1 Le ragioni di Marco Cavallo e del suo viaggio nel mondo di fuori

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1 Le ragioni di Marco Cavallo e del suo viaggio nel mondo di fuori
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Le ragioni di Marco Cavallo e del suo viaggio nel mondo di fuori
per incontrare gli internati negli opg
La condizione di disinformazione, di sospensione, di estrema incertezza cui sono costretti
gli internati congiura a rendere ancora più difficile e penoso l’abitare. Non sapere quando la
pena avrà termine rende ogni cosa provvisoria. L’organizzazione dello spazio, in molte
celle, denuncia questo stato di provvisorietà. Solo alcuni internati cer- cano di costruire
qualcosa di personale intorno al letto e al comodino, nel tentativo di circoscrivere, con un
confine fittizio, uno spazio privato dove potersi ritirare al riparo dagli sguardi e
dall’invasione della presenza altrui. Foto di familiari appiccicate alle pareti, pagine di riviste
con cantanti, calciatori o belle ragazze nude. Anche la cura del letto, un asciugamano, un
copriletto colorato, denuncia quest’attenzione. Per i più, la provviso- rietà si coglie in tutta
la sua pervasiva intensità: i sacchi neri della spazzatura con i vestiti, le valigie non disfatte,
nulla di personale. Come se pensassero che tanto, domani, si va via. Molte celle
restituiscono l’immagine di una sala d’aspetto di una stazione. Per molti il « vado via
domani » dura da anni e anni. « È interessante notare che il reo non viene inviato in carcere
perché non può comprendere ciò che significa pena e rieducazione. Viene allora inviato in
manicomio giudiziario, dove sotto forma di cura espia in realtà una pena che capisce ancora
meno »
(F. Basaglia , La libertà comunitaria come alternativa alla regressione istituzionale,i
nScrittiI1953-1968, Einaudi, Torino 1981, p. 399).
Peppe Dell'Acqua
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per incontrare gli internati negli opg
Nelle celle, uomini con storie diverse e drammatiche, spesso drammatiche solo per
l’incomprensibile internamento, giungono ad abitare e condividere quel piccolo spazio.
Uomini che non si conoscono, costretti gli uni accanto agli altri. Ognuno suppone dell’altro
la malattia mentale e ne teme imprevedibili gesti e rischiosi comportamenti. Riuscire a
sopportare una così inimmaginabile vicinanza dell’al- tro sconosciuto e reso ormai
inconoscibile dallo sguardo e dalla parola della psichiatria, e del quale si ha timore, è una
prova di dimensioni che a noi non è dato di intendere. Si pensi alle cose minime e
banalmente quotidiane: usare il water, più o meno in vista, mostrare la propria nudità,
segnare lo spazio con i propri odori e umori, dover nascon- dere e vergognarsi dei borbottii
improvvisi e inaspettati del proprio corpo. Odori e rumori che si mescolano insieme e
impregnano quello spazio. I più finiscono per costruire un muro di resistenza intorno al
proprio corpo e ai propri pensieri. Come la realtà che a causa della malattia non riusciva a
contenere, ora l’istituto cui non può opporsi non lascia all’internato che un unico scampo: la
fuga nella produzione psicotica, il rifugio nel delirio dove non c’è né contraddizione né
dialettica. Una sorta di campana di vetro infrangibile. Gli internati si isolano così nella
propria malattia, si rifugiano in essa, la coltivano e vi trovano conforto.
Peppe Dell'Acqua
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per incontrare gli internati negli opg
Gli spazi, le prospettive, gli angoli segnano più degli uomini e delle parole la finalità propria
dell’istituto. La pericolosità abita ogni angolo, impregna con la tensione della sua presenza
ogni cosa. Chi è costretto a vivere nell’OPG deve confrontarsi quotidianamente con queste
immagini. L’immutabilità dell’esperienza dello spazio costringe gli internati a difficili
esercizi di riduzione di sé, di sottomissione all’istituzione in un tentativo di sopravvivenza
per salvaguardare al proprio interno almeno un brandello della propria dimensione umana.
Costretti in questi luoghi, gli internati ridimensionano il loro sentire, introiettano le regole
dell’istituto, interrompono il loro dialogo col tempo. Diventano loro malgrado ciò che noi
conteniamo nella categoria del « malato pericoloso ». La continuità dell’esistenza,
l’estensione lineare della storia personale subisce minacce, at- tentati e fratture crudeli. Le
persone, per difesa, per sopravvivere, devono accettare quella unica e piatta identità.
Peppe Dell'Acqua
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Alessia e il Cavallo Azzurro
“Spesso, la malattia mentale è un cavallo che ti galoppa dentro, che scalcia incontenibile e
irrefrenabile, e ti fa male.
