coscienza si attraggono
come due amanti, croce e delizia.
Tu stella, canti disperata ma soave della bellezza di chi creò,
non basterebbero tutte le biblioteche della terra
per contenere i tuoi poemi, le intimità che riveli,
mostri il genio delle cicale, il respiro del cosmo,
promemoria di fede, sogno invincibile, miracolo per la sanità mentale,
esempio della generosità il tuo numero di sorelle
e con te facciamo pieno centro nell’eterno.
Sei monito dell’esistenza dell’anima.
Stella, ci copri le spalle dagli incubi,
ogni volta che vuoi fai lasciare la presa ai lupi,
immobilizzi il caos, lanci delizie in eccesso!
Fai indietreggiare l’umanità a richiesta degli innamorati!
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Oh stella, quando il tuo occhio di platino,
alleato alla salvezza, guarda la terra
i fiori si sradicano e corrono come levrieri
convincendo i bambini della magia,
gli innamorati affidano a te sangue e lacrime
che tu avveri tremante e una idea sorge,
siamo cadaveri o anime e tu stella sei tutto ciò
o una palla di fuoco?
Scintilla stella e copri d’urla fantastiche
tutto questo silenzio umano, spacca il suo recinto di tentazioni,
rimani così, trave del paradiso, come quella di un gran circo.
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MI
MANCHI
“Ogni luce finisce sul ricordo del suo viso”.
Scritta, perché nessuno poteva dire queste parole, solo la mia anima
prova questo per lei, dovevo intrappolare quest’unicità.
Stelle esili come merletti
perché lei infuria nella mia anima,
fiori crudeli come un demone, perché mi ricordano
della bellezza di lei, che ha vinto i miei sogni.
Note come avvoltoi sui nervi perché lei ed io
danzavamo nel plasma della foresta buia.
Il sole sembra uno zoppo che a stento ti segue
perché lei scintilla sulla mia vita.
Ogni luce finisce sul ricordo del suo viso,
ogni rumore può essere un angelo che porta messaggi di lei.
Lei si è avvicinata a qualcosa di pericoloso, l’amore eterno.
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SUGGERIMENTO
DALL’ALDILÀ
“Il segreto è grande e visibile come la luna”.
Scritta in un attimo di confidenza azzardata con il cielo,
il cielo rise, mi accolse, lui è anche goliardico.
La follia si aggira intorno al paradiso,
l’arcobaleno è gemello dell’anima,
la morte è muta con gli amanti,
l’alba mostra l’eterno nudo.
Il segreto è grande e visibile come la luna.
Questo mondo è una allucinazione
e questa malattia guarisce
solo sulla fioritura del trascendente.
Il cavallo corse sul disincanto,
il cigno volò tra gl’inferi.
Questi due animali vengono dal paradiso?!
Questi sono prodigi troppo grandi.
So di te cielo, non puoi esimerti dall’uccidermi
con la verità d’eccesso di luce.
Racconta a questo cuore ancora senza senso,
cosa hai fatto e detto ai Santi.
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TUTTO
INVANO INTORNO ALL’AMORE
“perché tutte le fragole sono per lei”.
Scritta, per dire che l’amore t’incorona, è un cigno in mezzo ad un mondo di anatre.
Amore che ti fa vivere in una festa universale,
sciocchezze di fuoco fra me e lei nei nostri cespugli
tra la primavera selvaggia,
tutto invano era intorno a questo chiasso di cuori.
Noi in un cieco affidamento alla beltà
e gli stupori del nostro vagheggiare, senza
dover avere per forza umane parole!
La gloria della terra irruentemente
rivela cosa potrebbe mai creare
chi come l’amore le è alleato.
Forza leggendaria, simile ai poteri dell’aurora.
Nessuno avrà parole che raggiungano questo battito,
perché tutte le fragole sono per lei,
perché ogni tuono, zefiro e buio sono le sue espressioni.
Libertà abissale l’amore, annienta ogni vana promessa.
L’amore ci mostrò che i desideri sono
claustrofobici in qualcosa che non sia eterno,
ma noi eravamo in un errore voluto delle divinità,
già nel segreto dell’eden, innamorati!
Tutto invano, tutte finte corone.
Questo amore sarebbe nato e morto così,
credi di essere più bello di un’anima nuda, mondo?
Questo amore non vuole più orecchie, né occhi,
non vuole i vostri fiori, le vostre imitazioni di cuori.
Tutto invano intorno a questo amore,
ogni onda del mare incessante
era per non annoiarsi l’umanità nel capirlo,
nel capire di farsi da parte.
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AMORE
INCONSOLABILE
“Amore inconsolabile, visione di ‘cosa c’è sotto’
la luce del sole”.
L’aggettivo più adatto al vero amore è: inconsolabile.
Amore inconsolabile, come se non bastasse la mia anima
per darti l’abbraccio che sogno,
amore più grande di una vittoria, del panorama, dell’urlo del sole,
amore inconsolabile in fuga verso il rosso dell’arcobaleno,
amore inconsolabile di segrete promesse,
fatte per l’altro, con il fato.
Amore inconsolabile scritto nell’espressione
di serietà degli angeli nel guardarlo.
L’universo ne teme la forza orfica,
la potenza che può smuovere un accordo di cuori,
come un imprevisto non profetizzato.
Come se nei nostri baci si covasse una rivoluzione apocalittica,
credi che un solo bacio sprecato, fra me e lei,
non si posi sull’ira delle stelle? Chiedi!
Amore inconsolabile, che ti fa sentire,
dello stesso mondo delle sensazioni reputate impossibili,
delle allucinazioni del cuore, dell’incredibile bontà!
Amore inconsolabile, ossa che non temono di spezzarsi,
occhi che fissano l’assoluto, senza batter ciglio di fronte al gigante della vita,
alleato alle calamità a cui non si attribuisce un senso.
Amore inconsolabile dove si inginocchiò l’anima.
Amore inconsolabile, visione di “cosa c’è sotto”
la luce del sole.
Amore inconsolabile, condanna di bellezza,
re che non avrà mai un amico all’altezza.
Amore inconsolabile, affanno ricco,
più che tutto ciò che affolla l’universo.
Amore più di tutto ciò, in ogni caso inconsolabile.
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ORMAI
LEGGITTIMATO DAL VENTO
“l’unico che cammina sulle acque perché è bello come le acque e il creato”.
Parlo dell’unica vita esistente a parer mio, poiché tutti piangono solo per lei,
nessuna lacrima è mai uscita per il denaro o la fama.
Non capii in che inverno giurai al vento
che l’avrei seguito, lasciando i miei tesori di sempre.
Mi ritrovai a difendere polline e rischiare la vita per una fiaba.
Qui tutto l’amore rinnegato correva nascostamente,
io corsi con lui e lo vidi suggerire ai fiori,
ubriacare gli uccelli, accendere candele, lo vidi veloce come un falco
mettere la sostanza nel desiderio che fa aprire gli occhi,
per nessun motivo! Per nessun paradiso! Per nessuna ambrosia!
Qui crollavano secoli come fatti di zucchero.
Si, quelli senza la vertigine azzurra-viola,
erano lumache schiacciate nella corsa del vento.
Qui non c’era riposo,
perché questo purgatorio deve essere un paradiso,
non c’è riposo quando si dice che il sole mente,
non c’è pace quando l’azzurro strappa le ali ai diavoli per te
e nessuno si gode i miracoli, oh azzurro sei me stesso!
Come seguire lacrime versate in un’altra vita,
perché ora non c’era tempo per piangere,
bisogna andare alla velocità della verità e non delle certezze qui,
questo giuramento era affannoso,
come una madre che cerca il cucciolo,
come seguire la rapidità di una coscienza pulita,
luna obbligata a fare sul serio per star dietro a quella fiammella.
Ormai legittimato dal vento
seguivo quell’alito che sa rigirare il mondo
come un verme toccato da una sigaretta,
come se nessuna giustizia bastasse all’urlo di gioia possibile,
nemmeno se il sole mostrasse il suo genio si capirebbero
le lucciole che abbiamo nel cuore.
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Mi spinsi fra le illuminazioni che distinguono l’uomo
dal Santo: panorama terrificante, tra tragedie indomabili,
mostri che posseggono armi di tentazioni,
tecnologia e debolezza umana, qui si affronta da soli la storia,
qui agli eroi scoppierebbe la testa, ci sono miliardi di sconfitte da evitare,
se come i Santi si ama alla perfezione,
panorama omicida è la visione di tutti gli errori umani,
in questa visione vidi cosa fece Cristo,
affrontò il colpo mortale, sfidò tutti gli eserciti un passo dopo l’altro,
detonò la purezza, fece la salita verso il sangue fidandosi di una carezza,
l’unico uomo al mondo che ha creduto alle vostre parole,
l’unico uomo al mondo che ha rispettato le promesse fra bambini,
l’unico che cammina sulle acque perché è bello come le acque e il creato,
l’unico che resuscita i morti perché sa che la giustizia non è del caso,
l’unico che ha portato il sogno fino al cielo senza mai tradirlo.
In questa visione c’erano anche cieli che ti fanno trovare una spiga di grano
ed un’ alba
se chiedi un dono,
io debole in quel panorama rinnegai l’eterno,
come fanno gli uomini, io non credevo che mi avrebbe salvato il cielo,
panorama terrificante.
Ma scoprii che era solo un suo richiamo, una sua tattica,
prendermi il coltello! Farmi sentire suo figlio con la mancanza
a cui avrei creduto da semplice uomo carnale.
Ora ancora seguendo il vento,
ho visto ogni genere di soprannaturalità.
Vivo per cacciare gazzelle d’amore,
per trasportare preghiere come tufi.
Ormai legittimato dal vento non ho più la vita
ma tremo delle stesse cose di cui trema il vento.
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SILLABE
SU UN TURBAMENTO
“Le volo incontro armato della mia anima”.
Scritta, per dare una casa ai brividi, per dare volume all’affanno.
Avverto che l’universo maculato di leggende,
deve inchinarsi, all’oscillare del suo ricciolo
carico di un’elettrica trascendenza,
accasciato su lei come il mio cuore.
Il mare e i monti con le loro mille corone
sono meno padroni del fenomeno di lei,
non riescono con la loro potenza a catturarmi come lei,
è un fiore di sangue quando lancia blu ti amo.
Sotto l’oro dei corpi celesti, percepisco
che la prosperità del suo profumo basta nel buio,
facendoli portar via, come polvere sfolgorante,
dalle raffiche a cui sopravvive il sentimento essenziale,
i suoi zigomi ombreggiano tutto l’universo.
Il prato dalla luna platinato è piegato dal pensiero di lei.
La sua bellezza svela la pietà della notte
che fa accadere sempre la cosa migliore, culla imperscrutabile!
Quando i suoi occhi si aprono,
vedi una traccia del paradiso, ne vedi il peso,
come essere zuppi d’anima, come se ti mordesse un sogno.
La luna è una furia in confronto alla sua grazia.
Che gli angeli cambino la storia del mondo
quando lei è triste.
Cosa conta questa mortale commedia
di fronte alla vita nei suoi occhi!
Le volo incontro armato della mia anima,
buttati qui dove conservo i miracoli,
sfoglia senza ritegno nei miei appunti sacri
e prendili senza chiedere.
Fai un festino fra le mie ferite
perché le ho ricevute per te in veggenza,
chiedimi l’impossibile perché per questo stiamo vicini.
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Come se il tuo amore avesse invaso anche
i riflessi della polvere.
Sotto questa notte sento la presenza di fantasmi
che spiano sanguigni questo turbamento.
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L’OMBRA
DI UN AMORE
“Quante bombe scoppiano in un incantesimo?!”.
Scritta, per dimostrare alle voci nella mente che parlano di lei,
che io so quello che dicono e molto altro, che il loro tormento
è nulla a confronto delle echi del mio cuore.
