Prefazione
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Prefazione
Prefazione Nel periodo pasquale, quando insegnavo Psicologia Sociale all’Università degli Studi di Cagliari durante l’anno accademico 1990-91, ho trascorso le vacanze a Villasimius. Un po’ per il buon umore indotto dalla vacanza e dalla bellezza dei luoghi, un po’ per la simpatica compagnia, decisi che nelle lezioni delle due settimane successive avrei parlato degli aspetti psicologici dell’umorismo. Non avendo a disposizione alcuna letteratura in argomento, mi sono fidato di quanto ricordavo dei lavori di Freud e ho cercato di organizzare il discorso soprattutto nei termini della psicologia sociale, cioè dell’umorismo e del comportamento scherzoso quali tecniche per influenzare l’altro, controllare le sue impressioni, presentarsi in un certo modo, salvare la faccia ecc. Per le esemplificazioni, mi sono fidato del mio “naso sociale”. Le successive ricerche su questo argomento mi hanno messo di fronte a una vasta letteratura, all’esistenza di una rivista specialistica, Humor. International Journal of Humour Research, e a due società scientifiche internazionali, la International Society for Humor Studies e l’American Association for Therapeutic Humor. Durante lo stesso anno accademico avevo proposto agli studenti un’esercitazione in cui dovevano rintracciare le radici della loro identità, dal titolo: “Quanto di me sono io?”. Maria Letizia Musu, un’allieva, si distinse per la verve del suo elaborato che conteneva, tra l’altro, la descrizione del suo carattere attraverso la seguente formulazione: “Io sono il risultato della moltiplicazione del carattere dei miei genitori, dal quale risultato deve essere sottratto il carattere di mio fratello…” Diceva, inoltre, che i suoi genitori, non permettendole di uscire sola la sera, sembravano attribuire alla luce solare una funzione anticoncezionale. Quando Letizia mi chiese la tesi la invitai a trattare il tema dell’umorismo per il quale sembrava portata e, dopo la laurea (a.a. 1991-92), l’ho incoraggiata ad approfondire l’argomento. Pensando a una pubblicazione, mi sono rivolto a Giovannantonio Forabosco, sicuramente il più autorevole studioso di psicologia dell’umorismo nel nostro Paese, perché si unisse a noi nel progetto. C’è stato qualche ritardo IX PREFAZIONE nella realizzazione, soprattutto per colpa mia, in quanto, nel frattempo, ho cominciato a insegnare Psicologia Giuridica presso l’Università degli Studi di Torino; nelle more dell’uscita del volume, Forabosco ha pubblicato un importante lavoro in argomento: Il settimo senso. Psicologia dell’umorismo (1994). Questa è la storia, che consente, tra l’altro, di evincere quali sono stati i contributi degli autori al lavoro. Il mio è stato soprattutto di progetto, di elaborazione del modello che presento nei primi tre capitoli del volume e anche di redazione dei capitoli 5, 7 (con Maria Letizia Musu), 10, 11 e 12 (con Giovannantonio Forabosco). Forabosco ha redatto i capitoli 8, 9 e l’Appendice. Egli ha portato il respiro competente di chi studia la materia a tutto tondo, occupandosi, nella Parte II, specificamente della questione dei termini e della classificazione dei generi. Maria Letizia Musu, invece, oltre ai capitoli sui quali abbiamo lavorato insieme, ha redatto i capitoli 4, 6 e 13. Luciana Dambra, editor della The McGraw-Hill Companies, e la psicologa Paola Ghio ci hanno aiutato a rendere il testo più fluido, visto che il libro è stato scritto con mani, tempi e in luoghi diversi. A me piace parlare di cose serie scherzando, come ho fatto in Commedie e drammi nel matrimonio (1976), e di cose scherzose seriamente. Per la prima inclinazione, in quanto cattedratico debbo a volte, se non giustificarmi, fornire delle spiegazioni: di solito dico che condivido il pensiero di Chopin: “Chi non ride mai non è una persona seria”. Per la seconda inclinazione, stante l’autorevole precedente freudiano, non c’è bisogno di alcuna giustificazione: scherzando sugli scherzi si rischiano delle ridondanze che possono interferire sulla concettualizzazione. Se scherzo parlando degli scherzi entro in un paradosso, perché significa che quello che dico non è vero (perché sto scherzando), impedendomi così di poterne parlare seriamente. È da un po’ che sto lavorando a una Psicologia dello svago come quella turistica (1997) e dell’alimentazione (1995) (per intenderci, mangiare e bere bene, invece che anoressia e bulimia, temi tanto cari agli psicologi), forse anche come antidoto al mio lavoro di avvocato e ai temi ricorrenti nella psicologia giuridica come i conflitti di famiglia, fra le persone, la devianza criminosa, il progetto penale, la punizione, gli abusi sessuali ecc. Qui si tratta dell’allegria, un sentimento trascurato dagli psicologi, che preferiscono piuttosto occuparsi del suo contrario: la tristezza. Le vignette rappresentano un po’ la colonna sonora del testo, nel senso che sono state scelte per illustrare, esemplificare o commentare ciò che viene trattato nelle diverse parti del volume. Le ho selezionate, insieme agli altri autori, nella produzione del disegnatore britannico Roy Nixon (tranne quelle di pagina 70 e di pagina 163, che sono rispettivamente di Domenico Carponi Schittar e di Ilaria Cutica), smaglianti nel disegno e fulminanti nella battuta. Guglielmo Gulotta