Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)

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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Problemi, prospettive, proposte
Società Italiana di Ricerca Pediatrica
SIRP Onlus
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Indice
Prefazione
G. Manfredi
Presentazione del Libro bianco
G. Andria
LA RICERCA DI INTERESSE PEDIATRICO: PRESENTE E FUTURO
Lo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia
G. Ranucci, G. Andria
La situazione "demografica" della pediatria di territorio, della pediatria ospedaliera,
della pediatria accademica e le possibili linee di tendenza
S. Bertelloni, P. Becherucci, A. Chiara, C. Fusco, M. Messina, A. Ravelli, M.E. Street
Il ruolo delle Società scientifiche pediatriche nella promozione della ricerca clinica
G. Corsello
La selezione di giovani interessati alla ricerca clinica nella Neuropsichiatria infantile
G. Cioni
Il reclutamento dei ricercatori clinici negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
A. Ravelli, A. Aiuti
LA FORMAZIONE PER UNA CARRIERA DI RICERCA CLINICA:
ESPERIENZE E PROPOSTE
Rapporti tra la ricerca specialistica in pediatria e la ricerca specialistica
nella medicina dell’adulto
F. Chiarelli, L. Comegna, S. Franchini
Cambiamenti recenti e proposte per l'avvio alla ricerca clinica degli studenti di Medicina
C. Giannini, M.Ruggieri, A. Mohn
Dalla Specializzazione alla ricerca: il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca e la
proposta di Percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria
G. Saggese, G. Bona, L. Maiuri, A. Monzani
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
IL RECLUTAMENTO DEI GIOVANI MEDICIPER UNA CARRIERA ACCADEMICA
Reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica
C. Pignata, E. Cirillo, G. Giardino
L’esperienza dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per i Settori Scientifico-Disciplinari pediatrici
A. Biondi, P. Paolucci
INIZIATIVE DELLA SIRP
I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più
difficile
M. Mennini, T. Alterio, A. Bon, P. Berlese, F. Bosetti, L. De Martino, V. Insinga, R. Raschetti,
A. Di Mauro, D. Vecchio
Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori
R. Badolato
TESTIMONIANZE
Il punto di vista di chi ha deciso “di rischiare” (1)
L. Marcovecchio
Il punto di vista di chi ha deciso “di rischiare” (2)
A. Giannattasio
L’esperienza di chi ha seguito la sua vocazione...all’estero
L. Titomanlio
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
A. Rubino
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
AUTORI
Alessandro Aiuti
Ordinario di Pediatria, Direttore dell’U.O di Pediatria Immunoematologica, Ospedale San Raffaele,
Milano
Tommaso Alterio
Direttivo e Gruppo di Lavoro Ricerca in Pediatria, Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Generoso Andria
Presidente Società Italiana Ricerca Pediatrica, Emerito di Pediatria, Università Federico II, Napoli
Raffaele Badolato
Associato di Pediatria, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi di
Brescia
Paolo Becherucci
Pediatra di Famiglia, Vice-Presidente SICUPP, Firenze
Paola Berlese
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Silvano Bertelloni
UO Pediatria Universitaria , Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa
Andrea Biondi
Direttore della Clinica Pediatrica e Pro-Rettore per l’Internazionalizzazione,
Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano
Andrea Bon
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Gianni Bona
Direttore della Clinica Pediatrica, Università del Piemonte Orientale, Novara
Francesca Bosetti
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Alberto Chiara
Direttore UO Pediatria e Nido dell'Ospedale Civile di Voghera
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Francesco Chiarelli
Direttore della Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti
Giovanni Cioni
Ordinario di Neuropsichiatria infantile e Direttore della Scuola di Specializzazione di
Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa
Emilia Cirillo
Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali – Sezione di Pediatria,
Università degli Studi di Napoli Federico II
Laura Comegna
Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti
Giovanni Corsello
Presidente Società Italiana di Pediatria e Federazione Società Scientifiche e Associazioni dell’Area
Pediatrica, Direttore del Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno-Infantile
“G. D’Alessandro”, Palermo
Lucia De Martino
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Antonio Di Mauro
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Simone Franchini
Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti
Carlo Fusco
Direttore Struttura Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Arciospedale di Santa Maria Nuova,
Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia
Antonietta Giannattasio
Ricercatore universitario di Pediatria, Università Federico II, Napoli
Cosimo Giannini
Dirigente medico, Dipartimento di Pediatria, Università G. D’Annunzio, Chieti
Giuliana Giardino
Specializzanda in Pediatria e Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali,
Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II
Vincenzo Insinga
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Mario Messina
Ordinario, Direttore Clinica Chirurgica Pediatrica, Ospedale Santa Maria alle Scotte, Azienda
Ospedaliero Universitaria Senese, Siena
Luigi Maiuri
Associato di Pediatria, Università del Piemonte Orientale, Novara
Gaetano Manfredi
Presidente Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Rettore Università Federico II, Napoli
Loredana Maria Marcovecchio
Ricercatore universitario di Pediatria, Clinica Pediatrica Università G. D’Annunzio, Chieti
Maurizio Mennini
Gruppo di Lavoro Ricerca in Pediatria, Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
Angelika Anna Mohn
Associato di Pediatria, Clinica Pediatrica Università G. D’Annunzio, Chieti
Alice Monzani
Dottoranda di Ricerca in Scienze e Biotecnologie Mediche, Università del Piemonte Orientale
Paolo Paolucci
Ordinario di Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia, Membro Comitato Pediatrico
dell'EMA
Massimo Pettoello-Mantovani
Ordinario di Pediatria, Università di Foggia
Paolo Petralia
Direttore Generale Istituto Gaslini, Genova, Presidente Associazione Ospedali Pediatrici Italiani
Claudio Pignata
Associato di Pediatria, Responsabile UOC Immunologia pediatrica, Università Federico II, Napoli
Giusy Ranucci
Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria,
Università Federico II, Napoli
Roberto Raschetti
Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Angelo Ravelli
Ordinario di Pediatria, Responsabile UOSD Centro di Reumatologia, IRCCS Istituto Giannina
Gaslini, Genova
Armido Rubino
Emerito di Pediatria, Università Federico II, Napoli
Martino Ruggieri
Ordinario di Pediatria, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Pediatria e
Neuropsichiatria Infantile Università di Catania
Giuseppe Saggese
Presidente del Collegio Professori Universitari di Pediatria e della Conferenza Direttori Scuole di
Specializzazione in Pediatria, Università di Pisa
Maria Elisabeth Street
Dirigente medico, Consigliere SIEDP, Programma Interaziendale di Endocrinologia Pediatrica di
Reggio Emilia, S.C. Pediatria, IRCCS- Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
Luigi Titomanlio
Ordinario di Pediatria, Université Sorbonne Paris Cité- Direttore Urgenze Pediatriche,
Ospedale Robert Debré, Parigi, Francia
Davide Vecchio
Presidente Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria, Università degli Studi di Palermo
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Prefazione
Gaetano Manfredi
In preparazione
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Presentazione del Libro bianco
Generoso Andria
“La qualità dell’assistenza sanitaria in un Paese è direttamente correlata alla qualità della ricerca in
campo clinico.” Questa affermazione nella sua ovvietà rischierebbe di essere banale, se non fosse
del tutto vera. La Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP) intende, perciò, attirare l’attenzione
della comunità pediatrica nazionale sulle problematiche relative al presente e al futuro dell’attività
scientifica in campo clinico, che non riguarda peraltro solo il settore pediatrico, ma più in generale
il mondo della medicina. Per questo motivo l’aggettivo “pediatrica” nel titolo di questo Libro
bianco è messo tra parentesi.
Non a caso il Rettore Gaetano Manfredi, Presidente della Conferenza dei Rettori, ci aggiorna con
l’autorevolezza della sua carica istituzionale, sulla problematica più generale del reclutamento dei
giovani nell’università e nelle carriere accademiche, che non riguarda soltanto la Scuola di
Medicina, anche se essa presenta caratteristiche particolari, anzitutto per l’età più avanzata, rispetto
ad altre (ex) Facoltà, con cui si consegue un titolo professionalizzante come la specializzazione.
Il presente Libro bianco rappresenta la prima iniziativa relativa all’ impegno della SIRP su questo
tema. Si darà per scontato che in Italia si investe poco in ricerca rispetto al Prodotto Interno Lordo,
che il numero degli addetti alla ricerca è inferiore a quello di paesi con simili standard economici e
sociali, che i progetti vengono spesso finanziati senza rispettare criteri di qualità, che le carriere
accademiche sono spesso basate su valutazioni non meritocratiche. Il focus del Libro bianco sarà
piuttosto sulla difficoltà di reclutamento di giovani medici motivati a una carriera nella ricerca
clinica, senza i quali le prospettive per la qualità anche dell’assistenza non possono che essere
preoccupanti.
In campo internazionale è stata da tempo segnalata la progressiva diminuzione dei cosiddetti
“Physician Scientists”, “Physician Investigators” “Clinician Scientists” o “Clinical Investigators”,
cioè medici che abbiano avuto nel corso della loro formazione un’esperienza di ricerca,
eventualmente anche di base, e siano quindi in grado di coordinare gruppi di ricerca clinica, con il
vantaggio, rispetto a PhD o a laureati di area biologica o biotecnologica, di una preparazione ed
esperienza anche derivata dall’esercizio professionale con pazienti. Per definire la progressiva
penuria di Physician Scientist si sono usati termini come “endagered species” (Wyngaarden, 1979),
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
“the vanishing physician scientist” (Gordon, 2012), “the vulnerable physician scientist (Mirmira,
2014) e l’allarme per questa tendenziale scomparsa si ritrova, a partire dagli anni ‘80, in articoli
della letteratura internazionale di vari paesi, dagli Stati Uniti (Wyngaarden, 1979; Goldstein e
Brown, 1997; Rosenberg, 1999; Andriole et al, 2008; Brenner, 2012; Daniels, 2015; Milewicz et al.,
2015) al Canada (Ballios e Rosenblum , 2014), dalla Germania (Bossé et al., 2011), al Regno Unito
(Morel e Ross, 2014), dalla Francia (Corvol, 2015) al Giappone (Sakushima et al., 2015), da
Singapore (Huang e Yong, 2013) al Kenya (Daniels et al., 2015). È strano che analoghe
considerazioni non siano mai state espresse in Italia e non si ritrovino in nessuna pubblicazione
rintracciabile su Pub Med con la stringa “Physician scientist AND Italy”. Si deve però sottolineare,
che già nel 2003 la Commissione Formazione e Ricerca della SIP aveva sollevato il problema e
lanciata per la prima volta l’idea di un percorso congiunto tra laurea e dottorato di ricerca, di fatto
recepito successivamente nella legge di riforma universitaria 240/2010, per le stesse motivazioni
riproposte oggi con questo Libro bianco.
È stato in effetti stimato che a livello internazionale dal 1980 la percentuale media di Physician
Scientist dedicati alla ricerca è scesa dal 5% al 1.5% (Dickler et al., 2007). Pertanto, nonostante i
medici in formazione risultino in aumento, il numero assoluto di medici-scienziati è in declino ed in
progressivo invecchiamento. Infatti la percentuale di budget per la ricerca dell’ NIH per laureati in
Medicina oltre i 50 anni di età è passata dal 25% nel 1980 a più del 50% nel 2000 (Zemlo et al.,
2000). I finanziamenti per progetti di ricerca clinici sono inoltre risultati in forte calo rispetto ai
finanziamenti per le ricerche non cliniche, così che i Physician Scientist hanno sperimentato negli
ultimi anni un alto tasso di fallimenti per le loro application (Dickler et al., 2007).
Se il problema esiste per la ricerca clinica in generale, le stesse considerazioni sono applicabili alla
ricerca clinica pediatrica (Pearce, 2006; Cornfield et al., 2013; Rubenstein e Kreindler., 2014;
Nichols e Lister, 2015). L’American Academy of Pediatrics ha denunciato che negli ultimi 30 anni,
accanto al depauperamento delle risorse dedicate alla ricerca pediatrica, si è assistito ad un
decremento netto della quota di “Pediatrician Scientist” (Cornfield et al., 2014).
Anche se una quantità considerevole di ricerca sulla salute infantile è stata condotta nei reparti ed
ospedali pediatrici, molto è stato fatto da non pediatri. Questo vale in Europa, ma anche negli Stati
Uniti. Basti pensare che meno della metà delle ricerche pediatriche finanziate dall’NIH sono state
condotte all'interno degli ospedali pediatrici (Boat, 2007). Inoltre anche nei reparti pediatrici, gran
parte della ricerca sulla salute dei bambini viene svolta da PhD non clinici; per esempio,
all’ospedale dei bambini di Cincinnati, il 35% dei ricercatori non sono clinici (Boat, 2007). Trovare
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un miglior equilibrio nei reparti pediatrici tra ricercatori clinici e non clinici è una sfida complessa
che merita una seria e prospettica riflessione, considerato che la metodologia scientifica, la capacità
tecnica, e l’intuito traslazionale sono tutti elementi importanti di un’unità di ricerca produttiva. Nei
reparti pediatrici che fanno ricerca, mettere in contatto i clinici con i ricercatori di base può essere il
modo migliore per accedere al know-how di ricerca ed alla tecnologia necessaria, sempre
preservando il ruolo insostituibile del ricercatore pediatra.
In una prima versione di questo progetto avevamo deciso di usare l’espressione “apoptosi” riferita
alla ricerca clinica (pediatrica) proprio per sottolineare la tendenza a una “morte programmata”, in
assenza di una presa di coscienza delle criticità e di una promozione di iniziative valide per avviare
soluzioni concrete. Ci è poi sembrato più costruttivo partire da una valutazione “diagnostica” sui
nodi che si stanno creando nel campo della ricerca clinica, per arrivare a possibili proposte
“terapeutiche”.
Qual è dunque la situazione della ricerca clinica di interesse pediatrico in Italia? I dati mostrati da
Ranucci e Andria, derivati da una indagine sulle pubblicazioni di interesse pediatrico degli ultimi
anni, mostrano che il contributo dei pediatri è incoraggiante e il loro impatto, non solo in termini
quantitativi ma anche in termini qualitativi, è comparabile, se non superiore, a quello riscontrato
con la stessa metodologia in altre nazioni europee con simili parametri economici e culturali, ma
maggiori investimenti nell’ambito della ricerca.
La ricerca di interesse pediatrico può essere svolta non solo in ambito accademico o negli Istituti di
Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) ma anche da parte della pediatria ospedaliera o
della pediatria del territorio. A questo proposito risulta interessante il contributo di Bertelloni e
collaboratori, che hanno valutato la situazione “demografica” nelle varie componenti della pediatria
italiana, per capire quali sono le conseguenze che una generale tendenza verso la diminuzione del
numero dei pediatri potrà avere sulla ricerca clinica. Ovviamente se l’ingresso di giovani specialisti
tende a ridursi, questo fenomeno non può che incidere negativamente anche sul reclutamento di
pediatri che vogliano intraprendere una carriera in ricerca.
Per restare alla “fotografia” del contesto attuale, Corsello riferisce sulla recente costituzione di una
Federazione delle principali società scientifiche e di altre associazioni pediatriche nella FIARPED,
con la finalità prevalente di garantire al bambino un’assistenza e una legislazione che tengano
maggiormente conto dei suoi bisogni e dei suoi diritti, dalla nascita sino a tutta l’età evolutiva. Di
questa Federazione fa parte anche la SIRP, che ha una vocazione specifica alla promozione della
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
ricerca ed è consapevole che il punto di vista delle società scientifiche, associazioni e sindacati
pediatrici è di grande importanza per capire come è possibile orientare verso la ricerca giovani
meritevoli e motivati, che certamente avrebbero sbocchi occupazionali più immediati nella pediatria
del territorio o ospedaliera.
Nella ricerca clinica dell’area pediatrica un ruolo fondamentale è svolto dalla Neuropsichiatria
dell’infanzia e adolescenza, una specialità trasversale, che è particolarmente orientata nel formare i
suoi specialisti per le cure primarie, secondarie e di alta specialità. Cioni illustra il contributo delle
neuroscienze, comprese quelle dell’età evolutiva, nel progresso delle conoscenze e tratta il tema
della selezione di giovani interessati alla ricerca clinica in questa importante specialità per il
progresso delle conoscenze pediatriche.
Ravelli e coll. relazionano su quanto si è realizzato o si intende realizzare per l’attrazione di giovani
pediatri verso la ricerca clinica negli Istituti Pediatrici di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico
(IRCCS) e in altri nosocomi che aderiscono alla Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani
(AOPI).
È noto che una buona attività di ricerca clinica è svolta nell’ambito di settori specialistici della
pediatria. Da qui sorge il problema del rapporto tra la ricerca specialistica per le patologie dei vari
organi e apparati nell’età evolutiva e la ricerca specialistica corrispondente della medicina
dell’adulto. Di questo argomento si occupano Chiarelli e collaboratori, commentando da un lato la
crescente attenzione dei pediatri verso il mondo della medicina dell’adulto, per esempio per quanto
riguarda le riviste su cui i risultati scientifici vengono pubblicati, dall’altro il rischio che le
specialità pediatriche possano perdere, anche nel campo dell’assistenza, il ruolo preminente che a
loro compete, per garantire al bambino e all’adolescente personale e ambienti dedicati alle esigenze
dell'età evolutiva.
Dopo questa panoramica sulla situazione e sul contesto in cui si svolge oggi in Italia la ricerca
clinica pediatrica, seguono vari contributi che delineano lo stato dell’arte nella formazione per una
carriera scientifica di pediatri. La preoccupazione e il grido d'allarme che la SIRP vuole sollevare
riguarda recenti cambiamenti nelle normative, che si riferiscono al curriculum degli studi e al
percorso verso la carriera accademica.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Uno dei problemi che si intende segnalare è il ritardo, rispetto al passato, di un’esperienza anche
solo iniziale nel campo della ricerca clinica, che potrebbe far sorgere una “vocazione” per l’attività
scientifica in giovani motivati.
Nuove recenti norme, soprattutto per l'accesso alle Scuole di specializzazione, hanno di fatto
eliminato lo stimolo a impegnarsi in un lavoro di ricerca durante il corso di laurea: infatti la tesi di
laurea, comunque un "unicum" nel panorama internazionale, non ha un reale valore per il voto di
laurea e neanche per l'ammissione alla Scuola di specializzazione. È quindi difficile, oggi molto più
che in passato, coinvolgere e impegnare uno studente di Medicina in un progetto scientifico.
L'incertezza nella sede finale della Scuola di specializzazione, a seguito della selezione su base
nazionale, spinge il giovane laureato a rimandare una eventuale collaborazione con un tutor per un
lavoro di ricerca. Poi, almeno per i primi tre anni della Scuola di specializzazione, lo specializzando
non riesce a garantire continuità in una collaborazione scientifica, data la giusta necessità di
rotazioni tra le varie specialità, come previsto dal percorso formativo. Nell'ultimo biennio
specialistico ci sarebbe una maggiore possibilità di attività di ricerca per un giovane motivato,
soprattutto se questa attività fosse collegata a un programma di ammissione al dottorato di ricerca,
utilizzando la norma prevista dalla riforma universitaria introdotta dalla legge 240/2010
dell'accorciamento di un anno del dottorato attraverso una sovrapposizione col corso di
specializzazione. Purtroppo per il dottorato di ricerca l'esperienza è davvero deludente. I dottorati in
scienze pediatriche sono di fatto scomparsi e i giovani pediatri possono ancora accedere a
programmi di dottorato dalle denominazioni molto vaste, che certo non garantiscono più nel
curriculum la caratterizzazione pediatrica del titolo. L'elemento più "scandaloso" è, tuttavia, la
modalità di ammissione al corso di dottorato, che avviene per aree disciplinari molto eterogenee, in
cui teoricamente un pediatra che supera la prova di ammissione potrebbe essere indirizzato a fare
ricerca in un campo completamente diverso dalla pediatria. Poiché questo di fatto non avviene mai,
sorge il fondato sospetto che a monte della prova esista una "lottizzazione" nelle quote dei posti
disponibili per aree scientifico-disciplinari. Non è difficile immaginare quanto sia demotivante per
un giovane scoprire che, per definizione, nell’esame di ammissione, nonostante la prova sia unica,
non vengano scelti i migliori in assoluto, ma i migliori (almeno si spera) per i vari settori afferenti
alla Scuola di dottorato.
Gli interventi di Giannini e collaboratori, e di Saggese e Bona coi loro collaboratori
approfondiscono che cosa è cambiato negli ultimi tempi, rispettivamente, nel corso di laurea in
Medicina (per esempio per la preparazione della tesi di laurea) e nel nuovo ordinamento delle
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Scuole di specializzazione in Pediatria e Neuropsichiatria infantile per quanto riguarda spazi
possibili da dedicare alla formazione in ricerca clinica. Entrambi i capitoli prospettano anche
opportunità per la formazione scientifica che potrebbero essere offerte, da nuovi curricula,
rispettivamente, del tipo MD-PhD del Corso di laurea in Medicina o da un percorso di Alta
formazione post-specializzazione.
Di fatto anche giovani meritevoli e motivati a perseguire un percorso formativo e di carriera di tipo
scientifico, intorno ai 30-32 anni di età, si trovano di fronte a una scelta di vita che per vari motivi
di tipo pratico, ancora più pressanti per il sesso femminile, li orienta verso uno sbocco professionale
in campo ospedaliero o nella pediatria di famiglia.
Pignata e collaboratori illustrano le problematiche relative al reclutamento nell’Università di
giovani ricercatori dell’area pediatrica e soprattutto denunciano errori gravi che l’Università non
può più consentire, proponendo misure ritenute utili per migliorare il reclutamento verso una
carriera scientifica.
In concreto che cosa offre l’università dopo la riforma della legge 240/2010? Considerando che una
decisione verso una carriera accademica non può essere presa così tardi, è evidente che i giovani
medici, già specialisti, avvertono il rischio di “accettare” un posto di ricercatore a tempo
determinato di tipo A per cinque anni, senza sapere se potranno poi proseguire con le posizioni
individuate dalla riforma universitaria con un posto di ricercatore di tipo B. Infatti il passaggio
successivo a quest’ultimo, cioè un posto di professore associato, è attualmente condizionato dal
superamento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN).
Biondi e Paolucci, con l’esperienza maturata come commissari della prima e seconda tornata
dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per la macroarea di Pediatria e Neuropsichiatria infantile
espongono interessanti riflessioni e formulano alcune proposte di cambiamento.
Per superare la scarsa attrattività di giovani motivati verso la carriera scientifica e accademica
occorre, quindi, attuare modifiche normative che riguardano il Corso di laurea, le Scuole di
specializzazione, i master, il dottorato di ricerca, i concorsi per ricercatori universitari a tempo
determinato e per professori associati.
La SIRP è consapevole del fatto che il suo ruolo può essere soltanto quello di portavoce di una
difficoltà che si avverte tra i giovani pediatri o più in generale tra i giovani medici specialisti.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Illustrativo di questo disagio è il risultato di un'indagine promossa dalla SIRP tra i giovani medici e
riassunta nel contributo di Mennini con i suoi colleghi dell'Osservatorio Nazionale degli
Specializzandi in Pediatria (ONSP), da cui è possibile ricavare indicazioni sulle motivazioni che
scoraggiano candidati interessati alla ricerca dal proseguire su questa strada, ma anche sulle
motivazioni che convincono i più ”testardi” a continuare con determinazione.
La SIRP non può fare molto di più, anche se ha in cantiere, come proposto da Pignata e
collaboratori, la costituzione di un albo dei giovani ricercatori e di un network tra dottorandi, dottori
di ricerca e pediatri ricercatori ancora precari. Per il successo di questa iniziativa in termini di
fruizione da parte degli interessati è necessaria la collaborazione delle società scientifiche e
associazioni pediatriche nel diffonderne la conoscenza.
In quanto Onlus la SIRP ha anche in programma la raccolta di fondi per il finanziamento di progetti
di ricerca per giovani e l’organizzazione di corsi di formazione alla ricerca clinica, come già
effettuato recentemente con successo. Di questi programmi e realizzazioni Badolato offre una breve
illustrazione.
Dopo la descrizione dello stato attuale della ricerca pediatrica, la diagnosi delle problematiche che
ostacolano soprattutto il reclutamento di giovani e la proposta di iniziative per sciogliere i nodi più
importanti che rendono poco attraente una carriera di ricerca, è giusto concludere con una nota di
ottimismo. Marcovecchio e Giannattasio raccontano le loro esperienze di pediatre che, attraverso
percorsi diversi, hanno scelto di “rischiare” e sperabilmente a breve realizzeranno i loro obiettivi.
Infine Titomanlio è testimone di un'esperienza vissuta all'estero, dove è giunto a livelli apicali non
solo in campo ospedaliero, ma anche universitario, peraltro in età molto giovane per gli standard
italiani. Egli si trova in una situazione privilegiata per una valutazione comparativa tra i meccanismi
e i criteri di selezione dei migliori, attuati nelle Facoltà mediche in Francia, rispetto al sistema
italiano, a cominciare dalla nostra abilitazione scientifica, per finire alle modalità dei concorsi
universitari.
Armido Rubino, promotore e primo presidente della SIRP, propone alcune considerazioni
conclusive, che realisticamente richiamano l’attenzione sulla necessità di partire dalla “diagnosi”
della situazione in cui si trova la ricerca clinica, ma con lo scopo di formulare concrete proposte
“terapeutiche”, senza le quali la semplice denunzia dei problemi rischia di non portare a nessun
cambiamento positivo.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il contenuto di questo Libro bianco sarà discusso nel Forum che si terrà a Napoli il 10 e 11 marzo
2016 e resta quindi solo il punto di partenza di un dibattito che la SIRP ha l’ambizione di
diffondere, partendo dalla comunità pediatrica, nel mondo più ampio della ricerca clinica e di
presentare alle istituzioni e ai decisori politici, perché intervengano opportunamente.
L’importante è fare presto, senza ulteriori ritardi.
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Japan: a cross-sectional survey of mentees in six academic medical centers. BMC Medical
Education. 2015; 15:54.
Wyngaarden JB. The clinical investigator as an endangered species. N Engl J Med1979; 301:
1254-9.
Zemlo TR, Garrison HH, Partridge NC, et al. The physician-scientist: career issues and challenges
at the year 2000. FASEB J. 2000; 14: 221-30.
19
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
LA RICERCA DI INTERESSE PEDIATRICO:
PRESENTE E FUTURO
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Lo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia
Giusy Ranucci e Generoso Andria
Questo Libro bianco intende proporre una riflessione sul presente e sul futuro della ricerca
pediatrica in Italia. Il punto di partenza, quindi, non può che essere un tentativo di valutazione della
produzione scientifica attuale della comunità pediatrica nazionale.
Prima ancora, però, occorre chiarire che cosa si intende per ricerca “pediatrica”: da un lato, è la
ricerca che ha come oggetto tematiche più o meno direttamente correlate con la pediatria e la
promozione della salute dell'età evolutiva (che definiremo "ricerca di interesse pediatrico") e,
dall'altro lato, la ricerca promossa e coordinata da istituzioni e investigatori che appartengono al
mondo pediatrico (che definiremo "ricerca svolta dai pediatri").
Partiamo, dunque, da una valutazione della situazione attuale, per quanto riguarda i livelli di
produzione scientifica di interesse pediatrico, il contributo dei pediatri a questa produzione e
l'impatto che essa ha, in termini quantitativi e qualitativi, nella più ampia comunità pediatrica
internazionale.
Una valutazione dell'attività scientifica condotta in Italia è fortunatamente diventata obbligatoria nel
mondo universitario e in quello delle istituzioni di ricerca più importanti. Un dato sorprendente e
quasi paradossale si rileva dalle indagini condotte dagli organi deputati alla valutazione della qualità
(rapporto ANVUR 2013). A fronte di un numero basso di ricercatori e di risorse economiche
investite per la ricerca scientifica rispetto al prodotto interno lordo (spesa per ricerca e sviluppo su
PIL pari a 1.3 % per l’Italia come per la Spagna, versus 3.4 per il Giappone, 2.9 per la Germania,
2.8 per gli USA, 2.2 per la Francia,1.8 per il Regno Unito, 2.1 per l’Unione Europea a 15 membri,
1.9 per l’Unione Europea a 28 membri,) il numero dei lavori pubblicati dai autori italiani non è
sostanzialmente diverso rispetto ad altri paesi europei, comparabili per parametri economici e
culturali.
Per esempio, in un campo di nicchia come quello della ricerca dedicata alle malattie rare, negli
ultimi anni la produzione scientifica italiana è stata di assoluta preminenza in campo internazionale,
probabilmente anche grazie agli investimenti di agenzie private di finanziamento, come Telethon
(www.telethon.it).
23
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Ma che cosa è disponibile per la valutazione quantitativa e qualitativa della ricerca di interesse
pediatrico?
Nell’ambito della ricerca scientifica, l’azione di “monitoraggio” mira all’osservazione ed al
controllo della produzione nel corso del suo stesso evolversi, al fine di raccogliere dati e
informazioni, utili per correggere (o confermare) i processi in atto e per migliorarne, se opportuno,
gli esiti.
Il fine dell’azione di monitoraggio non è tanto quello di evidenziare comportamenti negativi da
impedire o da sanzionare, ma piuttosto quello di individuare comportamenti positivi da incentivare
o promuovere, perché possano essere efficacemente raggiunti gli obiettivi prefissati.
In questa prospettiva la SIRP ha deciso di mettere in atto un’ azione di monitoraggio "qualitativo"
della ricerca pediatrica in Italia, che si esplica soprattutto in un processo di documentazione (e
quindi di memoria, di storicizzazione, di ricostruzione), di indagine e di diffusione delle
informazioni, anche per stimolare una correzione delle aree "critiche".
L’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana (ORPI)
Da alcuni anni, prima all'interno della Società Italiana di Pediatria e più recentemente con la Società
Italiana di Ricerca Pediatrica abbiamo monitorato attraverso l’ORPI la produzione scientifica svolta
in Italia su tematiche di interesse pediatrico, cercando anche di valutare il contributo in prima
persona dei pediatri, all'interno della comunità scientifica nazionale.
L’ORPI fornisce, quindi, una “fotografia” della produzione scientifica in ambito pediatrico condotta
da ricercatori del nostro paese.
La metodologia usata è stata quella di ricavare da banche dati bibliometriche, in particolare
Pubmed, i lavori pubblicati da autori italiani che avessero svolto un ruolo di coordinamento della
ricerca, con l'esclusione, quindi, dei lavori in cui gruppi italiani erano stati solo collaboratori. Sono
state usate apposite stringhe, che comprendono parole chiave, presenti nei titoli e negli abstract, utili
per individuare anzitutto i temi di interesse pediatrico. Analoghe parole chiave sono state utilizzate
nel campo "affiliation", per selezionare i lavori pubblicati, sempre con un ruolo di coordinamento,
da autori afferenti a istituzioni pediatriche.
Per ogni lavoro viene indicata l’area specifica o specialistica di appartenenza che è, per definizione,
24
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
"di interesse pediatrico". Un motore di ricerca consente di selezionare in un archivio generale le
pubblicazioni che possono interessare al lettore, sulla base dei nomi degli autori, della specialità
pediatrica, della rivista. La disponibilità di un “iperlink” al pdf dell’articolo consente anche il più
rapido accesso al materiale in esteso, per un’analisi più approfondita. L’ORPI rappresenta, quindi,
una base informativa facilmente accessibile ed interrogabile tramite il web. Con questo approccio si
è potuto seguire nel tempo l'evoluzione della produzione scientifica italiana di interesse pediatrico
e, all'interno di questa, la produzione coordinata da pediatri.
I dati illustrati nella Tabella 1 mostrano una tendenza in aumento nel numero dei lavori pubblicati,
presenti in Pubmed, sia come numero totale per tutte le aree scientifiche che come numero riferito
ai lavori di interesse pediatrico.
In questa fase, i dati sono stati raccolti fino al 2013, in quanto fino a quell'anno i lavori scientifici
presenti in Pubmed riportavano soltanto l'affiliazione del primo autore, presumibilmente afferente
all'istituzione che aveva coordinato la ricerca. Nei due anni più recenti sono invece riportate in
Pubmed le affiliazioni di tutti gli autori che hanno collaborato e la stringa di ricerca usata seleziona,
quindi, anche lavori in cui ricercatori italiani sono stati solo coautori. L'inclusione di questi ultimi
inficerebbe la scelta metodologica iniziale di valutare la ricerca in campo pediatrico, riferendosi
solo a coloro che hanno svolto un ruolo leader nella sua conduzione.
Tabella 1.Lavori di “interesse pediatrico” (A) vs Lavori di ricercatori con “affiliation”
pediatrica (B)
ANNO
2008
2009
2010
2011
2012
2013
N° articoli
(A)
2796
2883
2748
3600
3935
4145
N° articoli
(B)
1269
1383
1434
1832
2046
2483
% articoli
(B)
45,4
48
52,2
50,9
52
59,9
I dati raccolti dall’ORPI sono pubblicati periodicamente sul sito della SIRP ed inviati mediante una
newsletter a tutta la comunità scientifica in contatto con la Società. I dati vengono altresì raccolti in
un archivio disponibile online allo scopo di consentire analisi più ampie.
Un’ulteriore parte importante della metodologia bibliometrica dell’ORPI è la ripartizione della
produzione in aree specialistiche che sono state individuate nelle seguenti categorie: allergologia
25
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
(ALL), anestesia/rianimazione (ANE), biologia/biochimica/microbiologia (BIO), cardiologia
(CAR), chirurgia (CHI), dermatologia (DER), diabetologia (DIB), diagnostica per immagini, (DIA)
ematologia (EMA), emergenze (EMU), endocrinologia (END), epatologia, (EPA) farmacologia
(FAR), fibrosi cistica (CIF), gastroenterologia (GAS), genetica clinica (GEN), ginecologia (GIN),
immunologia (IMM), infettivologia e vaccini (INF), malattie metaboliche (MET), medicina
alternativa (MAL), miscellanea (MIS), nefrologia/urologia (NEF), neonatologia/medicina prenatale
(NEO), neurologia (NEU), nutrizione/obesità (NUT), oculistica (OCU), oncologia e trapianti
(ONC),
ortopedia
(ORT),
otorinolaringoiatria
ed
odontoiatria
(ORL),
pediatria
generale/adolescentologia (PEG), pneumologia (PNE), psichiatria infantile (PSI), reumatologia
(REU).
Si può così definire meglio il profilo della ricerca pediatrica, l’impatto dei vari settori al suo interno
e identificare per area d’interesse i ricercatori maggiormente attivi.
La Figura 1 mostra che nel mese di gennaio 2016 – come negli ultimi mesi di monitoraggio - gli
ambiti più rappresentati sono la neurologia, la genetica clinica, la psichiatria infantile e
l’infettivologia.
LAVORI PUBBLICATI PER AREA A GENNAIO 2016
50
45
40
35
44
40
34 34
30
25
20
15
10
5
0
23
19
15 15 15
13 13
12 10
7
7
7
6
6
5
5
4
4
3
3
2
2
2
2
2
1
1
0
Figura 1. Numero dei lavori per area specifica pubblicati nel mese di Gennaio 2016
L’ORPI attraverso il monitoraggio continuo della produzione scientifica pediatrica in Italia,
consente anche di stimare la competitività dei ricercatori Italiani in Europa. Ha quindi come altro
26
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
potenziale obiettivo anche quello di essere un misuratore della qualità della produzione scientifica,
mediante la stima di parametri bibliometrici ed in particolare dell’impact factor (journal impact
ranking).Indubbiamente, l'approccio bibliometrico non è uno strumento ideale, perfettamente
funzionante in tutti i settori ed in tutte le branche del sapere, ma funziona molto bene nell’ambito
della ricerca scientifica bio-medica. Questo garantisce soprattutto per i programmi di ricerca, uno
strumento importante per definire strategie politiche di “decision-making” e per valutare le priorità
e i meriti. I potenziali beneficiari pertanto di questo strumento non sono soltanto i ricercatori stessi,
ma anche le aziende, i decisori politici e le agenzie che finanziano ricerca e sviluppo. La
disseminazione dei risultati dell’ORPI ha, infatti, anche l’obiettivo di favorire il reclutamento di
ricercatori italiani da parte di istituzioni ed enti di ricerca e il finanziamento di progetti scientifici
negli ambiti specifici d’interesse.
