Sega - Stilo 1

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Sega - Stilo 1
Provincia
Reggio Calabria
Comune
Stilo
XIX SCUOLA ESTIVA DI ASTRONOMIA DI STILO
21 – 26 luglio 2014 Stilo (Reggio Calabria)
Influenze astronomiche sulla Terra
Provincia
Reggio Calabria
Comune
Stilo
Martedì 22 Luglio, ore 9,00-11,00
Si può prevedere il futuro dalle stelle?
Ne discutono i due fratelli Quinto e Marco Cicerone
Giovanni Sega
Gli uomini possono conoscere il
presente (quello percepibile con i sensi)
e il passato (mediante la memoria), non
il futuro.
Il futuro per gli antichi era conoscibile
solo da parte degli dei che, essendo
immortali, quindi fuori del tempo, ne
governavano tutta l’estensione infinita,
verso il passato e verso il futuro.
La previsione del futuro, o di eventi
presenti non direttamente percepibili
perché lontani nello spazio, è stata
inseguita e tentata da tutte le culture
antiche (anche dalle moderne e
contemporanee) secondo varie strade.
L’idea-base delle speculazioni dei Greci
e dei Latini era che gli astri del cielo
fossero esseri divini:
Agli uomini è stata data un’anima che
proviene da quei fuochi eterni, che
chiamate astri e stelle.
Queste, di forma sferica e arrotondata,
animate da menti divine, effettuano le
loro orbite circolari con velocità
straordinaria.
Cicerone, Somnium Scipionis 15.
Paolo che parla al figlio, Scipione Emiliano)
(è il padre Lucio Emilio
Se gli astri, soprattutto quelli più vicini
(luna, pianeti e sole), sono esseri divini,
e conoscono il futuro…
come interrogarli?
e soprattutto, come cogliere e
interpretare le loro eventuali risposte?
Fra le tante strade che si potevano
seguire per esporre i tentativi
di scoprire il futuro dalle stelle,
ho preferito una strada
non trattatistica, ma narrativa.
Leggeremo un’opera non molto nota di
Cicerone, De divinatione, in cui il
filosofo-oratore discute col fratello
Quinto sul valore o meno delle
previsioni astrologiche e oracolari.
Quinto ci crede, Marco (Cicerone) no.
Il primo libro espone le posizioni di
Quinto,
il secondo le confutazioni di Marco.
È un’opera singolarmente
«progressista», per un politico
conservatore come Cicerone.
La potremmo definire illuminista.
I triunviri, Ottaviano, Antonio, Lepido,
dopo la morte di Cesare formulano le
loro liste di proscrizione nelle quali
Antonio fa inserire il nome di Cicerone.
Egli si rifugiò prima a Tuscolo, poi
cercò di fuggire verso Napoli, ma fu
raggiunto a Formia e ucciso.
Era il 7 dicembre del 43.
Pochi giorni prima erano stati già
uccisi il fratello Quinto ed il figlio.
Marco aveva scritto il De divinatione
nella prima parte del 44.
Indice degli argomenti
1.Rapporti tra l’uomo e l’universo
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
2. Come Cicerone imposta il problema della
divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)
2.1. La storia e la tradizione
2.2. La filosofia
3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria
(1, 1-2)
3.1. L’incipit del De divinatione
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della
scienza divinatoria
4. Il progetto del De divinatione: due tesi a
confronto (1, 7-11)
«Mi sembra necessario mettere a confronto, con
particolare cura, le argomentazioni degli uni con
quelle degli altri» (1, 7)
5. Le certezze di Quinto (libro primo)
5.1. Esistono due tipi di divinazione
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni
tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre
“arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli
animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della calamita
5.2.3. L’analogia col seme
6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le
obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)
6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro
casi emblematici
6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco:
Prassitele come Michelangelo
6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato
dalla morte
6.2.B. Al destino non si può sfuggire
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se
avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
6.5.A. Il
secondo
6.5.B. Il
secondo
caso della mula che ha partorito,
Quinto.
caso della mula che ha partorito,
Marco: se è accaduto era possibile.
6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto:
la divinazione esiste.
6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la
divinazione non esiste.
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo
Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra (371 a.C. fra Sparta e Tebe),
secondo Quinto.
6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra, secondo Marco.
7. La conclusione “socratica” del dialogo:
conflitti tragici e conflitti filosofici
* Testi stoici. Hans von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta
1.Rapporti tra l’uomo e l’universo
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
2. Come Cicerone imposta il problema della
divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)
2.1. La storia e la tradizione
2.2. La filosofia
3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria
(1, 1-2)
3.1. L’incipit del De divinatione
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della
scienza divinatoria
1. Rapporti tra l’uomo e l’universo
Tra l’uomo e l’universo, sia nella parte
cosmica e astronomica, sia nella
componente terrena, organica (il
mondo animale e vegetale) e inorganica
(solida, liquida, aeriforme), secondo gli
Stoici, c’è uno stretto legame, derivante
da una comunanza profonda tra tutti gli
esseri esistenti: tutti partecipano del
lógos, che pervade e anima tutto
l’esistente.
Questo logos diffuso, lógos
spermatikós, un seme divino presente
in tutti gli essere viventi e non, fa sì che
tutto l’universo sia come un grande
unico organismo, dotato di sympátheia
(etimologicamente: sún: “con” e
páthos: “ciò che si prova”,
“avvenimento”, “sentimento”): una
“affinità e conformità di sentimento”,
un significato che, in parte, si è
conservato nel derivato italiano
“simpatia”.
Questo comporta che esista un dialogo
profondo, non sempre cosciente, tra
l’uomo e l’universo, tra l’uomo e il
mondo circostante.
Segni di questa interdipendenza gli
Stoici li trovavano a tutti i livelli.
Ad esempio,
nel linguaggio,
oppure nelle previsioni del futuro.
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
«Di queste cose principio e grande
maestra è la natura, che ci rende
capaci di imitare e di imporre nomi,
con i quali le cose vengono
manifestate in base a certe
somiglianze che agiscono sul lógos
(eÙlÒgouj) e stimolano il pensiero».
Dionisio di Alicarnasso, De compositione verborum 16
Ci sono osservazioni, significative per
la loro ingenuità e suggestione insieme,
con le quali Crisippo di Soli (Cipro,
281-208 a.C.), uno dei filosofi stoici più
importanti, dimostra la congruenza
“naturale” del linguaggio con gli
oggetti designati, i referenti.
Le riporta Galeno, il medico (129-216
d.C.), nell’opera:
I dogmi di Ippocrate e di Platone .
pag. 2
«Quando diciamo “io”, lo diciamo
indicando noi stessi (con le mani) nel
luogo in cui risulta esserci la mente, e
questo gesto di indicazione è naturale
e appropriato, ma anche senza di esso
quando diciamo “egó”, accenniamo a
noi stessi, in quanto già di per sé la
pronuncia di questa parola è tale da
accompagnarsi ad una indicazione del
modo che andiamo a descrivere».
