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Achille della Ragione
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Achille della Ragione
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mercoledì 6 aprile 2016
Un Andrea Vaccaro in Uruguay
uruguay
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fig. 1 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ 92 x72 ­ Uruguay collezione Gonzaga
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Trovare un Andrea Vaccaro di notevole qualità a migliaia di chilometri da Napoli non deve
sorprendere, perché sappiamo che il pittore esportava più di metà della sua copiosa
produzione in Spagna, da dove nel corso dei secoli i suoi dipinti si sono sparpagliati per
ogni contrada, tenendo conto che sull’impero iberico il sole non tramontava mai.
Abbiamo così avuto la fortuna di poter visionare, anche se solo in foto una splendida S.
Agata (fig.1) della collezione Gonzaga sita in Uruguay, assegnata dalla critica a scuola
bolognese, che viceversa presenta tutti gli attributi del malizioso pennello dell’indiscusso
specialista del decolté: Andrea Vaccaro, dal famoso “sottoinsù”, il dolce girar degli occhi
al cielo, (fig.2) alle labbra carnose, dall’epidermide alabastrina (fig.3) all’accurata
definizione del seno, sodo e prorompente, anche se castamente ricoperto (fig. 4).
Il quadro in esame, come si evince dal retro (fig.5 – 6), dove è apposto un antico
cartellino ed una fantasiosa attribuzione al Guercino, ci permette di ricostruire i passaggi
di proprietà del dipinto, grazie alle ricerche di una studiosa, la dottoressa Lucia Tonini,
autrice del libro”I Demidoff a Firenze”, la quale ha comunicato al signor Gonzaga le sue
conclusioni che parzialmente riportiamo:
“Il quadro di cui mi ha mandato la foto è molto interessante e nel gusto collezionistico dei
Demidoff, sia padre (Nikolaj Nikitich) che figlio (Anatolij Nikolaevich). Le loro collezioni a
Firenze erano dunque due. La prima, quella di Nikolaj esposta nel palazzo Serristori, alla
sua morte venne rispedita quasi interamente in Russia e di questa abbiamo elenchi del
1826, 1828, 1830 dove però non risulta il n.377 (il numero sul cartellino di cui mi manda la
foto). Della seconda collezione, quella di Anatolij, rimane il catalogo dell'asta avvenuta però nel
1880, cioè 10 anni dopo la sua morte. Nel frattempo lui stesso e gli eredi avevano
venduto molte opere a altre aste. Non ho ancora guardato il catalogo generale dell'asta
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del 1880 e lo farò appena possibile. Vedendo il tipo del cartellino e l'indicazione della Galleria Demidoff penso che si tratti
piuttosto di un quadro appartenente al figlio (Anatolij) e esposto nella galleria della villa di
San Donato vicino a Firenze a partire circa dagli anni '40 dell'800: controllerò il catalogo
d'asta. Se però è stato venduto prima da Anatolij stesso non troverò niente. Va
considerato che alcune opere del padre entrarono a far parte della collezione del figlio e
che nella lista di Nikolaj ci sono dei quadri senza numero”.
Solo l'autore Achille della Ragione può
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Informazioni personali
Achille della Ragione
fig. 2 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ (particolare degli occhi) Uruguay collezione Gonzaga
Nato a Napoli nel 1947
dove ha esercitato la
professione di ginecologo.
Sposato con Elvira, tre figli:
Tiziana, Gian Filippo e Marina, ha anche tre
splendidi nipotini: Leonardo, Matteo ed
Elettra. Da oltre dieci anni affianca alla
professione la passione per gli scacchi e la
scrittura. Tra le opere principali: "Il secolo
d’oro della pittura napoletana" in 10 volumi,
"Achille Lauro superstar" alla 3^ edizione, e
"Monnezza" viaggio nella spazzatura
Campana.
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fig. 3 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ (particolare del collo) Uruguay collezione Gonzaga
La S. Agata (fig.1) fa parte di quella produzione per una clientela laica sia napoletana sia
spagnola che il Vaccaro, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di
rossicci, creava con scene bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne
nelle quali persegue un’ideale femminile di sensualità latente; diviene così il pittore della
"quotidianità appagante, tranquilla, a volte accattivante, in grado di soddisfare le esigenze
di una classe paga della propria condizione, attenta al decoro, poco incline a lasciarsi
coinvolgere in stilemi, filosofici letterari, o mode repentine, misurato nel disegno,
consolante nell’illustrazione; Andrea ottenne il suo indice di gradimento in quella fascia
della società spagnola più austera e di consolidate opinioni e per converso in quelle
napoletane di pari stato ed inclinazione" (De Vito). Tra i suoi dipinti "laici", alcuni, di elevata qualità, sembrano animati da un’agitazione
barocca che raggiunge talune volte un coro da melodramma.
Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza
odore di sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nell’espressione di
attesa non solo di sposalizio mistico, «col bel girare degli occhi al cielo» (De Dominici) e
con le splendide mani dalle dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni. Il Vaccaro fu artista
abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile erotismo,
d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalità desiderabile sulle cui forme
egli indugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei
committenti, più sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il messaggio
devozionale che ne era alla base. Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben
scelti, di lusinghiere nudità, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a
dovizia tutte piacevoli da guardare, percepite con un’affettuosa partecipazione terrena,
velata da una punta di erotismo, con i loro capelli d’oro luccicanti, con le morbide mani
carnose e affusolate nelle dita, con le loro vesti blu scollate, tanto da mostrare le grazie
di una spalla pallida, ma desiderabile. I volti velati da una sottile malinconia e con un
caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono qualcosa di più acuto alla
sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento. Le sue sante, tutte
espressioni di una terrena beatitudine. L’idea del martirio e della penitenza è sottintesa ad
un malizioso compiacimento e venata da una appena percettibile punta di erotismo.
Queste eterne bellezze mediterranee dal volto sensuale ed accattivante fanno mostra del
loro martirio con indifferenza e con lo sguardo trasognato, incuranti degli affanni terreni e
con gli occhi che, pur fissando lo spettatore, sembrano proiettati fuori dal tempo e dallo
spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida, serena, rassicurante, che ci fa
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comprendere con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete rare delle loro vesti
acconciatissime, abbiano affrontato il martirio, sicure della bontà delle loro decisioni,
placando e spegnendo ogni sentimento e sensazione negativa quali il dolore, la
sofferenza, lo sdegno ed esaltando la calma serafica, la serenità dell’animo, la certezza
di una scelta adamantina. La pittura in queste immagini dolcissime e sdolcinate cede il
passo alla poesia, che si fa canto soave ed incanta l’osservatore.
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fig. 4 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ (particolare del seno) Uruguay collezione Gonzaga
fig. 5 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ (retro della tela 1) Uruguay collezione Gonzaga
fig. 6 ­ Andrea Vaccaro ­ S. Agata ­ (retro della tela 2) ­ Uruguay collezione Gonzaga
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sabato 7 settembre 2013
LO CHIAMAVANO TRINITA’
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Bud Spencer
Bud Spencer (il cui vero nome è Carlo Pedersoli), nasce a Napoli il 31 ottobre 1929 da
famiglia benestante: il padre era un uomo d'affari che, malgrado i numerosi tentativi, non
riuscì ad acquisire una vera ricchezza a causa soprattutto delle due guerre mondiali che
influirono non poco sull'andamento dei suoi affari. Bud Spencer ha anche una sorella,
Vera, anch'essa nata a Napoli.
Nel 1935 il piccolo Carlo frequenta le scuole elementari della sua città, con buoni risultati.
Appassionato di sport, pochi anni dopo diventa membro di un club locale di nuoto,
vincendo subito alcuni premi.
Nel 1940 la famiglia Pedersoli lascia Napoli per affari e si sposta a Roma. Il padre
ricomincia da zero. Carlo inizia le scuole superiori ed entra contemporaneamente in un
club di nuoto romano.
Completa gli studi con il massimo dei voti. Non ancora diciassettenne, passa un difficile
esame all'Università di Roma e comincia a studiare Chimica. Nel 1947, però, i Pedersoli
per ragioni di lavoro, si spostano in Sud America e Carlo è costretto a lasciare
l'Università. A Rio lavora ad una catena di montaggio, a Buenos Aires come bibliotecario,
ed infine come segretario all'ambasciata italiana in Uruguay.
Un club di nuoto italiano lo reclama a gran voce e Carlo torna in Italia, diventando
campione italiano di nuoto a rana. In quegli anni (tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50)
vince il campionato nei cento metri stile libero ed è il primo italiano ad abbattere la soglia
del minuto. Deterrà il titolo fino alla fine della carriera.
Carlo Pedersoli non dimentica però gli studi e si iscrive nuovamente all'Università, questa
volta alla facoltà di Giurisprudenza. Contemporaneamente, per caso, gli si presenta la
possibilità di entrare a far parte del mondo del cinema, grazie al suo fisico possente e
scultoreo. Ha così modo di recitare per la prima volta in un film di produzione
hollywoodiana, il celebre "Quo Vadis", nel ruolo di una Guardia Imperiale.
Intanto, nel 1952 partecipa alle Olimpiadi di Helsinki e con la squadra di pallanuoto
diviene campione europeo.
Dopo le Olimpiadi, con altri promettenti atleti viene invitato alla Yale University. Passa
alcuni mesi negli Stati Uniti e quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Melbourne, raggiunge
un rispettabile undicesimo posto.
Dotato di una volontà di ferro, malgrado tutti questi numerosi impegni, riesce a laurearsi
in Legge. Da un giorno all'altro decide però di cambiare vita, non sopportando più i
massacranti e monotoni allenamenti in piscina.
Raggiunge il Sud America e, rivoluzionando davvero tutto il suo mondo e le sue priorità,
lavora per nove mesi per una impresa americana intenta in quel periodo a costruire una
strada tra Panama a Buenos Aires (strada diventata poi famosa come "Panamericana").