Quante volte può morire un uomo?
Quante lacrime potrò versare?
Quante volte può affogare sapendo che esisti e ripensarti?
Quante bombe scoppiano in un incantesimo?!
Questa è l’ombra di un amore,
la compagnia oscura nell’intimità pestilente.
Come virus, girano i miei sogni, dentro i capillari variopinti,
si, quante volte?
Tu sei dentro di me come una malattia senza cura,
come la coscienza di un killer ti rivolti in me,
ricordo quando i tuoi piedi si avvicinavano silenziosi,
hai mai atteso la tua stessa vita?
Una magia davanti ai tuoi occhi?
Le tue labbra, non tramontano, nella mia memoria come il sole,
non danno fiato a questo oblio di petrolio, galassie latitanti,
è una notte civetta che soffia il tuo profumo,
ogni occhiata intorno era solo uno specchio della realtà,
un malaugurio che spegneva la vita,
se non la impollinavi questa illusione.
Questa è l’ombra di un amore,
il monsone che non sfiorisce nemmeno nel fondo della notte.
Ti segue come un maniaco un bambino.
Quante volte può morire un uomo?
Durante la notte era come vedere la pazzia delle fate,
i suicidi degli unicorni, il terrore delle coccinelle,
l’ombra di un amore ti avvolge come un serpente.
Però è febbrile, caldo e io posso vivere del suo miele velenoso,
io posso vivere solo di quel suo sorriso lontano,
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io so morire di questo come non tradire il sole nella notte,
io so morire di questo, del solo miraggio del suo cuore che batte,
in questi giorni la luna era una giostra ladra,
si, ti avevo nelle mie lacrime,
quelle che non escono mai,
perché non crediamo mai di amare davvero, una giostra ladra.
Le ombre dei rapaci potevano essere i messaggi di risposta
di una chimera a cui invocavo di te,
l’ombra di un amore dominava, era in possesso della vita,
più forte della fame questo dolore allo stomaco,
nemmeno la pioggia avvolge tutto come lo avvolgeva
l’ombra di questo amore, dovevo stringere i pugni
pensando alla sua lingua rosa.
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L’INCOMPRESO
“L’incompreso è simile al rumore meraviglioso del vento,
incomprensibile ma è il padrone del mondo”.
Scritta, perché l’uomo è troppo occupato a sembrare
un qualcosa che comprendere qualcosa.
Noi che volevamo correre verso l’incompreso,
come vero, unico sentimento, l’unica logica,
verso la lancia che anela ogni religione,
per liberare lo strillo strozzato del mezzogiorno reale.
L’incompreso è un re meraviglioso senza regina,
l’incompreso è il beato stordimento al sole,
è il canto invasato di un fanciullo,
è qualcosa di opposto alla prevedibilità dell’arrivo dell’autunno,
difende il fascino dalla cupidigia umana,
è un’ oasi senza volontà terrena.
Noi in un pellegrinaggio spasmodico,
in una ribellione bianchissima
allo spegnimento dell’ultima speranza,
che l’incompreso può sostenere.
L’incompreso è la direzione inconscia degli amanti,
l’incompreso è il genio che segue l’arcobaleno
e non ha nessuno con cui condividere il viaggio.
È il ghepardo che riesce a star dietro alla luna,
è l’aquila che vola sola più alta dei desideri,
è un fantasma triste che muove i fili delle stelle cadenti,
è la pace ridotta ad un ombra.
Sono dolori, con un Dio onnipotente,
ma qui non conta chi è più panciuto
ma in ogni modo non perdere l’ultimo treno,
qui non conta chi è più felice ma chi è più nell’anima.
Così noi volevamo correre verso i luoghi
dove le ali dell’angelo muovono i tornado,
il terremoto è la lacrima caduta di un pargolo,
l’incompreso è la forza negli atomi.
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L’incompreso è oltre il mondo colmo di sentenze!
È dove vedi solamente, unicamente,
un insetto che prega in un fiore.
L’incompreso è sulla direzione del bocciolo temerario,
verso quegli occhi che ti trafiggono l’anima,
verso quel segno lasciato sulla terra dal sacro
che la fa ancora tremare, spettegolare.
E nella corsa amico riavrai il tuo cuore
che non ha mai accettato di rinnegare l’alba magica.
Andare per pulsare più del cuore del toro cosmico,
per avere l’ultima parola, con questa grandezza che ci ha ferito.
La corsa verso l’incompreso è precipitarsi,
verso ciò che solo il cielo sa dell’amore.
Corsa, oltre il sorriso immacolato di un pazzo,
che sembra l’incompreso.
O andavamo verso l’incompreso solamente perché,
l’aurora di nettare e incensi ribadisce ogni giorno,
l’incompreso destino favoloso del mondo.
L’incompreso è il reame del bambino bianco,
che appare ai suicidi.
Lo incontrai, nei giorni che l’anima sente l’odore del padrone,
mi fissava e aveva l’amore degli dei, ispirando: ti sei scordato…
L’incompreso è simile al rumore meraviglioso del vento,
incomprensibile ma è il padrone del mondo.
L’incompreso è il peso, la sostanza che serve al sole
e l’universo tutto, per far luce.
L’incompreso è vicino al tuo polpastrello,
oltre l’idea di perfezione.
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SEGRETO
RICHIAMO
“Ci vuole qualcosa che vendichi l’incanto sottovetro”.
Scritta, dopo aver scoperto chi mi portava cibo
ogni mattina prima di svegliarmi.
Addio! Sono stanco dei sogni che sono stati inventati.
Ci vuole una impudente illuminazione.
Ci vuole qualcosa che vendichi l’incanto sottovetro.
Un richiamo mi fa guardare dove scompaiono i corvi,
penso ad una fuga, sulle tracce di un mistero
che ammicca da sempre,
dentro al mio fegato visionario!
Perché una macchia d’oro
abbiamo sulla nostra consapevolezza,
come timbrato, il nostro vero nome, da un angelo.
Questa mattina è stanca della felicità di cui tutti si accontentano.
Nell’immaginazione che nutro con latte di leonessa,
c’è un frammento sacro incastonato, saldato,
che fa luce come il sole,
che mi fa sorgere una gigante certezza,
che sommerge i soliti innamoramenti e le noie:
questo mistero oltre i sensi, da seguire,
vale tutte le filosofie sicure che l’uomo può dare.
Dunque per la mia audacia cieca,
ci fu un sibilo di virtù, che dà uno slancio d’altrove,
violetto e dalle zampe robuste,
mi fa più abile di un girasole.
C’è un indizio fra le povertà del nostro spirito,
che la virtù ha individuato,
questa è la bontà sorprendente!
La voglia di fuga qui mi voleva portare!
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Giungi euforia intoccabile,
perché il mio isterico tendermi all’invisibile è ripagato,
perché ora ho avuto l’illuminazione
di come riprendermi l’incanto sprecato,
d’uccelli affaccendati d’allegria,
riprendermelo farà il rumore di un bufalo buttato
giù da una tigre.
Il mistero che mi richiamava, che disinibiva i sogni,
il segreto vociferare che fa partire l’amante migliore,
che ci faceva scomparire nel sole,
che ha fomentato leggende e preghiere,
è la compassione più occulta, più bruciante!
Finalmente la macchia d’oro è svelata,
quello slancio d’altrove non è più un lamento di un orfano.
Compassione che perfeziona il respiro,
compassione, compassione lingua intesa
dal firmamento che risponde alle invocazioni!
Compassione che spinge l’alba a cinguettare e l’arriccia,
il giorno a dare tutti i fiori e i frutti e chinarsi sull’uomo,
la notte a sembrare come sanguinante d’amore biancastro.
Ho visto il mondo nascosto!
Celato sotto tutto quel brillare ipnotico,
stomachevole del creato al sole.
Visto nell’alchimia di un mattino,
vinto dal canto malato, senza pazienza,
degli uccelli che prendono in giro le malvagie divinità.
Il segreto richiamo dolce come una vita senza fine.
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L’ONNIPOTENZA
DI UN’IDEA NOTTURNA
“Capii che le idee fantastiche duellano alla pari
con i maremoti”.
Scritta dopo aver avuto esperienza che un’idea può spostare il monte anche della
giustizia.
Alla prima insensatezza di polvere, mi sono nascosto,
dietro una fenice che mi allattò, mi sono sempre chiesto infatti:
quale umano poteva mai forgiare i miei deliri?
Un’altra cosa che mi sono sempre chiesto è:
dov’è l’anima che avevo chiaramente fotografato ai bambini?
Vivo in una allucinazione del paradiso e i fiori sono alieni?
Perché non ti è chiaro d’amare?
Perché hai sembianze umane, per quale errore?
Perché non voli via come polvere?
I vermi nei cadaveri si prendono gioco della nostra vita,
partoriti in che scherzo?
In che gara teatrale interminabile?
Un giorno mi chiesi, visto che mi sentivo di un altro mondo,
perché questo si commuove per dimenticare,
ma io posso accedere ai privilegi della magia?
Tremò il bufalo, le piante si tolsero il velo del gioco,
notai che un sogno nuovo è più visibile del passaggio
di una cometa, vidi che l’amore è una bestia veloce
come gli uccelli e affamata come gli orsi
che sconfigge l’intero mondo, allora lanciai un desiderio
di compassione nel cielo e la notte mi vide come
aver carezzato l’intero mondo.
Come se con l’amore, il mondo fosse una biglia,
nelle mani di un fanciullo verde e astuto.
Capii che le idee fantastiche duellano alla pari
con i maremoti, mettono incinta il chiaro di luna,
superano barricate di intere nazioni impotenti.
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Capii che le idee d’amore hanno alleata l’onnipotenza
e quindi che il paradiso possiamo riaverlo con estrema facilità,
un giorno di grazia ci ridarebbe l’incontaminato,
ridarebbe la pace, sbucherebbero fuori le coscienze impaurite
come lumache con la pioggia,
perché cambia la gente caro lettore, se non perché ricrede nella vita?
Capii che chiunque forgiò la natura dei miei deliri
mi aveva dato poteri enormi.
Capii che l’alienamento è il preludio di un tuono orfico.
Capii l’onnipotenza di un’idea notturna.
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ISTANTANEA
DELL’INVISIBILE
“quale umana prepotenza, poteva dire,
che non era soprannaturale questa notte”.
Scritta, perché tutta la mia carne, i miei calcoli, il sapere
come salvarmi la vita sono basati sull’invisibile.
L’oro colmava i polmoni, soffocava quasi,
le formiche alzavano invocazioni
affinché angeli spaziali passassero per noi,
in una notte di stelle, che infliggevano pesanti sconfitte agli incubi
e ci fecero vedere la notte limpida come giornata di sole a mezzogiorno.
Ci fecero vedere ciò che l’avaro non vedrà mai.
Le forme dei desideri si inabissavano
e nuotavano come enormi cetacei nella mezzanotte,
lucciole perforavano l’aria creando varchi di paradisi,
si scioglievano imperi, si innalzavano sirene
perché noi giovani in eterno.
I peli non avevano lo spazio e il tempo per crescere
essendo martoriati di ferite e croste di rincorse alle assurdità
e capitomboli per le speranze e ombre ammiccanti
da catturare, le piante tremavano d’estasi, non era vento.
La luce lunare, era per chi l’amava,
il segno di una alleanza con le gigantesche possibilità.
Nel tuo viso ho visto tutta la vertigine
che c’è fissando la perfezione dei corpi sospesi.
Tu, amore, crea schiere di giallissimi soli,
affonda le unghie dentro i miracoli che vorresti,
affondale come una legittima ereditiera dell’aurora,
prenditi la libertà della luna e ditti più grande del mare,
fallo senza voltarti indietro, perché tanto, nessuno su questa terra,
parla disinteressatamente ad una donna,
crea sciami di farfalle e dai poteri decisionali alla rugiada,
dai al fantasma di una bambina, uccisa da un grassone,
lo scettro del mondo, dai quello che vuoi a ciò che vuoi.
