arco e frecce la storia

Transcript

arco e frecce la storia
L’arco e le frecce nella storia. Note tratte da un articolo di E. McEwen, R.L. Miller, C.A. Bergman – Le Scienze, agosto 1991.
Ben pochi sarebbero disposti a negare la fondamentale importanza per la storia umana dell'invenzione della ruota e della conquista del fuoco; di solito abbastanza misconosciuta, invece, è la rilevanza dell'invenzione dell'arco. In realtà, dal Paleolitico fino all'avvento delle armi da fuoco nel XVI secolo, l'arco ha contribuito a determinare il corso della storia sia come strumento da caccia sia come arma da guerra. Si è dimostrato fondamentale tanto per i nomadi dell' Asia centrale che fondarono vasti imperi e giunsero a dominare la Cina, quanto per gli eserciti medievali che si combatterono in Europa. Presente in tutte le culture, l'arco è stato nel corso dei secoli modificato profondamente e, da strumento rudimentale che era, costituito da un ramo e una corda, è divenuto un dispositivo meccanico altamente sofisticato. Come ben sappiamo, fondamentalmente un arco è una molla a due bracci mantenuta in tensione da una corda che ne unisce le estremità. Quando lo si tende, il dorso (la parte esterna della curvatura) è sottoposto a uno sforzo di trazione mentre il ventre (la parte interna della curvatura) subisce una forza di compressione. L'arco deve adattarsi a queste forze per evitare di spezzarsi e per poter scagliare lontano la freccia. Nei flettenti di un arco completamente teso è immagazzinata energia potenziale, che viene trasferita alla freccia e le dà impulso quando si lascia andare la corda. Immortalato nella storia e nella leggenda, l'arco lungo inglese è probabilmente il tipo più conosciuto. Ma nonostante tutta la sua potenza di tiro, l'arco lungo non è molto comodo da utilizzare in certe situazioni, per esempio cavalcando. Dagli scavi archeologici e da esperimenti fatti con modelli si può vedere che gli antichi costruttori adattavano gli archi alle specifiche necessità, tanto da produrre una miriade di piccole varianti di progetto. Alcuni popoli, come i Sioux, costruirono archi più corti per poterli utilizzare facilmente stando in sella. Altri, come gli Unni, combinarono materiali diversi in archi piccoli ma straordinariamente potenti, capaci di scagliare una freccia con forza tale da perforare corazze metalliche. Dal Paleolitico in poi si possono individuare due filoni distinti nella progettazione degli archi, uno europeo e uno asiatico. Nessuno dei due può essere considerato intrinsecamente migliore dell'altro; ciascun progetto di arco rappresenta invece una possibile soluzione al problema di scagliare con precisione un dardo piccolo e leggero imprimendogli forza di penetrazione. I vari tipi di archi non sono apparsi all'improvviso. Sembra che vi sia stato un processo graduale di modificazione del progetto dell'arco, processo che ha richiesto millenni e ha coinvolto molte culture preistoriche. Per esempio, alcuni studiosi ritenevano che l'arco lungo inglese fosse stato inventato nel Medioevo dagli anglosassoni, dai normanni o dai gallesi, mentre in realtà se ne sono scoperti antecedenti che risalgono ad almeno 8000 anni fa. Alcuni dati fanno pensare che l'equipaggiamento per l'arciere sia apparso all'inizio del Paleolitico superiore (35 000‐8000 a.C. circa). In queste note seguiremo l'evoluzione dell’arco dai suoi inizi, nella preistoria, fino alle modificazioni introdotte, soprattutto in Europa e in Asia, ancora 400 anni fa ed alcune indicazioni sugli archi moderni e sulla storia dell’arcieria moderna. 