Materiale resistente - Luciano Celi website

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Materiale resistente - Luciano Celi website
RIVISTA DI CULTURA - STORIA - ETNOLOGIA
MASSA - ULIVETI
ANNO DI FONDAZIONE 1980
ANNO XXVII - N. 53
MAGGIO 2007
SOMMARIO
5
EDITORIALE
7
SETTORE SCIENTIFICO
9
Storia della Provincia di Massa-Carrara.
-3- Dal 1885 al 1909
Giancarlo Bertuccelli
23 Inferno V e un’opinione antica. Nota
dantesca
Alberto Borghini
24 Nascita e sviluppo della cristianità
attraverso un percorso museale: il Museo
Diocesano di Arte sacra di Pontremoli
Nicola Gallo - Antonella Infantino
32 Castelli e fortificazioni della valle del
Carrione e delle vie del marmo
Rosa Maria Galleni Pellegrini
39 MATERIALE PER
41 Contributi montaliani. I. Sfondi
mitologici in una lirica di Montale
Alberto Borghini
51 Contributi montaliani. II. “Accosto il
volto a evanescenti labbri”. Un modello
mitologico-letterario antico
Alberto Borghini
58 “Materiale resistente”: una riflessione
sull’attualità della Resistenza
Luciano Celi
100 Un antico documento sulla vaccinazione
Renato Francesconi
107 Presenze ebraiche in Lunigiana ed i loro
rapporti con la chiesa di Luni-Sarzana
Elio Gentili
122 Silvestro Benedetti Vescovo di LuniSarzana, abitante a Massa
Francesco Rossi
126 Benessere in Toscana
Antonio De Angeli
149 NOTIZIARIO
151 Festa dell’Arancio Massese: una
tradizione ritrovata
Luisa Lippi - Idilio Antonioli
157 ELENCO DELLE RIVISTE CHE
GIUNGONO PER SCAMBIO ALLA
RIVISTA “LE APUANE”
159 COLLANA: BIBLIOTECA DE “LE
APUANE”
LUCIANO C E L I
“Materiale resistente”: spunti per una riflessione sull’attualità della Resistenza
In memoria di Ugo Cerrato, amico di Beppe Fenoglio
e forse anche un po’ mio.
Ai sessant’anni della Costituzione Italiana.
Ai vent’anni di assenza di Primo Levi.
PREMESSA
Sul valore del periodo storico 1943-1945 che
ha coinvolto il nostro Paese e, con particolare
significato, la zona di Massa e Carrara, nella
quale è rimasta ‘ferma’ la Linea Gotica prima
della liberazione, molto si è scritto e si è detto.
Forse fin troppo. Chi scrive ricorda a malapena
gli aneddoti narrati dalla nonna paterna: storie
che allora sembrava avessero il valore di una
fiaba e che, solo molti anni dopo, hanno acquisito il sapore epico di una testimonianza reale
di ciò che fu.
Scampare alla morte sotto un bombardamento,
percepire da un singolo segnale – un frammento di qualcosa che batte sul tetto della casa,
mentre dal terrazzo si scruta l’orizzonte – che
non è più ora di stare dove si è, e mille altre
situazioni in cui si ha rocambolescamente salva
la vita o la si perde, in modo folle, era la regola
che, in tempi di pace, non conosciamo più.
Il significato era potentemente racchiuso in
questo singolo dato che riguardava l’esistenza
umana, vissuta, spesa, conservata, persa nell’esposizione agli eventi della Storia, non a caso
scritta con la maiuscola. Viviamo in un tempo,
in tal senso, a-storico: in Occidente (ci vien da
dire: per fortuna) non c’è più guerra – nell’accezione più comune che si vuol dare al termine
– da molto tempo, ma pare che la legge del
contrappasso comporti una sorta di banalizzazione e di oblio. Banalizzazione per il semplice
1
PASOLINI (2006).
motivo che le battaglie nelle quali si muore e
si rimane feriti, sono quelle che si combattono
sull’asfalto delle strade del sabato sera (e non
solo): si perde la vita in modo banale, in un
incidente d’auto e non in nome di un qualche
ideale che comporti un miglioramento sociale
di qualsivoglia natura. Oblio perché, nel caso,
non si è che uno dei tanti: una ‘guerra’ senza
veri nemici che non siano la scarsa affezione a se
stessi, l’indifferenza verso chi abbiamo intorno.
Pier Paolo Pasolini tenta di delineare una sorta
di ‘spartiacque’: nello scritto inedito – originariamente destinato alla rivista “Paragone” – redatto a dieci anni esatti dalla fine della guerra:
«Qualcosa pare oggi, nella primavera del ’55,
realmente finito: il dopoguerra»1. Questo l’incipit dal quale parte uno dei più grandi intellettuali dell’epoca per un tentativo, non proprio
esplicitato in modo chiarissimo, di ‘attualizzare’
la Resistenza come fenomeno positivo, non solo
in grado di gettare – come fu – le fondamenta
del Paese democratico nel quale viviamo, ma
anche di rinnovare questo valore tentando di
attualizzarlo dieci anni dopo: «Come allora a
unirci erano le difficoltà e i pericoli esterni,
oggi dovrebbero essere le difficoltà e i pericoli
interni: se le istituzioni e gli ideali democratici
non sono minacciati da una scatenata violenza
di eserciti, ma da una scissione che sta disgregando la società in una pratica e ideologica lotta
di classe, disgrega in realtà la vita stessa, nella
pienezza che questa raggiunge attuandosi nei
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
singoli individui. E l’equilibrio (quello, supremo, della Resistenza) non va certo raggiunto
cancellando uno dei termini del dilemma: ma
vivendo il dilemma nel modo più rischioso,
intellettualmente e sentimentalmente»2.
La Resistenza vista quindi come spinta per vedere – almeno in prospettiva – vincere sempre
i valori democratici di rispetto, diritto, uguaglianza. La Resistenza che certamente riesce
in questo proprio sessant’anni fa, grazie alla
firma della Costituzione. Che però presto diventa una specie di libretto tecnico, nemmeno
troppo usato da chi fa educazione civica, da chi
frequenta per professione le aule dei tribunali.
Sarebbe bello sapere quanti italiani hanno tra
i propri libri la Costituzione. Rispetto, diritto,
uguaglianza sono oggi parole che spesso ci
rendono cinici, che echeggiano e rimbombano,
un po’ svuotate di un significato che pure dovrebbe essere sempre ben presente in ognuno
di noi. Cosa significa quindi Resistenza, oggi, a
62 anni dalla fine della dittatura nazi-fascista?
Come viene percepita dalle generazioni di oggi?
Come si può tramandare questo pezzo di una
Storia che riguarda tutti noi e la costituzione
di un Paese come quello in cui oggi viviamo?
Un problema apparentemente bislacco, ma
non privo di un suo fondamento: i testimoni
di quel che fu, stanno come d’autunno sugli
alberi le foglie, per dirla con Ungaretti. Certo,
rimangono i libri, che però vanno letti. Scalda
il cuore sapere che ce ne sono, e anche di belli.
Affacciandosi a questo argomento si scopre,
per fortuna, un universo, ma è triste che questo
universo spesso viva nel buio perenne di una
memorialistica priva di attrattiva per le giovani
generazioni: spesso solo i più motivati, i più interessati hanno la voglia di andarsi a leggere le
2
Ibid.
3
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
59
edizioni che generosamente i comuni, le varie
amministrazioni locali con la collaborazione
della sezione di zona dell’Anpi3 danno alle
stampe. È importante che lo si faccia, ma è
tremendo che questo approccio risenta di una
specie di terribile corto circuito, per il quale il
libro ce l’ha chi già sa, chi è interessato. Il resto
è lettera morta. Allora è compito di quei libri
belli, che magari sfuggono anche un po’ alla
memorialistica pura in favore del romanzo,
fare da cartello indicatore, fare da stella di riferimento di quell’universo buio, affinché non
si dimentichi, affinché lo scopo di tramandare
certi valori alla base del nostro vivere comune
nelle giovani generazioni, venga raggiunto.
Bello è stato domenica sera 22 aprile vedere
nuovamente Enzo Biagi tornare sugli schermi
con la trasmissione Rotocalco televisivo. Bello è stato sentirlo parlare proprio di questo
‘problema’ di “passaggio del testimone” alle
nuove generazioni. Bello è stato sentirgli porre
domande a Vittorio Foa e Tina Anselmi che
hanno tirato fuori parole importanti, come
“responsabilità della libertà”.
Lo scopo di quel che segue è proprio questo:
una modesta – per dimensione di ricerca – incursione in questo territorio che riguarda Storia,
memorialistica e letteratura, come principale via
d’accesso per avvicinare e incuriosire i giovani.
Un problema sentito anche da chi – come chi
scrive – nasce molti anni dopo quegli avvenimenti, ma un problema che era ben presente
anche in anni in cui i ribelli, i resistenti, i
partigiani erano ancora ben vispi: «La lotta al
fascismo come regime politico è iniziata negli
anni 20 e si è conclusa con la resistenza armata;
la lotta al fascismo, come concezione della vita,
ancora continua»4.
Dalla prefazione a un volumetto distribuito dall’amministrazione municipale di Massa: Contro ogni ritorno. Il titolo
richiama l’ultimo verso dell’epigrafe che Piero Calamandrei fece scrivere sulla lapide che ricorda le Fosse del Frigido:
«Inermi borgate dell’Alpe / asilo dei rifugiati / prese d’assalto coi / lanciafiamme / arsi vivi nel rogo dei casali / i bambini
avvinghiati alle madri / fosse notturne scavate / dagli assassini in fuga / per nascondervi stragi di trucidati innocenti. /
Questo vi riuscì / S. Terenzo, Bergiola, Zeri, Vinca, / Forno, Mommio, Traverde, S. Anna, S. Leonardo. / Scrivete questi
4
60
Inoltre, nella convinzione che alla base di una
corretta trasmissione di fatti e avvenimenti vi
sia un “corretto ricordare”, si è deciso di inserire, al fondo, una parte piuttosto cospicua il
cui titolo è eloquente: la guerra della memoria.
Forse il più grande dei pericoli che si vanno
correndo.
Da qui la decisione di vedere il tutto con gli
occhi di oggi: l’ampia bibliografia al fondo è
indice della volontà di tastare il polso ad una
situazione che è quella odierna e che passa,
in buona sostanza, dai quotidiani. Sì è deciso,
per motivi anche contingenti, di monitorarne
sostanzialmente tre nell’arco dell’ultimo anno:
La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX.
PARTIRE DALLA STORIA
chi è che sa di che siamo capaci tutti
vanificato il limite oramai
CSI, Memorie di una testa tagliata
Proprio dalle parole di Pasolini scaturisce
questa sorta di ‘riflessione’ sull’attualità di un
tempo che sembra non avere più grandi ideali.
Si parte da un dato, che è quello storico. Chi
scrive ha una formazione filosofica e, più nello
specifico, epistemologica. Non che questa la si
possa indiscriminatamente applicare a tutto,
ma dato un ‘fenomeno’ – normalmente questa
LUCIANO CELI
teoria si applica alla Fisica – il solo sguardo di
un osservatore esterno comporta l’adesione a
un “punto di vista”. Non sembra che, in linea
di principio, questa semplice osservazione non
possa applicarsi alla Storia, e nella fattispecie
adattarsi al ‘fenomeno’ Resistenza.
Nella banale considerazione che i punti di vista
sul ‘fenomeno’ Resistenza sono a oggi molteplici, variegati, contrastanti, non resta che prenderne atto, con la cura dello psicanalista junghiano, vale a dire tenendo presente che: (1) nel
ricordo, siccome questo non esiste in astratto,
ma è sempre legato alle funzioni corticali di un
individuo, non esiste oggettività, ma solo soggettività; (2) la soggettività, come preannunciato, comporta l’adesione a un punto di vista; (3)
il ricordo è soggetto a fluttuazioni e mutazioni
al punto che una certa psicologia teorizza che
non vi sia un semplice ricordo di un evento ma
il richiamo alla memoria sia in realtà il “ricordo
di un ricordo”, con tutto ciò che questo comporta e infine (4) ciò che vale per un individuo
può valere per una collettività.
Il punto (4) permette una sorta di ulteriore
lettura dei punti precedenti e cioè: (1) esistono
indubitabilmente più punti di vista: più ci si allontana nel tempo dal ‘fenomeno’ più questi si
diversificano secondo i parametri e le arbitrarietà interpretative delle soggettività5. Che i punti
nomi / son le vostre vittorie. / Ma espugnare queste trincee di marmo / di dove il popolo Apuano / cavatori e pastori / e
le loro donne staffette / tutti armati di fame e di libertà / vi sfidava beffardo da ogni cima / questo non vi riuscì. / Ora sul
mare sono tornati al carico i velieri / e nelle cave i boati delle mine / chiaman lavoro e non guerra. / Ma questa pace non
è oblio / stanno in vedetta / queste montagne decorate di Medaglia d’Oro / al valore partigiano / taglienti come lame /
immacolato baluardo sempre all’erta / contro ogni ritorno.». Il testo è tratto dall’introduzione, datata marzo 1976.
A migliaia potrebbero essere gli esempi citati in tal senso. Dai più banali e ovvi (cito semplicemente quel che ho più
a portata di mano e ‘fresco’ in ordine di tempo) come i commenti al film satirico (Fascisti su Marte, di Corrado Guzzanti)
uscito in anteprima nelle sale: «“Cinque minuti possono bastare, gli unici a potersi permettere di allungare una gag alla
durata di un film sarebbero stati Franco Franchi e Ciccio Ingrassia”. Pietrangelo Buttafuoco, autore di Le uova del drago,
romanzo sugli sconfitti della storia, (vieta di definirlo intellettuale di destra), liquida così la prima fatica cinematografica di
Corrado Guzzanti», in CORBI (2006). Insomma, che ci si poteva aspettare? Che il film satirico sulla destra del Ventennio
facesse ridere, o almeno: sorridere, la destra attuale? Certo sarebbe stato auspicabile, ma la reazione è appunto ovvia, a
dimostrazione, se mai ve ne fosse il bisogno, che esiste una sorta di ‘continuità’ dalla quale vien difficile prendere le distanze. Nello stesso giornale, lo stesso giorno, qualche pagina più avanti, ROMEO (2006) ricorda Ondina Valla, scomparsa in
questi giorni a novant’anni, prima vincitrice di un’Olimpiade nel 1936 nella corsa a ostacoli. Tra le foto che corredano il
servizio un mezzobusto con il braccio destro teso nel saluto romano e la camicia nera. Era così: vogliamo negarlo? Eppure
anche solo trent’anni fa una foto del genere avrebbe comunque sollevato un vespaio di polemiche nella sinistra che si
sarebbe sentita offesa, avrebbe promesso battaglie, censure, ecc. ecc.
5
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
di vista possano venire espressi o meno, questo
è un altro problema6; (2) per chi ha vissuto quel
periodo si è trattato di “scegliersi la parte dietro
la Linea Gotica”7, per citare a memoria la celebre frase di una canzone del Consorzio Suonatori Indipendenti; (3) la fluttuazione del ricordo
è talvolta di tale portata che sfocia in una sorta
di revisionismo storico, dalle forme più moderate a quelle più decise8. Proprio quest’ultimo
tipo di ‘fenomeno’, il revisionismo, è quel che
preoccupa di più la generazione di (ormai) ottuagenari che è stata dentro la Resistenza, l’ha
vissuta e patita in prima persona e non può dirsi
osservatore esterno al ‘fenomeno’9.
Quali sono gli strumenti che abbiamo per indagare le verità, le bugie, i revisionismi, i “ricordi
di ricordi” della Storia? Un recente libro di
Carlo Ginzburg10 può venirci in aiuto: «Il filo
61
e le tracce ci pone di fronte a una questione
tutt’altro che secondaria: in che modo uno
storico racconta ciò che è accaduto? Qualcosa
succede, si tratta di capirne solo la rilevanza,
l’attendibilità, il grado di verità; oppure bisogna prendere in considerazione circostanze che
possono turbare questo equilibrio. Il sottotitolo del libro è Vero, falso, finto. Dice Ginzburg:
“Sono come tre arance che lo storico tira in
aria. Bisogna fare attenzione a non farne cadere
nessuna”»11. L’intervista prosegue:
Professor Ginzburg, uno storico ha la possibilità di fondare la ricostruzione di un evento
sulla prova? Può davvero mettere la mano
sul fuoco che quella prova è fondamentale?
Come storico le rispondo innanzitutto che
la metafora della “mano sul fuoco” non la
userei, perché andrebbe troppo nella dire-
Acutamente SERRA (2006,1) fa notare che: «In fondo, non sarebbe poi così difficile festeggiare il 25 aprile: basterebbe essere antifascisti. Negli ultimi anni molte energie sono state spese per complicare assai il significato di una ricorrenza
così chiara e netta, che celebra la fine di una dittatura e il ritorno della libertà. La verità, per quanto sgradevole, è molto
semplice: se una parte consistente dell’opinione pubblica italiana non ama celebrare la fine del fascismo, è semplicemente
perché non è e non è mai stata antifascista. […] Quando andavo alle elementari, in un quartiere del centro storico di
Milano, il Comune distribuì un opuscolo nelle scuole per celebrare la liberazione della città. La maggior parte dei genitori protestarono vivamente per l’iniziativa “comunista”: anche allora la borghesia somara (non certo quella colta, dalle
simpatie repubblicane, socialiste e azioniste, comunque una minoranza) usava bollare di “comunismo” qualunque cosa
che puzzasse di Costituzione antifascista e di spirito pubblico. Anche l’altra sera, alla radio, un giornalista spiegava che “i
partigiani hanno dato alla liberazione un contributo solamente morale, non materiale”. A sessant’anni dalla Liberazione,
c’è ancora chi definisce ottantamila morti “un contributo morale”».
6
«Nel pomeriggio ho interrogato qualche prigioniero. Chiedo ad uno assai giovane come mai si sia arruolato nella X
Mas. Mi dice che gli è sempre piaciuta la marina e che, siccome nei partigiani non c’era, si era arruolato nella X Mas», in
CHIODI (2002), p. 146. A dimostrazione che le motivazioni di una scelta non sono talvolta così profonde come l’adesione
a un ideale, nonostante i tempi suggerissero diversamente.
7
Penso, per la forma ‘moderata’, espressamente a intellettuali come Gianpaolo Pansa, di cui si avrà agio di parlare nel
prosieguo, ma anche alla recente polemica in PELÙ (2006).
8
Si ricorda incidentalmente che, tra i primi a mettere tutti noi in guardia sul pericolo dell’oblio, fu il genio di Primo Levi
profetizzando che qualora non si tenga memoria di ciò che fu, alla morte dell’ultimo superstite dei campi di annientamento
nazisti, qualcuno potrebbe tranquillamente asserire che fu tutta una invenzione. Che i timori in tal senso non furono il
frutto di una fantasia lo dimostra la vicenda dello ‘storico’ David Irving, un accanito sostenitore dell’inesistenza dei campi
di sterminio, frutto di un complotto e di una cospirazione, che nulla hanno a che fare con la realtà.
9
Figlio di Leone e Natalia Ginzburg, Carlo nasce a Torino nel 1939. È stato professore di Storia Moderna all’Università
di Bologna e in numerosi altri atenei in Europa e in America: ha una cattedra di Studi sul Rinascimento italiano all’Ucla di
Los Angeles. Tra i suoi saggi più celebri: I benandanti, Il formaggio e i vermi, Il giudice e lo storico e Miti, emblemi e spie
(tutti pubblicati con Einaudi). Le ultime notizie lo danno come convocato dal Direttore della Scuola Normale Superiore
di Pisa, Salvatore Settis, per tenere dei corsi.
10
11
In GNOLI (2006).
62
LUCIANO CELI
zione del martirio. E poi, aggiungo, ogni
prova, per definizione è provvisoria.
È un omaggio allo scetticismo?
Semmai è un omaggio a Popper e alla sua
idea di verità potenzialmente falsificabile,
altrimenti cadrebbe fuori dal discorso scientifico. Quindi anche l’affermazione “c’è
stata la battaglia di Salamina” è falsificabile
e dunque provvisoria, sebbene esista una
massiccia serie di prove convergenti che ci
dimostrano che quella battaglia c’è stata.
Ma chi si assume l’onere della prova?
L’onere della prova spetta agli oppositori.
Nel momento in cui una prova diventa
abbastanza convincente, compito degli
oppositori sarà confutarla. Ma la cosa interessante è che l’onere della prova evoca una
comunità in discussione e i rapporti di forza
che esistono al suo interno.12
Esistono però altri ‘fenomeni’ che non vengono
presi nella debita considerazione: mi riferisco
ad anomalie per le quali, pur essendo accertato
che la Storia è andata in un certo modo, quella
stessa Storia assolve, di fatto, i colpevoli. Il
pensiero corre nuovamente alla zona apuana
con particolare riferimento alla nota strage di
Sant’Anna di Stazzema.