Se non avessimo strani poteri credi avremmo
questa ulcera azzurra?
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C’erano in questa notte d’oro chiavi che fiorivano,
parole più leggere dei giochi di un bimbo,
il colore del cielo era l’altra faccia di una carezza,
allora io e lei fotografavamo l’invisibile,
mettemmo in banca magie, nei granai virtù,
investimmo satana con un meteorite.
Avevamo tutta questa compagnia immortale,
questi incanti preparavano qualcosa per noi.
La terra era una orefice ubriaca dalla mano ferma,
era una atomo di cui era fatta una piuma
noi sempre sotto i comandi di un sogno…
In questa notte vedevamo che siamo dell’impossibile,
si perché avrebbe fatto la fine di un falso mago
la luna se non avesse poteri,
chiarori stellati che facevano un fragore indimenticabile,
strattonati dalle strenne fluttuanti,
saremo sempre giovani brindammo
con lo spirito di qualcosa o qualcuno,
con la chimera reale forse, con il segreto primo del buio,
cademmo innamorati della notte,
cademmo in una stimmate nata per amor nostro,
quale umana prepotenza, poteva dire,
che non era soprannaturale questa notte,
fotografammo l’invisibile,
cademmo avvelenati da un certezza invadente,
saremmo sempre giovani,
non ci faremo portar via questi balsami dall’orrore
che crea l’uomo,
fotografammo l’invisibile sui nostri tremori,
la prova che sotto quella luna c’è ciò di cui confabulano
i fanciulli che si credono non visti,
sotto la luna c’è a guardarci chi inventò la parola casa.
Facemmo un patto con la notte, una invocazione alla luna,
un’ eterna alleanza col suo canto acutissimo.
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13/01/2011, 20.20
NON C’È
TEMPO PER LA PROPRIA GLORIA
“Temi pure l’apertura della terra come un’ albicocca
per il figlio perduto”.
Non so cosa mi ispirò la scrittura di questa poesia ma era
come toccare una stimmate, come sentirmi al centro
del mio destino mentre la scrivevo.
Come se ogni cosa avesse un’ eco,
sola allucinazione che di colpo ti stringe alla gola,
allora vidi, infinito messo in croce, delizia lasciata
a difendersi sola; ma ancora profezie di vittorie solari
in questa oscura placenta,
in questa storia prevedibile che si imbavaglia
per non pronunciare estasi.
Una farfalla irrompeva come un cataclisma nelle tenebre,
diceva: lasciate che i bambini non difendano i vostri peccati
e sarà anche nell’ultimo buco della terra:
stracci dorati, intrecciare cestini di vento,
imperlare le maree, spazio a tutti i giorni caldi,
diceva non c’è tempo per la propria gloria.
Da questa eco prodotto anche dai sassi al vento,
in questa allucinazione che riusciva a far male alla carne poi
fui tirato via quindi da quest’altra voragine energetica:
vidi come se la tragedia travolgesse tutto per prendere l’ultimo dannato,
come una bontà dall’occhio di predatore.
Non c’è tempo per la propria gloria,
ma solo per ferite e fughe e rincorse
per agguantare l’ultimo sull’orlo dell’inferno,
niente è irrimediabile delle nostre lagne e bestemmie,
si può cadere ovunque ma non all’inferno!
Il peso del dolore richiede i nervi robusti dell’immenso,
come vedere il peso di una lacrima,
come riconoscere la sua spaventosa nascita,
come vedere l’espressione del sole di fronte ad un lamento,
l’errore richiede il braccio dell’intero universo
per non far spezzare la corda della vita.
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Ma il nostro cuore non percepisce cosa non fa spazzar via tutto
come una ragnatela in un angolo.
Tutto ciò che vive si tende per vincere l’irrimediabile.
Profezie solari in questa oscura placenta.
Mi spiego: vidi che il cielo vuole a sé tutti i pezzi del suo cuore
fino all’ultimo disperato figlio,
non importa vedere un infinito straziato,
la conversione vale l’apocalisse.
La bilancia della coscienza superiore fa pesare
più un solo uomo eterno che tutto il lamento che sale
per mancanza di fama.
Temi pure l’apertura della terra come un’ albicocca
per il figlio perduto.
Qualcosa simile al terriccio d’agosto, all’ospitalità del mare,
dà ancora importanza al miraggio impressionante
che è un singolo uomo.
Ma questo era solo un sogno, finiva con l’universo,
che stringeva una lancia che infilzava la cosa più fonda.
Non ho visto cosa, mi svegliai, il sogno è qui narrato,
tu capiresti cosa era che infilzò?
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NON
DI SOGNI CONTAMINATI
“C’erano avventure suggerite dalle foglie”.
Scritta perché passo venti ore al giorno con la gente
eppure non vedo il loro colore, non sento come frustano il nemico comune,
non capisco cosa amano e se la amano, non sento il loro soffio vitale.
C’era un brusio profondo, di un segreto, nel bosco.
C’erano avventure suggerite dalle foglie.
Eravamo qui io e lei a cercare sogni incontaminati.
Lasciava il suo rosario che cadeva nel sole la mezzaluna,
era un nuovo giorno per conoscere le divinità,
per trovare il nostro sogno puro che ci farà fare occhiolini d’intesa ai fiumi,
che ci farà avere una chance in una sfida col monte,
ci farà parlare all’orecchio delle nuvole,
che ci farà sentire della stessa importanza dei ciliegi.
Prendiamoci il nostro sogno,
quello che viene dalle nostre viscere
e non quello costruito dall’universo.
Solo sapere quale amore mi fa dire oggi amore,
il nostro sogno incontaminato caccia misteri come fossero lepri!
Noi avevamo la mancanza di qualcosa d’eterno
e non sapevamo come era lì quella voglia,
lei disse: avremo un altro messaggio dal celeste
col tono più sicuro del fatto che il sole fa luce,
io seppellii le riserve di ogni sogno contaminato e le dissi,
si ho visto solo l’immenso da quando sono nato!
Tutte le sue parole si sono realizzate,
i suoi aiuti sono stati gli unici nella furia dell’oceano di vetro.
Un eterno che le tiene il capo quando vomita, perfino!
Avremmo dovuto sgozzare quell’angelo
che ci commosse da piccoli se fosse per il mondo,
quindi prendiamoci il nostro sogno!
Nessuno sa ciò che provo quando mi contorco in un tradimento,
nessuno può dirmi cosa sognare, sarebbe vivere in un paradiso adottivo.
Come lavoro arretrato era ogni prodigio non fatto
col nostro sogno magico.
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Prendiamoci il nostro sogno che sarebbe follia per il mondo!
Mondo che non crede nella magia ma non sa che senza la magia
compassionevole degli alberi nessuno sarebbe salvo,
senza queste visioni, senza questi prodigi che non si concederanno mai.
Il genio sta costruendo ali per elevarsi,
invece il mondo si specchia grasso e soddisfatto.
Non sa che sotto gli aghi di pino, avvengono esplosioni
di stelle e si ha coscienza di ciò che esso,
reputa storie per fantasticare da ubriachi.
Quindi prendiamoci il nostro sogno,
altrimenti i brividi saranno sempre tigri in cattività,
le nostre ali sporche di petrolio,
i nostri occhi non saranno mai più belli di quelli dei gatti,
il sogno che viene dalle nostre viscere
e non quello costruito dal mondo.
Prendiamoci il nostro sogno,
vediamo dove ci spinge il personale miracolo donatoci!
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TESTAMENTO
AL MONDO
“Ci vuole che denunci che stanno tutti raccontando
solo menzogne quando dicono d’amare”.
Scritta perché i turpiloqui, gli oggetti lanciati e lo spintonare la vita
erano nulla per rappresentare l’oscenità che i miei occhi incrociano senza tregua.
Alba che affoghi di altre, più imponenti verità la storia.
Il perché il bene ha l’ultima parola tu lo sai.
Ora la dico io l’ultima parola.
La verità, oh mio sogno pieno di piaghe:
questo mondo ha come sole la blasfemia,
oh mio sogno, che bello lo zefiro della verità!
Mondo in una bolla che ci divide dalle stelle,
feste di piume e ebbrezze mutate
in putrefatti incoraggiamenti,
questo mondo invece poteva essere tutto!
In questo mondo tutto è avvolto d’ebbrezza
come la primavera lo avvolge di venti freschi,
feste cadono dai rami, la luce vale più dell’oro,
dietro un cespuglio ci può essere una leggenda di smeraldo
ma l’uomo non ha mai preso la strenna della nascita dall’inizio dei tempi.
È che l’umanità intera è un pesce che si dibatte al suolo
di fronte al tuo poema alba, stonata, scordata.
In tutto ciò, essendo fra essa, lo spettro della follia
mi ha addolcito la vita. Lascia perdere amico,
questi fari puntati sulle scuse e le donnacce,
per nascondere il paradiso.
Puoi scommettere amico il tuo inutile vagare
che anche oggi ti succederà qualcosa di soprannaturale.
Oh alba, che tu sai dove affonderei il coltello,
in questo testamento al mondo,
portiamolo nella tomba questo segreto,
non sono mica degno, loro sono tutti illuminati,
tutti guerrieri, tutti papa. Non girai le spalle, rubando parole,
che dico mie a te, alba: questa è la chiave dell’illuminazione.
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Ovviamente solo il sogno disumano è stato la mia firma!
Che se ne dica questa vita è una preghiera che sarà esaudita.
Lascerò la mia eredità dannata ai pazzi che rincorrono se stessi,
senza tempo per uccidere come tutti,
a chi non teme le ombre dei boschi,
a chi prenderebbe, un attacco alieno, con calma,
senza clamore porno-giornalistico, armato di miracoli.
Certo, ho avuto sempre gli occhi di fuoco,
di chi non si è vergognato del paradiso.
Ci vuole un cimitero per le chimere.
Ci vuole un armadio per le anime.
Ci vuole un cartello di pericolo vicino ai gigli.
Ci vuole una scritta: vietato l’accesso,
sulla vita che ti fanno immaginare.
Ci vuole che denunci che stanno tutti raccontando
solo menzogne quando dicono d’amare.
L’amore fa trovare resti di festeggiamenti in cimitero!
Durante lo sfavillare notturno,
vidi che come una falena verso la luce, l’umanità si mosse,
illuminata dall’amore, ma poi troppa paura
ebbe delle vecchie comari, dell’essere considerata pura!
Ebbe troppa paura di se stessa, del suo stesso giudizio.
Ebbe troppa paura della colpevolezza dell’amore.
A voi che vi siete chiesti cos’era quella cosa che ha mille nomi, l’anima,
vi lascio la mia fantasia che cerca di aiutare un angelo.
Tutto qui, missione svelata, cuore esposto alle infezioni,
intenzione senza ritorno, simbolo di me.
Si perché noi perfezioniamo fasci di luce,
parliamo la lingua dei ruscelli e tentiamo di provocare solstizi.
Abbiamo l’anima per uno scopo.
Chi sogna di morire muore, chi sogna di resuscitare resuscita.
Il mondo, palla di vetro con due giochetti dentro,
che pesa meno di un buon frutto,
sforna bambini senza mangiatoie,
isteria da bigiotteria è la sua anima più fonda,
un tappeto di morti di cui gli assassini chiedono pulizia.
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La cipria del cicisbeo vale l’inferno di ogni nostro figlio,
nessuno è un uomo, tutti dimentichiamo,
bevendo un goccio di follia, il cattivo patrigno.
A tutti voi giovani che fra un po’ mi farete schifo,
vi lascio il mio vomito, il gioiello più prezioso.
