La relazione coniugale e il Dhamma572

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La relazione coniugale e il Dhamma572
La relazione coniugale
come via di crescita nel Dhamma*
di Corrado Pensa**
Questo scritto è il testo riveduto di una relazione
tenuta all'Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia
(Pisa) in occasione della festa del Vesak, nel maggio
1994.
Unire invece che dividere - Come la relazione diventa luogo di
Dhamma - Accettazione profonda e primordiale Dhamma è
addestrare il cuore - Un doppio effetto incrociato - La relazione
aiuta il Dhamma, il Dhamma aiuta la relazione - Fedeltà e il
ribaltamento di metta - L’esercizio meditativo nella coppia
Il frequente scambio di osservazioni circa la pratica
L’attitudine devota verso il coniuge e la relazione
Unire invece che dividere
Intendiamo qui il termine ‘coniugale’ nel suo
senso profondo e non necessaria­mente giuridico:
coniugium è parola che denota unione, unità.
Dunque la relazione sarà coniugale se è relazione
a lungo termine, impegnata da entrambe le parti
* Questo scritto è il testo riveduto di una relazione tenuta
all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia (Pisa) in occasione
della festa del Vesak, nel maggio 1994. Apparsa su Paramita Quaderni di Buddhismo, Maitreya, Roma.
** Per informazioni sull’Autore: www.associazioneameco.it
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
nella direzione di una crescente unità. Così intesa,
l’espressione ‘vita coniugale’ acquista una tonalità
non soltanto poetica, ma anche sacra: vivere insieme
per trasformare insieme la vita.
Il tema di questo scritto - la relazione coniugale
nell’am­bito della pratica del Dhamma - mi sembra
rivesta un’importanza parti­colare, considerata
l’attenzione sempre maggiore rivolta, oggi, alla spiri­
tualità laica nel buddhismo occidentale.
A ben riflettere, infatti, una forma com­pleta di
saògha, ossia di comunità spiritua­le, per il laico che
pratica il Dhamma include due cerchi: il cerchio
esterno, la comunità di amici di Dham­ma con i
quali si ritrova periodicamente per praticare, e il
cerchio interno, ossia il coniuge, la persona con la
quale il praticante condivide la propria vita, più che
con qualsiasi altra.
Talora è possibile che un figlio o più figli, per
alcuni anni, facciano parte del cerchio interno, e
partecipino ad attività spirituali. Tuttavia, an­che
quando ciò accada, sarà un evento di breve durata,
rispetto al rapporto coniuga­le che può durare anche
i tre quarti di un’esistenza.
Ci riferiamo perciò a una relazione nella quale entrambi i coniugi, oltre a essere animati da reciproco
affetto, sono prati­canti di Dhamma. Possiamo chiamare una relazione di questo tipo relazione dhammica: è una ‘relazione dop­pia’, perché ciascun coniuge
ha una relazione col Dhamma e una relazione con
l’altro coniuge, contem­poraneamente. Qui conside­
reremo solo questa modalità, ma va detto che una
relazione in cui un coniuge è praticante e l’altro, pur
non praticando, ha nei confronti della pratica del
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
compagno un atteggiamento di rispetto e di sostegno, è anch’essa una relazione spiritualmente fon­data.
Lo scopo di queste note è di riflettere sul contributo
positivo specifico, che una relazione dhammica può
recare al cammino interiore di ogni coniuge. Non
ci occuperemo, quindi, della relazione difficile nella
quale un coniuge, aiutato da una pratica spirituale
molto salda, riuscirà a crescere proprio grazie alla
sua abilità nel lavorare nel travaglio. Un caso del
genere, infatti, rientra nel fondamentale capitolo
della trasformazione delle difficoltà esisten­ziali, in
fermento di crescita per il praticante, ma non ci dice
nulla sull’aiuto diretto e specifico che una buona
relazione può offrire al percorso dhammico.