«Nel pronunciare la parola “egó”, già
nella prima sillaba: “e-” noi
abbassiamo il labbro come a indicare
noi stessi.
In corrispondenza del movimento
della mascella, si fa un cenno verso il
petto e in concomitanza di questa
indicazione si pronuncia la seconda
sillaba: “-gó”, ma non si dà
l’impressione della distanza, come
capita con ™ke‹noj (quello)».
«Se nell’acconsentire pieghiamo il
capo vogliamo dimostrare che proprio
in quella parte verso cui lo portiamo,
in quella è la sede del principio
direttivo dell’anima ...
C’è anche l’analisi dei movimenti delle
mani, quando ci tocchiamo il petto per
indicare noi stessi, o l’analisi del
termine “egó”, il quale già nel modo
in cui lo si pronuncia ha un che di
indicativo, perché con la sua prima
sillaba piega la mascella inferiore e il
labbro verso il petto».
Queste osservazioni sulla natura del
linguaggio hanno avuto un’eco di
consenso anche nella cultura latina.
Ne parla Aulo Gellio (sec. II d.C.),
citando il grammatico e filosofo
Nigidio Figulo (98-45 a.C.)
«Quando noi diciamo vos (voi),
formiamo un movimento della bocca
in accordo con quel vocabolo,
avanzando lievemente l'estremità
delle labbra e dirigendo l'impulso
della voce verso coloro con i quali
intendiamo parlare.
Quando invece diciamo nos (noi), non
pronunciamo il vocabolo né spingendo
fuori il soffio della voce, né avanzando
le labbra, ma quasi tratteniamo in noi
sia il fiato che le labbra».
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
Nel Commento al Timeo di Platone, il
filosofo latino Calcidio (sec. IV)
spiega con precisione e convinzione
come la sympátheia stoica sia
all’origine della possibilità, per
l’uomo, di leggere il futuro.
«Eraclito, in sintonia con gli Stoici,
collega la nostra ragione con quella
divina impegnata nella direzione e
nella conduzione delle cose del mondo.
A motivo di questa inscindibile
connessione, l’anima umana è resa
consapevole della legge razionale,
cosicché quando è dormiente svela per
il tramite dei sensi il futuro:
ecco perché in sogno ci appaiono
immagini di luoghi mai visti o figure di
uomini non solo vivi, ma anche morti».
«Il medesimo Eraclito è fautore della
divinazione, la quale fa previsioni a
chi ne è meritevole, sotto la guida
delle potenze divine.
E anche questi Stoici si appoggiano a
tale dottrina per sostenere una
scienza stabile e organica».
1.Rapporti tra l’uomo e l’universo
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
2. Come Cicerone imposta il problema della
divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)
2.1. La storia e la tradizione
2.2. La filosofia
3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria
(1, 1-2)
3.1. L’incipit del De divinatione
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della
scienza divinatoria
2. Come Cicerone imposta il problema
della divinazione: la storia e la filosofia
(1, 2-8)
Cicerone imposta i problema secondo due linee
di sviluppo:
da una parte la storia e la tradizione,
dall’altra, la filosofia.
Mentre la storia, la tradizione dei più antichi
popoli della Mesopotamia, gli Assiri e i Caldei,
la tradizione degli Egiziani, poi dei Greci, degli
Etruschi e dei Romani è unanime nella fede
verso la divinazione,
i filosofi non sono altrettanto unanimi nel
giudizio da dare sui fatti divinatori.
2.1. La storia e la tradizione
«I Romani hanno praticato la
divinazione sia per gli affari di Stato
sia per prendere decisioni private.
Romolo stesso fondò Roma dopo aver
preso gli auspicii, ed era egli stesso un
ottimo àugure» (De divinatione 1, 3)
In linea con la cultura “normativa” di
tutta la tradizione giuridica romana,
hanno cercato di “governare” un
fenomeno tipicamente irrazionale ed
emotivo attraverso la legge.
«E poiché le anime umane, quando
non le governano la ragione e il
sapere, sono eccitate spontaneamente
in due modi, negli accessi di follìa e
nei sogni, i nostri antenati, ritenendo
che la divinazione manifestantesi nella
follìa fosse interpretata soprattutto
nei versi sibillini, istituirono un
collegio di dieci interpreti di tali libri,
scelti fra i cittadini».
De divinatione 1, 4
2.2. La filosofia
I filosofi, invece, non erano unanimi
nella valutazione del fenomeno
divinatorio e, più in generale, nella
stessa concezione della divinità.
Cicerone passa in rassegna le
posizioni più rilevanti dei filosofi greci
e di alcuni intellettuali romani
sull’esistenza o meno della
divinazione.
I filosofi sono di tre categorie:
A. scettici
B. favorevoli
C. problematici
I filosofi sono di tre categorie:
A. scettici
B. favorevoli
C. problematici
In realtà, sono pochi i filosofi e gli
intellettuali che hanno messo in
dubbio la possibilità di ottenere dagli
dèi indicazioni sul futuro.
Cicerone cita tre filosofi greci:
Senofane di Colofone (570-478 a.C.)
Epicuro (342-270 a.C.)
Carneade di Cirene (214-129 a.C.)
e un intellettuale romano:
Gaio Aurelio Cotta (124 -73 a.C.)
Senofane
«Se i buoi e i cavalli e i leoni avessero
mani o potessero con le mani
disegnare e lavorare come gli uomini,
i cavalli dipingerebbero le immagini
degli dèi simili ai cavalli e i buoi simili
ai buoi e farebbero i corpi tali, quale è
la figura che per parte loro ciascuno
possiede.
Gli Etiopi dicono che i loro dèi sono
neri e camusi e i Traci dagli occhi
azzurri e dai capelli fulvi».
Carneade è stato il fondatore della
Nuova Accademia, è citato nel De
divinatione come esponente di una
posizione critica verso la divinazione.
Fece parte, insieme con l’aristotelico
Critolao e lo stoico Diogene di Seleucia,
di una ambasceria inviata a Roma dagli
Ateniesi nel 156 a.C.
La sua oratoria spregiudicata e
travolgente fece a Roma una grande
impressione.
Ne dà testimonianza lo scrittore
cristiano Lattanzio (250 - 303/317)
nelle Divinae Institutiones.
«Carneade, mandato ambasciatore
dagli Ateniesi a Roma, discusse con
abbondanza d'argomenti intorno alla
giustizia in presenza di Galba e di
Catone il Censore, che erano allora i
più grandi oratori».