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13/01/2011, 20.20
L’OMBRA
“ti davo la stessa importanza dell’anima da fanciullo”.
Per cosa devo rinnegare la mia ombra, per la follia che ci vuole tutti a immagine e
somiglianza
del pensiero di uno psicologo o per l’acculturato di turno che dice:
“l’ombra non va più di moda”? Lei che mi ha difeso perfino
dalle punizioni degli angeli.
Ombra, compagna di quarzo delle fantasticherie solitarie,
ti davo la stessa importanza dell’anima da fanciullo,
tremenda evocazione della furia del sogno!
Ombra a te confessavo più cose che al mare,
i miei sogni, a cui nessuno ha ancora donato un sorriso,
tu li seguivi al mio stesso ritmo
e anche se tutto ciò è una mia suggestione,
tu mi hai fatto fare il passo eroico un giorno.
Allorché il sogno anima ciò che non ha vita,
siamo proprietari dei miracoli, fra le nostre membra c’è magia.
Ombra vivi in queste parole e fa compagnia alle visioni
dei funamboli come fanno i tuoni dei temporali
e il polline che disegna nell’aria.
Tu, ombra, sei fedele guida nell’avventurarsi nei misteri
oltre le vette. Ma se c’è un mistero qui in questi incanti
è la falsità umana di fronte ad un cielo che danza,
si, il mistero è l’opposto, non dov’è il cielo ma dov’è l’uomo.
Allorché ombra non si discute che più volte mi hai presentato fate e Santi, oh
ombra.
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LETTERA
PER L’INIZIO DI UNA NOTTE
“Facci rincorrere l’opportunità di una volta stellata che esaudisce!”
Scritta, per impiegare il tempo necessario all’arrivo
della notte sulle mie rabbie e gelarle!
La voglia di te, notte, ringhia nella mente; è un gatto,
il ringhio del gatto affamato dalle zampe di stelle svergognate.
Notte, giungi in soccorso del mio servire il pirotecnico,
giungi su me e lei, dacci la tua culla.
Lei che per me il sole è il suo polpaccio
e la mezzanotte il suo seno,
contengono tutte le onde del mare
e le nevicate sui monti i suoi occhi che si aprono,
tutti i doni che il mare lascia su tutte le coste
sono i suoi piccoli tremori sparsi nel buio.
In te, notte, alcune carezze spaventose fra me e lei
solo le piante carnivore esiliate dai fiori le capivano.
Giungi, notte, su noi con la luna che evapora
l’incombenza della volontà dei millenni,
boato di libertà! Razione di cibo per l’impossibile.
Giungi con ogni costellazione che emette richiami
per la riconciliazione con la vertigine.
Notte, che ci inginocchi sulla magnificenza
dei nostri stessi sogni,
giungi e rendici forti di una giovinezza che vivrà sempre
perché non esisterà mai niente che rimpiazzi
le stelle a cui ci sposammo da fanciulli,
amore vero, le loro pacche le ricordo come quelle di parenti, matrimonio
felice!
Notte bussola, mappa, chiave, suggeritrice
delle possibilità dell’anima.
Giungi e rendici forti a colmare con un urlo
la distanza dagli angeli.
Facci rincorrere l’opportunità di una volta stellata che esaudisce!
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13/01/2011, 20.20
Le tue stelle cadenti colpiscono peccati e virtù
denudando la realtà, mostrando
ciò che stanno facendo alla terra.
Giungi notte e illumina di lattescenze noi,
la nostra pericolosa certezza sull’infinito,
noi che vogliamo tutta intera la verginità della terra,
noi che apriamo gli occhi per vedere solo
il muco delle stelle, che respiriamo per sentire solo balsami,
noi che ci potremmo mimetizzare nel chiaro di luna,
che aspettiamo che sedi, come malate per cui giunge
l’ora del sonno, le bestemmie.
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13/01/2011, 20.20
L’ ALBA
“Il vento sembra un cicisbeo e abbraccia tutti quando c’è lei”.
Ho impiegato un anno per completarla, perché l’alba, secondo il mio parere,
è la redenzione servitaci fumante ogni mattina.
L’alba furtiva è miriadi di grosse ciliegie profumate,
l’anello rosa del fuoco è uscito ancora dall’eden sconosciuto,
nudità di rose affaccendate,
il colore che ha nel cuore un sussulto,
tutto può essere ma non pelle umana quel rosa.
Come un salmone che risale la notte sconfinata,
due ombre d’oro fuggono,
una caduta all’indietro nelle piume,
come se ti impossessasse la verità,
l’alba furtiva.
Il vento sembra un cicisbeo e abbraccia tutti quando c’è lei,
come una accordatrice di violini, accorda l’anima,
non è dell’essere uomo o donna, non è del mio parlare,
di chi mai è figlia?
Via notte, via giorno arriva la bambina
tradita fino alla fine dei tempi,
di lune e di soli lei ne seduce da sempre
e le stelle affoga nel suo pallore che risveglia l’umanità
dall’intorpidimento col divino, come lo fa dal sonno,
di nessun astro vuole l’amore,
i poeti non la intendono,
gli amanti mai,
lei sempre tradita per sempre,
più dolce del primo amore,
germoglio rosa, acceso da tutti i bellissimi segreti
che deve nascondere,
cosa mai di strabiliante accade dietro il tuo rosa?
Lei è madre delle illuminazioni salvifiche,
è la regina del mistero dell’essere vivi.
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Puoi esprimere tutti i sospirati desideri
ma rimbalzano sul suo sfolgorante rosa,
perché il suo rosa è il massimo che un uomo possa vedere.
Alba che difende le parti più improbabili di un sogno,
quanta limpidezza le offri sei il suo nemico comunque,
lei, l’alba, la bambina che sarà tradita per sempre
a causa della sua purezza abissale,
viene dal gorgo delle preghiere più sincere,
il male del mondo affoga nell’alba, soffre di vertigini nell’alba.
Arriva delicata come una suora
e inesorabile come un gran sicario,
col suo coro d’uccelli che non esistono nella realtà.
L’alba furtiva.
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13/01/2011, 20.20
UNA
RIVELAZIONE
“e gli animali, tendono trappole e agguati,
a tutto ciò che non è oro”.
La parola rivelazione è abusata,
la sua importanza invece è mastodontica.
Affogare il tradimento nel mare di luglio,
mani alla sua gola terrena e ingoiato dai fondali ipnotici:
miraggio, anzi visione empirica della soprannaturalità,
calamita dall’ immonda forza questa visione,
appanna e ottenebra il concetto di morte,
danza la verità, bella come una donna
distratta dalla stella polare,
le forme del mondo raccontano del genio
e gli animali, tendono trappole e agguati,
a tutto ciò che non è oro.
La sensazione di essere dell’eterno ti fa tremare,
come l’idea di veder precipitare il sole,
per lasciare spazio all’immortalità.
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RAGIONE
CELESTE
“il mare perso in una battaglia con l’umanità
come un cavaliere isolato”.
Scritta, a Roma, su un balcone, distratto dalla radio del vicino di casa.
Stelle che lavoravano l’oro per un gioiello alla gioia,
il vento in caccia di maledizioni ululante,
il mare che permette di fissarlo negli occhi,
I fiori sparsi erano assassini di parole menzognere
che confortavano l’elevazione.
Grandi alberi dove si arrampicavano ignare le paure,
predate dagli uccelli immortali.
Piombò il giorno su questo mio attimo di lucidità
nel vedere la natura.
Su questa trasfigurazione di un cuore
che è ciò che mi era intorno.
Le stelle furono spazzate via da un sole
che mi imponeva di essere Santo,
il vento che diceva di avermi insegnato il mestiere,
il mare perso in una battaglia con l’umanità
come un cavaliere isolato.
I fiori, ognuno mi tirava i capelli chiamandomi traditore
e gli alberi, che ogni venatura è la pace che non avrò mai.
E io ti vedo, ti vedo ragione celeste.
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13/01/2011, 20.20
UN
SORSO DI RESSURREZIONE
“è potenza che se ne frega dei diritti del male”.
Parla di questo continuo movimento ed energia a disposizione, che anche
nell’uomo peggiore è dettato dal sorso di resurrezione portogli.
Alba d’acido che liberi la brezza angelica,
io ancora nell’insonnolimento che dimentica il diavolo,
corro sulle tombe dei miti
e vedo che tutto s’ inginocchia alla più esile virtù.
L’alba che impone speranza, l’alba che piega a niente di umano,
l’alba in cui c’è lo stesso colore di una vittoria,
l’alba nella quale ti sembra di poter incontrare una divinità
che ti cerca per darti un invito.
Corro sulle tombe dei miti e i miracoli si aggrappano alle caviglie,
l’alba impone speranza, come fango alto ti strema, finché non cadi in lei,
nelle sabbie mobili della giustizia di cui parlano angeli,
che non sono dei traditori.
Ti serve un sorso di resurrezione che ridà l’elmo d’oro,
con venti ancelle che sollevano, non il corpo, in cielo
in un festino d’anime sfuggente.
L’alba ti sveglia con un calice di resurrezione,
salvami la vita di poeta e vedi come le preghiere
hanno costruito l’universo,
universo che ogni volta che muove la coda
sistema i nostri sogni sfiniti
e l’alba ti porta un calice di resurrezione,
resurrezione che la tua pietà verso gli insetti affaccendati ti porge,
brillante come loro, l’alba è una leonessa virtuosa
che soffoca terrori e maledizioni, è potenza che se ne frega dei diritti del
male,
regalando perdoni,
come un angelo che si può vedere, un sorso di resurrezione senza veli.
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DUE
FANCIULLE
“l’uomo a fare la divinità fa solo ridere”.
Sdegno che dichiaro con certezza colga tutta l’umanità.
C’ è una leggenda di due fanciulle,
videro chiamare l’inaugurazione di un canale televisivo,
un miracolo, l’uomo chiama miracolo il suo grasso,
allora seguirono il vero miracolo per la notte,
quello che surclassa e stravolge la genialità.
Seguirono la bestemmia come due pantere infallibili,
seguirono la via che sprigiona davvero la parola miracolo,
seguirono l’odore del miracolo a cui s’inchina la brezza.
Lo invocarono, piangendo di rabbia purissima,
volevano fare un attentato al capodanno,
volevano rimettere in chiaro a tutti,
che l’uomo a fare la divinità fa solo ridere,
che l’uomo non dovrebbe inzupparsi di nessun brivido perché non vengono
da lui.
Seguirono l’alchimia, seguirono il richiamo dell’ignoto piacere,
gli scherzi all’anima che sa fare la notte,
barattarono l’intero mondo col nulla,
o se volete, col paradiso nascosto
dietro i finti astri picchettati dall’uomo,
corsero, agghindando la terra di terrori di carta,
tragedie messe per sola burla,
fecero fuggire con urla di neve e lanciate per finta,
la blasfemia,
avevano incubi al fianco come cani fedeli.
Videro la notte squarciare, come una beccata di poiana,
il destino segnato della terra in un solo colpo.
Videro che l’uomo millanta una corona
ma è un pagliaccio respinto dalle coccinelle arancioni.
Questa loro furia di pesca e albicocca era giusta
come l’azzurro del cielo e allora la dolcezza del creato,
faceva gesti d’amore da farle tremare.
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13/01/2011, 20.20
Erano come orsi sul miele, le fanciulle con le bellezze.
Erano micidiali predatrici di pavoni e principi,
mettevano nascostamente veleno nei sogni egocentrici.
Conobbero l’ispirazione che ti rende immune,
sognarono i loro sogni e non quelli dogmatici,
denunciarono alla stella polare chi
diceva che questo o quello era un miracolo,
chi erano? Di cosa erano felici?
Perché a loro due brillavano gli occhi?
