LA PROTESTA STUDENTESCA (1968-76)

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LA PROTESTA STUDENTESCA (1968-76)
LA PROTESTA STUDENTESCA (1968-76)
CONTESTO STORICO: Il boom economico portò a uno smottamento culturale nella nazione.
L’antica civiltà contadina con le sue regole e i suoi ritmi, i suoi ruoli prestabiliti e le sue famiglie
allargate, si sgretola e lascia spazio a un disagio che i giovani sono i primi a denunciare. Essi
rifiutano i vecchi ruoli e le restrizioni che devono subire ora che le condizioni di vita sono
cambiate. Influenzati dai movimenti studenteschi francesi del 1968 e dalla ribellione giovanile
americana, anch’essi scendono nelle strade, si occupano di politica e rifiutano di studiare
secondo i vecchi schemi dell’istruzione scolastica. Occupano le università, escono dalle scuole e
si uniscono alle proteste dei lavoratori e degli operai. Molti si uniscono ai movimenti di sinistra
che diventano sempre più forti e che organizzano grandi manifestazioni che sfociano nella
violenza e vengono spesso sgomberate dalle forze di polizia.
LA NOSTRA CANZONE: “Contessa” è la canzone più famosa di Paolo Pietrangeli, uno
studente che scrive la canzone-manifesto dei lavoratori. In questo testo le due anime della
contestazione si uniscono: quella operaia e quella studentesca. Il testo è ispirato dalla morte dello
studente Paolo Rossi (socialista ma anche boy scout cattolico), che rimane ucciso durante un
disordine all’università di Roma fra studenti di destra e di sinistra, nel 1966. Viene spinto giù
dalle scale e il colpevole non si troverà. Le parole della canzone parlano di operai e delle loro
rivendicazioni, cosí che la canzone diventa la colonna sonora delle manifestazioni degli anni ’70.
Il suo ritmo di dodecasillabi regolari è perfetto per accompagnare il passo della marcia.
La “contessa” è la rappresentante della classe dei padroni (con Aldo, il padrone della fabbrica) e
le parole della canzone vengono rivolte a lei, che si scandalizza delle recenti proteste operaie.
Pietrangeli amava raccontare l’aneddoto secondo cui venne ispirato a scrivere la canzone da un
dialogo tra una contessa e un generale, seduti al tavolo del bar, vicino a lui (commentera’ poi:
“Naturalmente era una balla ma il clima di allora di una certa vecchia borghesia era questo”).
Lo storico e musicologo Alessandro Portelli ha notato come la canzone sia divisa in due: da una
parte il ritornello, “il più bell’inno proletario della seconda metà del Novecento” e dall’altra, le
ragioni per cui Pietrangeli è indignato. Non tanto perchè lui lavora in fabbrica o nei campi, ma
perchè odia l’ipocrisia della classe dominante. Questa duplicità spiega la cesura stilistica e
musicale tra le due parti, le strofe problematiche e il ritornello liberatore. Attenzione al soggetto
dei ritornelli, prima “voi” e poi “noi”. Cosí, spiega Pietrangeli, non sembrava uno snob che
diceva fate fate, ma neanche un populista che diceva noi, noi.
Nel 2001, la canzone torna in auge, con la rivisitazione del gruppo dei Modena City Ramblers,
che la allegeriscono soprattutto a causa della recente morte di Carlo Giuliani agli scontri del G8
di Genova, ucciso da un poliziotto durante un violento scontro. Cambiano il verso “ma se questo
è il prezzo vogliamo la guerra / vogliamo vedervi finir sotto terra” in “ma se questo è il prezzo
siam pronti a gridare / che noi questo mondo vogliamo cambiare”.
Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=XzYGtsfKZV4
Contessa
Countess
"Che roba, Contessa all'industria di Aldo
han fatto uno sciopero quei quattro
ignoranti
volevano avere i salari aumentati
gridavano, pensi, di essere sfruttati
e quando è arrivata la polizia
quei quattro straccioni han gridato più forte
di sangue han sporcato il cortile e le porte
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire."
"What a scandal, Countess, at Aldo’s factory
those four ignorants started a strike
they wanted higher wages
you think, they shouted that they were
exploited
and when the police arrived
those four raggedy people shouted stronger
they dirtied the courtyard and doors with blood,
who knows how long it will take to clean up."
Compagni dai campi e dalle officine
prendete la falce, portate il martello
scendiamo giù in piazza picchiamo con
quello
scendiamo giù in piazza affossiamo il
sistema.
Comrades from the fields and workshops
Take the sickle, bring the hammer
let’s go down to the square let’s hit with it
Let’s get down to the streets and take the
system down.
Voi gente per bene che pace cercate
la pace per far quello che voi volete
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra
You well-to-do people that look for peace
Peace for you to do what you want
but if this is the price we want war
we want to see you underground,
vogliamo vedervi finir sotto terra,
ma se questo è il prezzo l'abbiamo pagato
nessuno più al mondo deve essere sfruttato.
"Sapesse Contessa che cosa m'ha detto
un caro parente dell'occupazione
che quella gentaglia rinchiusa là dentro
di libero amore facea professione.
Del resto mia cara di che si stupisce
anche l'operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori
non c'è più morale, Contessa."
Se il vento fischiava ora fischia più forte
le idee di rivolta non sono mai morte
se c'è chi lo afferma non state a sentire
è uno che vuole soltanto tradire
se c'è chi lo afferma sputategli addosso
la bandiera rossa gettato ha in un fosso.
but if this is the price, we paid it
no one in the world must ever be exploited.