«Ma il medesimo all'indomani
capovolse la discussione ed annientò
quella giustizia di cui aveva tessuto
l'elogio il giorno precedente, non certo
con quella gravità filosofica che deve
essere salda e coerente di pensiero, ma
alla maniera, per così dire, retorica,
propria dell'esercitarsi nel discutere il
pro ed il contro di una tesi; cosa che
egli era solito fare per poter confutare
gli avversari qualunque cosa
affermassero ...»
«Questa seconda discussione, in cui si
sconvolgono le basi della giustizia, è
ricordata da Cicerone, credo nel De
republica, per introdurre la difesa e
l'elogio della giustizia stessa, senza
della quale riteneva che non si potesse
governare lo Stato».
«Carneade invece, allo scopo di
confutare Aristotele e Platone,
difensori della giustizia, raccolse in
quella sua prima discussione tutti gli
argomenti portati a favore della
giustizia, per poterli abbattere, come
effettivamente fece».
I filosofi sono di tre categorie:
A. scettici
B. favorevoli
C. problematici
Cicerone ascrive a questa categoria tutti i filosofi
greci più noti:
Socrate (470-399 a.C.) e tutti i socratici,
Zenone di Cizio (336/ 335- 263 a.C.), fondatore
dello stoicismo e tutti i suoi seguaci: Cleante di
Asso (330 - 232 a.C.), Crisippo di Soli (281/277208 /204 a.C.), Diogene di Seleucia, detto il
Babilonio (240-150 a. C.), Antipatro di Tarso (sec.
II a.C.), Posidonio di Apamea (135- 50 a.C.), la cui
scuola a Rodi Cicerone frequentò in un breve
periodo tra il 79 e il 77 a.C.;
Pitagora,
Democrito,
l’Accademia di Platone,
la scuola Peripatetica di Aristotele.
I filosofi sono di tre categorie:
A. scettici
B. favorevoli
C. problematici
Tra coloro che hanno dubbi o che
mettono qualche limite alla
possibilità della divinazione ci sono
Dicearco da Messina (350- 290 a.C.),
Cratippo di Rodi (sec. I a.C.)
Panezio di Rodi (185-109 a.C.),
1.Rapporti tra l’uomo e l’universo
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
2. Come Cicerone imposta il problema della
divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)
2.1. La storia e la tradizione
2.2. La filosofia
3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria
(1, 1-2)
3.1. L’incipit del De divinatione
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della
scienza divinatoria
3.1. L’incipit del De divinatione
È uno dei testi più interessanti e
suggestivi di Cicerone:
una sintesi ben riuscita di
• ricerca etimologica
• patriottismo latino
• acutezza riflessiva
«È credenza antichissima, risalente
addirittura all'età eroica
e confermata dalle concordi
testimonianze del popolo Romano e di
tutte le altre genti,
che esista negli uomini una certa
capacità divinatoria, chiamata dai Greci
mantik»n, cioè preveggenza e
conoscenza del futuro»
(praesensionem et scientiam rerum futurarum).
estensione nel tempo
estensione nello spazio
definizione di divinazione
«Capacità davvero mirabile ed utile,
poiché per mezzo di essa, ammesso che
esista, l'uomo può sentirsi quasi dio :
ed è questo il motivo per cui la nostra
gente - che molte cose ha saputo far
meglio dei Greci - ha dato il nome a
quest'arte straordinaria derivandolo dal
concetto di divinità, mentre i Greci,
secondo che intende Platone, lo
derivarono dalla follia».
«Capacità davvero mirabile ed utile,
poiché per mezzo di essa, ammesso che
esista, l'uomo può sentirsi quasi dio :
ed è questo il motivo per cui la nostra
gente - che molte cose ha saputo far
meglio dei Greci - ha dato il nome a
quest'arte straordinaria derivandolo dal
concetto di divinità, mentre i Greci,
secondo che intende Platone, lo
derivarono dalla follia».
divinatio da divus: «divino»
«Capacità davvero mirabile ed utile,
poiché per mezzo di essa, ammesso che
esista, l'uomo può sentirsi quasi dio :
ed è questo il motivo per cui la nostra
gente - che molte cose ha saputo far
meglio dei Greci - ha dato il nome a
quest'arte straordinaria derivandolo dal
concetto di divinità, mentre i Greci,
secondo che intende Platone, lo
derivarono dalla follia».
mantik»n da man…a
«follia»
L’accostamento tra mania e mantica
Cicerone lo riprende da un passo del
Fedro (244b) di Platone, dove Socrate
afferma che «la mania non è certo un
male se la Pizia, la sacerdotessa di
Delfi, e le sacerdotesse di Dodona, in
Epiro, che prevedono il futuro quando
il loro nume le fa uscire di senno,
procurarono alla Grecia molti e bei
benefici e in privato e in pubblico».
Socrate aggiunge che «anticamente
l’arte divinatoria veniva chiamata
manica e non mantica; quindi coloro
che hanno coniato i nomi non hanno
considerato la mania come una cosa né
brutta né vergognosa.
In caso diverso, non avrebbero
chiamato manica la più bella fra le arti
con la quale si prevede il futuro».
Torniamo al testo del De divinatione
«D'altra parte io non conosco alcun
popolo, civile e colto o selvaggio e
barbaro, che non creda che il futuro può
esserci rivelato e che anzi alcuni
possono intuirlo e predirlo».
«D'altra parte io non conosco alcun
popolo, civile e colto o selvaggio e
barbaro, che non creda che il futuro può
esserci rivelato e che anzi alcuni
possono intuirlo e predirlo».
«D'altra parte io non conosco alcun
popolo, civile e colto o selvaggio e
barbaro, che non creda che il futuro può
esserci rivelato e che anzi alcuni
possono intuirlo e predirlo».
«D'altra parte io non conosco alcun
popolo, civile e colto o selvaggio e
barbaro, che non creda che il futuro può
esserci rivelato e che anzi alcuni
possono intuirlo e predirlo».
la divinazione non dipende dalla civiltà e dalla cultura
la divinazione non è ostacolata dalla condizione di barbarie
ci sono esseri umani in grado di intuire e predire il futuro
«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la
loro antichità conferma le mie parole,
poiché abitavano un paese vasto e
pianeggiante
e potevano mirare la volta celeste in
tutta la sua libera immensità,
presero ad osservare i passaggi e i
movimenti degli astri, li registrarono e
ne tramandarono ai posteri il
significato».
«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la
loro antichità conferma le mie parole,
poiché abitavano un paese vasto e
pianeggiante
e potevano mirare la volta celeste in
tutta la sua libera immensità,
presero ad osservare i passaggi e i
movimenti degli astri, li registrarono e
ne tramandarono ai posteri il
significato».