Avevano la coscienza senza veleno!
Andavano al passo della stella polare!
Conobbero la libertà del flusso del sangue,
scoprirono che l’illusione
fa vedere l’amore come una semplice emozione,
in quella notte si addormentarono in paradiso,
si addormentarono nello sdegno simile a quello della luna,
si addormentarono in un vero miracolo,
nel miracolo di non aver ancora dato l’anima
per le parole dette da uomini,
nella denuncia ascoltata dalla coscienza dell’universo.
In quell’urlo che spiega perché il fuoco è fra queste pietre.
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13/01/2011, 20.20
IL
DISINCANTO
“essersi inventati da sé il pianto”.
Altro pilastro del libro, scritta, perché ho perso i miei amici
a causa del disincanto, non avevano più magie da fare per me,
la fratellanza era un peso che non sapevano portare più,
per cosa dovevano essere fratelli visto che nulla è per sempre,
visto che tutto tradisce.
Notte che sussurra, di un ignoto che ascolti,
troppo grande e complesso perché lo immaginassimo noi.
Le rose, a milioni, si tendono nella loro veggenza fatata,
verso un destino ancora inconscio alla terra,
le stelle si muovono nel cielo frenetiche,
come uno stormo in fuga, in un volo inclassificabile,
inafferrabili da tutto ciò che è meno della carità,
dei bambini corrono e si fanno ferite,
per venerare ciò che l’umanità crede inesistente,
nel buio più fondo ho sentito la melodia che accompagna l’universo,
nella gioia che scherza con il sole era l’identica melodia… onnipresente,
vedo le stelle con cui giocavo da fanciullo,
che si sono inchiodate nel mio petto e nei miei occhi.
Il disincanto è coprire la notte come un cadavere,
è rose che crescono solo per ingordigia,
sono stelle a miliardi messe come inganno,
di diseguale bellezza per il disincanto.
Bambini decapitati, che sorridevano da un pezzo
di cuore che non esiste. Tutti i pensieri,
tutte le parole di una vita dette per pazzia,
essere orfani della luce, orfani di chi ci diede la forza di urlare.
C’è un mondo che non ha più fede
per seguire un povero luccichio, il disincanto.
Tu sapresti dire caro lettore, chi smette di dire la verità,
se l’universo o l’uomo nel disincanto?
Tu credi che le hai inventate tu le storie che racconti,
non che eri con l’orecchio porto ad un cavaliere bianco?
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13/01/2011, 20.20
Nel disincanto che si vanta di una carezza,
che sotto, sotto, sotto ti guarda con gli occhi di un ladro!
Chi smette di dire la verità nel silenzio che piomba,
su ciò che faceva tale frastuono, da averci fatto credere
di essere alla festa di una musa?
Il silenzio alienante, acromatico, mettere in bocca all’alba
menzogne che non dirà mai, essere salvi grazie alla propria perfezione,
essersi inventati da sé il pianto, il disincanto.
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NOTTE
PRIVATA
“crediamo nel respiro dell’altro,
viviamo delle fluorescenze della sua anima”.
Scritta dopo questo pensiero: tutto ciò che i sensi sanno è solo
la punta dell’iceberg di ciò che accade davvero in noi.
Siamo nell’euforia di angeli vittoriosi,
strilliamo come bruchi che scoprono le ali,
i nostri sospiri hanno poteri occulti questa notte.
Una follia che spiega lo sbocciare dei fiori,
che è decisa come il sole d’estate,
più forte del rosso traboccante delle rose,
che sembra una vocazione,
c’era nelle nostre richieste alla luna.
Siamo come corpi nudi, invulnerabili nelle tenebre.
Come cadaveri sul fiume vanno via i compromessi terreni
fra le nostre labbra turgide, umide.
Seduciamo le spiagge e le maree investiti di uno splendore sensuale.
I leoni di fiamme spiano noi
e la luna si aspetta da noi una novità.
Due ombre noi, che non fanno sentire nessuno re o regina.
Una festa del sesto senso, il vento vi allontanava da noi!
Amore di tale bellezza da lasciar sognare
tutte le creature sacre indaffarate, per un attimo.
Era furiosa la sconfitta che non ci riusciva ad afferrare,
il battito del nostro cuore era una musica ipnotica
che stordiva gli animali della foresta,
il chiaro di luna ci chiedeva da dove tale grazia,
un amore che guarda fisso negli occhi i mancamenti,
che bacia le stelle mentre si azzuffano i demoni,
che fa la voce grossa contro la malattia e la tragedia,
che copre di musica e risa quando parla
il saggio fatto da sé,
che è nato sulle promesse gigantesche,
che si fanno durante un orgasmo di luce,
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crediamo nel respiro dell’altro,
viviamo delle fluorescenze della sua anima.
Fra i nostri sguardi che si palpano,
c’è abbondanza in barba alla fame del mondo.
Un particolare è sigillato,
tesoro che con le parole non ti posso consegnare,
come riprodurre una eruzione oppure
passarti una virtù con un gioco di prestigio:
i nostri brividi, saranno sempre segreti.
Notte privata sono i nostri tremori,
i secondi non da mortali, le nostre intese,
le nostre impercettibili ma tuonanti intese.
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GIOIRE
DELL’ARIA
“un corpo mortale che non regge
il cielo enorme di questo amore”.
Scritta dopo una giornata con lei, senza aver trovato un passaggio,
facemmo venti km a piedi ed io avevo la pancia piena, le gambe fresche,
il sole di luglio non pesava, ero luce, solo grazie a lei.
Amore che fa esplodere i nembi legati da fulmini,
amore che strattona, spintona all’inferno la scontentezza,
dolcezza più determinata di un cobra a caccia,
un sussurro che è come un colpo di grazia,
amore che rende accecanti i colori.
Amore che ti fa attraversare il passaggio,
sul ponte di una onestà sovrabbondante, rivelatrice,
da cose mute all’orchestra sapiente del creato.
Nell’alba col cuore che manifesta
la sua povera sostanza di carne,
il respiro perde le coordinate,
i tendini ben attorcigliati sono gli ultimi a cedere,
un corpo mortale che non regge
il cielo enorme di questo amore.
Gioire dell’aria, ossigeno d’ebbrezza, sorprese nello zero.
La croce si carica sulla spalla
come un grosso mazzo di fiori insieme,
solo occhi che si guardano promettendosi
qualcosa che rassomiglia all’estate,
solo un abbraccio che ingelosisce giocondamente l’immensità
e un bacio che sembra padrone del mondo
come il mezzogiorno.
Solo due anime che gioiscono dell’aria,
che sono titillate da ciò che è nulla agli occhi della realtà.
Cosa ne faremo di questo amore
che darebbe tutto per l’altro?
Folli di voglie in questa vita che non fiorisce,
che le mette al rogo, benedicici cielo!
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Un amore che è una preghiera effervescente,
un rumore, nella notte del coprifuoco, che nasconde fortuna,
che è la vittoria di tutto data da una carezza
infinitamente debole, come una lucciola che solleva la luna.
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AMANTI
IN CERCA DI
GERUSALEMME
“Gerusalemme è frastuono di assassini che non si temono”.
Scritta, ad Assisi, il fuoco di quel posto mi obbligò ad usare la mia penna,
il sonno era scacciato dagli angeli, notte memorabile,
notte in cui sentivo respirare la grassa terra, era tutto color sangue.
Seguimmo la fuga abbandonata della polvere nel vento,
in questo amore che non si interessa nemmeno
dell’estate,
amore in equilibrio sulle impressioni che danno le stelle,
amore così alto da essere di troppo la felicità.
Abbiamo cercato le porte di Gerusalemme,
perché non era né del sole né della luna questo amore.
In questa ricerca di Gerusalemme
abbiamo seguito l’amaro che resta in un abbraccio,
abbiamo seguito il brivido che non si compie mai,
abbiamo seguito il più grande segreto covato;
come se cercassimo di anticipare, andandogli incontro,
il fato.
La verità devastante senza prepararsi,
urgenza di bellezza,
ci siamo trovati di fronte l’infinito.
Vedemmo che il mondo è degli amanti,
la sua forma calza solo all’estasi
e allora Gerusalemme come da una distrazione venne!
A Gerusalemme ogni pezzo dorato di pelle
respira per un motivo, lì vedemmo un miracolo:
aveva una bellezza invincibile,
più rivoluzionario dell’inverno, come un tornado,
spazza via le manie di grandezza dell’uomo
che si crede inventore della parole amore, carità e misericordia,
il miracolo corre sul serio
come un purosangue d’anima!
Il miracolo stritolava il mondo alla volontà del cielo,
tutto si inchinava a lui senza doverlo sapere per forza.
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Il mondo continuava a girare ignaro, accade che uno firma,
accade che uno fa un gesto onesto, accade che si perde un foglio
ma nessuno sospetterebbe che stia accadendo un miracolo, noi lo vedemmo.
A Gerusalemme capimmo che non esiste niente sotto l’infinità,
tutto diventerebbe incompiuto.
Come un fiore senza profumo, un mare senza fragore,
un cielo povero, nessuno andrebbe oltre la gravità.
Vedemmo che questa terra vuole urlare,
questi stormi d’uccelli vogliono donarti milioni di gioie,
questi alberi vogliono rivelarti il ritorno alle stelle.
Andammo più lontani della speranza io e lei,
naufragati nelle cavalcate degli angeli
trovando Gerusalemme, capendo l’estraneità dell’amore alla nascita e la
morte.
Vedemmo che nella vita oltre tutto,
nel fondo, vigeva una gioia d’altrove.
Quell’altrove è Gerusalemme.
Gerusalemme è come un cielo non così irraggiungibile,
Gerusalemme è frastuono di assassini che non si temono,
Gerusalemme è compagnia per la solitudine del grande sogno,
Gerusalemme è tutto l’impossibile dietro l’angolo,
Gerusalemme è non vedere invano un sospiro.
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ULTIME
NOTE
“l’arcobaleno sembrava alieno a confronto
con tutta la storia degli uomini”.
Nessuno da cibo alla coscienza perché è una bestia feroce.
Mi guardai intorno, avvertii l’aria satura di tradimenti,
gli alberi covavano agguati, l’usignolo si scioglieva,
come se la galassia suonasse le ultime note inascoltate.
Io non potevo far altro che allearmi alle frane severe,
seguire le battaglie squillanti dello sconosciuto splendore,
questa nostra personale apocalisse,
che durerà il tempo della nostra vita,
lascerà solo qualche brivido,
qualche salvagente fra i dintorni della morte.
Questo mondo umano è un malinteso
in un panorama fantastico, ultime note,
i mostri leccano il miele restante,
i re si domandano ancora perché sull’amore mai sull’odio.
Ma io e lei potevamo leggere le labbra della notte,
che parlava silenziosa. Nella sabbia vicino al mare,
c’era la corona dell’universo che la terra aveva
per la sua magnificenza.
Si, saremmo potuti morire di festosità qui,
nessuno può dire che la terra non ha anima.
Allora non perdemmo tempo con il mondo
che si crea statue di sé, mentre la pelle brucia,
divinità si degnano di parlarci, albe bollono.
Vivemmo rischiando tutto, in questo collasso certo
visto come l’arcobaleno sembrava alieno a confronto
con tutta la storia degli uomini,
perché perdere la vita intera
era meno doloroso, che rinnegare
i fasci di luce dei dorsi degli insetti
e il sole ci accolse in queste ultime note, vivendo noi,
seguendo la vendetta del sole, questo collasso per i tradimenti.
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Mi accorsi che le altre le vedevo solamente
ma lei non la vedevo solamente,
lei era il brillare dell’occhio non il colore.
Io e lei scartammo risposte e domande che il mondo
faceva e non contavano sotto quel cielo,
nessuna autorità aveva la storia sulle dolci bugie
che ci volevamo dire.