L’ORPI ha già effettuato un’indagine sulla produzione della ricerca pediatrica italiana per una
valutazione comparativa con altri paesi europei. Sono stati ottenuti con la stessa metodologia dati
paragonabili a quelli italiani per: Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Germania,
Grecia. I risultati sono stati poi corretti per la percentuale di prodotto interno lordo pro capite,
corretto per potere d’acquisto, che in ogni paese è investita per Ricerca e Sviluppo (Tabella 2).
Tabella 2.Confronto tra paesi europei (intervallo temporale 01 / 05 / 2013 – 30 / 04 / 2014)
PAESE
Totale
lavori
Lavori
Lavori
interesse Ricercatori
pediatrico pediatrici
PILPPA*
PIL-PPA
per R&S
(%)
Spesa
per
R&S*
REGNO UNITO
47.922
5293
2185
2.320,40
1,78%
41,3
GERMANIA
46.334
3267
2029
3.512,80
2,53%
88,9
ITALIA
34.977
3852
2613
2.035,40
1,09%
22,2
FRANCIA
32.294
2790
1741
2.534,50
2,11%
53,5
SPAGNA
24.652
1596
860
1.488,80
1,20%
17,9
P. BASSI
21.474
2606
1424
780,3
1,67%
13
SVEZIA
13.140
1497
627
418,2
3,73%
15,6
GRECIA
5.759
584
368
278
0,60%
1,7
*Miliardi U.S. $; PIL/PPA: Prodotto Interno Lordo (PIL) a parità dei poteri d'acquisto (PPA); R&S:
Ricerca e Sviluppo
Normalizzando i dati per i parametri su indicati, si vede che l'Italia si trova in una posizione del
tutto paragonabile, rispetto agli altri paesi considerati (Tabella 3).
27
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Tabella 3. Confronto tra paesi europei (intervallo temporale 01 / 05 / 2013 – 30 / 04 / 2014)
N° totale lavori / Spesa
Lavori di interesse
Pediatrico / Spesa
Lavori di Ricercatori
Pediatrici / Spesa
GR
3388
GR
344
GR
216
NL
1652
NL
200
I
118
I
1576
I
174
NL
110
E
1377
UK
128
UK
53
UK
1160
S
96
E
48
S
842
E
89
S
40
F
604
F
52
F
33
D
521
D
37
D
23
GR; Grecia; NL: Paesi Bassi; I: Italia; E: Spagna; UK: Regno Unito; S: Svezia; F: Francia; D:
Danimarca
È interessante vedere come la Grecia risulti al primo posto per l’aspetto meramente quantitativo,
perché, nonostante i parametri economici negativi, continua a pubblicare un discreto numero di
lavori scientifici.
Ma può bastare il dato quantitativo per giudicare la produzione in ricerca di un paese o, al suo
interno, di una comunità scientifica, come quella pediatrica? Evidentemente no. Sempre utilizzando
la banca dati Pubmed, abbiamo selezionato i lavori scientifici di un mese nell'anno 2013,
verificando che le proporzioni tra i lavori di interesse pediatrico e i lavori prodotti da pediatri
fossero ancora simili a quelle osservate nell'intero anno. L'unica eccezione è stata la Svezia.
Ad ogni lavoro così selezionato abbiamo assegnato il punteggio di Impact Factor (IF) della rivista.
Come già accennato, l'IF non è di per sé un parametro assoluto di valutazione della qualità della
pubblicazione esaminata, ma è comunque da ritenersi in buona correlazione con la qualità stessa:
una rivista con più alto IF molto probabilmente seleziona con maggior rigore i lavori e alla fine
pubblica quelli di più elevata qualità scientifica.
La Tabella 4 riporta per ogni nazione la percentuale dei lavori presenti in vari gruppi, definiti per
range di IF, mettendo a confronto i lavori con affiliazione pediatrica degli autori e i lavori di
interesse pediatrico, coordinati da autori appartenenti a istituzioni non pediatriche.
28
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Tabella 4. I.F. dei lavori su temi di interesse pediatrico prodotti dalla ricerca europea
%
Ricercatori NON
Pediatri
IF=0
IF=0-1
IF=1-3
IF=3-5
IF=5-10
IF>10
Ricercatori
Pediatri
IF=0
IF=0-1
IF=1-3
IF=3-5
IF=5-10
IF>10
I
30
6
34
17
7
6
I
20
6
52
14
6
2
UK D
F
E NL S GR
20
11
25
24
12
8
10
17
27
28
14
4
19
6
30
29
12
4
UK D
F
E NL S GR
32
5
35
15
10
3
34
4
35
16
9
2
18
2
40
26
9
3
20 24
28 26 48
19 22
5 4
2 1
19
1
35
34
7
4
15
2
30
29
19
5
23
2
45
20
6
4
14
8
46
26
3
3
38
9
29
19
5
-
25
29
39
7
-
Certamente si nota che, per la produzione di autori pediatri, in alcune nazioni come i Paesi Bassi e
la Francia è presente una quota maggiore di lavori pubblicati su riviste a più alto IF. Tuttavia in
questo panorama europeo l'Italia non appare molto distante da altri paesi che investono di più nel
settore della ricerca.
Le indagini SIRP
A Settembre 2015 la SIRP ha lanciato, in collaborazione con l' Osservatorio nazionale
Specializzandi Pediatria (ONSP) la sua prima indagine sul reclutamento di giovani laureati in una
carriera di ricerca clinica nell’area pediatrica (vedi capitolo di Mennini et al in questo Libro
bianco).Scopo dell’indagine è stato cercare di spiegare il paradosso emerso dall’ORPI della ricerca
pediatrica in Italia, che appare ricca a fronte di uno scarso investimento nel settore da parte dei
governi del paese.
Dall’ indagine condotta tra specializzandi, giovani specialisti, dottorandi e ricercatori universitari di
tipo A, si capisce che una buona quota di giovani, durante il corso di laurea o di specializzazione,
pur non avendo in prospettiva una chiara vocazione per la ricerca clinica, hanno contribuito
all'attività scientifica dell'istituzione in cui operavano. È comunque da sottolineare che solo una
quota minima degli intervistati ha prodotto lavori scientifici a primo nome. Questo indica che esiste
29
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
certamente un "lavoro nero" nel campo della ricerca scientifica in genere e nella ricerca clinica in
particolare, inclusa ovviamente anche quella pediatrica. I risultati di un'indagine che è stata
recentemente condotta da Astra Ricerche per incarico della Fondazione Pardi (Astraricerche, 2015AstraRicerche-Fondazione-Pardi-summary.pdf),
confermano
che
una
buona
quota
della
"manodopera" che ha contribuito alla ricerca non è strutturata nei ranghi dei ricercatori e quindi non
appare nelle statistiche internazionali che correlano prodotti scientifici e forza lavoro ufficiale
impiegata in ricerca.
Conclusioni
Quali conclusioni si possono trarre da questa nostra indagine, condotta con metodologia, di cui
riconosciamo i limiti?
Non c'è dubbio che in Italia disponibilità dei fondi per la ricerca sia limitata. Tuttavia la scarsità
delle risorse è aggravata dall'assurda gestione dei finanziamenti comunque disponibili, che manca di
programmazione, tempi certi nei bandi e nella successiva erogazione dei fondi, per non parlare,
purtroppo, della scarsa trasparenza e equità nelle valutazioni e nel riconoscimento del merito.
Se la sfiducia nel sistema si somma al ritardo con cui un giovane laureato viene messo alla prova
per le sue capacità di collaborare a un progetto di ricerca e alle incertezze del percorso di "carriera",
legate al pur giusto superamento di parametri bibliometrici (quali le "mediane" dell'abilitazione
Scientifica Nazionale), si capisce come anche il "lavoro nero" di giovani precari e non strutturati per
la ricerca verrà progressivamente meno. Di conseguenza il panorama fino ad ora più che "decente"
della ricerca pediatrica tenderà a peggiorare. E senza ricerca clinica di qualità, anche la qualità
dell'assistenza inevitabilmente peggiorerà.
Le soluzioni non sono semplici o chiare, ma è giusto che un grido d'allarme venga lanciato.
Ed è questo che la SIRP intende fare, con l’ambizione di contribuire, pur conscia dei suoi limiti, a
far crescere la futura generazione di medici-scienziati per la ricerca pediatrica in Italia.
REFERENZE
Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Rapporto
sullo
stato
del
Sistema
Universitario
e
della
Ricerca
2013.
http://www.anvur.org/attachments/article/644/Rapporto%20ANVUR%202013_UNIVERSITA%20
e%20RICERCA_integrale.pdf
30
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
http://amanutricresci.com/wp-content/uploads/2014/11/BRAIN-DRAIN-ITALY-2014-AstraRicercheFondazione-Pardi-summary.pdf
http://www.telethon.it/ricerca-progetti/progetti-finanziati
Maurizio Mennini, Tommaso Alterio, Andrea Bon, et al. I giovani e la ricerca clinica pediatrica:
tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile. In: Il futuro della ricerca clinica
(pediatrica). Edizione SIRP. 2016
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano le dott.sse Simona Fecarotta e Valentina Pecorella per la loro preziosa collaborazione
all’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana.
31
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
La situazione "demografica" della pediatria del
ospedaliera e accademica e le possibili linee di tendenza
territorio,
Silvano Bertelloni, Paolo Becherucci, Alberto Chiara, Carlo Fusco, Mario Messina,
Angelo Ravelli, Maria Elisabeth Street
La patologia pediatrica: stato attuale
Le migliorate condizioni sociali instauratesi progressivamente a partire dagli anni’50-’60 del secolo
scorso, unitamente all’estensione delle coperture vaccinali e ad alcuni indiscutibili progressi nel
campo della medicina, sono stati responsabili di un sostanziale cambiamento nelle più frequenti
cause di morbosità e mortalità in età pediatrica (ACP, 2014; Ministero della Salute, 2015).
Attualmente, accanto alle tradizionali attività proprie della Pediatria (bilanci di salute, attività di
educazione sanitaria, counselling e supporto anche per i genitori, cura delle patologie acute) che
pure rimangono causa frequente di consultazione sono emerse nuove priorità assistenziali che
stanno modificando l’attività e le aree di interesse scientifico del Pediatra, come:
• patologie croniche, gravi disabilità e/o malattie rare complesse (v. anche dopo);
• disturbi dello sviluppo neuro-cognitivo e della salute mentale, questi ultimi in aumento
soprattutto in età adolescenziale;
• nuove patologie indotte da fattori ambientali (esempio: contaminanti endocrini, “Internet
addiction disorder”);
• nuove problematiche per patologie “classiche” (esempio: la diffusione dell’antibiotico –
resistenza anche nei bambini “sani”);
• minori appartenenti a famiglie in cui uno o entrambi i genitori non sono italiani. Nella pur
variegata complessità del fenomeno, si delinea comunque la necessità di saper riconoscere e
soddisfare bisogni assistenziali a volte peculiari e nuovi o riemergenti, che richiedono
competenze e strumenti specifici;
• aumento delle attività di “urgenza” (spesso più percepite che reali).
Da tale situazione emerge l’esigenza di una trasformazione nell’erogazione delle cure territoriali ed
ospedaliere pediatriche, di nuovi percorsi formativi e di una implementazione della ricerca in settori
specifici.
33
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Organizzazione dell’assistenza pediatrica in Italia
In Italia, l’assistenza sanitaria a infanzia e adolescenza è prevalentemente organizzata, per quanto
riguarda gli specialisti di “area pediatrica”, nei seguenti settori principali :
• Pediatria di famiglia (I livello);
• Pediatria ospedaliera (comprensiva di quella universitaria, degli ospedali pediatrici e delle
attività di sub-specialità pediatrica) (II-III livello);
• Chirurgia pediatrica (e sub-specialità chirurgiche pediatriche, es. urologia pediatrica);
• Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (ospedaliera e territoriale).
Pediatria di famiglia
In Italia, la Pediatria di famiglia rappresenta una rete capillare diffusa a tutto il territorio nazionale.
Attualmente su un totale dei circa 14.000 Pediatri operanti nel servizio sanitario nazionale
(dipendenti SSN, universitari, convenzionati, etc.) più della metà è rappresentata dai pediatri di
famiglia (Pdf) (7.714; dati 2012 su deleghe sindacali). L’età di riferimento esclusiva è 0-6 anni,
mentre tra 7 e 14 anni i genitori possono scegliere di far assistere il bambino sia dal Pdf che dal
medico di medicina generale (MMG). Dopo il compimento del 14 anno di età l’adolescente viene
preso in carico dal MMG, ma il Pdf può continuare ad assistere minori con patologie croniche,
organiche o neuropsichiatriche, fino a 16 anni. Più del 70% dei Pdf assiste un numero di bambini
maggiore a quello ritenuto ottimale cioè 800 (in media circa 900).
Degli oltre 7500 Pdf, circa 4.100, pari al 53,4% ha un’età compresa tra i 55 e i 70 anni (proiezioni
dati ENPAM 2010). I Pdf che raggiungeranno l’età massima pensionabile saranno oltre 6.100 tra il
2015 e il 2030.
Questo considerevole numero di professionisti ha uno scarso impatto dal punto di vista della ricerca
scientifica, soprattutto a livello internazionale, dove, tuttavia, l’“Union of National European
Paediatric Societies and Associations” (EPA-UNEPSA) - a cui aderiscono per l’Italia la SIP, la
FIMP e la SIRP - ha interesse a promuovere e pubblicare studi sui servizi sull’assistenza pediatrica
in Europa, che è caratterizzata da notevole variabilità (Barak et al., 2010; Ercan et al. 2009). Tale
situazione potrebbe migliorare in Italia con l’attivazione dell’indirizzo in Pediatria delle Cure
Primarie, previsto nel Curriculum della nuova Scuola di Specializzazione in Pediatria, che la
dovrebbe portare alla presenza di professionisti specificatamente formati per le cure primarie
pediatriche auspicalmente anche dal punto di vista della ricerca clinica territoriale.
34
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Attività ospedaliere di Pediatria e Chirurgia pediatrica
La Rete ospedaliera pediatrica risulta costituita da un numero abbastanza elevato di reparti di
pediatria: 422 nel 2013 contro un fabbisogno calcolato di circa 300 in base agli standard del
Progetto Obiettivo Materno-infantile (Ministero della Salute, 2000) fatte salve condizioni orogeografiche particolari. A fronte di questa situazione, la presenza del pediatra dove nasce e si
ricovera un bambino è garantita continuativamente (h24) solo nel 50% degli ospedali. Delle 13
Aziende Ospedaliere Pediatriche, solo alcune sono in grado di assicurare una adeguata copertura di
tutte le attività assistenziali per infanzia e adolescenza. Alcune subspecialità pediatriche risultano in
sofferenza per la mancata programmazione di nuove “leve” o per mancata realizzazione di centri
specialistici, anche transmurali (cioè interaziendali o interregionali), in cui concentrare risorse e
minori ad alta complessità assistenziale (ACP, 2014; Ministero della Salute, bozza 2015; 8°
Rapporto CRC, 2015).
Sebbene in Italia sia presente la Pediatria di famiglia, che fornisce servizi assistenziali specialistici a
livello territoriale, l’attuale tasso di ospedalizzazione nel nostro Paese è del 65/70 per mille, mentre
il tasso di ospedalizzazione per la popolazione con età < 18 anni – neonati esclusi – è a livello
europeo intorno a 35/40 per mille pur in assenza di cure primarie specialistiche pediatriche
capillarmente diffuse e convenzionate con il SSN come in Italia. Inoltre, i tassi di ospedalizzazione
in età pediatrica, in regime di ricovero ordinario, presentano un’elevata variabilità tra le varie
Regioni con un minimo di 42.7%o in Veneto ed un massimo più che doppio (88.7%) in Puglia
(Ministero della Salute, bozza 2015).
Gli accessi pediatrici al Pronto Soccorso (PS) sono in progressivo aumento (attualmente circa
5.000.000 casi/anno) soprattutto per codici a bassa priorità assistenziale; infatti, i codici rossi
rappresentano poco meno dell'1% e i codici gialli circa il 10% del totale (codici rosso e giallo =
paziente critico). Un PS pediatrico è tuttavia presente in circa il 20-30% delle strutture e il 30%
degli accessi pediatrici viene gestito dai medici dell'adulto. Il ricorso alle strutture di PS appare più
evidente per le classi di età al di sotto dei 4 anni con un netto aumento delle richieste di assistenza
in regime di urgenza nei primi mesi di vita. Vi è inoltre un incremento degli accessi e delle richieste
di assistenza da parte degli adolescenti per i quali le attuali strutture pediatriche non sono sempre
adeguate (Ministero della Salute, 2012; Ministero della Salute, bozza 2015). Questo elevato livello
di attività, aggravato dall'applicazione della normativa europea relativa all'orario di lavoro, non
favorisce, certo, lo sviluppo di ottimali percorsi di ricerca.
35
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Quasi il 30% dei pazienti in età 0-17 anni (in particolare l’85% dei pazienti in età adolescenziale
15-17 anni) viene ricoverato in reparti per adulti e, in molte zone del paese, la mancanza di strutture
idonee per il ricovero degli adolescenti ad alto rischio riduce finanziamenti e possibilità di ricerca in
un ambito particolarmente critico come quello adolescenziale (Bertelloni et al., 2009; Ministero
della Salute, bozza 2015).
La migrazione sanitaria, rappresenta ancora un fenomeno rilevante, in parte motivata da ragioni
sanitarie oggettive (centri di alta specialità con maggiore attività di ricerca e di sperimentazione di
terapie innovative, in particolare per quanto riguarda le malattie rare e croniche ad elevata
complessità assistenziale), ma in parte “evitabile” perché dovuta ad una inadeguata allocazione dei
presidi diagnostico-terapeutici, a disinformazione e a scarsa fiducia nella qualità delle strutture
locali (Ministero della Salute, bozza 2015; 8° Rapporto CRC, 2015; Ospedalizzazione Pediatrica).
Le previste azioni sulle cure primarie e sull’appropriatezza dei ricoveri dovrebbero portare una
progressiva riduzione del tasso di ospedalizzazione pediatrico al 55%o nei prossimi tre anni per
arrivare al 40%o nei successivi 3 anni (Ministero della Salute, bozza 2015) in modo da completare
la riorganizzazione ospedaliera, con il fine di ridefinire il numero delle Unità Operative (UO) di
Pediatria e le attività offerte anche attraverso l’istituzione di una rete “hub e spoke”, che potrebbe
razionalizzare le attività assistenziali e favorire nuove possibilità di ricerca clinica.
Per quanto riguarda la Neonatologia, la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti/anno
(133/521), prevista in attuazione dell’accordo in Conferenza Unificata del 16.12.2010 sul percorso
nascita e secondo quanto previsto dall’articolo 15 della legge 135/2012 e alla successiva Intesa 5
agosto 2014 sul regolamento degli standard ospedalieri Stato-Regioni, non è stata ancora realizzata.
Sono poi attive circa 120 UU.OO. di Terapia Intensiva Neonatale (TIN), di cui circa il 25%
collocate in punti nascita con meno di 1000 parti/anno (Rapporto Osserva Salute 2014, Ministero
della Salute, 2012).
Dei circa 4000 pediatri che operano in ospedali pubblici o in Istituti di Ricovero e Cura a Carattere
Scientifico, la Pediatria universitaria, che dovrebbe promuovere la ricerca e favorire l’inserimento
dei giovani “Pediatrician Scientists” è formata – al 31/12/2015 - da 313 strutturati (professori
ordinari, n = 54; professori associati, n = 109; ricercatori, n = 150) anche con un’età di
specializzazione piuttosto avanzata indipendentemente dal ruolo (www.miur.it) ultimo accesso
gennaio 2016).
Il numero di centri di Chirurgia pediatrica (circa 60, dati Società Italiana di Chirurgia
Pediatrica;~1/1.000.000 abitanti) risulta superiore rispetto a standard assistenziali ritenuti ottimali.
36
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il bacino di utenza minimo per garantire una sufficiente casistica unitamente a una formazione
specialistica e programmi di ricerca adeguati è infatti ritenuto pari a 1/2,5 milioni di abitanti (8°
Rapporto CRC, 2015). La componente universitaria - al 31/12/2015 - è costituita da 47 strutturati
tra professori ordinari (n = 13), professori associati (n = 18) e ricercatori (n = 16) (www.miur.it).
Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’Adolescenza
Le malattie croniche che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale, in modo esclusivo o in quadri
multiorgano, sono oggi tra i disturbi pediatrici più frequenti, determinando un elevato assorbimento
di risorse per le famiglie e per la società. A seconda delle realtà regionali, gli utenti dei Servizi di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (NPIA) sono compresi tra il 4 e l’8% della
popolazione di età 0-18 anni; in pratica si tratta di oltre 400.000 bambini e adolescenti. Dal 2008 al
2013 si è inoltre evidenziato un incremento delle richieste di presa in carico; il numero di utenti che
hanno avuto almeno un contatto con i Servizi di NPIA è aumentato infatti mediamente del 6-7%
all’anno dal 2004 al 2011 e il numero di nuovi utenti nello stesso periodo è aumentato del 4-5%/
anno.
I ricoveri in regime di degenza ordinaria per disturbi neurologici e psichiatrici dell’età evolutiva
riguardano circa il 13% degli utenti dei servizi NPIA e sono distribuiti soprattutto nella fascia di età
0 – 3 anni (interventi diagnostici di tipo prevalentemente neurologico) e nella fascia di età 14- 18
anni (interventi di diagnosi e presa in carico per disturbi psichiatrici gravi, inclusi gli esordi
psicotici precoci) (Ministero della Salute, bozza 2015). La NPIA è caratterizzata quindi da grande
variabilità disciplinare. I neuropsichiatri ospedalieri hanno usualmente in carico patologie
prevalentemente neurologiche (epilessia, cefalea, malattie neuromuscolari, neurodegenerative,
neurometaboliche, ecc) o psichiatriche in fase acuta, mentre quelli che operano a livello territoriale
hanno il compito prevalente di valutare minori con disturbi neuropsicologici/cognitivi (ritardo
mentale, disturbi di apprendimento) e psichiatrici (generalmente in cronico). Il paziente pediatrico
affetto da patologia neuropsichiatrica, specie nelle situazioni di patologie neurologiche di III livello,
necessita una rete assistenziale che richiede la collaborazione tra NPIA Ospedaliera, NPIA dei
Servizi territoriali, Pediatria Ospedaliera, spesso anche con il contributo delle (sub)specialità
pediatriche, e Pediatra di famiglia. Esistono infine realtà ospedaliere di NPIA che svolgono
funzione di Centri di riferimento e coordinamento per malattie rare neuro-genetiche e neurometaboliche, attraverso reti regionali che hanno lo scopo di prendere in carico globalmente il
bambino, a partire dal complesso iter diagnostico, fino all’attuazione di piani terapeutici specifici
per patologia.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il quadro assistenziale è caratterizzato da estrema variabilità sia inter-regionale che intra-regionale
di accesso, risorse e diagnosi e dall’assenza di un sistema di monitoraggio complessivo della salute
mentale in età evolutiva (8° Rapporto CRC, 2015). I Neuropsichiatri Infantili presenti nei servizi
sono circa 900 a fronte degli almeno 1500 necessari, con un ricambio previsto di circa 70-90
specializzandi/anno a fronte dei 120 stimati per coprire i fabbisogni. Vi è inoltre una estrema
disomogeneità tra le diverse regioni nell’organizzazione dei servizi e nella presenza al loro interno
di tutte le figure professionali (mediche e non mediche) necessarie per garantire interventi
appropriati e tempestivi.
In Italia nel 2013 erano presenti complessivamente 324 posti letto di ricovero ordinario e 188 di DH
per patologie neurologiche e psichiatriche dell’età evolutiva, anche questi con distribuzione non
omogenea tra le diverse regioni. Ben 7 regioni non hanno alcun posto letto di ricovero ordinario
nell’ambito del SSN. Dei 324 posti letto, quelli disponibili per i disturbi psichiatrici in adolescenza
sono 79 (circa il 25%). Vi è inoltre la necessità di garantire un reale approccio multidisciplinare
(che dovrebbe necessariamente includere i pediatri) ai disturbi neurologici e psichiatrici dell’età
evolutiva anche strutturando Centri di Riferimento per patologie particolarmente rilevanti ed
emergenti come i disturbi del comportamento alimentare in infanzia e adolescenza (attualmente in
pratica assenti), che rappresentano un campo di rilevante interesse in ambito di ricerca (Ministero
della Salute, bozza 2015).
Dei 900 neuropsichiatri Infantili in attività, la componente universitaria è costituita – al
31/12/2015- da 77 strutturati tra professori ordinari (n = 17), professori associati (n = 21) e
ricercatori (n = 39)(www.miur.it).
Alcune problematiche emergenti
La transizione dalle cure pediatriche alla medicina dell’adulto
Tra gli aspetti peculiari della “care” ai minori vi è la transizione, cioè quel processo dinamico
definibile come “il passaggio programmato e finalizzato di adolescenti e, in alcuni paesi anche di
giovani adulti, soprattutto se affetti da problemi medici o neuro-psichiatrici di natura cronica, da un
sistema di cure pediatrico ad uno orientato all’adulto”.
Tale processo è attualmente una rilevante criticità, che condiziona in particolare gli ospedali che
affrontano la cronicità e la disabilità più complessa, in quanto, nel nostro paese, la transizione è
largamente frammentaria e mantiene i caratteri della volontarietà spontaneistica di cui si fanno
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
carico, fra mille difficoltà, gli operatori sanitari di singole realtà locali. Manca una cultura specifica
e una ricerca approfondita per delineare i migliori modelli assistenziali a tale scopo anche sulla base
di indicatori di esito (Bertelloni et al., 2008; Ministero della Salute, bozza 2015). La transizione
rimane pertanto una realtà largamente disattesa, se non addirittura omessa, con una penalizzazione
dei percorsi clinico-terapeutici. La transizione della “care” dovrebbe essere invece pianificata e
gestita in modo coordinato al fine di garantire la qualità e la continuità dell’assistenza per tutti i
giovani, in particolare per quelli con bisogni assistenziali speciali, secondo percorsi realizzati sulla
base di evidenze scientifiche che assicurino i migliori risultati anche in base alle specifiche
necessità che le varie condizioni patologiche richiedono (Bertelloni et al., 2008; Nagra et al., 2015).
Infine, dovrebbero essere individuati adeguati percorsi di transizione dal Pdf al MMG anche per
l’adolescente sano in modo che tale passaggio non rappresenti solo una mera pratica
amministrativa.
Hospice e terapia del dolore
Le cure palliative pediatriche sono l’attiva presa in carico globale di corpo, mente e spirito del
bambino e comprendono il supporto attivo alla famiglia attraverso percorsi assistenziali
personalizzati, studiati sulle particolari esigenze del minore e della tipologia di malattia di cui soffre
(OMS, 1998). I dati della letteratura indicano una prevalenza pari a 10/10.000 minori 0-17 anni, che
necessitano di cure palliative pediatriche. Il personale esperto in tale settore, che deve lavorare
presso centri di riferimento, richiede una preparazione specifica nei diversi ambiti socioassistenziali che condizioni non guaribili e dolore, non solo fisico, richiedono. La limitata
numerosità dei pazienti, l’ampia distribuzione e la complessità di gestione, pongono peculiari
problematiche organizzative, di formazione e di ricerca in cure palliative pediatriche (Ministero
della Salute, bozza 2015; .Ministero della Salute, 2013)
Malattie croniche complesse
La prevalenza delle malattie croniche pediatriche è in costante incremento, sia per l’aumento di
incidenza di patologie riconducibili agli stili di vita e a fattori di rischio ambientali sia per il
miglioramento delle tecniche di assistenza neonatale e pediatrica con maggiore sopravvivenza di
bambini affetti da patologie una volta precocemente fatali. Anche l’immigrazione può contribuire
ad aumentare il numero di bambini e adolescenti con malattie croniche sia per una maggiore
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
incidenza di esiti correlati a trattamenti in condizioni di scarse risorse sanitarie sia per
“l’importazione” di patologie genetiche a più alta incidenza in altre popolazioni.
Le varie malattie croniche, pur riconoscendo eziologie e gravità medica e/o neuro-psichiatrica
differenti, sono accomunate dalla necessità di presa in carico multidisciplinare, centrata sul paziente
e sull’intero nucleo familiare, mirata a ottimizzare il trattamento per migliorare la qualità della vita,
promuovere l’autonomia e l’inserimento sociale, ridurre il rischio di ulteriori complicanze. Per
raggiungere tali risultati è necessario perfezionare, anche attraverso un’adeguata ricerca clinica, i
presidi di cura (farmacologici, neuro-riabilitativi, fisiatrici, etc.) e realizzare un concreto modello
assistenziale integrato tra Ospedale e Territorio che assicuri le cure secondo protocolli
multidisciplinari, condivisi tra Centri Specialistici di riferimento e i servizi territoriali (Ministero
della Salute, bozza 2015; ACP 2014).
Malattie Rare
Le Malattie Rare (MR) sono un gruppo di condizioni umane spesso su base genetica, definite
dall’Unione Europea (UE) come patologie che hanno una prevalenza non superiore a 5/10.000
nell’insieme della popolazione comunitaria. Considerate complessivamente le MR sono circa 78000, nella maggior parte dei casi caratterizzate da rilevante gravità clinica, decorso cronico, esiti
invalidanti o stigmatizzanti e onerosità del trattamento.
Le MR sono molto eterogenee tra di loro e in genere complesse e multispecialistiche. Le limitate
conoscenze scientifiche e la scarsità di informazione sia degli operatori sanitari sia dei pazienti
costituiscono le maggiori criticità per una adeguata gestione del loro percorso diagnosticoterapeutico. La rarità delle singole malattie e la conseguente scarsità di conoscenze rendono
indispensabile programmi di ricerca ad hoc e la sinergia a livello nazionale e internazionale tra
centri qualificati anche dalla loro produzione scientifica (v. European reference networks). Lo
scambio di informazioni, la collaborazione tra gli esperti, l’approccio multidisciplinare al paziente e
un lavoro di ricerca e “care” in rete apportano un elevato valore aggiunto nel rispondere ai bisogni
dei pazienti e delle loro famiglie, che spesso collaborano attivamente con i professionisti attraverso
le associazioni dei pazienti/genitori per promuovere la ricerca clinica e di base (v. ad esempio
Telethon) (Ministero della Salute).
40
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Evoluzione della “forza lavoro” pediatrica
Per l’anno accademico 2014-2015, i contratti finanziati dallo Stato per gli specializzandi in
Pediatria sono stati 390. Sommando ad essi i contratti di formazione specialistica a finanziamento
regionale o privato si è arrivati ad un totale di 414 nuovi iscritti al primo anno di specializzazione in
Pediatria, in aumento di circa il 16% rispetto all’anno precedente. Ipotizzando un numero costante
di contratti di formazione specialistica intorno a 400/anno si formeranno circa 6.000 pediatri nel
periodo 2015-2030. Questi nuovi professionisti costituiranno l’intera offerta dei nuovi pediatri per il
SSN, comprendendo sia i Pdf sia coloro che saranno impegnati presso le strutture ospedaliere e
universitarie. Il saldo tra i nuovi professionisti e quelli che andranno in pensione sarà certamente
negativo, ma con possibili riflessi differenti nei vari “setting” assistenziali.
Sebbene non si possano effettuare stime certe, a seguito della prevista ristrutturazione della rete
ospedaliera e per effetto di un già registrato spostamento dei pediatri dall’ospedale alla pediatria
territoriale, il numero stimato dei Pdf nei prossimi 15 anni potrebbe non scendere drasticamente.
L’effetto correlato a tali complessi fenomeni potrebbe essere una carenza di pediatri anche in
ambito ospedaliero e universitario, con particolare penalizzazione per le attività di cura e di ricerca
per i bambini e gli adolescenti affetti da patologie croniche e rare ad alta complessità assistenziale,
che rischiano di essere trattati in settori specialistici non adeguati ai minori, come quello dell’adulto,
con una possibile penalizzazione della ricerca clinica pediatrica, che ha un ruolo di primo piano nel
miglioramento delle conoscenze mediche e delle condizioni di salute di bambini e adolescenti.
In questo contesto, si dovrà valutare l’impatto che avrà la riforma dell’ordinamenti didattici delle
scuole di specializzazione (DM 4 febbraio 2015) e in particolare di quella di Pediatria. Sebbene il
titolo professionale rimarrà unico, lo scenario futuro dipenderà anche dall’attivazione di tutti e tre i
bienni di formazione subspecialistica e dall’offerta di documentati percorsi formativi di alta qualità
nelle varie branche pediatriche, magari in forma consortile, da parte delle varie Università anche in
base a concreti indicatori epidemiologici.
Conclusioni
In sintesi, il quadro complessivo attuale è quello di un elevato numero di Pediatri e Professionisti di
Area Pediatrica dedicati all’assistenza a infanzia e adolescenza, spesso operanti in contesti troppo
piccoli o frammentati, che a volte non permettono il raggiungimento di standard qualitativamente
adeguati e senza un’ottimale disponibilità di risorse specialistiche e tecnologiche avanzate per
impostare adeguati percorsi di ricerca clinica. Tale “forza lavoro” soprattutto in alcuni ambiti
41
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
professionali presenta un’anzianità di specializzazione piuttosto elevata, che pone problemi per la
programmazione delle attività future, anche in considerazione delle variazioni delle priorità
assistenziali e di ricerca nell’attuale Società. Si deve poi considerare che la Pediatria ha subito negli
ultimi anni un importante cambiamento demografico a livello mondiale, legato al crescente numero
di donne con specializzazione in Pediatria (Andrew, 2002). In USA, è stato stimato che le
dottoresse rappresentano oltre il 70% dei residenti iscritti al programma di specializzazione in
Pediatria (Alexander et al.,2009). Le donne hanno chiaramente una maggiore difficoltà nel
conciliare la carriera di ricerca e la famiglia, per le esigenze legate alle gravidanze e alla maternità.
Sempre in USA, un’indagine sui candidati MD-PhD è emerso come le donne credono molto meno
alla potenziale carriera in ricerca e spesso optano spesso per un percorso differente, proprio per la
percezione che la cura dei figli e la carriera di ricerca siano mutuamente esclusive (Andriole et al.,
2008). Persistono inoltre diseguaglianze economiche legate al sesso nell’ambito delle carriere di
ricerca nelle scienze umane (Brenner, 2012). In Italia, a fronte di una non grande differenza tra
maschi e femmine nell’ambito di tutti i ruoli universitari pediatrici (maschi ~55%; femmine ~45%),
a livello di Professori ordinari gli uomini sono l’87% e le donne solo il 13%. Considerando che la
stragrande maggioranza dei medici che oggi scelgono la Pediatria sono donne, diventa prioritaria la
gestione delle diseguaglianze legate al sesso dei percorsi di carriera per medico-scienziato.
Vi è quindi la necessità di programmare il reclutamento nei vari ruoli in prospettiva di una
ridefinizione dei vari setting assistenziali/di ricerca, che sia anche maggiormente in linea con gli
altri paesi avanzati dell’Unione Europea in modo che l’inserimento di giovani pediatri/chirurghi
pediatri/neuropsichiatri infantili in un percorso di studio e ricerca non risulti penalizzante.
REFERENZE
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dell’adolescenza (CRC) in Italia, anno 2014-2015
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
La ricerca in neuroscienze e la selezione di giovani interessati alla
ricerca clinica in neuropsichiatria infantile
Giovanni Cioni
Premessa
Il 21º secolo viene descritto come il secolo del cervello e le neuroscienze sono un settore scientifico
in continuo ed enorme sviluppo. Basta pensare che digitando “brain” in PubMed si possono rilevare
un numero di lavori che da poco più di 3.000 negli anni 60’ è passato a 30.000 negli anni 90’ fino
più di 75.000 nel 2015.