«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la
loro antichità conferma le mie parole,
poiché abitavano un paese vasto e
pianeggiante
e potevano mirare la volta celeste in
tutta la sua libera immensità,
presero ad osservare i passaggi e i
movimenti degli astri, li registrarono e
ne tramandarono ai posteri il
significato».
«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la
loro antichità conferma le mie parole,
poiché abitavano un paese vasto e
pianeggiante
e potevano mirare la volta celeste in
tutta la sua libera immensità,
presero ad osservare i passaggi e i
movimenti degli astri, li registrarono e
ne tramandarono ai posteri il
significato».
paesaggio terrestre
paesaggio celeste
nascita della scienza astronomica
Principio Assyrii, ut ab ultumis
auctoritatem repetam, propter
planitiam magnitudinemque regionum,
quas incolebant, cum caelum ex omni
parte patens atque apertum
intuerentur, traiectiones motusque
stellarum observitaverunt, quibus
notatis, quid cuique significaretur,
memoriae prodiderunt.
Principio Assyrii traiectiones
motusque stellarum observitaverunt
ut ab ultumis
auctoritatem repetam
cum caelum
intuerentur
et memoriae
prodiderunt
his
quid cuique
notatis significaretur
propter planitiam
magnitudinemque
regionum, ex omni parte
patens atque apertum
quas
incolebant
«In questo popolo i Caldei, così
chiamati dal nome della loro stirpe e
non dalla professione, sono considerati
quelli che
della ininterrotta osservazione degli
astri fecero una scienza
per mezzo della quale può a ciascuno
predirsi il futuro e il destino con il quale
è nato».
la scienza astronomica
è un mezzo per prevedere il futuro
1.Rapporti tra l’uomo e l’universo
1.1. La natura del linguaggio
1.2. La previsione del futuro
2. Come Cicerone imposta il problema della
divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)
2.1. La storia e la tradizione
2.2. La filosofia
3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria
(1, 1-2)
3.1. L’incipit del De divinatione
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della
scienza divinatoria
3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita
della scienza divinatoria
Cicerone prende in considerazione i
luoghi di residenza di molti popoli e per
ciascuno individua le caratteristiche
topografiche e ambientali che hanno
favorito la nascita della scienza
divinatoria.
«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono
soprattutto dediti alla pastorizia,
percorrendo le pianure d'inverno e le
montagne d'estate, hanno perciò
notato più agevolmente i diversi canti e
voli degli uccelli;
e per lo stesso motivo hanno fatto ciò
gli abitanti di questa nostra Umbria».
«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono
soprattutto dediti alla pastorizia,
percorrendo le pianure d'inverno e le
montagne d'estate, hanno perciò
notato più agevolmente i diversi canti e
voli degli uccelli;
e per lo stesso motivo hanno fatto ciò
gli abitanti di questa nostra Umbria».
«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono
soprattutto dediti alla pastorizia,
percorrendo le pianure d'inverno e le
montagne d'estate, hanno perciò
notato più agevolmente i diversi canti e
voli degli uccelli;
e per lo stesso motivo hanno fatto ciò
gli abitanti di questa nostra Umbria».
«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono
soprattutto dediti alla pastorizia,
percorrendo le pianure d'inverno e le
montagne d'estate, hanno perciò
notato più agevolmente i diversi canti e
voli degli uccelli;
e per lo stesso motivo hanno fatto ciò
gli abitanti di questa nostra Umbria».
«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono
soprattutto dediti alla pastorizia,
percorrendo le pianure d'inverno e le
montagne d'estate, hanno perciò
notato più agevolmente i diversi canti e
voli degli uccelli;
e per lo stesso motivo hanno fatto ciò
gli abitanti di questa nostra Umbria».
«I carii e in particolare gli abitanti di
Telmesso, siccome vivono in plaghe
ricchissime ed estremamente fertili,
nelle quali per la fecondità del terreno
molte piante e animali possono
formarsi e generarsi, osservarono con
accuratezza gli esseri abnormi».
«I carii e in particolare gli abitanti di
Telmesso, siccome vivono in plaghe
ricchissime ed estremamente fertili,
nelle quali per la fecondità del terreno
molte piante e animali possono
formarsi e generarsi, osservarono con
accuratezza gli esseri abnormi».
«I carii e in particolare gli abitanti di
Telmesso, siccome vivono in plaghe
ricchissime ed estremamente fertili,
nelle quali per la fecondità del terreno
molte piante e animali possono
formarsi e generarsi, osservarono con
accuratezza gli esseri abnormi».
«I carii e in particolare gli abitanti di
Telmesso, siccome vivono in plaghe
ricchissime ed estremamente fertili,
nelle quali per la fecondità del terreno
molte piante e animali possono
formarsi e generarsi, osservarono con
accuratezza gli esseri abnormi».
«Gli egiziani e i babilonesi, che
abitavano in distese di campi
pianeggianti, poiché nessuna altura
poteva ostacolare la contemplazione
del cielo, posero tutto il loro studio
nella conoscenza degli astri».
«Gli egiziani e i babilonesi, che
abitavano in distese di campi
pianeggianti, poiché nessuna altura
poteva ostacolare la contemplazione
del cielo, posero tutto il loro studio
nella conoscenza degli astri».
«Gli egiziani e i babilonesi, che
abitavano in distese di campi
pianeggianti, poiché nessuna altura
poteva ostacolare la contemplazione
del cielo, posero tutto il loro studio
nella conoscenza degli astri».
«Gli egiziani e i babilonesi, che
abitavano in distese di campi
pianeggianti, poiché nessuna altura
poteva ostacolare la contemplazione
del cielo, posero tutto il loro studio
nella conoscenza degli astri».
«Gli etruschi, poiché, sommamente
religiosi, immolavano vittime con zelo
e frequenza particolare, si dedicarono
soprattutto all'indagine delle viscere»
«Gli etruschi, poiché, sommamente
religiosi, immolavano vittime con zelo
e frequenza particolare, si dedicarono
soprattutto all'indagine delle viscere»
«Gli etruschi, poiché, sommamente
religiosi, immolavano vittime con zelo
e frequenza particolare, si dedicarono
soprattutto all'indagine delle viscere»
«Gli etruschi, poiché, sommamente
religiosi, immolavano vittime con zelo
e frequenza particolare, si dedicarono
soprattutto all'indagine delle viscere»
«…(Etruschi) e siccome, per l'aria
pregna di vapori, erano frequenti nella
loro patria i fulmini, e per lo stesso
motivo si verificavano molti fatti
straordinari provenienti in parte dal
cielo, altri dalla terra, taluni anche in
seguito al concepimento e alla
generazione degli esseri umani e delle
bestie, acquistarono una grandissima
perizia nell'interpretare i prodigi».