Come la relazione diventa luogo
di Dhamma
Una relazione, oltre a portarci il conforto del
calore e della com­pagnia può, d’altra parte e con
facilità, dare adito alla moltiplicazione di desiderio
e di avversione, producendo così complicazione e
aumento di tensione: la direzione opposta a quel
processo di sem­plificazione e di distensione che deve
ca­ratterizzare il cammino nel Dhamma. Per esempio
il sentire di frequente o addi­rittura l’essere assillati
dal desiderio che il coniuge dica questo e non dica
quello, che faccia questo e non quello, che mostri
considera­zione particolare nei nostri riguardi e che,
al contrario, si interessi poco o nulla di altri.
E’ dunque legittimo chiedersi che cosa è necessario
perché un rapporto coniugale diventi dhammico,
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
ossia diventi luogo d’unificazione e semplificazione
invece che di complicazione, dispersione e tensione.
Converrà cercare di rispondere prima in generale e
poi in particolare.
In generale, la cosa più necessaria è la somma
dell’amore fra i coniugi e dell’amo­re dei coniugi per
il Dhamma: una forza duplice. Infatti, se io voglio
il Dhamma, ossia il bene, e, insieme, voglio il bene
dell’altro, diventerà prioritario tutto ciò che aiu­ta
sia l’altro sia me, a camminare nel Dhamma. Il di­
scernimento di ciò che giova a entrambi cresce con
l’approfondirsi della conoscenza reci­proca e della
comprensione profonda nel Dhamma. Il graduale
apprendi­mento circa quello che aiuta entrambi
ver­so il Dhamma è uno dei pilastri della relazione
dhammica.
Accettazione profonda e primordiale
In partico­lare (su ciò che è ne­cessario perché una
relazione diventi dhammica), mi sembra occorra
considerare varie aree, a cominciare da quella
cruciale di fiducia-accettazione.
Il buon genitore infonde fiducia al bam­bino
attraverso la mente, la parola e il corpo, per usare
la classica tripartizione della tradizione buddhista. Il
buon genitore è presente con mente-cuore sollecito
e benevolente, presente fisicamente con frequente
contatto corporeo affettuoso, presente verbalmente
con parole di sostegno e amore. E da questo tipo
di mente-cuore genitoriale, da questa verbalità e da
questa fisicità, il bambino è nutrito e si sviluppa e
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
cresce a sua volta nella mente-cuore, nella parola e
nella corporeità, sentendosi accet­tato e sostenuto a
tutti questi livelli.
La buona relazione è come se riatti­vasse e
approfondisse questa fiducia primaria, esprimendola
attraverso la tenerezza fisica e la sessualità, attraverso
la parola e attra­verso la mente-cuore. Sentirsi
profonda­mente e primordialmente accettati da un
altro nel nostro corpo, nella nostra parola e nella
nostra mente, è un potente detona­tore della nostra
accettazione nei nostri propri confronti e, più in
generale, nei riguardi della vita. E non è un caso che,
qualora uno abbia ricevuto insufficiente accettazione
e fiducia nei primi anni di vita, una buona relazione
può essere la cura più efficace per sanare questa ferita
profonda.
Dhamma è addestrare il cuore
Dunque, una buona relazione ha come fondamento la fiducia. E questa può essere grandemente
colti­vata, approfondita e ampliata da parte di chi
pone il lavoro interiore o Dhamma al primo posto
nella vita. Come stu­pendamente osserva Achaan
Sumedho, Dhamma non è ‘seguire il cuore’, bensì
‘addestrare il cuore’.
Come sintetizzare il lavoro interiore in ambito
di fiducia-accetta­zione nella vita coniugale? Nel
Nella tradizione theraváda il praticante opera su due
fronti: da un lato lavora per nutrire e consolidare
l’accettazione-fiducia già presente dentro di sé,
dall’altro lavora per accrescere la consapevolezza e
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
la com­prensione di tutto ciò che è non accetta­zione,
sfiducia e chiusura.
Nel primo caso, farà ricorso sia alla pratica della
consape­volezza sia, e in particolare, alla pratica di
benevolenza (mettā), compassione (karuna), gioia
simpatetica (muditā): queste meditazioni sono spe­
cifiche modalità di rafforzamento e di espansione di
fiducia-accettazione.
