Giovani senza futuro. La storia di Priscilla
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Giovani senza futuro. La storia di Priscilla
Giovani senza futuro. La storia di Priscilla Lunedì 27 Agosto 2012 Laureata alla Ca’ Foscari di Venezia, è emigrata un anno fa a Londra in cerca di fortuna. Ecco il suo sfogo verso un Paese e verso un sistema universitario che non l’hanno preparata alla realtà che oggi deve affrontare Fonte: Ustation.it Venerdì 3 agosto, tra le varie noiose newsletters che ricevo ogni giorno, ecco che l'Università Cà Foscari di Venezia mi porta a conoscenza di due iniziative, una delle quali consisterebbe nel tracciare una mappa dei suoi ex alunni in giro per il mondo e che recita testualmente: Mappa globale dei Cafoscarini. Ci farebbe piacere ricevere tue notizie e scoprire dove ti trovi. Potremo così ricostruire dove si trovano i nostri laureati in giro per il Mondo, così da creare una mappa virtuale di tutti i Cafoscarini. Raccontaci dove sei e cosa stai facendo professionalmente, scrivendo ad [email protected] o, se lo vorrai, iscrivendoti all’Associazione e compilando il tuo Profilo Personale. Quel giorno, in piena sindrome premestruale, quindi particolarmente stufa di questo mondo e in vena di fare l'ultima dei Che Guevara, scrivo all'indirizzo sopracitato la lettera che troverete qui sotto, misero ed inascoltato sfogo che, come sempre, non ha portato a nulla. Ma mi sembrava doveroso, a questo punto, visto il solito esito e la solita indifferenza, che qualcun altro, oltre all'impiegato che l'ha letta e cestinata, avesse il diritto a farsi due risate, o forse, in splendido stile pirandelliano, una gran dose di tragicommedia, umorismo e senso del contrario. Grazie per la vostra mail. grazie per avermi dato l’occasione, in questo giorno infausto, di raccontarvi la mia storia, anche se probabilmente, una volta letta, la archivierete diligentemente in chissà quale cartella del vostro provider di posta elettronica, e la dimenticherete, come fate con tutto. Poco importa. Sono in vena di scrivere, e finalmente ho un pubblico ad ascoltarmi. Dove vivo? Londra, la capitale della patria dell’utilitarismo, la terra promessa per noi italiani cresciuti col mito di questa città magica, alternativa, progressiva. London, dove, dicevano, se sei in gamba vai dappertutto. London, la nostra piccola America. Cosa faccio? Lavoro in un miserrimo ristorante. Ebbene sì, nonostante la mia passione, i miei sforzi, i miei ineguagliabili risultati, il mio 118 e lode (no, non è un errore di battitura, era tecnicamente un 118), mi ritrovo a servire la gente. “Non era questo che sognavo, d’inverno, quando sognavo questo”. 1/3 Giovani senza futuro. La storia di Priscilla Lunedì 27 Agosto 2012 E proprio oggi il caso ha voluto che mi arrivasse la vostra mail, che, sempre per caso, ho aperto prima di cestinare distrattamente, come ormai faccio con tutte le vostre newletters da cui ancora non mi sono decisa a disiscrivermi. “Cà Foscari informa”, “Cà Foscari Servizio Placement”, “Cà Foscari bla bla bla”. Cà Foscari, un nome così aulico, così nobile. Quando ero più piccola si diceva che una laurea a Cà Foscari era garanzia d’impiego, solo per il prestigio del nome. Peccato che le persone che mi assicuravano che un pezzo di carta mi avrebbe aperto le porte di ogni azienda fossero proprio quelle che, le aziende, vent’anni dopo, le avrebbero dovute serrare con lacrime e lucchetti. Peccato che oggi, a due anni e rotti dalla mia laurea, mi sia successa la cosa più paradossale che mi potesse capitare durante un colloquio di lavoro. Già, un colloquio di lavoro, un solo misero colloquio dopo aver spedito, senza esagerare, 200 curricula. In Inghilterra da più di un anno, ancora a mandare curricula, ancora a cercare non tanto un posto migliore, quanto uno un po’ meno schifoso. A differenza di quanto si predica in Italia, a dispetto di tutte le rassicurazioni dei miei amici che mi dicevano: “Ma sì! All’estero non è mica come in Italia! Se fai vedere che lavori, puoi salire in alto”, qui, per noi laureati, per noi scansafatiche, non c’è possibilità di un posto di lavoro dignitoso. Che possibilità ci possono essere quando il tuo titolo di