Dopo questa esperienza, trova un altro lavoro per una ditta automobilistica di Caracas,
fino al 1960 quando ritorna a Roma. Qui sposa Maria Amato, di sei anni più giovane,
conosciuta quindici anni prima. Nonostante il padre di Maria sia uno dei più affermati
produttori cinematografici italiani, Bud inizialmente non è interessato al cinema. Firma
invece un contratto con la casa musicale RCA e compone canzoni popolari per cantanti
italiani. Scrive anche qualche colonna sonora. L'anno dopo nasce Giuseppe, il primo
figlio, mentre nel 1962 arriva la figlia Christiana. Due anni più tardi scade il contratto con
la RCA e muore il suocero. Carlo è spinto a buttarsi negli affari, producendo documentari
per la RAI italiana.
Nel 1967 Giuseppe Colizzi, suo vecchio amico, gli offre un ruolo in un film. Carlo accetta,
dopo qualche esitazione. Suo partner di lavoro sul set è uno sconosciuto Mario Girotti, in
procinto di diventare per il mondo il ben noto Terence Hill, scelto per sostituire Peter
Martell (Pietro Martellanza) vittima di un incidente a cavallo durante alcune riprese. Il film
è "Dio perdona... io no!", la prima pellicola di quella che diverrà la coppia più spassosa e
divertente per questo nuovo genere western.
Le due star, però, nelle presentazioni in locandina, cambiano i nomi, considerati troppo
italiani per la provinciale Italia di allora. Per fare colpo, per rendere più credibili film e
personaggi, ci vuole un nome straniero ed ecco allora che Carlo Pedersoli e Mario Girotti
diventano Bud Spencer e Terence Hill. Il cognome è scelto dallo stesso Carlo, che da
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sempre è un fan sfegatato di Spencer Tracy. "Bud", invece, che in inglese significa
"bocciolo", è scelto per puro gusto goliardico, ma si intona perfettamente alla sua
corpulenta figura.
Nel 1970 la coppia gira "Lo chiamavano Trinità", con la regia di E.B. Clucher (Enzo
Barboni), un vero e proprio "cult" che non solo ebbe un enorme successo in tutta Italia,
ma è ancora oggi replicato sulle televisioni nazionali, sempre con ottimi indici di ascolto,
a testimonianza dell'amore e del gradimento che il pubblico manifesta per i due. A detta
degli storici del cinema, questo divertente western (a dispetto del titolo, si tratta di una
spassosa commedia ambientata nel west che prende un po' in giro gli stereotipi del
genere), segna la fine dei brutali "Spaghetti­western" precedenti.
L'anno successivo la consacrazione assoluta arriva con il seguito del film;
"...Continuavano a chiamarlo Trinità", sempre con la regia di E.B. Clucher, che sbanca i
botteghini del cinema europeo. Ormai Bud Spencer e Terence Hill sono vere e proprie star
internazionali.
Finita l'ondata western, c'è il pericolo che la coppia non sfondi in altri generi
cinematografici, ma presto questa ipotesi viene smentita e, tra il 1972 e il 1974, con "Più
forte ragazzi", "Altrimenti ci arrabbiamo" e "Porgi l'altra guancia" di nuovo sono ai primi
posti dei film visti nelle sale cinematografiche italiane.
Nel 1972 nasce Diamante, la seconda figlia di Bud che l'anno dopo gira il primo film della
serie "Piedone lo sbirro", nato da una sua idea (Bud Spencer collaborerà alla stesura di
tutti gli episodi seguenti).
Fra le varie passioni dell'attore c'è anche il volo (nel 1975 ottiene una licenza di pilota per
l'Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti), ma c'è anche la mai dimenticata canzone. Nel 1977,
per il suo film "Lo chiamavano Bulldozer", scrive alcune canzoni: tra queste, una è
cantata da lui stesso.
A sei anni di distanza dal successo dei due Trinità, Bud e Terence ritornano ad essere
diretti da E.B. Clucher nel film "I due superpiedi quasi piatti", riscuotendo un buon
successo di pubblico, mentre negli anni seguenti girano altri due film insieme: "Pari e
Dispari" e il mitico "Io sto con gli Ippopotami" del compianto Italo Zingarelli.
Dopo vari progetti andati a vuoto per far riunire la coppia, Bud Spencer e Terence Hill si
ritrovano sul set diretti dallo stesso Terence Hill per un altro western: "Botte di Natale",
che non riesce a rinverdire i vecchi fasti.
Nel 1979 Bud Spencer ottiene il premio Jupiter come star più popolare in Germania,
mentre nel 1980, a circa dieci anni di distanza dall'ultimo film western, torna al vecchio
genere con il film "Buddy goes West".
La sua ultima pregevolissima interpretazione risale al 2003, nel film "Cantando dietro i
paraventi" di Ermanno Olmi.
Nel 2010 ha pubblicato la sua biografia ufficiale, intitolata Altrimenti mi arrabbio: la mia
vita, scritta con Lorenzo De Luca, già sceneggiatore in tre dei suoi serial­TV
summenzionati, e curata dal biografo David De Filippi. Nel 2011, per il mercato tedesco,
ha pubblicato la seconda parte della biografia, ancora in collaborazione con Lorenzo de
Luca.
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