"If you knew, Contessa, what a dear relative
told me about the occupation,
that those ugly people closed in there
defended free love.
But my dear why are you surprised
Workers also want their sons to be doctors
and think what environment can come out of it,
there is no more moral, Contessa. "
If the wind whistled, now it whistles stronger
the ideas of revolt have never died
if there is one who says it, do not listen
it is one that wants only to betray
if there is one who affirms it, spit on him
The red flag he has thrown into a ditch.
You well-to-do people that look for peace
Voi gente per bene che pace cercate…
Il clima tra gli studenti negli anni 70
Da Lidia Ravera, Ammazzare il tempo, Mondadori, Milano 1978, p. 15.
Nell’università, per i corridoi, c’è un odore particolare: euforia e noia, attesa di qualunque cosa,
fame di notizie, protagonismo, vestiti incollati addossi da ieri, bottiglioni da due litri (acidi),
volantini inchiostrati di fresco, patchouly e frittata. Odore di agitazione … L’amosfera è
accaldata, disordinata, percorsa da ondate di slogan, perché tutti spingono e tutti sembrano avere
qualcosa da dire. Tutti urlano e nessuno vince.
Da Andrea De Carlo, Due di due. Mondadori, 1989. Capitolo 7, e-book.
Io e Guido cercavamo di assorbire dalle lezioni almeno quanto bastava per non farci bocciare,
anche se non era facile. Le materie che ci interessavano, come letteratura e storia e geografia e
inglese, venivano trattate con assoluta noncuranza, mentre il tempo e l'energia maniacale delle
nostre insegnanti se ne andavano nei campi più estranei e incomprensibili. Guido diceva che lo
facevano perché lì non avevamo nessuna possibilità di controllo; che si rifugiavano nella
protezione dei loro codici inaccessibili come taglieggiatori su una torre. Stavamo seduti al nostro
banco per ore, e i nostri pensieri ci portavano lontano come correnti marine. . . . . Gli autori
italiani che dovevamo studiare per la scuola gli sembravano bolsi e privi di fascino, gonfi di
buone intenzioni. Diceva "gonfi di buone intenzioni». Detestava Alessandro Manzoni, per
esempio, che la Dratti avrebbe accettato di mettere in discussione quanto i portoni d'ingresso e il
crocifisso sopra la sua cattedra. Diceva, "che fascino possono avere i libri di uno che se ne stava
tutto il giorno chiuso in casa, pedante con i parenti e con la servitù, pieno di moralismi cattolici e
intenti didascalici e piccoli malesseri sedentari e cautele finanziarie, senza una sola traccia di
eccitazione o di squilibrio nella sua intera vita». Aveva questa visione romantica del mondo:
correva dietro a idee come "eccitazione" o "squilibrio" già allora.
. . . A scuola la Dratti e la Cavralli cercavano di forzarci con sempre più insistenza ad assorbire
teoremi e declinazioni; lavoravano sui riflessi condizionati, i processi meccanici dei nostri
cervelli. Guido diceva, "Sono come commesse di una vecchissima drogheria. Vanno avanti a
vendere senza la minima grazia e non le sfiora nemmeno il dubbio che la merce sia avariata e la
clientela originaria tutta estinta».
Ma non era solo a scuola che avevo la sensazione di essere in mezzo a merce avariata. Mi
sembrava di vedermela intorno ogni volta che mi capitava di guardare i passeggeri desolati di un
tram, o le successioni di edifici-galera ai lati delle strade; ogni volta che ascoltavo una canzone
melensa e fasulla alla radio o vedevo alla televisione la faccia di uno dei politici che
continuavano a governare il nostro paese da prima ancora che io nascessi. Sentivo questo odore
di lenta decomposizione, nebulizzato nell'uniformità grigia e soffocante che avviluppava ogni
idea e colore fino a farlo sparire. A volte mi sembrava di essere a una distanza terribile dalla vita;
di riuscire a sentirne solo echi e riverberi lontani: filtrati e adattati, doppiati e interpretati da altri
prima di arrivare fino a me. A volte mi sembrava di essere in esilio, anche se non sapevo da
dove, o da quando.
Un giorno stavo tornando a casa per una via del centro, e il traffico si è bloccato. Gli
automobilisti suonavano i clacson, davano gas a vuoto; c'era un odore acre nell'aria, più intenso
delle alterazioni chimiche che di solito si respirano a Milano. Sono sgusciato con il motorino tra
le macchine ferme, senza capire. Poi sono arrivate grida di molte voci, scoppi secchi; un gruppo
di ragazzi è schizzato fuori da una via laterale e si è disperso di corsa, raso ai muri delle case e a
zig zag tra le macchine. Un attimo dopo dallo stesso angolo sono sbucati sciami di poliziotti con
sfollagente in mano: più lenti dei ragazzi, appesantiti dalle divise goffe e i caschi e gli scarponi. I
ragazzi guizzavano e saltavano, traccheggiavano in passi laterali e passi all'indietro, tagliavano la
strada in diagonale; i poliziotti galoppavano dritti come tori da corrida, sulla spinta di un'onda
quasi esaurita. Si sono fermati, raggruppati incerti e minacciosi attraverso la strada. I ragazzi
erano già lontani, camminavano a ritroso per controllare la scena; hanno ripreso a gridare. Il
mattino dopo l'ho raccontato a Guido e lui ha sorriso, fatto di sì con la testa come se sapesse già
tutto.