Ma non si doma un cavallo con un laccio al collo, con “fascette di contenzione standard con
appositi bottoni di chiusura n° 6 per gli arti”; non si doma la furia e il furore di un cavallo
costringendolo tra 4 squallide pareti grigie e scrostate e affumicate, con sbarre alle finestre e
la porta sempre chiusa a chiave.
Ma sapete che il cavallo ha bisogno del prato verde, di un immenso cielo blu, di vedere e
vivere gli spazi, sentendosi filo magico nell’alleanza del cerchio delle vite che sia collegato,
non legato, stretto, non costretto?
Si può condurre la sua fierezza testarda verso la libertà, perché così conduce anche te. Se lo
avvicini, se riesci ad ammansire, ad addomesticare un cavallo intrattabile, questi può
diventare un attore protagonista. In ruoli diversi.
Perché ha l’eleganza del ballo, la forza della montagna, l’intelligenza, e la vulnerabilità di
ogni essere vivente.
E se tu droghi un cavallo, per stimolarlo, per fargli vincere la corsa o invece lo vuoi zittire,
perché nitrisce e scalcia furioso, lo vuoi fermare perché troppo corre veloce ma come, come
puoi pensare di conoscere l’anima equina?
Beh, spesso dietro le gare ci sono ritorni economici per la scuderia, i soldi girano, gli
interessi o più banalmente i compromessi.
Addestrare bene un cavallo alla libertà e a condurre (egli può diventare un “trascinatore”),
costa tempo, spazi, dedizione.
Ci vuole l’uomo che sussurra ai cavalli. Il curare un purosangue pericoloso per un’oscura
follia ha radici antiche. “Messa a punto” dagli Indiani d’America, la strategia consisteva nel
ristabilire quel rapporto atavico, di fiducia reciproca tra cavallo e cavaliere, e quindi tra la
malattia mentale che ti corre a briglie sciolte e chi s’impegna ad “allevarla”.
Le corde dell’anima vanno fatte vibrare, non vanno mai recise. Perché potrai udire canzoni
di rara bellezza o distruggere, annientare, ridurre all’oscurià del silenzio.
E il fatto è che non rompi un giocattolo. Ma spezzi i tendini poderosi, le zampe al tuo
cavallo. Al nostro cavallo. Al cavallo.”
Alessia (2005)
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Per non perdere l’appuntamento con la storia
ART 27 Costituzione
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
ART 32 Costituzione
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana.
Nel 1991 e nel 1996 il prima senatore e poi deputato Franco Corleone presentò un disegno
di legge dal titolo: «Imputabilità del malato di mente autore di reato e trattamento
penitenziario del medesimo»[1], che riprendeva la proposta di legge del senatore Vinci
Grossi del 1983 depositata durante la IX legislatura. Per un approfondimento su quello che è
stato l’iter legislativo, le ragioni della richiesta di abolizione dell’istituto della non
imputabilità e quindi le possibili “vie d’uscita” dagli OPG, rimandiamo all’articolo di
Corleone pubblicato sul Forum nell’agosto 2012: «La rimozione dell’ospedale psichiatrico
giudiziario»[2]
Oggi, a poche settimane dalla partenza di Marco Cavallo che scalpita perché vuole aprire
tutti i manicomi giudiziari, ci pare doveroso per «riafferrare davvero il senso di questo
viaggio»[3] riproporre all’attenzione di tutti questo disegno di Legge, nella speranza di
aprire una riflessione e discussione collettiva che sia capace di smuovere quelle coscienze in
grado di portare a termine una riforma che, se non viene supportata, difficilmente vedrà
un’attuazione.
Questa «scandalosa proposta»[4], semplice e prorompente, riafferma che l’art 27 della
nostra Costituzione deve essere garantito a tutti, anche e soprattutto a chi ha commesso un
reato grave e presenta seri problemi di salute mentale. E’ forse scandalosa per questo e
quindi da tenere chiusa per tutti questi anni nei cassetti del Parlamento? O forse perché
sostituendo l’art 88 e abrogando l’art 89 del Codice Penale (vizio totale e vizio parziale di
mente) riconosce la persona con disturbo mentale che ha commesso un reato capace di
intendere e di volere, quindi imputabile e soggetta alle pene previste dal codice penale?
Qual’ è dunque il senso di avere tutt’oggi una legislazione speciale? Legem brevem esse
oportet, quo faciulius ab imperiti teneatur, diceva Seneca: è necessario che la legge sia
breve affinché sia tenuta in considerazione da coloro che non sono esperti.