«…(Etruschi) e siccome, per l'aria
pregna di vapori, erano frequenti nella
loro patria i fulmini, e per lo stesso
motivo si verificavano molti fatti
straordinari provenienti in parte dal
cielo, altri dalla terra, taluni anche in
seguito al concepimento e alla
generazione degli esseri umani e delle
bestie, acquistarono una grandissima
perizia nell'interpretare i prodigi».
«…(Etruschi) e siccome, per l'aria
pregna di vapori, erano frequenti nella
loro patria i fulmini, e per lo stesso
motivo si verificavano molti fatti
straordinari provenienti in parte dal
cielo, altri dalla terra, taluni anche in
seguito al concepimento e alla
generazione degli esseri umani e delle
bestie, acquistarono una grandissima
perizia nell'interpretare i prodigi».
4. Il progetto del De divinatione: due tesi a
confronto (1, 7-11)
«Mi sembra necessario mettere a confronto, con
particolare cura, le argomentazioni degli uni con
quelle degli altri» (1, 7)
4. Il progetto del De divinatione: due tesi a
confronto (1, 7-11)
«Ora, siccome anche io sto indagando
che cosa si debba pensare della
divinazione e non vorrei dare con
troppa leggerezza il mio appoggio ad
una teoria falsa o almeno non ben
conosciuta, mi sembra necessario
mettere a confronto, con particolare
cura, le argomentazioni degli uni con
quelle degli altri».
4. Il progetto del De divinatione: due tesi a
confronto (1, 7-11)
«Ora, siccome anche io sto indagando
che cosa si debba pensare della
divinazione e non vorrei dare con
troppa leggerezza il mio appoggio ad
una teoria falsa o almeno non ben
conosciuta, mi sembra necessario
mettere a confronto, con particolare
cura, le argomentazioni degli uni con
quelle degli altri».
«Di questi argomenti ho discusso altre
volte, ma di recente l'ho fatto con una
certa maggior profondità mentre mi
trovavo con mio fratello Quinto a
Tuscolo, nella mia villa.
Stavamo facendo una passeggiata ed
eravamo arrivati al Liceo - questo è il
nome che ho dato alla palestra alta quando egli mi disse: ″Ho letto
recentemente, e con molta attenzione,
il tuo terzo libro su La natura degli
dèi″…»
«Di questi argomenti ho discusso altre
volte, ma di recente l'ho fatto con una
certa maggior profondità mentre mi
trovavo con mio fratello Quinto a
Tuscolo, nella mia villa.
Stavamo facendo una passeggiata ed
eravamo arrivati al Liceo - questo è il
nome che ho dato alla palestra alta quando egli mi disse: ″Ho letto
recentemente, e con molta attenzione,
il tuo terzo libro su La natura degli
dèi″…»
«Ma in quel trattato fu lasciato in
disparte un argomento, quello relativo
alla divinazione, cioè alla facoltà di
saper predire e prevedere gli eventi che
si ritengono dovuti al caso».
«Ma in quel trattato fu lasciato in
disparte un argomento, quello relativo
alla divinazione, cioè alla facoltà di
saper predire e prevedere gli eventi che
si ritengono dovuti al caso».
«Cerchiamo dunque di capire che
importanza essa abbia e quale ne sia la
essenza; perché io son convinto che, se
sono vere quelle forme di divinazione
che gli avi ci hanno trasmesso, e noi
continuiamo a praticare, gli dèi
esistono; e, all'opposto, se gli dèi
esistono, deve anche esistere chi sia in
grado di predire il futuro».
«Cerchiamo dunque di capire che
importanza essa abbia e quale ne sia la
essenza; perché io son convinto che, se
sono vere quelle forme di divinazione
che gli avi ci hanno trasmesso, e noi
continuiamo a praticare, gli dèi
esistono; e, all'opposto, se gli dèi
esistono, deve anche esistere chi sia in
grado di predire il futuro».
«Cerchiamo dunque di capire che
importanza essa abbia e quale ne sia la
essenza; perché io son convinto che, se
sono vere quelle forme di divinazione
che gli avi ci hanno trasmesso, e noi
continuiamo a praticare, gli dèi
esistono; e, all'opposto, se gli dèi
esistono, deve anche esistere chi sia in
grado di predire il futuro».
«Cerchiamo dunque di capire che
importanza essa abbia e quale ne sia la
essenza; perché io son convinto che, se
sono vere quelle forme di divinazione
che gli avi ci hanno trasmesso, e noi
continuiamo a praticare, gli dèi
esistono; e, all'opposto, se gli dèi
esistono, deve anche esistere chi sia in
grado di predire il futuro».
«Cerchiamo dunque di capire che
importanza essa abbia e quale ne sia la
essenza; perché io son convinto che, se
sono vere quelle forme di divinazione
che gli avi ci hanno trasmesso, e noi
continuiamo a praticare, gli dèi
esistono; e, all'opposto, se gli dèi
esistono, deve anche esistere chi sia in
grado di predire il futuro».
5. Le certezze di Quinto (libro primo)
5.1. Esistono due tipi di divinazione
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni
tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre
“arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli
animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5. Le certezze di Quinto (libro primo)
5.1. Esistono due tipi di divinazione
«Ci sono due forme di divinazione:
una legata all’abilità professionale,
l’altra legata alla natura.
I professionisti sono gli àuguri che
predicono il futuro dalle viscere degli
animali, gli astrologhi che sanno
interpretare prodigi e folgori, gli
interpreti dei segni delle sorti.
La divinazione naturale è legata ai sogni
e ai responsi dei veggenti».
«Di tutto questo», dice Quinto,
«conviene ricercare piuttosto gli effetti
che le cause, poiché esiste una forza
naturale che è capace di predire il futuro
sia dall’osservazione attenta e
prolungata di determinati segni sia per
un non so qual divino stimolo o
suggerimento».
Su questa differenza tra effetti e cause si baserà tutta
l’argomentazione di Quinto. Che le previsioni esistano è
indubbio, ci sono le prove (effetti); come e perché il
fenomeno divinatorio si possa realizzare (cause) può
essere, anzi è un mistero.
5. Le certezze di Quinto (libro primo)
5.1. Esistono due tipi di divinazione
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni
tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre
“arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli
animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e
in ogni tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e
altre “arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere
degli animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della
calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2. La divinazione è diffusa ovunque
e in ogni tempo.
Questa specie di assioma, che non
avrebbe bisogno di dimostrazione, data
la sua evidenza, viene sostenuto da
alcuni argomenti, basati sulla figura
retorica della similitudine, un
espediente retorico di indubbia
efficacia.