1 L’arco e le frecce nella storia Sviluppo dell’arco in Europa: l’arco semplice Le più antiche testimonianze che si riferiscono all'origine dell'arco sono forse alcune punte di freccia di epoca paleolitica ritrovate in Francia. La base stretta e sottile di queste punte poteva inserirsi facilmente in una tacca all'estremità dell’asta di una freccia. È peraltro possibile che queste punte, la cui datazione è compresa fra 28000 e 17000 anni fa, fossero impiegate come punte per giavellotti. Gli archeologi hanno raccolto testimonianze meno confutabili a Stellmoor, presso Amburgo, dove sono stati portati alla luce diverse aste di legno spezzate e punte di freccia riferibili a una cultura tardo‐glaciale esistita all'inizio del IX millennio a.C.. Non c'è alcun dubbio che queste aste fossero utilizzate con un arco: al contrario dei giavellotti, alla cui estremità posteriore vi è una stretta depressione che si inserisce nella parte a uncino di un dispositivo di lancio, queste aste hanno cocche (tacche rettangolari) che potevano ospitare solo la corda di un arco. Gli archi integri più antichi finora ritrovati risalgono al 6000 a.C. circa. Conservatisi nei terreni acquitrinosi di certe regioni della Scandinavia, sono costituiti da un singolo pezzo di legno, di solito olmo o tasso. Essendo fatti di un unico materiale, questi archi e gli altri dello stesso tipo vengono detti «semplici». Verso il Mesolitico (8000‐3200 a.c.) in Europa settentrionale era venuto affermandosi un arco di progettazione alquanto raffinata. Gli archi ritrovati nell'acquitrino di Holmgaard in Danimarca sono costituiti da una singola asta di olmo, ma un'impugnatura rigida separa flettenti larghi e appiattiti che si restringono gradualmente verso le estremità. Gli antichi costruttori devono aver raschiato e assottigliato con gran cura il ventre dell' arco perché esso si incurva in maniera regolare quando lo si incorda. Queste caratteristiche fanno sì che le sollecitazioni si distribuiscano uniformemente su tutta la lunghezza dell'arco, riducendone la probabilità di rottura e migliorandone le prestazioni. Gli archi di Holmgaard hanno una lunghezza da 150 a 180 centimetri, paragonabile a quella degli archi lunghi medievali. Un arco più lungo permette una maggiore estensione della corda: questo aumenta in modo significativo la velocità della freccia e la sua gittata, cioè la distanza che la freccia può raggiungere. Gli archi semplici corti, come quelli utilizzati dai cavalieri Sioux e Comanche nelle pianure del Nordamerica, hanno un'estensione della corda molto minore, spesso di soli 55‐60 centimetri. Lo sviluppo degli archi di Holmgaard deve essere avvenuto in più stadi, a partire da semplici tentativi e dalla consapevolezza delle limitazioni imposte dai materiali di partenza e dagli utensili impiegati. Gli archi semplici neolitici esemplificano forse nel modo migliore il ruolo che gli utensili e i materiali disponibili svolgono nella costruzione degli archi. Si è riscontrato che utilizzando gli stessi attrezzi di pietra posseduti dagli artigiani neolitici è perfettamente possibile costruire archi semplici, anche se, naturalmente, la precisione e il grado di lavorazione del legno non possono superare certi limiti. Per esempio, l'arco lungo neolitico di Meare Heath, in legno di tasso, ritrovato nel Somerset e datato con il metodo del radiocarbonio al 2700 a.C. differisce sostanzialmente dal ben noto arco lungo medievale, che veniva realizzato con utensili di metallo, nella forma del dorso e del ventre. Benché tutti e due abbiano lunghezza simile (circa 200 centimetri), l'arco di Meare Heath ha dorso più arrotondato e convesso e ventre più appiattito della sua controparte medievale. È evidente che i costruttori dell'arco di Meare Heath sfruttarono la forma del ramo o del tronco di partenza per ridurre il tempo di lavorazione. Probabilmente gli artigiani preistorici selezionavano con molta cura un ramo o alberello adeguato, della lunghezza e larghezza desiderate, e lo spaccavano in due. La lavorazione vera e propria doveva consistere soprattutto nell'affusolare l'asta in larghezza e spessore. Il fatto che il legno non venisse lavorato molto è particolarmente evidente nel dorso, che conserva in gran parte la curvatura naturale del ramo di partenza. La rotondità del dorso fa sì che gli strati di legno sottostanti la corteccia rimangano il più possibile intatti, riducendo la probabilità di indebolire inavvertitamente la struttura tagliando perpendicolarmente le fibre. La