Rileggendo l’intera vicenda – paradigmatica
di altre che sono accadute altrove in Italia
– l’aspetto che colpisce maggiormente è l’intervallo di tempo intercorso tra gli avvenimenti
(12 agosto 1944) e l’avvio di un percorso nel
quale si tenta di far luce su ciò che avvenne13:
cinquant’anni esatti. Una anomalia che offre
la giustificazione ad altre anomalie, prima tra
le quali la potenziale “perdita di senso” nel
condannare a morte, o alla detenzione fino
alla morte, una persona che – come nel caso
Priebke – è già anziana. Questo aspetto apre
la porta all’intricato scenario dei giustizialisti,
Ibid. Quest’onere sembra aver a che fare con una specie di epistemologia naif: in base agli occhiali che indossiamo,
possiamo vedere una realtà differente. Penso, per esempio, alle diversità di fonti storiche dalle quali uno studioso può
attingere, credendole attendibili. Con onestà intellettuale PANSA (2003, 2006) afferma di NON essere uno storico, e,
sebbene, almeno in linea teorica, questo gli consenta di avere un maggior ‘libertà’ nell’esprimere una propria posizione
personale, quando cita fonti fasciste – indicandole come tali – in relazione agli eccidi compiuti posteriormente al 25 aprile
1945, ne fa in qualche modo la tara, prendendo spesso come più attendibile la fonte ufficiale del Ministero dell’Interno
– cfr., per esempio, PANSA 2003, p. 85, ma anche, in relazione al totale dei morti di Milano: «Di cifre ne sono state fatte
molte e tutte assai diverse. La più alta, 5000 giustiziati, viene da due fonti opposte: Palmiro Togliatti, che la propose all’ambasciatore sovietico in Italia, il 31 maggio 1945 […], e Giorgio Pisanò, nella sua “Storia della guerra civile”. […] Ma
la cifra più realistica mi sembra quella che ci è ricordata da Michele Tosca. È il risultato di una ricerca di Livio Valentini
che, per Milano e la sua provincia, ha raccolto finora i nomi di 1856 caduti fascisti lungo tutta la guerra civile. Di questi,
1325 risultano uccisi dopo il 25 aprile 1945», p. 55.
12
Pare che solo nel maggio del 1994 il procuratore militare di Roma Intelisano, durante le indagini del processo Priebke,
abbia ‘scoperto’ i fascicoli sui crimini nazisti, tra cui quello di Sant’Anna. In quei cinquant’anni ci siamo dimenticati di
cosa avvenne? È stata una rimozione collettiva? Una volontaria omissione? Questo lasso di tempo è uno, forse il primo in
ordine temporale, dei tanti ‘misteri’ che hanno costellato il nostro Paese dal dopoguerra a oggi. Un mistero che, seguendo
certi ragionamenti, potrebbe essere svelato in fretta: «No, non fu l’egemonia culturale dei comunisti ad oscurare la memoria delle masse popolari: nel dopoguerra, infatti, si tentò di cancellare e infangare (come, del resto, anche ora) tutte le
memorie di resistenza e antifascismo per motivi esclusivamente politici; non si dimentichi che “Se questo è un uomo”, di
Primo Levi, dovette attendere più di dieci anni prima di essere riconosciuto come memoria fondamentale di quel periodo.
[…] molto più di quelle dei fascisti, vittime dei “rossi”, furono proprio le memorie resistenziali ad essere censurate nel
clima della guerra fredda. Ciò è dimostrato, molto concretamente, nel caso dell’Armadio della vergogna [la nota in calce
dice: Nel Palazzo di Giustizia a Roma sono stati ritrovati, in un armadio, rinchiusi e ritirati, tutti i fascicoli riguardanti le
stragi nazifasciste. N. d. A.] e del processo recentissimo, a più di 60 anni quindi dai fatti, per la strage di Sant’Anna, memorie volutamente e sistematicamente censurate e sequestrate dalle istituzioni governative e militari». In ANPI CARRARA,
LINDI (a cura di, 2006), pp. 71-72.
13
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
dei votati al perdono, ecc. ecc.: non è lo scopo
del presente articolo prendere una posizione
in tal senso. Semplicemente è da evidenziare
l’anomalia che ne reca con sé numerose altre,
a partire proprio dal dato sull’anzianità di chi
commise quei reati: «Vive a Wollin, un pacifico antico borgo prussiano alle porte di Berlino,
uno degli ex militari delle SS condannati in
Italia per la strage di Sant’Anna di Stazzema.
Si chiama Karl Gropler, oggi ha 83 anni. Dopo
il verdetto della procura militare italiana anche
la magistratura tedesca ha aperto un’inchiesta,
ma finché non sarà eventualmente condannato
qui Gropler non potrà essere estradato in Italia. E il fatto più singolare, nota il Tagesspiegel
in un bel reportage di Johannes Boie, è che il
villaggio lo difende: lo proclama innocente, invita a dimenticare e voltare pagina»14.
Fino a quel ‘falsificazionismo’ citato da Carlo
Ginzburg: «“Mio suocero è innocente, ce lo ha
spiegato più volte, noi gli crediamo”, mi dice
la nuora Simone Gropler. […] “Non vuole
parlare con i giornalisti, non ebbe a che fare
con il massacro. È vecchio, malato, stanco,
vuole essere solo lasciato in pace. Ricorda che
fu ferito prima di quegli eventi, e al momento
era in convalescenza. Forse la sentenza che lo
ha colpito in Italia è una sentenza politica. […]
È anziano e malato, si ricorda anche poco, non
vuole parlare con nessuno”, insiste la nuora.
Secondo la sentenza italiana, egli era arruolato
nella sedicesima Panzergranadierdivision delle
Waffen-SS, i reparti scelti da combattimento di
prima linea e repressione antiguerriglia della
forza armata della Nsdap, il partito nazista.
Insieme a trecento commilitoni, partecipò al
massacro di Sant’Anna: almeno 560 civili, vecchi, donne, bambini, trucidati in poche ore»15.
Il vecchio è stanco e non ricorda, ma non è
14
TARQUINI (2006,1).
15
Ibid.
63
questo il problema, appunto. Il fatto è che la
condanna arriva tardi e il reale crimine è che
sia stato permesso a questa persona di diventare vecchia, stanca e smemorata. È difficoltoso
far luce attraverso la polvere del tempo che ha
sedimentato ricordi di ricordi di ricordi, dove
le insidie del falso, del verosimile (possiamo
essere certi che davvero quell’uomo non fu ferito prima, come sostiene?) possono avere una
rilevanza che cinquant’anni fa non avrebbero
potuto avere.
Anomalie che suonano come vere e proprie
beffe della giustizia umana, della Storia, per
chi c’era, per chi invece ricorda ed è condannato a non dimenticare mai più, anche se forse in
cuor suo lo vorrebbe, per chi è forse miracolosamente sopravvissuto a quell’inferno.
È proprio questo il campo di battaglia, in
una modernità che corre veloce ed è a-storica
perché la società stessa ha interesse a imporre
un modus vivendi lontano dal ricordo, dalla
memoria, dalla narrazione, dalla tradizione.
La lotta per la conservazione di una memoria
– foss’anche “il ricordo del ricordo” – diviene
quindi sfida quotidiana, missione di vita per
molti partigiani che vogliono mantenere viva
la narrazione di quel che fu. Penso alle persone
che, come Ugo Cerrato – il più grande amico
di Beppe Fenoglio – sono andate nelle scuole
a raccontare sostanzialmente di un fatto che
dovrebbe indurre immediatamente a una riflessione: se viviamo in un mondo come questo, lo
dobbiamo al sacrificio di molti16 di cui neppure
sappiamo i nomi.
«Perché parlo volentieri di Fenoglio? È una
serie di motivi […]. Primo: perché questo
mio grande amico mi ha aiutato a crescere
interiormente […]. Fra le altre cose mi ha
aiutato a non essere proprio fascista, che è
Parole che, espresse in questa forma, possono suonare retoriche, ma qualora si avesse la voglia di andarsi a leggere
qualche resoconto – molti dei quali disponibili e pubblicati di recente, come AVAGLIANO (2006), o ripubblicati, come
CHIODI (2002) – ci si può rendere conto che in molti casi mantengono una freschezza e una nitidezza che non possono
lasciare il lettore indifferente.
16
64
LUCIANO CELI
diverso dall’antifascismo. Io avevo già fatto il
commissario garibaldino a diciott’anni, quindi
ero un antifascista per forza. Ma non essere
fascista è un’altra cosa. Perché il fascismo non
significa soltanto un atto nostalgico di provare
il saluto romano come facevano, con la camicia
nera davanti allo specchio, per vedere se hai
un’impressione ancora che possa piacere. No.
Quelle sono soltanto delle cose così, molto lontane. Il fascismo è: provocazione, prepotenza,
supponenza, il voler sempre avere ragione e
soprattutto voler sovraccaricare. Il fascismo
è un atteggiamento interiore che c’è dentro
delle persone. E questo è il pericolo della vita.
Se noi riusciamo a ragionare e capiamo subito
che uno ci è antipatico perché è prepotente,
perché soverchia, perché… fa il fascista. Perché quella è l’espressione del fascismo. È una
forma populista molto di deriva. Ecco cosa
significa l’antifascismo, vuol dire una lotta,
una campagna per liberarci e per i valori della
democrazia e della libertà. Il non essere fascista nella vita significa imparare a vivere in una
società che sappia di solidarietà, di giustizia
sociale, che ci veda più fratelli – alle volte io
ci vedo addirittura il fallimento dei millenni di
storia che ci volevan più fratelli e ci han fatto
diventare l’un contro l’altro, armati, questo è
il concetto. […] Non mi va e non riesco a dire
ex partigiano […]: rifiutatelo tutti il titolo di
ex partigiano! Si può essere: ex sindaco, ex
prefetto, ex ministro, ex presidente della Cassa
di Risparmio di Cuneo […] o della Regione.
Perché quando viene a finire un mandato che
ti è stato dato in forma istituzionale o sei stato
eletto per quello, finito il mandato non espleti
più questa pratica e quindi sei un ex sindaco,
un ex ministro. Ma ex partigiano no! Perché
papà17 ha scritto: “partigiano è parola assoluta” […] “come poeta” e io aggiungo: come
sacerdote, perché spesso lui18 parlando con
don Bussi e don Rossano questo concetto lo ha
fatto emergere19. Chi è un sacerdote? Pensateci
bene: chi ha fede queste cose le sa, è uno che
volontariamente va a fare studi in seminario,
sarà una vocazione, sente questo desiderio,
chiede di ricevere l’Ordine, viene ordinato e
resta sacerdote, come si dice, in aeternum, non
si cancella più l’Ordine. Fenoglio ha scritto
“partigiano in aeternum”, perché? Ma è semplicissimo: perché questi signori20 sono andati
a fare il partigiano […] per volontà, non sono
stati obbligati da nessuno. È una libera scelta!
E la libera scelta resta tutta la vita, non la puoi
cancellare, altrimenti smentiresti te stesso!21 Lo
sapete che un sacerdote anche se non esercita
resta tale tutta la vita? E il partigiano resta tale
tutta la vita»22.
Testimonianza importante, di impegno concreto, volto a non dimenticare, a sensibilizzare,
17
Riferendosi direttamente a Margherita Fenoglio, seduta in platea.
18
Sempre riferito a Beppe Fenoglio.
«Salerno sedette. “Che c’è, Toni?” chiese. L’altro lo guardò. “Tu sei maresciallo” era più un’affermazione che una
domanda. Salerno si guardò l’uniforme. “Be’, ero maresciallo. Adesso non so proprio cosa sono. Nella Benemerita, dico.
Adesso sono partigiano.” “Certo, partigiano. Ma anche maresciallo. Maresciallo Benedetto Santovito.” “Quello per ora
non c’è più. Nome di battaglia, Salerno.” “Certo, ma credo che sia un po’ come coi preti. Semel abbas, semper abbas. Una
volta carabiniere, per sempre carabiniere. E mi hanno detto che ti intendi di indagini, che hai risolto un caso brigoso, là,
dov’eri di stanza.”». In questo dialogo serrato in MACCHIAVELLI, GUCCINI (2007), pp. 43-44, la coincidenza con le
parole di Ugo Cerrato ha quasi dell’incredibile.
19
20
Indicando Giulio Questi, seduto di fianco a lui.
È involontariamente ironica questa frase di Ugo Cerrato: ironica perché il pensiero corre ai moderni tempi nostri,
dove idealità di questo genere non sono neppure vagamente prese in considerazione e dove anzi lo “smentire se stessi” è
uno degli sport preferiti della nostra classe politica (e non solo).
21
Intervento di Ugo Cerrato all’iniziativa Il partigiano Fenoglio: appunti per una resistenza della bellezza, organizzata dal
Teatro Caverna. Bariano (BG), 23-24 aprile 2006.
22
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
come il fiorire di iniziative, manifestazioni, musica, pubblicazioni: materiali utili a tenere vivo
il ricordo, la memoria che deve attecchire sulle
nuove generazioni affinché quel che fu non
debba ripetersi mai più23.
PASSARE DALLA MEMORIALISTICA
vicini per chilometri vicini per stagioni
sulle tracce dei lupi che fuggono
le guerre degli umani
CSI, Vicini
Esiste però un problema. Che non riguarda tanto la ‘conservazione’ della memoria – che può
essere, come abbiamo visto comunque costantemente insidiata da ‘revisionismi’ più o meno
fuorvianti24 – quanto piuttosto il suo “travaso”,
il suo passaggio alle generazioni future. È un
problema che probabilmente i più sensibili si
saranno posti, ma la cui soluzione resta affidata
da un lato alla capacità dei singoli che si fanno
promotori del messaggio e dall’altro alla sensibilità – anch’essa tutto sommato affidata al caso
– dei destinatari del messaggio stesso.
Chi scrive ha fatto, in tal senso, il percorso esat-
65
tamente al contrario di quel che qui compare,
invertendo completamente punto di partenza
e punto di arrivo, ovvero: l’interesse e la voglia
di approfondire un argomento – vasto, ampiamente trattato – come la Resistenza nasce dalla
lettura quasi casuale di romanzi che hanno
a che fare con quel periodo storico. Da lì la
volontà di capire come andarono realmente
le cose, fare capo alle biblioteche, alle sezioni
locali delle Associazioni Partigiani, ecc. fino al
porsi le domande più ‘teoriche’ su vero e falso
nella vicende pur così vicine a noi – nella considerazione che la Storia, alla fine, la scrivono
i vincitori.
E il problema è proprio in questa grande mole
di lavoro ‘memorialistico’ di cui non si discute
assolutamente il valore in sé – fondamentale
per chiunque abbia voglia di approfondire
fatti, questioni, avvenimenti, ruoli, personalità coinvolte, ecc. – ma, in un’ottica di
coinvolgimento delle giovani generazioni, la
sua utilizzabilità, in molti casi risulta quasi
nulla. Solo una forte ‘passione’ può spingere
alla lettura di certi resoconti25 o alla visione di
certe testimonianze26. Anche se, per fortuna,
Celebre la frase che campeggia in un lager preservato a memoria di eventi terribili: «Tutti coloro che dimenticano il
loro passato, sono condannati a riviverlo». La frase è attribuita talvolta a Primo Levi, talvolta al filosofo Santillana.
23
Non posso esimermi da una piccola nota (polemica) di carattere metodologico: ho letto GENTILI (2006) in relazione
ai (presunti) processi per stregoneria tra il XVII e il XVIII secolo nella zona della Val di Vara e Sarzana, dove l’autore conclude, in buona sostanza, che tali processi, qualora e quando siano avvenuti, non hanno comportato di necessità il rogo, ma
nella maggior parte dei casi ‘ammende’ minori e che, alla fine, molto è diventato puro “immaginario collettivo popolare”
che sfocia nella leggenda «appunto, da narrarsi durante le lunghe veglie invernali davanti al focolare per impressionare
i bambini capricciosi, prima di andare a dormire. Non di più!» (p. 139). Nello stesso periodo mi è accaduto di leggere
GINZBURG (1999), che tratta di un argomento analogo, seppure in un’altra parte d’Italia e qualche tempo prima, la cui
conclusione è però un po’ diversa. Per quanto io non sia uno storico né tanto meno un esperto di quel periodo, noto che
Ginzburg cita sostanzialmente otto diverse fonti, delle quali tre ecclesiastiche (Archivio della Curia Vescovile di Udine,
Archivio della Curia Vescovile di Pordenone e l’Archivio Segreto Vaticano) ma le atre cinque ‘laiche’ (Archivi di Stato di:
Modena, Pordenone e Venezia, Biblioteca Comunale di Udine e Biblioteca Governativa di Lucca). Gentili invece cita per
la sua ricerca solo fonti ecclesiastiche – in buona parte gli archivi vescovili locali (Bugnato, Sarzana, ecc.). Per carità: può
essere benissimo che siano gli unici documenti disponibili (e ancora grazie che ne esista traccia), ma quel che voglio dire è
che non si può pensare ad una concreta ‘obiettività’ quando si sente una sola campana: c’è sempre una sorta di “deviazione
standard” di cui, credo, è necessario tener conto. Altrimenti il rischio concreto è che si trovi solo quel che si vuol cercare.
24
Penso – ripeto: senza sminuirne il valore o la fondamentale portata documentale – a talune parti di AAVV (2001) o a
BRIGLIA, DEL GIUDICE, MICHELUCCI (1995).
25
Penso espressamente a GALLETTO (2002). Il cofanetto è, per altro, costituito da ben due videocassette della durata
di circa un’ora ciascuna, nelle quali si vedono solo paesaggi, con una voce narrante piuttosto monocorde, con l’utilizzo di
26
66
LUCIANO CELI
non per tutte è così27, il problema resta: come
‘tradurre’, rendere interessanti (sotto il profilo
narrativo) e in qualche modo anche piacevole,
avvincente, una narrazione che rischia di rimanere lettera morta nelle ripetitive edizioni delle
pur volenterose amministrazioni comunali e/o
provinciali?
ARRIVARE ALLA LETTERATURA
vicini per chilometri vicini per stagioni
traversando frontiere che preparano
le guerre di domani
CSI, Vicini
Il cantautore genovese Ivano Fossati, nella
strofa di una bella canzone, sosteneva che solo
un grande scrittore riesce a far stare insieme i
vivi e i morti. A dire che un grande scrittore
è spesso tale solo se è in grado di amalgamare
realtà e fantasia per far vivere sulla scena di un
romanzo, sia esso (auto)biografico o meno,
elementi e tratti distintivi di un’epoca, di un
modo di ragionare, di un evento, in modo che
arrivino a noi come se fossero realtà, come se
la narrazione fosse un affresco, un modo – ma
anche un mondo – ‘epico’ di trasferire contenuti che sì stanno nella Storia, ma che hanno
un valore che la trascende, che prescinde dalla
contingenza della narrazione stessa per arrivare
a noi come messaggio, come idea che possiamo
fare nostra, che possiamo – per quel che possiamo – tentare, se vogliamo, di applicare alla
nostra vita.
Questa la grandezza di scrittori come Beppe
Fenoglio. Il talento di scrittore, il valore aggiunto di una capacità narrativa ed emozionale
è l’unica, ultima speranza che il ‘messaggio’
arrivi, che la memoria non vada persa, che
le persone, soprattutto quelle più giovani, si
interessino di questa pagina di Storia. Perché
sì, sono importanti gli eventi della memorialistica, ma è materiale che va trasformato, che
va rielaborato non per mistificarne la realtà, ci
mancherebbe!, quanto piuttosto per compiere
l’operazione del “cartello indicatore”28, per
creare, cioè, un’opera, magari anche di fantasia
(un video, un romanzo, una canzone, un’opera
teatrale), ma che indichi, che spinga verso un
episodio della Storia altrimenti muto, sbiadito,
che non emoziona, troppo spesso fatto di sterili date sui cippi, di conte di morti dalle foto
sbiadite e ingiallite che invece devono essere
rispolverate per tornare vive, per tornare a essere presenti in noi, per tornare a raccontarci
davvero una storia che merita di essere narrata
ancora una volta. Una storia utile a capire chi
siamo, da dove veniamo, a capire i pericoli
che minacciano e limitano la nostra libertà e
democrazia.
In tal senso mi rifaccio, ancora una volta, alle
parole di Ugo Cerrato: «Alla fine di febbraio29
sono andato a un congresso nazionale dell’Anpi
[…]. Ha preso la parola il presidente Scalfaro
per un’ora e mezza, io ero seduto in seconda
fila. Eravamo mille, cinquecento delegati […].