Nel secondo caso, il praticante si eserci­terà ad
accendere una consapevolezza, né occasionale né
fugace, su tutto ciò che in lui è chiusura, avversione,
rifiuto, resisten­za, dualismo, cioè non accetta­
zione. Riferito alla vita coniugale, questo significa
rendere frequentemente il pro­prio coniuge oggetto
di benevolenza, com­passione, gioia simpatetica; e
significa inoltre accendere una consapevolezza sem­
pre più addestrata in ogni momento su sfiducia,
non accettazione e chiusura nei confronti dell'altro.
Tutto ciò in aggiunta alla pratica di consapevolezza
e di accetta­zione che si farebbe comunque, indipen­
dentemente dal coniuge.
Un doppio effetto incrociato
Quest’opera di accettazione fiducio­sa, a volte
facile e nutriente, a volte impegnativa e travagliata,
Lavorando infatti ad accettarmi divento più aperto,
ossia più trasparente e ricettivo. Grazie a questa
ricettività, l’accettazione esercitata dal coniuge nei
miei con­fronti mi giungerà più facil­mente, e questo
accrescerà la mia auto-accettazione. Ecco il doppio
effetto. Inoltre io lavoro sia all’accettazione di me
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
stesso, sia all’accettazio­ne del coniuge, il quale godrà
del medesi­mo effetto benefico: sicché diciamo incro­
ciato. Una sorta di circolo virtuo­so, nel quale autoaccettazione e accetta­zione dell’altro si rinforzano a
vicenda.
Un esempio. L’accorgermi che i miei di­fetti sono
un problema più per me che per il mio coniuge,
il quale li accetta e li perdona, è un fatto per me
curativo e capace di riverberarsi in fiducia nella
relazione e nel lavoro interiore, nel Dhamma. Ossia:
la fiducia fa crescere la relazio­ne, la buona relazione
fa crescere la fiducia, anche la fiducia nel lavoro
interiore o ‘Dhamma visibile e verificabile’. Questa
iniezione di fiducia è di importanza capitale, perché
la fiducia o fede radicale (saddhá, bodhicitta d’aspira­
zione) è una struttura portante nell’inse­gnamento
del Buddha.
Certo la grande meta del cammino è ancora più
grande della fiducia nell’assolu­to, è la realizzazione
stessa dell’assoluto. Ma questa realizzazione è come
il culmine di un’onda crescente di fiducia e di com­
prensione, di uno slancio vitale intrinseca­mente
benefico e salutare che si fa gradualmente più forte.
La relazione aiuta il Dhamma,
il Dhamma aiuta la relazione
La pratica del Dhamma porta la fidu­cia presente
in una buona relazione alla sua massima possibile
estensione, estensio­ne del tutto inconcepibile in un
contesto rigidamente laico.
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
Mi sembra importante riflettere ancora sull’in­
crociarsi di affetto reciproco e di affetto per il
Dhamma, ossia sulla relazione tra due persone che
hanno, cia­scuna, una relazione col Dhamma e, di
con­seguenza, uno speciale interesse per il lavo­ro interiore dell’altro. Uno dei motivi prin­cipali di giovamento di questa doppia rela­zione è che essa rende
più difficile il cadere nella reciproca dipendenza, nel
mu­tuo attaccamento ossessivo e ansioso.
In ambito cristiano lo dice efficacemente E.
Drewermann: "Tu puoi relativizzare l’influsso e il
potere assoluto di altri esseri umani solo quando hai
trovato la strada per arrivare al tuo Dio"*.
Dunque, ancora, la relazione aiuta il Dhamma e
il Dhamma aiuta la relazione e ciascuno dei coniugi
ad andare verso la libertà, verso la sem­plificazione e
la distensione profonda.
E se la complicità del reciproco attacca­mento è un
grande ostacolo, la ‘complicità’ nel porre la pratica al
primo posto per entrambi è, invece, manifestazione
di Dhamma. Questa complicità po­sitiva e sollecita
è un’ importante salva­guardia. Infatti, anche senza
considerare i pericoli d’involuzione nel senso di reci­
proca possessività e attaccamento, c’è il pericolo di
addormentarsi nella buona rela­zione, di assopirsi
nella confortevole nic­chia di una disciplina spirituale
diventata facile. Ma fortunatamente quattro occhi
vedono meglio di due. E dunque il coniuge che
colga un addormentamento nell’uno, nell’altro o in
entrambi lo farà presente, fungendo così da specchio
* E. Drewermann, Parole per una terra da scoprire, Queriniana, Brescia 1993, p. 25.
