QUATTRO PASSI TRA I METALLI AGLI ALBORI DELLA “CIVILTA

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QUATTRO PASSI TRA I METALLI AGLI ALBORI DELLA “CIVILTA
QUATTRO PASSI TRA I METALLI AGLI ALBORI DELLA “CIVILTA’“
INTRODUZIONE
Lo scopo principale di questa chiacchierata è quello di cercare di ricostruire e di reinterpretare il
lontano passato attraverso la rivisitazione degli albori di una delle più affascinanti avventure
tecnologiche dell’uomo. Tale è stata l’importanza della produzione e l’utilizzo dei metalli che per
scandire la propria storia, l’uomo è ricorso a delle suddivisioni basate su quei materiali che sono
stati impiegati come strumenti e coi quali ha costruito una buona parte di quello che facciamo
ricadere sotto il termine di “civiltà”: secondo una ben nota successione all’età della pietra fa seguito
l’età del rame e quindi quelle del bronzo e del ferro. Lo studio e i tentativi per comprendere le
tecniche produttive progressivamente elaborate e perfezionate appaiono di estrema importanza, al
fine di mettere in luce la capacità intellettuale e creativa dei nostri antichi avi e quindi per una
conoscenza più completa della storia dell’umanità, storia condizionata dall’evolversi delle
conoscenze metallurgiche.
La conquista della natura da parte dell’uomo è stata un’ascesa costante ed ogni sviluppo appoggia le
radici sui risultati precedentemente acquisiti. L’età del rame si basa sulle esperienze di quasi tre
milioni di anni, durante i quali l’uomo sfrutta tutte le possibilità offerte dalla pietra; in tutto questo
tempo l’uomo cerca di utilizzarne tutti i tipi: spezza la quarzite, scheggia la selce, taglia la nera
ossidiana, leviga il serpentino, prova i vari tipi di calcari, sperimenta tutti i materiali lapidei che
trova; nascono così specialisti del “taglio delle pietre” e incominciano a svilupparsi i commerci. Le
asce di pietra disboscano le foreste per far posto alle coltivazioni, le lame di selce realizzano falcetti
per mietere i cereali. La pietra costruisce la storia dell’uomo, che la insegue anche sotto terra, al fine
di procurarsela.
Resti di antiche miniere di selce sono stati scoperti in diverse parti del mondo, Italia compresa
(Gargano e Sicilia); una delle più note è quella di Grimes Grave , nella Gran Bretagna meridionale,
dove, nelle gallerie scavate a una decina di metri di profondità, sono stati rinvenuti picconi di corno
di renna abbandonati dai minatori neolitici.
Un’altra toccante testimonianza viene da Obourg, in Belgio, dove, all’interno di antiche gallerie, gli
archeologhi hanno rinvenuto lo scheletro di un minatore ucciso dal cedimento della roccia, mentre
lavorava col suo piccone di corno .
In prossimità di alcune miniere, sono state spesso individuate quantità di schegge tali da suggerire la
presenza di un’intensa attività di opifici, dove il materiale veniva trasformato in asce, zappe, punte,
lame, raschiatoi, bulini e altri singolari utensili che poi venivano scambiati con le popolazioni
abitanti in territori meno ricchi di materia prima
Le nuove opportunità di sviluppo che l’età della pietra poteva offrire all’uomo stavano ormai per
esaurirsi.
. INQUADRAMENTO CRONOLOGICO E GEOGRAFICO
La datazione dei primi reperti metallici effettuata mediante la rilevazione del decadimento del
Carbonio 14 ha evidenziato che essi possono essere cronologicamente collocati tra il 6500 a.C. ed il
4500 a.C.. La comparsa di tali oggetti si colloca geograficamente in aree assai limitate nelle zone
dell’Anatolia, della Mesopotamia e della Persia (circa 6500 a.C) e, in seguito, nella zona dei
Balcani (circa 4500 a.C.). La scarsità dei ritrovamenti risalenti a tale periodo ed il fatto che gran
parte dei materiali metallici utilizzati non siano estratti dai minerali, ma siano ottenuti da
giacimenti, in cui si presentano allo stato nativo, oppure in depositi di origine meteorica, sembrano
indicare che il grado di specializzazione dei primi artigiani metallurgici non sia particolarmente
elevato.
D’altra parte, in tale periodo, ancora caratterizzato da un’economia di sussistenza, che vede
nell’organizzazione sociale dei villaggi il proprio fulcro, non vi è la possibilità di sviluppare con
continuità quelle competenze tecniche specialistiche e quegli scambi commerciali, che avrebbero
caratterizzato l’ultima parte del neolitico. L’insorgere di competenze tecniche specialistiche più
avanzate durante il tardo neolitico è, per esempio, testimoniato da ceramiche rinvenute nelle regioni
balcaniche e caratterizzate da pareti di spessore sottile, decorate cromaticamente e cotte ad elevata
temperatura che paiono suggerire la presenza di gruppi di artigiani che hanno raggiunto un
ragguardevole livello tecnico in tali lavorazioni.