Elsevier (2014), con il contributo della Commissione Europea, della Federazione delle Società
Europee di Neuroscienze (FENS), dell’Human Brain Project (HBP), della Fondazione Kavli e dell’
Istituto RIKEN per le Scienze del Cervello (BSI) ha condotto uno studio sullo stato attuale della
ricerca in neuroscienze, per fornire spunti sulle priorità future di ricerca e di finanziamento. Lo
studio si basa sui quasi 2 milioni di articoli scientifici sulle neuroscienze archiviati in Scopus e
pubblicati tra il 2009 e il 2013 e incorpora gli abstract degli studi finanziati dall’NIH e dal Settimo
Programma Quadro della Commissione Europea per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico (FP7) per
lo stesso lasso di tempo.
Le scoperte più importanti presentate dal report sono le seguenti:
La produttività della ricerca: nel periodo in considerazione, sono stati prodotti 1,79 milioni di
articoli nel campo delle neuroscienze, vale a dire il 16% della produzione scientifica mondiale.
Complessivamente nel 2013 i ricercatori europei e statunitensi hanno prodotto più del 70% della
ricerca in neuroscienze. In termini di volumi di pubblicazione, USA, UK, Cina, Germania e
Giappone si sono classificati nella top-five dei paesi più prolifici nel settore. La crescita maggiore è
stata però sperimentata dalla Cina, sia in termini di ricerca prodotta, sia in termini del numero di
articoli sul totale mondiale, rispettivamente l’11,6% e il 7,5%.
L’impatto della ricerca: nel 2013 la misura ponderata dell’impatto delle citazioni per il settore di
riferimento (FWCI) è stata 1,14. Ciò vuole significare che tali articoli sono stati citati il 14% in più
della media di tutte le aree tematiche.
La collaborazione: l’impatto delle citazioni (FWCI) degli articoli statunitensi elaborati in
collaborazione con autori internazionali è stato maggiore del 56% rispetto all’impatto prodotto da
articoli collaborativi pubblicati da autori provenienti da singole istituzioni.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Tendenze emergenti: confrontando i temi più popolari (top concepts) e quelli rapidamente in ascesa
(burstconcepts) è emerso che i secondi riguardavano principalmente questioni metodologiche,
mentre i primi affrontavano temi come le malattie mentali e lo sviluppo di farmaci.
I finanziamenti: se le ricerche finanziate dall’Istituto di Sanità (NIH) statunitense hanno riguardato
principalmente l’impatto delle metanfetamine, della cannabis e della nicotina, quelle sovvenzionate
dalla Commissione Europea hanno riguardato soprattutto l’uso dei farmaci antipsicotici nel
trattamento della schizofrenia.
La ricerca che trova la sua espressione in questi lavori è stata finanziata da più di 7 miliardi di
dollari l'anno di fondi pubblici, principalmente (5.6 miliardi dagli USA), il resto dell'Europa ed in
maniera sempre maggiore da altre parti del mondo e soprattutto la Cina (Markram, 2013).
I temi studiati sono innumerevoli; tra i più recenti quelli del progetto USA e dell’European Human
Brain Project (HBP), che si propongono di mappare il cervello umano in modo analogo a quello
con cui è stato mappato il genoma. La sfida USA è stata lanciata nel 2013 da Barack Obama:
“Siamo in grado di identificare galassie lontane milioni di anni luce, sappiamo studiare particelle
più piccole dell'atomo, ma non abbiamo svelato il mistero di quella materia di 1.3 Kg che si trova
tra le nostre orecchie”, annunciando un investimento iniziale di 100 milioni di dollari nel progetto
BRAIN (Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) che coinvolge
istituzioni pubbliche come l’NIH e partner privati. Allo stesso tempo la UE ha finanziato con i
primi 54 milioni di euro l’HBP, il più importante progetto per le neuroscienze europee che riunisce
87 istituti di ricerca sotto la guida dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne. L’HBP si
propone di raccogliere in un supercomputer tutte le conoscenze di frammenti disponibili sul
cervello umano, per mettere a punto un modello computazionale basato su 100 miliardi di neuroni
(il numero delle cellule nervose del cervello).
Si deve tuttavia ammettere che, a confronto questi enormi sforzi umani ed economici, l'effettivo
beneficio per la società della ricerca in neuroscienze è stato abbastanza limitato, in particolare a
confronto con il crescente bisogno di buona ricerca per fare buona assistenza nell'ambito delle
malattie del sistema nervoso. Quest'ultime rappresentano un problema di salute di enorme
importanza. Il “Global Burden of Disease” (GBD) del WHO misura il peso delle malattie
utilizzando il Disability Adjusted Life Year (DALY).Questa misura combina gli anni di vita perduti
per mortalità prematura con gli anni di vita perduti per il tempo vissuto in condizioni di vita
peggiore rispetto a quelle di piena salute. L’analisi condotta anno per anno dal 1990 indica che
46
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
disturbi neurologici e psichiatrici, perlopiù cronici, ammontano a più del 15% del GBD dell'intera
popolazione (più frequenti delle malattie cardiovascolari o di qualsiasi altro gruppo di malattie).
Per noi neuropsichiatri infantili è importante ricordare che più del 50% di questi disturbi ha un
esordio o comunque una causa determinante in età evolutiva e che per la maggior parte di essi un
intervento tempestivo potrebbe cambiare positivamente la storia naturale di queste malattie.
Sappiamo inoltre come in ambito pediatrico la medicina del presente e soprattutto quella del futuro
si colloca da una parte nelle situazioni di emergenza, per fortuna abbastanza rare, soprattutto e
sempre di più nell'ambito delle malattie croniche, tra le quali quelle del sistema nervoso sono le più
frequenti ed importanti.
Dobbiamo quindi concludere che nel secolo del cervello e di straordinarie scoperte sulle basi
molecolari di tanti aspetti del funzionamento del cervello, sulle cause di molte malattie del SNC,
sull’invenzione di straordinarie tecniche, capaci di imaging in vivo del sistema nervoso, molte
malattie neuropsichiche, sempre più rilevanti per la salute, rimangono in larga parte inguaribili,
anche se non più non trattabili. Siamo diventati sempre più capaci di rallentarne l'evoluzione, di
migliorare i quadri clinici e la qualità della vita, ma non guarire. E’ quindi necessario fare ancora
enormi progressi nell'ambito delle neuroscienze, perché i risultati di queste ricerche diventino
effettivamente traslazionali.
È necessario essere pazienti, perché il cervello è di un’enorme complessità e comprenderne lo
sviluppo, il funzionamento e le patologie è molto difficile, ma di enorme importanza per la salute.
Di qui gli enormi finanziamenti che sono stati e saranno sempre più messi a disposizione del
settore, un potenziale volano straordinario anche di crescita economica, senza dimenticare però
anche le grandissime implicanze etiche che hanno le ricerche più avanzate nell'ambito delle
neuroscienze.
La ricerca italiana nell'ambito delle neuroscienze
Come sappiamo la ricerca italiana è globalmente di buona qualità. La lettura di un recente rapporto
(2013) commissionato dal governo inglese a Elsevier, in cui si confrontano i risultati delle ricerche
dei ricercatori inglesi con quelli di molte altre nazioni - tra cui l’Italia - sembra indicare che i
ricercatori italiani sono molto efficienti, addirittura più efficienti degli statunitensi. In realtà la
quantità totale di ricerca prodotta è inferiore a quella di altri paesi europei simili a noi per
dimensioni, come Francia, Regno Unito e Germania. Però, siamo in buona posizione per quanto
riguarda il rapporto tra risultati ottenuti e soldi spesi. Ne consegue in maniera abbastanza evidente
47
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
che il sistema della ricerca scientifica italiana è già molto efficiente e che difficilmente sarà
possibile migliorare questi indici continuando a tagliare la spesa per la ricerca.
Quanto detto sopra in generale per la ricerca, è vero anche nell'ambito delle neuroscienze, per le
quali esiste in Italia una grande tradizione testimoniata anche dai premi Nobel, che vanno da Golgi
alla Levi Montalcini, dagli eccellenti neuroscienziati come Moruzzi e i suoi allievi come Maffei e
Rizzolatti ed altri di grande valore, protagonisti di straordinarie scoperte nell'ambito delle
neuroscienze. I tanti ricercatori di eccellenza testimoniano il dono individuale di genio e dedizione
dei nostri ricercatori, cui manca tuttavia nel sistema Italia una migliore organizzazione ed un
approccio più meritocratico di valutazione.
Un ottimo indicatore di quanto sopra è la capacità dei nostri migliori ricercatori, anche molto
giovani, di vincere i più prestigiosi grant europei come per esempio l'ERC, ma, come sappiamo
anche dalle polemiche giornalistiche di questi giorni, lavorando come sede all'estero e senza
intenzione di tornare in Italia. Il nostro sistema formativo sembra capace di valorizzare nel processo
formativo le capacità di genio e dedizione dei nostri ricercatori, ma non poi di consentire loro di
esprimerle nel nostro paese.
Nel proseguo di questo breve lavoro cercherò di illustrare meglio questo punto, venendo
all'argomento della neuropsichiatria infantile e alle possibilità di formazione e lavoro di ricerca per
giovani medici interessati alla ricerca sanitaria nel settore.
La formazione dei giovani medici come potenziali ricercatori nell'ambito della neuropsichiatria infantile
L’insegnamento di neuropsichiatria infantile esiste in molti - ma non in tutti - i corsi integrati di
scienze pediatriche del sesto anno del Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia, ed al massimo con
1 CFU. Anche per questo il numero di studenti che preparano la loro tesi di laurea in
neuropsichiatria infantile è basso. Alle problematiche quantitative si aggiungono le note criticità
comuni che nascono dalla mancanza di una formazione alla ricerca del corso di Medicina e
Chirurgia, ed altre tipiche della materia, come reparti di specialità dove lo studente dovrebbe
formarsi, che non sempre hanno massa critica sufficiente o non sono collegati con Laboratori (per
es. molecolari o di imaging od altro) di grande qualità.
L'altra potenziale fonte formativa è rappresentata dalle scuole di specializzazione in neuropsichiatria infantile che sono oggi 18, con un numero totale di contratti per l'anno accademico 201448
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
15 di 90. Il panorama di queste scuole è anch’esso variegato, sia per le possibilità formative in
termini di posti letto dedicati, sia per la possibilità di avere strutture di laboratorio di eccellenza,
necessarie ai fini formativi assistenziali per una medicina specialistica moderna, sia per creare le
conoscenze nell'ambito della ricerca ed il desiderio di continuare la formazione nell'ambito della
ricerca stessa.
Molto pochi sono i casi di specializzandi che chiedono di far coincidere l'ultimo anno della scuola
specializzazione con il dottorato, pratica virtuosa ma spesso non appetibile né da parte del candidato
anche in termini economici, né da parte dei direttori della scuola di specialità, che temono la perdita
di un anno di forza lavoro per uno specializzando che si dedica all'attività di dottorato nell’ultimo
anno.
Pochi sono i medici neo-specialisti che poi accedano al successivo momento formativo che è quello
del dottorato di ricerca. Sono attualmente 22 i dottorati di ricerca in Italia in cui è compreso l’SSD
MED39 Neuropsichiatria Infantile, collocati in 16 sedi universitarie per la maggior parte afferenti
alle Neuroscienze.
Nell’ambito della carriera universitaria, che dovrebbe essere successiva al dottorato, i docenti del
SSD MED39 sono oggi in Italia 77, di cui 18 professori ordinari, 20 professori associati e 39
ricercatori. Di questi ultimi solo 4 sono ricercatori a tempo determinato tipo A (3 anni + 2 secondo
la legge 240/2010) ed uno soltanto è ricercatore a tempo determinato tipo B. Il ricercatore tipo B ha
un posto per 3 anni, ma è l’unico con possibilità di “tenuretrack” ed afferenza successiva automatica
al posto di professore associato se nel frattempo avrà ottenuto l'abilitazione nazionale.
L'ultimo dato significativo e purtroppo anch’esso negativo per i numeri molto esigui è la presenza
di assegnisti di ricerca nell'area della neuropsichiatria infantile, che sono in tutto soltanto 13. Il
panorama della ricerca universitaria del SSD contenuto in questa descrizione è - come si vede estremamente limitativo.
Possibilità per un giovane interessato alle neuroscienze cliniche dell'età evolutiva di
presentare un progetto di ricerca su bandi di selezione su base competitiva
Le fonti di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia sono sia di natura pubblica che privata
(vedi Tabella 1). Il contenitore principale in ambito pubblico è il Ministero della Salute attraverso i
bandi di ricerca finalizzata che vengono emanati ogni anno od ogni due anni. Oltre al Ministero
49
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
della Salute vi sono il MIUR, le Regioni, il 5 × 1000. A queste fonti pubbliche si aggiungono
nell'ambito privato le Fondazioni Bancarie, le Casse di Risparmio, l'AIRC (Associazione Italiana
per la Ricerca contro il Cancro), Telethon, altre associazioni per specifiche malattie (per es. Sclerosi
Multipla ed altre) che costituiscono il privato non-profit. Ad esse si aggiungono poi come privato
for profit le imprese farmaceutiche.
Tabella 1. Fonti di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia
Erogatore
Natura
Note
Ministero della Salute
Pubblica
Comprende la ricerca corrente e finalizzata e nell’interno di
quest’ultima subcapitoli quali giovani ricercatori, progetti
ordinari, progetti di rete ed altri
AIFA
Pubblica
Ricerca indipendente sui farmaci
MIUR
Pubblica
Comprende attualmente soprattutto i bandi PRIN e FIRB
Regioni
—
5xmille
Cittadini
—
Fondazioni bancarie e
Casse di Risparmio
Privato non
profit
Comprende ricerca in ambito biomedico, scienze naturali e
tecnologie
AIRC
Privato non
profit
Finanziamenti per progetti di ricerca e borse di studio a
ricercatori
Telethon
Privato non
profit
Comprende diverse tipologie di finanziamento per
ricercatori nell’ambito delle malattie rare
Altre Fondazioni per
specifiche patologie
Privato non
profit
—
Imprese
farmaceutiche
Privato non
profit
Dati contrastanti a seconda della fonte usata; Farmindustria
indica che 2/3 viene speso in sviluppo e 1/3 in ricerca
Con l'eccezione di quest'ultime, il cui investimento nella ricerca - almeno per l'Italia - si è però
considerevolmente ridotto negli ultimi anni, il rapporto proporzionale tra finanziamento pubblico e
privato alla ricerca sanitaria è fortemente sbilanciato per il primo (circa 2/3 verso 1/3).
Alla luce degli ultimi progetti emanati e di cui si conoscono già i risultati in termini di progetti
vincitori, fornirò ora alcuni dati relativi alla presenza delle neuroscienze, ed in particolare le
neuroscienze dell'età evolutiva, nei diversi bandi, anche con alcune informazioni di confronto con le
scienze pediatriche più generali.
50
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Iniziando dal PRIN-MIUR questo bando - di cui vi sono risultati della call 2010-12 (si è appena
conclusa la presentazione della call 2015) - è desolante per la scarsità delle risorse messe a
disposizione e per la sporadicità con cui il ministero emette il bando stesso. L'area 06 ha visto il
successo di 38 progetti, di cui solo 3 nell'area delle neuroscienze (nessuno riferibile alle
neuroscienze cliniche dell'età evolutiva); la presenza delle scienze pediatriche in generale tra i
vincitori sembra limitata a un solo progetto.
L'altro bando MIUR specificatamente dedicato ai giovani è stato il FIRB 2013. Dei 46 progetti
risultati vincitori per la linea 1 le neuroscienze mediche hanno visto il successo solo di 7 progetti, di
cui uno soltanto sembra nell'ambito delle neuroscienze cliniche.
Telethon ha grandi meriti per la ricerca nell'ambito delle malattie rare nel nostro paese. L’Ente ha
visto più di 450 milioni investiti in progetti di ricerca negli ultimi anni, con il finanziamento di 1556
ricercatori e di 2570 progetti di ricerca. Più di 470 sono state le malattie studiate in questi progetti di
ricerca. Il sito Telethon indica 218 progetti di ricerca in corso in questo momento, per 41 tematiche
di cui 17 riconducibili all'ambito delle neuroscienze. Telethon ospita bandi di ricerca per progetti
esplorativi per ricercatori che lavorino in strutture di ricerca solide. Per specifiche tematiche vi sono
anche i bandi del Career Award Program per Outstanding Young Scientists, bandi di cinque anni
con possibilità anche per Therapeutic Clinical Trials. Le possibilità che ricercatori provenienti
nell'ambito delle neuroscienze dell'età evolutiva e della neuropsichiatria infantile accedano a questi
bandi sono estremamente scarse, tranne che afferiscano a gruppi di ricerca molto forti.
I bandi più interessanti per giovani ricercatori sono quelli che appartengono ai bandi di ricerca
finalizzata (RF) che ogni anno od ogni due anni vengono emessi dal Ministero della Salute. Questi
bandi sono prevalentemente, ma non esclusivamente, indirizzati agli IRCCS (i 49 Istituti di
Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), la fonte più rilevante di ricerca sanitaria del nostro paese,
da cui provengono buona parte delle pubblicazioni in ambito sanitario.
I dati dell'ultimo bando di ricerca RF 2013 sono molto interessanti per valutare le possibilità da
parte di un giovane ricercatore interessato alle neuroscienze dell'età evolutiva di ottenere un
finanziamento in Italia per svolgere un progetto di ricerca. Gli stanziamenti dell'ultimo bando di RF
assommavano a 76 milioni di euro di cui 27.5 milioni per progetti “giovani ricercatori”, 10 milioni
di euro per progetti di rete, 10 per progetti svolti in collaborazione con un ricercatore italiano
all'estero, 5 per progetti cofinanziati dall'industria. Il resto del finanziamento era destinato a progetti
51
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
di ricerca finalizzata ordinari. Oltre agli IRCCS come sempre potevano presentare progetti l’ISS, le
Aziende Ospedaliere afferenti alle diverse regioni ed altri enti.
In totale i progetti presentati per l’RF 2013 sono stati 2999, cui è seguito un processo di selezione
estremamente rigoroso, e quindi certamente troppo lungo, in larga parte affidato a revisori
internazionali che sono stati più di 13.000, facenti capo a strutture di ricerca avanzata nel mondo
(per lo più NIH). La selezione finale ha visto la recente proclamazione di 221 progetti risultati
vincitori, con una percentuale di vincita di circa il 7%.
I dati più interessanti ai fini del presente Report di ricerca sono quelle relativi ai risultati per i
progetti giovani ricercatori (Tabella 2).
Tabella 2. Risultati RF 2013 Ministero della Salute. Progetti Giovani Ricercatori: totali
vincitori 93
PROGETTI
CLINICO
ASSISTENZIALI
PROGETTI
BIOMEDICI
Vincitori 47 – Score ottenuto: 7 – 13.5
- Area Neuroscienze 19
(Neuroscienze età evolutiva 2)
- Altre aree pediatriche 4
Vincitori 46 – Score ottenuto: 7-10
- Area Neuroscienze 13
(Neuroscienze età evolutiva 2)
- Altre aree pediatriche 3
In totale sono risultati vincitori 93 progetti, di cui 47 nell'ambito clinico-assistenziale e 46 in quello
biomedico. Dei progetti clinico-assistenziali risultati vincitori, 19 riguardavano il settore delle
neuroscienze, ma solo 2 le neuroscienze dell’età evolutiva (un progetto dedicato ai disturbi dello
spettro autistico e l'altro ai disturbi specifici dell'apprendimento), mentre altri 4 progetti assistenziali
riguardavano altri argomenti della ricerca pediatrica.
Per quanto riguarda i 46 vincitori dell'ambito biomedico, 13 afferivano all'area delle neuroscienze,
di cui solo 2 alle neuroscienze dell'età evolutiva (un progetto sulla disabilità intellettiva e l'altro sul
disturbi dello spettro autistico) e 3 ad altri settori delle scienze pediatriche.
I risultati sono quindi buoni per le neuroscienze in generale, che sono fortemente rappresentate
anche nell'ambito della rete degli IRCCS, ma decisamente molto meno favorevoli per le
neuroscienze dell'età evolutiva, quindi per progetti che potevano coinvolgere ricercatori formati
nell'ambito della neuropsichiatria infantile. Proporzionalmente sembra ancora peggiore la
performance dei ricercatori appartenenti alle scienze pediatriche diverse dalle neuroscienze.
52
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Guardando anche alle altre categorie di progetti vincitori, diverse rispetto ai giovani ricercatori,
ritroviamo un certo numero di progetti vincitori per argomenti di neuroscienze dell'età evolutiva
nell'ambito dei progetti a rete e dei progetti ordinari e con cofinanziamento dell'industria.
I risultati dell’RF 2013 sono di grande interesse anche per comprendere alcuni aspetti generali della
ricerca sanitaria del nostro paese, per esempio in termini geografici (le performance delle strutture
sanitarie del Centro Nord sono risultate 3-4 volte migliori rispetto al resto del paese).
Alcune prospettive conclusive
Come la pediatria, la neuropsichiatria infantile è una disciplina che vede insieme la componente
ospedaliera ed universitaria o di IRCCS che opera in Centri di III o II livello, con quella
extraospedaliera (quantitativamente molto più rilevante) che opera individualmente o in strutture di
medicina territoriale. Entrambe queste medicine hanno un grande bisogno di ricerca, per poter fare
sempre meglio l'assistenza. La scommessa è quella di poter creare strutture di ricerca assistenziale
sempre più avanzate e di grande livello, che comprendono anche i Clinical Trial Centers, in cui tra
l'altro sperimentare le terapie innovative che prima o poi irromperanno, grazie gli investimenti sulla
ricerca nell'ambito delle neuroscienze. Tra di esse pensiamo ai farmaci che in tempi medi saranno a
disposizione per la psicofarmacoterapia basata sulla natura fisiopatologica a livello molecolare nei
diversi tipi del Disturbi dello Spettro Autistico, o la medicina rigenerativa nelle lesioni precoci del
sistema nervoso o la sperimentazione, che già in parte è in atto, di biomarcatori per la diagnosi
precoce di malattie neurologiche e psichiatriche, per monitorare l'andamento della malattia e
l'efficacia di trattamenti innovativi.
Accanto a questo tipo di ricerca vi è tuttavia un grande bisogno di buona ricerca assistenziale,
basata sull'impiego massiccio di RCT, alla ricerca dell'evidenza dei trattamenti presenti e futuri, per
la sperimentazione di nuovi modelli assistenziali di presa in carico delle malattie.
La buona ricerca clinica così condotta ha portato delle modificazioni importanti nella presa in carico
di alcune malattie croniche e nella qualità della vita di questi bambini. L’importanza di queste
esperienze di ricerca con i suoi risultati sottolinea il dovere di migliorare la formazione dei
neuropsichiatri infantili, e soprattutto dei giovani alla ricerca, perché possano diventare protagonisti
di queste ricerche.
Modifiche del processo formativo per questi giovani potrebbero essere inserite sia attraverso
l'obbligatorietà di corsi dedicati alla ricerca clinica nel corso di medicina (anche per rendere più
efficace e utile la tesi di laurea finale, la cui qualità dovrebbe essere resa migliore), ma soprattutto
53
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
attraverso corsi formativi alla ricerca ed esperienze obbligatorie nel corso della scuola di
specializzazione.
Un buon ricercatore, anche se opera in ambito della ricerca assistenziale, deve aver fatto esperienze
di ricerca anche in ambito preclinico, almeno per gli aspetti metodologici. Le carenze strutturali di
molte scuole di specialità possono trovare una soluzione soltanto attraverso strette collaborazioni tra
più sedi universitarie e con enti di ricerca. Devono essere messi a disposizione degli specializzandi
laboratori avanzati di ricerca che sono una fonte insostituibile per la loro formazione.
L'esperienza della messa in rete e dei consorzi a scopo formativo nell'ambito della ricerca dev'essere
anche la base essenziale dei master post-universitari dedicati alla ricerca clinica, nel caso della
neuropsichiatria infantile, da caratterizzarsi anche per ambito per aree tematiche più specifiche.
È necessario che più risorse vengano dedicate alla ricerca di tipo assistenziale, soprattutto quelle
destinate ai giovani, ma anche nelle caratteristiche di progetti da prevedere nei bandi. Per esempio
nei prossimi bandi RF del Ministero della Salute, è importante che tutti i ricercatori debbano essere
giovani e con un discreto CV (per evitare numeri eccessivi di domande come ora avviene). Deve
essere impedita l'indicazione del giovane ricercatore soltanto come “bandiera” all'interno di progetti
gestiti di fatto da ricercatori più senior.
Il Ministero della Salute sta studiando varie novità per i progetti giovani ricercatori, anche per le
tematiche di bando che siano più funzionali al servizio sanitario nazionale.
Ultimo aspetto già in parte accennato riguarda l'importanza delle reti tematiche e funzionali, per
rendere produttiva la ricerca in neuroscienze cliniche nel nostro paese (Sandrini, 2015).
Strutture sanitarie che hanno nella loro mission la ricerca sanitaria e cioè gli IRCCS si stanno
organizzando per reti funzionali su mandato del Ministero, per esempio gli IRCCS di neuroscienze,
in cui si stanno formando reti per le malattie neurodegenerative, per le piattaforme tecnologiche, per
la neuroriabilitazione ed altre in via di organizzazione.
È già stata indicata l’opportunità all’interno degli IRCCS di Neuroscienze di una struttura
organizzativa dedicata alla neurologia ed alla psichiatria dell'età evolutiva, settori challenging sul
piano scientifico e demanding quantitativamente e qualitativamente su piano assistenziale. I risultati
ottenuti dell'ultimo bando RF sono indicativi per la situazione di difficoltà di questo ambito di
ricerca, in particolare nei giovani ricercatori. L'unica risposta possibile è quella di un lavoro di rete
dedicato al settore e quindi di una rete IRCCS dedicata alle neuroscienze dell'età evolutiva che
comprende gli Istituti dedicati in maniera esclusiva al bambino ed all’adolescente, gli IRCCS di
54
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
neuroscienze dell’adulto per la loro parte sull’età evolutiva, ma anche i grandi IRCCS pediatrici per
le loro strutture di neuropsichiatria e i grandi numeri di pazienti con i diversi disturbi del sistema
nervoso che vi afferiscono, spesso per patologie singolarmente rare, ma anche per le tecnologie e
laboratori di alta tecnologia e specializzazione dedicati. Questa rete ha ambizione di fare buona
ricerca assistenziale, anche potenzialità formativa, al momento migliore rispetto a quanto alcuni
reparti universitari possano offrire.
La ricerca assistenziale in questo ambito deve andare anche oltre le strutture di eccellenza
scientifica ed assistenziale, nelle modalità di coinvolgimento con le strutture territoriali. Questo
lavoro per essere funzionale dovrà avere necessariamente uno stretto collegamento con le strutture
territoriali di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sgandurra e Cioni, 2010). Gli studi
RCT di efficacia di terapie innovative, e di sperimentazioni di modelli vedono come indispensabili
questi collegamenti, da rendere possibili attraverso la formazione dei giovani medici alla ricerca
clinica nella scuola di specializzazione.
REFERENZE
A report prepared by Elsevier for the UK’s Department of Business, Innovation and Skills (BIS).
https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/263729/bis-13-1297international-comparative-performance-of-the-UK-research-base-2013.pdf
Cioni G., Sgandurra G. La ricerca in riabilitazione: un ponte tra università, ospedale e territorio.
Giorn. Neuropsich. Età Evol. 2007; 27: 473-485.
Markram H. Seven Challenges for neurosciences. Funct Neurol. 2013; 28: 145-151.
Ministero della Salute .Ricerca finalizzata 2013, la Graduatoria dei progetti vincitori.
http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?menu=notizie&p=dalministero&id=2243
Sandrini G. What are the perspectives for technology platforms in the field of neuroscience? Funct
Neurol. 2015; 30: 89.
World Health Organization, 2008. The Global Burden of Disease. 2004 Update. World Health
Organization, Geneva.
55
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il ruolo delle società scientifiche dell’area pediatrica nella
promozione della ricerca
Giovanni Corsello
La ricerca scientifica è uno strumento insostituibile per garantire l’evoluzione delle conoscenze e
delle competenze in campo clinico. Nello stesso tempo l’attività di ricerca è diventata uno degli
indicatori di qualità più diffusi e accettati. Ricerca e innovazione sono le leve principali per la
crescita e lo sviluppo di un paese moderno. Ricerca di base e ricerca traslazionale in un’area vasta
come la pediatria devono porsi come un metodo di lavoro integrato e come un investimento per il
futuro.
Nel corso degli anni si è assistito in Italia ad un progressivo allontanamento dei laureati in medicina
e chirurgia dall’addestramento alla ricerca scientifica dovuto a cause diverse tra cui la difficoltà di
una pratica in tal senso durante il corso di laurea e in parte anche durante i corsi di specializzazione,
per un prevalente addestramento di ordine professionalizzante; la carenza di proposte
metodologiche strutturate verso la ricerca nelle Università e nelle scuole di specializzazione; la
carenza di dottorati veramente orientati alla ricerca in area pediatrica (esperienze limitate per
numero e tipologia).
La pediatria come disciplina medica è nata nella seconda metà del XIX secolo con forti contenuti
sociali. Sino a quell’epoca i bambini erano oggetto di interessi prevalentemente filantropici, ma non
avevano intorno a loro un interesse scientifico chiaro e condiviso. Le malattie infettive,
l’ematologia e la malnutrizione sono stati gli ambiti che per primi hanno avuto un impulso di
ricerca, con ricadute notevoli in termini di miglioramento delle condizioni di salute dei bambini e di
aumento della loro sopravvivenza. Le cliniche universitarie e i grandi ospedali pediatrici hanno
ospitato a lungo ricercatori, che si sono dedicati nelle corsie e nei laboratori a potenziare le attività
di studio e di ricerca, pur in assenza nella maggior parte dei casi di percorsi specifici e delineati a
livello istituzionale.
Il fiorire delle specialità pediatriche nel corso del XX secolo è stato una sorta di lievito che nel
mondo occidentale ha dato un ulteriore contributo ai progressi scientifici nella pediatria. Le
peculiarità del bambino, come soggetto che per i suoi processi di crescita e di sviluppo non può
essere tout-court assimilato all’adulto, hanno consentito che si raggiungessero risultati di ricerca
57
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
importanti all’interno del mondo scientifico della pediatria, che sono stati progressivamente
trasferiti in campo assistenziale.
In Italia, la promozione della ricerca in pediatria non ha mai avuto una spinta istituzionale, né sono
state messe in atto politiche ufficiali in favore delle attività di ricerca, soprattutto in direzione dei
giovani medici che avessero voluto dedicarsi alle attività di ricerca. Anzi, in molti casi, la necessità
di privilegiare le attività assistenziali e le attività di didattica, ha determinato un cambiamento del
profilo di attività di giovani assunti per motivazioni di ricerca. È il caso di ricercatori o di assegnisti
di ricerca che si sono trovati a dover privilegiare altre attività istituzionali a discapito degli obiettivi
di ricerca sanciti nei contratti per cui si era ottenuto l’arruolamento. La carenza di risorse dedicate
alla ricerca scientifica e l’insufficienza strutturale e logistica di molte realtà hanno favorito questo
processo, che ha reso spesso difficile ed episodica l’attività di ricerca anche laddove ve ne erano le
premesse e le potenzialità.
Nelle Università diventa necessario e strategico definire modelli organizzativi e aree funzionali a
supporto della ricerca, come viene diffusamente fatto per la didattica. Sono necessari non solo i
manager per la didattica ma anche per la ricerca nelle diverse aree. Spesso i ricercatori di area
biomedica e clinica sono autodidatti e devono gestire sia le attività organizzative di ricerca, che gli
aspetti relativi alla tutela intellettuale e alla valorizzazione dei risultati della propria ricerca. È
necessario reclutare il personale universitario in modo coerente con gli obiettivi di promuovere la
ricerca e non utilizzarlo a scopi prevalentemente didattici o assistenziali, pur nella condivisione che
la ricerca nelle discipline cliniche non può essere sganciata da una utile integrazione delle
competenze. La pari dignità tra attività di ricerca e attività assistenziale va sancita ai vari livelli
istituzionali.
Le società scientifiche in molti casi hanno dovuto a volte vicariare le carenze istituzionali, come del
resto hanno fatto anche il mondo delle associazioni o istituzioni internazionali e l’industria. Si sono
creati network spontanei e collegamenti interistituzionali che hanno consentito alla ricerca
pediatrica nel nostro paese di raggiungere risultati estremamente lusinghieri in molte aree, al punto
da mettersi in linea con i risultati di paesi che hanno investito di più e meglio nella ricerca in termini
di risorse umane, di laboratori e di fondi dedicati.
L’integrazione tra ricerca di base e ricerca clinica in pediatria si è rivelata particolarmente fruttuosa
in molte discipline specialistiche con ricadute sulla pratica pediatrica. Le malattie croniche, le
malattie genetiche e le malattie rare, i nuovi farmaci e vaccini, solo per citare alcuni esempi, hanno
58
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
avuto negli ultimi anni un grande sviluppo grazie alle attività di ricerca, spesso promosse da aziende
e industrie che hanno investito capitali privati nei settori dell’innovazione diagnostica e terapeutica.
Per quanto riguarda nello specifico la pediatria, bisogna valorizzare di più le ricerche
multidisciplinari, che includono anche le aree biologiche e le attività traslazionali, nonché i settori
specialistici dell’adulto. Interazione e integrazione diventano fondamentali in questo ambito.
Altro aspetto da curare, in parte collegato al precedente, è quello della internazionalizzazione, da
attuare favorendo gli scambi e i contatti dei giovani ricercatori con le istituzioni di ricerca estere.
In questo panorama nazionale, che non ha visto realizzarsi una programmazione delle attività di
ricerca da parte delle istituzioni e le cui risorse finalizzate in questa direzione sono state in passato e
restano allo stato attuale esigue, un ruolo importante possono giocare oggi le società scientifiche
dell’area pediatrica.
Le linee lungo le quali si possono indirizzare interventi efficaci da parte delle società scientifiche
possono essere riassunte in:
-
Interventi di stimolo e di supporto verso giovani medici e ricercatori interessati a svolgere
stage di ricerca in centri accreditati a livello nazionale e internazionale. Bandi e premi di
ricerca possono rappresentare un volano per incentivare le attività dei giovani in questo
senso, in particolar modo verso gli stati esteri.
-
Interventi di didattica orientati alla predisposizione di studi e ricerche possono essere svolti
dalle società scientifiche attraverso corsi di formazione metodologici che comprendano
anche la modalità di preparazione di paper scientifici in linea con gli standard internazionali.
-
Studi e ricerche multicentriche possono ricevere dalle società scientifiche un coordinamento
utile per costruire dei network tra enti e istituzioni interessati a mettere insieme casistiche e
approcci diagnostici di laboratorio.
-
Pubblicazione di lavori scientifici su riviste ad alto fattore di impatto possono essere
supportati da interventi ad hoc delle società scientifiche di riferimento.
-
Pubblicazione di linee guida e di protocolli clinici in grado di favorire lo sviluppo di studi e
di ricerche finalizzate.
-
Diffusione attraverso la partecipazione di ricercatori a eventi scientifici nazionali o
internazionali in qualità di relatori per diffondere i contenuti delle ricerche svolte e
pubblicate su riviste a diffusione internazionale.
59
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il reclutamento dei ricercatori clinici negli Istituti di ricovero e cura
a carattere scientifico
Angelo Ravelli, Alessandro Aiuti, Paolo Petralia
In preparazione
61
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
LA FORMAZIONE PER UNA CARRIERA
DI RICERCA CLINICA: ESPERIENZE E PROPOSTE
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Rapporti tra la ricerca specialistica in Pediatria e la ricerca
specialistica nella Medicina dell’adulto
Francesco Chiarelli, Laura Comegna, Simone Franchini
Il principio universale dell’evidence-based medicine (EBM) si fonda sulla necessità di utilizzare
studi critici e di alta qualità come guida per una corretta pratica clinica, corroborata da evidenze
solide pubblicate in letteratura (Guyatt et al., 2002).
È giudizio generale, pienamente condiviso dall’EBM, che il gold standard tra le pubblicazioni
scientifiche sia rappresentato dai randomized-controlled trials (RCTs) e dalle review sistematiche,
che ne cumulano ed analizzano in modo critico i risultati(Pocock, 1983; Chalmers, 1998; Kleijnen
et al., 1998).