Pare difficile, a detta dell’autore di questo Ddl, parlare del tema dell’imputabilità e della
pericolosità, quasi a sottolineare una funzione, da parte delle istituzioni restrittive, di
discarica sociale. Tanto è vero che, secondo questo modello culturale, nell’art. 222 C.P., che
il ddl Corleone ha intenzione di abrogare, insieme alle persone a cui è riconosciuta
l’infermità psichica si ordina il ricovero a coloro che sono stati prosciolti dal processo per
intossicazione cronica da alcool, da stupefacenti, ovvero per sordomutismo (!), qualora la
pena stabilita dalla Legge per i delitti colposi o dolosi commessi sia superiore a 2 anni. Tra
l’altro, tale articolo pone un tempo di internamento minimo di 2 anni, senza prevedere un
termine. Questo crea un unicum ulteriore nel nostro Ordinamento in aperta contraddizione,
come esposto dallo stesso Corleone, con il riconoscimento della transitorietà del disturbo
psichico.
Un altro dei punti della proposta di Legge che a noi sembra fondamentale sottolineare è la
territorializzazione dell’assistenza alle persone cui è stata riconosciuta l’infermità psichica:
secondo l’articolo 14 del ddl Corleone, che aggiunge all’art. 13 della L. 26 luglio 1975 n.
354 l’art. 13-bis, infatti, deve essere a carico dei Servizi Territoriali del luogo in cui viene
eseguita la pena l’assistenza alla persona, in un regime alternativo al carcere. Questo
evidenzia due aspetti: il primo è la necessaria assunzione di responsabilità da parte dei
Servizi di situazioni non direttamente controllabili ambulatorialmente, come troppo spesso
capita nei nostri CSM, con progetti terapeutici individualizzati; il secondo è la
comparazione dell’infermità psichica a quella fisica, cosa che rende dunque possibile
l’esecuzione della pena in regime di misura alternativa al carcere. La centralità di questo
aspetto è sottolineata dal riappropriarsi da parte della società del dovere di rieducazione e di
cura che essa deve alle persone autrici di reato, tutte, inferme o no. E’ forse questo il punto
che più fa temere questo disegno di Legge?
Lasciamo al Legislatore e ai Giuristi la disamina degli altri articoli della proposta: questi
sono quelli che ci sono apparsi come principali. Noi giovani, appartenenti alla generazione
che è stata definita “senza futuro né speranza”, vogliamo lottare affinché non si perdano più
determinati appuntamenti con la storia.
Oggi quindi, 40 anni dopo la sua prima «corsa furibonda alla conquista di quel pezzo di
azzurro e di verde oltre la porta principale del manicomio»[5], sosteniamo Marco Cavallo
nel portare avanti questa sfida: chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dire no ai
miniOPG/manicomi regionali, aprire i CSM 24h/7 giorni con personale adeguatamente
preparato, motivato, formato.
Il cavallo c’è ancora, anzi il simbolo, il significato, ciò che è resta e cresce. Non occorre
più oggi spiegare cosa sia questo gigantesco cavallo azzurro, dovunque va, nelle scuole coi
bambini, al festival nazionale dell’unità, in giro per le mostre, le fiere, i mercati, è una
grande macchina teatrale. Il cavallo è azzurro, è il colore del cielo, è il colore del mare, è il
colore, dicemmo allora, della LIBERTA’.[6]
Giulia Bordi e Daniele Garino
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per incontrare gli internati negli opg
Psichiatria Democratica su chiusura OPG e carenze servizi di salute mentale
Rischio proroga per gli OPG, gli ospedali psichiatrici giudiziari, e gravi carenze di risorse
nei servizi di salute mentale sul territorio. Psichiatria Democratica, che è parte integrante del
cartello StopOPG, ribadisce le sue forti preoccupazioni sull’andamento del processo di
chiusura delle strutture, a causa della neoconcentrazione che verrà a crearsi per l’attivazione
di centinaia e centinaia di nuovi posti letto, invece di concretizzare programmi di presa in
carico individualizzati per ciascun utente, favorendo – in maniera prevalente – l’ingresso in
abitazioni già esistenti sul territorio.
La creazione di una task force e il coordinamento del presidente della Regione Emilia
Romagna, Vasco Errani, per tutte le iniziative regionali finalizzate a “chiudere presto e
bene” gli OPG che nel corso del tempo abbiamo avanzato, forti della nostra lunga
esperienze sul campo, sono rimaste inascoltate e ora caos e ritardi la fanno da padrone;
condizioni queste che preannunciano un nuovo slittamento della chiusura e perciò ancora
custodia e rinnovo di proroghe per gli internati. Tutto questo in assenza, peraltro, di
qualsiasi iniziativa legislativa, relativamente alla messa in discussione della cosiddetta
“pericolosità sociale” che, a più riprese, Psichiatria Democratica ha richiesto in tutte le sedi
di affrontare, come elemento assolutamente centrale per il presente come per il futuro per
cittadini autori di reati.