Seguendo le frane e lo sconosciuto splendore,
sotto i comandi del sole noi demmo una spinta al tempo,
un tentativo sconosciuto d’amore,
le nostre mani erano più forti delle nazioni, erano salve,
si esibì il vento che sospirava qualcosa di funesto,
come rivelare il perché tanto tragiche sono le storie sacre,
troppa è la bellezza della vita per farne
quello che ne fa l’uomo,
si mosse una farfalla velenosa, un cataclisma filantropo,
una luna soffusa del giorno che apriva
un mantello di condanna,
ma tutto sembrava giusto agli occhi della foresta,
la vendetta del sole si stava per compiere,
i tradimenti non potevano accumulandosi
offuscare la sua luce,
l’uomo con meno grazia voleva dettare legge!
Lei strinse le palpebre irregolari morfologicamente
l’una dall’altra, che erano l’alba e il tramonto per me,
ci guardammo prima della vendetta accadente,
da sempre abbiamo creduto solo in ciò che risorge,
fu più terribile di un omicidio, fu giustizia:
l’alba fece crollare ogni sogno che brillasse meno del sole.
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L’INCOMBERE
DELLA MERAVIGLIA
“Devi incontrare l’incantesimo che io ho visto,
l’eterno non è avaro!”.
La meraviglia è un branco di elefanti inferociti,
non conta se sarai pronto o no, lei va e travolge.
Salgono le acque perché non c’è tempo
se non per il meraviglioso.
Non c’è tempo per piangere e ringraziare,
non c’è tempo, qualcuno ce ne scampi,
per raccontarci del tuo ateismo
mentre le fragole organizzano peripezie.
Salgono le acque perché non c’è tempo
se non per il meraviglioso.
Incontrerai sicuramente ciò che si crede vedano
solo i veggenti, l’orizzonte, spia eterea al servizio
degli umani, lo annunciò.
Devi incontrare l’incantesimo che io ho visto,
l’eterno non è avaro!
È meraviglioso vedere lei che con la castità vi ha vinti
tutti in meno tempo di un angelo,
oppure quando partiamo nel buio determinati
per la causa di un germoglio.
È meraviglioso questo sole che ci ha scelto.
Questo precipizio senza fondo di un turbamento.
Questo creato a cui non si sta dietro.
È meraviglioso vedere la complicità fra un carcere psichiatrico e due innamorati a mare,
mossi sulle pietre delle rive i piedi da sette angeli; complicità in una cometa
di preghiera.
È meraviglioso vedere in primavera, farfalle che mordono e sbranano, lasciando i sogni nudi.
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Fra la meraviglia l’angoscia non sa nuotare,
tutta la malvagità viene fatta ubriacare e cantare come una vecchia spugna,
il diavolo bussa rassegnato,
uccido il disincanto, con acuminate foglie d’erba,
con sputi di noccioli, il dubbio cade come sotto i colpi
di un plotone innocente.
È meraviglioso scoprire che la maledizione che ci avvolge
è la dolce carità che vuole che la salvezza sbocci.
Incombe la meraviglia e terrorizza chi non credeva
in un cielo così imponente.
L’incombere della meraviglia sommerge persino
il dubbio legittimo, affoga chi non crede nella visione.
Salgono le acque perché non c’è tempo
se non per il meraviglioso.
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SIMILI
AGLI ANGELI
“Qualcosa succederà, anche questo tempo
avrà lo shock celestiale”.
Scritta pensando agli uomini migliori di ogni tempo.
Questa luna è come se fosse tenuta da mani che pregano,
nulla vola stanotte, gli stormi hanno milioni di casette.
Io nessuna, vago solitario, sarò forse impazzito
o sto servendo l’eterno in un modo che non mi fa comprendere?
Come se non vedessi la sontuosa spada dell’universo che mi copre le spalle.
Ma ho riconosciuto stanotte, che in una preghiera è raccolto tutto ciò che
sono.
Delizia su delizia, ho visto anche gli occhi carichi di sogni della gente
e le stelle ora mi avvolgono in una morsa che vibrano gli indizi divini,
c’è gente che è nelle grazie del creatore,
c’è gente che è morta per giganti tesori che nessuno può rubare.
Ma questa vita da troppo è una passeggiata a testa bassa, la preghiera di un
emarginato,
ali di diamante si apriranno con rumore assordante,
pioggia di fuoco, fuga sbigottita, a deretano nudo, di demoni,
agguato che dimostri che non è una leggenda la forza dell’amore!
Qualcosa succederà, anche questo tempo
avrà lo shock celestiale,
perché l’amore è l’unica cosa che si trascina da millenni,
si trascina da millenni su questa bambina perseguitata
che è la storia, si, trascineremo fino al paradiso i nostri sogni,
con uomini in croce, no detti a costo della vita
e donne figlie della carità.
I nostri sogni attuali si trascineranno fino al paradiso
ancora una volta.
Si, trovammo notti dove non bastava l’eroismo,
in quelle notti, dove la paura era coperta di lava,
abbiamo lasciato che tutti si preoccupassero del futuro,
giacché lì e ora, c’era da far scoppiare luce a costo di tutto,
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eravamo folli o indemoniati,
avrebbe detto la credenza umana,
ma noi come gli animali sentivamo il temporale prima,
noi leggemmo fra le righe l’universo,
i sogni dovevano far tornare la primavera,
in quelle notti il cuore era ampio come il mare,
come il rivedere casa dopo anni fu la missione d’acciaio,
nati non per il cibo, non per il matrimonio, non per sognare,
nati per lo stesso motivo del sole, non bastava l’eroismo.
Notti dove doveva entrarti nel testa marcia, l’anima.
Quelle notti non bastava l’eroismo, simili agli angeli.
Aspetterò che l’eterno dia un cenno nuovamente,
se vedessi la sua spada non comprenderei, fuggirei la bellezza,
sarò pronto comunque, sarà lui a far partire le arpe
e saremo impiegabili. Lo shock celestiale.
Questa luna è come se fosse tenuta da mani che pregano.
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CIRCA
IL DIVINO
“Circa il divino, posso dire almeno mondo che non sono tuo figlio”.
Scritta, come affronto al parlare superbo di chiunque.
Come se, circa il divino, mettesse in alto il sole,
sul pavimento la speranza e sulle mensole le emozioni,
chi ordina per il risveglio a queste locuste che siamo?
Tu mondo non hai mai fatto niente per nessuno.
Circa il divino, ti dico mondo, che mi è stata più utile
una stella lontanissima che tu.
Tu che sei stato in grado di distruggere città d’incenso,
maledire il paradiso e svegliare i bambini dal sogno
per ottenere le tue misere lussurie.
Il gigante sole ci vede illegittimi del suo prezioso sorgere,
le stelle sono inascoltate, che vadano in altri universi!
Niente per le vertigini di un fanciullo qui,
per chi tutto questo frastuono, per cosa ormai?
Hai costretto l’amore ad essere solo per Santi ed eroi, d’elite.
Gli innocenti, gli unici, intonati con le balene e
i meteoriti. Fammi urlare di gioia, tu, come l’arcobaleno
e godere come i miracoli!
Mondo ti devi prendere il secondo posto,
piccolo discendente di Dio, il primo non sarà mai tuo.
Circa il divino, posso dire almeno mondo che non sono tuo figlio.
Siamo stanchi di farci incoronare come guerrieri
per esorcizzarti, non siamo apostoli! Siamo solo amanti!
Vorremo avere il tempo di seguire la migrazione dei cavalli e non scacciare
i tuoi malauguri.
Questa battaglia, con chi non merita la terra, è satura.
Le menzogne sono state dette tutte.
Il peccato è più conosciuto dell’America.
Tutto dice che te ne sei andato di testa, mondo.
Tutto lo vedi ancora pieno, illuso da un orgasmo deforme.
Si compone come un’ apocalisse, di cui i vecchi direbbero, solo tu non lo
sapevi!
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Dove nessuno darebbe del folle a chi l’aveva chiesta.
C’è qualcosa circa di divino nell’ondeggiare dei rami
che ti sta facendo impazzire da un po’,
sembra una vendetta dei germogli,
come lo stordimento di una luce forte.
È come l’invulnerabilità della bellezza, la spietatezza dell’estasi,
l’impassibilità delle virtù, l’immortalità della via,
si mondo, come se non fosse casa tua ma dei voli dei brividi.
La mia prima idea fu dirti addio mondo
perché mi crebbero gli eventi climatici,
frasi che appartenevano all’invisibile,
materni miscugli di eroismi,
tutto ma non c’eri tu quando firmavo per la mia vita,
mi crebbe circa il divino posso dire.
È circa il divino la ragione per cui i colori ancora sorgono,
tu mondo prenderesti questo merito?
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MIRACOLO
“Era tutto capovolto, inferno indistruttibile, incubi muscolosi”.
Questa poesia è il traboccare della mia anima su un foglio, è un miscuglio di miracolo, sogno, sangue,
e tutta la mia volontà, è successa fra questi palazzi e luce elettrica.
Mandare piccioni viaggiatori ornati di gemme
per diffondere la follia, sfinito nel fango dell’ immondo,
nemmeno i saggi avevano filtri magici per ciò,
ero solo e fuori!
Rifugiato in una follia dove potevo mettermi
ogni corona.
Ma non ho visto un attimo di gioia,
solo nero in trenta mattine e gli accordi lontani di un putto nemmeno
tanto diligente.
Giorni dai colori stonati, dentro l’allucinazione
di una guerra orrenda ma era solo follia ragazza,
era un ricordare male circa l’esistenza della felicità
eppure l’amore sapeva nuotare anche lì,
chissà chi gli ha donato tali possibilità.
Certo che non è niente di sano, morivo di follia
per non vedere un tramonto che ci rinnega.
Per non dire, mi fermo, come tutti!
L’anima trovò nel cielo uno specchio e la luce si fece spazio; per sopravvivere.
Anche qui c’è qualcuno che è morto per me
e ha lasciato lozioni e unguenti.
Mandavo piccioni viaggiatori ornati di gemme
per diffondere la follia, tutti risposero con una
preghiera sudata e senza capire più se l’onnipotenza
può fare ogni cosa. Era tutto capovolto, inferno indistruttibile, incubi muscolosi,
rospi più veloci di me, solo io potevo rimanere senza fiato,
non i nemici senza nemmeno i polmoni,
solo sopportare il dolore e vomitare fuoco era ogni alba
ma l’amore vince la gara anche con l’ invenzione insana,
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con le matasse di sciagure di sapone,
l’amore fende le stregonerie,
l’amore ha la capacità di compiere anche nell’assurdo.
Alla fine di questa storia, io ho vissuto convincendomi
che potessi circumnavigare una spiga di grano
come un moscerino, con una luna feroce ma intima complice
che mi dava terrore come latte per produrre anticorpi,
almeno per non tremare di fronte ai mostri che mi inventavo,
lei fra i pochi calmi per questa storia, conscia, sapiente.
Tutti questi continui suicidi della ragione,
per non accettare il sacrilegio,
per correre con i tormenti dell’umanità
e portarli in un tranello d’acciaio,
volevo vedere chi si stancava prima
se io o qualsiasi oscenità o proprio follia!
In tutto io continuavo a tirare come un cavallo carico
che si lacera la bocca col morso,
un salto cieco verso un fato che non mi avrebbe tradito,
come un sole che non può essere interdetto,
è stato così, si, come andare disarmato,
folle, fidandosi della giustizia lattescente.
Ma niente, come un cadavere portato dai flutti
fu la facoltà di pensare, il sollazzo mentale.
Infatti il merito è dell’amore che ha i suoi poteri
anche in un folle, se sono sopravvissuto.