Le migliori review sistematiche e gli RCTs che hanno comportato le maggiori scoperte scientifiche
sono stati e continuano ad essere pubblicati su riviste ad alto impatto scientifico. Tra queste
rientrano - ad esempio - Annals of Internal Medicine, British Medical Journal, The Lancet, Journal
of the American Medical Association, The New England Journal of Medicine, e ancora Nature,
Science, Blood, Neurology, Circulation o Cell. Pubblicare su queste riviste è indipendente dalla
provenienza del gruppo di ricerca, sia che si occupi di ricerca di base, di ricerca pediatrica o di
medicina dell’adulto. Tra gli indicatori bibliometrici quello più diffuso è l’impact factor (IF), che
misura l’importanza di una rivista. L’IF non esprime un giudizio intrinseco sul valore scientifico
delle opere che appaiono in una determinata rivista (Fava et al., 2002), ma indica la serietà e la
diffusione della rivista (Fabbris, 2011).
Un punto di discussione rilevante è rappresentato dal differente impatto che hanno le principali
riviste scientifiche che si occupano di uno specifico settore della medicina dell’adulto se confrontate
con le riviste di ambito pediatrico, generali e specialistiche.
Confrontando gli Impact Factor di alcune delle più diffuse riviste questa differenza appare evidente.
La rivista pediatrica con più alto Impact Factor ha un valore di circa 7, per un valore medio di tutte
le riviste che si aggira intorno al 3.5. Per quanto riguarda le riviste di medicina generale invece
l’Impact Factor maggiore è quello del New England Journal of Medicine (55.873).Tale divario
permane anche in campo specialistico (Tabella 1 e Tabella 2) (http://impactfactor.weebly.com).
65
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Tabella 1. Confronto Impact Factor tra riviste di medicina generale e riviste pediatriche
(http://impactfactor.weebly.com).
RIVISTE DI MEDICINA
RIVISTE PEDIATRICHE
GENERALE
New Engl J Med
55,873 J Am Acad Child Psy
7,26
Lancet
45,217 Jama Pediatr
7,148
Jama-J Am Med Assoc
35,289 Arch Pediat Adol Med
5,731
Ann Intern Med
Bmj-Brit Med J
Arch Intern Med
Plos Med
17,81 Pediatrics
17,445 Pediatr Obes
17,333 J Pediatr-Us
14,429
5,473
4,573
3,79
Tabella 2. Confronto Impact Factor tra riviste specialistiche dell’adulto e riviste specialistiche
pediatriche (http://impactfactor.weebly.com).
Endocr Rev
Diabetes
Diabetes Care
Mol Endocrinol
J Clin Endocr Metab
Lancet Infect Dis
Clin Infect Dis
J Infect Dis
J Infection
Am J Res Crit Care
Lancet Resp Med
Thorax
Nat Rev Neurosci
Trends Cogn Sci
Behav Brain Sci
Nat Neurosci
J Neurosci
ENDOCRINOLOGIA
21,059
Pediatr Diabetes
8,095
J Clin Res Pediatr Endocrinol
8,42
J Pediatr Endocr Met
4,022
6,209
MALATTIE INFETTIVE
22,433
Pediatr Infect Dis J
8,886
5,997
4,441
PNEUMOLOGIA
12,996
Pediatr Pulm
9,629
8,29
NEUROLOGIA
31,427
Dev Med Child Neurol
21,965
J Child Neurol
20,771
Pediatr Neurol
16,095
Neuropediatrics
6,344
Child Nerv Syst
2,569
1,538
0,995
2,723
2,704
1,717
1,695
1,24
1,114
1114
66
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Ca-Cancer J Clin
Nat Rev Cancer
Lancet Oncol
J Clin Oncol
Blood
Annu Rev Immunol
Nat Rev Immunol
Immunity
Gastroenterology
Gut
Hepatology
Eur Urol
J Am Soc Nephrol
Nat Rev Nephrol
Semin Nephrol
J Am Coll Cardiol
Eur Heart J Suppl
Eur Heart J
Circulation
Mol Psychiatr
World Psychiatry
Am J Psychiat
Jama Psychiat
Ann Rheum Dis
Nat Rev Rheumatol
Rheumatology
EMATO-ONCOLOGIA
115,84
Pediatr Blood Cancer
37,4
J Pediatr Hemat Oncol
24,69
Pediatr Hemat Oncol
18,428
10,452
IMMUNOLOGIA
39,327
Pediat Allerg Immunol
34,985
Pediatr Infect Dis J
21,561
GASTROENTEROLOGIA
16,716
J Pediatr Gastr Nutr
14,66
11,005
NEFROLOGIA
13,938
Pediatr Nephrol
9,343
J Pediatr Urol
8,542
2,483
CARDIOLOGIA
16,503
Pediatr Cardiol
15,8
15,203
14,43
PSICHIATRIA
14,496
J Am Acad Child Psy
14,225
J Child Psycol Psyc
12,295
Eur Child Adoles Psy
12,008
REUMATOLOGIA
10,377
Pediatr Rheumatol
9,845
4,475
2,384
1,096
0,902
3,397
2,723
2,625
2,856
0,898
1,31
7,26
6,459
3,336
1,607
Un lavoro scientifico in ambito pediatrico avrà quindi un impatto maggiore sulla comunità
scientifica se pubblicato su una rivista di medicina generale con maggiore IF/autorevolezza.
Ma un gruppo che si occupa di ricerca pediatrica riesce a pubblicare su tali riviste non di settore?
67
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Prendendo in analisi i lavori pubblicati su una delle riviste più importanti, come il New England
Journal of Medicine durante l’anno appena trascorso si nota come questa rivista ha pubblicato 1567
lavori, di questi solamente 110 sono lavori pediatrici, in percentuale il 7%. E lo stesso accade per
altre numerose riviste. Quindi possiamo affermare che un gruppo di ricerca pediatrico riesce a
pubblicare maggiormente su riviste pediatriche meno impattate.
Una buona parte dei lavori pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche è frutto della ricerca di
grandi gruppi americani; ma a livello europeo rimane forte il contributo del Regno Unito,
Germania, Francia e Italia. Numerosi sono gli studi multicentrici.
Durante il 2015 la gran parte dei lavori pediatrici pubblicati su NEJM sono americani ma anche
lavori di gruppi europei: 4 lavori per i gruppi italiani, 7 per gli inglesi e a seguire Germania,
Francia, Olanda e Spagna. Non sono stati considerati in questa analisi studi multicentrici
(www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed).
Pubblicare il risultato di un lavoro di ricerca su tali riviste può costituire un obiettivo rilevante della
ricerca pediatrica per poter diffondere nuove scoperte ed innovazioni diagnostico-terapeutiche in
ambito pediatrico e dare maggiore visibilità e rilevanza ai risultati, che avrebbero così una più
ampia diffusione e risulterebbero più facilmente fruibili per la comunità scientifica internazionale.
Generalmente, le pubblicazioni su riviste ad alto IF (soprattutto trials clinici e studi sperimentali)
presentano livelli di evidenza maggiori rispetto ai lavori pubblicati su riviste meno impattate
(Chuback et al., 2012; Cashin et al., 2011). In particolare, riviste scientifiche che si occupano di
ricerca clinica con IF elevato presentano mediamente livelli di evidenza più alti rispetto alle riviste
pediatriche generiche e specialistiche, con IF inferiore. Gli autori di lavori scientifici con livelli di
evidenza più alti tendono a preferire la pubblicazione su riviste con maggiore IF, come The New
England Journal of Medicine o The Lancet. La differenza nei livelli di evidenza tra riviste ad alto e
quelle a medio-basso IF potrebbe essere quindi un bias di sottomissione, in quanto gli autori
parrebbero essere incentivati a sottomettere i propri lavori scientifici su riviste maggiormente
impattate (Jacobson et al., 2015). Da ciò deriva un minor numero di lavori scientifici pubblicati su
riviste ad alto IF ma con un citation index maggiore e livelli di evidenza mediamente più alti, di
contro una grande mole di dati provenienti da pubblicazioni su riviste generiche a IF più basso ma
che spesso costituiscono la base per la “best-practice” clinica nell’era dell’EBM. Questa dicotomia
è ancora più evidente in ambito pediatrico. De Mauro e collaboratori hanno confermato questo dato,
sottolineando che la qualità degli RCTs condotti in epoca neonatale e in età infantile e pubblicati su
“high-impact clinical journals” (HICJ) è mediamente superiore rispetto a quelli pubblicati su
68
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
“general pediatric journal” (GPJ) (De Mauro et al., 2011). Pertanto, HICJ pubblicano sicuramente
lavori scientifici con elevati livelli di evidenza, di ottima qualità e che rispettano criteri di validità e
rigore scientifico (soprattutto nel caso di RCTs), tuttavia pubblicano soltanto una parte dei lavori
scientifici che vengono invece resi fruibili dai GPJ con IF più basso ma che non vanno trascurati
(Jacobson et al., 2015).
I bambini costituiscono una fascia di popolazione notevolmente eterogenea e con caratteristiche
individuali estremamente variabili, particolarmente bisognosa di tutela, che presenta differenze
significative rispetto agli adulti. Sono importanti sempre nuove ricerche in ambito pediatrico per
fasce di età e stadio di sviluppo; tuttavia, non sempre tali investimenti sembrano orientati
sufficientemente verso l’ambito pediatrico (Klassen et al., 2008). Un ambito molto attivo della
ricerca scientifica è quello della sperimentazione di nuovi farmaci, indirizzati a gruppi di
popolazione generale, e pediatrica in particolare, con specifiche condizioni morbose. Tali
medicinali devono essere testati prima di un loro commercializzazione ed impiego su larga scala e
le sperimentazioni cliniche devono svolgersi tutelando al massimo i soggetti coinvolti nei test
(ISTUD 2012). Le somministrazioni farmaceutiche pediatriche sono centinaia di milioni ogni anno;
ciò nonostante, la maggior parte dei farmaci attualmente disponibili sul mercato è stata studiata e
sperimentata quasi esclusivamente su pazienti adulti, e sono spesso privi dell’autorizzazione per
l’uso specifico nei bambini (uso off-label). Ad esempio, nel periodo 1991-2001, l’FDA ha
approvato 341 nuove molecole, di cui solo 69 (20%) sono state approvate anche per l’uso nei
bambini. Negli anni il gap tra sperimentazione sull’adulto e sperimentazione pediatrica pare
invariato o è addirittura aumentato (Steinbrook, 2002) (Figura 1). Mentre il numero di RCTs su
popolazione adulta pubblicato negli ultimi 20 anni su HICJ è raddoppiato, nessun cambiamento ha
riguardato invece la produzione di RCTs pediatrici (Cohen et al., 2007; Cohen et al., 2010). Inoltre
gli RCTs su popolazioni pediatriche vengono pubblicati soprattutto su GPJ (come Pediatrics)
piuttosto che su “general medical journals” (GMJs) (Cohen et al., 2007). Infine, il numero elevato
di lavori diversi dagli RCTs (ad esempio, studi osservazionali ed epidemiologici) può fornire una
spiegazione alternativa o suppletiva all’aumento di questo gap tra la ricerca in età adulta e quella in
ambito pediatrico (Martinez-Castaldi et al., 2008) (Figura 1).
69
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Figura 1 – Nuove molecole indicate per l’uso pediatrico al momento dell’approvazione (dati
sulle entità potenzialmente utili nei bambini sono stati raccolti solo fino al 1997) (Steinbrook,
2002).
Globalmente meno del 15% di tutti i farmaci commercializzati e meno del 50% di quelli destinati
all’uso pediatrico si basano su prove cliniche ottenute in popolazioni pediatriche (European
Commission 2013). La carenza di farmaci autorizzati per l’uso pediatrico è la diretta conseguenza
della scarsità di sperimentazioni cliniche pediatriche.
Cohen et al. (2007) hanno mostrato che una netta prevalenza di RCTs su popolazione di soli adulti
rispetto a quelli su popolazione mista o esclusivamente pediatrica (età 0-18 anni). È stato accertato,
inoltre, un aumento sostanziale del numero di RCTs condotti sugli adulti rispetto a quelli condotti in
pazienti pediatrici (Cohen et al., 2007).
Il panorama non è migliore se guardiamo alla ricerca clinica condotta in Italia. Dati AIFA relativi al
periodo 2000-2006 infatti mostrano che su 4252 sperimentazioni cliniche autorizzate nel nostro
Paese, solo l’11,3% comprendeva soggetti fra 13 e 18 anni, e solo l’8,2% ha arruolato anche
pazienti d’età inferiore a 12 anni. Infine, soltanto 99 studi comprendevano esclusivamente bambini
con meno di 12 anni. Le classi di farmaci maggiormente studiate sono state gli antibiotici per uso
sistemico, i farmaci per l’apparato respiratorio e le terapie ormonali sostitutive con ormone sintetico
(AIFA 2007). Analogamente, nel periodo 2004-2009 solo il 9,8% delle sperimentazioni cliniche
autorizzate nel nostro paese comprendeva soggetti fra 13 e 18 anni, e l’8,9% ha arruolato pazienti
fino a 12 anni; solo 70 studi avevano la popolazione pediatrica come soggetto principale di studio
70
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
(AIFA 2010). Infine, su 676 studi clinici autorizzati nel 2011 meno del 10% ha coinvolto soggetti
con meno di 18 anni (AIFA 2012).
Figura 2 – Numero di pubblicazioni di RCTs, divisi per età, nelle cinque principali riviste
scientifiche internazionali di ambito medico, nel periodo 1985-2004 (Cohen et al., 2007).
Un’analisi pubblicata nel 2008 e condotta su 189 studi su popolazione adulta e su 181 su
popolazione pediatrica ha mostrato che tra gli studi sugli adulti rispetto a quelli su bambini la
maggior parte erano RCTs (23.8% negli adulti vs 8.8% nei bambini) o review sistematiche/
metanalisi (10.6% vs. 1.7%) ed erano più frequentemente di tipo interventistico e legati alla
sperimentazione di nuove procedure diagnostiche e terapeutiche (38,1 vs 17,7%). Decisamente
meno comuni gli studi tipo cross-sectional (16.9% vs. 40.9%) ed epidemiologici (6.4% vs. 26.5%)
(Martinez-Castaldi et al., 2008).
Tra le cause che limitano la conduzione di studi clinici pediatrici vanno ricordati: la difficoltà di
reperire un campione di studio sufficiente, soprattutto nell’ambito delle malattie rare; la notevole
eterogeneità della popolazione pediatrica nelle diverse fasce d’età; la necessità di formulazioni
farmaceutiche ad hoc per l’età pediatrica; la necessità del consenso informato dei genitori. Ai
pediatri spesso mancano dati sui profili di sicurezza ed efficacia dei farmaci nella fascia pediatrica,
tenendo conto che: il meccanismo molecolare di interazione può essere diverso; i meccanismi
71
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
fisiopatologici dei processi morbosi possono risultare peculiari; i profili farmacocinetici e
farmacodinamici sono caratteristici dell’epoca dello sviluppo, quindi non traslabili da modelli adulti
(Klassen et al., 2008). Rappresentano una eccezione gli studi sperimentali in ambito oncologico
(Steinbrook, 2002).
Il numero relativamente ridotto di casi disponibili costringe a ridurre la potenza dello studio e
comporta un costo elevato per raccogliere un congruo numero di pazienti, con la necessità di
strutturare lo studio come multicentrico. (AIFA 2012). Un gruppo internazionale di esperti di
metodologia clinica ha creato un forum allo scopo di sviluppare degli standard per la ricerca in
ambito pediatrico per incrementare la disponibilità di RCTs pediatrici di alta qualità
(http://www.ifsrc.org/) (Klassen et al., 2008). Inoltre, l’Europa e gli Stati Uniti hanno emanato leggi
e regole che incoraggiano le compagnie farmaceutiche ad investire una parte delle loro risorse nella
ricerca sul paziente pediatrico, al fine di ottenere dati sull’efficacia, la sicurezza e i profili
farmacocinetici e farmacodinamici dei nuovi agenti farmacologici. Ciò nonostante, ad oggi non si
evince una riduzione netta del gap con la produzione scientifica sull’adulto (Bosch, 2008; Benjamin
et al., 2006; Boots et al., 2007).
Per superare i suddetti limiti e implementare la ricerca pediatrica è fondamentale quindi la continua
integrazione con i gruppi di ricerca della medicina dell’adulto. Basti pensare ai progressi in tema di
terapie con farmaci biologici o alle terapie ormonali sostitutive con ormone umano ricombinante. Il
primo farmaco sperimentato è stato l’etanercept (recettore solubile del TNF). Successivamente
molte altre molecole biologiche (anakinra, infliximab, adalimumab, ecc.) sono state sintetizzate e
sperimentate soprattutto in campo reumatologico, gastroenterologico, ematologico ed oncologico.
Dai primi risultati ottenuti da studi nell’adulto si è poi partiti per la sperimentazione clinica nel
paziente pediatrico. La limitata disponibilità di prodotti medicinali specifici per i bambini ha creato
un mercato farmaceutico "orfano", con inevitabile prescrizione di numerosi farmaci “off-label”.
Ad ogni modo l’interazione tra ricerca clinica pediatrica e ricerca clinica nella medicina dell’adulto
può generare o aumentare il rischio di invasione della medicina dell’adulto anche nell’assistenza dei
bambini con patologie specialistiche: tale rischio può essere prontamente prevenuto attraverso una
ricerca scientifica sempre più ricca di contenuti e nuove evidenze, che permetta anche di stilare
linee guida validate al fine di limitare la generalizzazione degli interventi clinici sulla base delle
evidenze disponibili sulla popolazione adulta. Inoltre sviluppare tali linee guida significa monitorare
efficacemente le stesse evidenze scientifiche ed individuare le aree di incertezza verso cui
indirizzare la ricerca clinica, soprattutto nei settori specialistici della pediatria. Un’agenzia
72
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
nazionale per la ricerca clinica e l’appropriatezza sarebbe la risposta ideale per limitare l’ingerenza
della ricerca sull’adulto su quella pediatrica (SIP 2012).
In conclusione, un argomento dibattuto nella comunità scientifica risulta essere quello della scelta
della rivista verso la quale indirizzare la pubblicazione del proprio lavoro scientifico: produrre
numerosi lavori scientifici, pubblicandoli su riviste con IF medio-basso oppure elaborare un numero
contenuto di lavori da indirizzare però a riviste altamente impattate. Ad un approccio iniziale
parrebbe quasi di contrapporre una produzione scientifica di tipo quantitativo, a scapito della
qualità, ad una qualitativa, con elevati livelli di evidenza e ristretti criteri di validità e rigore
scientifico. In realtà l’obiettivo dovrebbe essere quello di incrementare i livelli di evidenza di tutti i
lavori scientifici pubblicati, al fine di ridurre il rischio di bias e di incrementare l’impatto scientifico
delle pubblicazioni (Jacobson et al., 2015).
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
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74
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Cambiamenti recenti e proposte per l'avvio alla ricerca clinica degli
studenti di Medicina
Cosimo Giannini , Martino Ruggieri, Angelika Mohn
Nel corso degli ultimi decenni il sistema di istruzione e formazione dei Corsi di Laurea in Medicina
e Chirurgia ha subito importanti variazioni nel flusso di studenti e nel loro processo di orientamento
verso le successive scelte di crescita professionale e di ingresso nel mondo del lavoro. Varie sono le
cause alla base di tali effetti. Tra queste, certamente hanno svolto un ruolo essenziale sia i processi
di globalizzazione, con maggiori possibilità di scambi culturali, sia l’input operato sul sistema
universitario che è stato spinto sempre più verso una maggior competitività con l’introduzione della
possibilità di caratterizzare l’efficienza e la produttività dei differenti atenei.
Nel corso degli anni si è assistito così a modifiche dell’orientamento degli studenti che risultano
sempre più indirizzati verso una “carriera clinica” già a partire dalla metà del loro percorso di
laurea orientandosi pertanto (sempre più precocemente) verso un futuro “che guarda” al successivo
corso di specializzazione.
Tali cambiamenti, nei percorsi di orientamento verso gli studi di medicina, sono in realtà già
presenti sin dagli ultimi anni della scuola secondaria di secondo grado (o “scuola superiore”), dopo
l’introduzione degli esami di ammissione a numero limitato ai Corsi di Laurea di Medicina e
Chirurgia. Nel corso degli (ultimi) anni, infatti, gli studenti della scuola superiore che desiderano
orientare i propri percorsi verso lo studio della medicina “attivano” (a partire dagli ultimi due anni
del loro corso di studi scolastici superiori) un tipo di preparazione rivolto verso conoscenze
generali, logiche, matematiche e scientifiche di tipo medico, volte al superamento dell’esame di
ammissione finale ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia.
Gli effetti di questo processo di evoluzione sono facilmente documentati dal fatto che tutti i settori
scientifico-disciplinari preclinici e dell’area BIO risultino ad oggi appannaggio quasi esclusivo di
laureati provenienti da corsi di laurea diversi da quello di Medicina e Chirurgia. Come altra
conseguenza si è assistito nel corso dell’ultimo ventennio a una progressiva e marcata riduzione
della quantità di tesi di laurea svolte negli insegnamenti del primo biennio del Corso di laurea in
Medicina e Chirurgia. Appare inoltre maggiormente evidente la diminuzione del numero di medici
che concorrono a dottorati di ricerca preclinici, che è ancora più marcata nei concorsi per i ruoli di
ricercatore negli stessi settori scientifico-disciplinari. Tali cambiamenti drastici del sistema di
75
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
educazione e formazione medica hanno determinato una progressiva perdita dello stesso valore
delle tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia. Infatti, sempre più, gli studenti sono proiettati verso la
formazione specialistica post-laurea con scarso interesse nello svolgimento di un proprio
programma di ricerca, rivolto alla stesura di una tesi sperimentale. Spesso, i lavori di tesi risultano
non direttamente svolti, nelle loro singole sezioni, dagli studenti, i quali invece, sempre più
frequentemente, prediligono tesi compilative e prive di ogni diretto coinvolgimento in attività di
ricerca. Lo svolgimento di un programma di ricerca è spesso ritenuto un impegno lungo e pesante,
privo di un reale vantaggio ai fini del raggiungimento del titolo di studio. Solo in una piccola
percentuale di soggetti è presente una diretta vocazione per la ricerca.
Ciò che si sta verificando è il progressivo allontanamento dei laureati in Medicina e Chirurgia
dall’addestramento alla ricerca scientifica, le cui cause si potrebbero riassumere come segue:
•
la difficoltà a confrontarsi in maniera continuativa con la ricerca durante il corso di
laurea magistrale in Medicina e Chirurgia;
•
la carenza di una proposta didattica che integri l’addestramento alla professione medica
con quello alla ricerca;
•
la difficoltà a continuare il percorso formativo post-laurea con il Corso di Dottorato, che
entra in competizione con lo svolgimento della Scuola di Specializzazione.
Sulla base di tali cambiamenti e carenze del sistema di formazione delle Scuole di Medicina e
Chirurgia, si dovrebbe optare per un processo di formazione di tipo multifunzionale e flessibile, in
grado di identificare le diverse vocazioni dei discenti, al fine di valorizzare le capacità cliniche e,
laddove presenti, anche quelle scientifiche.
Le attitudini di alcuni dei nostri allievi alla ricerca dovrebbero essere evidenziate già nel corso di
laurea, di per sé lungo, al fine di non disperdere questo patrimonio, che, se abbandonato a se stesso,
con un corso di specializzazione successivo fortemente e giustamente professionalizzante,
correrebbe il rischio di essere estinto. Questo effetto negativo potrebbe essere ulteriormente favorito
dai processi di cambiamento introdotti dalla globalizzazione con centralizzazione delle risorse a
livello mondiale e in strutture virtuose, e trasferimento tecnologico e valorizzazione della ricerca in
sedi specifiche. Tali effetti sono evidenziati dal problema noto come “fuga dei cervelli” che
comporta la perdita di professionisti potenzialmente produttivi per il nostro paese: allo stesso
tempo, però va ricordato come questi professionisti, per diventare tali, necessitino di un percorso
variegato e di un passaggio (quasi) “obbligato” in istituzioni estere, per completare la propria
formazione. Per questo da un lato i corsi di studio devono dotarsi di percorsi di eccellenza che
76
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
identifichino gli studenti più portati per la ricerca e che permettano la differenziazione del titolo
acquisito al termine del periodo di studio. L’attivazione di corsi di eccellenza rappresenta
certamente un importante processo di cambiamento volto allo sviluppo di sistemi di alta formazione
in area sanitaria, in quanto proprio la nostra tipologia di corsi deve, e sempre più dovrà in futuro,
presentare la doppia valenza di preparazione di un medico specialista, ma anche, per una minoranza
non meno importante, di un “ricercatore clinico” (“physician-scientist” o “physician-investigator”).
In tale prospettiva in un numero sempre più crescente di paesi a livello mondiale sono stati creati e
sviluppati nuovi percorsi formativi associati ai corsi di Medicina e Chirurgia tipicamente descritti
dal programma integrato definito come MD-PhD.
Il Programma MD/PhD [dall'inglese MD: Medical Doctor; e dal latino PhD: Philosophiæ Doctor]
è un percorso destinato a studenti in Medicina fortemente motivati. Ha essenzialmente l’obiettivo di
preparare i futuri medici a operare nel punto di incontro tra la medicina clinica e la ricerca
sperimentale. Pertanto il programma MD/PhD nasce dalla volontà di investire sulla formazione di
medici con particolari capacità e potenzialità di guidare la transizione o la “traslazione” “bench-tobedside” che permetta in modo rapido di trasferire i risultati dal laboratorio al paziente, in quella
che si definisce appunto “Medicina Traslazionale”. L’obiettivo didattico è istruire un gruppo
ristretto di studenti di Medicina e Chirurgia affinché sviluppino interesse e competenza alla ricerca
e vengano motivati a continuare dopo la laurea il loro percorso formativo con l’acquisizione del
Dottorato di Ricerca. Questo Programma preparerà giovani medici capaci di lavorare in scienze di
base, traslazionali e cliniche per incrementare conoscenze mirate allo sviluppo e all’applicazione di
nuovi approcci di prevenzione, diagnosi e terapia.
Cenni storici sul “MD-Ph Dprogram”: stato dell’arte negli Stati Uniti, Canada e Gran
Bretagna
Il programma MD-PhD negli Stati Uniti è stato avviato negli anni ‘50, con il primo “Medical
Scientist Training Program grant” (MSTPgrants) supportato dal National Institute of General
Medical Sciences (NIGMS) nel 1964 presso tre principali università americane(National Institute
of General Medical Sciences, 1998). Nel corso dei successivi 50 anni, un numero sempre più
crescente di corsi sono stati attivati sia da parte del MSTP che da parte di altre istituzioni e degli
stessi atenei. Nel 2009 si è calcolato che circa il 3.2% (547/16,838) di tutti i laureati in medicina che
hanno superato l’abilitazione del Liaison Committee on Medical Education (LCME), hanno
precedentemente frequentato un corso MD–PhD (Association of American Medical Colleges,2012,
77
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
2015). Nel 2011 si è documentato un marcato incremento del numero di corsi relativi al programma
MD-PhD, (presente in circa 111 delle 131 delle Scuole di Medicina degli Stati Uniti) (Andrioleet
al., 2008; Barzansky e Etzel, 2011; Jeffeet al., 2014). Ulteriori dati dimostrano come nell’anno
accademico 2012-2013, sono stati attivati circa 43 programmi supportati dal MSTP(Institutions,
2015). Ad oggi, il MSTP prevede il coinvolgimento di circa 45 università per un totale di 890
candidati, ed inoltre circa 75 Scuole di Medicina negli Stati Uniti supportano privatamente dei corsi
MD/PhD non sponsorizzati dal NIGMS-MSTP training. Gli studenti afferenti a tale corso di studi
sono direttamente coinvolti in un programma di formazione che prevede sia scienze biomediche di
base e di laboratorio che un training clinico formativo incluso nel corso di Medicina. Al termine di
tale processo formativo i laureati acquisiscono il titolo di MD-PhD e la maggior parte prosegue al
propria carriera nel campo della ricerca di base e clinica.
Il percorso di studio per gli studenti del programma MD-PhD è generalmente diviso in tre parti,
definite sulla base del periodo necessario per il raggiungimento dei crediti formativi e descritti
secondo una cadenza temporale (2-4-2 anni), con possibili variazioni della durata dei singoli
periodi.
Il primo periodo del programma MD/PhD prevede una fase iniziale di due anni caratterizzato da un
coinvolgimento diretto dello studente in un periodo di studio e di corsi pre-clinici. Tale prima fase
era poi associata dapprima ad un secondo periodo di circa 3 o più anni rivolto al completamento del
PhD program con attività di ricerca e stesura dei risultati relativi alla propria attività e
successivamente ad un terzo periodo di circa due anni di training clinico al fine del raggiungimento
della laurea in Medicina.
Per tutti gli studenti selezionati, il programma prevede la copertura di almeno 6 anni di supporto
economico extra che riguardano un salario, la possibilità di essere esenti da lezioni ed una modesta
somma economica per viaggi e materiali necessari relativi alle attività di ricerca da svolgere. Molti
dei finanziamenti del MSTP sono borse di studio del National Research Service e perciò studenti
con cittadinanza americana o anche in assenza di cittadinanza americana ma in possesso di regolare
visto di soggiorno, quale per esempio registrazioni I-151 o I-551.
Nel corso degli ultimi 20 anni tale approccio si è mostrato deficitario dal punto di vista di coesione
tra “medical e graduate training”. Per tale motivo il modello organizzativo ha subito delle modifiche
con un più precoce inserimento delle attività cliniche e di ricerca nelle fasi precoci del percorso di
studio che poi vengono proseguite ed implementate nel corso dei successivi anni. Sebbene i diversi
centri possono presentare ampie variabilità ed autonomia nella organizzazione dei programmi di
78
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
studio, si è assistito alla partecipazione full-time dei candidati ad attività cliniche in fasi sempre più
precoci del percorso di studi ed ad una maggior flessibilità del curricula del corso per ogni
candidato. Analisi effettuate dal “Medical Scientist Training Program committee” negli Stati Uniti
nel corso degli anni hanno permesso di dimostrare come il programma è risultato efficiente nel
raggiungimento degli obbiettivi prefissati. In particolare, dati ottenuti da analisi del 2014, hanno
permesso di confermare che i laureati che hanno terminato l’American MD/PhD program hanno un
maggiore tasso percentuale di successo delle applications per numerosi finanziamenti supportati dal
National Institute of Health (NIH) [tra cui RPG e R01 grant) (site, 2015). Inoltre, sebbene solo
l’1.5% di tutti laureati in Medicina degli Stati Uniti nel periodo post-laurea ha proseguito un’attività
e una carriera di ricerca scientifica, è stato dimostrato come tale percentuale cresca enormemente
nel corso degli anni. Infatti, si calcola che circa l’89% dei candidati del programma MD/PhD nel
periodo successivo alla laurea rivesta ruoli presso istituti accademici o di ricerca di alto rilievo
scientifico con attività di ricerca (Schwartz e Gaulton, 1999;Garrison e Deschamps, 2014).
Risultati simili sono stati dimostrati anche in altri paesi quali il Canada, dove circa il 70% dei
finanziamenti supportati dal “Canadian Institutes of Health Research (CIHR)” sono stati vinti da
candidati precedentemente coinvolti in un programma MD/PhD. Nel periodo compreso tra il 2004 e
il 2013, il numero totale di laureati provenienti da un programma integrato MD/PhD in Canada è
risultato essere pari a circa 234 soggetti. Il report del NIH Physician-Scientist Workforce (PSW)
Working Group del 2014, tuttavia, ha posto l’attenzione su alcuni allarmanti dati riguardanti
importanti fattori che nel corso degli anni sembrano influenzare negativamente il raggiungimento
degli obbietti del programma MD/PhD. In particolare il gruppo di analisi ha dimostrato un maggior
tasso di fuoriuscita dal programma dei candidati ammessi al programma MD/PhD con contestuale
aumento dell’età media dei medici-scienziati. Tale ultimo effetto risulta come diretta conseguenza
sia della maggior età media all’inizio del programma che da una riduzione del numero di soggetti di
giovane età che scelgono tale programma di studio con conseguente riduzione di soggetti di giovane
età che andranno a sostituire coloro che andranno in pensione (Milewicz et al., 2015). Altre carenze
del sistema sono state poste da studi condotti in Canada(CIHR Evaluation Unit, 2015). In
particolare, componenti critiche in grado di influenzare negativamente la richiesta di partecipazione
ai corsi integrati MD/PhD sono direttamente rappresentate da: (1) l’eccessiva lunghezza del corso
rispetto al ciclo di Medicina e Chirurgia; (2) la mancanza di fondi ed in particolare di fondi dedicati;
(3) minore remunerazione economica al termine del corso integrato rispetto a quello ottenuto con
acquisizioni di lauree specialistiche; (4)ritardo di acquisizione dell’indipendenza economica
raggiunta spesso più tardivamente rispetto al normale corso di laurea in Medicina e Chirurgia; (5)
79
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
l’assenza di figure di tutoraggio in grado di facilitare la formazione degli studenti; (6) mancanza di
strutture/attrezzature appropriate per la formazione clinica e di ricerca degli studenti; (7) l’assenza
di un appropriato tempo dedicato allo svolgimento di attività di ricerca. Tali fenomeni sono ora in
via di discussione al fine di sopperire e contrastare tali effetti. In particolare risulta importante
attivare processi in grado di attrarre un maggior numero di nuovi membri interessati a tale
programma ed ad una minore età anagrafica, con riduzione di tutti quei processi di logoramento
evidenziati nel corso di studi tra cui in particolare la lunga durata e l’utilizzo di canali differenziati e
specifici per tali programmi.
Anche alcuni paesi europei hanno adottato nel corso degli anni il programma MD/PhD ricalcando,
con piccole variazioni, il sistema americano e tra questi la Gran Bretagna, la Germania (Bosse et al.,
2011), la Svizzera (Kuehnleet al., 2009), oltre all’Australia(Poweret al., 2003) e Singapore(Hooi et
al., 2005).
La più lunga tradizione del programma MD/PhD in Gran Bretagna è rappresenta dai programmi
attivi presso l’università di Cambridge a partire dal 1989 e lo “University College of London”
(UCL) a partire dal 1994 (Coxet al., 2012;Stewart, 2012). In Gran Bretagna, gli studenti del
programma MB/PhD iniziano il periodo formative del PhD dopo aver completato una iniziale
periodo formativo che prevede l’acquisizione del titolo di “Bachelor’s degree (iBSc)”. Dati recenti
calcolano che circa 30 studenti all’anno raggiungono annualmente il titolo di MB/PhD con una
prevalenza annua pari al 0.5% del numero totale di laureati in Medicina e Chirurgia (Indicators,
2015). Dati disponibili dimostrano che la maggior parte degli studenti afferenti al programma
completano il periodo di studi in circa 3.5 anni. Inoltre, in circa 79% dei laureate, si documenta la
persistenza di un interesse diretto e un diretto impiego in attività di ricerca clinica (Bosse et al.,
2011; Kuehnle Ket el., 2009)ed una percentuale pari al 45% risulta impiegato e prosegue la propria
attività con un percorso clinico in istituzioni accademiche (“academic foundation, post-doctoral
scientist/fellow, lecturer or professors”). In un recente studio condotto in Gran Bretagna è stato
dimostrato come 4 (pari a circa il 14%) delle scuole di Medicina intervistate hanno attivato un
programma MB/PhD, mentre in altre 5 scuole sono state attivate le procedure per il possibile inizio
del corso nei prossimi anni (Barnett-Vanes et al. 2015).
80
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Programma MD/PhD in Italia
In Italia, il programma MD/PhD, è stato sperimentato in due importanti atenei Italiani:
nell’Università degli Studi di Torino e alla Sapienza Università di Roma. Successivamente, il
modello adottato presso gli atenei di Torino e Roma, è stato parzialmente esteso anche ad altri
atenei. Il percorso MD/PhD in Italia è oggi strutturato come percorso formativo aggiuntivo al Corso
di Laurea in Medicina e Chirurgia a partire dal 2° anno e porta al conseguimento simultaneo della
Laurea in Medicina e Chirurgia e del certificato di alta qualificazione denominato “Diploma in
Medicina Sperimentale”.