L’oratore Cicerone sa bene, per averlo
sperimentato nelle arringhe dei
tribunali, che la narrazione e la
presentazione di exempla catturano
l’attenzione e predispongono al
consenso.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre
“arti” (1, 12-16)
Quinto porta exempla da campi
apparentemente lontani dalla
divinazione, ma che presentano
singolari affinità con col fenomeno
divinatorio:
• la medicina
• le previsioni atmosferiche
• le previsioni dalle viscere degli
animali e dai fulmini
5.2.1.1. I misteri della medicina
Le erbe e le radici
Il convolvolo e l’aristolochia
«È lecito constatare con lieta
meraviglia quali specie di erbe e di
radici atte a curare le morsicature
delle bestie, le malattie degli occhi, le
ferite, siano state scoperte dai
medici, senza che la ragione abbia
mai spiegato il motivo della loro
efficacia: eppure la loro utilità ha
dato credito all'arte medica e allo
scopritore».
«Quale utilità ha la radice del
convolvolo come purgante, quale
efficacia ha l'aristolochia contro il
morso dei serpenti? (questa pianta si
chiama così dal nome del suo
scopritore, il quale la trovò in seguito
a un sogno); io vedo che ciò è
possibile, e mi basta; perché sia
possibile, non so».
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
Il mare e i monti
Le rane
I buoi
Le piante
Il mare e i monti
«Osserviamo un po' quei fenomeni che,
pur appartenendo a un genere diverso,
sono tuttavia alquanto affini alla
divinazione:
″E anche il mare gonfio indica spesso
l'appressarsi dei venti, quando all'improvviso
e fin dal profondo si solleva, e gli scogli
biancheggianti, battuti dalla spuma nivea
dell'acqua salata, gareggiano con Nettuno nel
mandar lugubri voci, o quando un fitto
stridore, proveniente dall'alta vetta d'un
monte, si accresce, ripercosso dalla barriera
degli scogli″».
Le rane
«Chi potrebbe immaginare che le rane
prevedano la tempesta? Ma è insito
nelle ranocchie un potere di presagire
qualcosa: un potere difficilmente
negabile in quanto tale, anche se non
ben comprensibile alla ragione
umana».
I buoi
«E i buoi che incedono lenti, con lo
sguardo rivolto al cielo luminoso,
aspirano dalle narici l'umido vapore
dell'aria.
Non domando il perché, dal momento
che constato che il presagio si avvera».
Le piante
«Nemmeno questo chiedo, perché quel
solo albero (il lentisco) fiorisca tre
volte o perché con la fioritura indichi
che è tempo di arare; mi accontento di
sapere che cosa accada, pur ignorando
perché accada».
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli
animali e dai fulmini
Le viscere degli animali
«So che significato abbia la fenditura
nelle viscere degli animali sacrificati,
o la fibra; la causa di questi presagi,
non la so. E in tutta la nostra vita ci
troviamo in questa condizione:
poiché quasi tutti credono agli indizi
delle viscere».
I fulmini
«E possiamo forse dubitare del
valore profetico dei fulmini»?
Da questi exempla si può trarre una
prima conclusione. Quinto, nella
finzione narrativa, la immagina come
un’obiezione rivolta al fratello Marco,
assimilato a filosofo Carneade,
esponente tipico di una posizione
critica verso la divinazione.
«Perché stai a domandare, Carneade,
per qual motivo queste cose
avvengano o con quale arte possano
essere comprese? Io confesso di non
saperlo, ma affermo che tu stesso devi
riconoscere che avvengono».
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e
in ogni tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e
altre “arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere
degli animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della
calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e
in ogni tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e
altre “arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere
degli animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della
calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2.2. Il potere misterioso della calamita
«Tu chiedi perché ciascuna di queste cose
avvenga. Curiosità del tutto legittima; ma
qui non di questo si tratta: si discute se
quei fatti avvengano o no.
Sarebbe come se, dicendo io che la
calamita è una pietra che alletta e attrae a
sé il ferro ma non sapendo dire perché ciò
avvenga, tu negassi senz'altro il fatto.
È ciò che fai riguardo alla divinazione, che
constatiamo di persona, di cui sentiamo
parlare e leggiamo, la cui dottrina ci è
giunta dai nostri antenati».
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e
in ogni tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e
altre “arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere
degli animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della
calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2. La divinazione è diffusa ovunque e
in ogni tempo.
5.2.1. L’analogia tra la divinazione e
altre “arti” (1, 12-16)
5.2.1.1. I misteri della medicina
5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche
5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere
degli animali e dai fulmini
5.2.2. Il potere misterioso della
calamita
5.2.3. L’analogia col seme
5.2.3. L’analogia col seme
«Non c'è dunque motivo di meravigliarsi
che gli indovini prevedano ciò che non
vi è ancora in nessun luogo; tutte queste
cose vi sono, ma sono ancora lontane
nel tempo.
E come nei semi è ìnsita la potenza
generativa delle future piante, così nelle
cause sono racchiusi gli eventi futuri;
il loro avvento, lo prevede la mente
invasata o immersa nel sonno, o anche
il ragionamento e l'interpretazione».
6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le
obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)
6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro
casi emblematici
6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco:
Prassitele come Michelangelo
6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato
dalla morte
6.2.B. Al destino non si può sfuggire
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se
avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.
6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le
obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)
6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro
casi emblematici
6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco:
Prassitele come Michelangelo
6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato
dalla morte
6.2.B. Al destino non si può sfuggire
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche
se avesse obbedito agli auspici, secondo
Marco.
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
6.5.A. Il
secondo
6.5.B. Il
secondo
caso della mula che ha partorito,
Quinto.
caso della mula che ha partorito,
Marco: se è accaduto era possibile.
6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto:
la divinazione esiste.
6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la
divinazione non esiste.
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
6.5.A. Il
secondo
6.5.B. Il
secondo
caso della mula che ha partorito,
Quinto.
caso della mula che ha partorito,
Marco: se è accaduto era possibile.
6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto:
la divinazione esiste.
6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la
divinazione non esiste.
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
6.5.A. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Quinto.
6.5.B. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Marco: se è accaduto era possibile.
6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto:
la divinazione esiste.
6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la
divinazione non esiste.
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo
Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra, secondo Quinto.
6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra, secondo Marco.
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede,
secondo Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra, secondo Quinto.
6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la
sconfitta di Leuttra, secondo Marco.
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se
avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se
avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.
Nella seconda guerra punica Gaio
Flaminio trascurò i presagi del futuro
e fu gravemente sconfitto da Annibale
e lui stesso perse la vita nella
battaglia del Trasimeno:
24 giugno 217 a.C.
Quinto racconta minuziosamente tutti
i presagi e gli avvertimenti che furono
trascurati:
1.