Io ho visto le prime file piangere un’ora e son
un linguaggio talvolta aulico e desueto. Difficilissimo da seguire anche per il volenteroso conoscitore delle vicende legate
al secondo conflitto mondiale.
Si veda NICODEMI, LENZETTI (2006), ma anche, sul versante delle biografie BERNIERI (2004). Mentre in video
risulta di sicuro fascino e interesse: Circolo Culturale “Sirio Giannini” (2002) – si veda la bibliografia al fondo del presente
articolo.
27
L’idea del “cartello indicatore” mi è venuta durante una visita alla National Gallery di Londra: molti dei quadri esposti
nella celebre galleria sono di italiani famosissimi, a partire da Leonardo Da Vinci e Caravaggio e quand’anche gli autori
siano ‘locali’ (penso a Turner) i soggetti dipinti sono… l’Italia (di Turner ricordo una splendida veduta di Venezia). Tutto
questo mi sembra alla fine un gigantesco cartello che indica il nostro Paese, che fa venir la voglia di visitarlo. La dinamica
dovrebbe essere mutatis mutandis la stessa per la Storia della Resistenza e dovrebbe, non a caso, passare dall’arte – nel
senso più ampio che si può dare a questo termine.
28
29
Si tratta del febbraio 2006.
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
tutti ottantenni […]. Hanno pianto perché è
successo questo, desidero che lo sappiano i
giovani. Come si usa ad un congresso, questo
era un congresso di partigiani, voi non ne avete
saputo niente e vi dico subito il perché. Chi
presiedeva in quel momento, dopo gli inizi, ha
cominciato a leggere i messaggi istituzionali,
perché così si usa in un congresso. E il primo
è stato quello di Ciampi, che è anche molto
bello, con applausi che la gente si è alzata in
piedi, perché Ciampi è Ciampi. Quale viene
dopo Ciampi secondo voi come istituto…
Dico subito che per cinque anni quel presidente lì non ha mai parlato né di liberazione né è
andato a una manifestazione e questo la dice
lunga! Il vicepresidente è il capo del Senato,
seconda carica dello Stato, che è Pera e il terzo
era Casini, presidente della Camera. Questi
istituzionalmente sono nell’ordine. Come dice:
“questo è il telegramma di Pera”, in piedi urla
e fischi a non finire. La signora che presiedeva
in quel momento […] ha tranquillizzato, li ha
fatti sedere, poi ha detto: “vi chiedo scusa, noi
siam partigiani, questi rappresentano le istituzioni, è mio dovere procedere”, e aveva ragione
lei perché noi dobbiamo anche garantire quello, come abbiamo garantito la Costituzione in
passato. E non era verso. E lì ha letti attraverso
un disordine particolare. […] Improvvisamente sono sparite 40 televisioni, tutta la sala stampa, perché i poteri che ci sono in giro sono più
forti di quello che crediamo noi. È piombato
un silenzio al congresso: non un telegiornale
per tre giorni ne ha parlato; non un giornale
– se non quelli dei politici […] – infatti voi non
sapete niente. Allora ha preso la parola Scalfaro […] e ci ha raccontato tutto: da ottobre era
pronta – te lo dico per farti un elogio30: questo
convegno non si sarebbe potuto fare se si fosse
realizzato quello che era pronto a ottobre – una
legge di tre articoli: il primo articolo dice […]
67
“il 25 aprile è data non condivisa dagli italiani
e pertanto è una data che va abolita”. Punto.
Secondo articolo, e detta il tempo […]. Il che
significa che abbiamo corso il rischio che il 25
aprile non lo faremo più, non l’avremmo fatto
più. Io sono convinto che continuerò ad andare a Valdivilla, perché dopodomani mattina
io parlerò proprio lì a Valdivilla […], però
abbiamo avuto tutti dei dubbi. E questa legge,
che poi ne volevano farne anche un decreto, ci
si è messo di traverso uno che si chiama Ciampi, tanto perché lo sappiate a futura memoria.
Questa legge, come prima firma – ne ha 22
firme –, come prima firma ci è scritto Pera, che
è la seconda carica istituzionale. Ispirato da
quel grande consigliere genovese, filosofo, che
non ancora capito bene che ruolo abbia, che si
chiama Baget Bozzo. Voi pensate 500 delegati
partigiani che si sentono dire: “buongiorno, il
25 aprile non c’è più, voi tutti a casa”. Io credo
che fin quando saremo ancora vivi qualche
d’uno, adesso questo pericolo è scampato.
Però l’abbiamo corso»31. Ecco perché è importante che si sappia, che si racconti.
Proprio in relazione alla “potenza” del mezzo
narrativo, ho avuto occasione di ascoltare dalla
stessa Margherita Fenoglio qualche semplice
episodio che però la dice lunga sulla eco che
la grandezza narrativa del padre ha riscosso:
l’aver trovato, per esempio, bigliettini sulla
tomba del padre, probabilmente di una ragazza giovane, innamorata di Johnny, il partigiano
protagonista del romanzo.
Proprio di questo si tratta: si capisce d’aver
fatto centro quando le persone comuni ti
vengono a cercare per sapere, per conoscere:
sono state incuriosite, hanno letto, si sono
documentate. Spesso arrivano a chiedere cose
molto specifiche. Spesso hanno solo voglia di
ringraziare per la piccola grande storia che gli è
stata raccontata.
Riferito a Damiano Grasselli, attore della compagnia Teatro Caverna e principale organizzatore della due giorni di
Bariano (BG).
30
Intervento di Ugo Cerrato all’iniziativa Il partigiano Fenoglio: appunti per una resistenza della bellezza, organizzata dal
Teatro Caverna. Bariano (BG), 23-24 aprile 2006.
31
68
LUCIANO CELI
È quella che in più di una occasione pubblica e
privata Ugo Cerrato ha chiamato “la mia paga”.
Andar per scuole – lui che per altro ha fatto di
mestiere il maestro elementare – a raccontare e
di Fenoglio e della Resistenza: «un altro [passo] che fa sempre effetto sui ragazzi quando
lo racconto: è la vigilia di Natale, lui è solo su
alla Cascina di Langa, passa di lì il mugnaio del
posto e gli dice: “Senti Beppe […] vieni da noi,
mia moglie c’ha ancora un po’ di farina e fa le
tagliatelle” […] e lui va. È l’antivigilia di Natale.
Questo qua è un amico di suo papà, il mugnaio,
e gli dice: “Beppe, ma non ti accorgi di cosa sta
succedendo, lo stesso Alexander lo ha detto”
– c’era un proclama di Alexander che diceva ci
rivedremo in primavera […] – “non vedi vi fanno cadere tutti: un po’ le spie, un po’ con qualche rastrellamento, sei rimasto solo, gli altri si
sono un po’ imboscati. Vai da una famiglia che
conosci, scendi in pianura, torna sulla collina di
Alba”. Insomma gli dà dei buoni consigli. E lui
lo lascia dire, dire, dire. E dice: “No, se io vado
via adesso do ragione a loro. Vuol dire che aveva
ragione la parte avversa. Io sono venuto per fare
il mio dovere fino in fondo”. E lui dice: “Ma
vi faranno cadere uno per uno come gli uccelli
dal ramo” […]. Lui si alza in piedi. Non mangia
le tagliatelle. Chiama la cagna lupa. Esce fuori
nella notte, piena di neve. E quasi cantando
dice: “Io sarò l’ultimo passero sul ramo!” […].
Questo è il partigiano Fenoglio […]»32.
Oppure, ancora, di quando «lui è con degli
amici […] e fuggono per tre giorni durante un
rastrellamento e lui descrive: “I tedeschi hanno
messo le sbarre alle Langhe”, non si poteva più
uscire perché Santo Stefano, Asti, Alba, Ceva,
bloccano le Langhe e dalle Langhe non si scappava più. Meno male che la configurazione delle Langhe è stata la salvezza di tutti noi […].
Lui in questo periodo qui perde, il secondo
giorno, i suoi due amici principali. È convinto
che siano stati uccisi; è quasi disperato quando
si incammina per la strada che lo porta alla
Cascina della Langa. C’è una curva dove io
l’avrò portato dal ’60…, nel ’58 […]. È una
curva molto bella che vede l’anfiteatro di Alba,
illuminata in fondo. Lui si siede, vuol farsi una
sigaretta ma non ha più le cartine, tabacco da
tutte le parti. Ed è triste perché è solo, tornando a Cascina di Langa per dormire. Il sole sta
tramontando, il suo thompson era appoggiato
lì […], pensa e dice: “A quest’ora la notizia
dei miei due amici caduti nelle loro mani sta
serpeggiando nelle vie di Alba”. Medita un po’
e dice: “Così capiterà quando toccherà a me:
la notizia trascorrerà da una porta all’altra”,
ma improvvisamente […] raccatta l’arma sua,
si alza in piedi, guarda Alba di lontano e dice:
“Ma l’importante è che ne resti sempre uno sull’ultima collina ritto in piedi a vegliare”. Questa è una frase stupenda, guardate […]. A me è
capitato di dire questa frase proprio qui vicino
[…], a Casalpusterlengo, c’erano tutti studenti
di liceo, ho detto questa frase, hanno applaudito tutti, poi ci siamo salutati. Io mi metto il mio
giaccone, come farò stasera, che era appeso
all’attaccapanni della palestra – ma lì erano sei
o settecento ‘sti ragazzi, perché è grosso questo
Casalpusterlengo. Quando arrivo a casa, cerco
le chiavi per entrare e vedo una busta grande
nella tasca che io non avevo. Entro in casa e curioso la apro: una sfilza di nomi… e sotto c’era
scritto: noi resteremo sempre in piedi sull’ultima collina a vegliare. Questo è importante!
Anche voi lo dovete fare!»33.
Eccola la paga di Ugo Cerrato: una vera e
propria ‘collezione’ – che ho avuto il piacere di
vedere almeno in parte – di biglietti e bigliet-
Ibid. Trascrivere il parlato di Ugo Cerrato è impoverire la ricchezza della sua persona, della sua mimica, della sua
gestualità, dell’inflessione delle sue parole, pronunciate una vita intera, nel ricordo del suo grande amico Beppe Fenoglio,
ma anche di quel tempo così importante trascorso insieme. Parole rotte dalla commozione, ancora una volta, lì di fronte
a noi, a nostra volta commossi. Ugo era ed è ancora questa forza, questa persona capace di prenderti per mano e portarti
con sé verso il suo mondo, verso una condivisione di ideali e di bellezza.
32
33
Ibid.
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
69
Ugo Cerrato sta spiegando qualcosa sull’arte a un Beppe Fenoglio un po’ perplesso. Spettatore l’ingegner Morra.
Copyright Aldo Agnelli - Archivio Centro Studi “B. Fenoglio”, Alba. Per gentile concessione
tini che gli studenti, le famiglie, le persone gli
hanno messo in tasca durante i suoi interventi,
a testimonianza che il messaggio è arrivato, che
l’aspetto importante dell’intera questione è
stato recepito. Ammesso che la letteratura resistenziale una funzione la debba avere, questa
dovrebbe essere. Letteratura che volutamente
nelle parole di Ugo, si confonde – nel senso
etimologico di fondersi insieme – alla realtà,
in una narrazione, in una affabulazione dai risultati sorprendenti. Un aspetto che, chi è stato
amico di Ugo, percepisce in questo terribile
silenzio, non più colmato dalla poesia di parole
che uscivano stentoree quando narrava, per
esempio, di come conobbe il suo grande amico
Beppe Fenoglio: «Una mattina del giugno del
1933 – madonna, non c’era nessuno di voi!
34
– ero ancora a letto e sento tan tan, pum pum,
giocare a pallone a calci, sotto la mia finestra.
Io stupitissimo mi affaccio alla finestra: non
ho visto chi giocava, ma ho visto il pallone;
era proprio un pallone di cuoio con tutti i dadi
– una volta si usava, adesso son colorati, bianchi
e neri, ma allora eran così… – ed erano il papà
della signora Margherita34 e suo fratello Walter.
Uno aveva undici anni e l’altro dieci anni. E io
cosa ho fatto? Mi sono buttato giù da com’ero
di sopra e mi son messo a calciare il pallone
senza manco chiedere chi erano. E dal 1933
continuiamo a giocare la partita. È successo
con lo zio, ma con papà io ho sempre continuato a giocare»35. Perché Ugo era così, «in grado
di passare da una mattinata in una scuola media
di Casalpusterlengo ad una serata dell’ANPI a
Si riferisce in prima persona a Margherita Fenoglio, tra il pubblico.
Intervento di Ugo Cerrato all’iniziativa Il partigiano Fenoglio: appunti per una resistenza della bellezza, organizzata dal
Teatro Caverna. Bariano (BG), 23-24 aprile 2006.
35
70
Boves, per poi prendere l’aereo la mattina dopo
per Roma o Edimburgo, con la leggerezza di
un adolescente. La stanchezza la nascondeva,
ad occhi esterni, nei sorrisi e negli abbracci,
nel baciamano alle signore, nel suo alone di
entusiasmo incorruttibile, di curiosità continua
verso le persone che conosceva. Se qualcuno gli
diceva di un qualche studente (non importa di
quale livello) che desiderava parlargli, spalancava le porte della sua casa di Alba, o il cancello
del suo giardino di San Benedetto. Per almeno
vent’anni – prima che ci pensassero seriamente le Istituzioni – la sua raccolta di articoli di
giornale, di atti di convegni, di documenti di
prima mano, di lettere hanno costituito, insieme con i ricordi diretti suoi e di sua moglie
Luciana, il vero, seppur non ufficiale, centro di
documentazione fenogliano della nostra città; e
anzi si deve a lui (e ad un’altra grande amica e
“custode” di Fenoglio, la signora Giuseppina
Masera), se molte cose si sono conservate, e se
le Istituzioni pubbliche e private hanno potuto
attingervi. Le decine di faldoni di ritagli e fotocopie e fotografie, suddivisi per colore in base
agli argomenti, sono un’altra immagine che si
associa assolutamente ad Ugo Cerrato: raccoglitori ad anelli allineati sugli scaffali di Alba,
di San Benedetto – e (succursale viaggiante,
specie di bibliobus fenogliano) nel portabagagli
della sua Volvo. In caso di “emergenza”, era
sufficiente aprire il cofano, e c’era pronto (per
una scolaresca in gita, per qualche conferenza
fuori porta, per chiunque) un kit essenziale di
materiale da leggere e divulgare – tutt’altro che
casuale, anzi: c’erano diversi approcci, a seconda dell’uditorio. Specie nelle scuole, Ugo aveva
suoi protocolli, e suoi convincimenti: insisteva
con gli insegnanti perché Fenoglio non fosse
un autore astratto e lontano, e il suo modo di
presentarlo (immerso nella vita quotidiana, nel
LUCIANO CELI
pieno della sua umanità) lo rendeva molto più
vivo, e quindi interessante, di qualsiasi altro
profilo. Insisteva poi molto sul fatto che andassero letti per primi i racconti, e certi racconti
(Un giorno di fuoco, ad esempio), per conquistare anche i ragazzini alla lettura di un autore
che può bastare per una vita»36.
LA RESISTENZA OGGI: UNA INTERVISTA A
PIETRO ANGELOTTI
Per tastare il polso a una situazione è importante vedere quale ruolo sociale possa avere
oggi, quale sensibilità possa accendere nelle
giovani generazioni l’idea di Resistenza, ma
in tal senso è senz’altro utile ascoltare la viva
voce di chi visse l’esperienza partigiana. L’incontro con Pietro Angelotti avviene il 23 aprile,
presso la Fivl (Federazione Italiana Volontari
della Libertà – frangia cattolica del complesso
movimento partigiano37), di cui personalmente
ignoravo l’esistenza, pur essendo, la sede, sostanzialmente a fianco di quella della locale sezione dell’Anpi, a Massa. Una divisione fisica,
pur nella stessa struttura (il palazzo Bourdillon
di Piazza Mercurio), che rispecchia una scissione storica.
Qual è la sua storia? Come ha vissuto il periodo 1943-45?
Sono nato nel 1922, a vent’anni in Russia
e rimpatriato nel gennaio 1943, dopo un
pellegrinare disastroso nella steppa nevosa: parte a piedi e parte, fortunatamente,
su un’auto militare. Rientrato, nel luglio
1943, all’ospedale militare di Verona, fui
prigioniero degli occupatori tedeschi il 9
settembre, in pieno marasma morale delle
autorità militari italiane.
Da qui, a distanza di pochissimi giorni, in
treno, insieme ad altri, venni trasferito a
BORRA (2007,1). Ancora disponibile su web, all’indirizzo: http://www.stpauls.it/gazzetta/0704ga/0704ga05.htm e
ripubblicato anche all’indirizzo: http://slowforward.wordpress.com/2007/03/18/ugo-cerrato-maestro/.
36
Pietro precisa che: «I partigiani della FIVL, “Ribelli per amore” formano un’associazione di ispirazione laico-cristiana, fedele alla Carta costituzionale nei suoi principi fondamentali, coerente ai valori originali propugnati dalla Resistenza:
amore per la Patria, una e indivisibile e onore per il tricolore».
37
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
La Spezia, rinchiuso in “Arsenale” e poi
imbarcato sulla nave ospedale “Aquileia”,
al comando di un ufficiale tedesco cattolico,
per una missione – si diceva – “umanitaria”
a Tunisi o Tripoli.
Alla fine di settembre, primi di ottobre, fortunatamente – dico per me fortunatamente
– venne costituita, liberato Mussolini, la
famigerata repubblica sociale fascista.
Fummo sbarcati e ricondotti, in treno, a
Verona e rinchiusi nella sala del dopolavoro
ferroviario, sorvegliati, a turno, da un gendarme armato. Cercai subito di familiarizzare con loro, più anziani di me e già padri
di famiglia, mostrando loro le fotografie di
famiglia, così come ebbero a fare loro. A un
certo punto uno di loro mi indicò la scalinata che accedeva alla sovrastante ferrovia,
invitandomi a fuggire. Mi fece capire che,
probabilmente, la nostra destinazione era
la Germania per lavorare (“Arbeiten, arbeiten…”, ripeteva).
Gli feci capire che preferivo seguire il mio
destino, se così era. Ma, approfittando di
questa amicizia insperata, pensai ad organizzare la fuga. Soltanto in sette si resero
disponibili. C’era un ottavo militare di Canevara di Massa, vicino al mio paese di Casette – un certo De Carli Afro, vulgo Sirio
– che non riuscii a persuadere: aveva paura
di ritorsioni contro la sua famiglia. Dopo la
liberazione ne feci ricerca, trovandolo: era
reduce dalla Germania, ove da prigioniero,
era stato condotto.
Mi convinsi che non tutti i tedeschi erano
uguali, proprio per la insistenza amichevole
del tedesco. Declinando l’invito a fuggire,
gli feci comunque capire che avrei desiderato andare a visitare una mia zia che abitava a Verona. Lui acconsentì. Andai così,
di corsa, sperando di trovarla aperta, alla
lavanderia, ove mi servivo da militare. Alla
brava madre di famiglia che da lunghi anni
mi conosceva, chiesi se poteva procurarmi
dei vestiti civili anche dismessi, non solo
per me, ma anche per gli altri sette amici.
71
La brava donna me lo promise ed io, facendomi forte le chiesi, per giustificarmi
col tedesco, se poteva presentarsi come
zia con me, al dopolavoro ferroviario, ove
eravamo trattenuti prigionieri. Accettò con
entusiasmo e aggiunse d conoscere bene
un ispettore ferroviario che certamente ci
avrebbe facilitato la fuga.
Fu così che, pronti i vestiti, “la zia” tornò a
trovarmi e a informarmi su tutto. Mi baciò
affettuosamente, salutò e, ringraziato il
tedesco, tornò verso casa. Dopo la guerra,
passando per Verona, ne feci inutile ricerca, ma quella mamma – senza nome – è
sempre rimasta nel mio cuore.
Alle ore 20 circa, al buio, mentre tutti dormivano o fingevano di dormire, compreso
il buon tedesco di guardia, mi avvicinai
alla porticina di servizio che, attraverso
una stretta scalinata, immetteva alla strada
ferroviaria. Mi accertai che fosse aperta e
con un cenno avvertii i sette fuggitivi, seguendoli per ultimo. Mi raccomandai che
fossero prudenti, di dividersi e presentarsi
al mattino alla lavanderia, nei pressi dell’ospedale militare. Uscito in strada avvistai
un tram diretto a S. Bonifacio. Ancora in
divisa militare vi salii con molta indifferenza e da qui, attraverso i campi, ebbe inizio
la mia avventura solitaria verso Montebello
Vicentino, ove giunsi, a piedi, sostando qua
e là.
