True Swords - Federscherma

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True Swords - Federscherma
True Swords
di Nicoletta Bartolini
«Tanti
auguri», e appoggiò la lunga scatola a terra, davanti ai
suoi piedi.
Lui la guardò interrogativo:
«Non è il mio compleanno».
«Lo so, ma sarà comunque un giorno speciale» ribattè lei, mentre
la porta di ingresso si chiudeva e lui, scavalcando il regalo, si
dirigeva verso la camera da letto per lasciarsi cadere sulla
poltrona, allentando la cravatta e buttando via le scarpe, una
dopo l’altra.
Lei riprese la scatola e di nuovo la depose ai suoi piedi, in
ginocchio davanti a lui:
«Aprila» la voce era suadente, bassa.
«I tuoi giochetti mi hanno stancato, lo sai» sbuffò.
«Apri la scatola, stavolta sarà diverso».
Era curioso, stanco di lei e delle sue fantasie, stanco di quei
duelli con le fruste, i bastoni leggeri, i fioretti, stanco di
quel sesso che non era mai soltanto amore, sesso che diventava
lividi e dolore e sangue; stanco di essere lì e stanco di non
sapere andar via, ma curioso.
Alzò il coperchio e sobbalzò:
«Ma sei impazzita? Con queste ci ammazziamo!».
Lei sorrise, afferrò una delle spade e la estrasse dal fodero
lentamente: l’acciaio della lama sfavillava nella luce chiara del
mattino.
Scattò in piedi, puntandogli l’arma dritta alla gola:
«Forse ci ammazziamo o forse no.
Saranno loro a decidere: le
Spade del Potere della Verità!» quasi gridava.
«Ma che verità? Ma dove le hai prese?» era bloccato sulla
poltrona, la testa schiacciata contro lo schienale.
«Su Internet, le ho cercate apposta per te, per noi. Alzati,
prendi la tua spada!» e lo colpì di striscio sul braccio sinistro.
Poi fece un passo indietro, gli lasciò spazio.
Lui gettò la cravatta e la giacca sul letto, afferrò l’arma,
sguainò: in guardia.
Lei gli si lanciò contro portandogli un colpo potente dall’alto,
ma lui si spostò di lato, schivando e avvicinandosi, bloccandola
contro il muro:
«Ma che ti prende? Così non è più un gioco, calmati, parliamo».
I corpi si toccavano, indugiarono per qualche istante. Il
desiderio di lui vibrava sul ventre di lei, le labbra si
sfiorarono ma lei voltò il viso a cercare il suo collo, scendendo
con la lingua a seguire i battiti, sotto la pelle, affondando
appena i denti, mentre con la mano libera gli apriva la camicia e
saltavano i bottoni e si confondevano gli odori, i respiri… Lui
allentava la presa:
«Mi piace … parlare così…».
«Parleranno le spade, ora!» e lo spinse via, violenta.
Gli portò un nuovo attacco e un altro ancora, lui sempre pronto a
spostarsi, a parare. Si muovevano rapidi, urtando i mobili, la
lampada, i piccoli oggetti. Era un vortice di lame che si
scontravano e scintillavano, paura che si faceva sudore e fiato
corto, rabbia che diventava forza.
«Tu scopi con un’altra! – gli urlò a un tratto – Non è vero?».
Lui urtò lo spigolo del comò, inciampò e cadde di peso sulla
schiena, battendo la testa e perdendo la spada, che scivolò sotto
il letto.
Lei gli fu sopra in un lampo, maestosa. Un piede sulla pancia, la
spada perpendicolare in mezzo agli occhi:
«Scopi con un’altra?».
«Ma no, no! La mia schiena…».
Spostò appena la lama e la appoggiò sulla pelle, premendo un po’,
lasciandola scorrere lentamente lungo la linea della fronte. Una
ruga nuova, rossa, tra le gocce di sudore.
«Fermati! Cazzo, non riesco a muovermi…».
«Non è colpa mia, tesoro. E’ il Potere della Verità. La tua spada
l’hai perduta, sotto il nostro letto. La mia è qui: e decide. Hai
un’altra?»
«No, no…».
La spada scese lungo la guancia destra, aprendo un solco profondo,
fino al mento.
«Ti prego, sto male, smettila…» la voce si strozzava.
«Porti addosso il suo profumo, bastardo. E ho sentito di nuovo il
suo sapore. Da quanto tempo?».
«E va bene, un mese, forse due, ma l’ho vista pochissime volte…»
quasi rantolava ormai.
Lasciò che la lama sfiorasse appena la gola, poi, affondando
leggermente la punta, che scivolasse libera sul petto:
«Pochissime volte?» ghignò.
«Ok, tante volte, ma non è come pensi tu…»
La spada non sapeva più fermarsi, si muoveva a zig zag sulla
pancia, piano, mentre il piede si spostava più in basso.
«Potevi andartene, no?».
«Non posso, lei è sposata e io …ma che vuoi ammazzarmi, eh?».
«Continua a parlare».
«Io… non saprei dove andare … sto bene qui, con te, ti amo. Io ti
amo!».
Il piede era proprio lì, la spada pure: a pochi millimetri. La
lama si fermò, poi di scatto tagliò la stoffa dei pantaloni.
«Ti prego, no, ti prego…» supplicava. E tremava.
Lei alzò il piede, distogliendo lo sguardo; in alto la spada:
«Vattene via» sibilò.
Lui smise per un attimo di respirare, si alzò a fatica sui gomiti
e poi in piedi, lentamente, asciugando con il braccio il sangue
che gocciolava dal viso.
Barcollando verso la poltrona, inciampò nelle scarpe, si chinò a
raccoglierle.
«Sbrigati».
Pochi passi, poi il tonfo della porta d’ingresso.
In piedi, sola, in mezzo alla stanza, vuota, ma inondata di luce.
Gettò a terra la spada, via!
Ma l’elsa, sfolgorante di cristalli verde smeraldo, urtò la porta
finestra spalancata e la Spada del Potere della Verità rimbalzò
sul piccolo balcone, scivolando sotto la ringhiera e volando giù:
aveva un lavoro da finire.