«Dopo la cerimonia di purificazione
dell'esercito, durante la marcia verso
Arezzo, egli stesso e il suo cavallo
caddero tutt'a un tratto senza alcuna
causa dinanzi alla statua di Giove
Statore; gli esperti giudicarono che
questo segno doveva dissuaderlo dal
dare battaglia, ma egli non si fece
alcuno scrupolo di ciò».
2.
«Poi, quando prese gli auspicii
mediante il tripudium, fu consigliato
dal pullario a rimandare il giorno del
combattimento. Flaminio allora gli
domandò: "Se nemmeno in seguito i
polli avranno voglia di mangiare, che
cosa ritieni che si dovrà fare?" Il
pullario rispose che si sarebbe dovuto
stare ancora fermi. E Flaminio: "Belli
davvero questi auspicii! Quando i polli
avranno fame si potrà dar battaglia,
quando saranno sazi non si potrà far
più nulla».
3.
«Quando Flaminio ordinò che si
svellessero dal suolo le insegne e lo si
seguisse, il portatore dell'insegna del
primo manipolo di astati non riuscì a
smuovere l'insegna, nemmeno con
l'aiuto di parecchi altri; Flaminio,
quando ciò gli fu annunziato, secondo
il suo solito non si curò del prodigio».
4.
«Proprio nel tempo in cui si svolgeva
quella disastrosa battaglia, vi furono
in Liguria, in Gallia, in parecchie isole
e in tutta l'Italia terremoti così forti
che molte città furono distrutte, in
molte località avvennero frane e
sprofondamenti del suolo, i fiumi
invertirono il loro corso, il mare
penetrò nei corsi d'acqua.
E così in quelle tre terribili ore
l'esercito fu trucidato e Flaminio
stesso fu ucciso».
6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu
sconfitto, secondo Quinto.
6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se
avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.
«Dov'è, dunque, codesta divinazione
degli stoici?
Se tutto accade per decreto del fato,
essa non può in nessun modo
consigliarci di essere più prudenti:
perché, in qualsiasi modo avremo
agito, accadrà, ciò nonostante, quel
che deve accadere».
«Se invece il corso degli eventi può
essere deviato, il fato si riduce a nulla;
e allora si riduce a nulla anche la
divinazione, poiché riguarda gli eventi
futuri; ma nessun evento futuro
accadrà con certezza, se con qualche
espiazione si può fare in modo che non
accada».
Questo, in sintesi, il ragionamento di Marco:
se c’è il destino, allora è già prefissato tutto
quanto deve accadere e non può esservi
divinazione di ciò che per forza deve
verificarsi;
se il destino non c’è ed è possibile, con
opportuni mezzi, deviare il corso degli
avvenimenti (mutare cioè il futuro delle
cose), come può parlarsi di divinazione, che
è appunto l’arte di prevedere il futuro,
quando questo futuro potrebbe anche non
realizzarsi più o realizzarsi in modo diverso
da quello previsto?
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
«Quante volte il senato ordinò ai decemviri di
consultare i libri sibillini!
• Ogni volta che si videro due soli, e tre lune,
e fiamme nell'aria;
• ogni volta che il sole apparve di notte, e nel
cielo si sentirono dei rumori sordi e sembrò
che la volta celeste si fendesse, e in essa
apparvero dei globi.
• Quando fu annunziato al senato la frana del
territorio di Priverno
• e la Puglia fu squassata da violentissimi
terremoti».
«Da questi portenti erano preannunciate al
popolo romano grandi guerre e rovinose
sedizioni, e in tutti questi casi i responsi degli
arùspici concordavano coi versi della Sibilla».
• A Cuma sudò la statua di Apollo,
• a Capua quella della Vittoria
• una volta nacque un andrògino e fu
ritenuto un prodigio funesto
• le acque del fiume Atrato si tinsero di
sangue
• più volte cadde una pioggia di pietre,
spesso di sangue, talvolta di terra, una
volta anche di latte
• sul Campidoglio fu colpita dal fulmine la
statua di un Centauro
• sull'Aventino le porte delle mura e alcuni
uomini
• a Tùscolo il tempio di Càstore e Pollùce, a
Roma il tempio della Pietà.
«In tutte queste circostanze gli arùspici
dettero responsi conformi a ciò che poi
accadde, e nei libri sibillini furono trovate le
stesse profezie».
6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?...
(Quinto)
6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)
«Fu riferito al senato che era piovuto sangue,
che anche le acque del fiume Atrato si erano
tinte di sangue, che le statue degli dèi
avevano sudato.
Ritieni che Talete o Anassagora o qualsiasi
altro filosofo della natura avrebbe prestato
fede a simili notizie?»
«Non c'è né sangue né sudore che non
fuoriesca da un corpo vivente.
Ma un mutamento di colore, provocato da
qualche commistione con terra, può render
l'acqua estremamente simile a sangue;
e l'umidità proveniente dall'esterno, come
vediamo sugli intonachi dei muri quando
soffia lo scirocco, può rassomigliare al
sudore».
«Questi fatti, del resto, appaiono più
numerosi e più gravi in tempo di guerra,
quando c'è uno stato di paura; in tempo di
pace non ci si bada altrettanto.
Si aggiunga anche un'altra cosa: in momenti
di terrore e di pericolo non solo ci si crede con
più facilità, ma si inventano più
impunemente».
«Ma noi siamo così leggeri e sconsiderati che,
se i topi han rosicchiato qualcosa (e questo è
l'unico lavoro al quale si dedicano!), lo
consideriamo un prodigio.
Prima della guerra màrsica, siccome i topi,
come hai rammentato, avevano rosicchiato
degli scudi a Lanuvio, gli arùspici dissero che
questo era un prodigio dei più terribili: come
se ci fosse qualche differenza a seconda che i
topi, i quali giorno e notte rodono qualcosa,
avessero rosicchiato degli scudi o degli
stracci!»
«Se ci mettiamo per questa strada, dovrei
disperare delle sorti dello Stato per il fatto
che, poco tempo fa, i topi hanno rosicchiato in
casa mia la Repubblica di Platone,
oppure, se mi avessero rosicchiato il libro di
Epicuro Sul piacere, avrei dovuto prevedere
che al mercato i prezzi sarebbero rincarati».
6.5.A. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Quinto.
6.5.B. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Marco: se è accaduto era possibile.
6.5.A. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Quinto.
6.5.B. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Marco: se è accaduto era possibile.
«E ancora: questo famoso parto di una
muta (partus mulae), che viene deriso,
non è stato dichiarato dagli arùspici
eccezionale parto di sventure (partus
malorum) , proprio perché in un organo
genitale sterile si era formato un feto?»
6.5.A. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Quinto.
6.5.B. Il caso della mula che ha partorito,
secondo Marco: se è accaduto era possibile.
