I figli d`Internet
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I figli d`Internet
Tema I figli d’Internet arrivano dialogue 0309 La comunicazione online, che collega in rete ogni parte del mondo, non trasforma solo i processi commerciali. Con i figli d’Internet arriva nelle aziende una generazione abituata a nuove forme di interazione e lavoro. Ciò promette produttività, ma nasconde anche potenziali di conflitto. 6 «Il nostro modo di comunicare influisce direttamente sullo sviluppo della personalità», spiega Urs Gasser, direttore del Berkman Center for Internet & Society dell’università americana di Harvard. Ciò si evidenzia con particolare chiarezza nella generazione cresciuta con Internet, Instant Messaging, videogame, social network, blog e telefonia mobile. Questi individui hanno sviluppato altre forme comportamentali e lavorative rispetto ai loro genitori cresciuti con la corrispondenza epistolare e il telefono fisso. Figli unici competenti online – I sociologi parlano di Digital Natives, generazione Y oppure – in base ai loro anni di nascita a cavallo del nuovo millennio – di «Millennials». Non si distinguono solo per un approccio consapevole a tutte le forme di comunicazione elettronica. Sono per lo più cresciuti anche in famiglie piccole, hanno ricevuto tanti regali e sono abituati ad essere subito ricompensati anche per piccoli servizi. Per molti di loro l’insicurezza derivante da una separazione dei genitori o dalla loro perdita del posto di lavoro rientra nella normalità. Commisuratamente minore è il loro legame emozionale ad un datore di lavoro. Questi deve offrire loro un chiaro plusvalore per mantenerli a medio e lungo termine. Ma tale valore aggiunto non deve essere affatto materiale. Alcune ricerche mostrano che i Millennials favoriscono le aziende che condividono i loro stessi ideali. Facebook come problema direttivo – Sintetizzando le sue esperienze, Gasser afferma che finora le aziende sono però rimaste molto perplesse e inerti di fronte alle esigenze dei Digital Natives. Quanto sia grande l’insicurezza nel rapporto con la generazione Internet si capisce, ad esempio, dal dibattito sulla chiusura di social network come Facebook. Mentre alcuni bandiscono in modo restrittivo tutte le piattaforme corrispondenti per questioni di sicurezza o per la presunta perdita di tempo lavorativo, altri datori di lavoro fanno affidamento sull’autoresponsabilità e ne promuovono addirittura l’utilizzo. La generazione Internet Il progetto interdisciplinare sui Digital Natives della Harvard University e dell’Università di San Gallo studia le implicazioni giuridiche, sociali e politiche della generazione Internet. www.digitalnative.org dialogue 0309 Mentre la loro competenza online in molti casi si limita alla consultazione di statici siti web informativi e all’uso della mail, i giovani mescolano virtuosamente i mezzi più diversi. Per svolgere le mansioni professionali, cercano soluzioni simili in Internet e si rivolgono ai propri amici delle community online. Queste tecnologie affermatesi nel tempo libero, nella scuola e nello studio, li rendono reattivi e produttivi. D’altro canto il loro spirito del tempo «Copia-Incolla» si scontra con le tradizionali culture aziendali. Frammenti copiati da Wikipedia, ad esempio, possono essere adeguati alla fama di serietà che l’azienda si è costruita negli anni? Ancora pochissime aziende si occupano seriamente dell’inevitabile cambiamento culturale che le attende con i figli d’Internet. 7 Tema «Non di rado la discussione su Facebook tralascia un problema direttivo», analizza Robert W. Kuipers, direttore di HRS Consulting (consulenza servizi risorse umane) presso la PricewaterhouseCoopers Svizzera (PwC). «Le aziende che in pratica misurano i propri dipendenti solo in base alla presenza alla postazione di lavoro, percepiscono la navigazione privata in Internet come perdita di produttività. Tuttavia, più passa il tempo più questo modello è meno rispondente all’economia globale 7 x 24 (7 giorni la settimana, 24 ore su 24). Chi esige prestazioni superiori alla media, deve tollerare come compensazione anche attività private. Se la gestione aziendale è orientata all’obiettivo, queste attività non possono assolutamente travalicare i limiti.» Mancanza di consapevolezza della qualità – Kuipers giudica in ogni caso l’approccio attuale delle imprese alla tematica dei Millennials in modo complessivamente più