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
di consapevolezza per entrambi.
Fedeltà e il ribaltamento di mettā
Un’ultima annotazione su fiducia-accettazione. La
fiducia reci­proca dei coniugi e, insieme, la fiducia di
ciascuno nel Dhamma rendono più facile e naturale
la fedeltà coniugale, il terzo precetto buddhista, e
una sensibilità più sveglia e pronta a riguardo. Il
praticante non in­genuo avrà buon senso e umiltà,
per non considerarsi mai al di là della tra­sgressione;
buonsenso e umiltà che gli faranno capire l'utilità
della riflessione sull’essenza dei precetti etici: il non
nuocere. Ciò significherà, in concreto, una certa
premura nel proteggere la relazione, esercitando un
attivo lasciare andare davanti a situazioni pericolose.
È anche fruttuosa la pratica di ribaltare nel senso
di mettā, un’ attrazione che vedessimo nascere in
noi. In­vece di appropriarsi del desiderio sorto per
una persona e di identifi­carsi con esso, il praticante
ne userà l’energia, per accendere un augurio di bene
profondo per la persona oggetto di attra­zione.
Un ribaltamento del genere presuppone che la
relazione coniu­gale non sia problematica. In questo
caso, operazioni del genere, al di là delle nostre
migliori intenzioni, possono finire con l’accrescere il
risenti­mento. Come se una voce dentro di noi dicesse:
“Ho rinunciato a tanto per colpa tua, ora debbo
rinunciare anche a questo”. Se la consapevolezza ci
mostra questi contenuti, sarà necessa­ria una profonda
riflessione sulla nostra relazione.
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
L’esercizio meditativo nella coppia
Per provare a rispondere in manie­ra particola­reggiata
alla domanda su cosa giovi a trasformare una relazione
co­niugale in una relazione dhammica, abbia­mo considerato la fiducia-accettazione. Adesso rifletteremo
sulla pratica del Dhamma, nella relazione.
Anzitutto è inutile ricordare quanto giovi alla
relazione e alla pratica il sedersi quotidianamente
in meditazione insieme: un momento forte del
saògha familiare. Naturalmente senza rigidezza, data
l'eventualità di orari di vita e di lavo­ro diversi.
Fare ritiri congiuntamente o disgiun­tamente è
un grande aiuto per la crescita della relazione nel
Dhamma: l’eserci­zio nei ritiri tende a potenziare sia la
pra­tica sia la relazione. Ciò, tuttavia, può comportare
un certo travaglio, perché il ritiro sarà impietoso nel
mettere a nudo la verità e le eventuali carenze della
relazione. Qualora la relazione non superi una certa
soglia di carenze e qualora chi partecipi al ritiro abbia
una pratica solida, il ritiro può rivelarsi un’ottima
medicina per curare e sostenere la relazione. Nel
caso, invece, che i problemi relazionali siano elevati,
un ritiro può esse­re il catalizzatore di una profonda
messa in discussione della relazione.
Nella pratica dei ritiri, capita di osservare, in ambito coniu­gale, un fenomeno apparentemente paradossale. Quando il ri­tiro non è fatto insieme, il di­
stacco dal coniuge dispiace. Non solo, ma poiché
una buona relazione è come il vino buono, e migliora col passare del tempo, questo di­spiacere - la ‘sindrome dello strappo’ - diventa più vivo col passare
degli anni. Al tempo stesso - ecco il paradosso - ci
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
sentiamo sostenuti dal coniuge, in questa separazio­
ne dolorosa per entrambi. A causa della relazione,
dunque, sentiamo sia lo strappo sia il sostegno nello
strappo.
Più che un paradosso, tuttavia, si tratta di una
tipica espressione di quella che abbiamo chiamato
doppia relazione: rela­zione tra due persone che
hanno a cuore la pratica del­l’altro, che in qualche
modo, porta frutto a entrambi.