A tal fine, la Scuola di Medicina [che porta al conseguimento di tale Diploma], promuove in
particolare la formazione e la ricerca nell’ambito di tutte le scienze di base e cliniche, per la
risoluzione di problemi di interesse medico raffigurandosi nelle seguenti caratteristiche:
•
multidisciplinarità scientifica;
•
correlazione tra scienze di base e scienze cliniche;
•
collegamento con l’ambiente assistenziale;
•
collegamento con il mondo imprenditoriale;
•
internazionalizzazione.
Il percorso consiste nella frequentazione di un numero massimo di tre corsi tra quelli proposti e
nella preparazione di una tesi sperimentale correlata. I corsi sono soprattutto pratici e consistono in
lunghi periodi di frequenza e addestramento alla ricerca presso i laboratori e i reparti della Scuola di
Medicina. Il doppio percorso permette di acquisire competenze e crediti formativi per i Corsi di
Dottorato di Ricerca. La successiva iscrizione al Corso di Dottorato è un'opzione offerta ai
diplomati e non un percorso obbligatorio. L’accesso al programma avviene attraverso un concorso
nazionale per esami che viene svolto nei tempi e secondo le modalità ogni anno previste dal bando
con indipendenza all’interno dell’Ateneo: l’accesso al concorso e dunque al programma è riservato
agli studenti iscritti al 1° anno del corso di laurea (C.d.L.) in Medicina e Chirurgia di qualunque
Università italiana. Il concorso verte su materie di base pre-mediche e sulle motivazioni del
candidato/a.
Sulla base dell’offerta formativa dell’ateneo, solo i candidati in posizione utile saranno ammessi al
Programma e contemporaneamente frequenteranno il 2° anno di Medicina e Chirurgia.
L'ammissione è condizionata dal superamento, entro la sessione autunnale, e nell’anno di iscrizione
di tutti gli esami previsti per il 1° anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università
di provenienza con la media uguale o superiore a 27/30. Le attività didattiche, teoriche e pratiche,
81
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
dei corsi aggiuntivi, saranno svolte e coordinate da docenti delle Scuole di Medicina e Chirurgia e
Scienze dalla Salute e delle Scuole di Dottorato, e sono nella maggior parte dei casi fruite a titolo
gratuito. Il percorso formativo prevede la contemporanea frequenza del Corso di Laurea in
Medicina e Chirurgia e del percorso aggiuntivo di Medicina Sperimentale. Quest’ultimo prevede,
durante gli anni dal 2° al 6° del Corso di Laurea in Medicina, corsi specifici che coprano argomenti
di ricerca di base, traslazionale e clinica, ove i primi siano propedeutici ai successivi, e che non
possono essere affrontati all’interno del Corso di Laurea.
L’attività Didattica è disciplinata da un apposito regolamento contenente (tra gli altri) i corsi
proposti. I percorsi formativi di norma vedranno una sequenza di corsi che potranno essere di
ricerca di base e clinica nello specifico settore (medicina, chirurgia, patologie materno-infantili,
neuro-psichiatria) variamente combinati. L’allievo segue un percorso individuale, che sceglie
autonomamente, in linea con le proprie attitudini e aspirazioni, e discute e concorda con il Comitato
Didattico-Scientifico. Allo studente è garantita la massima flessibilità non solo nella scelta iniziale
ma anche nel rimodellamento successivo del percorso. Inoltre, l’organizzazione del percorso
permette anche la possibilità che lo studente venga guidato a costruirsi un curriculum
personalizzato. I corsi aggiuntivi hanno contenuti teorico-pratici di alto valore scientifico e
consistono soprattutto in attività da svolgere nei laboratori e nei reparti afferenti. I corsi sono
integrati da programmi di scambio con le istituzioni universitarie più prestigiose a livello nazionale
ed internazionale e dall'organizzazione di cicli di conferenze di particolare valore scientifico e
culturale. Il percorso formativo prevede in ogni caso lo sviluppo di un progetto di ricerca da parte
dello studente, concordato con i docenti responsabili dei corsi frequentati e approvato dal Comitato
Didattico-Scientifico. Il progetto dovrà essere svolto in maniera sempre più autonoma e diventerà
oggetto della tesi di Laurea e della tesi di Diploma. La tesi dovrà perciò obbligatoriamente essere
sperimentale. Ogni triennio viene svolta una verifica sulla proposta dei Corsi con la possibilità di
rimodellare il percorso inserendo nuovi corsi e/o sostituendo quelli già indicati. Durante tale
periodo ogni allievo è affiancato da un tutor nominato dal Comitato Didattico-Scientifico durante
tutto il periodo della frequenza del programma. Ogni allievo è tenuto ad aggiornare il proprio tutor
sull'avanzamento degli studi sia per quanto riguarda i corsi ordinari del Corso di Laurea sia per
quanto riguarda il piano di studi e il progetto di ricerca. Per ogni allievo è previsto l’accertamento
dell’acquisizione dei crediti che avviene attraverso la presentazione al Comitato DidatticoScientifico del lavoro sperimentale svolto nel periodo di frequenza del corso. Sulla base di quanto
svolto durante il programma integrato, per ogni allievo può essere presa in considerazione la
possibilità di abbreviare la durata del corso di dottorato da tre a due anni in virtù del riconoscimento
dei predetti studi ai fini del conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Gli studenti del Corso di
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, ritenuti idonei a partecipare al percorso integrato
MD/PhD, in aggiunta ai 360 crediti necessari per il conseguimento della laurea, devono acquisire, a
partire dal secondo semestre del 2° anno della laurea magistrale, ulteriori 60 crediti per attività
formative dedicate in modo particolare all’approfondimento di aspetti metodologici specifici e
interdisciplinari di base, propedeutiche alle attività di ricerca da svolgere nel corso del biennio di
dottorato, da intraprendere dopo il conseguimento della laurea magistrale. L’ammissione alla
Scuola di dottorato in Scienze Biomediche dei laureati che hanno partecipato alle attività aggiuntive
e acquisito i relativi crediti è subordinata al superamento di una selezione da svolgersi a cura di
un’apposita Commissione nominata dal Rettore, su proposta del Consiglio Direttivo della Scuola
stessa. Nel corso dei restanti due anni del percorso MD/PhD i dottorandi devono frequentare una
delle strutture di riferimento della Scuola e sviluppare un progetto di ricerca nell’ambito della
biomedicina. Il titolo di dottore di ricerca si consegue a conclusione dei due anni, all’atto del
superamento dell’esame finale, che è subordinato alla presentazione di una tesi che illustri una
ricerca originale, condotta con sicurezza di metodo e dalla quale emergano risultati di rilevanza
scientifica adeguata.
Gap dell’attuale sistema e possibili proposte di cambiamento
Nel 1979, Wyngaarden, tentò di porre all’attenzione della collettività un importante problema
riguardante segni di una possibile evoluzione verso l’estinzione dei ricercatori clinici [“physicianinvestigators”], ovvero di un’importante componente di comunicazione e traslazione tra ricerca e
attività clinica. Tale affermazione derivò dall’osservazione della tendenza in rapido declino del
numero di differenti figure di ricercatori (post-doctoral fellows, research-career-development
awardees e research-project-grant-principal investigators) arruolati dal NIH degli Stati Uniti,
sebbene in tale paese siano stati da tempo attivati programmi specifici MD/PhD.
Varie sono le spiegazioni alla base di tale importante e allarmante fenomeno. Tale effetto può
risultare alquanto paradossale se si considerano i continui progressi della scienza caratterizzati dal
miglioramento di diagnosi, trattamento e prevenzione di un numero di patologia sempre più ampio.
Tale paradosso può essere spiegato da numerose considerazioni che coinvolgono tutte le differenti
tappe del complesso e spesso lungo percorso formativo. È stata posta l’attenzione su un’erronea
informazione dei possibili candidati già al momento del reclutamento nei college, dove spesso gli
studenti sono informati sulla possibilità di diventare medici o ricercatori scoraggiando la possibilità
di poter accedere a corsi più complessi che prevedono l’arruolamento di circa il 2% di tutti gli
83
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
studenti di Medicina. Questo primo gap è ulteriormente rinforzato dalle commissioni di
reclutamento degli studenti in Medicina che spesso non risultano più propense al reclutamento di
candidati con precedenti esperienze di ricerca o che spesso non sono in grado di descrivere le
potenzialità e la componente attrattiva di programmi rivolti alla formazioni di figure professionali in
grado di conciliare l’attività clinica e di laboratorio. Inoltre, la possibilità di svolgere un progetto di
ricerca da parte degli studenti nel corso degli studi del corso di laurea in Medicina è spesso
dipendente dalle richieste dello studente stesso e solo una piccola percentuale di soggetti esprime
tale propensione. La maggior parte dei laureati, inoltre, sebbene altamente istruita con un ampio
bagaglio culturale, termina il proprio percorso con un importante debito economico risultante dal
proprio corso di studi e ammontante a circa $90.000, riducendo pertanto l’interesse in un possibile
futuro in ricerca e orientando la propria attenzione al raggiungimento di iniziali guadagni economici
al fine di abbattere i debiti maturati. Inoltre, la possibilità di attività di ricerca è prevista solo nel
corso di specializzazioni, ma tale periodo è spesso troppo limitato nel tempo, e/o viene svolto in
maniera superficiale, né è in grado di fornire fondi specifici per intraprendere una lunga carriera di
ricerca scientifica che consentano di fronteggiare le esigenze economiche della famiglia,
ulteriormente aggravate dai carichi di spese. La maggior parte dei soggetti che decidono di
perseguire le proprie aspirazioni di ricerca e clinica devono spesso fronteggiare le crescenti
esigenze di aumentare la propria attività clinica sino a coprire oltre il 70-75% del salario, riducendo
pertanto a solo il 25-30% circa il tempo dedicato alla formulazione di ipotesi di studio, alla ricerca
di fondi, e alla formazione di un team di ricerca. Tale gap rappresenta un’importante carenza del
sistema di formazione medico-scientifica. Infatti, sebbene la Scuola di Medicina esula dal compito
propriamente definito del “come ottenere le risposte scientifiche” dal complesso e spesso lungo
processo della ricerca di laboratorio, essa rappresenta certamente il posto ideale dove far emergere
un elevato numero di domande riguardanti lo stato di salute e le varie patologie valutate nel
quotidiano la cui risposta può essere ottenuta attraverso la ricerca di base e/o la ricerca clinica.
Infatti, dal diretto coinvolgimento quotidiano dei ricercatori clinici nella diagnosi delle differenti
patologia e nelle cure dei malati nasce la centralità del loro ruolo nella complessa rete di persone
dedicate alla cura e prevenzione della salute pubblica. Il ruolo chiave del ricercatore clinico non è
solo basato sulla capacità di porre appropriati temi di ricerca ma anche sul suo ruolo di permettere
un flusso bidirezionale delle informazioni e comunicazioni. Infatti il ricercatore clinico è in una
posizione ideale di comunicazione e collaborazione da un lato con i puri ricercatori (dottori di
ricerca o PhD scientists) e dall’altro con il personale medico e paramedico. La mancanza di tale
figura avrebbe rilevanti effetti negativi sul sistema della prevenzione e cura delle malattie e sul
sistema sanitario in quanto non permetterebbe un opportuno e proficuo orientamento delle risorse al
84
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
fine di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza della popolazione. Tuttavia, nel corso
dell’ultimo ventennio, sempre più studenti sono proiettati alla formazione specialistica post-laurea
con scarso interesse nello svolgimento di un proprio programma di ricerca, rivolto alla stesura di
una tesi sperimentale. Tale fenomeno è ulteriormente fortificato dalle nuove norme di
regolamentazione dell’accesso al corso di specialistica post-laurea che prevede una perdita di valore
del lavoro di tesi svolto durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Per tale motivo i lavori di
tesi risultano spesso non direttamente svolti dagli studenti con predilezione di tesi compilative, in
quanto l’attività di ricerca viene considerata un carico di lavoro aggiuntivo e a volte ritardante il
raggiungimento di un’iniziale introduzione nel mondo del lavoro e la successiva fase di crescita
professionale rappresentata dal corso di specializzazione. Al tempo stesso, la piccola percentuale di
studenti con vocazione nella ricerca che decidono di optare per i percorsi combinati non presentano
vantaggi che possano incentivare l’interesse in tale percorso formativo caratterizzato da intensi
periodi di studio ed impegno in attività di ricerca e attività clinica. Tutto questo sta determinando un
progressivo allontanamento dei laureati in Medicina e Chirurgia dall’addestramento alla ricerca
scientifica. Tale fenomeno è spesso favorito dall’assenza negli atenei di strutture amministrative
apposite e con il compito di rappresentare il punto di colloquio diretto tra gli Atenei ed i futuri
ricercatori.
Nella prospettiva di un recupero della vocazione scientifica di base e traslazionale del medico, e
della sua formazione, le Scuole di Medicina e Chirurgia dei singoli Atenei hanno un ruolo
determinante di facilitatori e di accompagnatori del processo stesso. È ormai fondamentale passare
da una logica di lavoro in cui il ricercatore è un factotum che svolge, gestisce ed amministra la
propria attività scientifica, a quella di lavoro in team in cui la struttura amministrativa crea per il
ricercatore tutte le strutture/attrezzature necessarie alla preparazione, presentazione e gestione del
proprio progetto di ricerca, fino alla eventuale tutela di proprietà intellettuale e trasferimento sul
mercato dei risultati.
L’attività formativa della Facoltà di Medicina e Chirurgia del III millennio dovrebbe essere perciò
rivolta alla preparazione dei suoi discenti secondo un processo che non sia rivolto alla sola
preparazione di un buon medico, ma che predisponga, laddove esista la vocazione, anche ad una
capacità scientifica, di ricerca, e di trasferimento delle conoscenze prodotte verso il mercato
globale. Inoltre, come già accade in diverse realtà europee quali la Germania, al fine di permettere
una adeguata differenziazione degli studenti coinvolti in programmi MD/PhD, si dovrebbero
stabilire due tipologie di lauree: (a) una più medica, con acquisizione del titolo di medico e
85
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
possibilità di ulteriori sbocchi verso attività specialistica-professionale; e (b) una più specifica
“medica-scientifica” con acquisizione del titolo di Dottore in Medicina, ma con maggior sbocchi nel
campo della ricerca e accademica-clinica. Tale processo dovrebbe essere cosi rivolto al
potenziamento del valore di tesi di laurea degli studenti afferenti al programma MD/PhD i quali al
termine del processo formativo acquisirebbero comunque il titolo di Dottore in Medicina. Al
contrario gli studenti direttamente coinvolti nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia potrebbe
proseguire il proprio corso di Laurea senza elaborare una tesi di Laurea al termine del corso ed
acquisire il titolo di Medico. Tali variazioni permetterebbero una adeguata differenziazione dei due
percorsi formativi.
L’osservazione dei punti di forza e di debolezza dei nostri percorsi formativi e soprattutto l’analisi
critica dei risultati ad oggi ottenuti in altri atenei internazionali potrebbe facilitare il processo di
miglioramento delle scuole di Medicina e Chirurgia del nostro paese al fine di poter raggiungere un
elevato grado di competitività e produttività del nostro sistema di formazione dei giovani medici e
dei ricercatori clinici.
Tali concetti sono la chiave di volta per innovare la formazione universitaria del medico in
particolare per ripensare al rapporto fra strutture della formazione e dell’amministrazione dei nostri
Atenei. In parallelo, l’attività di ricerca ha assunto un ruolo più rilevante rispetto ai decenni passati,
come indicatore di qualità e per fornire quel valore aggiunto utile (necessario) per il mantenimento
del ruolo centrale dell’Università nella Società. Ricerca e Innovazione sono, infatti, le principali
leve per la crescita e lo sviluppo di un Paese moderno e l’Università può e deve giocare un ruolo
determinante in questa partita.
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87
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Dalla Specializzazione alla ricerca:
il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca e la
proposta di Percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria
Giuseppe Saggese, Gianni Bona, Luigi Maiuri, Alice Monzani
Modifiche normative per la Scuola di Specializzazione di Pediatria
Il 4 febbraio 2015 è stato emanato il Decreto Interministeriale di Riordino delle Scuole di
Specializzazione (DI n.68). Il Decreto ha pienamente recepito la proposta di modifiche avanzate al
MIUR ed al CUN dalla Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione di Pediatria in un
documento presentato già nel 2012.
La considerazione preliminare che ha ispirato la proposta di modifiche da parte della Conferenza è
stata quella che la pediatria viene identificata sul piano didattico-formativo dal settore scientifico
disciplinare MED/38 “Pediatria generale e specialistica”, a significare che la pediatria deve essere
considerata alla stregua della “medicina interna” del bambino comprendente, in un percorso
unitario, sia la pediatria generale delle cure primarie e secondarie, sia i suoi settori specialistici.
Un primo importante risultato ottenuto è stato quello che, a fronte della diminuzione generale della
durata delle Scuole di Specializzazione attuata dal MIUR, la durata della pediatria è stata mantenuta
di 5 anni.
Questo primo risultato è stato preliminare per il secondo risultato ottenuto, cioè quello riguardante
la nuova articolazione del percorso formativo.
Nel trattare il nuovo percorso della Scuola di Specializzazione, in questa sede verranno presi in
esame soprattutto quegli aspetti che fanno riferimento all’attività di ricerca che lo specializzando
può svolgere durante la sua formazione.
Secondo il Decreto, il nuovo percorso comprende, in analogia con il modello europeo di formazione
specialistica previsto dall’European Board of Pediatrics, un primo triennio o curriculum di base,
seguito da un biennio o curriculum della formazione specifica e dei percorsi elettivi.
Nella figura è riportato lo schema dell’intero percorso formativo con le varie tipologie di attività
formative e i relativi CFU.
89
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il curriculum di base (triennio) è destinato all’acquisizione di un bagaglio di saperi comuni che tutti
i pediatri devono possedere, indipendentemente dalla collocazione professionale futura.
Gli obiettivi formativi del curriculum pediatrico di base si articolano in conoscenze, competenze
professionali ed abilità nella pediatria generale e nei diversi ambiti specialistici della pediatria.
Dunque lo specializzando viene esposto già dai primi anni anche ad una serie di attività, sia teoriche
che professionalizzanti, riguardanti le (sub)specialità pediatriche. Come riportato nel Decreto, lo
specializzando deve infatti eseguire con responsabilità diretta e crescente autonomia 500 visite
specialistiche distribuite nei vari settori specialistici.
Quindi, anche nella prima fase del triennio, lo specializzando frequentando durante le sue rotazioni i
reparti specialistici, può iniziare a seguire progetti di studio e di ricerca clinica.
Dopo il triennio, abbiamo il biennio della formazione specifica e dei percorsi elettivi con 3 indirizzi:
1) pediatria generale delle cure primarie o territoriali, 2) pediatria generale delle cure secondarie od
ospedaliere, 3) ambiti specialistici della pediatria.
Come riportati nel Decreto, gli obiettivi formativi del biennio sono finalizzati a consolidare ed
approfondire le competenze già in essere, ad acquisirne di nuove ed a tracciare lo specifico profilo
professionale e culturale che deve possedere il pediatra che si troverà ad operare nell’ambito delle
cure primarie territoriali o delle cure secondarie ospedaliere o in uno tra gli ambiti pediatrici
specialistici predisposti dalla Scuola di Specializzazione. Tali obiettivi si articolano in: a) obiettivi
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
formativi comuni a tutti i medici in formazione specialistica; e b) obiettivi formativi di ambito
specialistico - professionale.
Quanto osservato significa che la Scuola ha l’obiettivo di formare uno specialista in pediatria “a
tutto tondo”, cioè uno specialista in grado di iniziare a svolgere la professione in qualsiasi ambito di
lavoro si troverà ad operare una volta specializzato. Pertanto, i curricula del biennio della
formazione specifica devono essere funzionali a completare la formazione del pediatra e a
contribuire a definire il profilo professionale che lo specializzando pensa di ricoprire in futuro. In
particolare, per quanto riguarda i curricula dei percorsi (sub)specialistici pediatrici (inclusivi di
quello di neonatologia), essi non devono essere pensati come percorsi finalizzati a formare un “subspecialista” pediatra, bensì come momenti formativi propedeutici ad un percorso di alta formazione
da svolgersi e completarsi in un tempo successivo al conseguimento del Diploma di Specialità.
Durante il biennio (sub)specialistico, lo specializzando deve continuare la sua formazione in
pediatria generale, neonatologia ed emergenza-urgenza.
Pertanto ogni Scuola di Specializzazione deve essere in grado di formare un pediatra che andrà ad
operare nelle cure primarie o secondarie, indipendentemente dagli indirizzi specialistici che
vorrà/potrà attivare.
Questa impostazione è seguita anche nel curriculum della Specializzazione in Pediatria del Royal
College - Regno Unito, dove la durata dell’intero percorso va da 5 a 8 anni. I primi 3 anni
rappresentano il tronco comune, o Core Training (CT); al termine lo specializzando può continuare
il percorso di pediatra generale oppure orientarsi verso le (sub)specialità, percorso quest’ultimo che
può continuare per altri 2-3 anni (ST6-ST8). Lo specializzando che opta per un percorso formativo
(sub)specialistico deve comunque consolidare la sua formazione in pediatria generale e, dopo i
primi 5 anni, ottiene il titolo di “specialista in pediatria”.
Dunque, come già osservato, i curricula dei percorsi (sub)specialistici devono essere considerati
come momenti formativi propedeutici ad un processo formativo da svolgersi e completarsi dopo la
Scuola di Specializzazione.
Fatte queste preliminari considerazioni, lo specializzando che opta per un indirizzo
(sub)specialistico ha sicuramente l’opportunità di svolgere un’attività di ricerca clinica, essere
inserito in progetti di ricerca e partecipare alla stesura di pubblicazioni. Un’attività di ricerca clinica
può essere svolta anche frequentando l’indirizzo delle cure primarie e delle cure secondarie, ma,
ovviamente, i settori (sub)specialistici rappresentano campi sicuramente appropriati per svolgere
attività di ricerca.
91
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Come riportato nel Decreto (art. 5 comma 1), le attività svolte nei settori specialistici del biennio
saranno riportate nel supplemento al diploma che correda il diploma di specializzazione e che
certifica l’intero percorso formativo svolto dallo specializzando. Il supplemento al diploma fornisce
al contempo dati per un “benchmark” tra le Scuole ed inoltre potrà servire, nel contesto della libera
circolazione dei professionisti in Europa, per permettere ai nostri pediatri di presentare le
credenziali professionali maturate nel corso degli anni della Scuola.
Sicuramente un aspetto importante da affrontare riguarda l’attivazione degli indirizzi del biennio. È
già stato osservato che la Scuola ha l’obiettivo di formare un pediatra in grado di lavorare in
qualsiasi ambito professionale: territorio, ospedale, centri di 3° livello. Al contempo, uno dei
principi ispiratori del nuovo Decreto è stato quello di legare maggiormente la formazione agli
sbocchi lavorativi del futuro pediatra: da qui gli indirizzi del biennio che, come rilevato, hanno il
significato di orientamento professionale. Per quanto riguarda in particolare gli indirizzi
(sub)specialistici, il Decreto sottolinea che la Scuola può attivare gli indirizzi che essa “è in grado di
offrire”. Questo implica che, nell’ambito delle singole Scuole, si dovrà realizzare un processo di
accreditamento, che idealmente non dovrebbe trattarsi di un auto-accreditamento. La Conferenza
dei Direttori delle Scuole di Specializzazione dovrà essere proattiva in questo senso, definendo dei
criteri (strutture, casistica, personale strutturato dedicato, attività scientifica, etc.) in base ai quali
una Scuola possa attivare un determinato ambito specialistico. Naturalmente, si dovrà anche tenere
conto del fabbisogno dei (sub)specialistici, che dovrà essere basato su criteri demografici ed
epidemiologici, analogamente a quanto viene fatto negli Stati Uniti. È chiaro che, in questo senso,
tra le varie (sub)specialità la neonatologia riveste un ruolo peculiare rappresentando un’esigenza
assistenziale importante.
Per quanto riguarda infine i contenuti formativi degli indirizzi (sub)specialistici (acquisizioni
culturali e manuali), essi sono stati definiti, per ciascun indirizzo, dalla Conferenza dei Direttori
delle Scuole di Specializzazione e sono riportati in dettaglio nell’allegato al Decreto (pagg. 52-58).
Il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca
Per il medico in formazione in Pediatria che sia interessato ad ampliare il proprio curriculum verso
la ricerca clinica sono attualmente disponibili o in fase di attuazione due opzioni.
Il regolamento delle Scuole di Specializzazione prevede, per i Medici in formazione che intendano
proseguire il percorso formativo con orientamento verso la ricerca clinica, la possibilità di un
percorso congiunto specializzazione-dottorato di ricerca. Tale entità è normata dalla Legge n. 240
92
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
del 30 dicembre 2010, articolo 19, che recita: “è consentita la frequenza congiunta del corso di
specializzazione medica e del corso di dottorato di ricerca. In caso di frequenza congiunta, la durata
del corso di dottorato è ridotta ad un minimo di due anni”.
Ad integrazione, il Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013 n. 45 del Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca, prevede all'articolo 7 le modalità di raccordo tra i corsi di dottorato e
le scuole di specializzazione mediche, come segue:
a) lo specializzando deve risultare vincitore di un concorso di ammissione al corso di dottorato
presso la stessa università in cui frequenta la scuola di specializzazione;
b) la frequenza congiunta può essere disposta durante l'ultimo anno della scuola di specializzazione
e deve essere compatibile con l'attività e l'impegno previsto dalla scuola medesima a seguito di
nulla osta rilasciato dal consiglio della scuola medesima;
c) il collegio dei docenti del corso di dottorato dispone l'eventuale accoglimento della domanda di
riduzione a seguito di valutazione delle attività di ricerca già svolte nel corso della specializzazione
medica e attestate dal consiglio della scuola di specializzazione;
d) nel corso dell'anno di frequenza congiunta lo specializzando non può percepire la borsa di studio
di dottorato.
A partire dall'ultimo anno di specializzazione, lo specializzando può quindi orientarsi verso la
ricerca, con il vantaggio di poter conseguire un ulteriore titolo in soli due anni anziché tre.
Pur col vantaggio di una norma di legge che ne sancisce l’ufficialità, il percorso congiunto ha 2
limiti: il primo, costituito dalla difficoltà di avviare a una tipologia di PhD che non sempre, anzi
quasi mai ha una connotazione pediatrica, alla luce anche del recente riordino dei Dottorati, è un
limite relativo poiché rappresenta un progetto di ricerca inserito in un contesto allargato, spesso
lontano dai temi inerenti la Pediatria, ma può costituire uno stimolo per il giovane ricercatore ad
allargare gli orizzonti della sua vocazione alla ricerca. Il secondo è invece più difficilmente
superabile ed è rappresentato dalla disparità di trattamento economico fra lo specializzando titolare
di contratto e il borsista PhD. Certo si può ovviare con assegni di ricerca o altra modalità, ma tutto
ciò non favorisce certamente l’arruolamento.
93
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria
Le (sub)specialità pediatriche costituiscono un tema di grande rilevanza per la Pediatria, in quanto
hanno rappresentato la parte più qualificante del suo sviluppo scientifico-culturale negli ultimi 30
anni. Tale sviluppo ha avuto, e sempre di più avrà, importanti ricadute sulla qualità delle cure
fornite dai pediatri nei settori specialistici della pediatria, come, ad esempio, la neonatologia,
l’emato-oncologia, l’endocrinologia, la gastroenterologia, la pneumologia, la nefrologia, la
neurologia, l’immunologia, la reumatologia, la cardiologia. Un esempio significativo è quello delle
malattie croniche che, oggi, grazie alle migliorate possibilità di diagnosi e terapia riguardano fino al
18% della popolazione pediatrica. Tali patologie hanno bisogni speciali di cura e richiedono, in un
contesto multidisciplinare, un’assistenza pediatrica specialistica.
Quindi vi è oggi una forte necessità di pediatri (sub)specialisti in grado di affrontare problematiche
assistenziali specifiche. Per questo motivo, al fine di completare la formazione (sub)specialistica del
pediatra, iniziata durante la Scuola di Specializzazione, la Conferenza dei Direttori delle Scuole di
Specializzazione, in sinergia con il Collegio dei Professori Universitari di Pediatria (COPUPE) e la
Società Italiana di Pediatria (SIP), ha presentato al MIUR e al CUN una proposta di attivazione di
un percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria, da effettuarsi dopo la Scuola di
Specializzazione. Tale proposta è stata accettata ed il progetto è ora in fase di attuazione.
Lo scopo è quello di definire dei percorsi formativi (sub)specialistici, collegati in successione alla
Scuola di Specializzazione, che vadano a integrare il biennio effettuato in una determinata
(sub)specialità in modo da completare la formazione (sub)specialistica ottenendosi un
diploma/certificazione di pediatra (sub)specialista in una delle suddette branche della pediatria. Tali
percorsi avrebbero la finalità di formare pediatri (sub)specialisti di alto livello destinati a sbocchi
professionali in ospedali pediatrici e centri di terzo livello.
Struttura del percorso
Il percorso formativo (sub)specialistico verrà svolto in più sedi, comunque non più di 2-3,
consorziate ed individuate secondo requisiti prestabiliti. La sede amministrativa sarà unica con
possibile rotazione.
Il percorso sarà strutturato in 1-2 anni, anche in relazione alle diverse (sub)specialità.
Dovranno essere predisposti dei syllabus, in cui verranno identificate, per ciascuna (sub)specialità,
le conoscenze e le competenze pratiche da acquisire e su cui verrà organizzato il percorso. Dovrà
94
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
essere prevista anche una rotazione dei discenti, in quanto alcune competenze possono essere
ottenute in alcune sedi piuttosto che in altre.
L’attività svolta sarà prevalentemente di tipo professionalizzante, anche in termini di CFU.
L’attività didattica formale verrà svolta attraverso lezioni frontali, discussioni di casi clinici,
seminari, journal club. Particolare rilievo avrà la partecipazione attiva del discente a progetti di
ricerca e alla collaborazione nella stesura di pubblicazioni.
Inoltre, è possibile prevedere alcuni percorsi con orientamento prevalente verso la ricerca clinica
specialistica, configurando così un'ulteriore opzione per i giovani pediatri interessati alla ricerca, in
questo caso con taglio ancor più specifico nell'ambito delle (sub)specialità.
Requisiti delle sedi
Le sedi dovranno possedere casistica adeguata, ambienti dedicati, strumentazione necessaria,
personale medico strutturato ed infermieristico dedicato allo specifico settore specialistico.
Le sedi dovranno svolgere un’attività clinico-scientifica di eccellenza, ad esempio essere sede di
centri di riferimento nazionale o regionale, oppure essere sede di reti di eccellenza per determinate
patologie nell’ambito dello specifico settore (sub)specialistico pediatrico o presidi di reti per le
malattie rare.
La sede dovrà poter documentare una rilevante attività scientifica e di ricerca.
Il possesso dei requisiti delle sedi sarà valutato da un board costituito per ciascun percorso e
composto da 3-4 riconosciuti esperti del settore, di cui uno straniero.
Requisiti dei discenti
I discenti dovranno avere ottenuto la specializzazione in pediatria con, preferenzialmente, un
supplemento al diploma che documenti di aver seguito il biennio di indirizzo nel settore
(sub)specialistico del percorso.
I requisiti curriculari dei discenti riguarderanno i loro livelli di autonomia, l’attività scientifica e di
ricerca svolta.
Per quanto riguarda il loro numero, trattandosi di un percorso professionalizzante, il numero dovrà
essere necessariamente ridotto e commisurato alle necessità di (sub)specialisti pediatri nel settore.
95
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Valutazione finale
La valutazione finale dovrà tenere conto delle capacità acquisite dal discente, in particolare per
quanto riguarda il saper risolvere in totale autonomia problemi clinici, il saper eseguire le necessarie
procedure specifiche del settore (sub)specialistico, il saper impostare un progetto di ricerca ed avere
partecipato alla stesura di pubblicazioni scientifiche.
Il diploma
Il diploma rilasciato dalle Università, di concerto con il Ministero della Salute, sancirà
l’acquisizione di competenze (sub)specialistiche in un determinato settore della Pediatria.
Sulla strada per la realizzazione di questa opzione formativa post-Specializzazione non va infine
trascurata la definizione dei costi che essa comporterà e l'individuazione di possibili finanziamenti
per la loro sostenibilità.
Resta da chiedersi quale significato possano assumere i Master di ricerca clinica in ambito
pediatrico e se sia opportuno e vantaggioso orientare lo Specializzando al percorso di dottorato di
ricerca.
Probabilmente, al fine di snellire un percorso formativo già di per sé lungo ed articolato, si potrebbe
prevedere che il biennio di formazione specifica sia già abilitante al conseguimento del diploma di
(sub)specialità pediatrica.
Inoltre, per favorire l'attitudine alla ricerca, la frequenza di Master di II livello inerenti la ricerca
clinica in ambito pediatrico non dovrebbe essere preclusa durante il percorso di dottorato, ma anzi
incentivata, al fine di realizzare appieno il curriculum di Alta formazione a cui fa riferimento il DI
n.68.
Resta da chiedersi quale significato possano assumere i Master di ricerca clinica in ambito
pediatrico e se sia opportuno e vantaggioso orientare lo Specializzando al percorso di dottorato di
ricerca.
Probabilmente, al fine di snellire un percorso formativo già di per sé lungo ed articolato, si potrebbe
prevedere che il biennio di formazione specifica sia già abilitante al conseguimento del diploma di
(sub)specialità pediatrica.
Inoltre, per favorire l'attitudine alla ricerca, la frequenza di Master di II livello inerenti la ricerca
clinica in ambito pediatrico non dovrebbe essere preclusa durante il percorso di dottorato, ma anzi
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
incentivata, al fine di realizzare appieno il curriculum di Alta formazione a cui fa riferimento il DI
n.68.
REFERENZE
Althouse LA, Stockman JA. The pediatric workforce: an update on general pediatrics and
pediatric subspecialties workforce data from the American Board of Pediatrics. J Pediatr2011; 159:
1036-1040.
Conferenza Permanente Direttori Scuole di Specializzazione di Pediatria, “Proposta di revisione del
DM 1 Agosto 2005 - Riassetto delle Scuole di Specializzazione”
Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68, “Riordino Scuole di Specializzazione di area
sanitaria”.
Graw M, Ng G. The Royal College of Paediatrics and Child Health programme for subspeciality
training. Arch Dis Child 2006;91:71-73.
Percorso (sub)specialistico pediatrico post-Scuola di Specializzazione. Conferenza Direttori Scuole
di Specializzazione, COPUPE, SIP.
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
IL RECLUTAMENTO
DEI GIOVANI MEDICI
PER UNA CARRIERA ACCADEMICA
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area
pediatrica
Claudio Pignata, Emilia Cirillo, Giuliana Giardino
Introduzione
In ambito universitario, garantire il turn over del personale docente in Pediatria rappresenta una
necessità accademica per le finalità istituzionali direttamente inerenti la formazione del medico
durante il corso di laurea. Se si considera, tuttavia, che una buona attività di didattica deve
necessariamente prevedere un’ottima formazione scientifica del personale docente, e che le due
attività di ricerca e didattica si auspica non debbano essere disgiunte, si evince che il problema del
reclutamento dei giovani in una carriera di ricerca e universitaria è soprattutto un problema di
formazione scientifica, che tenga conto delle nuove istanze e dei nuovi scenari della Medicina
moderna. Basti pensare che Medicina traslazionale, Medicina sperimentale e Medicina
personalizzata o di precisione rappresentano tre approcci ai problemi del malato, inesistenti appena
due decadi orsono. Inoltre, accanto alla finalità precipuamente istituzionale vi è anche una finalità
indiretta, ma a essa collegata, rappresentata dall’esigenza più generale di mantenere in vita quei
settori di ricerca pediatrica, clinica e traslazionale, di rilevante profilo scientifico, la cui costruzione,
protratta nell’arco di oltre tre decadi, ha richiesto lunghi periodi di formazione dei “senior” presso
prestigiose istituzioni internazionali e intenso lavoro sinergico tra reti, in una dimensione
interdisciplinare.