positivo rispetto a Gasser: «Nei prossimi anni le aziende si adatteranno automaticamente ai nuovi lavoratori», questa la sua convinzione. Anch’egli tuttavia vede nell’arrivo in azienda della generazione Internet un cambiamento culturale che cela qualche potenziale di conflitto. A fronte dell’efficienza basilare nettamen- te superiore dei Digital Natives c’è una limitata coscienza dei valori. Qualità dei contenuti e riservatezza delle informazioni vengono troppo sottovalutate dalla generazione Internet e lo staccato di comunicazione può portare ad un uso non corretto della lingua. Sensibilizzare senza dare restrizioni – Giudicare positivamente o negativamente le varie qualità è comunque irrilevante per Kuipers: «La generazione Internet è una realtà. Bisogna utilizzare le sue buone qualità e nel contempo fermare quelle meno buone.» In concreto si tratta di sensibilizzare i giovani dipendenti in modo mirato, perché abbiano un approccio ai contenuti e alla riservatezza che sia conforme all’azienda. Nel contempo ciò non deve trasformarsi in un busto stretto che ingessi la loro dinamicità. Nozioni interessanti sui Millennials sono fornite dallo studio «Managing tomorrow’s people» nel quale PwC ha condotto un’indagine sulle aspettative di 3000 diplomati di scuole superiori negli USA, in Gran Bretagna e Cina. L’ampia corrispondenza delle risposte mostra forse quanto sia già progredita la globalizzazione culturale tra i giovani. Così, indipendentemente dall’origine, oltre il 90 percento si aspetta di lavorare ad un livello dialogue 0309 Facebook e Co.: aziende tra restrizioni e incoraggiamenti all’uso 8 Il fatto che la commistione di vita privata e professionale nei giovani abbia già oggi concrete ripercussioni sulle aziende, è dimostrato dall’intenso dibattito attualmente in corso sull’impiego di social network quali Facebook o Xing durante l’orario di lavoro. Di fronte a tale fenomeno non si individua un comportamento unitario, ma si cristallizza sempre più un approccio settoriale. Le banche bloccano i siti soprattutto per questioni di sicurezza: si potrebbero scaricare dei virus o inoltrare avventatamente informazioni confidenziali. Nelle pubbliche amministrazioni e nelle industrie le motivazioni primarie per il blocco sono la perdita di ore lavorative a causa delle attività internet private e il sovraccarico della rete. Invece, aziende di tecnologia come Microsoft o Swisscom, che occupano una quota superiore alla media di cosiddetti lavoratori della conoscenza, addirittura sostengono l’utilizzo di tali servizi. Si aspettano che i loro dipendenti conoscano tutte le forme moderne di comunicazione e che sappiano gestire questa libertà responsabilmente. Inoltre, una restrizione renderebbe le loro aziende non appetibili agli occhi di giovani altamente qualificati. Tuttavia, che l’autoresponsabilità in materia di social network in molti casi non faccia presa, è dimostrato dall’esempio del comune di Zurigo, intervenuto lo scorso marzo quando gli accessi ai siti di networking hanno complessivamente superato i 3 milioni al mese. «Ciò equivale a circa 28 anni lavorativi», spiega Daniel Heinzmann, direttore della società di servizi informatici Organisation und Informatik Zürich (OIZ), per chiarirne l’entità. Con un intervento mediatico del consigliere comunale competente e una circolare a tutti i dipendenti si è riusciti temporaneamente a spezzare il trend. Successivamente però le cifre sono di nuovo aumentate e ad agosto è stato pertanto deliberato il blocco agli accessi. Per Heinzmann c’è tuttavia una seconda ragione per bloccare i siti: «L’upload e download di immagini e filmati sovraccarica enormemente la nostra rete di dati. Se dovessimo per questo potenziarla, verrebbe a mancare il budget per un’altra voce.» La cultura aziendale diventa il criterio – Quelli che sono cresciuti con le campagne di pulizia dei torrenti e le iniziative antilavoro minorile attribuiscono infatti grande importanza alla responsabilità sociale ed ecologica del proprio datore di lavoro. Oltre il 90 percento lo richiede pure esplicitamente e anche qui non ci sono quasi differenze tra occidentali e cinesi. Da un lato i Digital Natives vogliono non dover negare i propri valori con il lavoro, e dall’altro un datore di lavoro non deve danneggiare la propria immagine. Per un’azienda che ha fama di inquinare l’ambiente o sfruttare la povertà, su Facebook non si mette affatto bene. Daniel