Il frequente scambio di osservazioni
circa la pratica
Questo scambio mi sembra una piccola perla della
‘pratica a due’. È auspicabile farlo non meno di un
paio di volte alla settimana, senza che diventi un
rituale rigido, ma, anzi, rendendolo il più informale
possibile. In genere, richiede qualche ‘rodaggio’
per superare certi vicoli chiusi, gli stessi dei gruppi
di meditazione, nella fase dei resoconti di pratica.
Mi riferisco alla genericità (la pratica va bene) e al
fraintendi­mento della materia prima della pratica
con la pratica: per esempio, se descriviamo una giornata difficile ab­biamo solo fatto un’introduzio­ne; se
a questa non segue la descrizione di quali iniziative
di pratica abbiamo preso per rapportarci in maniera
spiritualmente feconda con le dif­fi coltà della giornata, stiamo indugiando fuori dalla pratica.
Una volta appreso come fare, lo scambio può di­
ventare uno strumento di crescita interiore notevole,
dove entra in gioco un elemento prezioso: la speciale
conoscenza tra coniugi, al punto di potersi dire, in
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
molti casi, che un coniuge è il migliore conoscitore
dell’altro.
L’attitudine devota verso il coniuge
e la relazione
Questo significa che il coniuge può essere per certi
aspetti il migliore maestro per l’altro. Può accadere,
per esem­pio, che un grande maestro mi dica cose
profonde, ma non così tagliate su misura per me
come, invece, possono essere a volte le osservazio­ni
del mio coniuge prati­cante. Il coniuge può essermi
mae­stro e potrò essere maestro del mio coniuge.
Flessibilità e alternanza di ruolo sono segno di
buona salute e di buona fioritura dhammica nella
relazione. Non così se i ruoli sono fissi, ossia un co­
niuge sempre nel ruolo di maestro, l’altro in quello
di discepolo. Perché ogni coniuge possa essere
percepito alternativamente come maestro ci deve
essere in entrambi la qualità di discepoli.
In pratica questo significa coltivare la devozione nei
riguardi del coniuge e nei riguardi della relazione. È
importante non avere paure o pregiudizi intorno alla
paro­la devozione, che significa dedizione gene­rosa,
prontezza al bene, sollecitudine. Grazie alla devozio­
ne, saremo natural­mente ricettivi a ciò che il coniu­
ge ha da dirci e, simmetricamente, il coniuge sarà
ricettivo nei nostri confronti. In questa prospettiva,
il rapporto coniugale sarà il rapporto naturalmente
privilegiato e avrà una naturale precedenza sugli altri rapporti. ‘Naturalmente’ indica non il dovere, ma
una tranquilla preferenza per il nostro co­niuge.
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
Questo dinamismo di devozione recipro­ca che si
intreccia con la comune devozione al Dhamma è un
tratto molto bel­lo della relazione dhammica. Dice un
mae­stro di Vedanta, A. Desjardins: “L’unica relazione
che può essere (o può gradual­mente diventare) ricca
e perfetta come la relazione col guru è quella tra
moglie e marito”*. Qui non credo s’intenda che la
relazione coniugale dhammica escluda o rimpiazzi la
relazione col maestro o con maestri, ma si vuole dire,
credo, che la relazione coniugale può essere spiritual­
mente molto potente. Le possibili conseguenze più
alte della de­vozione, sono illustrate, ad esempio,
da Chokyi Nyima Rimpoche: “Per quale mo­tivo è
necessario sviluppare devozione e compassione? Nel
momento in cui avver­tiamo profonda devozione è
possibile che la mente resti totalmente scoperta e
nuda. In quell’istante la saggezza profonda che abita
in ciascuno può essere più facilmente realizzata”**.
A proposito di devozione coniu­gale e dhammica,
mi pare se ne possano individuare tre stadi: 1. un
primo lampeg­giamento nella devozione che affiora
nel­l’innamoramento iniziale; 2. una paziente alimentazione della devozione, in genere della durata
di diversi anni. Se paiono troppi, bisogna ricordarsi
delle metafore appro­priate: la quercia e il pino; 3. la
devozione comincia come a prendere il sopravvento
* A. Desjardins, Toward the fullness of life, Putney and Brat-
tleboro, Vermont 1990, p. 146 (ed. orig. Pour une vie réussi, La
Table Ronde, Paris).