causa più comune di danneggiamento degli archi è la rottura del dorso provocata dallo sforzo di trazione; frequentemente il punto debole è proprio dove la venatura non è stata seguita con attenzione: le fibre del legno si separano e l'arco si spacca. Vi è una certa confusione fra gli studiosi riguardo alla composizione del materiale di cui sono fatti alcuni dei primi archi in tasso. In questo legno sono facilmente distinguibili due strati: l'alburno, di colore biancastro, che è lo strato esterno dell'albero, fisiologicamente attivo, e il durame, di colore rosso‐arancione, che è la parte morta centrale. L'alburno è elastico e ha una buona resistenza alla tensione, mentre il durame è più adatto a sopportare sforzi di compressione. Alcuni studiosi hanno fatto notare l'evidente assenza di alburno 2 L’arco e le frecce nella storia dal dorso degli archi neolitici in legno di tasso rinvenuti nei siti lacustri della Svizzera, datati al IV‐1I1 millennio a.C., e sull'arco di Meare Heath. L’esperienza attuale nella costruzione di archi in tasso fa ritenere estremamente improbabile che il solo durame sia stato impiegato per realizzare queste armi neolitiche. Il durame di tasso è troppo fragile per resistere all'elevato sforzo di trazione che l'arco subisce quando viene incordato e teso. Un'arma fatta di solo durame sarebbe stata inaffidabile e soggetta a rompersi in qualsiasi momento. È possibile che gli esemplari neolitici esaminati siano stati costruiti con legno non stagionato, più elastico, ma le prestazioni di un arco del genere dovevano essere tutt'altro che esaltanti. L'avvento degli utensili di metallo dopo il 2000 a.c. permise ai costruttori di archi di adottare tecniche di lavorazione differenti. L'arco lungo medievale, di cui esistono numerosi esemplari ben conservati, illustra forse nel modo migliore i tipi di lavorazione possibili con gli utensili di metallo. I costruttori inglesi realizzavano gli archi lunghi con legno ricavato da alberi più grandi e più vicini alla maturità rispetto a quelli impiegati in epoca neolitica. Dato che la superficie esterna di un grosso albero ha una curvatura più ampia di quella di un semplice ramo, i costruttori medievali erano in grado di produrre archi con un dorso più appiattito. Per esempio, gli archi recuperati dal relitto della Mary Rose, la nave da guerra di Enrico VIII affondata il 19 luglio 1545, hanno una sezione arrotondata, con un dorso di alburno lievemente appiattito. In epoca vittoriana si tese a privilegiare, in fase di lavorazione, soprattutto lo spessore del corpo dell'arco anziché la sua larghezza; ciò diede origine alla sezione «rotonda»», caratteristica degli esemplari di questo periodo. Un arco siffatto ha una gittata maggiore e imprime più velocità alla freccia pur con uno sforzo di tensione minore; tuttavia la distribuzione non uniforme delle forze lungo la sottile linea centrale del ventre spesso e arrotondato fa sì che gli archi di questo tipo si spezzino facilmente. Queste innovazioni non riflettono necessariamente un miglioramento continuo. Anzi, negli anni trenta e quaranta, configurazioni «ideali» per un arco di questo tipo furono sviluppate matematicamente e sottoposte a verifica sperimentale da studiosi moderni, e si è visto che questi archi ideali assomigliano più agli esemplari appiattiti e con bracci allargati usati in Europa nel Mesolitico e nel Neolitico che non a quelli sviluppati più tardi in Inghilterra. Non si sa perché gli inglesi abbiano preferito archi con bracci ristretti; potrebbe essersi trattato di un tentativo di utilizzare il materiale in modo più efficiente. 