Meierhans Profilo personale e libro Urs Gasser è direttore del Berkman Center for Internet & Society dell’Università di Harvard. Si occupa da molti anni delle conseguenze giuridiche e sociali d’Internet. Nel 2008 ha pubblicato insieme a John Palfrey il libro molto autorevole «Born Digital – Understanding the First Generation of Digital Natives» (ISBN: 978-0465005154 ). Ai giovani manca un sistema di riferimento Signor Gasser, concretamente come cambia la cultura del lavoro nelle aziende con Internet? Il modo in cui comunichiamo ci dà un’impronta basilare. Scrivere lunghe lettere con la stilografica oppure scambiare di continuo e rapidamente Instant Messages o SMS influisce sul modo di pensare e sui rapporti sociali. Il confronto aperto su piattaforme di community modifica la capacità di lavorare in team. I giovani sono molto più disponibili a fornire informazioni. Per questo, ad esempio, l’attuale gestione della conoscenza nelle aziende funziona molto meglio. D’altra parte c’è naturalmente anche una certa irresponsabilità, che può diventare problematica. La qualità dei dati e la riservatezza hanno un valore molto inferiore per la generazione Internet. Ma proprio i Digital Natives non sono particolarmente sensibilizzati in materia di sfera privata? I nostri studi dimostrano il contrario. Nei giovani spariscono i confini tra dati personali e pubblici. I rischi correlati alla pubblicazione del privato spesso sono sottovalutati. Ciò potrebbe anche dipendere dal fatto che, dal punto di vista dello sviluppo biologico, i ragazzi non sono ancora assolutamente in grado di stimare in dettaglio i rischi a lungo termine delle loro azioni. E anche per la qualità di informazioni non possiedono un sistema di riferimento affidabile. Per gli utenti più giovani, ad esempio, la mera lunghezza del testo è un criterio di qualità. Se qualcuno si prende la briga di scrivere così tanto, deve essere vero; questa è la loro formula breve. In un’azienda ciò può generare conflitti se, ad esempio, per una perizia un praticante copia semplicemente Wikipedia e altre fonti Internet, anziché consultare la relativa letteratura specialistica. Questa personale esperienza maturata nella mia vita professionale mostra, ad esempio, come sia necessario offrire molto supporto nella formazione per allenare queste capacità. Quali sono le esigenze della generazione Internet rispetto ai datori di lavoro? Vogliono lavorare in aziende flessibili e aperte, che mettano a loro disposizione gli stessi mezzi tecnici che usano abitualmente nel privato. Inoltre, rivestono un ruolo molto importante criteri sociali o economici, oppure lo stile di un’azienda. Ciò dipende certamente anche dalla cultura della reputazione, che viene curata nei forum Internet e sui siti dei social network. Il datore di lavoro è parte della propria immagine fino ad un certo punto. I Digital Natives non rappresentano tuttavia l’intera gioventù. Non sono soprattutto ben istruiti e appartenenti a ceti benestanti? In realtà osserviamo una spaccatura sempre più profonda tra quelli che hanno un accesso diretto ai moderni mezzi di comunicazione e quelli che non possono permettersi alcun apparecchio di accesso a Internet. E anche il livello culturale in casa dei genitori si ripercuote direttamente sulla competenza nell’uso dei media e quindi sul tipo di utilizzo. Qui entra in gioco la politica. Come società non possiamo lasciare che questo gap aumenti ulteriormente, se in futuro vogliamo sfruttare il potenziale dei giovani in modo davvero produttivo. dialogue 0309 più internazionale rispetto ai genitori e i tre quarti suppongono che in futuro svolgeranno la loro attività in più sedi di lavoro. Per Kuipers si pone quindi la domanda concreta, se le aziende non debbano utilizzare più attivamente questa internazionalizzazione dei giovani e mandarli all’estero già molto tempo prima di quanto facciano oggi. Sorprendentemente i diplomati credono di avere solo da due a cinque datori di lavoro nel corso di tutta la loro vita professionale e i tre quarti si aspettano di lavorare per la maggior parte del tempo durante i normali orari di ufficio. Per i Millennials, quindi, la flessibilità lavorativa è un desiderio, ma non un fattore indispensabile e anche la fedeltà al datore di lavoro pare essere sostanzialmente maggiore rispetto alle supposizioni. D’altro canto egli viene giudicato secondo criteri finora a malapena considerati. 9