Anche nella follia l’unica spada è l’amore,
l’unico sollievo per il bruciore della follia,
l’unico che non necessita ali ma ti solleva,
quindi l’unica lingua che si fa intendere fin qui,
l’unico che sa giungere nella desolazione non con palliativi
ma donando il sonno che ti strappa da un inferno senza che ci sia stato
giudizio,
chi poteva resuscitare la realtà?
L’amore giunse, il miracolo calpestò i miei pensieri,
uscii dalla follia con facilità estrema,
come svegliarsi e capire che era un sogno terribile,
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la follia ho visto che è solo coprire la nostra debolezza
di romanzi, oppure l’opposto coprire il nostro chiarore
di più guerre di quante ne esistono,
il miracolo con piede furioso di padre,
come un uomo con una vespa che gira intorno ad una donna,
la cacciò e mi diede una visione vertiginosa
di un sole leggero, mi spiegò tutto, mi lavò la mente,
mi spaventò squisitamente con la pace della realtà, della lucidità,
mi convinse e ridiede la vita facilmente,
come un bambino lascia il giocattolo vecchio per uno nuovo,
rimise il fresco nelle aurore,
i fenicotteri nel cielo e i vermi sotto terra,
mi baciò la fronte in modo da non scordarmi
più di come essere sano, mise filo spinato intorno all’errore.
Tutto qui, quell’abbaglio di potenza vi conosceva tutti.
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PELLEGRINA
INSTANCABILE NEL MIO BUOIO
“il mio amore per lei è l’unico che risponde nel buio”.
Scritta, mentre la vedevo camminare sulle nuvole e venire in soccorso di me,
spinta da preghiere e da giustizia, aveva il passo più svelto di tutta la mia fede
più accecante di tutti i colori mai visti.
L’universo riflette dal di là della morte per me,
la vita sboccia solo d’impossibile,
lei è la sola pellegrina che lascia fede nel mio buio.
Cammino solo per ciò che nemmeno i poeti possono descrivere,
al mare grosso leggo nel pensiero,
lei è l’unica che ha parole in questo buio abissale.
Voglio salvare ciò che è morto,
credo in ciò che nemmeno il futuro conosce,
il mio amore per lei è l’unico che risponde nel buio.
Vivo di ciò che nessun senso ristora,
spero in più di alcuni miracoli,
solo lei nel mio buio.
Ho visto fiori prevedermi il futuro,
ho visto delle cose diciamo impossibili
e ora solo lei riesce a venirmi a trovare nel buio.
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DENTRO
LA LACRIMA DI UN FOLLE
“Hai solo seguito le fughe dei gatti selvatici fregandotene
della pubblicità”.
La follia come la vittoria è una questione di prospettiva, scritta,
dopo essere stato in innumerevoli reparti psichiatrici
e non aver trovato contraddizioni d’anima, contraddizione di fede,
contraddizione che non fa muovere il cuore più di un centimetro nella verità,
la morte era nei reparti psichiatrici e di morte si parlava.
Furono grandi ali di piombo con cui volare,
parlo della follia che ti fa ringraziare lo scorpione,
follia di seguire inumanamente il vano
ed essere certo che sia acqua di sorgente poiché si crede
che l’arcobaleno ti abbia ammiccato.
Oh mio amico che non riesci a uscire dalle tue stesse fatture,
tu che come me sei impazzito per la purezza,
hai creato la tua malattia come la più fantasiosa filatrice,
perché la vita ti poneva domande sbagliate,
ti obbligava a gesti che rinnegavano l’anima.
Tu che ti dici, con complice la magia o le cavallette,
che sono angeli in segreto, ti sussurravi per rincuorarti,
tutto si può compiere! Nessuno credeva che tu avessi vita nelle membra,
vedendoti silente e ingrassato dall’angoscia
ma sentivo la tua voglia di vivere sotto tutto, eccitata ma come un timido,
era pari alla mia voglia di diventare un poeta agli occhi degli elementi!
E in questa purezza pagata con la vita normale
ti sentivi nelle braccia dell’eterno,
sacrificheresti la tua vita per un parola sincera.
Questa è la follia amico che ho visto in te,
cosa dirti viste queste feste senza divertimento,
questa vita che fugge il sole,
leggi queste mie parole e dimmi
se non sei lucido come un angelo,
come una sterna paradisea che sa attraversare il mondo intero senza perdersi,
bianca come la tua coscienza.
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13/01/2011, 20.20
Amico in questa evasione, in questa ebbrezza chiamata follia
guarda bene perché l’eterno amore
ti fa impazzire per cercare tesori,
per non perdere tempo con le adunanze,
ti lascia solo con gli astri.
Spiego tutto amico dicendoti;
se fossi stato folle avresti odiato le stelle
e nessuno che intende l’immenso l’ha mai fatto,
in questa poesia amico vedo che tu mi hai regalato
attimi di lucidità sui misteri dorati.
L’amore non ha bisogno nemmeno della mente,
l’amore ha vita a sé, in chi lo accoglie, hai vissuto amico,
hai solo vissuto, si, il senso è oltre l’altezza della luna di questo!
Tutti nati per far sfiorire le rose! Hai dato onore alle leggende!
Hai solo seguito le fughe dei gatti selvatici fregandotene
della pubblicità.
Fossi stato un poeta amico avrebbero detto
che seguivi le impronte di un unicorno,
le orme di una regina complicatissima,
ma non avrebbero detto che vedi cadaveri che non ci sono
e madonne in lacrime che non piangono,
li vedo anche io amico, li vedo in ogni pesante passo qui.
Io dico che non siamo qui per le parole umane
e le loro gratitudini ma per liberare colombe fluorescenti,
da te liberate amico, liberate, liberate.
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L’ADDIO
“Dille una frase, sole, solo una parlandole che sei vivo
e il mio assassinio sarà tuo per sempre”.
Dopo aver scritto questa poesia ho capito che lei mi ha convinto
di essere come tutti ed avere un anima anch’io.
Nessuna schiera di alte rose rosa rincuora,
il cadere di stelle piangenti in schiere,
le maglie colorate delle fate in ginocchio.
Un addio che ravviva ciò che fu lingue nuove, sacre.
Un addio che fa saltare agli occhi la grandezza che fu,
incontro voluto per la nostra salvezza ma finito, un addio.
Persino le sue ombre di fronte agli altari e i suoi spettri
a pregare insieme ai suoi incubi per lei.
Capivi che era un gioco, una ricreazione,
essere tristi nella vita di fronte a questo addio
che fa posare le armi ai tormenti.
Tradimenti che volevano mettere ghirlande,
ghirlande da far tendere e guardare le nuvole per lei,
le grandi potenze si mossero per salutarla,
il sole, gli alberi e un pezzo di cielo cantarono
e confermarono ciò che erano solo incertezze di polline,
a tutti.
I suoi terrori in lacrime per lei, capivi che era un gioco,
una ricreazione essere tristi nella vita
di fronte all’addio alla sua gioia di vivere,
al suo sguardo di crema, alle sue esclamazioni,
da tutti noi.
La luna mostrava il suo cuore biancastro,
il lago ne cantava, di quel cuore.
Dille una frase, sole, solo una parlandole che sei vivo
e il mio assassinio sarà tuo per sempre.
Nell’addio le ricordavo che ovunque vada
c’è sempre il cielo lassù che ci insegnò
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a cavalcare unicorni di ragione
e a stringere e abbracciare immortalità.
In questo addio senza poter più essere con lei
so che in una preghiera notturna
le prenderò la mano e la condurrò
dove non sarei in grado, affianco.
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PIÙ
DI UNA GROSSA BUGIA NOI
“più lontani di quel gatto morto sui fili elettrici”.
Erano circa le quattro di mattina e la notte mi prendeva in giro
per il mio sentimento per lei, come a volermi inorgoglire nel descriverlo.
Noi due siamo a mille graffi e morsi dalle condanne
e da quello che il mondo crede sia il mondo.
Vediamo come il mondo si è ridotto,
non capisce più perché esistono i colori,
vorrebbe insegnare a volare ai nibbi,
un giardino che nessuno ricorda a che servivano quei fiori,
Venere senza occhi che capiscano la sua bellezza, carestia di luce,
voglie abbracciate a forme inanimate.
Ma per noi gli anni luce sono fili di seta
che si perdono nelle mostruose geometrie sensuali.
Cos’è? Abbiamo l’infinito!
Giuracelo luna che non parli insanamente,
creata la terra solo per essere desideri a flotte.
Siamo via fino ai nascondigli di un brivido impudente.
Come un morto visto vivo solo da noi la concezione
di questo amore.
Noi due lontani più del vino migliore,
più della malattia dal paradiso,
più dei segni zodiacali,
più lontani di quel gatto morto sui fili elettrici,
più dei numeri,
lontani come la fiamma di una candela spenta per un desiderio.
Io e te uniti da un filo di rovi che è la vita,
io e te uniti come scuro contratto fatto con l’ossigeno,
ci nascondevamo dal sole a spinte
mimando una gelosia pericolosa.
Io e te uniti come spine fra le spine senza curar la rosa,
io so che le stelle mormorano a te per dire a me,
e qui sul fondo di due bicchieri che riflettono il giorno di oggi,
tu scalza, sei anche il sapore di quell’ultima goccia rimasta.
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E mentre la notte potente si affaccia attratta da noi
con occhi di balenottera,
come una macchia dorata nel creato noi,
un amore che fa invecchiare madre natura per la preoccupazione, io ti dicevo,
ho una stella col tuo nome in ogni galassia.
In questo bacio sappi che abbiamo già vinto da sempre,
non potranno mai spegnere i crateri che eruttano argento della luna
o far scoppiare il sole,
destino glorioso affibbiato alla terra, abbiamo vinto,
questa è la nostra stellare immortalità.
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IL
CIGNO INFEROCITO
“una croce che è il tuo sigillo con le grandezze,
bacchetta magica della vita”.
Il cigno inferocito rappresenta la bellezza di una vita di glorie umane.
Ho visto il mare fondersi con i miei segreti,
la luna tenere in stupore l’uomo peggiore,
le lucciole appropriarsi e rivendicare tutta la bellezza e la terra.
Ma cigno inferocito era questa notte!
Il panorama consigliava di lasciare la croce per non morire e la sabbia supplicava lo stesso,
ma io non avrei lasciato mai la mia rigogliosa croce,
d’altro canto diresti amico che niente è impossibile
se avessi incrociato l’immenso,
perché questo è il mondo in cui viviamo, l’immenso.
Lo vedi da come sfugge l’orizzonte a cavallo dell’amore.
Una croce che sembra senza senso ma è chiave dell’empireo, è scialuppa
per il prossimo,
una croce che è il tuo sigillo con le grandezze,
bacchetta magica della vita, missione alla stregua del sole.
Grazie alla mia croce riconosco ormai una decina di virtù o fantasmi
che mi parlano di questi oceani e foreste
e cattedrali e piazze, mai sentito solo se abito nel beato,
dove i gabbiani completano la rima.
Tutto il mondo ha visto la musa ridotta in croce,
chi era quella musa, forse la possibilità paradisiaca?
Chi era quell’eterea parente? Ragione schiacciante!
Passioni brillano di motivazioni immortali,
un divino pensiero ci assiste nel salvarci dalla follia dell’esistere.
No non lascerò la mia croce,
qualcosa pianificano per me le potenze più alte,
sarebbe morire di già lasciare la croce,
non conoscere la nostra fiamma,
l’ universo una finzione,
non divorziare con le aurore,
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non saperne più niente delle chimere lanciate in ricognizione sarebbe,
sarebbe pensare solo illusioni,
recidere la corda che tiene su la luna,
spegnere i propri poteri, immaginare invano.
Oltrepassiamo quest’agonia per discutere con le divinità,
amicizia possibile al sognatore.
Cigno inferocito era questa notte, la sua bellezza era falsa,
fatta di piaceri che non appartenevano a questo mondo ma alla croce.