3 L’arco e le frecce nella storia Sviluppo dell’arco in Asia ‐ Varianti dell’arco semplice Al di fuori dell'Europa l'evoluzione dell'arco seguì una via del tutto differente. Senza dubbio l'arco semplice venne inventato indipendentemente da numerose culture, ma le sue varianti più complesse ebbero origine in Asia; qui, al contrario di quanto avvenne in Europa, i costruttori sembrarono concentrarsi non tanto sulla forma dei bracci, quanto sui materiali da impiegare. In particolare, in Asia si utilizzarono adesivi ricavati da pelli e dalla vescica natatoria di pesci per incollare tendini di animali al dorso degli archi. Il tendine ha una elevata resistenza alla trazione, valutabile in circa 20 chilogrammi per millimetro quadrato, ossia più o meno quattro volte quella dei legni da arco. L'uso del tendine consente di costruire un arco notevolmente più corto senza sacrificare l'estensione della corda e senza aumentare il rischio di rottura. Facili da maneggiare stando in sella, questi archi corti rinforzati con tendine vennero utilizzati in Asia settentrionale e in Estremo Oriente, ma anche alcune tribù indiane delle pianure del NordaAmerica svilupparono e usarono archi di questo tipo. Uno dei principali vantaggi degli archi rinforzati con tendine è che sono invariabilmente «riflessi»: in posizione allentata, senza corda, i bracci dell'arco si incurvano in avanti. Questa proprietà fa sì che, quando l'arco è incordato, i bracci siano sottoposti a una tensione maggiore e immagazzinino più energia rispetto agli archi semplici normali. Flettenti corti comportano anche un trasferimento di energia più efficiente: flettenti lunghi e pesanti, tipici degli archi semplici di grande potenza, consumano molta energia nel muoversi in avanti quando la corda viene rilasciata, e quindi in questi archi il trasferimento di energia alla freccia è più ridotto e meno efficiente. L’arco composto Gli antichi costruttori di archi in Asia orientale e occidentale non si limitarono a rinforzare gli archi con tendine; alcuni devono essersi resi conto che in natura esistono materiali più resistenti del legno. Con essi idearono l'arco composto o a struttura mista, di grande complessità meccanica, la cui costruzione richiedeva una perizia notevole. Come indica il nome, questo tipo di arco combina materiali diversi: nella sua forma classica, è costituito da un sottile «cuore» in legno rinforzato con tendine sul dorso e corno, di solito di bufalo indiano, sul ventre. Modernamente questo tipo di arco è stato spesso definito laminato o rinforzato; in queste note si impiega il termine «composto» per riferirsi all'arco pienamente sviluppato fatto di corno, legno e tendine. L'arco composto sfrutta pienamente le proprietà dei materiali impiegati nella sua costruzione. Il tendine incollato al dorso sopporta bene lo sforzo di trazione; il corno, che ha una resistenza massima di circa 13 chilogrammi per millimetro quadrato (all'incirca il doppio di quella dei legni duri), è adatto a sopportare i carichi di compressione. Esso ha anche un'elevata capacità di ritornare alla forma originaria dopo aver subito una deformazione. La flessibilità di questi materiali permette di preparare archi con flettenti corti, leggeri e riflessi che, se sottoposti a tensione, sono in grado di immagazzinare una grande quantità di energia; inoltre permette di tendere molto di più l'arco composto relativamente alla lunghezza totale dell'arma di quanto si possa fare con un arco semplice. La combinazione di notevole estensione della corda e flettenti corti fa sì che l'arco composto possa scagliare una freccia più velocemente e a maggiore distanza di un arco semplice in legno con uguale sforzo di tensione. Prove effettuate dimostrano che un arco composto con una potenza di 27 chilogrammi può imprimere a una freccia la stessa velocità (circa 50 metri al secondo) di un arco lungo medievale in legno di tasso con una potenza di 36 chilogrammi. Solo la balestra, inventata verso il 500 a.C., è in grado di scagliare un dardo più lontano e a maggiore velocità; tuttavia il suo enorme sforzo di tensione, che può arrivare anche a una tonnellata, richiede l'impiego di parti meccaniche e quindi non è possibile paragonarne le prestazioni con quelle di un arco, che viene messo in tensione dalla sola forza muscolare. Un altro vantaggio dell'arco composto è che esso può essere mantenuto incordato per lunghi periodi di tempo senza pericolo di danno, mentre gli archi