Mio padre era morto da poco più di una settimana quando mia

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Mio padre era morto da poco più di una settimana quando mia
Il cappello e la pentola
di Silvia Lanfrancotti
Mio
padre era morto da poco più di una settimana quando mia so-
rella Marta, con il senso pratico e spietato delle donne, decise
che era l’ora di fare pulizia tra le sue cose. Ero nervoso e triste. Non sopportavo il modo in cui mia sorella ammucchiava i suoi
vestiti sul letto: una pila per le giacche, una per i maglioni e
così via. Uscii dalla camera e raggiunsi mio cognato sul terrazzo.
Ma anche lui non era una gran compagnia. Per farlo stare un po’
zitto gli offrii una sigaretta. Ripensai ai cerchi di fumo che mio
padre faceva galleggiare in aria su quella stessa terrazza quando
ero bambino. E il vento se li portava via.
Tirai il mozzicone in cortile e mi voltai verso l’interno. Mia sorella sbucò dal corridoio con una specie di bastone in mano.
- Era in fondo all’armadio…Marta era un po’ stupita, un po’ disorientata. Certo, di qualunque
cosa si trattasse, non poteva essere ripiegata e portata ai poveri
della parrocchia.
L’oggetto che mi porgeva era dentro una lunga busta di plastica.
Poteva essere un ombrello. Ma la sua faccia di fronte ad un banale
ombrello non sarebbe stata la stessa.
Si trattava di una spada. Con la lunga lama emerse dal sacchetto
che cadde a terra floscio.
- Ne sai qualcosa? – riprese lei.
- E’ la prima volta che la vedo – risposi
Nel silenzio successivo ciascuno nella propria mente cominciò a
pensare a quando, a se, mio padre avesse mai fatto riferimento a
quella spada. La esplorai con lo sguardo.
Mia sorella decise rapidamente che potevo tenerla io.
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Quella sera, a casa, avevo appoggiato la busta sulla cassapanca
dell’ingresso e lì era rimasta per qualche giorno. Non era semplice trovare un posto adatto per una spada. La spada di mio padre.
Associare quell’oggetto all’uomo che avevo conosciuto e amato era
come mettere un cappello sopra una pentola. Non riuscivo a trovare
un nesso. Estrassi nuovamente la spada e la appoggiai con la lama
piatta sul tavolino della sala. Giaceva lì, lucida e nuda, misteriosa.
Lo sguardo cadde su qualcosa. Un pezzo di carta ripiegato era caduto dalla busta. Lo raccolsi e lo aprii velocemente, senza pensarci troppo.
“L’avversario si fronteggia. Mio padre me lo ha insegnato in anni
di passione per la scherma. Questa era la sua spada preferita. Che
sia tua per sempre, Alberto carissimo. Quando ti ho conosciuto una
lama ha diviso in due la mia esistenza. Sono divisa tra ciò che ho
avuto ed ho tutt’ora e ciò che vorrei avere con te. Nonostante
questo non riesco però a rendere compiuta questa separazione, a
fare il passo definitivo per seguirti. Non posso colpire mio marito in questo modo, alle spalle.
Tieni questa spada con te come se fossi io, quella parte di me che
non vorrebbe lasciarti mai. Ti amo. Anna”
In fondo al biglietto scritto a mano c’era anche una data: Settembre 1967. Rilessi il tutto con l’impressione di non aver capito
bene. Ma non era così. Avevo capito benissimo.
Ricordai subito chi era Anna. Veniva al mare ai Bagni Genova di
Viareggio ed aveva un bambino più o meno della mia età. Mille immagini di quelle estati lontanissime mi travolsero. Anna aveva un
padre
con
una
grande
passione,
insolita
per
i
suoi
tempi,
la
scherma. In effetti ricordavo anche lui, nonno Angelo. Ci insegnava a duellare sulla riva del mare con in mano dei lunghi bastoncini. Si muoveva con classe ed eleganza e sembrava un vero moschettiere del re. Morì all’improvviso proprio d’estate, forse proprio
nel ’67.
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Intanto, Anna e mio padre. Mio padre e lei… Dovevano avere una
trentina d’anni.
Quella notte non dormii molto. Un colpo di spada aveva diviso in
due anche la mia esistenza. Conoscevo un papà giocoso e sorridente
e adesso invece scoprivo che ci avrebbe lasciati, se Anna non si
fosse tirata indietro.
Il giorno dopo la chiamai; non fu difficile rintracciarla:
- Carlo… Ho saputo di tuo papà –
- Già… ho saputo anche io - Vieni, ti aspetto –
Quando aprì la porta del suo appartamento, non avevo più tanto
chiaro il motivo che mi aveva portato lì. A parte la necessità di
liberarmi di quella spada ingombrante.
Quando la vide gli occhi di Anna ebbero un luccichio speciale. Le
porsi anche il biglietto che avevo trovato.
- Credo di doverti delle scuse… - Al contrario. Mi pare di capire che se ho avuto un padre accanto
fino a poco tempo fa, è stato per te. Non per lui. –
- Non è così. Non vi avrebbe lasciato. Alberto era un uomo trasparente e sensibile. Stavo bene con lui e avevamo parlato a lungo
dei problemi che avevo con mio marito. Gravi problemi.
Questo a-
veva provocato in lui un forte desiderio di protezione nei miei
confronti fino a confonderlo con amore per me. In realtà ero certa
che lui volesse solo stare con voi, con sua moglie e i suoi bambini. E ne sono certa tutt’ora. –
Disse tutto ciò a bassa voce ma con fermezza. Forse mentiva o forse no. Non avevo altro che le sue parole, quel biglietto e la spada di nonno Angelo.
Salutai Anna, rimisi il cappello sulla pentola e tornai a casa.
Marta non mi chiese mai cosa avevo fatto di quella spada.
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