Se tale ipotesi fosse verificata, è plausibile pensare che l’elaborazione di tecniche specialistiche
sia stata resa possibile da un avanzo di produzione agricola e da un miglioramento
nell’approvvigionamento alimentare, che permette a diversi individui di liberarsi dall’attività
di coltivazione ed allevamento, per dedicarsi ad altre occupazioni che, come la lavorazione dei
metalli, richiedono un impegno di tempo e di addestramento, tale da escludere l’esercizio di
altre attività produttive.
Un tale lento processo di avanzamento tecnico continua durante quello che gli storici chiamano
Calcolitico o Eneolitico, ossia il periodo della preistoria caratterizzato dalla presenza
contemporanea di manufatti in rame e in pietra.
In ogni caso, è interessante che i primi oggetti metallici lavorati siano a base di oro o di rame.
Infatti, l’oro ed il rame possono essere rinvenuti allo stato nativo, poiché mostrano nessuna o
scarsa tendenza a combinarsi con ossigeno o zolfo a formare dei minerali.
La nuova strutturazione sociale imposta dalla specializzazione delle lavorazioni implica e
accompagna la nascita di un nuovo modello, differente da quello del villaggio agricolo-pastorale,
ossia la formazione di agglomerati urbani.
E’ interessante notare che l’attività metallurgica documentata cresca di intensità attorno al 3000
a.C., proprio nelle regioni in cui compaiono le prime significative testimonianze di comunità urbane
presenti nell’area della cosiddetta mezzaluna fertile , dove la produzione agricola, favorita da fertili
terreni e dalla disponibilità idrica, è in grado di raggiungere quell’eccedenza necessaria ad attivare i
commerci ed i processi di specializzazione professionale.
In concomitanza con le prime tracce di consistenti insediamenti urbani intorno al 3000 a.C. si
incrementano le prime produzioni di bronzi che, peraltro, indicano pure l’instaurarsi di intense
attività commerciali necessarie per l’approvvigionamento del rame e dello stagno.
Tali tecniche si estendono successivamente dal Medio Oriente verso le regioni greche (2500 a.C.) e
a quelle italiane (2300 a.C.), fino a penetrare nelle regioni dell’Europa Centrale (2000 a.C.).
L’area geografica della mezzaluna fertile interessata dai più antichi ritrovamenti relativi all’Età del
Bronzo
APPARIZIONE DEI PRIMI METALLI
Anche solo abbozzare una scala cronologica plausibile circa l’impiego dei metalli risulta però
estremamente difficoltoso, anche perché buona parte della produzione metallurgica è stata soggetta
a numerosi ricicli. Se si volesse tentare di delineare una scala cronologica sulla base di dati relativi
ai ritrovamenti archeologici è interessante notare che le datazioni più antiche si riferiscono al rame e
al piombo, mentre l’oro sembra essere stato utilizzato solo successivamente nonostante il suo
impiego richiedesse abilità solo nella capacità di deformare il materiale per conferirgli la forma
desiderata, poiché l’oro non si trova sotto forma di minerale ma in forma metallica. D’altra parte,
sorge il dubbio che, dato il pregio dell’oro, i manufatti più antichi in tale metallo siano stati rifusi,
come nei secoli è capitato a tante altre leghe metalliche.
C’è quindi incertezza in molti studiosi se sia l’oro, l’argento o il rame il primo metallo ad
essere utilizzato dall’uomo; a nostro avviso, dall’esame dell’affinità dei metalli per l’ossigeno,
che permette di strutturare una classifica della resistenza dei metalli ai fenomeni ossidativi
(oro-argento-rame-piombo-stagno-ferro), sembrerebbe plausibile pensare che il primo
metallo ad essere utilizzato sia stato l’oro: per l’inalterabilità agli agenti atmosferici, deve
essere stato il primo metallo ad attrarre l’attenzione dell’uomo. Moltissime sono le
testimonianze raccolte nei musei di pepite anche di notevoli dimensioni che mostrano visivamente
l’indiscussa proprietà di tale metallo ad esistere in natura allo stato metallico.
L’oro, per disgregazione delle rocce aurifere che costituiscono i giacimenti primari, passa nelle
sabbie dei fiumi. Il classico metodo di estrazione tramandato dall’antichità è quello del lavaggio
delle sabbie aurifere, basato sulla forte differenza di peso specifico tra l’oro (19,32 gr/cm3), il
quarzo e i silicati delle sabbie, assai più leggeri (2-4 gr/cm3): una corrente di acqua asporta più
facilmente questi ultimi, concentrando le particelle d’oro più pesanti. Sembra incredibile come al
giorno d’oggi questa tecnica sia ancora utilizzata . Testimonianze d’argento e rame allo stato natio
si sono potute verificare anche ai tempi nostri.