studio, in quanto straniero, è guardato di cattivo occhio, quando noi italiani, confusionari, chiassosi e indisciplinati, siamo i rumeni di turno? Che opportunità ci sono per laureati in lingue e letterature straniere, che ai tempi che furono si incantarono di fronte a Pirandello, Borges e Pessoa, ma che ora si devono adattare senza mezzi termini ad un mondo dove l’unica chiave per il successo è dimenticarsi di sognare? Tutte menzogne. Ci hanno raccontato solo un sacco di menzogne. Ci hanno detto che conta l’istruzione, nascondendoci il fatto che se non hai 5 anni di esperienza (materialmente maturabili solo durante il sonno tra un esame e l’altro, in treno magari), sei fuori dal mercato. Ci hanno raccontato che nel terzo millennio, finalmente, vige la meritocrazia, e ce lo hanno raccontato dall’alto di sedie raggiunte con la spintarella dell’amico di famiglia. Ci hanno detto che andare all’estero è un’esperienza di vita, ma non hanno specificato che andare all’estero, al giorno d’oggi, significa morire di fame, lavorare 48 ore a settimana in una gabbia di matti con gente ignorante, cafona ed arrivista che ti fa sentire un’idiota perché non hai usato uno stupido vassoio per rimuovere un tovagliolo, questo no, non me l’avevano spiegato. Come non ci era stato detto che, ormai, di lavoro per noi non ce n’è più. E forse nemmeno la speranza. Che cosa si può fare in un mondo dove tutto è stato ideato, progettato, creato, costruito, distrutto e rifatto ancora? Cosa si può vendere quando ci hanno già venduto case, macchine, mutui, debiti? Con cosa paghiamo le cose che non possiamo comprare? Con quale moneta? Che fra un po’ le banconote del Monopoli avranno più valore? Cosa possiamo imparare, quando studiare è diventato economicamente impossibile, quando acquisire esperienza sembra diventato vitale anche se nessuna istituzione, nemmeno nella patria del Welfare, sembra disposta a fartela fare? Come ci accaparriamo un minimo lembo di stabilità e sicurezza in questo Far West di gente disperata già a 20 anni? In questa jungla di agenzie interinali, siti internet, applications online, assessment, inductions, chi è che ci salverà dallo sconforto? Nessuno. 2/3 Giovani senza futuro. La storia di Priscilla Lunedì 27 Agosto 2012 Perché nessuno è più disposto ad assumere lavoratori troppo qualificati. E la spiegazione è semplice: per questa gente iperqualificata, ipereducata, iperistruita, non c’è più posto. Game over. Per noi, poveri sfigati, non c’è più niente. In questa battaglia professionale, io, oggi, sono stata colpita e affondata. In questo miserrimo campo di guerra, a cadere non è l’incapace, bensì il neolaureato. Quel povero disgraziato che si sente dire, francamente, che è troppo qualificato. Overqualified. Perché di base ambizioso, e quindi potenzialmente temporaneo. Perché anche chi non ha studiato sa che studiare è un sacrificio che come ultimo scopo, a parte “virtute e conoscenza”, ha qualcosa di più rispetto a un mediocre posto da impiegato in un ufficio, a fare lo schiavo del sistema più spietato ed alienante che il genere umano stesso potesse creare. Perché è difficile accontentarsi di un lavoro in un ristorante, nell’estenuante ripetitività, nella schiavitù legalizzata. Overqualified. Perché il posto che ti sto offrendo posso darlo a un qualche analfabeta che posso maltrattare come preferisco, abusare verbalmente e schiavizzare a mio piacimento perché non ha gli strumenti per difendersi e nessuna altra possibilità che questa miserrima posizione a cui si aggrapperà con le unghie pur di non perderla. Immaginate la frustrazione di chi, con dovuto rispetto, quegli strumenti ce li ha e non può usarli, perché quell’infimo posto da hostess in un ristorante sembra essere l’unica alternativa in un mondo che ha creato ambizioni a posti che non esistono più. E non ditemi che si possono inventare, perché non è vero, perché non vi credo, perché sono stronzate. La prossima volta, nei vostri ricercatissimi e prestigiosissimi piani di studio, inserite un corso sulla sopravvivenza a questo mondo senza speranze, perché noi, la generazione dei laureati overqualified, ne abbiamo disperatamente bisogno. Priscilla Angelotti Dall’Agnol 3/3