Psichiatria Democratica continuerà – in ragione delle sue scelte e pratiche – a stare, nei
processi di cambiamento in maniera attiva e propositiva; i dirigenti e i militanti della nostra
organizzazione, difatti, continueranno – affermano Lupo, Attenasio, Bondioli e Di Fede – a
sporcarsi le mani, proseguendo le visite (le nuove sono già calendarizzate ) in delegazione
in tutti gli OPG del Paese, a fare proposte di merito, a lavorare per rimuovere tutti gli
ostacoli che impediscono lo sviluppo di pratiche di Salute Mentale di comunità.
In questo modo Psichiatria Democratica intende contribuire, fattivamente, al reale
superamento delle sei strutture asilari. Senza tregua, incalzeremo, tutti gli attori istituzionali,
per contribuire alla realizzazione di reali percorsi di inclusione sociale territoriale, di presa
in carico effettiva delle persone ristrette, da parte dei servizi di salute mentale, e non già
nuovi luoghi di sofferenza, separazione e di custodia come quelle che vanno delineandosi.
Inoltre, Psichiatria Democratica denuncia con forza il progressivo depauperamento – per la
sempre maggiore carenza di risorse umane ed economiche – dei servizi psichiatrici sul
territorio nazionale, depauperamento che bisognerà fermare subito se non si vorranno
vedere vanificate le straordinarie esperienze territoriali maturate nel corso degli anni. Lo
sviluppo di quelle pratiche di salute mentale di comunità che hanno reso effettivo un nuovo
protagonismo di utenti e di familiari, evidenziando – come fondamentale e irrinunciabile –
la multidisciplinarietà del duro lavoro svolto dagli operatori territoriali.
In conclusione, si ribadisce che l’attuazione della riforma costituisce il punto di riferimento
e insieme l’argine, per bloccare qualsiasi tentativo di ritornare a regimi di custodia e cura
che si vorrebbe attuare destinando sempre più risorse al privato a danno del pubblico che
deve rimanere, invece, sempre il titolare di ogni progetto di salute.
Psichiatria Democratica, comunicato, ottobre 2013
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per incontrare gli internati negli opg
Franco Rotelli in un incontro a Empoli con l’allora senatore Marino nell’estate del 2012 :
“(…) non per essere massimalisti, ma perché abbiamo capito in questo paese, l’ha capito
Franco Basaglia per primo, che gli ospedali Psichiatrici vanno chiusi, che la cura delle
persone con problemi di salute mentale deve essere fatta dentro a procedure di inclusione
sociale e non dentro luoghi separati dalla comunità.
Per noi la cura passa attraverso l’inserimento sociale, e non ne può prescindere.
Non ci sono dei luoghi più o meno belli che separatamente dai contesti sociali possono
trattenere le persone a lungo per essere curate.
Non sono i camici bianchi quelli che qualificano le strutture.
Creerebbe ancora una volta un ostacolo culturale formidabile, se queste strutture che oggi
tutti condannano venissero riverniciate a nuovo dentro una vecchia logica di “dove li metto”
e fossero legittimate a contenere le persone.
Le persone con problemi di salute mentale non hanno bisogno di luoghi dove devono stare,
se non a casa propria, se non nei propri luoghi, i luoghi dove la libertà di sé possa essere
arricchita dai servizi, arricchita dall’aiuto degli altri, arricchita da gruppi, famiglie,
associazioni.
Se perdiamo questo patrimonio culturale, se perdiamo il baricentro del discorso, perdiamo
tutto il lavoro di 40 anni. (…)
Svuotiamo questi contenitori in tutte le misure in cui riusciamo a svuotarli.
Svuotiamo questi contenitori.
Evitiamo di prefigurare nuovi contenitori migliori o migliorati, perché non ci possono e non
ci devono essere, perché il concetto di pericolosità non sta in piedi, il concetto di totale
incapacità di intendere e di volere non sta in piedi, il concetto di proscioglimento non sta in
piedi, non stanno in piedi i presupposti culturali scientifici e teorici di questa questione.
E se noi diamo una risposta apparentemente meno abbietta al problema, non facciamo altro
che aggravare il problema, non lo risolviamo, non ne risolviamo neanche una parte.
Senatore Marino, avete fatto un lavoro preziosissimo, avete rimesso al centro questa
gravissima questione, mi raccomando, ci raccomandiamo, non facciamola a pezzi, non
dimentichiamo i nodi culturali che ci sono dentro, non mettiamoli da parte per una
certamente buona intenzione.
Bisogna farlo questo qualcosa, subito.
E mettiamone fuori “tanti”, il più possibile.
Obblighiamo i dipartimenti, i comuni, le regioni, a riportare a casa questi cittadini.
Restituiamo il volto e la storia e il diritto, la cittadinanza, la dignità.”