I contadini, la popolazione in generale, era
molto solidale con noi e cercavano, in quei
primi momenti di sbandamento, di aiutarci
in tutti i modi. Così stetti nascosto da una
famiglia per 10-12 giorni ed ebbi i primi
contatti con le formazioni partigiane che nel
frattempo si erano costituite nella zona. Mi
invitarono a rimanere, ma rifiutai: il desiderio di tornare verso casa era troppo forte.
Così in treno, con un giro tortuoso, giunsi
alla stazioncina di Fidenza, prima di Parma.
Il treno non proseguiva ed io, fingendomi
addormentato, mi sdraiai sul sedile. Un
ufficiale tedesco, in ispezione, vedendomi
72
LUCIANO CELI
urlò un “Raus - weg!” seguito da un secco
ceffone, che mi fece mettere d’istinto la
mano sulla pistola che avevo infilata nei
pantaloni. Pensai alla mia famiglia, alla mia
fidanzata e desistetti da una reazione. Scesi
imprecando dal treno. Un distinto signore
mi si fece incontro consigliandomi di non
inveire troppo, di non farmi notare che lì
era pieno di tedeschi. Lui non mi riconobbe,
ma io riconobbi in lui il dottor Ugo Pasquali che rimase molto meravigliato quando lo
chiamai per nome. Era un medico facoltoso. Ci eravamo incontrati durante la ritirata
di Russia e ora il destino ci aveva di nuovo
voluto far incontrare. Giunti a Parma mi
portò a desinare in un ristorante della città
nel pomeriggio. Il giorno stesso, insieme,
risalimmo in treno: lui si fermò a Pontremoli e io proseguii per Massa. Data la mia
fede democristiana clandestina non entrai a
far parte della banda partigiana comunista
di Casette. A seguito di contatti che avevo
con Giulio Guidoni e col professor Alfredo
Moretti – membro del Comitato di Liberazione Nazionale della Lunigiana e preside
del liceo classico di Massa – accettai, pur
titubante, su loro insistenza l’incarico di
commissario della formazione Garibaldi
che gli amici e compagni mi offrivano.
Così svolsi il mio dovere di partigiano,
avendo sempre presente la grande responsabilità che gravava su di noi. Una volta i
miei amici partigiani mi dissero di avere
catturato una spia: era in divisa e recava con
sé un biglietto, che mi disse scritto in Carrara, in un luogo convenuto, che io conoscevo
come rifugio clandestino di compagni anarchici. Quelli della mia formazione erano
convinti fosse colpevole. Si trattava di un
ragazzo giovane, che i miei avevano già
messo a bagnomaria, a decantare in un silos
di quelli che si usavano per conservare l’acqua, per la segagione del marmo. Andai per
interrogarlo e mi confessò di essere analfabeta: non sapeva né leggere né scrivere. Era
del sud e si professava partigiano, catturato
in un rastrellamento. Gli chiesi di quel biglietto, dove l’aveva avuto, chi gliel’aveva
dato e perché. Mi rispose di essere di una
formazione partigiana, catturato dai fascisti
che gli avevano messo addosso quella divisa; che lui voleva solo scappare per tornare
a casa sua, a Palermo.
I miei continuavano a volerne la morte,
pensando che dicesse menzogne e che,
quindi, meritasse di essere messo a tacere
per sempre. Sforzandomi un poco riconobbi nella fisionomia di chi gli poteva aver
scritto il biglietto, il partigiano Barotti,
appartenente alle formazioni del piano,
con le quali avevamo contatto. Mandai a
chiamare la persona interessata, che non
esitò a riconoscere Giuseppe e di avergli
scritto il biglietto38: mi sincerai che non
fosse una messa in scena, e non lo era. Invitai il partigiano di passaggio a raccontare
l’intera vicenda davanti al comandante di
formazione, Quinto Antonioli, e a quelli
dei nostri pronti a far fuori il malcapitato.
Da allora nessuno più osò dire: “dobbiamo
uccidere”, “dobbiamo giustiziare”.
Accadde anche un altro episodio simile:
si trattava di uno studente universitario
di Firenze, di cognome “Re”, catturato in
un cinema – così ci disse – trasportato in
Germania e arruolato nella “Monterosa”.
Con una lettera venne accompagnato oltre
la Linea Gotica e consegnato alle forze
Pietro precisa che: «La verità vera, testimoniata, l’avemmo però in occasione del massiccio rastrellamento tedesco del
2 dicembre 1944, che causò lo sbandamento di molte formazioni partigiane delle zone a nord. Queste formazioni scesero
verso Carrara e Massa per attraversare la Linea Gotica e congiungersi alle truppe americane già in Versilia. Il nostro
accampamento alle “cave di Gioia”, tra Carrara e Massa, era un passo obbligato. È così – ed io stesso lo udii – che un partigiano di passaggio, ad alta voce e ripetutamente, chiamava indicandolo: “Giuseppe! Giuseppe!”. Lo fermai e gli chiesi
se lo conosceva; mi rispose affermativamente, dichiarandomi che si trattava di un loro compagno partigiano, catturato in
rastrellamento, del quale non aveva avuto più notizie».
38
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
Alleate perché, per quanto fosse in nostro
potere giudicare, era bene che vi provvedesse l’autorità militare alleata, assai più
competente.
I Patrioti Apuani, invece, stranamente, senza alcuna lettera, ma accompagnato da altro
individuo, ci presentarono un giovinetto
colpevole di essere fascista, affinché fosse
giustiziato. Lo rispedimmo al mittente, senza volerne conoscere neppure il nome.
Per altro avemmo un caso che ci ha addolorato e che, a comprova della nostra serietà,
riteniamo di evidenziare. Il comportamento
infatti, assai disonorevole di un nostro partigiano – al quale si deve ascrivere tuttavia il
merito di avere, da solo, in una particolare
circostanza, armato di un pistola “mauser”,
convinto o costretto tre soldati polacchi e
un sergente tedesco alla diserzione, conducendoli all’accampamento – ci obbligò
a doverlo espellere dall’appartenenza
alla formazione e consegnarlo all’autorità
americana oltre la Linea Gotica, perché lo
giudicasse. Riconosciuto colpevole di gravi
e infamanti reati fu condannato al carcere.
Post bellum, per altri reati, ancora condannato dall’autorità italiana, finì in carcere i
giorni della sua baldanzosa e intraprendente giovinezza.
Qual è l’evento più bello e quello peggiore
che ricorda di quegli anni?
Quello più bello, in senso generale, consiste
nell’aver salvato delle vite umane: nel periodo 1943-45 non è stato giustiziato nessuno.
Ricordo che una notte stavamo rientrando
all’accampamento, ma era tardi ormai e
notte fatta. Così approdammo a una casa di
pastori abitata da due anziani. Chiedemmo
qualcosa da mangiare e li vidi un po’ in difficoltà sul da farsi. Alla fine la donna sbloccò la situazione e disse “ma sì, facciamo una
polenta con un po’ di formaggio”. Capii
che erano in difficoltà perché probabilmen39
73
te stavano razionando anche per loro stessi
e gli promisi che, a guerra finita, gli avrei
portato un sacco di farina bianca per il pane
e gialla per la polenta. E così feci: dopo il 25
aprile tornai e non mi riconobbero. Quando gli spiegai chi ero stentarono a crederci e
dissero che non mi sarei dovuto disturbare.
Dissi loro che non era affatto un disturbo
e finirono per accogliermi in casa come si
accoglie un figlio.
Era dura, ma c’erano questi episodi che davano soddisfazione. La mia povera mamma
mi aveva tenuto da parte, su un libretto postale, tutte le decadi39 che avevo maturato
in quel periodo: per se non spendeva niente
e tenne tutto da parte. E io con quei soldi
compravo ciò che necessitava alla mia formazione partigiana, per quel che si poteva
trovare in giro. Se ho speso 100, alla fine del
conflitto il comandante Memo (Bucellaria
Alessandro) e il compagno Garella Giuseppe mi hanno restituito fino all’ultimo
centesimo.
Sono queste le cose che mi hanno dato la
soddisfazione di poter andare in giro a testa
alta. Certo, ci sono stati anche i brutti episodi, di cui sappiamo, ma personalmente
non posso dire di aver passato momenti
veramente terribili, se non forse quando i
nazisti diedero fuoco al mio paese, Casette.
Venni fuori da dov’ero nascosto e cercai di
scuotere mio zio e con lui tutta la popolazione, letteralmente paralizzata dall’incursione dell’invasore, affinché ci dessimo tutti
una mano per spegnere il fuoco.
È vero inoltre che si viveva in uno stato
di continua vigilanza: alcune volte si confondevano gli zoccoli di un cavallo con gli
stivali di qualche nazista!
Qual è oggi il senso della Resistenza?
L’aver instaurato, seppure con fatica, un
regime di libertà, di intesa e di pluralismo.
Durante il ventennio fascista si era in pieno
La decade era la diaria che i soldati riscuotevano ogni dieci giorni.
74
LUCIANO CELI
oscurantismo e la mia generazione neanche
sapeva cosa volesse dire libertà, se non
come concetto astratto40. Abbiamo poi
dovuto farci carico di questa libertà voluta
e ricercata con passione, e da qui scaturisce
quel senso di responsabilità di cui proprio
ieri sera hanno parlato Vittorio Foa e Tina
Anselmi, intervistati da Enzo Biagi, nella
sua nuova trasmissione televisiva. La responsabilità della libertà di cui siamo i fieri
guardiani.
Pietro Calamandrei, che nella nostra zona
non ha certo bisogno di presentazioni,
fece diversi discorsi. Tra i tanti le cito – e
la invito ad andarsi a leggere – quello del
1954, in occasione del decennale delle
Fosse del Frigido e quello del 1955 fatto ai
giovani dell’Università di Milano: se non le
contestualizzassi quanto Calamadrei disse,
potrebbe tranquillamente pensare che tali
discorsi siano frutto di riflessioni attuali.
E forse è proprio questo il punto: la Resistenza non è finita, non ha esaurito il suo
scopo perché alla fine per quanto il mondo
intorno a noi sia cambiato, poco è cambiato
da quegli anni: ora più che mai c’è bisogno
d’uguaglianza, di giustizia sociale, di lavoro,
di dignità, di redistribuzione delle ricchezze. Ma anche di una gioventù studiosa, che
assaporando la bellezza della vita rifugga
dal frivolo piacere, ami e rispetti il patrimonio, riconoscendo che in una società civile
“così come la vita familiare è intessuta di
diritti e di doveri, poiché non esiste alcun
diritto a cui non corrisponda un dovere”
(P. E. Taviani)41.
Quali erano le speranze di allora e quali
quelle di oggi?
Se la Resistenza è un valore attuale perché
ancora devono essere portate a compimento le battaglie sociali di cui abbiamo appena
discusso, le speranze di allora ahimè continuano a essere quelle di oggi…
Qual è secondo lei il modo migliore per
tramandare alle giovani generazioni l’ideale
resistenziale?
Come sa ho scritto un libro42 che è stato
distribuito in tutte le biblioteche della Toscana. In questi anni sono andato in molte
scuole e sono rimasto impressionato da
come gli insegnanti – la grande maggioranza, anche se non tutti – mi hanno accolto
per tenere delle conferenze alle loro classi.
C’è una grande ignoranza in relazione agli
eventi che riguardano la Resistenza.
Alla fine la modalità sembra essere sempre
la stessa: andare nelle scuole a tentare di far
entrare nelle teste – ma forse soprattutto nei
cuori – degli studenti qualcuno di questi valori.
Ma davvero sembra essere una strada che non
funziona. O che non funziona più43.
In tal senso è utile una breve precisazione per una domanda che può scaturire legittima: ma questi ragazzi che alla
fine combatterono il fascismo pur essendo nati in pieno ventennio, cosa potevano pensare di concetti quali democrazia
e libertà? La testimonianza di Giorgio Mori può essere d’aiuto: «Ci si può domandare quale fosse il livello di coscienza
politica dei giovani di allora, nati sotto il fascismo, anche se magari provenienti da famiglie antifasciste. In genere avevamo
una scarsa consapevolezza politica ed eravamo stanchi soprattutto della guerra, delle morti, delle stragi, delle distruzioni,
della fame. La vera maturazione avvenne solo in un secondo momento, durante la lotta partigiana, nello scontro con i
nazifascisti e nel confronto diretto e nel dibattito politico vero e proprio con i compagni di lotta e con i commissari politici. È questo che determinò la formazione e crescita di coscienza politica e di passione per la partecipazione nei giovani
che aderirono alla Resistenza, dalla quale trasposero poi le speranze in un mondo migliore, più giusto e libero». In ANPI
CARRARA, LINDI (a cura di, 2006), pp. 48-49.
40
41
Paolo Emilio Taviani è stato Ministro dell’Interno negli anni ’70.
42
ANGELOTTI (2003).
43
E qui ancora corre opportuno l’appello ai partigiani del giurista prof. Piero Calamandrei, di area socialista, di: «Aiuta-
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
Non è mancata lungo tutta l’intervista una pur
comprensibile verve polemica contro una sorta
di presunta egemonia dell’Anpi in relazione ai
meriti sulla Resistenza. Duole vedere che, a 62
anni di distanza, quello che dovrebbe essere
ormai un percorso comune, pur rispettoso
delle diverse posizioni politico-ideologiche, è
ben lungi dal realizzarsi. A conclusione del suo
volume Pietro dice: «Dalla doverosa esposizione storica dei sopraestesi avvenimenti nazionali
e locali le Associazioni patriottiche della Resistenza 1943/1945 debbono trarre insegnamento da tramandare alle nuove generazioni.
Se è vero come è vero che, durante la lotta
di liberazione per la conquista delle libertà
democratiche – tranne alcuni casi di facinorosi provocatori – ci fu in noi e con noi un
sostanziale e responsabile comun denominatore che affratellava i Ribelli per sconfiggere
il nazi-fascismo, appare necessario quindi che
la concordia, la comprensione, il solidarismo,
l’amore soprattutto, prevalga sopra ogni tentazione sopraffattrice e di prevaricazione. Da
parte nostra vi è la consapevolezza di quanto
sia necessario, di fronte a un risorgente autoritarismo che offende il pluralismo democratico,
procedere ad intese unitarie. È auspicio che
manifestazioni ed altre celebrazioni in onore
e riconoscimento del movimento resistenziale
avvengano, nel reciproco autonomo pensiero,
all’insegna del solo Tricolore “senza stemma e
senza macchie”»44.
SENSIBILIZZAZIONI DAL MONDO DELLO
SPETTACOLO
Il problema dunque rimane quello di arrivare
ai cuori delle giovani generazioni. Ugo Cerrato,
75
l’amico di Beppe Fenoglio, ha trascorso molto
del suo tempo andando di scuola in scuola. Insieme a lui e a Pietro Angelotti, molti altri partigiani lo hanno fatto, pur non potendo vantare
un’amicizia importante come uno scrittore del
calibro di Fenoglio per averne, di conseguenza,
un accesso privilegiato alla letteratura.
Allora diviene importante esplorare proprio
questo ambito, quello delle arti. La breve
carrellata che segue ha il solo scopo di vedere
cosa ancora si faccia per riportare l’attenzione
sull’argomento.
Un paio d’anni fa, in occasione dei sessant’anni
dalla liberazione, un gruppo – 4, diventati ora 5
– di giovani valenti romanzieri di successo, che
amano nascondersi dietro lo pseudonimo Wu
Ming (originariamente Luther Blisset), hanno
indetto una specie di “concorso” narrativo, dal
titolo La prima volta che ho visto i fascisti. Bella
l’iniziativa, l’introduzione, gli interventi45.
E, a proposito di letteratura-documento, è doveroso segnalare la riedizione del ‘blob’ colto
di Galante Garrone: vedere, come è accaduto
a chi scrive, immagini di repertorio del Duce,
fa uno strano effetto perché l’arma – forse la
principale di quest’uomo – sembrava essere
la pantomima e nella fattispecie: di se stesso.
Vederlo affacciato ad un balcone, in un discorso di piazza, di fronte a una massa adorante,
faceva letteralmente ridere perché Benito Mussolini era capace di passare dall’atteggiamento
più serio e temibile a una postura scomposta
e (auto?)ironica. Proprio questo aspetto venne
colto da un antifascista della prima ora: «Carlo
Galante Garrone, fratello del “mite giacobino”
Sandro, [e lo spinse] a compilare un libercolo
in cui alcuni detti e pensieri del Duce, desunti
da discorsi e da libri, venivano commentati in
re i giovinetti che forse imparano su ignobili testi di storia, messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazioni del
fascismo e oltraggi alla Resistenza, dovete aiutarli a conoscere e a ricordare la verità e a diventare la nuova classe politica,
memore del recente passato e custode dei valori che questo passato ha lasciato all’avvenire» (dal discorso del 21 ottobre
1954 a Massa).
44
ANGELOTTI (2003), p. 49.
È tutto rintracciabile ancora su web, all’indirizzo: http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/antifa/
primavolta.htm
45
76
LUCIANO CELI
modo umoristico e denigratorio, affinché “se il
fascismo è davvero una maledizione eterna che
grava sul nostro destino, cerchiamo di combatterlo con le parole del suo capo: con l’arma
del ridicolo (…) nella speranza che la infinita
miseria degli scritti del duce faccia crollare il
mito della grandezza di Mussolini”. Diffuso in
copie dattiloscritte, clandestine, circolò fino al
1944 tra le formazioni partigiane di Giustizia e
Libertà del cuneese e della Val Pellice, per poi
essere pubblicato da Arturo Felici (Panfilo) a
Cuneo dopo la liberazione. Viva il capomastro!,
questo il titolo, rivede la luce a dieci anni dalla
scomparsa di Carlo Galante Garrone»46.
Seguendo la vena ironica legata al paradosso
della guerra, si scopre ben altro47: «La sua vita
è stata come un film: da Weimar al nazismo,
dall’Urss alla deportazione a Dachau, dalle
speranze deluse nell’Est comunista al dopoMuro. Erwin Geschonneck, il Grande Vecchio
del cabaret tedesco, […] per la cultura e la
memoria della Germania […] è un simbolo,
un monumento vivo e parlante. […] Star del
cabaret e del cinema nell’instabile, ma vivace
repubblica di Weimar, sfidò i nazisti facendosi
fotografare nudo e crocifisso su una svastica.
Fuggì in Urss, ma il suo umorismo fu presto
sgradito: venne espluso, andò a Praga e pochi
mesi dopo arrivò la Wehrmacht. Finì a Dachau,
e nel lager organizzò il cabaret clandestino»48.
Per tornare alla letteratura, a quelli che possiamo definire forse romanzi storici, è utile
segnalare due recentissime uscite. La prima,
tutta italiana49, è una specie di poliziesco ambientato sull’appennino tosco-emiliano. La trama si sviluppa a seguito della fucilazione di un
partigiano, giustiziato dai suoi compagni per
46
aver commesso la strage di una intera famiglia
fascista della zona. Protagonista è Benedetto
Santovito, carabiniere di origine salernitana
che, scoppiata la guerra, viene mandato sul
fronte russo. Si salva e, al ritorno, dopo l’8 settembre ’43 decide di darsi alla macchia e di entrare nelle formazioni partigiane della zona con
il nome di battaglia Salerno. Dati i trascorsi da
carabiniere, gli viene affidata dal suo comandante una piccola indagine sulla fucilazione del
partigiano da parte dei suoi compagni. Non ne
viene fuori nulla: Santovito-Salerno non riesce
a dipanare una matassa sulla quale dovrà tornare, a guerra finita, 16 anni dopo, nel 1960, per
ristabilire una verità che mostra la pochezza
dei destini umani: a persone mosse dai grandi
ideali di una battaglia per la giustizia e la libertà si accostano fatalmente persone che pensano
al proprio tornaconto personale, in nome del
quale non esitano a sacrificare tutto ciò che si
frappone ai loro obiettivi.
Il secondo romanzo-documento, non ancora
tradotto in Italia50, è di Jonathan Littel, uno
statunitense che vorrebbe essere francese (al
punto da scrivere il romanzo direttamente in
questa lingua). Il consistente volume – oltre
900 pagine – narra la vicenda personale di Max
Aue, omicida, omosessuale, che pure intrattiene un rapporto incestuoso con la sorella e, pur
non avendo velleità di carriera, riceve continue
promozioni perché è un bravo burocrate e un
grande organizzatore. «Quando si finisce di leggere Les bienveillantes, il romanzo di Jonathan
Littel che ha appena vinto il premio Goncourt
in Francia e ha ottenuto in questo Paese un successo di pubblico senza precedenti, ci si sente
senza fiato, demoralizzati e, nello stesso tempo,
Cfr. NOVELLI (2007,2).
Oltre a film universalmente conosciuti quali La vita è bella (1997) del nostro Benigni e Train de vie (1998). Per dire
solo i più recenti e senza citare mostri sacri come il Charlie Chaplin de Il grande dittatore (1940).