E’ indiscutibile tuttavia che l’uomo provi a lavorare queste nuove “pietre” come ha imparato a fare
con le altre e s’accorge che si ammaccano, cambiano un po’ forma; batti e ribatti, anziché
scheggiarsi si appiattiscono, si assottigliano.
FLASH SULLA RIDUZIONE DEI MINERALI
Con l’esaurimento dei metalli allo stato nativo ritrovabili sulla superficie terrestre, l’uomo è
costretto a seguire le sue tracce nelle viscere della terra continuando così quella tecnica mineraria
iniziata con la ricerca delle miniere di selce.
Non è stato ancora possibile stabilire con certezza l’ubicazione delle antiche attività estrattive come
pure i siti su cui siano state realizzate le prime operazioni di estrazione dei metalli dai loro minerali;
la presenza di antiche tracce di un gran numero di giacimenti metalliferi sono state rinvenute nelle
regioni montuose che si estendono fino al corso inferiore del Tigri: tra i giacimenti più importanti
sono certo da ricordare quelli di rame in prossimità delle sorgenti del Tigri stesso, noti in
Mesopotamia fin dall’approssimarsi del III millennio con il nome di Argana. La notevole
importanza attribuita alla zona pontica dell’Anatolia, come pure di qualche luogo dell’Anatolia
centrale, è legata alla ricchezza delle sue risorse minerarie che hanno ricoperto un ruolo di primo
piano nello sviluppo delle primitive civiltà anatoliche: i ricchi giacimenti di rame e di piombo che si
accompagnano anche a più esigue quantità di oro e argento, nonché i siti di estrazione dei minerali
di ferro sono risultati di estrema importanza nello sviluppo della metallurgia estrattiva di questa
regione.
Il riconoscimento delle vene dei vari minerali si realizza appunto “cercando”, aiutati da un acuto
spirito di osservazione sul colore delle rocce, sulla vegetazione più o meno rigogliosa circostante,
sulle informazioni rilasciate dal limo nell’acqua e sulla conformazione stessa delle rocce.
Certamente le più antiche escavazioni sono state realizzate seguendo le vene dei filoni affioranti in
superficie.
E questo minerale doveva essere portato allo stato metallico. Con il termine di riduzione di un
metallo s’intende un’operazione in grado di estrarre un elemento metallico da un suo minerale nel
quale si trova combinato con altri elementi (es. ossigeno, zolfo, cloro, fluoro, ecc.). La prima
operazione della metallurgia estrattiva si chiama riduzione, poiché il metallo vede diminuire il
numero di elettroni (riduce appunto), che esso deve cedere ad un altro elemento. E questo perché la
quasi totalità dei metalli nelle abituali condizioni ambientali non sono in equilibrio termodinamico
ma tendono a trasformarsi nei loro composti, i più comuni dei quali sono ossidi, idrossidi, carbonati,
solfati, cloruri, ecc. secondo dei processi ai quali non vanno in genere soggetti unicamente quei
metalli, come il platino, l’oro e l’argento che, proprio per questo motivo vengono detti “nobili”. Il
concetto di riducibilità di un composto è legato alla facilità con cui è possibile separare il metallo
dalla specie chimica con esso combinata, ossia dalla facilità con cui appunto è possibile ridurre il
metallo. Questa è l’operazione fondamentale appunto della metallurgia estrattiva che, pur ignari dei
principi chimico fisici, gli antichi metallurghi avevano imparato a realizzare. Stante quanto detto
sinora, è evidente che sia più semplice separare un metallo a partire da ossidi facilmente riducibili
anziché da ossidi di difficile riducibilità. Una scala di questa possibilità di ridurre un metallo a
partire da un composto è stata rappresentata dai moderni metallurgisti attraverso il diagramma dei
potenziali.
Sono diversi gli studiosi che non escludono che i primi forni usati per estrarre i metalli dai loro
minerali non fossero molto dissimili dai tipi usati per la cottura della ceramica, nei quali si
raggiungevano temperature di 700 ÷ 900 °C.
Ma per realizzare il salto di temperatura necessario a rendere possibili i processi metallurgici, è
indispensabile forzare l’immissione di aria per favorire la combustione.
I forni usati fin dai primordi in molte metallurgie per l’operazione di prima fusione, anche se
enormemente diversi gli uni dagli altri, hanno in comune delle caratteristiche essenziali che tuttora
li contraddistinguono come uno dei mezzi produttivi più efficienti della metallurgia per via ignea,
detta anche pirometallurgia.
Sono forni a tino con carica costituita da minerale e carbone di legna (elemento fondamentale del
processo) diversamente proporzionati a seconda delle materie di partenza.