semplici in legno e quelli rinforzati solo con tendine devono essere incordati immediatamente prima dell'uso, per evitare una loro deformazione permanente che comporterebbe una perdita di potenza dell'arma. Non si sa esattamente chi abbia inventato l'arco composto né dove esso sia apparso inizialmente. I dati archeologici e storici fanno pensare che diverse culture lo abbiano sviluppato indipendentemente nel corso 4 L’arco e le frecce nella storia del III millennio a.C. I dati attualmente disponibili indicano che l'arco composto fu messo a punto simultaneamente in Mesopotamia, in Anatolia e nelle steppe dell' Asia settentrionale. Si potrebbe pensare che queste armi fossero opera di popolazioni che vivevano in regioni prive di legni adatti alla costruzione di archi; anche se questa sembra una deduzione logica, si deve però notare che gli esempi più antichi di archi composti che appaiono nella documentazione archeologica provengono da zone in cui vi è abbondanza di ottimo legno per archi. Nell'antico Egitto, per esempio, si costruivano e si impiegavano archi composti, ma anche archi semplici fatti con legni duri come l'acacia e il carrubo. Se la carenza di legno adatto non fu il motivo dello sviluppo dell'arco composto, è probabile che l'impulso al suo sviluppo sia stato dato dal desiderio di produrre un'arma meccanicamente superiore. Il processo che portò alla sua invenzione potrebbe essere legato al diffondersi dell'impiego del cavallo in Asia nel corso del III millennio a.C., quando l'uso di carri da guerra e di truppe montate divenne molto comune. E possibile che i cavalieri asiatici si trovassero a loro agio con un arco più corto e cercassero di migliorarne la potenza e l'affidabilità rinforzandolo con altri materiali. Lo sviluppo dell'arco composto in Asia in questo periodo rispecchia l'evoluzione che avvenne in Nordamerica a partire dal XVI secolo. Gli indiani delle pianure che disponevano di cavalli sperimentarono varie soluzioni che comportavano l'incollaggio di tendine al dorso dell'arco. In seguito molte tribù eliminarono completamente il legno, sostituendo a esso corno di alce o di pecora delle Montagne Rocciose: uno sviluppo che ormai preludeva al vero e proprio arco composto. L’arco triangolare Uno dei più antichi esempi conservati si di arco composto è l'arco triangolare dell'Asia occidentale, apparso nel III millennio a.C., che forma un triangolo ottusangolo quando è incordato e un semicerchio quando viene completamente teso. Raffigurazioni di questi archi appaiono su sigilli mesopotamici, su pitture murali di tombe egizie e su rilievi monumentali assiri, a dimostrazione del fatto che essi vennero utilizzati per quasi 2000 anni, dal 2400 al 600 a.c. circa. Oltre alle raffigurazioni, gli archeologi hanno rinvenuto numerosi esemplari di archi composti triangolari in camere funerarie egizie; i più famosi furono ritrovati nella tomba di Tutankhamen, che conteneva 32 archi composti triangolari, 14 archi semplici in legno e 430 frecce, oltre a foderi per archi e a faretre. I primi studi sul funzionamento dell'arco composto triangolare avevano difficoltà a spiegare la sua apparente capacità di curvarsi a livello dell'impugnatura. Questa proprietà è in netto contrasto con il comportamento dell'arco lungo tradizionale, che tenderebbe a vibrare nella mano se non avesse un'impugnatura rigida. Prove effettuate costruendo un modello di arco composto triangolare hanno permesso di vedere che la sua sezione centrale si piega solo in apparenza. L'angolo al centro dell'arco è rigido e la curvatura avviene in realtà su tutta la lunghezza dei flettenti. Quando si rilascia la corda non si produce alcuna vibrazione, e il tiro è regolare e preciso. L'estensione davvero notevole della corda, che arriva a 101 centimetri coi flettenti sottoposti alla massima tensione, consente una gittata molto superiore a quella degli archi semplici disponibili nel II millennio a.C.. L’arco scita (lo scythicus arcus dei romani) L'arco triangolare predominò in Asia occidentale sino alla fine