47
48
Cfr. TARQUINI (2006,2).
49
MACCHIAVELLI L., GUCCINI F. (2007).
Lo sarà probabilmente questo autunno per i tipi di Einaudi, anche se QUIRICO (2006) lo dà come in traduzione per
Mondadori.
50
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
stupiti di fronte a questo viaggio dentro l’orrore
e all’oceanica ricerca che lo ha reso possibile.
Non ricordo d’aver mai letto un libro che documenti con tanta minuzia e tanta profondità
gli spaventosi estremi di crudeltà e di stupidità
raggiunti dal nazismo nella sua ansia di sterminare gli ebrei e le altre “razze inferiori” durante
la sua breve ma apocalittica parabola. Tutto
può essere definito romanzo e anche questo
libro è stato chiamato così, sebbene l’aspetto
propriamente romanzesco di queste pagine
– l’immaginato, il fittizio, gli aggiustamenti della
realtà compiuti dall’autore – sia il meno interessante, mero pretesto per catapultare il lettore
di fronte a un’esperienza storica spaventosa»51.
Un romanzo «che in Francia ha fatto il botto
con vendite incredibili e paragoni con Tolstoj
o Stendhal, in Germania ne ha fatto un altro,
sempre con vendite importanti, ma anche con
polemiche più che appassionate»52.
E, tornando a Fenoglio, una letteratura che può
essere trasformata – essendo sufficientemente
bravi, motivati e preparati – in una sceneggiatura teatrale. È il caso dei ragazzi del Teatro
Caverna, scopritori di una insita musicalità
proprio nelle opere del partigiano albese. I loro
spettacoli – pur non avendo una diretta attinenza con le opere di argomento resistenziale dello
scrittore – sono molto particolari e costituiscono una prova considerevole per gli attori, che,
dopo aver stravolto il testo narrativo, lo devono
mandare a memoria. Teatro Caverna ha avuto,
almeno localmente53, un bel successo due anni
fa con L’amal’ora54 e lo scorso con Fuoco! Il teatrino di Gallesio55. Quest’anno hanno pensato
a dei laboratori teatrali, per svelare il “dietro le
quinte” di opere come Fuoco!, ma, forse anche
a causa di un non proprio ideale coordinamen51
VARGAS LLOSA (2006).
52
VIALE (2006).
53
Nelle Langhe.
54
Basato su La Malora, di Beppe Fenoglio.
55
Basato su Un giorno di fuoco, di Beppe Fenoglio.
56
(LA) STAMPA (2007,4).
77
to con chi avrebbe dovuto dare rilievo alla notizia, il laboratorio è andato deserto. E questo
è indicativo di come, nonostante gli sforzi, si
abbia vita difficile nel raggiungere quell’obiettivo – che dovrebbe essere primario anche per
le amministrazioni locali – di sensibilizzazione
di cui tanto si parla: basta un intoppo, un qualcuno che non faccia come dovrebbe il proprio
mestiere e il lavoro viene vanificato. Per questo
forse non bisognerebbe mai abbassare la guardia, anche di fronte a momentanei successi.
In teatro si trova ancora qualcosa, con l’opera
“Resistenti”: «Raccontare la Resistenza è un
compito che, anche a distanza di sessant’anni,
richiede un continuo esercizio analitico ed un
costante aggiornamento delle testimonianze.
[…] Non vicende qualsiasi, ma fatti precisi, legati alle vite di quei ragazzi italiani appartenenti alle classi ’25 e ’26 che, ricevuta la chiamata
alle armi per la Repubblica di Salò, scelsero di
fuggire in montagna e diventare partigiani»56.
Sul versante cinematografico è interessante
segnalare almeno due uscite recenti: la prima,
di carattere più generale apparentemente lontana dall’argomento resistenziale, è di Clint
Eastwood. Il noto attore, passato ormai dietro
la cinepresa da diversi anni, ha deciso di affrontare un capitolo tra i più duri per gli Stati Uniti
nella Seconda Guerra Mondiale: la battaglia
di Iwo Jima, uno scontro nel quale morirono
20mila giapponesi e 6mila americani. La novità
però consiste nell’affrontare lo stesso tema
da entrambe i fronti di guerra, con due film
diversi che trattano lo stesso argomento, uno
prodotto in lingua inglese e l’altro in giapponese. Se l’iniziativa è lodevole non mancano le
polemiche sull’attendibilità della ricostruzione:
«cominciano a circolare le proteste sull’assenza
78
LUCIANO CELI
nel film di soldati afro-americani (900 combatterono su quell’isola, più del 90 per cento di
quelli che trasportavano le munizioni). Così
come erano mancati in “Salvate il soldato
Ryan” di Spielberg […]. “In tutti i film fatti su
Iwo Jima non vedi mai un viso nero”, dice il
sergente McPhatter, ex marine americano oggi
83 anni, che partecipò a quella battaglia»57.
Un capitolo questo che forse, a buon titolo
dovrebbe stare nel paragrafo successivo, quello
legato alla memoria.
La seconda uscita è Black Book, un film del
regista olandese Paul Verhoeven che tratta la
storia di una ragazza ebrea, divenuta spia nelle
file naziste, ma alla fine viene braccata sia da
questi che dai partigiani. Ed è proprio dagli
olandesi che la accusano di collaborazionismo
che riceve le accuse più brucianti58.
Un altro aspetto importante è quello musicale:
è utile dirlo perché, nel mio caso, è stato curiosamente la via preferenziale che mi ha condotto
ad affrontare il complesso argomento resistenziale. Accanto agli spesso citati CSI59, c’è da
segnalare un esperimento di confine tra lettura,
recitazione, musica (jazz) e teatro: Come si diventa nazisti di Antonio Damasco. Un’idea che
nasce da un preciso episodio della Storia: «Il 13
luglio 1942 gli uomini del Battaglione 101 della
Riserva di Polizia tedesca, circa 500 persone,
entrarono nel villaggio polacco di Jòzefòw.
Molti erano appena stati arruolati, tolti dalle
loro famiglie, troppo vecchi per un servizio
combattente attivo, di varia origine, operai,
impiegati, commercianti, artigiani e uomini di
chiesa. Lavorarono sodo, quel giorno, alla loro
prima operazione: al tramonto essi si macchia57
BIZIO (2006). Ma cfr. anche CAPRARA (2007).
58
FUSCO (2007).
59
Cfr. la bibliografia al fondo, alla sezione discografia.
60
Tratto dalla locandina dello spettacolo.
61
BERNARDINI, FRANCIOSI (2005).
rono di 1500 omicidi, tutti ebrei di Jòzefòw.
Come fu possibile che gente comune potesse
trasformarsi in questo modo? Non erano nazisti, né fanatici; erano quasi tutti di Amburgo.
Questi uomini attempati in un solo giorno scelsero di diventare complici dell’orrore nazista, e
quindi nazisti a loro volta»60.
Infine si vogliono segnalare altre forme d’arte
come la pittura e la fotografia: sebbene risulti
difficile addentrarsi nello specifico, anche per
contingenti problemi di spazio, vale la pena
segnalare un bel libro fotografico al femminile, curato da Giovanna Bernardini e Ippolita
Franciosi61 e un volume sulla pittura di Sandro
Beconi che rese più volte omaggio alle vittime
della strage di Sant’Anna di Stazzema con i
suoi quadri62.
Tutto questo serve – o dovrebbe servire – a
contrastare quel che fin troppo spesso si legge
sui quotidiani. In una curiosa “intervista impossibile” si legge:
Pronto. Chiamo dal ventunesimo secolo.
Parlo col signor Dante Di Nanni?
Sono io. Chi è all’apparecchio?
Un torinese del 2007. Avrei bisogno del suo
aiuto.
Se posso…
Vede, mio figlio tra poco compie un anno.
Sa com’è, le preoccupazioni di qualunque
genitore…
Io sono morto a diciannove anni, i tedeschi
e i fascisti non mi hanno fatto andare oltre.
Cosa posso saperne di figli? Temo di non
poterle essere utile.
Aspetti, mi faccia spiegare. Sa, oggi basta
aprire un giornale e… non so come dirglie-
BECONI (2001). In questa modesta carrellata manca senz’altro tutto il mondo internet, nel quale si possono trovare
moltissimi siti istituzionali che hanno reso disponibile tanta documentazione interessante, costituendo spesso una vera e
propria “rete nella rete”. Penso ad uno di questi, visitati di recente: http://www.memoriadellealpi.net/.
62
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
lo. Lei entra in uno stadio, per una partita
di pallone, e ci trova ragazzi che sventolano
bandiere con la svastica…63
Con la svastica?
E questo è niente. Ci sono studiosi, gente che
scrive libri, che non fanno altro che cercare
di dimostrare… No, non riesco a dirlo…
Non a lei…
Coraggio. Non può essere peggio delle cose
che ho visto.
Insomma, dicono che voi partigiani… e i repubblichini… che non c’era differenza, in fin
dei conti lottavate tutti per degli ideali.64
Dice sul serio?
Sì. E poi battono e ribattono su certe vendette partigiane, su certe cose successe dopo il 25
aprile ’45…65
LA GUERRA DELLA MEMORIA
Di guerra vera e propria si tratta. È scoppiata
all’inizio di quest’anno. Le prime avvisaglie si
sono avute, per la verità, verso la fine dello
scorso anno, a seguito dell’ennesima polemica che l’ennesimo libro (La grande bugia) di
Giampaolo Pansa, giornalista e non storico di
professione – per sua stessa ammissione – ha
suscitato66. Giorgio Bocca, pur non volendo
entrare in polemica con Pansa, risponde in
una intervista in calce alla stessa pagina, anche
perché un capitolo del libro (Saluti da Cuneo)
riguarda proprio lui67. La questione viene ri-
79
presa a qualche mese di distanza, in tempi più
recenti, e ha uno strascico che, manco a dirlo
coinvolge anche lo stesso Fenoglio. Infatti in
quel libro Pansa tanto denigra Bocca, quanto,
pur per accenni, elogia Fenoglio (in uno dei
primi capitoli, Il maestro di Alba). Ne segue
che, in una intervista68 nella quale il pretesto
è presentare la ristampa di un suo vecchio
libro69, lo stesso Bocca ne ha per tutti e fa di
tutta l’erba un fascio (e nella fattispecie: Pansa = Fenoglio), innescando una polemica per
fortuna presto sopita. Dispiace che una del
tutto stimabile persona come Giorgio Bocca, a mo’ di aggiustamento del danno fatto
con l’intervista concessa a Bruno Quaranta,
dica sulla sua rubrica Fatti nostri, all’interno
de Il Venerdì di Repubblica (del 6 aprile, p.
15): «Lorenzo Mondo dice che ho il cervello
appannato […], perché ho osato scrivere che
la mia idea di Resistenza è diversa da quella
di Beppe Fenoglio». Dispiace perché sembra
tacitamente dare ragione a Lorenzo Mondo,
proprio perché è stato lui a dire, solo qualche
giorno prima, a Bruno Quaranta: «Ma no. Fenoglio della Resistenza non ha capito nulla. Io,
di quei venti mesi, ho un’idea politica e storica. So qual è stato il valore della Resistenza, so
perché il sogno che la innervava è naufragato.
Fenoglio è come Pansa. La sua Resistenza è
falsa, un teatro di assassini, di cialtroni, di
poveracci. Ma GL, Giustizia e Libertà, era
l’università di noi provinciali»70. Ora: se la lin-
Cfr. BIANCHI (2007), ma anche ZONCA (2006) e ROSSI (2007,2). Per altre questioni, ma che hanno sempre a che
fare con il mondo neonazista si veda MASTROLILLI (2007) mentre in relazione alla blasfemia di una pubblicità che senza
mezzi termini metteva una modella seminuda, rasata e ovviamente molto magra, sulla pala di una escavatrice – ovviamente
censurata per il coro di proteste del mondo ebraico e non solo – ne ha scritto STABILE (2007).
63
64
L’ovvio riferimento è a Giampaolo Pansa, per il quale rimando al paragrafo in cui si tratta il suo ‘caso’.
65
BUZZOLAN (2007). L’intervista prosegue, ma ne ho citata la parte più importante.
66
D’ORSI (2006), DE LUNA (2006).
67
BAUDINO (2006).
68
QUARANTA (2007,1).
69
Oltre al citato QUARANTA (2007,1), si veda anche SERRA (2007).
70
QUARANTA (2007,1).
80
LUCIANO CELI
gua italiana usa parole distinte per esprimere
nozioni distinte, significa che ‘diverso’ è diverso da ‘falso’. Insomma, al solito, in questa
Italietta fatta di figure un po’ così, che amano
gettare sassi e nascondere la mano in età che
dovrebbe recare con sé saggezza, di fronte
alle rimostranze di chi conosce un po’ meglio
i fatti71, allora si aggiusta il tiro. Lasciando
alla fine un retrogusto un po’ cialtronesco di
sé. Peccato. Anche perché Bocca sostiene di
essere stato amico di Fenoglio e cita sempre e
solo l’episodio avvenuto durante una partita
di calcio, sugli spalti lo scrittore e partigiano
albese avrebbe tifato per lui, chiamandolo
Billy. Pare che neppure questo corrisponda
esattamente a verità72.
Forse è bene allontanarsi per un momento
da questa zuffa da bar sport per andare oltre
confine e parlare di un episodio, divenuto in
breve una sorta di premessa per una ulteriore
bagarre – squisitamente politica – che ha avuto
luogo (anche) nel nostro Paese: lo ‘storico’ di
professione David Irving, tradotto in carcere
per aver negato l’Olocausto, è stato scarcerato
alla fine dello scorso anno73. Starci, in carcere,
non deve avergli fatto cambiare idea, e anzi: gli
ha fatto venir voglia di andare ad Auschwitz:
«Appena vede le torrette di guardia ironizza
sul fatto che siano state ricostruite: “Sono dei
falsi, solo falegnameria polacca, è una cosa stupida fatta per turisti!”. Con le sue belle scarpe
tirate a lucido passa per un terreno melmoso e
osserva che è impossibile che possa essere stato
usato per bruciarvi corpi di vittime del campo.
Prende misure a occhio, osserva e sorride,
per lui non è plausibile che dei treni avessero
potuto trasportare le vittime passando proprio
davanti alle baracche. Anche le camere a gas
sono improbabili, mancano i buchi sul tetto,
sotto alle porte ci passa una mano, dove è la tenuta stagna per il gas? Impossibile pensare che
ogni sua considerazione possa avere un seppur
minimo fondamento di sincero interesse per la
verità»74.
Questo ha fatto sì che, soprattutto nell’intorno della data in cui si celebra il giorno della
memoria (27 gennaio), i giornali ponessero l’
attenzione proprio su una proposta che arriva
dalla Germania: mettere in prigione chi nega
l’Olocausto75. L’Italia, nella figura del ministro
della Giustizia Clemente Mastella, sembra
essere solerte nell’accettare la proposta tedesca76, dando la stura a una considerevole mole
di articoli ‘etici’77: è giusto incarcerare chi nega
un episodio – per quanto grave e importante
– della Storia? Se le motivazioni addotte dal
ministro possono essere condivisibili – «Poco
alla volta i testimoni del tempo se ne vanno.
Per questo è importante che nessuno offenda
i fatti e la storia»78 – è altrettanto legittima la
preoccupazione di alcuni storici79, secondo i
quali «Proibire il negazionismo per legge è
MONDO (2007) in primis. Ma anche QUARANTA (2007,2), BORRA (2007,2), FIORI R. (2007) e DI STEFANO
(2007).
71
«Inoltre, né a me né a mio zio Walter risulta che mio padre fosse amico di Bocca o che tifasse per lui. Può darsi che si
siano incontrati qualche volta, ma nulla di più», dice Margherita Fenoglio, in FIORI R. (2007).
72
73
VERNA (2006), (LA) REPUBBLICA (2006).
74
NICOLETTI (2007).
TARQUINI (2007,1). Ma forse, prima che dalla Germania la proposta arriva dall’Onu, a seguito delle esternazioni del
presidente iraniano. A tal proposito si veda VAN BUREN (2007).
75
76
RUOTOLO (2007,1), CUSTODERO (2007), GRIGNETTI (2007,1) e (2007,2), MILELLA (2007).
77
Vedi, tra questi, RODOTÀ (2007), VALLI (2007), GARTON ASH (2007,1), GEREMEK (2007).
78
RUOTOLO (2007,1).
79
Si veda anche D’ORSI (2007).
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
sbagliato. La proposta del ministro Mastella
segnala un’inquietante rincorsa delle istituzioni a recintare i percorsi della memoria e
della storia e si inserisce in un’ossessiva proliferazione di “leggi memoriali” che veramente
rischia di favorire più l’oblio che il ricordo.
[…] È una realtà: chiamare le leggi a sancire
delle verità storiche alimenta un corto circuito tra quelle che sono le ragioni della ricerca
storica e quelle dell’uso pubblico della storia,
una commistione in cui la storia troppe volte
viene utilizzata come un nodoso randello da
abbassare sulla schiena degli avversari»80.
Aggiungiamo: con il rischio di trasformare i
negazionisti in martiri81. A indicare una via
perseguibile sembra essere il vicepremier Rutelli che afferma: «La battaglia deve essere culturale e politica, chi nega va messo fuori dalla
Storia, non in galera»82, ma forse, in maniera
velatamente ironica, vale la pena di citare Massimo Gramellini: «La Resistenza aveva ragione
e i repubblichini torto. Non foss’altro perché,
se avessero vinto loro, oggi l’Italia sarebbe
un’appendice turistica del Terzo Reich e, per
dirla col grande John Belushi, “io odio i nazisti
dell’Illinois”, figuriamoci gli originali. Questo
però non toglie che in ogni guerra civile si
consumino abusi e vendette atroci. Persino il
miglior antibiotico presenta degli effetti collaterali, e sviscerare anche quelli non significa
sminuire il valore provvidenziale della medicina, ma aiutare il corpo a fortificarsi, affinché
non si ammali di nuovo»83.
Sarà forse la via più difficile da percorrere
perché richiede un’allerta costante, ma vien da
80
81
pensare che davvero sia l’unica percorribile84,
proprio per salvaguardare la memoria di coloro
che se ne vanno85.
Battaglia della memoria # 1: il caso Wiesel
Elie Wiesel nacque a Szighet (oggi Sighetu
Marma iei), in Romania, da Shlomo e Sarah,
due ebrei ortodossi di discendenza ungherese
che avevano un piccolo negozio, e tre altre
figlie oltre a Elie, unico maschio. Szighet ridivenne parte dell’Ungheria nel 1940, e nel
1944 i nazisti deportarono gli ebrei ungheresi
al campo di concentramento di Auschwitz. Sua
madre ed una delle tre sorelle vennero immediatamente “selezionate” come inabili al lavoro
ed inviate alle camere a gas, mentre lui e suo
padre vennero mandati al campo vicino di Auschwitz III-Monowitz86, un sottocampo dove i
deportati erano obbligati a lavorare nel grande
complesso chimico Buna Werke, proprietà
della I.G. Farben.
Nel gennaio 1945 l’avanzata delle forze sovietiche si avvicinò pericolosamente ad Auschwitz.
Le autorità tedesche del campo decisero allora
di evacuarlo e Wiesel ed il padre, dopo una lunga marcia al freddo e senza cibo, vennero trasferiti al campo di concentramento di Buchenwald,
dove il padre, stremato dalle fatiche, morì.
Dopo la guerra, Wiesel finì in un orfanotrofio
francese. Nel 1948, Wiesel cominciò a studiare
alla Sorbona. Lavorò per un breve periodo con
il quotidiano francese L’arche, come giornalista. Divenne socio del vincitore del Premio
Nobel per la letteratura François Mauriac, che
lo persuase a scrivere e raccontare la sua espe-
DE LUNA (2007,1).
BUZZANCA (2007), RUOTOLO (2007,2). Si cita spesso tra i negazionisti, insieme a Irving, anche il presidente iraniano Ahmadinejad, anche se nel caso di quest’ultimo le ragioni del negazionismo sono di carattere senz’altro politico e
non ‘storico’. In tal senso si veda NIRENSTEIN (2007) e CICALA (2007).
81
82
(LA) REPUBBLICA (2007,1).
83
GRAMELLINI (2006,1).
84
BERTONE (2007), BIANCHI (2007).
85
MATTEI (2006).
86
Lo stesso in cui finì Primo Levi.
82
LUCIANO CELI
rienza dell’Olocausto. Da questo incontro nacque quello che è considerato il capolavoro di
Wiesel, La notte. Così Wiesel descrisse, ne La
notte, il tragico arrivo al campo di Auschwitz:
«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una
lunga notte e per sette volte sprangata. / Mai
dimenticherò quel fumo. / Mai dimenticherò
i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i
corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un
cielo muto. / Mai dimenticherò quelle fiamme
che bruciarono per sempre la mia Fede. / Mai
dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha
tolto per l’eternità il desiderio di vivere. / Mai
dimenticherò quegli istanti che assassinarono
il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che
presero il volto del deserto. / Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere
quanto Dio stesso. Mai»87.