In premessa va sottolineato che i professori universitari di area MED38, delle 3 fasce, erano 438 in
Italia al 31.12.2010 e 354 (- 20%) ad oggi. Inoltre nel 2015, sono stati assunti in Italia solo 21
ricercatori MED38 di fascia A e nessuno di fascia B, nonostante le, sia pur modeste, disponibilità di
budget. La situazione di grave sofferenza della Pediatria riflette solo in parte la sofferenza
dell’Università in generale, in quanto in altri settori la decurtazione di organico è meno evidente.
Ad esempio nel settore BIO10 si è passati da 863 docenti in organico nel 2010 a 809 nel 2015 (6.25%) e in quest’ultimo anno sono stati assunti nel nostro Paese più del doppio di ricercatori a
tempo determinato rispetto al settore MED38.
Il problema del reclutamento è evidentemente un problema di formazione del “giovane ricercatore”,
di cronogramma del precariato in area biomedica, di legislazione ai sensi della legge di riforma
universitaria 240/2010 con specifico riferimento ai requisiti per il reclutamento e la progressione in
101
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
carriera universitaria dei giovani, di definizione di “profili di competenza” dei giovani ricercatori,
che siano funzionali alle esigenze scientifiche delle diverse e numerose aree di ricerca di interesse
pediatrico, e di incontro tra domanda e offerta.
La formazione del “giovane ricercatore”
Il problema della formazione dei giovani medici ricercatori verso una carriera accademica o
scientifica non è solo problema italiano, ma riguarda, sia pure in misura diversa, tutti i Paesi che
gravitano in area anglosassone. Ad esempio, negli Stati Uniti dagli anni Ottanta, nell’arco dei
successivi 30 anni, si è registrata una riduzione dal 5 all’1.5% del numero di medici che dedicano
una parte significativa della loro carriera professionale alla ricerca (Dickler et al, 2007). Inoltre,
l’età media dei ricercatori è notevolmente aumentata mentre si è ridotto il numero complessivo di
ricercatori (Milewicz et al, 2015). Mentre nel 1980 solo il 25% dei grants veniva assegnato a
ricercatori di età superiore a 50 anni, attualmente circa la metà è vinto da ricercatori di età superiore
a 50 anni.
Le principali cause identificate negli Stati Uniti per la riduzione del numero di ricercatori sono
riconducibili ai seguenti fenomeni (Cornfield et al,, 2013):
•
La riduzione dei fondi destinati alla ricerca e la limitata disponibilità di fondi per assumere
giovani ricercatori e per creare posizioni stabili per i ricercatori di età più avanzata, che
abbiano intrapreso percorsi di formazione e avvio alla ricerca, determina che gli aspiranti
giovani ricercatori siano spesso scoraggiati nell’intraprendere la carriera di ricerca.
•
I curricula dei corsi di laurea in Medicina e delle specializzazioni di ambito medico possono
ulteriormente limitare la formazione di medici ricercatori. Per esempio, negli Stati Uniti,
l’Accreditation Council for Medical Assurance impone l’inserimento delle Scuole in
programmi di “quality assurance”. I nuovi requisiti per la certificazione da parte
dell’American Board of Pediatrics fellowship, implicano competenze nella cura dei pazienti
complessi, lo svolgimento della maggior parte dell’attività al letto dell’ammalato e la
necessità di documentare gli obiettivi raggiunti. Ciò limita notevolmente il tempo che i
giovani ricercatori, anche più motivati, possono dedicare ad acquisire gli strumenti per
intraprendere un’attività di Medicina traslazionale.
•
Il medico aspirante ricercatore è in genere svantaggiato rispetto ai PhD di area non medica
quando viene richiesto un finanziamento per un progetto di ricerca. Difatti, per le ragioni di
102
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
cui sopra, il medico ha dedicato spesso una minima parte della sua formazione all’attività di
ricerca.
•
Il crescente numero di donne in pediatria. Nel 2009, il 73% dei medici iscritti ai corsi di
specializzazione in Pediatria e il 62% dei borsisti in ambito pediatrico erano donne
(Alexander et al, 2009). Molte donne ritengono che sia più difficile avere successo in una
carriera di ricerca, soprattutto a causa delle difficoltà nel conciliare carriera e famiglia, in
particolare relativamente alle esigenze della gravidanza e dei figli. In uno studio eseguito su
studenti candidati a un programma MD-PhD negli Stati Uniti si è osservato che le donne
erano molto meno fiduciose delle loro capacità di intraprendere una carriera scientifica e
hanno abbandonato i percorsi di formazione alla ricerca prima e in maggior numero rispetto
ai loro colleghi di sesso maschile (Barkin et al, 2010). Da ciò deriva che un ruolo
fondamentale nella creazione della nuova generazione di medici ricercatori debba essere
svolto dalle Scuole di specializzazione attraverso la formazione di curricula personalizzati
per aspiranti medici-ricercatori. Tali obiettivi possono essere raggiunti solo attraverso una
profonda modifica del percorso di studio, che preveda per gli specializzandi interessati a
intraprendere una carriera scientifica, sia in ambito accademico che non, un’ampia parte
dedicata all’attività di ricerca e una parte dedicata alla traslazione dei risultati ottenuti al
letto dell’ammalato. A sostegno di ciò, c’è l’evidenza che negli Stati Uniti la maggior parte
dei laureati MD/PhD prosegue la carriera in ambito di ricerca (Andriole et al, 2008).
Tuttavia, negli Stati Uniti tra il 2000 e il 2006 solo il 2.3% (1833 su 79104) dei laureati in
Medicina ha seguito un programma MD/PhD (Andriole et al, 2008). Al fine di promuovere
la formazione di una nuova generazione di medici ricercatori, l’American Board of
Pediatrics ha realizzato l’”Integrated Research Pathway”, un curriculum per aspiranti
giovani ricercatori con i seguenti obiettivi:
•
Fornire meccanismi per svolgere le attività di ricerca durante la fase di formazione
pediatrica di base;
•
Favorire la transizione verso una carriera di medico - ricercatore;
•
Garantire allo studente di acquisire le competenze necessarie per operare nell’ambito della
ricerca.
Il Residency program ha una durata complessiva di 3 anni ed è aperto a laureati MD o MD/PhD. Un
intero anno può essere dedicato ad attività di ricerca e in tale periodo un massimo del 20% delle
attività complessive può essere dedicato all’ambito clinico esclusivo. Va tuttavia sottolineato che la
formazione di un ricercatore non ammette soluzioni di continuo. Pertanto, al fine di evitare finestre
nella formazione del giovane ricercatore, si potrebbe ipotizzare, come possibile modello di
103
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
“Experimental residency program” in Italia, tenendo conto che il Corso di Specializzazione in
Pediatria nel nostro Paese, ha la durata di 5 anni, un primo triennio durante il quale il 20 % delle
attività deve essere dedicato alla ricerca e un biennio finale in cui il 60 % delle attività sia dedicato
all’attività sperimentale. Durante questo periodo va garantita allo specializzando la possibilità di
fruire di corsi dedicati all’acquisizione di skills propedeutici alla formazione del giovane
ricercatore.
Alcuni anni orsono la SIRP ha promosso un’indagine conoscitiva tra I Coordinatori di Corsi di
Dottorato di area pediatrica con la finalità di acquisire informazioni sulla tipologia di studente che
frequentava i Corsi, sulla numerosità dei dottorandi di area pediatrica, sulla caratterizzazione in
indirizzi scientifico-culturali dei Corsi, sulla congruenza tra gli indirizzi e la robustezza scientifica
delle aree culturali nel nostro Paese, in un periodo di analisi di 5 anni. Il risultato di tale indagine ha
messo in luce significative criticità del sistema, solo in minima parte corrette dalla legge 240 di
riordino del sistema universitario, o, in alcuni casi, addirittura peggiorate. Tra le criticità più
rilevanti vanno annoverate la congruenza solo parziale tra indirizzi e i punti di forza della ricerca
pediatrica in Italia, essendo l’indirizzo spesso indice più della vocazione professionalizzante dei
proponenti in quel dato sotto-settore che dell’orientamento scientifico, e la non efficacia dell’istituto
del dottorato nel promuovere il turn over dei docenti, a fronte di un considerevole numero di
dottorandi iscritti ai corsi (328 in 5 anni, di cui il 58% di laureati in Medicina). L’aspetto del turn
over risulta addirittura aggravato dalla legge 240, in quanto essa prolunga ulteriormente la fase del
reclutamento del giovane ricercatore di area medica, senza che l’acquisizione del titolo di Dottore di
Ricerca abbia un valore definito nei processi di selezione. Accanto a queste criticità principali,
venivano, inoltre, rilevate la mancanza di un network nazionale degli Istituti di ricerca, che
promuovesse l’offerta formativa orientata sulle reali esigenze scientifiche, in base ai punti di forza
nella ricerca, e la scarsa o nulla pubblicizzazione dei profili formativi dei Dottori, che ne
valorizzasse la competenza e caratterizzazione scientifica nella fase di ingresso nel mercato del
lavoro. Infine, non vi era alcun aggancio del processo di formazione a un processo sequenziale di
mantenimento in vita della figura professionale, che evitasse il “drop off” del giovane aspirante
ricercatore in formazione.
Requisiti per il reclutamento dei giovani secondo la legge 240/2010
L’Art. 24 al punto 3, nei rispettivi commi a e b, prevede l’istituzione di contratti di ricercatore a
tempo determinato. I contratti del tipo A hanno durata triennale e sono prorogabili una volta per soli
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
due anni, previa valutazione positiva dell’attività di ricerca svolta. Quale requisito per l’accesso, il
titolo di dottore di ricerca o specialista medico. I contratti del tipo B hanno durata triennale e non
sono rinnovabili. Essi sono riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di tipo A, ovvero,
a coloro che hanno usufruito per almeno 3 anni di assegni di ricerca o di borse post-dottorato,
ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in Atenei stranieri. Nell'ambito delle risorse disponibili
per la programmazione, nel terzo anno di contratto di tipo B, l'Università valuta il titolare del
contratto stesso e il conseguimento dell'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16 della medesima
legge. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto alla scadenza dello stesso, è
inquadrato nel ruolo dei professori associati. In caso di valutazione negativa il contratto non è
rinnovabile. In sostanza, le Università effettuano una valutazione analitica dei titoli e delle
pubblicazioni scientifiche, valutando altresì il contributo individuale alle attività di ricerca.
Si evince da tale scenario come sia importante che, accanto agli specifici profili professionali, sia
determinante tener conto dei parametri bibliometrici del candidato nell’attribuzione di un contratto
del tipo B, in previsione del superamento dell’abilitazione scientifica nazionale per il ruolo di
professore associato. La valutazione dei parametri bibliometrici risulta, inoltre, di fondamentale
importanza nella programmazione effettuata dai differenti Dipartimenti, cui le Pediatrie italiane
afferiscono.
Su tale punto è auspicio della SIRP che si attui un’indagine conoscitiva dei giovani, che aspirano
alla carriera accademica, su base volontaria e autocertificativa, che abbia la finalità di identificare su
scala nazionale i candidati con maggiore competitività scientifica.
Incontro tra domanda e offerta: i profili di competenza
Un esempio di strumento telematico di incontro tra offerta e domanda è fornito dall’European
Society for Paediatric Research(ESPR), una Società storicamente molto attenta alla promozione
della ricerca in Pediatria e alla formazione alla ricerca mediante pubblicizzazione di “post-graduate
training programs”. Questa Società rappresenta un buon punto di riferimento internazionale, in
quanto si propone di creare opportunità di incontro tra scienziati delle diverse aree scientifiche e
culturali della Pediatria. Ha l’ambizione di fornire al ricercatore pediatra un’occasione di confronto
interdisciplinare, finalizzato altresì a favorire collaborazioni scientifiche tra le diverse branche subspecialistiche della pediatria. La traslazionalità trova la sua espressione nell’attenzione riposta
dall’ESPR al “patient care”. A titolo di esempio, nel corso dell’ultimo Meeting tenutosi nel 2014
sono stati proposti 8 corsi precongressuali incentrati sullo state dell’arte della ricerca clinica di base,
105
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
della “patient-centred care” e di linee guida con precipua finalità applicativa. Per quanto concerne
specificamente il reclutamento dei giovani verso una carriera di ricerca in Pediatria, la Società
promuove programmi per brevi scambi internazionali per ricercatori nelle fasi iniziali della carriera,
allo scopo di favorire le collaborazioni internazionali (“Early Investigators Exchange Program”).
Inoltre, essa dispone di un link di “Job offers”, in cui è possibile visualizzare le diverse proposte
lavorative da parte di Cliniche Universitarie europee con interesse verso la ricerca pediatrica.
In ambito accademico internazionale, la maggior parte delle principali Università americane, quali
ad es. le Università Harvard, Yale e Standford, dispone di “Jobs offer links” o “Career opportunities
links”, che rappresentano una sorta di “Meetic” della ricerca pediatrica. Un esempio è fornito dal
sito ARIES (https://academicpositions.harvard.edu), primo portale on-line per coloro che aspirano a
una position accademica ad Harvard, mentre, nel caso dell’Università Yale è stato predisposto un
link “Staffing and Career development” (http://www.yale.edu/hronline/careers/). Questi siti sono
caratterizzati dalla possibilità di creare un proprio account personale, inserire un curriculum vitae,
ricevere notifiche e visualizzare lo stato di avanzamento relativo alla propria application. Punto
comune tra i vari siti è rappresentato dalla prerogativa di definire puntualmente quali competenze
sono richieste, i requisiti, e il tipo di lavoro che andrà svolto.
Molto più complesso il sito “Jobs offering” dell’National Institute of Health (NIH)
(https://www.jobs.nih.gov/) che prevede link differenti a seconda del tipo di carriera (scientifica,
amministrativa, esecutiva) e che presenta un programma di offerta anche per “students and recent
graduates”. Ad esempio, nell’ambito dell’ “Intramural research program” vengono indicate diverse
opportunità di “tenured tracks”, ovvero una tipologia di contratto che indica un percorso finalizzato
al raggiungimento di una posizione lavorativa a tempo indeterminato, la cui finalità è quella di
offrire a ricercatori la possibilità di intraprendere un percorso formale finalizzato ad acquisire abilità
necessarie per divenire un “tenured researcher”, ovvero un ricercatore stabile. Attualmente, nelle
Università Italiane non vi è consuetudine a pubblicizzare richieste di competenze specifiche in
portali ad hoc, ma ci si limita a pubblicizzare in siti individuali di Ateneo bandi specifici per
concorsi di dottorato, assegni di ricerca e posti di ricercatore.
Per tale motivo sarebbe auspicabile la creazione di una piattaforma digitale nel sito SIRP, che
secondo il modello ESPR, permetta un censimento dei giovani aspiranti ricercatori, e che ne
valorizzi i profili formativi di competenza.
106
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Errori gravi che l’Università non può consentire e misure utili per migliorare il reclutamento
Che cosa l’Università può fare per garantire il fisiologico turn over dei docenti, con particolar
riferimento al turn over in area clinico-traslazionale, e la sopravvivenza delle aree scientifiche
esistenti ?
•
Incoraggiare l’avvio di una formazione scientifica già durante il corso di laurea,
valorizzando la tesi sperimentale;
•
Promuovere l’istituzione di percorsi formativi di Medicina sperimentale durante i Corsi di
Specializzazione in Pediatria;
•
Evitare che il reclutamento dei giovani segua solo logiche dei settori scientifico-disciplinari,
privilegiando al contrario il reclutamento tenendo conto dei punti di forza rappresentati dalle
aree di sinergia culturale con forte valenza interdisciplinare;
•
Identificare le aree di sinergia culturale interdisciplinari che rappresentino punti di forza
delle Scuole di Medicina, da privilegiare nell’attribuzione delle risorse per il reclutamento;
•
Vigilare ex ante che l’attività di tutorship del giovane ricercatore sia adeguata a consentire il
prosieguo della carriera accademica nelle fasi successive in cui è prevista l’acquisizione
dell’abilitazione scientifica;
•
Evitare che vi siano soluzioni di continuo nelle varie fasi della tenured track, che
incoraggino il giovane in formazione ad abbandonare la carriera accademica (“drop off”);
•
Scoraggiare la politica del finanziamento esclusivo ai gruppi eccellenti, consentendo la
sopravvivenza anche ai gruppi medi, che costituiscono la grande massa critica del sistema
ricerca in tutti i Paesi.
Il rischio attuale è che si creino dei vulnus nel percorso di formazione scientifica del giovane
aspirante ricercatore di area biomedica che favoriscano di fatto il “drop off”. Tutorship inadeguata,
reclutamento in aree deboli, soluzioni di continuo tra le varie fasi del precariato, formazione troppo
orientata agli aspetti professionalizzanti, sono alcuni dei punti critici, illustrati schematicamente
nella Figura 1A, cui prestare attenzione per porre rimedio e tentare di ritornare a quel modello
virtuoso di reclutamento degli anni 70’-80’ ben raffigurato nel cartoon illustrato nella Figura 1B, in
cui ogni fase era finalizzata a incoraggiare l’avvicinamento alla ricerca.
107
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Figura 1 A
Figura 1 B
Ideazione: Prof. G. Salvatore
Per gentile concessione del
Presidente della Scuola di
Medicina, Univ. Federico II:
Prof. L. Califano
108
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
REFERENZE
Alexander D, Boat T, Britto M et al. Federation of Pediatric Organizations Task Force on Women
in Pediatrics: considerations for part-time training and employment for research-intensive fellows
and faculty. J Pediatr. 2009; 154: 1-3.e2
Andriole DA, Whelan AJ, Jeffe DB. Characteristics and career intentions of the emerging
MD/PhD workforce. JAMA. 2008; 300: 1165-73.
Barkin SL, Fuentes-Afflick E, Brosco JP et al. Unintended consequences of the Flexner report:
women in pediatrics. Pediatrics. 2010; 126: 1055-7.
Cornfield DN, Lane R, Abman SH. Creation and retention of the next generation of physicianscientists for child health research. JAMA, 2013; 309: 1781-2
Dickler HB, Fang D, Heinig SJ et al. New physician-investigators receiving National Institutes of
Health research project grants: a historical perspective on the "endangered species". JAMA. 2007;
297: 2496-501.
Milewicz DM, Lorenz RG, Dermody TS. Rescuing the physician-scientist workforce: the time for
action is now.J ClinInvest. 2015; 125: 3742-7
109
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
L’esperienza dell’ Abilitazione Scientifica Nazionale
per i Settori Scientifico-Disciplinari pediatrici
Andrea Biondi e Paolo Paolucci
Il percorso della carriera accademica e la descrizione del suo profilo è un tema di confronto in tutte
le società del mondo occidentale (Asch e Weinstein, 2014). È elemento comune la constatazione
che il numero di medici con l’ambizione alla ricerca, elemento fondamentale nella descrizione di un
profilo accademico, si sta progressivamente riducendo. Questo elemento non è indifferente in un
tempo di rapidissima evoluzione delle conoscenze in campo scientifico, con le straordinarie
opportunità di una medicina che si declina sempre più nella comprensione di meccanismi e in
approcci innovativi di terapia.
In questa premessa di complessità si collocano alcune riflessioni sulla recente esperienza del
concorso di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), con l’obiettivo di contribuire al dibattito sul
futuro della ricerca pediatrica.
I dati relativi all’ASN nel settore concorsuale 06/G1 “Pediatria Generale Specialistica e
Neuropsichiatria infantile”.
Nei concorsi ASN 2012 sono stati dichiarati idonei al ruolo di Professore Ordinario (PO) 66 dei
139 partecipanti (47.5%), e 142 su 280 (51%) per quanto riguarda l’idoneità a Professore Associato
(PA).
Nell’ambito dell’idoneità di I fascia, su 66 idonei (ASN 2012), 45 (68%) risultavano in ruolo come
Universitari, mentre 21 (32%) ricoprivano incarichi prevalentemente come Ospedalieri o all’interno
di IRCCS (n.12). Nell’ambito dell’idoneità di II fascia (ASN 2012), su 142 abilitati 60 (42.2%)
ricoprivano ruoli universitari, mentre 82 (57,8%) avevano incarichi Ospedalieri o all’interno di
IRCCS (n.30).
I dati indicano che, almeno da un punto di vista scientifico (obiettivo dell’ASN), rispettivamente il
32% per i PO e il 57.8% come PA, il profilo “accademico” è oggi presente in diverse strutture di
diagnosi e cura pediatriche al di fuori dell’Università. È da riconoscere all’ ASN il risultato di avere
111
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
fatto emergere questo dato, con le ovvie implicazioni rispetto alla reale possibilità che un idoneo
abbia di inserirsi in ambito accademico. Le modalità concorsuali precedenti di idoneità rendevano
comunque praticamente impossibile questa prospettiva.
Per quanto riguarda il genere dei candidati, emerge per gli idonei di I fascia la netta prevalenza di
genere maschile (91% vs 9%), dato identico per universitari e non universitari. La situazione
persiste, meno netta, tra i non abilitati (71% vs 29%) e la distanza tra generi si riduce notevolmente
per gli universitari (55% vs 45%), ma non per i non universitari (85% vs 15%).
Tra gli idonei di II fascia, persiste in minore misura la prevalenza di genere maschile (62% vs 38%),
maggiore per i non universitari (67% vs 33) rispetto agli universitari (55% vs 45%). Una situazione
simile si osserva tra i non idonei di II fascia.
Nell’insieme, questi dati sembrano confermare come a livello universitario esista uno spazio minore
per il genere femminile rispetto al maschile per quanto riguarda la I fascia, fatto per altro noto. La
situazione appare sensibilmente migliore per quanto riguarda la II fascia specie in ambito
universitario, dato che potrebbe essere letto come la tendenza nel tempo a maggiori opportunità per
le ricercatrici, verosimilmente più giovani. Al contrario, nell’ambito non universitario, o per scelta o
112
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
per disponibilità, il genere femminile sembra ambire meno a sviluppare l’attività scientifica e di
ricerca.
Un altro dato di particolare interesse (anche se già noto per la popolazione dei Docenti Universitari
italiani) riguarda l’età degli idonei. Il 91% degli idonei a PO ha un’età ≥ 47 anni, mentre solo il 9%
ha un’età < 47 anni. I dati relativi all’età dei PA sono più incoraggianti di quelli dei PO. Infatti, nel
caso dei PA circa il 60% degli idonei ha un’età ≥ 47 anni, mentre circa il 40% ha un’età < 47 anni.
Il dato dell’età suggerisce almeno due aspetti da considerare:
•
coloro che hanno una più forte vocazione alla ricerca devono sottostare ad una lunga
"anticamera", condizionata dalla mancanza di progettazione (chi fa cosa e perché), dalla
pochezza delle risorse economiche e da sconcertanti dinamiche concorsuali universitarie
dei decenni scorsi;
•
nel percorso della cosiddetta riforma Gelmini, resta da verificare se i 5 anni previsti
come Ricercatore a tempo determinato di tipo A (magari dopo un Dottorato o a
conclusione della Scuola di Specializzazione) rendano possibile il raggiungimento dei
titoli che nella ASN erano richiesti per idoneità a PA e che rappresenta di fatto un prerequisito per accedere a un posto di ricercatore di tipo B con “tenure track” per il ruolo
di PA.
Verosimilmente, è ragionevole orientarsi piuttosto sui dieci anni di attività per raggiungere i titoli
utili per l’idoneità, ma probabilmente, piuttosto che ai numeri e ai vari parametri bibliometrici, che
tentano di “spaccare il capello in quattro”, a volte in modo del tutto ragionieristico, dovremmo
guardare a quello che accade nel resto del mondo. Ad esempio, in un percorso virtuoso, il ruolo di
“Assistant Professor” viene riconosciuto come primo step della carriera accademica, non
necessariamente con titoli bibliometrici confrontabili con quelli richiesti dall’ASN per l’idoneità a
PA. Ovviamente, questa prospettiva è attuabile in contesti in cui la ricerca e l’università sono
considerate un investimento del e per il Paese, e risulta più facile di fatto selezionare i migliori,
anche come conseguenza della mobilità dei Docenti che in Italia è assolutamente marginale.
I criteri di valutazione
La valutazione dell’impatto dell’attività scientifica è un ambito di grande discussione anche nelle
riviste scientifiche (Glasziou et al, 2014).
113
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Non esiste un metodo ottimale, ma quello scelto per l’ASN è sicuramente un elemento di
valutazione all’estero, dove, tuttavia, il percorso di selezione è più articolato. L’esperienza dei
“Search Committee “per la selezione del Professore nelle Università di altri paesi, considera il
curriculum vitae (CV) nella sua globalità e non necessariamente nei singoli score bibliometrici. In
questa prospettiva sarebbe, perciò, importante fare tesoro dell’esperienza dell’ASN 2012/2013 per
introdurre alcuni correttivi proprio in relazione alla valutazione scientifica del CV del candidato. Le
autocitazioni,, comprese le autocitazioni tra gruppi contigui che ricercano nello stesso settore, sono
solo uno dei tanti esempi possibili di distorsione. Come pure bisognerebbe rendere non valutabili
d’ufficio le pubblicazioni frutto solo dell’appartenenza ad un gruppo nazionale o internazionale.
Sicuramente, si dovrebbe fare ricorso a modelli di CV uniformi, non per limitare l’autonomia di
espressione dei candidati, ma per evitare il rischio che alcuni scrivano dei “romanzi di vita”, a volte
poco sensati, rispetto ad altri, in genere più qualificati scientificamente, che hanno considerato così
ampiamente noto il loro profilo da ritenere di poter presentare un CV non completo, esponendosi al
rischio di farsi valutare su una documentazione carente e insufficiente per esprimere un giudizio
esaustivo.
Un ultimo aspetto riguarda il fenomeno dell’arbitraria riduzione dell’attività accademica con un
processo che potremmo definire di “ringiovanimento” della propria produzione scientifica, facendo
scomparire alcuni lavori dal proprio CV per ottenere il miglioramento degli indicatori bibliometrici,
ma continuando ad avvalersi di altri titoli maturati negli stessi anni in cui sono sati volutamente
“oscurati” decine di lavori nazionali. Analogamente a quanto osservato sopra, l’effetto di
ringiovanimento è stato a volte così esagerato che non è stato possibile valutare alcuni candidati su
una documentazione divenuta troppo carente per potere esprimere un giudizio.
Attualmente, il dibattito internazionale è sempre più orientato verso il riconoscimento della natura
multidimensionale della valutazione della ricerca, caratteristica che la commissione per il settore
concorsuale 06/G1 “Pediatria Generale Specialistica e Neuropsichiatria infantile” ha percorso da
antesignana. Infatti, gli indicatori basati sulle citazioni sono ritenuti sempre meno oggettivi e
affidabili se utilizzati al di fuori di un contesto più ampio, relativo alla formazione scientifica e alle
esperienze professionali del soggetto da valutare. Questo però pone il problema di come recuperare
e standardizzare le informazioni relative ad aspetti non strettamente bibliometrici. I modelli di CV
che si stanno diffondendo ''anche'' con il supporto della comunità dei bibliometristi sono
essenzialmente due:
•
l’Acumen Portfolio
114
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
(http://research-acumen.eu/wp-content/uploads/Blank_AcumenPortfolio.v13x.pdf);
•
il Becker Model
(https://becker.wustl.edu/sites/default/files/becker_model-reference.pdf, febbraio 2014 !!!).
È interessante osservare come la commissione per i Settori pediatrici, nonostante le critiche ricevute
in seguito a tale proposito, abbia precorso i tempi muovendosi in questa direzione di innovativa e
più esaustiva valutazione dei candidati, proprio introducendo molti dei titoli successivamente
proposti e pubblicati nei suddetti modelli. Tant’è che il numero dei ricorsi è stato del tutto
trascurabile rispetto alle centinaia di candidati valutati e, cosa più rilevante, nessun ricorso è stato
accolto nei diversi TAR nazionali e nel TAR Lazio, in particolare, al contrario di quanto avvenuto
per altre commissioni dell’ASN.
Inoltre, è auspicabile che in futuro, una volta “selezionati” da parte dell’ANVUR gli item ritenuti
fondamentali dai modelli ottimali di valutazione esistenti, la “prova” del valore scientifico della
propria attività di ricerca debba essere fornita e documentata direttamente dai candidati. Lo scopo
non sarebbe certo quello di ridurre il lavoro delle commissioni, ma esclusivamente di introdurre un
valore “pedagogico” per chi intenda intraprendere la carriera accademica, nel senso di far conoscere
preventivamente o “ab initio” cosa, quanto, di che livello, in che tempi e in quali contesti si è
chiamati a produrre scientificamente per sviluppare curricula degni di nota, in grado di raggiungere
un’alta probabilità di giudizio positivo.
Un tale scenario eviterebbe la “imbarazzante” e poco “virtuosa” presentazione da parte di alcuni
candidati della propria attività scientifica sottoposta al su citato processo di “ringiovanimento” delle
pubblicazioni.
ASN e carriera accademica di giovani Medici
Il numero dei Medici che scelgono di dedicarsi all’attività di ricerca nell’ambito di un percorso che
possa aprirli alla carriera accademica è sempre più limitato ed è motivo di grande preoccupazione in
tutti i Paesi occidentali (Rorthberg, 2012). Quale percorso è oggi possibile quando un Medico
conclude la sua Specializzazione all’età di 29-30 anni? Durante il periodo di Specializzazione il
Medico Specializzando straniero è coinvolto nell’attività clinica anche con livelli di autonomia e di
responsabilità maggiori di quelli richiesti in Italia. Il sistema in molti Paesi della EU è certamente
più flessibile: la scuola di specializzazione è basata su contratti di lavoro ed il titolo si acquisisce
non al termine di un corso (come in Italia) ma quando si sono ottenuti i titoli richiesti per sostenere
l’esame finale del Board. Durante tale periodo è possibile dedicarsi per 1-2 anni ad attività di
115
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
ricerca, sempre che si riesca a trovare l’Istituzione disposta ad accoglierti. Per il nostro Medico con
la vocazione per la ricerca l’alternativa, è quella di iniziare un percorso di training, per poi recarsi
in autorevoli Istituzioni in Italia e all’estero (elemento importante di valutazione di un CV!) per un
periodo di post-doc. A circa 32 anni, quando il CV è ancora molto limitato come pubblicazioni, il
nostro giovane Specialista potrebbe anche iniziare il percorso di 3+2 anni di Ricercatore di tipo A.
Nella migliore delle ipotesi riuscirebbe ad accumulare i crediti sufficienti di indici bibliometrici per
poter competere, già a 37-38 anni, per un’idoneità per PA, o in alternativa decidere di tornare a fare
il Medico e magari proseguire nell’attività di ricerca, ma senza perseguire una carriera accademica;:
i dati dei Medici non Universitari che hanno ottenuto l’idoneità sembra confermare questa
prospettiva.
In conclusione l’ASN ha indubbiamente reso più trasparente un percorso di valutazione
dell’idoneità scientifica dei candidati alla carriera universitaria, facendo emergere competenze e
profili che non sarebbero mai stati giudicati idonei a questa carriera con le precedenti modalità
concorsuali. Ciò si è tradotto in un virtuoso (anche se limitato) numero di “chiamate” di Professori
in diverse sedi accademiche. Resta, al contrario, il fatto che per la maggiore parte degli idonei “non
universitari” l’ottenuta idoneità costituisce solo un titolo di merito e probabilmente non di
opportunità.
Resta nello sfondo la difficoltà di definire compiti e richieste del profilo del Professore nell’ambito
di discipline mediche per la complessità attuale degli oneri di responsabilità clinica e
amministrativa, a cui si devono aggiungere quelli istituzionali della didattica e della ricerca. (Sapey,
2015).
REFERENZE
Asch DA, Weinstein DF. Innovation in medical education. N Engl J Med. 2014; 371: 794-5
Glasziou P, Macleod M, Chalmers I et al Reducing waste from incomplete or unusable reports of
biomedical research. Lancet. 2014; 383: 267-76
Rorthberg MB. Overcoming the obstacles to research during residency—what does it take? JAMA.
2012; 308: 2191–92
Sapey E. Work-life balance in academic medicine. Lancet. 2015; 385 Suppl 1: S6-7.
116
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
INIZIATIVE DELLA SIRP
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e
“frustrazione” un rapporto sempre più difficile
Maurizio Mennini, Tommaso Alterio, Andrea Bon, Paola Berlese, Francesca Bosetti,
Lucia De Martino, Vincenzo Insinga, Roberto Raschetti, Antonio Di Mauro, Davide Vecchio
La Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP) e l’Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria
(ONSP), al fine di sensibilizzare la comunità scientifica e accademica, le istituzioni e i decisori
politici nonché l’opinione pubblica sul concreto rischio della progressiva “estinzione” della ricerca
clinica pediatrica (e medica in generale), hanno promosso la diffusione di due questionari on-line,
accessibili mediante piattaforma open source e distribuiti mediante diversi canali informatici (sito
web, newsletter, profili dedicati sui social network) di entrambe le Società. I risultati delle rispettive
indagini dal titolo: “Indagine sul reclutamento di giovani laureati in una carriera di ricerca clinica
nell’area pediatrica” e “L’apoptosi annunciata della ricerca clinica (pediatrica)”, sono integralmente
riportati (per i quesiti schematizzabili in grafico) agli allegati A e B del presente documento ed
accessibili in extenso alla sezione “questionari” del sito www.onsp.it. Ad eccezione dei quesiti
anagrafici o curricolari, è stata prevista la possibilità di opzionare più risposte e di recepire
commenti liberi da parte degli intervistati.
In totale sono stati ricevuti 312 questionari interamente compilati in ogni sezione, di cui 125
appartenenti alla prima indagine, 187 alla seconda. In entrambe, la risposta degli Specialisti in
formazione in Pediatria è stata sempre la più ampia con una partecipazione in percentuale pari,
rispettivamente, a circa il 70 ed il 50% degli intervistati.
La prima indagine ha voluto indagare l’interesse da parte dei giovani sul reclutamento in una
carriera di ricerca clinica, ma anche di comprendere la percezione degli stessi sulle dinamiche che
ne regolano l’accesso. Il campione di coloro che hanno partecipato era così composto: 68,8%
Specializzando in Pediatria; 13,6% Specializzando in altra Specializzazione; 9,6% Dottorando di
Ricerca; 5,6% specialista in Pediatria da meno di 6 anni; 1,6% borsista o assegnista post-dottorato;
0,8% Ricercatore a tempo determinato.
La quasi totalità degli intervistati (93,6%) ritiene che un periodo formativo nel settore della ricerca
clinica o di base possa essere utile per un giovane medico, anche non intenzionato a intraprendere
una carriera in un Ateneo o in un’Istituzione Scientifica. Il 71,2% ha già avuto qualche esperienza
di ricerca durante il percorso pre- o post-laurea e tali esperienze si sono svolte prevalentemente nel
119
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
corso della specializzazione (61,4%) rispetto al periodo pre-laurea (43,2%). Solo il 64,5% dichiara,
però, di essere riuscito nella pubblicazione di lavori in extenso. Il 61,6% è interessato a proseguire
questo genere di attività, ma mentre il 21,6% afferma che non potrà proseguire, pur volendo, il
15,2% ha già deciso di abbandonare. Tra chi ritiene di non poter proseguire le motivazioni più
indicate sono: nel 63,8% la scarsità in Italia di fondi pubblici e privati e nel 55,3% l’incertezza circa
prospettive di lavoro stabile entro tempi accettabili e la mancanza di supporto nella struttura in cui
si opera. Dato incontrovertibilmente positivo è invece quello che emerge dalle motivazioni che
maggiormente spingono a perseguire questa passione: l’89% infatti dichiara in maniera convinta
che la ricerca insegna una metodologia applicabile anche alla pratica clinica.