«Hai rammentato il parto di una mula.
È un fatto straordinario, perché non accade
spesso; ma se non fosse potuto accadere, non
sarebbe accaduto. E questo argomento valga
contro tutti i prodigi:
ciò che non sarebbe potuto accadere non è
mai accaduto; se invece è potuto accadere,
non c'è motivo di stupirsi.
L'ignoranza delle cause produce meraviglia
dinanzi a un fatto nuovo; se la medesima
ignoranza riguarda fatti consueti, non ci
meravigliamo».
«Colui che si meraviglia che una mula abbia
partorito, ignora egualmente in che modo
partorisca una cavalla e, in generale, quale
processo naturale produca il parto di qualsiasi
essere vivente.
Ma siccome vede che questi fatti avvengono
di frequente, non si meraviglia, pur non
sapendone il perché; se invece avviene una
cosa che egli non ha ancora visto, ritiene che
sia un prodigio.
Il prodigio si è dunque verificato quando la
mula ha concepito, o quando ha partorito?
Il concepimento potrebb'essere contro
natura, forse; ma il parto è pressoché
necessario».
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede,
secondo Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede,
secondo Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
«Questa cosa sola voglio asserire: l'oracolo
di Delfi non sarebbe mai stato così
frequentato e così famoso né arricchito di
così splendidi doni di tutti i popoli e i re, se in
ogni tempo non si fosse sperimentata la
veridicità dei suoi responsi.
"Ma," dicono, "già da tempo non si comporta
più così."
Ebbene, come adesso gode minore fama
perché la verità delle sue profezie è meno
insigne, così allora non avrebbe raggiunto
una fama così grande se non in virtù della
sua somma veridicità».
«Può darsi, del resto, che quella potenza,
emanante dalla terra, che investiva di afflato
divino la mente della sacerdotessa, si sia
affievolita col passare del tempo, allo stesso
modo in cui vediamo che certi fiumi sono
svaporati e si sono inariditi, o hanno
cambiato direzione e si sono avviati per un
itinerario diverso dal precedente.
Scegli pure l'ipotesi che preferisci (poiché si
tratta di una questione molto incerta), a
condizione che rimanga fermo ciò che non
può esser negato se non vogliamo sovvertire
tutta la storia: per molti secoli quell'oracolo
fu verace».
6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede,
secondo Quinto.
6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.
«Ma, e questa è la cosa principale, come mai a
Delfi non vengono più pronunciati oracoli di
questo genere, e non solo ai nostri tempi, ma
già da molto, di modo che niente può essere
ormai oggetto di maggior disprezzo?
Quando vengono messi alle strette su questo
punto, rispondono che per l'antichità è svanita
la forza di quel luogo, la quale produceva
quelle esalazioni che esaltavano l'anima della
Pizia e le facevano proferire gli oracoli».
«Diresti che costoro parlino del vino o della
salamoia, che perdono sapore col tempo.
Si tratta della forza sprigionantesi da un luogo,
e di una forza non meramente naturale, ma
addirittura divina; come mai, dunque, essa è
potuta svanire? "Per il lungo tempo
trascorso," tu dirai.
Ma quale durata di tempo può essere in grado
di esaurire una forza divina?»
[…]
«E quando codesta forza è svanita? Forse
quando gli uomini incominciarono a essere
meno crèduli?
Demostene, che visse circa trecento anni fa,
già allora diceva che la Pizia "filippeggiava",
cioè, per così dire, prendeva le parti di Filippo.
Questa frase mirava a far intendere che la
Pizia era stata corrotta da Filippo».
«È dunque lecito credere che anche in altri
responsi dell'oracolo di Delfi vi sia stato
qualcosa di non veritiero.
Ma, non so come, sembra che questi filosofi
superstiziosi e, starei per dire, fanatici
vogliano a tutti i costi far la figura degli
sciocchi.
Vi ostinate a sostenere che è svanita ed
estinta una forza che, se mai vi fosse stata,
sarebbe senza dubbio eterna, piuttosto che
rinunciare a credere cose incredibili».
7. La conclusione “socratica” del dialogo:
conflitti tragici e conflitti filosofici
I poeti tragici non furono dei filosofi, ma
fornirono alla nuova filosofia post-socratica,
che mise l’uomo al centro della sua ricerca,
una serie infinita di sceneggiature umane
fondate sui conflitti insanabili tra padri e figli,
tra fratelli, mariti e mogli, tra due leggi, tra
due città.
I poeti disegnarono i conflitti, ne indagarono
le cause,
i filosofi ne cercarono le soluzioni.
L’opera più significativa di Platone, la
Politèia, che si può tradurre “Costituzione”,
“Stato”, “Repubblica”, cerca di regolare tutti i
conflitti all’interno di una concezione di Stato
perfetto.
Anche la filosofia di Aristotele si può
riassumere come un tentativo ambizioso di
mettere ordine nella confusione del mondo
naturale e umano.
Quasi tutti i dialoghi di Platone si concludono
con un accordo tra gli interlocutori, in nome
della “verità”, accolta da entrambi.
Allo stesso modo, Quinto e Marco,
concludono la discussione e si congedano al
lettore.
«Siccome, d'altra parte, è un principio
basilare dell'Accademia non imporre mai
alcun proprio giudizio, dare il proprio
assenso a quelle tesi che più appaiono vicine
alla verità, mettere a confronto le ragioni di
ciascuno ed esporre ciò che si può dire
contro ciascuna opinione, lasciare agli uditori
il loro giudizio libero e illeso senza far pesare
in alcun modo su di essi la propria autorità,
manterremo questa consuetudine ereditata
da Socrate e la metteremo in pratica tra di
noi - se a te, fratello mio Quinto, piacerà - il
più spesso possibile».
«Per me,» rispose Quinto, «nulla può essere
più piacevole.» E, detto ciò, ci alzammo.
A cura di Roberto Radice, Stoici antichi. Tutti i frammenti raccolti
da Hans von Arnim, Milano, Rusconi, 1998; pp. 766-767; 750751. Nella raccolta originale curata da Hans von Arnim,
Stoicorum Veterum Fragmenta (Stuttgard, Teubner, 1903-1905).
La monumentale opera di Arnim è ora consultabile
integralmente nei quattro volumi
1: Frammenti di Zenone e dei suoi seguaci;
2: Frammenti della logica e della fisica di Crisippo;
3: Frammenti dell’etica di Crisippo e dei suoi seguaci;
4: Indici
dell’edizione teubneriana del 1964, al sito
https://archive.org/details/stoicorumveterum01arniuoft
gli altri tre volumi: 2, 3 e 4, sono leggibili sostituendo
nell’indirizzo le cifre rispettive: /02/03/04
http://risorsedocentipon.indire.it/home_piattaforma/