Bene, una persona che ha visto, vissuto e sopportato tutto questo, riuscendo a sopravvivere,
ha rischiato un sequestro. Per soldi? No. Per
un riscatto? No. Per estorcergli delle “confessioni” sotto tortura? Ebbene sì: «Ascensore
per l’antisemitismo, in un albergo della civilissima, tollerantissima San Francisco così apparentemente lontana dalle fornaci europee dei
pogrom. Schegge di Olocausto, di una tragedia
che non finisce mai, in una cabina d’ascensore
dove Elie Wiesel, superstite di Auschwitz,
Nobel per la Pace, profeta mite e disarmato
di pace e convivenza, è sfuggito al rapimento
organizzato da negazionisti della Shoah che
volevano fargli rinnegare con la forza la sua
“propaganda sionista” e fargli confessare di
avere inventato tutto»88.
Battaglia della memoria # 2: i (falsi) diari di
Mussolini
Memorie che vanno, memorie che vengono,
anzi: che tornano a galla, come per incanto. La
notizia: «Marcello Dell’Utri, uno dei dirigenti
di Forza Italia più vicini a Silvio Berlusconi,
ma anche bibliofilo di livello internazionale,
ha rivelato di essere entrato in possesso dei
“diari autentici” di Benito Mussolini dal 1935
al ’39. All’origine dell’inaspettato clamoroso
ritrovamento (se di reale ritrovamento si tratta)
ci sarebbero ancora una volta le ultime ore del
Duce a Dongo»89. Questo accadeva domenica 11 febbraio e già il giornalista metteva in
dubbio, con quella parentesi, l’autenticità del
ritrovamento. Cosa che fa il giorno successivo
anche Il Secolo XIX che, pur dedicando l’intera
pagina della cultura a questo fatto90, mette in
discussione – attraverso le parole di Arrigo Petacco – i diari91. E lo stesso fanno sia La Repubblica92 che La Stampa93, anche se per quest’ultimo quotidiano il senatore Dell’Utri rilascia
una intervista nella quale spiega i motivi per i
quali è convito che i diari siano veri94, mentre
la stessa celebre nipote, Alessandra Mussolini,
indica come veri i diari, riconoscendo, in quelle
carte, il nonno95.
Bene. Sarebbe davvero un bel colpo se tutto
fosse vero: senza ironia, sarebbe comunque un
L’opera è pubblicata in Italia con Garzanti. Devo l’accuratezza delle notizie biografie su Wiesel all’enciclopedia on
line Wikipedia, alla voce ‘Wiesel’.
87
88
ZUCCONI (2007). Ma cfr. anche LOEWENTHAL (2007).
89
PAPUZZI (2007).
90
PARODI (2007).
91
RAFFAELLI (2007).
92
CAPORALE (2007).
93
BAUDINO (2007,3).
94
IANNUZZI (2007).
95
FELTRI (2007,2).
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
tassello che va a comporre il quadro di un pezzo
della Storia recente del nostro Paese. Peccato
che sia tutto falso: «A dimostrare che i Diari di
Mussolini fossero un falso clamoroso è bastata
l’attenta lettura critica che ne ha fatto uno storico serio come Emilio Gentile. Ma l’impressione
del falso aleggiava già intorno alla documentazione presentata da chi avrebbe dovuto certificarne l’“autenticità”»96. Una autenticità quindi
dubbia a partire dalla perizia, un po’ sui generis.
Il settimanale L’Espresso poi ha commissionato
tre perizie: «una fisico-chimica svoltasi all’Università di Parma, una grafologica affidata al
direttore della Scuola superiore di grafologia di
Bologna e una perizia storica svolta da uno dei
massimi storici internazionali del fascismo»97.
Inutile dire che Dell’Utri ribatte, pur non avendo alcuna prova concreta della presenta autenticità, in una specie di pirandelliano “Così è se
vi pare”. E il triste della faccenda è che in questo Paese non ci si arrenda neppure di fronte all’evidenza, alla scientificità di una prova e anzi:
perseverare significa avere una nicchia di adepti
che ti considererà martire per questo. Sarebbe
bello se questo signore, una volta tanto, dicesse
pubblicamente: «Sì, ho sbagliato, ho preso una
cantonata, quei diari sono falsi». E invece no.
Non so se a questa storia si possa attribuire una
morale, ma se questa ha da esserci, allora: (1)
Marcello Dell’Utri, nonostante la fama di grande bibliofilo – resta da stabilire cosa si voglia
intendere esattamente con questo termine – ha
83
preso una bidonata e (2) Alessandra Mussolini
evidentemente non conosceva – da un punto di
vista ‘metafisico’, visto che è nata nel 1962 – così
bene il nonno. Sembra davvero d’essere finiti in
una commedia di Pirandello, ma purtroppo è la
dura realtà, nella quale tutto ha senso un certo
giorno e non lo ha più il giorno successivo98.
Battaglia della memoria # 3: il convegno (a Torino) sulle SS
Il 26 gennaio di quest’anno – 24 ore prima
della Giornata della Memoria, del monito di
Primo Levi, delle sue accorate parole: «Meditate che questo è stato» – ebbene, quest’anno
i signori della sezione torinese di Forza Nuova99, non avendo probabilmente di meglio da
fare, hanno indetto una serata in ricordo delle
Waffen SS, le truppe speciali di Hitler che nel
nostro Paese si sono macchiate di una lunga
serie di eccidi. «Per Forza Nuova […] quegli
eccidi fanno parte di “un’esperienza politica
e militare unica” che è “giusto salutare” e da
portare come “un grande esempio di chi vive
e muore per un ideale di fuoco”. Non carnefici ma “soldati del più grande esercito ideologico”. Soldati che è “giusto onorare” perché
“effettivamente loro che hanno fatto?” se non
“battersi per un’Europa devota alla giustizia
sociale?”»100. Una curiosa visione della realtà,
bisogna ammettere. Il giornalista, di memoria
migliore di questi signori che perorano cause
al limite del marziano, non aspetta a ricordare
DE LUNA (2007,2). Il professor De Luna prosegue sostenendo di aver visionato la perizia calligrafica condotta da una
certa Beatrice Zueger Antognoli, «i cui termini sono francamente bizzarri», dal momento che la premessa della Zueger è
che ella ha potuto visionare solo delle fotocopie, mentre “per una perizia calligrafica sarebbe auspicabile poter esaminare
dei documenti originali e non delle fotocopie” (citazione dall’articolo). De Luna fa giustamente notare che «a questo
punto la perizia dovrebbe essere finita», non potendo disporre degli originali in questione, «e invece continua per pagine
e pagine», arrivando alla conclusione paradossale che, pur senza oggettivi elementi sufficienti per dare un giudizio «dai
riscontri effettuati, la sottoscritta ritiene che [tuttavia] è senz’altro possibile che i diari in esame siano stati redatti da una
sola persona e che questa sia anche l’autrice degli scritti di confronto, ossia Benito Mussolini».
96
97
(LA) REPUBBLICA (2007,4). Ma vedi anche AJELLO (2007,1).
98
Si fa notare al lettore che il primo articolo di questa serie è dell’11 febbraio, l’ultimo del 16.
99
Per chi fosse digiuno: organizzazione della estrema destra italiana.
100
TROPEANO (2007).
84
LUCIANO CELI
cosa hanno fatto le SS, sottolineando quanto
«stabilito [… dal] tribunale militare di La
Spezia che il 14 gennaio ha condannato all’ergastolo in contumacia 10 imputati per l’eccidio
di Marzabotto: 770 trucidati. Capo dell’operazione: Walter Reder»101.
Immediate le reazioni, a partire dalla richiesta formale al prefetto di Torino da parte di
Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio
regionale e presidente del Comitato regionale
per l’affermazione dei valori della Resistenza
e della Costituzione: «Invito il Prefetto a verificare se ci sono le condizioni per impedire
l’incontro sulla Waffen SS organizzato da
Forza Nuova che avrebbe unicamente il valore
di insulto a milioni di morti nei campi di concentramento»102. A rincarare la dose ci pensa
che la presente della Regione Mercedes Bresso:
«Condanno con forza anche soltanto l’idea
che si possa dedicare una giornata di commemorazioni alle Waffen SS, una delle peggiori
degenerazioni umane della storia. Si tratta del
tentativo di conquistare spazio con qualche
patetica provocazione. [Si auspica che] nel
rispetto della democrazia e del pluralismo,
ma anche della nostra Costituzione, si possa
impedire un assurdo e vuoto rito nel ricordo
di aguzzini»103. A fronte di questa reazione un
giornalista chiede: «Ma è proprio sicuro che la
celebrazione delle SS resterà in programma?
“Noi non siamo irresponsabili come i politici
che in queste ore stanno fomentando un clima
estremamente pericoloso, con i centri sociali
che minacciano di sfasciare la città – risponde
Stefano Sajia, segretario provinciale di Forza
Nuova – noi stiamo valutando l’opportunità di
spostare il convegno ad altra data”»104.
Non resta che consolarsi pensando che i signori di Forza Nuova non stati lasciati da soli105:
«Oggi è il giorno106. Alle 21, nel circolo privato
“Il presidio” di via Casalis angolo Corso Francia, militanti di Forza Nuova e simpatizzanti di
estrema destra celebreranno le SS in un convegno annunciato da tempo e già rimandato una
volta per ragioni di ordine pubblico. Fuori, a
meno di cinquanta metri, in piazza Bernini, la
Torino antifascista si è data appuntamento per
una manifestazione di protesta [… alla quale
hanno aderito] diverse cariche istituzionali.
Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti
Italiani, rappresentanti dell’Anpi, oltre ad
Askatasuna107, autonomi, anarchici e centri
sociali»108.
Battaglia della memoria # 4: dalla cronaca: il
prof e Israele
«Tenuto conto della gravità dei comportamenti illegittimi del professor Pallavidini e dalla
loro reiterazione, si propone quanto segue: (a)
di sottoporre il docente a visita medico collegiale per accertare la permanenza dell’idoneità
psicofisica all’insegnamento. (b) Di irrogare al
docente la sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento da uno a sei mesi. (c)
Di verificare la praticabilità del trasferimento
d’ufficio nell’anno corrente»109. Insomma, per
arrivare a tanto bisogna davvero averla fatta
grossa! Ma così pare che sia, se le accuse di
101
Ibid.
102
Ibid.
103
(LA) STAMPA (2007,1).
104
ZANCAN (2007,1), ma anche (LA) STAMPA (2007,2).
105
L’importante è, parafrasando Fenoglio, che sulla collina ne resti almeno uno a vegliare sulla libertà di tutti noi…
106
8 febbraio 2007.
107
Centro sociale tra i più attivi e meglio organizzati di Torino.
108
(LA) REPUBBLICA (2007,2).
109
ZANCAN (2007,3).
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
negazionismo partite dai genitori della prima
classe, sezione E, del liceo classico “Cavour”
di Torino sono fondate. Soprattutto se, come
sembra, hanno precedenti in altri episodi, altre
valutazioni, altri anni scolastici. Episodi per i
quali, in sostanza, pare che egli cerchi di far
passare nelle giovani menti la sua personale
visione politica. Oppure, ancorché fuori dalle
mura scolastiche, «in un forum110, discettando
sulle responsabilità di Israele, Pallavidini ha
scritto: “Mi viene proprio voglia di rileggere
il Mein Kampf di Hitler! Lo consiglierò ai
miei studenti”»111. Pallavidini ovviamente si
difende112, passa per vittima di un complotto,
la butta sulla politica citando affiliazioni e tessere sindacali dei colleghi docenti, minaccia di
querelare la classe e i genitori che gli muovono
le accuse. Soprattutto, incredibile, si definisce
un “nazional-comunista”113. È possibile che gli
estremi si tocchino, ci mancherebbe. Anche se
sfugge il senso di tale affermazione, soprattutto
perché sotto (o dietro) le bandiere – portatrici
troppo spesso di ideologie, in senso non sempre positivo – ci stanno le persone. La polemica prosegue114, sfuma nel provvedimento
disciplinare citato all’inizio, si spegne nella
eco di studenti che difendono il professore115.
Siamo di nuovo a Pirandello, alla mistificazione
85
di una verità che non si capisce più dove stia
di casa, e se una casa ce l’abbia ancora o ne sia
stata definitivamente sfrattata.
Battaglia della memoria # 5: il caso Pansa
Giampaolo Pansa, giornalista, scrittore, memorialista, è salito negli ultimi anni alla luce
della ribalta soprattutto con due volumi116.
Volumi che fanno parte di una specie di “storia
dei vinti”117 e culminano con l’ultimo118, meno
documentaristico e più orientato alle repliche
che tanta parte del mondo antifascista – al quale Pansa sostiene di appartenere da sempre119
– gli ha mosso.
Per ribattere alle sue affermazioni, basterebbero le parole di Giorgio Lindi, che cita anche
una novità importante in relazione alla modifica dello statuto ANPI: «Il capitolo finale del
libro120, è dedicato all’A.N.P.I. oggi, dopo il
congresso nazionale e la modifica dell’articolo
23 del suo statuto e la conseguente apertura a
coloro che per motivi anagrafici non sono stati
partigiani, ma sono antifascisti. Ciò è tanto più
necessario sia per il normale passare del tempo, l’età dei nostri partigiani comincia a essere
molto alta, sia per i continui attacchi che in tutta Europa subiscono coloro che si sono opposti
al nazifascismo. Faccio riferimento allo storico
110
Su internet, sul sito de La Stampa. Sembra però impossibile rintracciare l’originale.
111
MARTINENGO (2007,1).
«Non ho mai negato l’Olocausto davanti ai miei studenti – dice subito – e se ho citato il Terzo Reich o il Mein Kampf,
l’ho fatto esclusivamente su un blog, in rete, dove mi sono sfogato. Erano i giorni successivi all’invasione israeliana del Libano. Ho sempre amato il gusto della provocazione, questo sì. Ma in classe no, nessun riferimento positivo al nazismo, proprio per evitare polemiche». In ZANCAN (2007,2). Inoltre lo fa (anche) in una lettera pubblicata sul sito web Il Cannocchiale, all’indirizzo: http://www.ilcannocchiale.it/blogs/style/orange/dettaglio.asp?id_blog=24951&id_blogrub=77182.
112
113
MARTINENGO (2007,2).
114
ROSSI (2007,1).
115
(LA) STAMPA (2007,3).
116
PANSA (2003) e (2006).
117
Per completezza è bene citare anche le altre due fonti: I figli dell’Aquila e Sconosciuto 1945.
118
PANSA (2006), appunto.
119
«Per concludere, rammento al lettore che la Resistenza è, da sempre, la mia patria morale», PANSA (2006), p. X.
120
ANPI CARRARA, LINDI (a cura di, 2006).
86
LUCIANO CELI
tedesco Ernst Nolte che in sostanza giustifica il
nazismo come risposta al comunismo sovietico,
a Pansa che ne “La grande bugia” identifica la
Resistenza rossa con morte e alle tante pubblicazioni che cercano affannosamente, anche a
distanza di 60 anni, memorie alternative. Memorie decontestualizzate dal clima di violenza
a cui fascismo e guerra avevano educato il popolo italiano, specialmente le generazioni più
giovani, per mettere sotto accusa e diffamare
la Resistenza; per equiparare qualunquisticamente, le violenze sistematiche, programmate,
istituzionali e statali del fascismo e del nazifascismo, con quelle dell’altra parte, degli antifascisti e dei resistenti»121.
Ma partiamo pure dalle parole di Pansa: «Che
cosa può capitare a un autore che pubblichi
libri come “Il sangue dei vinti” e “Sconosciuto
1945”? A me è successo di imbattermi in tre
sorprese. La prima è di essere aggredito dalla
mia parte culturale, quella antifascista. Non da
tutti, ma da molti sì. La stima è scomparsa. E
al suo posto è emersa l’ostilità […]. La seconda
sorpresa è l’aver potuto condurre un test sul
grado di tolleranza della sinistra. […] In Italia
la sinistra non esiste più. Esistono tante sinistre, spesso in contrasto rabbioso. La loro forza
va scemando. Per esempio non riescono più a
121
controllare il passato122, ossia la storia di quel
che è accaduto nel nostro paese. […] La terza
sorpresa riguarda il mio lavoro. Le reazioni
al “Sangue dei vinti” e allo “Sconosciuto” mi
hanno indotto a riflettere sul modo nel quale,
per sessant’anni abbiamo narrato la guerra civile del 1943-1945»123.
La cosa che più stupisce nelle affermazioni di
Pansa è quella che sembra essere una assoluta
mancanza dell’ovvio. È come se un alieno fosse
giunto sul nostro pianeta e non fosse in grado
di capire e decifrare la logica che soggiace ai
comportamenti più comuni degli esseri umani.
Sorprende, in sostanza, che Pansa si sorprenda
di essere attaccato dalla parte culturale e politica cui sostiene di appartenere. Corre quindi
l’obbligo di leggere quel che scrive, ma con
un malizioso accorgimento che consiste nel
non voler acquistare i volumi dell’autore in
questione. Un noto politico italiano sosteneva
che a pensar male si commette peccato, ma
spesso ci si azzecca. Ora, visto che il nostro
‘extraterrestre’ incredulo pare abbia venduto
qualcosa come 380 mila copie124 solo per l’ultimo volume in ordine di tempo, l’accorgimento
del non acquistare il volume, ma prenderlo
piuttosto in prestito alla biblioteca, è cautelativamente d’obbligo125. Del resto l’unico potere
In ANPI CARRARA, LINDI (a cura di, 2006), p. 8.
Vediamo qui, come si potrà notare altrove, l’uso di una terminologia che tradisce un preciso intento polemico: pur
condividendo la regola ‘aurea’ della storiografia, altrove citata, secondo la quale “la storia la scrivono i vincitori”, mi pare
vi sia un bel salto logico tra questo e il “controllare il passato” di cui parla Pansa, a proposito delle sinistre. Il controllo del
passato avviene nei regimi totalitari e per quanto mi è dato vedere, almeno formalmente, il nostro Paese non è ancora a
questi punti. Quindi quella che Pansa cita come una “debolezza” delle “sinistre” che non riescono a “controllare il passato”, a me pare piuttosto e per fortuna il segno di una democrazia dove il “controllo” deve essere esercitato, ma non su un
passato di cui si può e si deve discutere – prendendosi ovviamente carico anche dei dissapori e delle polemiche che queste
discussioni possono recare con sé. Sempre da un punto di vista del tutto personale, la percezione è che vada più che altro
difesa una memoria storica, messa in discussione continuamente negli ultimi anni.
122
123
PANSA (2006), pp. IX-X.
124
Il dato non è aggiornato e potrebbero tranquillamente essere molte di più.
Del resto ciò che induce il forte sospetto di un atteggiamento da ‘marchetta’, che lascia per altro nel lettore uno sgradevole retrogusto, è questa sorta di self marketing, questo essere autoreferenziale e citare unicamente se stesso all’interno
dei due volumi in questione – PANSA (2003) e (2006) – come se tutto l’universo, perché di un vero e proprio universo
storiografico si tratta, nulla contasse. Del resto, per sua stessa ammissione (PANSA, 2006, p. 16) egli sostiene: «Mentre
leggevo tutto quello che trovavo sulla Resistenza […] l’arroganza tipica dei giovani, e io ero un arrogante come pochi,
125
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
che abbiamo come consumatori è quello di
scegliere cosa meriti di essere acquistato e cosa
no. Giusto per evitare il pericolo più banale
della società dei consumi: contribuire all’arricchimento materiale di una persona che narra
una storia capziosamente (?) ‘vista’ dai vinti, in
modo da alimentare una bagarre politica, istituzionale, di salotto, giornalistica e quant’altro
che accenda un interesse potenzialmente sopito e, soprattutto, rimpingui il conto corrente
e, perché no, corrobori l’ego individuale. La
considerazione più banale in tal senso è che se
Pansa avesse scritto una storia di partigiani126,
avrebbe venduto meno, forse sarebbe stata una
storia tra le tante e il suo nome non sarebbe
stato famoso come lo è oggi – almeno per quel
che riguarda questi spinosi argomenti.
Così scopro, per esempio, che non è facilissimo neppure trovarlo in biblioteca127: buon
segno, segno che l’argomento interessa, che
le persone vogliono sapere, conoscere, capire.
Allora si inizia a leggere e, dal proprio punto di
vista, si cerca di farsi un’idea di quel che si va
leggendo.