Allo scopo di esplorare la reale percezione di un più ampio campione di operatori circa la difficoltà
di reclutamento di giovani medici in una carriera di ricerca clinica e del conseguente rischio di una
sua progressiva “estinzione”, è stata distribuita una seconda indagine per la quale sono state
registrate ed analizzate 187 risposte complete. Il 97,8% dei partecipanti si è dichiarato laureato in
Medicina e Chirurgia, il 47,8% specializzando in Pediatria, il 29% già specialista in Pediatria, il
14% già specialista o specializzando in altre specialità, l’8,6% dottorando e lo 0,5% dottore di
ricerca in Scienze Pediatriche. Il 67,7% degli intervistati lavora attualmente presso una struttura
universitaria, il 14% presso un IRCCS, il restante 18% ha un contratto presso un’azienda
ospedaliera o opera nel territorio in attività diverse da quelle precedentemente elencate. La fascia di
età prevalente del campione è quella inferiore ai 35 anni ed in totale solo il 19,9% dichiara di
possedere un impiego a tempo indeterminato. Anche in questa indagine oltre il 90% degli
intervistati asserisce che la ricerca clinica è fondamentale per una buona qualità dell’assistenza in
Pediatria. In quest’ottica l’87,6% sostiene la necessità di reclutare, formare e avviare ad una carriera
scientifica dei clinici capaci di gestire gruppi di ricerca, sebbene il setting ed il timing di
svolgimento dell’attività specifica appaia eterogeneo nelle risposte e non tutti, in merito, sembrano
possedere idee chiare. Infatti, mentre il 70% circa dichiara che la ricerca si svolge primariamente
negli Atenei e negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il 30% asserisce di non essere
affatto d’accordo con tale affermazione. In più, il 10% degli intervistati non concorda sulla tesi che
il reclutamento degli interessati all’attività di ricerca sia avvenuto (fino a poco tempo fa) negli
ultimi anni del corso di laurea, per poi proseguire attraverso le canoniche tappe accademiche, e
circa il 25% si dichiara solo parzialmente d’accordo con quest’affermazione. Questi dati aprono poi
una parentesi critica sugli effetti del concorso nazionale di accesso alle Scuole di Specializzazione.
Il 45,7% crede infatti che l’attuale procedura selettiva abbia influito negativamente sulla “voglia” di
svolgere una tesi sperimentale e/o di intraprendere un percorso di ricerca, il 32,3% lo crede solo
120
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
parzialmente, mentre il 22% non crede abbia influito in alcun modo. L'assegnazione casuale ad una
Scuola di specializzazione, anche se con criterio trasparente e meritocratico, secondo il 58% del
campione ha provocato una diminuzione dell'interesse dello specializzando a essere coinvolto in
un’attività scientifica e una simile percentuale concorda sul fatto che l'avvio a un'attività di ricerca è
ormai rimandata all'ingresso in un programma di Dottorato di Ricerca, e quindi - più o meno intorno ai trent'anni di età. E dopo il dottorato? Il 59,2% è scettico sull’efficacia della
riorganizzazione della carriera universitaria con le due possibili figure di Ricercatore in tipo A e
tipo B ed il 64% ritiene, inoltre, che l'abilitazione scientifica nazionale per Professore Associato
richieda il superamento di mediane difficilmente raggiungibili entro i quarant'anni; mediane ritenute
altresì non superabili anticipatamente anche con la permanenza in laboratori o centri qualificati di
rilevanza nazionale e/o internazionale.
Questo stato dei fatti suggerisce al 68,8% degli intervistati che sia facile prevedere che i soli giovani
(anche se meritevoli e motivati) che possano permettersi di "rischiare" un investimento di almeno
10 anni di attività, siano quelli appartenenti a "famiglie" o "cordate" in grado di garantire una
partecipazione "simbolica" a pubblicazioni del gruppo ed un "appoggio" al momento del bando dei
posti di ricercatore a tempo determinato. Il 93,6% (di cui il 72,6% totalmente e il 21%
parzialmente) conclude che questo scenario sia evidentemente l'esatto contrario di qualunque
garanzia di meritocrazia e di pari opportunità - sia di partenza che di percorso - e finisca col fare
optare per sbocchi occupazionali più immediati e remunerativi. Del resto è evidente al 79,6% e
parzialmente evidente al 15,1% degli intervistati, che nell’Università stia avvenendo una fuoriuscita
abbastanza simultanea di professori di ruolo in materie cliniche senza una sostituzione o un
avvicendamento di nuove figure, più giovani e soprattutto a tempo indeterminato. Il 78% ritiene che
occorra maggiore chiarezza in tempi brevi, per evitare che generazioni di giovani meritevoli (in
particolare di pediatri potenzialmente motivati) scelgano strade "più sicure" e rapide per la
programmazione della loro vita professionale e personale.
Infine, si è tentato di coinvolgere gli intervistati nella valutazione di possibili proposte volte al
miglioramento della situazione descritta. Nel periodo pre-laurea la proposta che appare
maggiormente condivisa (74,2% totalmente e 22,6% parzialmente) è l’esposizione precoce a
un’attività di ricerca clinica allo scopo di far nascere, ovviamente in una minoranza di studenti o
specializzandi, una “vocazione” prima dell’insorgenza di altre necessità che spingano a scegliere
differenti sbocchi professionali. Anche una riorganizzazione e valorizzazione del periodo di tesi di
laurea appare una possibile alternativa (favorevole il 69,4% del campione) al pari della costituzione
di un percorso combinato del tipo MD/PhD a partire dal III-IV anno del corso di Laurea in
121
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Medicina (64,5%). Il 79,6% concorda sulla necessità di prevedere attività di ricerca nel core
curriculum della Scuola di Specializzazione, specialmente nell'ultimo biennio negli indirizzi
dedicati alle cure secondarie ed alle specialità pediatriche, riconosciuti come potenzialmente più
inclini ad una formazione e coinvolgimento nella ricerca clinica. Il 77,4% apprezza inoltre l’idea di
programmare Master in specialità pediatriche (successivi alla specializzazione) con curricula che
prevedano anche attività di ricerca ed approva la necessità di finanziamenti pubblici e privati a
progetti per giovani ricercatori, cercando tuttavia di evitare che i giovani fungano da “prestanome”
per tutor più “anziani” (rischio concretamente riconosciuto per il 96,2% del campione). È opportuno
sottolineare che il 94,6% riconosce l’importanza dell’attività dell’Osservatorio della Ricerca
Pediatrica Italiana, promosso dalla SIRP, per il monitoraggio periodico dell’attività scientifica di
interesse pediatrico, se svolta da gruppi italiani “leader” nelle ricerche. Il 96,2% sostiene, inoltre,
che sia necessario promuovere e pubblicizzare attività di ricerca dei più giovani, anche attraverso
l’istituzione di un albo dei giovani ricercatori e la costituzione di “network” tra dottorandi, dottori di
ricerca e pediatri ricercatori ancora “precari”, promuovendo in definitiva la costituzione di nuovi
strumenti poiché la rinuncia dei giovani pediatri a una “rischiosa” carriera di ricerca clinica è anche
causata dalla scarsa “credibilità” che gli stessi ripongono nell’attuale sistema.
In conclusione, la “apoptosi”, cioè la “morte programmata” della ricerca clinica, appare ormai
avviata per la quasi totalità degli intervistati e potrà essere fermata solo attraverso una
sensibilizzazione e mobilitazione di quanti, nell'Università, negli Istituti di Ricerca, nella classe
politica e, non da ultimo, nell'opinione pubblica, hanno a cuore il destino della scienza e della
cultura nel nostro paese.
122
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Allegato A
Reclutamento di giovani laureati in una carriera di
ricerca clinica nell’area pediatrica
N. Partecipanti = 125
1. Sesso
Maschi (31)
Femmine (94)
24.8%
75.2%
2. Qual è la tua posizione attuale?
Neolaureato (0)
Specializzando in Pediatria (86)
Specialista in Pediatria da < 6 anni (7)
Specializzando in ‘altra specializzazione’ (17)
Specialista in ‘altra specializzazione’ da < 6 anni (0)
Dottorando di ricerca (12)
Dottore di ricerca da < 3 anni (0)
Borsista, assegnista, contrattista post-dottorato (2)
Ricercatore a tempo determinato (1)
0%
68.8%
5.6%
13.6%
0%
9.6%
0%
1.6%
0.8%
3. Pensi che un periodo formativo nel settore della ricerca clinica/di base
possa essere utile per un giovane medico, anche non intenzionato ad
intraprendere una carriera nell’università o in una istituzione scientifica?
Sì (117)
No (8)
93.6%
6.4%
4. Hai già avuto qualche esperienza di ricerca durante il tuo percorso
pre/post laurea?
Sì (89)
No (36)
71.2%
28.8%
 Se Sì, quando (puoi indicare anche più di una risposta)?
Durante il periodo pre-laurea (38)
Durante la laurea (50)
Durante la specializzazione (54)
Durante il dottorato di ricerca (9)
Altro (2)
43.2%
56.8%
61.4%
10.2%
2.3%
123
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
5. Al momento hai interesse a svolgere attività di ricerca clinica?
Sì, intenzionato a perseguire tale interesse (77)
Sì, ma non posso perseguire tale interesse(27)
No (19)
61.6%
21.6%
15.2%
 Se Sìe sei interessato a perseguire tale interesse, per quali motivazioni? (puoi
indicare anche più di una risposta)
Ho fiducia nelle mie capacità e nella mia determinazione (39)
Il gruppo in cui lavoro è forte scientificamente (15)
Il gruppo in cui lavoro rispetta la meritocrazia (9)
Ritengo che un’esperienza di ricerca insegni una metodologia
applicabile anche alla pratica clinica (73)
Posso permettermi di ‘rischiare’ economicamente
per qualche anno (4)
Voglio seguire la mia vocazione, ma trasferendomi all’estero (6)
Nessuna delle precedenti (1)
47.6%
18.3%
11%
89,0%
4.9%
7.3%
1.2%
 Se Sì e non puoi perseguire tale interesse, per quali motivazioni?
(puoi indicare anche più di una risposta)
Non posso permettermelo per motivi economici
(stipendio basso) (13)
Considero incerte le prospettive di lavoro stabile entro
tempi accettabili (26)
L’impegno per la ricerca è incompatibile con
una ‘normale’ vita familiare/personale (17)
I fondi pubblici e privati per progetti e gruppi di ricerca
sono scarsi in Italia (30)
Noto mancanza di supporto/supervisione nella struttura
in cui opero (26)
Ho scarsa fiducia nel rispetto della meritocrazia nella struttura
in cui opero (11)
Nessuna delle precedenti (2)
27.7%
55.3%
36.2%
63.8%
55.3%
23.4%
4.3%
6. Hai pubblicato lavori in extenso (no abstract)?
Sì (80)
No (44)
64.5%
35.5%
124
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Allegato B
L'“apoptosi” annunciata
della ricerca clinica (pediatrica)
N. Partecipanti = 187
Punteggio: 1 = non sono d’accordo – 2 = sono parzialmente d’accordo – 3= sono d’accordo
1
2
3
1.6%
1.6%
6.4%
9.1%
92%
89.3%
2.1%
10.2%
87.7%
3.2%
24.6%
72.2%
10.2%
25.7%
64.2%
22.5%
32.1%
45.5%
18.2%
24.1%
57.8%
15%
31%
54%
10.7%
38%
51.3%
11.8%
24.1%
64.2%
11.8%
31.6%
56.7%
PREMESSA
1.La ricerca clinica è fondamentale per una buona qualità dell'assistenza.
2.La buona ricerca clinica deve essere coordinata (anche) da clinici con formazione
nella ricerca sperimentale.
3.È indispensabile, quindi, reclutare, formare e avviare a una carriera scientifica
clinici, esperti anche nella gestione di gruppi di ricerca.
4.La ricerca clinica si svolge primariamente nell'università e negli istituti di ricovero e
cura a carattere scientifico, ma anche negli ospedali, nella medicina e pediatria di
famiglia, nell’industria e in altri istituti e laboratori impegnati nella ricerca applicata e
di base.
5.Fino a poco tempo fa, negli ambienti clinici universitari il "reclutamento" di giovani
per potenziali carriere di ricerca cominciava già negli ultimi anni del corso di laurea,
per proseguire durante la specializzazione e continuare col dottorato di ricerca e
assegni di ricerca fino all'eventuale sbocco in un posto di ricercatore a tempo
indeterminato.
LA DIAGNOSI
6.Il cambiamento delle modalità di accesso alle Scuole di specializzazione, che ha
certamente favorito una maggiore garanzia di meritocrazia, ha notevolmente ridotto
l'interesse dello studente in Medicina per una tesi sperimentale di buon livello e
quindi ha di fatto eliminato questo primo contatto dello studente con un’attività di
ricerca più o meno qualificata sotto la guida di un “tutor”.
7.L'assegnazione a una Scuola di specializzazione ("casuale", anche se con criterio
trasparente e meritocratico) ha fatto diminuire l'interesse dello specializzando a essere
coinvolto in un’attività scientifica, anche perché il curriculum delle Scuole di
specializzazione non prevede, né privilegia, una parziale attività di ricerca dello
specializzando, peraltro a rischio di essere “utilizzato” durante gli ultimi due anni
all’interno del sistema sanitario con impegno assistenziale totale.
8.L'avvio a un'attività di ricerca è ormai rimandato all'ingresso in un programma di
dottorato di ricerca, anche se in parte sovrapponibile all'ultimo anno della scuola di
specializzazione, come previsto dalla c.d. legge Gelmini-N. 240/2010. Questo
significa che il giovane specialista matura una reale decisione ad intraprendere una
carriera di ricerca ("a rischio") più o meno intorno ai trent'anni di età
9.Secondo le normative vigenti nell’università, dopo il dottorato si apre un percorso
costituito da 3 + 2 anni di ricercatore di tipo A e 3 anni di ricercatore di tipo B,
quest'ultimo con la garanzia di una "tenure track", cioè della disponibilità di un
“budget” per un posto di professore associato, a condizione che si sia conseguita
l'abilitazione scientifica nazionale.
10. L'abilitazione scientifica nazionale per professore associato richiede il
superamento di mediane, che sono difficilmente superabili entro i quarant'anni (il
termine del percorso delineato sopra).
11. Le mediane previste dall'abilitazione scientifica nazionale non sono neppure
superabili con una più o meno lunga permanenza in laboratori o centri qualificati,
anche stranieri, dove la produzione scientifica in termini quantitativi è di solito
limitata e magari senza nessuna garanzia di forte impatto dal punto di vista delle
citazioni
125
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
12. In questo contesto è facile prevedere che giovani, anche meritevoli e motivati, che
possano permettersi di "rischiare" un investimento di almeno 10 anni di attività, siano
solo quelli che appartengono a "famiglie" o "cordate" in grado di "garantire" una
partecipazione "simbolica" a pubblicazioni del gruppo e un "appoggio" al momento
del bando dei posti di ricercatore a tempo determinato
13. Questo scenario è evidentemente l'esatto contrario di qualunque garanzia di
meritocrazia e di pari opportunità, sia di partenza che di percorso.
14. Se questo scenario è verosimile per la ricerca clinica in generale, lo è a maggior
ragione per la ricerca clinica pediatrica, in quanto il giovane specialista in pediatria
(che non appartenga a "famiglie" o "cordate") può non essere motivato a continuare
per tanti anni una strada fortemente a rischio per il raggiungimento di una conclusione
positiva, a fronte di sbocchi occupazionali più immediati e più remunerativi, come
quello della pediatria di famiglia.
15. Probabilmente la situazione non è identica per gli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico, benché le possibilità di posizioni stabili siano difficili anche in
quell'ambiente.
16. Si ha l'impressione che la comunità accademica della Medicina clinica (e della
Pediatria in particolare) non avverta il rischio di uno svuotamento dei ranghi di
ricercatori clinici, causato dalla scarsa attrattività di una carriera di ricerca clinica per
giovani meritevoli e potenzialmente motivati.
17. La realtà è che nell'università si sta già verificando una fuoriuscita abbastanza
simultanea di professori di ruolo in materie cliniche (entrati nei ruoli universitari più o
meno contemporaneamente negli anni '80) senza una sostituzione con nuove figure,
più giovani, a tempo indeterminato (questo è dimostrato dallo scarso numero di
ricercatori a tempo determinato, reclutati in tutte le università dopo l'approvazione
della c.d. legge Gelmini-N. 240/2010, in confronto al numero di vincitori di concorsi
per ricercatore a tempo indeterminato negli anni precedenti).
18. La c. d. legge Gelmini e i regolamenti dell'abilitazione scientifica nazionale sono
in questo momento oggetto di ripensamento, ma occorre fare chiarezza in tempi brevi,
per evitare che generazioni di giovani meritevoli (in particolare di pediatri
potenzialmente motivati) scelgano strade "più sicure" e rapide per la programmazione
della loro vita professionale e personale.
7.5%
23.5%
69%
6.4%
21.4%
72.2%
6.4%
25.1%
68.4%
12.3%
38.5%
49.2%
5.3%
26.7%
67.9%
5.3%
15%
79.7%
3.7%
18.2%
78.1%
3.7%
22.5%
73.8%
7%
24.1%
69%
8%
27.3%
64.7%
4.3%
16%
79.7%
4.8%
17.6%
77.5%
3.7%
32.1%
64.2%
3.7%
13.4%
82.9%
LE PROPOSTE DI TERAPIA
19. L’esposizione precoce a un’attività di ricerca clinica è fondamentale per far
nascere una “vocazione” prima di raggiungere un’età in cui le necessità della vita
spingano a scegliere differenti sbocchi professionali. Ovviamente le proposte di
seguito esposte richiederebbero un cambiamento dei corsi di studio (lauree,
specializzazione) valide per tutta l’università e non solo per le Scuole di Medicina (o
addirittura per la sola Pediatria)
20. Proposte per il periodo pre-laurea:
ripensare al significato della tesi di laurea nella Scuola di Medicina (un unicum
italiano per tutti i corsi di laurea anche triennali) che potrebbe essere rivalutato se
contribuisse realmente al voto di laurea finale o di nuovo costituisse un titolo per il
successivo percorso formativo (ammissione alla specializzazione, a corsi di dottorato,
etc.);
21. considerare un percorso tipo MD/PhD, anche se all’estero inizia dopo alcuni anni
di college e in Italia potrebbe partire dal III-IV anno del corso di Laurea in Medicina,
dopo la conclusione del biennio/triennio in discipline di base.
22. Proposte per la Scuola di specializzazione e i Master:
prevedere attività di ricerca nel curriculum della Scuola di specializzazione,
specialmente nell'ultimo biennio, per l’indirizzo dedicato alle cure terziarie, che è
potenzialmente più incline a un’impostazione di ricerca clinica;
23. programmare Master in specialità pediatriche, successivi alla Specializzazione,
con curricula che prevedano anche attività di ricerca
24. Proposte per l’abilitazione scientifica nazionale: è necessario migliorare la
valutazione dei titoli per i candidati più giovani, anche se essi già sono al momento
“avvantaggiati” dalle normalizzazioni per età accademica.
25. Finanziamenti pubblici e privati a progetti per giovani ricercatori, evitando,
tuttavia, il rischio che i giovani fungano da “prestanome” per “tutor” più anziani.
126
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
26. Osservatorio della ricerca pediatrica italiana con monitoraggio periodico
dell’attività scientifica di interesse pediatrico, svolta da gruppi italiani “leader” nelle
ricerche (e non solo collaboratori);
27. Pubblicizzazione delle attività di ricerca dei più giovani, anche attraverso
l’istituzione di un albo dei giovani ricercatori e la costituzione di “network” tra
dottorandi, dottori di ricerca e pediatri ricercatori ancora “precari”;
28. Organizzazione di un convegno e successiva pubblicazione di un “Libro bianco”
sulle tematiche oggetto del presente documento, cioè sul pericolo concreto di
scomparsa della figura del pediatria ricercatore (“Pediatrician scientist”);
29. Finanziamento di progetti di ricerca, privilegiando in particolare il ruolo dei
giovani.
30. La rinuncia dei giovani pediatri ad una “rischiosa” carriera di ricerca clinica è
anche causata dalla scarsa “credibilità” del sistema universitario. La vera riforma
dell'università certamente richiederebbe una rivoluzione circa il rigoroso rispetto da
parte dei suoi operatori di principi etici. Tuttavia è anche indispensabile attuare con
urgenza un regime in cui si valuti, con criteri obiettivi e onesti, il merito delle
strutture universitarie e dei loro membri e si punisca il demerito (la sola premialità,
senza sanzioni severe per chi demerita, è inutile).
31. L' “apoptosi”, cioè la morte programmata della ricerca clinica nei luoghi in cui
essa si svolge, è ormai avviata e potrà essere fermata solo attraverso una
sensibilizzazione e mobilitazione di quanti, nell'università, negli istituti di ricerca,
nella classe politica e, non da ultimo, nell'opinione pubblica, hanno a cuore il destino
della scienza e della cultura nel nostro paese.
5.3%
21.4%
73.3%
3.7%
18.2%
78.1%
5.3%
25.7%
69%
3.2%
15%
81.8%
4.8%
12.8%
82.4%
2.7%
16%
81.3%
127
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Caratteristiche dei partecipanti all’indagine (1)
128
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Caratteristiche dei partecipanti all’indagine (2)
129
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori
Raffaele Badolato
Il contesto italiano
La Ricerca Scientifica Italiana è afflitta da una condizione di cronico sotto finanziamento che si è
aggravata negli anni recenti per via delle difficoltà economiche che hanno interessato l’intera
regione europea. Per quanto concerne la ricerca clinica queste difficoltà sono state ulteriormente
aggravate in Italia dalla frammentazione delle competenze e dallo scarso coordinamento tra
Università, Enti di ricerca, Regioni e Ministero della Salute (Agenzia Nazionale di Valutazione del
sistema Universitario e della Ricerca, 2013) (Figura 1). Inoltre, i costi della ricerca clinica appaiono
in costante e regolare aumento, tanto da rendere ancora più difficile lo sviluppo di carriere
nell’ambito della ricerca clinica (Basso, 2007; Erdmann, 2005).Tutto questo contribuisce a
mantenere un marcato squilibrio anagrafico dell’età media dei Docenti italiani (Marcato, 2010).
Nonostante queste difficoltà, i dati dell’Osservatorio della Ricerca Pediatrica, gestito dalla SIRP,
suggeriscono che negli anni passati molti Ricercatori Italiani hanno prodotto un rilevante numero di
lavori scientifici in ambito pediatrico. Questo suggerisce che adeguati investimenti di tipo
economico e di risorse umane potrebbero determinare un significativo sviluppo della ricerca
pediatrica in Italia (Szilagyi et al., 2011).
Questi stessi aspetti si riscontrano egualmente anche quando si valuti il finanziamento dei Giovani
Ricercatori. Ma, in questo caso, gli effetti del sotto finanziamento della Ricerca avranno anche
l’effetto di ridurre le possibilità di ricambio generazionale di Ricercatori e Docenti universitari e di
mantenere l’età media dei Docenti universitari italiani tra le più alte in Europa. Si deduce, pertanto
che un intervento che favorisca le carriere dei giovani Ricercatori e Docenti universitari è
indispensabile per evitare il depauperamento dell’Università Italiana.
Per quanto riguarda la definizione di Giovani Ricercatori, l’analisi dei Bandi di progetti di ricerca
indirizzati ai giovani suggerisce che generalmente l’età limite è fissata in 40 anni, quando in altri
Paesi il limite è invece usualmente più basso. Questi concetti sono stati peraltro già diffusi dai
mezzi di informazione, cosicché negli anni scorsi, si è fatta strada la giusta convinzione dei
legislatori e dei vari Governi degli ultimi anni che occorresse riservare una quota non marginale dei
finanziamenti alle nuove leve della Ricerca e dell’Università. Limitandosi ai finanziamenti Italiani
il MIUR ha finanziato 55 Ricercatori dell’Area Scienze della vita attraverso i Fondi Sir - Scientific
131
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Independence of young Researchers per un importo di € 53.520.612. Dalla lista dei progetti
finanziati si evince che solo due di questi sembrano indirizzati a chiarire problemi di interesse
pediatrico(http://sir.miur.it/index.php/finanziati/index). Negli anni 2008, 2010, 2012, 2013, il
MIUR
aveva
anche
promosso
Bandi
relativi
al
Programma
Futuro
in
Ricerca
http://futuroinricerca.miur.it/.
Anche nel 2015, il Ministero della Salute ha finanziato 93 progetti giovani nell’ambito del
Programma Fondi di Ricerca Finalizzata e Giovani Ricercatori 2013, riservato a Ricercatori con
meno di 40 anni. L’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro ha un programma
denominato My First AIRC Grant (MFAG) dedicato a ricercatori sotto i 40 anni che non hanno
mai avuto un finanziamento AIRC e che dovrebbero costituire uno strumento concreto con cui i
ricercatori possono avviare la propria ricerca indipendente. Nel 2015 l’AIRC ha finanziato 44
progetti che coprono i costi della Ricerca e lo stipendio di due borsisti che lavorano al progetto.
Questi stessi obiettivi sono condivisi dal programma Dulbecco Telethon Institute Career Award che
finanzia per 5 anni Scienziati Italiani impegnati nell’ambito delle malattie genetiche senza una
posizione permanente in Italia. A differenza degli altri programmi, quello sostenuto da Telethon
non ha un limite di età prestabilito, sebbene i candidati con età superiore ai 40 anni vengano
scoraggiati.
Nell’ultimo decennio i programmi di finanziamenti europei si sono posti l’obiettivo di aumentare
gli investimenti in ricerca dei singoli paesi membri della comunità europea e di favorire
l’integrazione delle Ricerche nazionali in un unico ambiente di ricerca (Chessa et al., 2013).
Nonostante il nostro Paese abbia condiviso in linea di principio questi obiettivi, i risultati sono stati
modesti. Sia per la quota di investimenti in ricerca che è rimasta al di sotto della media europea che
per la capacità di successo nell’ottenere gli stessi Fondi europei. Per quanto concerne questi
finanziamenti, i dati relativi ai Fondi dello European Research Council (ERC) evidenziano come il
tasso di successo dei Ricercatori Italiani nell’ottenere i Fondi ERC sia più basso rispetto alla media
degli altri Paesi, specialmente quando l’analisi si limiti agli Starting Grant (Figura 2A e 2C).
Nonostante ciò, si evince come l’efficacia dei finanziamenti è probabilmente molto buona, tanto
che, misurando il numero di citazioni per Ricercatore, questo indice è inferiore solo a quello dei
Ricercatori di Olanda e Svizzera (Figura 2B)(Raponi, 2013).
L’effetto dei Finanziamenti ERC ha peraltro un importante effetto sulle carriere dei nostri
Ricercatori in quanto la legislazione Italiana prevede che i vincitori degli Starting Grant ERC
possano accedere direttamente al ruolo di Professore Associato attraverso l’intervento del MIUR. Si
132
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
tratta di una misura con forte impatto sulla crescita dell’Università che potrebbe contribuire in
misura significativa al rinnovamento dell’Università, se le risorse degli Atenei finalizzate al
reclutamento facessero riferimento in modo più preciso alle capacità dei Ricercatori di ottenere
Fondi di Ricerca.
Nell’ambito di questi finanziamenti è difficile evincere quanti di questi siano di ambito pediatrico e
potenzialmente in grado di favorire lo sviluppo di carriere scientifiche in questo ambito. Valutando
il titolo dei progetti sembrerebbe che, fatta eccezione per quelli finanziati da Telethon che sono
spesso indirizzati su malattie di interesse pediatrico, gli altri programmi siano poco attenti alla
Medicina dell’età evolutiva. Il ridotto finanziamento ai progetti di interesse pediatrico lo si può
dedurre anche dall’analisi del Fondi PRIN (Programma di Ricerca di Interesse Nazionale) che
evidenzia come il numero dei progetti finanziati ai Pediatri si sia andato riducendo nel tempo
(Figura 3).
È evidente che tale paucità di finanziamenti a giovani Ricercatori con interesse per le malattie
pediatriche potrebbe anche essere dovuta a una scarsa capacità di favorire lo sviluppo di carriere
indirizzate alla ricerca per i giovani specialisti in Pediatria (Labini & Zapperi, 2010; Rubino, 2008).
Questo aspetto, che è analizzato in altra parte del Libro bianco, potrebbe incidere sul numero di
domande di Grant provenienti dall’area pediatrica.
Occorre porre in evidenza come sia importante perseguire l’indipendenza e l’autonomia dei
Ricercatori nello svolgimento del progetto oggetto di finanziamento. In alcuni casi, si può osservare
come i progetti possano essere presentati a nome di giovani, ma vengano invece svolti da altro
Docente che non potrebbe concorrere al Bando per via dei limiti di età. Questo tipo di stratagemma
comporta un danno non solo per l’Ente finanziatore a causa dell’aggiramento dei criteri di
partecipazione, ma limita pesatamente la capacità del giovane di sviluppare una carriera
indipendente. Questa situazione, che è piuttosto frequente nell’Università Italiana, non si osserva in
altre Nazioni, dove la mobilità dei Ricercatori e Docenti rispetto alla sede universitaria impedisce
che si costituisca una condizione di dipendenza tra il Maestro e l’Allievo.
Le proposte e iniziative della SIRP
Visto che tra gli obiettivi Statutari della SIRP vi è la promozione della “ricerca scientifica
finalizzata alla protezione della salute in età evolutiva”, la nostra Società vorrebbe lavorare al fine
di favorire sia l’aumento delle risorse finalizzate alla ricerca pediatrica sia a indirizzare i giovani
Pediatri a occuparsi di ricerca. Pur nella pochezza delle risorse disponibili la Società ha già
133
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
promosso incontri scientifici indirizzati ai giovani, con l’obiettivo di formare i Pediatri alla
metodologia della Ricerca Scientifica. La SIRP nell’ambito delle Società scientifiche di interesse
pediatrico, recentemente federate nella Federazione delle Società scientifiche e delle Associazioni
dell’Area Pediatrica (FIARPED), intende proporre iniziative di ricerca clinica su tematiche
trasversali alle varie aree specialistiche, quale ad esempio la sperimentazione per farmaci da usare
per l’età evolutiva. Tuttavia, affinché la Società possa avere un impatto reale sulla ricerca pediatrica
in Italia, occorrerebbe che fosse capace di intrecciare rapporti di collaborazione più stretti non solo
con le Società pediatriche, ma anche con le organizzazioni dei pazienti che sono i veri conoscitori
delle esigenze dei malati e che potrebbero contribuire efficacemente nel delineare gli obiettivi dei
progetti.
Lo sviluppo di un nuovo rapporto della nostra Società con le organizzazioni dei pazienti e dei
genitori sarebbe importante al fine di una corretta analisi dei bisogni e di una adeguata
pubblicizzazione della SIRP presso la Società civile, secondo modelli di finanziamento della ricerca
già sviluppati in altri ambiti (Boote et al., 2015). A questo potrebbe contribuire un rapporto più
stretto con l’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani, che consentirebbe di avere la giusta
attenzione alle necessità territoriali e ai programmi di ricerca e sviluppo delle aziende ospedaliere
che assistono i pazienti pediatrici.
È intenzione della SIRP selezionare attraverso un proprio Comitato scientifico le proposte di
finanziamento sulla base di rigorosi criteri meritocratici, per dare garanzie agli Enti finanziatori
sulla effettiva validità del progetto. Ai fini di un ruolo corretto della SIRP, sarebbe essenziale un
coinvolgimento delle altre Società di ambito pediatrico, ed in particolare delle Società pediatriche
specialistiche che svolgono direttamente attività di divulgazione scientifica e attività di promozione
di progetti di ricerca nell’ambito delle rispettive aree di interesse. Con la costituzione della
FIARPED si è creata l’opportunità di elaborare e sviluppare in quella sede strategie di
finanziamento della Ricerca di interesse pediatrico e di promozione di Carriere. A questo scopo,
sarebbe utile che Presidenti delle Società pediatriche specialistiche - o loro delegati - entrassero a
fare parte del Comitato scientifico della SIRP per favorire una adeguata condivisione dei
programmi di ricerca, soprattutto se di interesse “trasversale” alle varie aree specialistiche.
Per provvedere al finanziamento dei progetti selezionati, la SIRP si propone di rivolgersi a
Fondazioni ed Enti finanziatori oltre che ad Investitori privati.
Attraverso lo sviluppo di internet sono diventate popolari nuove modalità di finanziamento basate
su siti capaci di raccogliere risorse per lo sviluppo di startup (kickstarter.com) o anche per la
134
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
realizzazione di progetti di ricerca con impatto sanitario (medstartr.com). Questo tipo di richiesta di
finanziamenti richiederebbe un’analisi economica più precisa, al fine di fornire ulteriori strumenti di
valutazione agli eventuali investitori o ai benefattori privati. È’ evidente che uno sviluppo di questo
genere comporterebbe alcune difficoltà aggiuntive nell’elaborazione dei grant, ma consentirebbe di
aumentare le probabilità di successo della raccolta fondi (Pellegrino & Saracino, 2015).
Attraverso questa strategia la SIRP si candida, quindi, a diventare allo stesso tempo un punto di
incontro tra le esigenze dei pazienti e gli interessi dei giovani ricercatori a sviluppare le proprie
carriere in ambito pediatrico.
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stato
del
sistema
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Rubino, A. Dove va la Pediatria. Prospettive in Pediatria, 2008. 38; 96–101.
135
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Szilagyi, P. G, Haggerty, R. J, Baldwin, C. D,et al. . Tracking the careers of academic general
pediatric fellowship program graduates: academic productivity and leadership roles. Academic
Pediatrics, 11;3: 216–23. doi:10.1016/j.acap.2011.02.005
FIGURE
Figura 1 A. Andamento delle risorse destinate al PRIN (milioni di euro).
Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013. MIUR- Direzione
generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca.
160
140
134
137
137
131
126
120
110
106
96
100
100
82
75
80
60
39
40
20
0
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Figura 1 B. Rapporto tra quota di finanziamenti ottenuti e quota al contributo al bilancio dell’Unione,
contributo effettivo e al netto della correzione per Olanda, Regno Unito e Svezia.
Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013 E-CORDA-Proposals
136
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Figura 2. Finanziamenti ERC
Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013. European Research
Council –FP7
2A
137
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
2B
2C
138
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Figura 3: Assegnazione dei Fondi PRIN ai Pediatri rispetto al totale dei Finanziamenti.
139
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
TESTIMONIANZE
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il punto di vista di chi ha deciso di "rischiare" (1)
Loredana Marcovecchio
Uno sguardo alle prospettive di una carriera accademica in Italia
Per un giovane medico/pediatra essere impegnato nella ricerca rappresenta un'opportunità unica per
contribuire all’avanzamento delle conoscenze mediche e più in generale al progresso della società.
L’avvio di una carriera universitaria è un momento delicato per un giovane, prevedendo un percorso
lungo ed impegnativo: occorre dedicarsi all’obiettivo con molta determinazione, perseveranza,
impegno personale e spirito di sacrificio. Inoltre, si tratta di un percorso associato a numerose
incertezze: l’ambiente offre una carriera assai incerta, che dipende da un lato dal maturare di un
potenziale scientifico personale difficilmente prevedibile, e dall’altro da cambiamenti del quadro
istituzionale che potranno essere più o meno favorevoli. Molto dipende dunque dall’impegno
personale, dalle capacità individuali, ma vi è anche una forte influenza da parte delle circostanze in
cui si opera: è molto importante trovarsi nel giusto ambiente, con disponibilità di infrastrutture e
fondi per la ricerca. È importante anche incontrare le giuste persone/maestri che sappiano guidare il
giovane nel suo percorso e siano disposti a trasmettere i giusti insegnamenti e la giusta metodologia
di ricerca.
È fondamentale che chiunque decida di intraprendere una carriera nel mondo della ricerca trovi
gratificazione nel proprio lavoro e sia convinto dell’importanza dell’obiettivo da perseguire.
Nel nostro Paese, le politiche degli ultimi anni hanno fortemente penalizzato il ruolo della ricerca
scientifica e sminuito l’interesse dei giovani nei suoi confronti. Le statistiche parlano chiaro: l'Italia
ha un numero di dottorandi inferiore rispetto ad altri Paesi europei. Inoltre, lo stipendio dei
dottorandi italiani, anche dopo aggiustamento per il costo della vita, è inferiore a quella dei loro
colleghi provenienti dai paesi dell'Europa occidentale. Nel corso degli ultimi anni c’è stato anche un
ridimensionamento dei programmi post-dottorato, in termini di fondi e disponibilità. Confrontando
il reclutamento prima e dopo la riforma della legge 240/2010, dati recenti, raccolti
dell'Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca (ADI), hanno messo in evidenza come i buoni
propositi siano naufragati di fronte alla realtà dei numeri. Se, infatti, prima del 2010 il tasso di
reclutamento dei ricercatori (a tempo indeterminato) era di circa 1.700 all'anno, nel 2013 le
Università hanno assunto 812 ricercatori a tempo determinato di tipo A e 96 ricercatori a tempo
determinato di tipo B, per un totale di 908 ricercatori a tempo determinato.