** Chokyi Nyima Rimpoche, The Union of Mahamudra and
Dzogchen, Ranjung Yeshe Publications, Hong Kong 1989, p.
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
e a comparire spontaneamente: la barca ha sempre
meno bisogno del nostro remare e, sempre più, vie­
ne sospinta dal vento.
Mi sembra importante osservare che così come
noi prima ci prendiamo cura della pratica del
Dhamma e poi, da un certo punto in avanti, è come
se la pratica si prendesse cura di noi, allo stesso
modo noi prima ci prendiamo cura della relazio­ne
e poi, da un certo momento, la relazio­ne comincia
a prendersi cura di noi. Due fenomeni omogenei e
speculari. Il che spiega ulteriormente i motivi della
grande compatibilità e reciproca interpenetrabilità
di Dhamma e vita coniugale.
Riposare nel presente ed espandere
benevolenza
Allorché la relazione coniugale è ma­turata di­
ventando una relazione devota, os­sia accompagnata
dalla reciproca devozio­ne dei coniugi e dalla devozio­
ne per il Dhamma, può aiutarci ad andare più a fondo in alcune aree centrali del cammino interiore.
Penso anzitutto a una maggiore capacità di
stare nel presente, di fiorire nel momen­to. Infatti,
proprio quella fiducia e quel reciproco sostegno di
cui abbiamo parlato, se ne rivelano potenti vettori.
Inutile dire che una relazione problematica spinge
nella direzione opposta, allontanandoci dal presente:
nel rammarico, nel desiderio, nel ricordo di torti
subiti o nella paura di torti futuri.
Una buona relazione in cui il Dhamma è la stella
polare, riposa invece di essere causa di stress e rende
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
più agevole l’accesso all’esperienza del presen­te. E
anche la gioia generata dalla relazione è un altro
invito a riposare nel presente.
Una maggiore familiarità con la fi­ducia e la
distensione, e una crescente inti­mità col presente,
hanno un effetto della massima importanza, un
anno dopo l’altro. L’effetto, cioè, di suscitare nibbidá,
il salutare disincanto nei confronti della men­
te giudicante in noi stessi; nei con­fronti di quella
mente che sentenzia, condanna, separa e divide,
im­pedendo la vera comprensione e ostacolando
l’intelligenza calda che libera.
Con nib­bidá si attenua in noi la dipendenza, la
dipendenza dalla mente separante e dualizzante,
mente che è al polo opposto dell’accettazione; al
tem­po stesso aumentano l’interesse e l’attrazione per
la mente accettante, unificante, perdo­nante.
A questo proposito, una relazione dhammica
può offrire un contributo importante. Lo possiamo
riepilogare con queste parole: “Così come io sono
cresciuto interiormente grazie anche all’ac­cettazione
non giudicante del mio coniuge, e così come vedo
che lo stesso accade al mio coniuge, in virtù della mia
accettazione non giudicante - accettazione, frutto di
un lungo tirocinio nel Dhamma - desi­dero con naturalezza espandere quest’attitudine oltre i confini della
rela­zione”.
I frutti di una relazione dhammica tendono
a trasbordare oltre la relazione. Ciò è vero in
qualche misura di ogni buona relazione. Ma è par­
ticolarmente vero di una relazione dhammi­ca, tra
i cui fondamenti c’è la frequente alimentazione
dell’intento altruistico (chiamato mettá in certe
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La relazione coniugale come via di crescita nel Dhamma
scuole, bodhicitta in altre). E’come ci fosse un canale
perché il frutto della relazione passi in un cerchio
più ampio. Ricordando che uno sguardo divenuto
più accettante indica un graduale e profondo
rinnovamento del modo di percepi­re il mondo.
Riassumendo, è certamente possibile che una
relazione cresciuta nel Dhamma, invece di vettore di
tensione, complicazione, moltiplicazio­ne di desiderio e avversione, diventi portatrice di semplificazio­
ne, di pace e di distensione, aiutando i coniugi a
camminare fiduciosamente verso ciò che non na­sce
e che non muore.
Revisionato da Biblioteca Vipssana, 2015.
La suddivisione in paragrafi e la loro titolazione è
a cura della Redazione.
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