***
Il sangue dei vinti ha come tema cardine ciò che
avvenne in Italia nei mesi – diciamo fino a un
anno di distanza – successivi alla data del 25
aprile 1945, data ufficiale della fine della guerra
87
nel nostro Paese. Il libro inizia con una precisazione, legata all’escamotage letterario che vede
in Livia – persona di fantasia, bibliotecaria a
Firenze – una sorta di alter ego che mette, sin
dall’inizio del loro incontro, in guardia il Pansa
letterario dai pericoli in cui sta incorrendo:
«[…] il libro che lei vuole scrivere le attirerà
una tempesta di critiche […]. L’accuseranno di
rivalutare i fascisti, come vittime di tante vendette difficili da giustificare. Le rinfacceranno
il suo scarso senso dell’opportunità, perché fa
il gioco degli altri, della destra che oggi è al potere in Italia128. La incolperanno di voler aprire
porte che debbono restare sbarrate, per non
aggiungere legna al fuoco del revisionismo»129.
Parola ‘magica’ quest’ultima che, come abbiamo visto in precedenza, non è priva dei suoi
concreti pericoli. Lo stesso Pansa quindi, per
bocca di Livia, ha ben chiaro il panorama e,
nonostante questo si “stupisce” delle critiche
che “le sinistre” gli muovono e gli hanno mosso: cos’altro avrebbe dovuto aspettarsi? Che
lo invitassero ai dibattiti e gli dicessero bravo,
dandogli pacche sulle spalle e ammettendo che
siamo una branca di ignoranti che non conosciamo la recente storia d’Italia? Soprattutto
quando la risposta a Livia è del tipo: «Bene: me
ne infischio! Voglio provare a scrivere un libro
sereno anche quando racconta gli orrori messi
in scena dai propri antenati»130.
Andiamo quindi a vedere di che ‘orrori’ si sono
mi indusse a pensare che anch’io potevo scrivere sugli stessi anni che avevo vissuto da bambino». Arroganza che, in certi
frangenti, il tempo sembra non aver mitigato. Una arroganza che, come sostiene una grande lezione di Ugo Cerrato, è
guarda caso proprio tipica di un certo ‘metafisico’ fascismo, inteso non come movimento politico, ma come attitudine alla
prevaricazione, come atteggiamento nei comuni comportamenti verso il prossimo.
Penso espressamente a MACCHIAVELLI, GUCCINI (2007): è un romanzo certo, ma forse per rendere attuali certe
storie è importante passare da lì, dalla letteratura, da una finzione che incuriosisca e possa condurre per mano le giovani
generazioni nell’esplorazione di radici storiche recenti, che connotano a tutt’oggi il mondo e il modo in cui viviamo.
126
Torino ha fortunatamente un buon sistema interbibliotecario grazie al quale è possibile visualizzare tutte le copie di
un volume disponibili al momento della ricerca – avvenuta, nella fattispecie, il 28 febbraio 2007 – che ha portato i seguenti
risultati: su 18 biblioteche 7 davano PANSA (2006) come non disponibile (quindi in prestito), 8 disponibile e per 3 il dato
sulla disponibilità alla consultazione era non pervenuto.
127
128
Si ricorda che al momento dell’uscita del volume, nel 2003, era in carica il governo Berlusconi.
129
PANSA (2003), p. 22.
130
Ibid.
88
LUCIANO CELI
macchiati coloro che hanno liberato l’Italia
dall’oppressione fascista. Il primo, in ordine di
tempo nel libro, compare a pagina 6: si parla
di Casale Monferrato, luogo che ha dato i natali allo scrittore, e dal quale lo scrittore stesso
parte avviando la narrazione dai suoi ricordi
di bambino. Siamo agli sgoccioli e i fascisti al
potere capiscono che è ora di battere in ritirata.
Palazzo Langosco, sede della Guardia nazionale repubblicana (Gnr), era stato fino a quel momento il teatro della ‘giustizia’ fascista e, per
l’ironia della sorte tipica dei capovolgimenti di
una guerra, divenne, nel maggio ’45 il teatro
dei processi ai fascisti. La corte d’assise, commentata in modo beffardo “casa e bottega” da
«un vecchio socialista, manganellato nel 1922,
che aveva atteso quello spettacolo per più di
vent’anni»131, fa sorgere nel lettore una domanda che, con le varianti del caso, sarà sempre
la stessa e cioè: cosa avrebbe dovuto pensare
e commentare uno pestato vent’anni prima,
magari vessato lungo tutti quei vent’anni di
fascismo? Forse per Pansa questo “beffardo
socialista” avrebbe dovuto mettere da parte
rancori, lividi e manganellate e correre incontro a braccia aperte ai gerarchi del fascio, magari difendendone la causa davanti al tribunale
dei vincitori. O cos’altro? È questo che spiazza
continuamente il lettore: le cose più ovvie sembrano non esserlo. Ma passiamo oltre.
Il libro prosegue prendendo in esame, a partire
da Casale Monferrato, tutto il nord Italia e ciò
che vi avvenne dopo il fatidico 25 aprile. Mi
sono divertito a tenere traccia di nomi ed eventi – almeno per le prime cento pagine del libro
– per comprendere meglio la portata delle ingiustizie commesse dalle forze partigiane. Dall’analisi di quel che scrive Pansa emerge che
il totale degli uccisi dopo la fine della guerra
– secondo stime che egli stesso fa – sono 2715
131
(ricordo che mi sono fermato alle prime cento
pagine). Uccisioni anche barbare e cruente,
come del resto lo furono quelle dei partigiani
nella zona apuana e non solo. Non si può pensare di essere ripagati con una moneta diversa
da quella con la quale fino a quel momento si
è condotto il gioco. Del resto anche i recenti
accadimenti in Afghanistan e Iraq non possono
non farci riflettere: cambiano luoghi, persone,
zone geografiche, ma la cruenza rimane la stessa – da una parte e dall’altra.
Comunque: a fronte dei 2715 morti fascisti
elencati da Pansa almeno 14 nomi eccellenti
vengono sottoposti a regolare processo, a partire dal maresciallo Rodolfo Graziani, da Julio
Valerio Borghese e consorte, per arrivare a ai
meno celebri, come Rino Parenti, capo della
provincia di Sondrio. Mi si dirà: certo che però
c’è sempre una sproporzione enorme. Sì, peccato però che Pansa stesso affermi in più di una
occasione che un numero imprecisato di fascisti si salvò: la prima (p. 6) è quando parla di
Casale Monferrato e afferma che: «Gli scontri
per la liberazione della città durarono tre giorni. La maggior parte132 dei fascisti se ne andò
nella notte fra il 24 e il 25 aprile». La seconda
(p. 43) quando si parla dell’avanzata partigiana
che arrivarono «a occupare il comando della
Muti, in via Rovello, nel cuore della città, dove
due anni dopo sarebbe sorto il Piccolo Teatro.
I militi133 avevano già tagliato la corda, la sede
era vuota, con le cantine zeppe di viveri, liquori, tabacco».
L’ultima citazione, che ribalta completamente
la prospettiva, ha a che fare con l’esodo verso
“il Ridotto”, una specie di zona di rifugio che
coincide press’a poco con la Valtellina, pensata
come luogo nel quale concentrarsi in ritirata, in
caso di sconfitta. Il Ridotto si rivelò una specie
di bufala, ma l’esodo vi fu comunque. E anche
Ibid., p. 6
Quanti? 1, 10, 100, 1000? Non ci è dato saperlo. Data la pignoleria nel conteggio dei giustiziati dalle forze partigiane,
sarebbe stato bello avere anche qualche riferimento più preciso su quanti la fecero franca, visto che la tendenza è quella di
una par condicio tesa a rivalutare le morti fasciste.
132
133
Di nuovo: quanti erano questi ‘valorosi’ che vista la mal parata si sono dati prontamente alla fuga?
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
a Torino il 24 aprile vi fu un ultimo incontro
tra i capi fascisti della città per decidere il da
farsi. E la decisione fu che «bisognava uscire
da Torino, dalla Vandea partigiana del Piemonte, come l’aveva definita Mussolini, per
raggiungere la Valtellina […]. La colonna
Cabras, chiamiamola così, […] si riunì la sera
del 27 aprile nella piazzetta di Palazzo Reale,
che dà su Piazza Castello. Quanti erano? Se
si pensa che a Torino le forze armate fasciste
ammontavano a molte migliaia di uomini, possiamo ipotizzare che fossero almeno 10-15000,
compresi i famigliari. Nella notte fra il 27 e il 28
aprile, la colonna lasciò la città. […] E si fermò
a Strambino, a 43 chilometri da Torino. In quel
momento con Cabras erano rimasti circa 10000
uomini, tanta Gnr, militari di tutti i corpi, poca
Brigata nera, e niente tedeschi che a Caluso se
n’erano andati per proprio conto. Nel pomeriggio del 5 maggio, la colonna si arrese agli
americani della Divisione Buffalo. In questo
modo quasi tutti salvarono la pelle. Cabras sarà
poi processato a Torino, nell’autunno 1945, ma
la scamperà. E morirà di vecchiaia negli anni
Settanta, nella sua casa natale in Sardegna»134.
Questi dati si possono commentare in molti
modi. E sicuramente molto dipende dalle
proprie convinzioni personali. Certo, quasi
tremila morti sono tanti, ma già solo a quegli
oltre diecimila in fuga da Torino mi pare sia
andata molto bene. L’impressione è che in questo volume volutamente si voglia differenziare
un ‘prima’ e un ‘dopo’ 25 aprile, come se non
vi fosse nesso causale tra il prima e il dopo (di
per sé piuttosto esplicito ed evidente), come se
la fine formale di un conflitto potesse compiere
la magia di far terminare di colpo gli odii e i
rancori, per i quali la memoria rimane invece
134
89
piuttosto ferrea, perché è memoria di giustizia,
impressa come un marchio a fuoco in chi è stato schiacciato e ha dovuto subire umiliazioni,
torture, morti. Raramente nel volume si fa un
esplicito cenno a questo ‘prima’, pur essendone chiare all’autore le conseguenze: «La sua
Sicherheits135 esordì il 10 luglio 1944, fucilando
quattro giovani di Zavatello per vendicare la
morte di Alfieri. Poi, in un primo rastrellamento di quell’Appennino, furono giustiziati
8 partigiani. Seguirono nuove incursioni, con
altri paesi bruciati e ostaggi prima torturati e
poi soppressi. In settembre, Fiorentini lasciò
Varzi che stava per essere occupata dai garibaldini. E s’insediò a Broni, sulla via Emilia,
nell’ex albergo Savoia, la sua nuova base per
le scorrerie nell’Oltrepò. In dicembre ebbe in
consegna dai tedeschi il castello di Cigognola, a
poca distanza da Broni, sui primi rilievi collinari. Con Fiorentini il castello divenne un luogo
maledetto, di torture indescrivibili e di decine
di uccisioni: tutta legna sul fuoco destinato a
divampare alla fine della guerra civile»136.
Da notare che questo Fiorentini dopo essere
stato catturato rischiò più volte il linciaggio da
parte della popolazione e scampò la fucilazione
da parte dei partigiani: venne regolarmente
processato anche su intercessione di un prete
partigiano.
In conclusione: l’impressione che rimane una
volta chiuso il libro è che ai fascisti sarebbe comunque potuta andare molto ma molto peggio.
Solo la nostra ‘italianità’, il nostro modo di fare
mai serio e determinato fino in fondo, la nostra
‘pietas’ civile, ha permesso di limitare i danni,
senza considerare che per tanta parte di questi
“regolamenti di conti” esiste anche una preciso
motivo storico: «Il grande movimento, possen-
PANSA (2003), p. 94.
Si fa espresso riferimento alla vicenda di Guido Alberto Alfieri, legionario e squadrista, che dopo la nascita della Rsi
costituì a Casteggio un suo reparto di (spietata) polizia alle dipendenze della 162esima Divisione tedesca, alla quale volle
dare appunto un nome tedesco: Sicherheits Abteilung, ossia Reparto di sicurezza. Ironia volle che Alfieri venisse ucciso da
quel che si definisce il “fuoco amico”, durante un’incursione per il quale fu scambiato per un partigiano. Il ‘sua’ della frase
è quindi da riferirsi non ad Alfieri, ma al suo successore, l’ingegner Felice Fiorentini.
135
136
PANSA (2003), p. 61.
90
LUCIANO CELI
te e unitario137, che fu la Resistenza e che vide
migliaia e migliaia di giovani mettere in gioco
la propria vita, il proprio futuro, aveva sollevato anche grandi entusiasmi e speranze di un
cambiamento radicale della società, ma venne,
anche per questo, immediatamente dopo, guardato con sospetto, nel periodo della normalizzazione, da parte dei vecchi ceti che avevano prosperato durante il fascismo e che, grazie anche
alla protezione di americani e inglesi e agli accordi di Yalta, stavano riprendendo il controllo
politico ed economico dell’Italia. Per questo, in
tutto il Paese, furono centinaia i giovani che si
ribellarono al ritorno pubblico di personaggi
dichiaratamente fascisti o collusi con il passato
regime. Così nacquero la volante rossa, il triangolo rosso, Schio-Valdagno, ecc.»138.
***
La grande bugia ha lo stesso impianto de Il
sangue dei vinti: la distinta bibliotecaria di
Firenze, Livia, invenzione letteraria che fa da
alter ego al Pansa protagonista del volume
precedente, lascia il posto a una giovane avvocatessa di Milano. L’autore espone le ragioni
che lo spingono a scrivere questo libro, un po’
come fa già per il precedente e, in molti punti,
ripete il cliché legato ai ricordi di infanzia che
usa come escamotage per rispondere in realtà a
chi lo critica.
Per rinfrescare la memoria al lettore, non perde
occasione di fare del self marketing, citando i
suoi libri precedenti, anche quelli molto datati, per i quali, con una modestia che a questo
punto non può che apparire falsa, sostiene che
«è sempre molto difficile giudicare i propri lavori»139. L’occasione viene utile per offrire una
sorta di nota metodologica al lettore: «Lei deve
sapere come la penso: un ricercatore, anche
un ricercatore dilettante come me, può essere
antifascista o fascista o agnostico. Ha diritto
di pensarla come gli pare. Ma i suoi lavori dovrebbero essere il più impossibile imparziali. E
mai annullare o forzare la verità, anche quando
non gli piace perché non coincide con le sue
opinioni»140.
Infatti, spesso non si discute la verità delle
affermazioni che sono contenute nei suoi libri,
quanto piuttosto il modo in cui queste vengono presentate: il fatto che il tedesco – e forse
anche iscritto formalmente al partito nazista
– Schindler abbia salvato dalle camere a gas
qualche decina, centinaia o migliaia di ebrei,
non significa e non nega la portata di quel che
altri tedeschi nazisti hanno fatto! È semplicemente una eccezione che conferma una regola,
una storia che dice esattamente l’opposto. In
altri termini: non si vogliono negare i singoli
episodi che Pansa narra nei suoi documentati
volumi, ma quegli episodi, proprio perché
singoli talvolta appaiono pretestuosi, come nel
caso del padre di Giuseppe Manfredi, ucciso
dai partigiani comunisti141.
Che il movimento fosse (sufficientemente) unitario lo documenta un recente video, restaurato ad opera del regista
Giancarlo Bocchi (presidente dell’omonima fondazione), uno dei pochi non girato dalle truppe alleate – che avevano al
loro interno personale preposto a tale compito – che, in presa diretta, mostra la liberazione della città di Parma. Il video,
proiettato in occasione dei festeggiamenti del 25 aprile di quest’anno al Museo Diffuso della Resistenza e della Deportazione di Torino, mostra chiaramente i tricolore sventolare in ogni dove e non, come insinuato da molti, bandiere comuniste
o di altra fazione partigiana.
137
In ANPI CARRARA, LINDI (a cura di, 2006), p. 55. Una breve ma utile nota esplicativa rende conto delle diverse
realtà citate, vale a dire: «Voltante rossa: partigiani milanesi che continuarono la lotta fino al ’48. Triangolo rosso: zona tra
Reggio Emilia, Parma e Modena. Schio-Valdagno: partigiani che prelevarono fascisti dal carcere cittadino e li giustiziarono
dopo il 25 aprile».
138
139
PANSA (2006), p. 27.
140
Ibid.
141
Ibid., pp. 35-45, nel capitolo titolato “Io, cittadino di serie B”. Il cittadino di serie B, per la cronaca, è lo stesso Giusep-
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
Oppure, quando egli afferma che: «Ancora
oggi, per gran parte della storiografia resistenziale, gli ‘altri’, i fascisti, non esistono. Non gli
si riconosce di soggetti storici autonomi. Il
loro ruolo è appena quello delle comparse. E
comparse sempre e soltanto cattive: le carogne,
i torturatori, i rastrellatori, i responsabili degli
eccidi, i servi ottusi e crudeli dei nazisti»142.
Perché, scusate, nella stragrande maggioranza
dei casi non è stato forse così? Certo: è impensabile che tutti coloro che aderirono al Partito
Nazionale Fascista potessero essere persone di
questa specie – anche perché altrimenti sarebbero dovute esserlo quasi tutti gli italiani – ma
gli anni 1943-45 sono stati inequivocabilmente
anni di sangue, di rastrellamenti, di eccidi. E
per colpa di chi? Dei partigiani? Per lo più ragazzi di vent’anni – di cui Pansa è stato pronto
a condannare errori politici e strategici143 – che,
in nome di una idealità e di una libertà, si ritrovarono dopo l’8 settembre a fare una guerriglia
senza indossare una divisa.
«‘L’espresso’ ha avuto per quattordici anni un
grande direttore: Livio Zanetti. Era del 1924 e
a vent’anni aveva aderito alla Rsi. Dopo aver
frequentato la scuola allievi ufficiali di Modena, era diventato sottotenente di complemento
della Gnr. Finita la guerra, aveva maturato
una posizione politica diversa, anzi opposta.
Un giorno un’agenzia romana di notizie rivelò
che era stato con la Repubblica Sociale: in-
91
somma un repubblichino, come si usa dire con
disprezzo. Sa che cosa fece Zanetti? Lasciò il
giornale e andò a rifugiarsi nella propria casa di
montagna, voleva nascondersi per la vergogna.
[…] Nelle ricerche per i miei libri ho incontrato
molte persone che mi hanno raccontato di aver
combattuto per la Rsi. E parecchie di loro mi
hanno pregato di non rivelare a nessuno che
avevano vestito la divisa di Salò»144. Non posso
fare a meno di ripetere nuovamente le parole
che Ugo Cerrato espresse nel suo intervento
a Bariano, in provincia di Bergamo: «la libera
scelta resta tutta la vita, non la puoi cancellare,
altrimenti smentiresti te stesso!». Perché di questo si tratta. O queste persone si sono convinte
di aver commesso un tragico errore aderendo a
Salò, oppure non si capisce quale sia il motivo
di tanta vergogna! A meno che la vergogna non
sia quella legata all’italico opportunismo, per il
quale la ‘redenzione’, il ‘pentimento’ è il frutto
di un bel calcolo grazie al quale aver salva la
pelle e aver la possibilità di condurre una vita
normale, alla faccia di ogni ideale.
Pansa cita poi – e noi lo citiamo come ultimo145
– un episodio della sua vita di giornalista alla
redazione de “Il Giorno”, a Milano, dove il
direttore, Italo Pietra, pare riuscisse a scherzare con i suoi redattori che arrivavano tutti
dall’esperienza di guerra, ma di cui una parte
era senz’altro quella dei vinti, quella dei fascisti: «Nell’agosto 1944, la zona attorno al Peni-
pe Manfredi, figlio dell’ucciso, comunque andato in pensione come direttore di banca. Certo è che se fosse il ‘perseguitato’
che si tratteggia in queste pagine, forse gli sarebbe potuta andare pure peggio. Si ricorda che c’è gente che per molto meno
è finita nei campi di concentramento.
142
Ibid, p. 28.
«Raccontavo anche gli errori militari e politici compiuti dai partigiani. I disastri provocati dalla loro incapacità, inevitabile, di affrontare una guerra di tipo nuovo». (PANSA 2006, p. 19). Certo: una guerra che molti di essi – se non chi prima
dell’8 settembre 1943 era nelle fila dell’esercito – non avevano mai combattuto.
143
144
PANSA (2006), p. 29.
In questa sommaria analisi del libro ci fermiamo qui per non annoiare il lettore. Anche perché di eventi – cioè questioni sulle quali è possibile intessere una discussione – se ne parla principalmente in questa parte del volume. Il prosieguo
scivola nell’italico abbaiare da salotto, con invettive, aggressioni pseudo-intellettuali, sfottò sull’avversario – a turno: il
comandante partigiano Aldo Aniasi, i giornalisti Giorgio Bocca e Sandro Curzi, giusto per citare i primi tre in ordine
temporale. Invettive per le quali si comprende sin da subito che è meglio dedicarsi ad altre e più ludiche o/e costruttive
attività, piuttosto che proseguire nella lettura.