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COSCIENZA
DELL’ASTRATTO
“Ogni granello di sabbia è invasato d’ infinito!”.
Scritta, a chi non si fa vedere, come un amico più grande,
che ci obbliga a vincere la paura del buio stando nascosto vicino a noi.
Sotto i tavolini ruotano le costellazioni,
i miei milioni d’amori trovano riposo
solo confusi per pazzia,
come ti conosciamo bene luna,
impossibile spiegare anche questo.
Liberaci oscurità, oblio, dal vile senza desiderio,
liberaci mal d’aurora dal desiderio vile,
facci tendere al riconoscimento dei nostri occhi,
oh Dio a nulla varrà il mondo intero
se non giuri di aver parlato ad un unicorno.
Ogni granello di sabbia è invasato d’ infinito!
Ogni raggio di luce è una fata.
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PASSAVA
LO STORMO
“Abbiamo rotto il vetro antipanico che copriva l’arcobaleno”.
Una sfida con chi è degno amico, degno più di molti solo di guardarci negli occhi
a me e lei, di solo emettere suoni che vengono alle nostre orecchie,
degno di vivere dentro la nostra visuale.
Passava lo stormo credendo di avere l’esclusiva sull’incanto,
stormi di minuscoli uccelli di carbone
volano sopra il mio morir per te in campi colorati e mostruosi.
Ma stormo, lei è la cantina dove ammucchiare
i miei vagheggiamenti, io e lei abbiamo pellegrinato
cercando di salvarci dall’intero universo,
come mago e strega voluti al rogo perché più belli di loro,
perché il genio ti lascia in pasto alla coscienza,
perché la bellezza ricorda l’austerità della notte.
Ci siamo presi ogni rischio armati solo della chioma al vento,
combattere tutto per qualcosa
di meno afferrabile del fumo della mia sigaretta,
per niente di contrabbandabile, per niente di utile,
solo per far scomparire un coniglio di fronte ad un bambino.
Ci siamo amati talmente tanto da affogare
in un mare viola e svegliarci fra gelsomini chiassosi.
Un amore che sconfina nell’elettricità del fango, nel fuoco,
accettati ci siamo spinti fra i conclavi delle stelle,
nei riti occulti dei fiori!
Se si voleva il salto dalla luna o una preghiera
nell’ultimo santuario del mondo, eravamo lì pronti.
Abbiamo parlato con i sospiri.
Abbiamo rotto il vetro antipanico che copriva l’arcobaleno,
abbiamo visto la morte prima che l’uomo
le facesse il lifting e il seno.
Abbiamo visto le stelle che sono nei rispettivi occhi.
Un amore lasciato a cogliere conchiglie
per la sua bellezza dal destino.
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Quindi quando passate stormi ricordate che
ogni uccello può essere una volta
che abbiamo fatto tremare saturno.
Non ci fermiamo amore nemmeno quando
tutte le certezze saranno plastica al fuoco,
se ogni stella dirà ogni nome ma non il nostro,
se il pianto non basterà a buttar via il dolore,
se crederemo di non poter più essere perdonati,
avremo resurrezioni da giocarci
e divinità da rintracciare per mostrarli le nostre giustificazioni
che finalmente qualcun’altro reputerà logiche.
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L’ARTE
DI CORTEGGIAMENTO DI UN PRODIGIO
“è il ritmo arcano della vita e non dei proverbi umani”.
Appena compare il dolore Dio non c’è, come appena compaiono
due tette rotonde Dio non c’è e lui si prende i suoi momenti
con noi rendendoci in fin di vita affinché riconosciamo la vera salvezza,
il miracolo è l’anima non la felicità.
Non so se lune verranno a elevarmi
come licantropo di compassione,
perché dove sono ora i miei giochi vanitosi?
Dov’è il mio nascondiglio ozioso, pieno di bigiotterie!?
Non so se la gioia avrà di nuovo da sussurrarmi
come una madre paladina,
mi credevo un angelo e mi ero sistemato bene
ma ora la gioia non è in nemmeno una cellula.
Che io stia vivendo non di virtù, che ci sia una nuova missione?
Non so neanche se le creature che nessuno crede esistano
mi cuciranno ancora le ferite del gioco,
forse tutto questo patimento è l’accorgersi delle mie tentazioni?
Non so se sotto le piume delle aquile avrò
dove ubriacarmi ancora.
I miei giochi, il mio nascondiglio, quale missione?
Piccole tentazioni che credevo non mi avrebbero
escluso dalle grazie…
Perdere tutto vorrà dire rifare il passo nel vuoto,
dove solo il sentimento leggerissimo non sprofonda,
come lasciarmi l’anima e basta, l’anima nuda?
Come una vocazione che ti viene a cercare sfrontata!
Che mi stia accadendo un prodigio?
Giunge la missione di miele che si muove fra le scintille?
Guardo lontanissimo questa notte d’oro tremante,
al banchetto col destino, con la vita.
Quattromila stelle mi dissero altrettanti miracoli in altri tempi,
ma ora, tuttavia, che pendo dagli occhi di un cieco
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ed elemosino dagli zingari e sono come vinto da una beatitudine apparentemente malvagia,
rimugino come non avessi più memoria del soprannaturale:
tutto perduto fra le mie nere vene senza fede!?
È difficile credere che luna risponda alla lettera mandata.
Vedo il prodigio ma è difficile continuare anche
a credere che il sole faccia così magnifica luce qui, adesso.
Avrà un disegno il cielo davvero?
Avrò di nuovo la ricompensa di aver seguito la fenice nel fuoco?
La giustizia della battaglia assolata?
Riuscirò a ridirmi angelo?
La compassione mi rifarà giocare col firmamento?
Le creature credute inesistenti, faranno ancora a gara con me,
per intuire la provenienza della prossima folata?
Questa notte ho cercato, al solito posto il mio gufo,
ho buttato legna sul solito fuoco che si crede follia,
nell’unico momento in cui avrei lasciato il mio orgoglio
e chiesto su ginocchia di lealtà un prodigio, venne!
Certo riuscirò a ridirmi angelo!
Nel fondo dell’oblio c’è il cibo per l’ebbrezza della tua missione,
vista fra sogni e lacrime che lasciano scontato il paradiso,
questo risvegliarmi nel deserto o in un campo gelato
è come una strenna che combatte per noi,
per riconsegnarci solo al sole,
come un colpo che nessuno sa dare così preciso al cuore,
nel fondo di questa avara battaglia che compivo per continuare a crogiolarmi,
c’è la veggenza che giunge prima che sia troppo tardi,
nel fondo di questa incoscienza d’eterno, in questo fondo e disperato dolore
c’è l’impeto dell’onda d’urto di un prodigio!
Era tutto qui!
Stregonerie bianche che rendono appositamente il sole nero,
mare imbavagliato, cuore nemico, ferita pigra nel chiudersi,
fantasia puzzolente: stregoneria evocata dai nostri sogni, che come madri,
facendoci lacrimare, ci tirano dai capelli,
di fronte alla bellezza della nostra anima lasciata nel cassetto.
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Come un veliero che imbarca acqua
ed è portato dove vuole la tragedia
io sono portato al sacro, vinto dalla grazia,
dove un giorno dimenticato sussurrai di voler essere al sole!
Pertanto nessuna lamentazione,
questo tormento è la muta di un serpente,
è il ritmo arcano della vita e non dei proverbi umani,
si l’onda d’urto di un prodigio,
la magia che crepa il cuore dalla grandezza,
è solo l’eco dei fumi che ci diedero vinti mille vittorie fa.
Come caduti nelle spietate grazie dell’infinito
che ci chiama con echi assordanti, dolorosi.
Questa è la storia di un miracolo che entra in te
e brucia come acido e non è di cuscini di piume
e profumi di margherite,
questa è la breve storia dell’arte di corteggiamento
di un prodigio.
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IL
SILENZIO
“la loro anima non sente più bestemmie”.
Scritta, mentre lei respirava all’alba vicino a me.
Il silenzio è il diamante che parla di bellezza,
il monte alleato contro il mostro,
del silenzio è tutto, l’unico che ha trovato parole.
Bomba di coscienza, latte dal seno,
con più grazia di una donna,
ci rimette l’anima nel petto, affezionati a lui,
a cosa, al nulla? All’unico che sa parlare
del coltello nel cuore.
Il silenzio è la pace dell’immortale colore,
la culla dove anche il proprio cuore che batte
distrarrebbe dalla sublime acquolina,
il consiglio perfetto, lingua scelta dalle margherite,
farfalle che nuotano nel viola,
qualunque cosa gli chiedi lui la conosce,
nel silenzio tremi, ansimi, hai caldo nel petto
come se ti ringhiasse una tigre di soprannaturalità,
è il primo maestro di fede perché non è follia quando mi parli del silenzio.
Treno che ti centra in pieno, il rumore del mare è silenzio,
il tuono è silenzio, il canto è silenzio,
arcobaleno perenne, gatto in equilibrio sul sacro,
la risposta di chi ti ama davvero.
Al silenzio dicono che sia rasserenante:
il motivo è che la loro anima non sente più bestemmie.
Il silenzio piega il sole per l’angelica risposta,
immensi segreti sono cibo per polli nel silenzio.
Silenzio, cattedrale popolata dalla realtà!
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Nel silenzio tutto ti porta nel fondo del brivido come piombo,
tutto è benedetto, noi riconosciamo la luce,
siamo funamboli di carità, maghi d’amore,
giocolieri con i miracoli, leoni di fantasia, divinità,
si, nel silenzio non siamo un prodotto ma anima nuda.
Nessuno sa dire la verità come il silenzio,
l’unico che ha trovato parole
che non dissacrino le nostre guance.
fine
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S OMMARIO
Introduzione. Tra incanto e disincanto, di Francesco Colizzi
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Poesie
Il mare
Pensieri di viaggio
I poeti
Lontano nei pensieri di una bambina
Notti magnanime
I nostri baci
Giocando con le armi degli angeli
Imbrattati del plasma di un sogno
Riprendere la magia
L’albatros
La fantasia
Pace
Sogno tossico
Danza con l’aldilà
Denti stretti
L’intelletto
Notte mai raccontata
Affidamento
Qui
Miraggio
Sognatrice al bar di confine
Romanza di una sera
Il girovagare di una musa
Senza santi ed eroi
Un ricordo di lei
Invocazione alla luna
Dolce idea
7
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Notte stellata
Nell’ossigeno
Naufragare senza maledizioni
La magia
Lontani
Tragedia
Un accenno contemporaneo
Vita rossa
Unghie e fantasie
Io e lei
Ragazzo il miracolo è abbordabile
Fuoco d’ebbrezza
Rinnegazione
Incontro con un serafino
Rive
Fiori
La stella
Mi manchi
Suggerimento dall’aldilà
Tutto invano intorno all’amore
Amore inconsolabile
Ormai legittimato dal vento
Sillabe su un turbamento
L’ombra di un amore
L’incompreso
Segreto richiamo
L’onnipotenza di un idea notturna
Istantanea dell’invisibile
Non c’è tempo per la propria gloria
Non di sogni contaminati
Testamento al mondo
L’ombra
Lettera per l’inizio di una notte
L’alba
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59
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Una rivelazione
Ragione celeste
Un sorso di resurrezione
Due fanciulle
Il disincanto
Notte privata
Gioire dell’aria
Amanti in cerca di Gerusalemme
Ultime note
L’incombere della meraviglia
Simili agli angeli
Circa il divino
Miracolo
Pellegrina instancabile nel mio buio
Dentro la lacrima di un folle
L’addio
Più di una grossa bugia noi
Il cigno inferocito
Coscienza dell’astratto
Passava lo stormo
L’arte di corteggiamento di un prodigio
Il silenzio
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