del VII secolo a.C., quando gli Sciti si unirono alla campagna di conquista dell'impero Assiro condotta dai Medi e dai Babilonesi. Gli Sciti, celebri come cavalieri e arcieri, venivano probabilmente dalle steppe dell'Ucraina orientale. Essendo nomadi, percorsero vastissime regioni dell' Asia e lasciarono esemplari delle loro caratteristiche punte di freccia in bronzo, piccole e trilobate e con lunghezza media compresa fra 25 e 50 millimetri, dalla Cina fino alla Grecia. Ciò che sappiamo sull’equipaggiamento degli arcieri Sciti deriva in gran parte dalle raffigurazioni artistiche. Oltre a ciò, diversi foderi per archi, faretre ed aste di frecce, sono stati ritrovati nelle sepolture di Pazyryk, nella regione degli Altai orientali (Asia centrale sovietica). Anche se cessario considerare con cautela le raffigurazioni arche, la notevole costanza nelle rappresentazioni degli archi sciti ci permette di capire come erano fatti questi archi. 5 L’arco e le frecce nella storia Il tipo di arco comunemente detto «scita» fu utilizzato in realtà da molti popoli e per lungo tempo. Era già pienamente sviluppato nel IX secolo a.c. presso i Cimmeri, popolazione stanziata a nord del Caucaso, e in seguito gli Sciti lo introdussero in Grecia. Infine la sua diffusione raggiunse la Francia settentrionale. Le raffigurazioni coeve e le misurazioni dei foderi rinvenuti a Pazyryk indicano che l'arco scita era lungo circa 127 centimetri. Simile alla rappresentazione tradizionale dell'arco di Cupido, con quattro curvature, aveva l'impugnatura arretrata e flettenti riflessi terminanti in estremità ricurve. Un arco siffatto di questa lunghezza, fortemente riflesso nella zona dell'impugnatura, poteva avere un'estensione della corda di circa 76 centimetri. Questo valore concorda con la lunghezza delle frecce ritrovate nelle sepolture di Pazyryk. Traendo spunto da rappresentazioni su vasi attici del V secolo a.C. e dal diametro ridotto della cavità situata alla base delle punte trilobate, alcuni studiosi ritengono che l'estensione della corda fosse di soli 45 centimetri; in effetti le piccole dimensioni delle punte scite e delle relative cavità per l'inserimento nell’asta della freccia fanno pensare che quest'ultimo fosse di lunghezza e diametro ridotti. Ma questa deduzione non tiene conto del principale vantaggio dell'arco composto: la notevole estensione della corda in rapporto alla lunghezza dell'arma. Un arco relativamente corto, di 127 centimetri, può essere teso molto più di quanto si penserebbe a prima vista. Probabilmente la base ristretta della punta trilobata era fatta in modo da ospitare un’asta rastremata, avente cioè diametro massimo nella parte mediana (come le ACE attuali!); aste simili erano sicuramente usati in epoca medievale. Come l'arco composto triangolare, l'arco scita sembra fosse totalmente flessibile; i flettenti non erano parzialmente irrigiditi, come negli archi composti più tardi, dall'aggiunta di lamine di osso o corno all'impugnatura e sulle punte. Successivi sviluppi dell’arco composto L'evoluzione di un'arma va spesso di pari passo con i tentativi di contromisua. Nel III secolo a.C. i Sarmati, che confinavano a oriente con gli Sciti, svilupparono nuove tecniche di guerra che prevedevano l'impiego di cavalleria pesantemente corazzata addestrata a combattere in formazioni serrate. Le corazze resero necessario lo sviluppo di un arco capace di scagliare con maggior potenza frecce con pesanti punte di ferro. Furono i popoli nomadi dell' Asia centrale, come gli Unni e gli Avari, a trovare il mezzo per perforare le corazze. Essi irrigidirono le parti terminali dei flettenti con aggiunte in corno e le modificarono in modo che puntassero in avanti con un angolo accentuato. Si veniva così a formare, al termine di ciascun flettente, un leveraggio che permetteva all'arciere di tendere con meno sforzo un arco più pesante; durante questa 6 L’arco e le frecce nella storia operazione, infatti, la parte terminale del braccio si piegava all'indietro, con l'effetto di aumentare, in