145
92
LUCIANO CELI
ce146 subì un grande rastrellamento, durato più
giorni. Proprio sul passo del Penice, o nelle
immediate vicinanze, c’era una villetta di proprietà della famiglia Pietra, abitata dal padre,
un medico, e dalla madre di Italo. I tedeschi
sapevano che il loro figlio era un comandante
partigiano. E la casa venne bruciata. Ogni mattina al ‘Giorno’ si teneva la riunione del vertice
con i capiservizio e gli inviati. Quand’era di
buon umore, Pietra osservava la sua squadra
e chiedeva, sornione: chi di voi ha bruciato la
mia casa sul Penice in quel rastrellamento? Le
risposte, altrettanto sardoniche, erano le più
varie: io no perché sono arrivato sul passo a
cose fatte con una compagnia di allievi ufficiali
della Gnr, io no perché stavo nella Brigata Nera
a Varese, io no perché stavo con la Repubblica
in un’altra zona, io nemmeno perché ero nella
San Marco, ma in Liguria…»147.
Difficile e persino un poco imbarazzante
commentare questo passo, nel quale, in primo
luogo, c’è uno scarto comunque importante
del quale l’autore non sembra tenere conto:
fascisti è diverso da tedeschi (che qui ha l’ovvio
significato di nazisti) che, da quel che si legge,
sembrano essere i concreti responsabili e del
rastrellamento e della villetta bruciata.
In secondo luogo si dipinge questo specie di
bucolico affresco della riunione di redazione,
per una storia di guerra che, per come viene
raccontata, sembra essere finita a tarallucci e
vino. È altamente probabile che nella villetta
sul Penice, a parte i danni materiali, Pietra non
abbia perso null’altro – o meglio si potrebbe
dire: nessun altro. E, dato il frangente, pare
francamente ben poca cosa nei confronti di
chi, in quello stesso agosto ‘44, in un rastrella-
mento, in una incursione dei tedeschi ha perso
tutta la sua famiglia, oltre alla propria casa che,
nel caso specifico essendo sul Penice, si suppone fosse pure quella delle vacanze.
È questo che atterrisce nei libri di Pansa: la
mistificazione dell’ovvio, del buon senso, di ciò
che è narrazione capziosa, in confronto a quello
che è il “grado zero” degli eventi e della cruenza della guerra, dove tedeschi e fascisti hanno
fatto ben peggio che bruciare una villetta sulla
sommità di un passo, come le stragi di cui si
parla nel paragrafo successivo. Sono eventi che
non possono stare sullo stesso piano perché la
gravità, la portata e il valore che hanno, sono
completamente differenti tra loro. Sono cose
ovvie, ma paiono non esserlo per Pansa.
Battaglia della memoria # 6: le stragi impunite:
l’ultima sentenza (Marzabotto)
Chiudiamo questo breve elenco di battaglie
con uno dei capitoli più amari che riguarda la
Storia degli anni 1943-45: le stragi e gli eccidi
nazifascisti rimasti, di fatto, impuniti. Al tribunale di La Spezia durante il processo per la
strage di Marzabotto148 – tra la fine di ottobre e
l’inizio di novembre dello scorso anno – emergono elementi inquietanti: «Una lettera minatoria scritta in lingua inglese, imbucata in una
città italiana, è stata indirizzata alla caserma
regionale dell’Arma dei carabinieri del Trentino Alto Adige: con i nomi dei tre investigatori
in forza alla procura militare della Spezia, impegnati nelle indagini sui crimini di guerra»149.
Ma non è tutto: «Sono emersi anche tentativi di
influenzare i testimoni tedeschi chiamati dalla
giustizia italiana a chiarire il loro ruolo nelle
stragi e l’esistenza di associazioni di mutuo
146
Monte alla fine della valle Staffora, all’incrocio di quattro regioni: Emilia, Lombardia, Piemonte e Liguria.
147
PANSA (2006), p. 24.
Ottocento civili, donne e bambini, massacrati fra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 dalle SS della 16esima divisione. «Una donna, Anita Leoni, incinta, fu violentata, le fu squarciato il ventre e tagliato in due il feto. Ferruccio Laffi, che
ieri ha partecipato commosso all’udienza insieme a una ventina di abitanti di Marzabotto, quando tornò alla sua cascina
vide i cadaveri di 18 persone nell’aia, compreso un neonato di 29 giorni», in SPEZIA (2007,1).
148
149
COGGIO (2006).
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
soccorso fra ex SS, che garantiscono appoggio
e sostegno anche legale agli ex nazisti imputati
per gli eccidi della seconda guerra mondiale150
[…]. Ciclostili sequestrati nelle abitazioni di affiliati alla Iac, una delle principali associazioni
di mutuo soccorso per ex nazisti, iniziano testualmente: “Caro camerata, se dovessi essere
interrogato non dare informazioni”. Sono stati
ritrovati carteggi fra ex SS, con fotocopie di
articoli di stampa [che] parlano del processo
italiano di Marzabotto: “Se ti chiedono qualcosa – era annotato a margine – rimanda a quanto scritto nella pubblicazione Sulle stesse orme
con lo stesso passo”. […] Il processo comunque
va avanti. Si punta a chiuderlo con sentenza
entro Natale. Dei 21 imputati iniziali, tutti contumaci, ne sono rimasti vivi 18»151. Ed è questo
che credo faccia veramente scalpore: è passato
talmente tanto tempo che alcuni di questi sono
morti. E di quelli rimasti, anziani e chissà dove,
sono in contumacia, mentre in un mondo solo
un po’ più giusto di questo dovrebbero essere
tutti in galera da almeno una quarantina d’anni. Possibilmente a rimpianger d’esser nati. E
invece «in un tentativo di vana difesa, un avvocato, Nicola Canestrini, legale di uno degli
assolti, ha messo agli atti la foto di papa Ratzinger: “Se basta essere appartenuti alla Gioventù
Hitleriana per essere ritenuti corresponsabili
delle stragi naziste, allora dobbiamo processare anche Papa Ratzinger e Gunther Grass”, ha
150
Cfr. GUIDI (2006).
151
In COGGIO (2006).
152
SPEZIA (2007,1).
153
SPEZIA (2007,2).
154
SPEZIA (2007,3).
93
detto. Poi, dopo le rimostranze del pm, la foto
da giovane del papa in divisa se l’è ripresa»152.
A fronte dei dieci ergastoli e dei sette assolti,
il commento del presidente del Consiglio Romano Prodi è condivisibile: «Una sentenza che
ha “un valore simbolico”, perché i colpevoli
“sono diventati quasi irraggiungibili”»153. Anche se qualcuno è stato raggiunto, nel suo paesello del Tirolo austriaco: «“Questa sentenza è
proprio una cosa terribile”. L’ex maresciallo
capo delle SS Hubert Bichler, 86 anni, è uno
dei dieci militari tedeschi condannati all’ergastolo dal Tribunale militare di La Spezia per
la strage di Marzabotto. Parla nel salotto della
sua villetta con piscina […]. Nessuno lo aveva
ancora avvisato della decisione della magistratura italiana, ma la notizia della sua condanna
non sembra dargli grande pena. “Fantastico”
esclama ironico e impassibile quando viene a
sapere che dopo le condanne i parenti delle
vittime chiederanno un indennizzo. “Davvero
fantastico. Ma se vogliono i danni, perché non
li hanno chiesti prima al mio comandante oppure perché non a Hitler o a Mussolini? Non
capisco”. Nega di avere responsabilità e si difende come tutti gli imputati ex nazisti: ho solo
obbedito agli ordini»154.
Non esistono parole per commentare. E non
resta davvero che sperare in una giustizia divina. Quella umana sembra proprio incapace di
farsi valere155.
Esistono però anche episodi che denotano una certa etica e deontologia: «Può essere in questo caso utile ricordare che
il prof. Monaco ha svolto alcune ricerche approfondite sui rapporti tra ricerca neurologica in Germania e potere nazista
del Terzo Reich. Da questi studi (...) è scaturita la proposta ufficiale, fatta dalla Società Italiana di Neurologia, di eliminare
l’eponimo Hallervorden-Spatz da ogni testo e memoria. I due neurologi tedeschi arrivarono infatti alla descrizione della
patologia che portava il loro nome attraverso studi su cervelli prelevati da cadaveri di uomini, donne e bambini assassinati
nel corso della realizzazione di programmi di eugenetica, finalizzati all’eliminazione fisica di malati neuropsichiatrici». Su
TORINO MEDICA (2007).
155
94
LUCIANO CELI
CONCLUSIONI
non c’è Futuro, inconsistente ora
non c’è Passato che significhi ancora
niente che valga il buio del Presente
Giovanni Lindo Ferretti, Neukolln
La guerra è dura, soprattutto quando la memoria viene rimossa: il genitore che compra
oggi un libro ‘revisionista’ perché interessato a capire il meccanismo di distorsione,
la visione distorta di una realtà storica con
un preciso fondamento, rischia di lasciare
in eredità nella biblioteca del figlio solo
quel libro, senza un contraddittorio, senza
accanto un libro che narri le vicende di chi
fu sgozzato, impiccato, ucciso a sangue freddo, come nella terribile alba del 12 agosto
1944 a Sant’Anna di Stazzema. Per questo
è fondamentale continuare a tenere viva la
memoria, far si che questo passaggio si compia, abbia un seguito anche – e forse, a questo punto, soprattutto – artistico156. Molte e
degne di tutta l’ammirazione le iniziative su
tutto il territorio nazionale: le scuole, nodo
fondamentale per le giovani generazioni157,
che magari adesso non comprendono il
valore e la portata di tanto affaticarsi, ma
anche una parte di pubblicistica158.
Viviamo di certo in un tempo strano, per descriverlo prendo a prestito le parole di un libro
di recente pubblicazione:
Il passato è ridotto ad unica valenza negativa. Il nuovo è il solo bene. Più nuovo
più bene. La morte è notizia spettacolare
pruriginosa o va evitata. Esiste solo io, oggi,
primo e ultimo giorno del mondo e un
domani preteso garantito e definito, copia
dell’oggi, migliore.
Tutto è giustificabile, giustificato.
I carnefici riscuotono interesse e simpatia,
le vittime ripugnanza. Il male è sempre
nuovo, eccitante. Il bene superato noioso
comunque.
Molto moderno e indice di ottimi sentimenti altruistici è il ribaltamento dei ruoli.
Il colpevole è vittima. La vittima a ben vedere colpevole159.
Vacante il senso di responsabilità e riconoscere le proprie colpe, caso mai succeda,
serve a far risaltare quelle ben più gravi
degli altri. Perso il senso dell’onore.
Tutto è dovuto e un desiderio formulato ed
espresso equivale ad un diritto.160
E, più nello specifico: «La Storia ricomincia
ogni giorno e continua affondando in un tem-
In ordine di tempo, oltre ai citati CSI, vale senz’altro la pena di ricordare, per i documenti video, FERRARIO D.,
BELPOLITI M. (2006), che ripercorrono la strada, attualizzandola nel presente, che Primo Levi fece per tornare a Torino,
narrata ne La Tregua. Belle le scene di ‘repertorio’ con un Primo Levi a passeggio per Torino, ma anche in visita al campo
di sterminio di Auschwitz.
156
Cito del tutto occasionalmente, il volumetto a cura di AIRAUDO (2006), donatomi da Ugo Cerrato, nel settembre del
2006. Ma molte, per fortuna, sono ancora le iniziative che coinvolgono i ragazzi delle scuole.
157
Si veda la bibliografia. Molte delle fonti citate sono articoli di giornale, spesso comparsi nel periodo relativo alla
Giornata della Memoria (27 gennaio), ma anche per la Festa di Liberazione. Come tutta l’informazione che passa per i
quotidiani è oggetto della schizofrenia legata ai tempi stretti delle redazioni, costrette spesso a occuparsi di cronaca più
che di questioni di fondo. Sembra quindi non esistere un prima e un dopo, ma è già importante che se ne parli quand’è il
momento.
158
Non può non saltare alla mente la recente strage del piccolo paesino del nord Italia, Erba. I giornalisti morbosi, curiosi, improvvisano identikit della devianza della coppia che si è macchiata della distruzione di due famiglie, vanno in carcere
a intervistare i coniugi, ecc. Che sia un tempo dell’indifferenza, del virtuale, sul quale diventa possibile scherzare anche
sulle questioni più terribili, lo dimostra una specie di proverbio, coniato proprio in occasione della strage, che circola di
bocca in bocca: «Meglio l’erba del vicino, che il vicino di Erba».
159
160
FERRETTI (2006), pp. 94-95.
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
95
po, avanti e indietro, che nessuno possiede e
ogni vincitore momentaneo riscrive a proprio
tornaconto.»161
Esattamente ciò che sarebbe necessario evitare.
«La Repubblica», inserto «Almanacco dei Libri» del
15/7, anno II, numero 27;
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161
Ibid., p. 107.
Molte delle notizie e delle informazioni sono state volutamente tratte da quotidiani e da settimanali ad essi legati in
questo ultimo anno – diciamo idealmente dal 25 aprile 2006 alla stessa data del 2007. Elementi fondamentali per tastare il
polso ad una situazione, allo sguardo che qui e ora abbiamo su questo ancora controverso passato. Per agevolare quindi il
lettore si è deciso di suddividere in diverse sezioni – che in qualche modo rispecchiano anche la costruzione del presente
articolo – la bibliografia stessa.
162
163
Una presentazione dei due film prodotti e diretti da Clint Eastwood Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima.
164
Sui due film prodotti e diretti da Clint Eastwood Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima.
96
LUCIANO CELI
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Sul film Black Book del regista olandese Paul Verhoeven.
167
Presentazione del romanzo Les Bienveillantes di Jonathan Littell.
168
Una riflessione sul romanzo Les Bienveillantes di Jonathan Littell.
169
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DI MUSSOLINI
BATTAGLIA DELLA MEMORIA # 3: IL CONVEGNO
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bloccato”, su «La Stampa» del 20/1, p. 61 (cronaca
di Torino);
ZANCAN N. (2007,1), Proteste per il convegno sulle
Ss “Stop all’apologia di nazismo”, su «La Repubblica» del 24/1, p. VII (cronaca di Torino);
AJELLO N. (2007,1), L’Espresso rivela: quei diari
sono falsi, su «La Repubblica» del 16/2, pp. 56-57;
BATTAGLIA DELLA MEMORIA # 4: DALLA CRONACA: IL PROF E ISRAELE
BAUDINO M. (2007,3), Mussolini, l’enigma dei
cinque diari, su «La Stampa» del 12/2, p. 38;
MARTINENGO M. T. (2007,1), Prof in cattedra:
“Israele va distrutto”, su «La Stampa» del 30/1, p. 65
(cronaca di Torino);
CAPORALE A. (2007), “Starace pazzo, e io non valgo più nulla”. Dell’Utri: “Ecco i diari di Mussolini”, su
«La Repubblica» del 12/2, p. 15;
CECCARELLI F. (2007), Povero Dell’Utri. Un brivido inutile, su «La Repubblica» del 16/2, p. 57;
DE LUNA G. (2007,2), Se questo è un Duce, su «La
Stampa» del 22/2, p. 46;
FELTRI M. (2007,2), “In quelle carte ritrovo mio
nonno”171, su «La Stampa» del 12/2, p. 39;
IANNUZZI F. (2007), “Perché sono sicuro che siano
autentici”172, su «La Stampa» del 12/2, p. 38;
PAPUZZI A. (2007), Dell’Utri: ho i diari del Duce,
su «La Stampa» dell’11/2, p. 42;
PARODI R. (2007), Mussolini. Il giallo dei diari, su
«Il Secolo XIX» del 12/2, p. 7;
RAFFAELLI R. (2007), I dubbi di Petacco «Li propo171
Intervista ad Alessandra Mussolini.
172
Intervista a Marcello Dell’Utri.
MARTINENGO M. T. (2007,2), Ispettori al liceo
Cavour, su «La Stampa» del 31/1, p. 67 (cronaca
di Torino);
ROSSI A. (2007,1), Pallavidini: “È fascismo mascherato”, su «La Stampa» del 1/2, p. 69 (cronaca
di Torino);
(LA) STAMPA (2007,3), Gli studenti difendono il
professore di storia “nazional-comunista”, del 3/2, p.
63 (cronaca di Torino);
ZANCAN N. (2007,2), “Che stress, cambierò scuola”, su «La Repubblica» del 31/1, p. VII (cronaca
di Torino);
ZANCAN N. (2007,3), “La scure sul prof antiisraeliano”, su «La Repubblica» del 13/3, pp. I/VI
(cronaca di Torino);
“ M ATERIALE RESISTENTE”. SPUNTI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ATTUALITÀ...
BATTAGLIA DELLA MEMORIA # 5: IL CASO
PANSA
AJELLO N. (2006), Storie di montagne e di partigiani in un’Italia che vuole dimenticare173, su «La
Repubblica» del 19/10, pp. 58-59;
BOFFANO E. (2006), “Il silenzio dei riformisti”,
su «La Repubblica» del 5/12, p. IX (cronaca di
Torino);
CRAINZ G. (2006), L’Italia era piena di sangue, su
«La Repubblica» dell’8/11, pp. 50-51;
CUSTODERO A. (2006), “Una volta i teppisti erano
nel Msi, oggi c’è lo squadrismo di sinistra”, su «La
Repubblica» del 22/10, p. 20;
LOPAPA C. (2006), “Se avesse vinto il partigiano del
Pci saremmo finiti come l’Ungheria”, su «La Repubblica» del 26/10, p. 28;
PAGLIERI C. (2006), Quando lo sguardo degli sconfitti riempie gli scaffali delle librerie, su «Il Secolo
XIX» del 6/11, p. 7;
99
carabinieri, su «Il Secolo XIX» del 26/10, p. 6;
GUIDI C. (2006), “Stille Hilfe”, la creatura della figlia di Himmler per coordinare gli aiuti ai gerarchi in
fuga, su «Il Secolo XIX» del 26/10, p. 6;
SPEZIA L. (2007,1), Marzabotto, dieci ergastoli e 7
assolti, su «La Repubblica» del 14/1, p. 9;
SPEZIA L. (2007,2), “Indennizzi per Marzabotto”, su
«La Repubblica» del 15/1, p. 29;
SPEZIA L. (2007,3), Marzabotto, l’ex Ss attacca
“Condannate Hitler, non me”, su «La Repubblica»
del 17/1, p. 33;
TARQUINI A. (2006,1), Condannato a Stazzema ma
libero. Così il suo villaggio protegge l’ex SS, su «La
Repubblica» dell’8/5, p. 29;
TORINO MEDICA (2007). Neuroscienze ed eutanasia, pp. 29-31, anno XVIII, n° 3;
DISCOGRAFIA
PANSA G. (2003), Il sangue dei vinti, Sperling &
Kupfler, Milano;
AA.VV. (1995), Materiale Resistente 1945-1995,
Consorzio Produttori Indipendenti;
PANSA G. (2006), La grande bugia. Le sinistre
italiane e il sangue dei vinti, Sperling & Kupfler,
Milano;
CSI (1996), Linea gotica, PoyGram distribuzione;
PELÙ M. (2006), È scontro tra l’Anpi e Pansa, su
«La Nazione» del 21/10, p. IV (cronaca di Massa);
(IL) SECOLO XIX (2006), Pansa: «La teppaglia del
Msi ora sono gli squadristi rossi», del 22/10, p. 4;
SERRA M. (2006,2), L’Amaca, su «La Repubblica»
del 20/10, p. 24;
CSI (1998), La terra, la guerra, una questione privata.
Concerto in onore e memoria di Beppe Fenoglio.
Alba, chiesa di San Domenico, 5 ottobre 1996, PolyGram distribuzione.
DOCUMENTAZIONE VIDEO
Circolo Culturale “SIRIO GIANNINI” (2002), La
Via della Libertà. Lotta partigiana sulle Alpi Apuane
nella testimonianza del Comandante Pietro;
BATTAGLIA DELLA MEMORIA # 6: LE STRAGI IMPUNITE: L’ULTIMA SENTENZA (MARZABOTTO)
FERRARIO D., BELPOLITI M. (2006), La strada
di Levi, Rossofuoco e Rai Cinema produttori;
BOLOGNI M. (2007), Senza colpevoli la strage nazista di San Polo, su «La Repubblica» del 27/2, p. 23;
GALLETTO L. (2002), Il martirio della popolazione nella Bassa Lunigiana e sulle Prealpi Occidentali
Apuane nell’anno 1944.
COGGIO S. (2006), Marzabotto, minacce naziste ai
173
Presentazione del volume Le mie montagne del giornalista Giorgio Bocca.