143
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Inoltre, le riforme degli ultimi anni hanno anche reso il percorso di formazione alla ricerca lungo e
incerto. Per cui, anche i giovani più meritevoli, dotati di talento e delle giuste doti per “far ricerca”,
devono essere pronti a "rischiare", ad investire una media di 10-15 anni prima di raggiungere una
posizione di stabilità, quale ad esempio quella di ricercatore tipo b, propedeutico a una posizione di
professore associato. Tuttavia, in base a recenti statistiche, tale posizione verrebbe garantita solo ad
un ricercatore su 100.
Pertanto, la carriera universitaria, che dovrebbe ‘generare’ individui liberi e creativi, in Italia,
produce dipendenza, incertezza e servilismo. Ciò incide sfavorevolmente sulle scelte dei giovani
laureati, che spesso rinunciano al sogno di una carriera accademica, propendendo realisticamente
per professioni più remunerative. In particolare, per un giovane pediatra la prospettiva di una
posizione ospedaliera è senz’altro più ‘appealing’ in termini di remunerazione, ma anche di
conciliazione con vita familiare e sociale. L’altro risvolto negativo del sistema universitario italiano
è quello di sperimentare una costante “fuga di competenze”. I ricercatori vanno dove la ricerca ha
maggiori finanziamenti, dove dà maggiore gratificazione, dove la remunerazione è più alta.
Nell’ambiente accademico vi è poi una disparità di genere, con la presenza di una sola donna ogni
tre ricercatori. Procedendo progressivamente nel percorso di formazione e nella carriera di ricerca la
componente femminile tende a ridursi. Dati recenti indicano che le donne rappresentano ben il 60%
rispetto alla totalità degli studenti laureati; la loro presenza si riduce però al 44% lungo gli step
iniziali del percorso di ricerca, per poi scendere fino al 18% ai livelli di carriera più avanzati.
Considerando che tra i giovani specialisti in pediatria, le donne prevalgono, questo si traduce in un
ulteriore ostacolo ad avere giovani pediatri che si orientino verso la carriera accademica. Le
ricercatrici sono dunque di meno, e ciò dipende dal fatto che è difficile fare carriera per varie
difficoltà, tra cui conciliare la vita lavorativa con la vita fuori dal lavoro (famiglia, figli).
L’ esperienza personale
La mia “storia accademica” è quella di una persona che, fin dall'inizio della sua formazione medica,
ha nutrito un forte interesse per la ricerca clinica, ed è stata conquistata dall’idea di conciliare
attività clinica e di ricerca.
La mia passione per la ricerca è infatti nata e progressivamente maturata durante gli anni
dell’università, quando, attraverso lo studio della medicina nelle sue varie branche ho acquisito la
consapevolezza che molto è noto su varie patologie ma che ci sono anche tanti quesiti irrisolti, e
molti continuano ad emergere quotidianamente nella gestione dei pazienti. Ciò ha stimolato la mia
innata curiosità e desiderio di approfondire soprattutto aspetti relativi alle patologie endocrino-
144
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
metaboliche in età pediatrica, e a cercare di dare un mio piccolo contributo per una migliore
comprensione di processi fisiopatologici e l’identificazione di nuove strategie preventive e
terapeutiche.
Forte motivazione, spirito di sacrificio, coraggio e soprattutto desiderio di perseguire un sogno sono
stati gli elementi che mi hanno aiutato nel lungo percorso formativo post-laurea, che dopo circa 11
anni mi ha permesso di ottenere una posizione di ricercatore di tipo B, solo di recente. Nonostante
non possa negare che il percorso finora sia stato lungo e non semplice, e che tuttora sia pieno di
incertezze, tuttavia, penso che l’aspetto incoraggiante della mia esperienza sia che anche un giovane
che “non porti un cognome importante”, che non abbia “origini nobili” possa ambire ad un posto
nel mondo universitario.
Ci sono alcuni elementi del mio percorso sui quali vorrei soffermarmi.
1) Il primo punto è stata la mia scelta di optare per un dottorato di ricerca subito dopo la Laurea in
Medicina, posticipando l’ingresso nella Scuola di Specializzazione in Pediatria.
Tale scelta è stata vista da molti, sia coetanei che persone con maggiore esperienza, con molto
scetticismo. Una scelta solo da taluni definita ‘coraggiosa’. Per me, invece, è stata una scelta
motivata da una forte passione per la ricerca e dal sogno di poter intraprendere una carriera
universitaria. Un elemento che non ho considerato nel momento in cui ho fatto tale scelta è stata
l’aspetto remunerativo, forse sia per l’effetto di un po’ di ingenuità, legata alla giovane età e
della mancanza di esperienze lavorative remunerate precedenti, ma soprattutto perché in quel
momento la prospettiva di una potenziale carriera universitaria veniva prima. Tra l’altro, l’unico
dottorato a cui potevo presentare la domanda in quel momento aveva la durata di 4 anni, ma
anche questo aspetto non mi ha distolto dalla mia scelta.
2) Un altro punto importante penso sia stata l’offerta di trascorrere un periodo formativo all’estero,
che ha rafforzato la mia scelta.
Già durante gli anni dell’università avevo desiderato fare una esperienza all’estero, ma avevo
sempre posticipato ciò al fine di completare il percorso di studi universitari entro i termini.
Durante il dottorato ho avuto la possibilità di trascorrere un lungo periodo in un centro di
eccellenza per la ricerca nell’ambito della Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica presso
l’Università di Cambridge (UK). Sono poi tornata nella stessa struttura come post doc dopo il
conseguimento del dottorato.
Penso che un periodo formativo all’estero, presso un centro di eccellenza, sia fondamentale per
qualsiasi giovane che voglia intraprendere la carriera accademica. Per me è stato un motivo di
crescita non solo professionale ma anche personale. È stata un’esperienza senz’altro difficile
145
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
sotto vari punti di vista: aspetto economico (costi di vita maggiori/spese per viaggi, etc),
inserimento in un ambiente nuovo, rappresentato da un centro di eccellenza per la ricerca in
pediatria, nonché le difficoltà incontrate poi nel re-inserimento nell’ambiente universitario di
origine al ritorno in Italia.
3) Un ulteriore aspetto del mio percorso formativo è stato poi l’ingresso in specializzazione dopo il
dottorato.
Devo dire che passare dal mondo della ricerca a quello della clinica mi ha permesso di trasferire
le competenze acquisite durante la formazione alla ricerca in ambito clinico, quali rigore e
metodologia scientifici, capacità di utilizzare al meglio il proprio tempo, capacità coordinative
nel lavoro di gruppo/équipe. Questo mi è stato molto di aiuto. Tuttavia, non nego che il periodo
di formazione specialistica sia stato molto impegnativo, perché durante tali anni ho dovuto
portare avanti anche attività di ricerca ‘nei ritagli di tempo’, al fine di consolidare il mio
curriculum e, soprattutto, per evitare “gaps” nella attività di ricerca che vengono sempre visti
negativamente in sede di concorsi.
4) Un ulteriore punto che vorrei sottolineare sono le incertezze generate dai cambiamenti avvenuti
durante il mio periodo formativo e quelle generate dalla carenza di fondi.
In particolare, la famosa ‘legge Gelmini’ (legge 240/2010) è entrata in vigore proprio mentre
ero nel cuore del mio percorso formativo, facendo decadere quella posizione di ricercatore a
tempo indeterminato nella quale avevo sperato quando avevo iniziato il mio dottorato di ricerca.
L’incertezza è un elemento caratterizzante della carriera universitaria. Tuttora, vivo una qualche
incertezza, in attesa che venga bandita la prossima tornata di abilitazione scientifica nazionale,
pre-requisito per poter avanzare nella mia carriera universitaria tra tre anni. Inoltre, numerose e
costanti sono le incertezze connesse con la difficoltà di ottenere fondi per progetti di ricerca,
fondi che sono sempre limitati e per i quali non sempre l’assegnazione avviene sulla base di
valutazioni obiettive e meritocratiche. Pertanto, le frustrazioni, i fallimenti sono tanti e bisogna
avere il coraggio di guardare avanti e fare sempre nuovi tentativi.
Conclusioni
Il percorso della carriera accademica è di sicuro lungo, con intrinseche difficoltà, frustrazioni e
incertezze, ma anche grandi soddisfazioni quando si ottengono risultati validi.
A mio giudizio la passione, la determinazione, lo spirito di sacrificio, la dedizione alla ricerca
insieme ad un forte senso di responsabilità verso se stessi e tutta la comunità scientifica sono
146
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
caratteristiche fondamentali per un giovane che vuole emergere e dare il suo contributo per il
progresso delle conoscenze scientifiche.
È importante credere nei propri ideali e nei propri sogni e fare di tutto per raggiungerli. Rischiare è
senz’altro un aspetto che caratterizza la scelta della carriera universitaria, ma del resto il rischio fa
parte di tutte le scelte. Solo “pochi eletti” hanno un percorso ben pianificato e senza rischi.
I giovani e il loro entusiasmo sono essenziali per l'avanzamento della ricerca. Pertanto, ritengo che
sia essenziale promuovere e potenziare la ricerca nel nostro Paese, attraverso investimenti in
formazione scientifica di giovani medici e aumentando le opportunità per coloro che desiderano
impegnarsi nella ricerca medica. Inoltre, è fondamentale l’implementazione di un concetto molto
importante, quale quello della ‘meritocrazia’, concetto di cui si parla tanto, ma che poi viene
applicato poco. Manca ancora nel nostro Paese, in ambito universitario, un sistema che permetta di
selezionare in base al merito e una politica in grado di dare vere opportunità a chi lo merita.
147
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il punto di vista di chi ha deciso di "rischiare" (2)
Antonietta Giannattasio
Nella “produzione della conoscenza”, le Università hanno un ruolo fondamentale, in quanto
principali fornitrici di formazione, ricerca e innovazione. La capacità formativa dell’Università
Italiana è dimostrata dall’alta qualità della produzione scientifica nel nostro Paese e dal
reclutamento di un elevato numero di studenti e ricercatori italiani all’estero.
I ricercatori italiani sono al 7° posto di una graduatoria internazionale per numero di citazioni delle
pubblicazioni.
Tuttavia, la ricerca scientifica in Italia presenta numerose problematiche, alcune delle quali sono:
•
Scarsezza di disponibilità in termini di posti liberi e fondi
•
Numero di ricercatori in Italia = metà rispetto a Francia e Germania
•
Età media a cui si diventa ricercatore = 38 anni
•
Età media degli universitari italiani = 50 anni (il 27% dei quasi 20 mila professori ordinari
ha più di 65 anni e il 54% dei docenti supera i 50 anni, contro il 41% della Francia e il 32%
della Spagna)
•
Drastica riduzione del turn-over nelle università nel triennio 2009-2012
•
Scarsa meritocrazia nel reclutamento e progressione di carriera dei ricercatori
•
Percentuale del PIL dedicato alla ricerca tra le più basse dei paesi del G8 (solo la Spagna è
in coda all’Italia)
A queste criticità si è aggiunto negli ultimi anni il nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori
universitari nell’unica forma possibile di “RTD” (Ricercatori a Tempo Determinato tipo A o tipo B,
legge Gelmini n. 240/2010). In base a tale legge, il ricercatore è diventato un “precario”, con
contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva
valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e
parametri definiti con decreto del Ministro. Tanti i problemi legati alla figura di RTD. Innanzitutto,
i ricercatori di tipo B, quelli relativamente più “stabili”, hanno avuto poco successo negli Atenei.
Diverse sono le ragioni: essi prevedono l’inserimento nella programmazione di una più onerosa
futura posizione di professore associato; i ricercatori a tempo indeterminato in servizio e in
esaurimento vedono giustamente il percorso privilegiato degli RTD-B come una concorrenza sleale:
infine, il meccanismo della tenure track, popolare nel mondo anglosassone, qui da noi non è stato
compreso appieno. Il risultato è che oggi su un totale di 2649 RTD in servizio negli Atenei statali,
148
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
solo 255 sono RTD-B. Un altro dei tanti problemi degli RTD riguarda il tempo a disposizione del
ricercatore per poter raggiungere un livello di maturità scientifica e rientrare nei parametri minimi
(mediane) previsti dalle abilitazioni nazionali a professore associato (attualmente unico modo per
restare a tempo indeterminato nell’università italiana) all’interno dei singoli settori disciplinari.
Questo calcolo, pur considerando fra i valori l’età accademica, prevede la verifica della produttività
scientifica degli ultimi 10 anni, un tempo nel quale i ricercatore ha modo di condurre ricerche e un
livello di produttività scientifica coerente con i criteri descritti dalle abilitazione. L’incoerenza in tal
senso riguarda il fatto che gli RTD non hanno a disposizione un lasso di tempo di 10 anni, pur
sommando un eventuale periodo dottorale e da assegnista, nel quale comunque la maturità
scientifica del ricercatore è in fase di formazione. Quindi un RTD si trova ad avere a disposizione
un numero di anni decisamente più basso per conseguire un livello di produttività, con conseguente
grande difficoltà nel poter rientrare negli indicatori previsti dalle abilitazioni nazionali.
Le scarse risorse economiche disponibili per i contratti di RTD e per le attività di ricerca in
generale, le condizioni economiche migliori in altri Paesi rispetto all’Italia, le prospettive di una più
rapida e gratificante progressione di carriera, spingono ogni anno i ricercatori italiani ad
abbandonare il nostro Paese e recarsi all’estero.
Ma per chi decide di restare, quali e quante sono le possibilità di fare ricerca? C’è chi, come la
sottoscritta, che decide di “ritornare all’università con il contratto RTD tipo A, con una scelta
personale condivisa da pochi e criticata da molti. Il mio personale percorso, che definirei tortuoso,
ha visto le seguenti come tappe principali: laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università
Federico II di Napoli nel 2001 (pochi giorni dopo il compimento del 24° anno di età),
specializzazione in Pediatria presso la stessa Università nel 2006, dottorato di ricerca conseguito nel
2009. Dal 2007: precaria dell’AOU Federico II (contratto assistenziale di tipo libero-professionista,
di 38 ore settimanali, presso il Centro di Riferimento Pediatrico per l’HIV). Dopo 4 anni di tale
contratto, mal retribuito, poco tutelato, con necessità di “integrare” con altre attività (sostituzioni di
pediatria di base, turni di guardia in cliniche convenzionate…) con conseguente meno tempo da
dedicare alla ricerca, la decisione: lasciare l’università per un contratto ospedaliero a tempo
determinato (avviso pubblico), trasferirsi in un’altra regione (Basilicata), abbandonare (forse) la
ricerca. Dopo un anno di avviso pubblico, vengo assunta, previo concorso, a tempo indeterminato,
presso lo stesso ospedale lucano… e poi… nel 2014, dopo un breve “periodo” a Campobasso presso
l’Università del Molise, ecco un concorso per RTD tipo A all’Università Federico II. E a questo
punto che si fa? Ci si rimette in gioco, si fa il concorso, si vince il concorso, si accetta il contratto, si
ritorna dall’ottobre 2014 all’Università Federico II, rinunciando intanto anche ad un trasferimento
per mobilità dalla Basilicata all’ASL di Caserta.
149
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
E poi? Cosa succederà al termine dei tre anni di RTD? Questo ve lo diremo alla prossima puntata!
In conclusione, le nostra università sono (malgrado tutto) una miniera d’oro di talenti frustrati da un
sistema imballato, incapace di valorizzarli. Quello che si è affermato in Italia non è un sistema
flessibile del lavoro di ricercatore, ma un sistema di precariato in cui anche il contratto di
ricercatore a tempo determinato è diventato oramai una chimera.
150
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
L’esperienza di chi ha seguito la sua vocazione...all’estero
Luigi Titomanlio
Come si sviluppa la carriera universitaria di un pediatra in un Paese diverso dell’Italia?
In questo breve documento introdurrò il sistema di valutazione personale e scientifica francese, che
mi ha permesso all’età di 42 anni di essere nominato Professore Ordinario di Pediatria nella
prestigiosa Università Paris 7 - Sorbonne Paris Cité di Parigi, e allo stesso tempo Primario
universitario del reparto di Urgenze Pediatriche dell‘Ospedale Robert Debré. Tale reparto parigino è
tra i più grandi e reputati in Europa, con 87.000 visite nel 2015, e rappresenta un fiore all’occhiello
del sistema sanitario francese.
Premessa: si può intraprendere una carriera universitaria di alto livello se ci sono delle condizioni
favorevoli: la voglia, le capacità, e soprattutto il sostegno di persone care e dei mentori, che ti
incoraggiano e ti guidano nel lungo percorso. Sono riconoscente a tutti i miei mentori, ma nominerò
solo quelli che hanno interesse per il lettore di questo articolo.
Dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia e poi la Specializzazione in Pediatria
all‘Università Federico II di Napoli, ho iniziato un dottorato di ricerca nella stessa Università, sotto
la guida del Prof. Generoso Andria. Spinto dalla volontà di apprendere la Neurologia Pediatrica, che
in Italia percorre vie diverse dal resto del mondo, sono partito per Parigi per terminare il dottorato e
perfezionarmi in neuropediatria, sotto la guida del Prof. Philippe Evrard. Essendo la carriera di
ricerca in Italia complessa (non mi dilungo), e essendo valorizzato in Francia, ho continuato un
post-dottorato nel laboratorio INSERM diretto dal Prof. Pierre Gressens, di comune accordo con
tutti i sopracitati Professori. Per la clinica, mi è stato offerto un posto di Chef de Clinique (fellow
resident, posto che si ottiene dopo la specializzazione) al fine di sviluppare la neuropediatria acuta
nel reparto di Urgenze Pediatriche dirette all’epoca dal Prof. Jean-Christophe Mercier. Ho poi
percorso tutte le tappe che portano in Francia ad un posto di Ordinario.
Come si fa a diventare Professore Ordinario di Pediatria in Francia?
Prima di tutto, quanti ce ne sono? Poco più di un centinaio.
Il numero di Ordinari per tutte le discipline è quasi fisso anno per anno, poiché dipende dal
Ministero, che attribuisce i posti di Ordinario alle diverse Facoltà in base alle performance degli
151
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
studenti agli esami nazionali, alle pubblicazioni e ai grant internazionali ottenuti. È poi il Consiglio
di ogni Facoltà a distribuire i posti di Ordinario tra le varie discipline della Facoltà. In pratica, i
posti sono pochi ed in competizione.
Come si fa a garantire un buon candidato per il proprio reparto?
Il Professore in ruolo pre-seleziona dei candidati potenziali, anche più di uno per reparto. In genere
si scelgono i migliori, attraverso un sistema di commissioni multiple che dettaglierò in basso.
Capirete che scegliere dei candidati su base non meritocratica espone il reparto, l’ospedale e la
Facoltà alla perdita di un posto di Ordinario, che rappresenta un declassamento severo per la
funzionalità di ciascuna di queste strutture.
Come si cerca di garantire la meritocrazia?
Nel sistema francese i candidati:
1) sono valutati da una commissione ospedaliera, che può mettere un veto, e che classifica alla
fine tutti i candidati al posto di Ordinario secondo l’interesse che rivestono per l’Ospedale;
2) sono valutati da una commissione universitaria, che può mettere un veto, e che classifica
tutti i candidati al posto di Ordinario secondo l’interesse universitario che rivestono per la
Facoltà;
3)devono avere ottenuto una abilitazione nazionale a dirigere delle ricerche (HDR). Per ottenerla, si
deve aver svolto un post-dottorato in un laboratorio di ricerca nazionale, e si deve essere valutati da
una commissione nazionale indipendente. Quest’ultima ha diritto di veto e si basa su dei reviewer
del curriculum del candidato, senza alcun rapporto con la struttura di origine (forse inutile dirlo),
che effettuano anche una visita sul sito per discutere in privato con il personale, al fine di verificare
che il candidato sappia pubblicare, trovare fondi di ricerca e coordinare un team di laboratorio (in
breve, verificano che non sia un altro a farlo per lui).
4) devono avere dei requisiti minimi, essenzialmente:
- essere stati Chef de Clinique per almeno 2 anni
- avere un Diploma nazionale per l’insegnamento
- avere svolto una mobilità di 1 anno in una struttura indipendente dalla struttura di origine,
di preferenza all’estero
- avere pubblicato bene nella sotto-disciplina, cioè avere un numero di punti minimo allo
score francese SIGAPS. Il calcolo dei punti si basa sulla posizione dell’autore, sul numero di autori,
sul tipo di pubblicazione e sul quartile di appartenenza della rivista nella sotto disciplina (The
152
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Lancet per l’internista ha lo stesso valore di Pediatrics per il pediatra). L’H-index e gli altri indici
sono valutati nell’ambito dell’ottenimento dell’HDR (punto 3).
5) dopo avere valicato i punti precedenti, devono essere validati dal Consiglio nazionale
dell‘Università, sottosezione pediatrica, composto da Professori Ordinari, in due sessioni
progressive ad anni diversi (pre-CNU e CNU). Anche qui, ci sono dei reviewer che si basano anche
su una visita sul sito per discutere del candidato con altri docenti, il direttore dell’Ospedale, la
commissione medica, il preside di Facoltà, il personale medico e paramedico del reparto, il
personale del laboratorio, e gli studenti. Lo scopo di queste visite è di nominare un candidato che
sia appoggiato dall’Ospedale, dalla Facoltà e dal reparto, e che non sia il frutto di una nomina non
meritocratica (tralascio le differenti sotto-categorie), poiché nuocerebbe a medio e lungo termine al
prestigio di tutte queste strutture.
6) infine, devono essere approvati dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Università, che
raccolgono tutti i documenti delle differenti commissioni, e che hanno ovviamente diritto di veto se
giudicano il candidato non idoneo.
Non dettaglierò la carriera per il Primariato universitario, dirò solo che richiede anch’essa il
passaggio di un numero significativo di commissioni, con lo scopo di non trovarsi un primario
« buono solo a pubblicare » e incapace di gestire un’équipe (o il contrario). L’interesse della
collettività resta in primo piano.
Per concludere, in Francia ottenere un posto di Professore Ordinario e di Primario universitario ad
una giovane età è possibile, anche per uno straniero senza « meriti non meritocratici » (forse non è
italiano, ma si capisce). Attenzione al fatto che la strada è molto lunga, difficile ed estremamente
competitiva. A titolo di esempio, per ottenere il posto che occupo, ho passato 20 commissioni.
Forse è questo il prezzo da pagare per un sistema di qualità.
Quel che ho trovato utile nel sistema francese è il pre-orientamento: si identificano dei potenziali
candidati ad un posto universitario, e si sostengono affinché possano mostrare quel che valgono in
realtà. Visto il numero di commissioni indipendenti, con diritto di veto e a difficoltà crescente, si
selezionano all’inizio solo i candidati che hanno davvero un profilo universitario: l’interesse
comune prevale sull‘interesse personale poiché in caso contrario ci rimettono tutti, e nessuno è
disposto a perdere.
153
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Considerazioni conclusive
Armido Rubino
A volte le “Vie del Signore” appaiono davvero “infinite”. In Italia (il Paese con molti record
negativi nel quadro europeo riguardo al sostegno, finanziario e normativo, alle attività di ricerca
scientifica e alla formazione dei giovani alla ricerca) accade che la ricerca scientifica svolta dalle
istituzioni pediatriche e, più in generale, la “ricerca scientifica di interesse pediatrico”, sia di buon
livello e del tutto competitiva se confrontata con gli altri Paesi europei inclusi quelli molto più
fortunati dal punto di vista del sostegno alla ricerca scientifica. Lo dimostrano i dati sulle
pubblicazioni scientifiche raccolti, negli anni più recenti, dalla SIRP grazie all’impegno di
Generoso Andria e dei Soci che con lui hanno collaborato.
Ma è bene non cullarsi su questi fatti. Purtroppo sono ben noti i dati negativi generali sul sistema
universitario e della ricerca scientifica nel nostro Paese (istituzioni pediatriche incluse)
relativamente sia alla cosiddetta “fuga dei cervelli” verso altri Paesi, sia alla persistente
insufficienza delle risorse e delle opportunità offerte ai giovani (in particolare i giovani medici) per
una carriera accademica, sia alla persistente e generale scarsità di meritocrazia nei processi selettivi.
Benvenuto dunque questo Libro bianco della SIRP, che pone al centro dell’attenzione il problema
del reclutamento dei giovani medici per una carriera accademica nel nostro Paese, con particolare
riferimento ai rapporti fra formazione alla ricerca scientifica, formazione alle attività assistenziali e
rapporti con le prospettive di lavoro. Il tutto visto guardando in particolare al “medico pediatra”,
con i suoi connotati specifici ma anche come esemplificativo di un problema più generale.
È appena il caso di ricordare che il giusto punto di equilibrio fra formazione e lavoro richiede un
“parlarsi” fra i due ambiti per rendersi l’un con l’altro coerenti: cosa tanto più necessaria (ma anche
teoricamente più facile!) dal momento che i partecipanti ai due ambiti sono, in larga misura, le
stesse istituzioni e le stesse persone! Tuttavia…
Mi pare ormai assodato, fino a costituire un luogo comune, che sia ormai passato il tempo in cui
formazione e lavoro erano viste come due fasi distinte. Siamo invece nel tempo in cui alla
formazione di base segue la formazione continua, con un intreccio tra formazione e lavoro che
continua per l’intera durata della vita lavorativa. Ciò malgrado, ci si ritrova spesso a discutere di
formazione e lavoro come se si trattasse di due fasi distinte, l’una successiva all’altra. Guardando
155
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
allo specifico del medico (ad esempio pediatra) e del ricercatore impegnati in una carriera
accademica, il problema diverrebbe privo di soluzione se lo si dovesse impostare come il succedersi
di tre distinte fasi: la formazione del medico, la formazione del ricercatore, il lavoro nel sistema
della ricerca e/o dell’Università.
Non molti decenni orsono in Italia la specializzazione in pediatria durava tre anni mentre la
formazione alla ricerca era…affidata al caso più o meno fortunato. Tuttavia quella generazione di
pediatri promosse la ripresa dei contatti internazionali soprattutto con il mondo anglosassone, un
progressivo e straordinario sviluppo sia della pediatria generale sia delle specialità pediatriche nel
nostro Paese, con la crescita di numerosi Centri di eccellenza scientifica competitivi a livello
internazionale e, al tempo stesso, una forte cultura di pediatria generale che, accanto alla pediatria
ospedaliera, assumeva e dava sostanza alla “pediatria di famiglia” (oggi un autentico e positivo
unicum in Europa per quanto riguarda le cure all’età pediatrica).
Oggi se per la formazione di un pediatra clinico e ricercatore dovessimo prevedere un iter di sei
anni per conseguire la Laurea in Medicina e Chirurgia seguito da cinque anni per la
Specializzazione in pediatria e da ulteriori tre anni per un Dottorato di Ricerca o comunque un
Corso abilitante alla ricerca scientifica, avremmo una formazione “completata” all’età di 32 anni
nella migliore delle ipotesi. E se dovessimo tener conto di insufficienze, risorse e normative
governanti l’accesso alle strutture universitarie e di ricerca scientifica (il tutto con tempi operativi
tipici di un Paese come l’Italia afflitto da una burocrazia asfissiante) avremmo accessi al sistema
universitario e della ricerca fra i 35 e i 40 anni nella migliore delle ipotesi. Avremmo cioè quella
che Generoso Andria chiama l’ ”apoptosi” della figura del ricercatore e docente universitario in
medicina e in particolare in pediatria.
Dunque cosa fare? Cosa tentare di promuovere? Sembrano emergere due strade anche dagli
eccellenti contributi a queste giornate sul “futuro della ricerca clinica (pediatrica)”.
La prima strada riguarda il “programma MD/PhD” discusso da Claudio Pignata, Emilia Cirillo e
Giuliana Giardino. A me pare importante che si proceda su questa strada anche in Italia. Non
dovrebbe essere difficile formulare una proposta per le indispensabili approvazioni con relativi
decreti ministeriali, con un curriculum appropriato sia rispetto alle finalità di un’attività medicoassistenziale sia a quella di ricerca scientifica di tipo biomedico. C’è il rischio che nella fase
preparatoria e propositiva si possa incorrere in un confuso affollarsi di tutti i settori scientificodisciplinari presenti nelle Scuole di Medicina con richieste disordinate di “crediti formativi”,
156
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
perdendo di vista la visione di insieme. Si tratterà perciò, nella fase propositiva, di mantenere
saldamente la barra su una “formazione generale alla ricerca scientifica di interesse biomedico”.
Ma per quanto riguarda la formazione alla ricerca scientifica di specifico interesse pediatrico, credo
vadano anche perseguite le possibilità offerte dalle nuove norme riguardanti la specializzazione in
pediatria emanate circa un anno fa con apposito decreto ministeriale. Si tratta di una opportunità
che, se correttamente utilizzata, può produrre ottimi risultati per la formazione del pediatra
ricercatore.
Mi riferisco al decreto ministeriale, discusso in queste giornate da Giuseppe Saggese e altri, che
finalmente configura la specializzazione in pediatria secondo il modello comunemente indicato
come “europeo” (in quanto da tempo operativo nella maggior parete dei Paesi europei): un triennio
di insegnamento teorico e pratico di pediatria generale seguito da un biennio che può essere, a scelta
del candidato, o ancora di pediatria generale (per le cure primarie ovvero per le cure secondarie)
oppure per una delle numerose specialità pediatriche oggi ben riconosciute (dalla neonatologia alla
adolescentologia ovvero una delle numerose specialità d’organo o apparato: le cosiddette specialità
pediatriche per le cure di terzo livello, destinate soprattutto alle strutture universitarie e alle grandi
istituzioni pediatriche ospedaliere e di alta specializzazione). Ma va al riguardo precisato che tale
decreto (e relativo modello operativo) è allo stato delle cose privo di effetti e sarebbe destinato a
restare tale se la comunità pediatrica italiana non procedesse a promuovere tre fatti.
In primo luogo è necessario che per ciascuno degli indirizzi di alta specializzazione previsti sia
definita la numerosità dei posti a livello nazionale, ovviamente sulla base dei reali fabbisogni di
salute pediatrica.
In secondo luogo, ferma restando la competenza di ogni Scuola di specializzazione pediatrica per la
formazione nell’indirizzo di pediatria generale (nel quadro delle norme di legge vigenti che
configurano una forte collaborazione fra il sistema universitario e il sistema sanitario), è necessario
che siano ben individuati i criteri sulla base dei quali le singole sedi universitarie possano essere
riconosciute per le attività formative relative alle specifiche specialità pediatriche (criteri che la
stessa comunità pediatrica dovrebbe individuare e che ovviamente non possono non includere il
riconoscimento di un’attività di ricerca scientifica svolta in una o più specialità pediatriche, attività
documentata attraverso la produzione nella letteratura scientifica internazionale).
In terzo luogo è indispensabile che ciascuna sede universitaria nel Paese si adegui a quanto è già
individuato come obbligo di legge (peraltro tuttora inevaso): il rilascio, in allegato al titolo di
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
specializzazione, di un “supplemento al diploma” nel quale sia precisata l’avvenuta acquisizione del
titolo di specialista in una determinata specialità pediatrica o viceversa nell’indirizzo di pediatria
generale.
Va notato, con qualche preoccupazione, che a tutt’oggi, a distanza di circa un anno dal citato
decreto ministeriale che istituiva l’attuale assetto normativo della Scuola di specializzazione in
pediatria, le suddette tre condizioni non sono soddisfatte, cosicché il decreto di cui sopra è a
tutt’oggi privo di effetti. Urge perciò un’azione decisa della comunità pediatrica perché possano
concretizzarsi le tre suddette condizioni. Questo consentirebbe agli specializzandi degli anni quarto
e quinto un’attività formativa che sarebbe al tempo stesso di tipo clinico e di tipo scientifico.
Potrebbe allora bastare solo un ulteriore anno di formazione alla ricerca perché si possa ritenere del
tutto sufficiente la formazione medesima per concorrere alle selezioni relative all’inquadramento
nelle strutture di ricerca di interesse pediatrico, universitarie o ospedaliere.
Tale ulteriore anno potrebbe essere costituito da una partecipazione abbreviata a un Corso di
Dottorato (come è già consentito dalla normativa vigente) ovvero dalla partecipazione a Corsi
annuali di ricerca post-specialistica se andasse a buon fine l’iniziativa di cui trattano in questo Libro
bianco Giuseppe Saggese, Gianni Bona, Luigi Maiuri e Alice Monzani.
È bello e giusto che in un Libro bianco su “Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)” si tratti anche
dei problemi riguardanti il reclutamento dei giovani medici per una carriera accademica. Tuttavia
credo che a proposito di reclutamento qualcosa vada aggiunta. L’impressionante “fuga dei cervelli”,
gli innumerevoli esempi di giovani italiani che, formatisi in Italia vanno a mietere successi e
conseguire eccellenti situazioni lavorative in altri Paesi ci dicono che, malgrado molte difficoltà
l’attuale sistema formativo italiano non sta poi tanto male. E ci dicono che, fermo restando un
ulteriore impegno per migliorare i processi formativi, occorrerebbe intervenire anche su altro. E
quest’altro chiama in causa la politica nel Paese e l’accademia (quella universitaria in generale,
quella medica e quella pediatrica in particolare).
La politica di ogni colore che ha finora guidato il Paese è responsabile di una pluridecennale e
persistente insufficienza di risorse destinate all’Università e al sistema della ricerca scientifica, sotto
ogni aspetto e in particolare riguardo alla numerosità delle posizioni di docente e ricercatore. Basti
un dato: abbiamo l’Università più anziana del mondo: dei 13.239 Professori Ordinari (pochi in
assoluto rispetto ad altri Paesi) nessuno ha meno di 35 anni e solo il 15% ha meno di 40 anni (A.
Galdo. Ultimi. Edizioni Einaudi, 2016). Dunque ben altro occorre, sia in risorse finanziarie sia nella
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
numerosità delle posizioni di ricercatori e docenti, sia nelle disposizioni normative che “rendono
poco attraente una carriera di ricerca” e di fatto “ostacolano soprattutto il reclutamento di giovani”,
per usare le parole di Generoso Andria nella presentazione di questo Libro bianco.
Ma occorre anche riconoscere che il male forse più grande, la colpa più grave nei confronti dei
giovani di questo Paese vanno cercati nel campo delle valutazioni comparative fra più candidati da
parte di quanti sono chiamati a giudicare.
Fatte ovviamente salve le tante eccezioni, troppo spesso si dimentica che la funzione del docente
universitario, in quanto maestro dei più giovani, è tutta nel formare il giovane medesimo al più alto
livello qualitativo possibile e porlo nelle migliori condizioni culturali e pratiche per concorrere con
successo nelle valutazioni comparative per l’accesso alle posizioni di docente o di ricercatore.
Formazione in questo senso nei confronti di tutti non significa e non giustifica alcuna illegittima
protezione nei momenti valutativi. Quando il docente è chiamato a svolgere funzioni giudicanti
nelle valutazioni comparative per l’accesso di giovani alle posizioni di docente o ricercatore, il suo
compito non può che essere uno: giudicare chi sia il (oppure i) più meritevole(i), con la massima
obiettività e onestà intellettuale.
Purtroppo mi sembra doveroso riconoscere che troppo spesso il sistema delle valutazioni nelle
prove concorsuali nel nostro Paese è viziato da comportamenti che non costituiscono esattamente
scelta del più meritevole tra tutti i candidati indipendentemente dalle loro precedenti afferenze.
Aiutare i giovani medici nell’accesso alle carriere accademiche nel nostro Paese significa anzitutto
impegnarsi al meglio per la loro formazione, ma significa anche garantire a loro assoluta onestà
intellettuale nelle valutazioni comparative, sempre e comunque indipendentemente da ogni
elemento che non faccia parte di un giudizio di merito.
Sono convinto che offrire ai giovani la fiducia che il sistema Paese sia del tutto meritocratico
costituisca il modo migliore per trattenerli nel nostro Paese.
Maggiore impegno da parte dello Stato per creare opportunità di lavoro e maggiore credibilità dei
meccanismi valutativi sul terreno della meritocrazia: sono questi gli strumenti per trattenere i
giovani nel sistema universitario e della ricerca scientifica in questo Paese.
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