pratica, la lunghezza della corda, come se questa si svolgesse da un rocchetto. Al momento del tiro, il brusco movimento in avanti delle estremità dei flettenti «accorciava» la corda e imprimeva maggiore accelerazione alla freccia. Questa soluzione anticipava di molti secoli l'arco compound moderno, che utilizza un sistema di carrucole per ottenere un effetto simile, anche se più accentuato. Verso il XVII secolo, nuove varianti alla struttura di base dell'arco composto vennero introdotte dai turchi ottomani e dalle tribù turche dell'Iran. Si sperimentarono modifiche su archi lunghi solamente 111‐116 centimetri: eliminando l'impugnatura arretrata e le montature di osso o corno che rinforzavano le parti terminali dei flettenti degli esemplari più antichi, si otteneva un arco dall'impugnatura rigida e dai bracci che formavano una curvatura aggraziata terminante con estremità leggermente ricurve. Questi archi corti avevano una grande estensione della corda ed erano straordinariamente potenti: la loro potenza andava da 36 a più di 45 chilogrammi, ed era quindi paragonabile a quello dell'arco lungo inglese, che ha dimensioni quasi doppie. Armata con l'arco turco, la cavalleria ottomana si dimostrò formidabile e fu la forza trainante della conquista dell'Europa orientale nel Medioevo. Lo sviluppo dell’arco per l’uso specifico L’equipaggiamento dell'arciere, come accade sempre per gli strumenti di uso pratico, riflette tanto la natura dei materiali disponibili quanto le necessità funzionali. Per esempio, in confronto ai grandi e pesanti archi composti da guerra costruiti nel XVII secolo dai Tàtari di Crimea, i minuscoli archi degli attuali Boscimani del Kalahari appaiono quasi come giocattoli. Tuttavia si adattano in modo eccellente allo scopo cui sono destinati: scagliare una piccola freccia priva di impennaggi nella cute di un animale per inoculargIi veleno. L'efficienza di un tipo di arco può insomma essere valutata solo dalla sua capacità di assolvere con successo i compiti per cui è stato ideato. Comunque, nei suoi tipi più diversi, l'arco si è dimostrato per migliaia di anni il più efficace strumento per il lancio di proiettili; la sua supremazia doveva iniziare a vacillare solo nel XVI secolo, con la diffusione delle molto più potenti armi da fuoco. Ancora nel secolo scorso infatti l’arco è stato usato per la caccia dai popoli primitivi nelle zone selvaggie dell’Africa e dell’America. 7 L’arco e le frecce nella storia Gli archi moderni Naturalmente gli archi attuali sono ben diversi dagli archi usati nel tempo: il progresso tecnico nella struttura degli archi e delle frecce ha incrementato la loro precisione e la loro robustezza, quindi l'interesse nel tiro con l'arco. Oggi sono organizzate gare con diversi tipi di arco: •
•
•
arco Long Bow, il tipo di arco più simile all’arco tradizionale, anche se di solito realizzato in base a disegni studiati a fondo e con tecniche moderne: incollaggio di diversi strati di legni di essenze diverse, eventualmente rinforzati da lamine di materiale sintetico; arco cosiddetto “Olimpico”, perché archi di questo tipo sono usati per le gare olimpiche; non più costruiti in legno ma in tre parti distinte, da montare prima del tiro: un riser centrale in metallo e due flettenti, realizzati con materiali sintetici; per il tiro questo arco è equipaggiato con mirino ed altri ausili per il tiro; arco compound, inventato dall’americano H. W. Allen nel 1966: questo arco si serve di pulegge eccentriche o camme, montate alle estremità dei flettenti, e di una incordatura particolare per ridurre la forza necessaria per tenere aperto l’arco e poter usare così archi più potenti. Ideato per la caccia (per poter tirare frecce più lontano e con potere di penetrazione maggiore) questo arco, molto popolare nel Nord America, è usato anche per le gare di tiro, sia alla targa che nel tiro di campagna. Equipaggiato con diversi ausili ed usato con uno sgancio meccanico permette di effettuare tiri di notevole precisione. 8 L’arco e le frecce nella storia 9