Tribunale Napoli 16 marzo 2007 [Omissis] Il ricorso è infondato e va

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Tribunale Napoli 16 marzo 2007 [Omissis] Il ricorso è infondato e va
Tribunale Napoli 16 marzo 2007
[Omissis]
Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
In punto di diritto, giova evidenziare sul piano della disciplina legale del contratto a termine che la
controversia in esame non soggiace più alla regolamentazione della legge 18/4/1962 n.230 e dell'art.
23 della legge n. 56/87 dal momento che l'abrogazione di tale normativa con il dlgs 3/9/2001 è stata
prevista per i contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore facendo salva l'efficacia delle clausole
contrattuali stipulate sotto il vigore della precedente normativa e fino alla data di scadenza
contrattuale.
Difatti, l'art.11 del dlgs 6/9/2001 n.368 testualmente recita "Abrogazioni e disciplina transitoria.
1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate la legge 18 aprile
1962, n. 230, e successive modificazioni, l'articolo 8-bis della legge 25 marzo 1983, n. 79, l'articolo
23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nonché tutte le disposizioni di legge che sono comunque
incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo.
2. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le
clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 23 della citata legge
n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno,
in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti
collettivi nazionali di lavoro.
3. I contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i
loro effetti fino alla scadenza".
Orbene, nel caso in esame il contratto a termine risulta stipulato dopo la data di scadenza del
CCCNL 2001 fissata al 31/12/2001.
Il contratto di assunzione, per concorde trascrizione del contenuto dalle parti in causa risulta
stipulato "per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento
di risorse sul territorio anche derivante da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti
all'introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi nonché all'attuazione
delle previsioni degli accordi del 17,18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e
17 aprile congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per
ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo".
Occorre quindi esaminare se le ragioni addotte, come esplicitate nel contratto individuale, siano
idonee a legittimare l'operato della società convenuta nei limiti fissati dall'art.1 del dgls 368/01.
Difatti, l'art.1 del dlgs 368/01 faculta i datori di lavoro alla stipula di assunzioni a tempo
determinato consentendo l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato
a fronte di "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo".
La norma non pone in realtà sullo stesso piano lavoro a termine e lavoro a tempo indeterminato,
affidando la scelta alla preferenza del datore di lavoro per l'una o per l'altra soluzione, ma sancisce
che si può ricorrere al lavoro a termine solo "a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo".
Tali ragioni non possono essere dilatate a tal punto da essere identificate con le preferenze
insindacabili del datore di lavoro. In tal modo la norma perderebbe qualsiasi senso e comporterebbe
la possibilità di una scelta sostanzialmente arbitraria. Di "ragioni" si deve trattare. E non di ragioni
di mera convenienza economica, ma di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. Ma
soprattutto, si deve trattare di ragioni che giustificano la scelta del contratto a termine, altrimenti
non consentita. Quindi ragioni "della" assoggettabilità ad un termine del contratto. Il che significa
che il contratto deve rispondere ad un'oggettiva esigenza (tecnica, produttiva, organizzativa o
sostitutiva) di temporaneità del rapporto e non ad una scelta di politica aziendale delle assunzioni e
(conseguentemente) della gestione dei rapporti di lavoro.
La norma, superando la tipizzazione è introducendo una clausola generale, ha probabilmente
ampliato l'area della deroga al principio per cui il contratto di lavoro è a tempo indeterminato, ma
sempre di una deroga si tratta e di una deroga che deve essere collegata a ragioni che giustifichino
la scelta di assumere a termine. Non una qualsiasi ragione ma una ragione giustificativa del termine.
Questa lettura risulta apparire la più aderente alla lettera della legge ed è condivisa dai primi
interventi della Corte di cassazione.
Pur non essendosi ancora occupata di casi disciplinati in base alla nuova disciplina, la Corte di
legittimità infatti ha già fornito alcune precise indicazioni interpretative.
Nella decisione n. 14011 del 2004, la Sezione lavoro della Cassazione ha affermato che la nuova
disciplina dettata dal decreto legislativo 368 del 2001 non stravolge ma conferma il principio
generale secondo il quale le assunzioni devono di norma avvenire a tempo indeterminato (Cass. n.
7468 del 2002)dedicando un ampio pezzo della motivazione al decreto legislativo 368, sottolinea
che il provvedimento trova il suo fondamento nei principi fissati dalla direttiva di recepimento
dell'accordo europeo che afferma la necessità che il termine abbia giustificazioni in condizioni
oggettive e fissa principi per evitare abusi derivanti dall'utilizzazione di contratti a tempo
determinato. Questo limite "rileva la Corte nella sentenza 7468- "è recepito nel fondamento stesso
del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368: poiché per il contratto a termine è necessario un
atto scritto e motivato (art. 1, secondo comma) ed illegittime proroghe vanificano il termine stesso
(art. 5), il termine costituisce deroga d'un generale sottinteso principio: il contratto di lavoro
subordinato, per sua natura, non è a termine".
In conclusione: il datore di lavoro che voglia assumere con contratto a termine può farlo in presenza
di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustifichino la apposizione del
termine. Si deve trattare di ragioni oggettive che, in quanto tali, possono e devono essere
dimostrabili e verificabili.
In proposito, come sostenuto anche dalla Suprema Corte (cfr ancora sent. 14011/04) "la
disposizione determina le ragioni legittimanti l'apposizione del termine con riguardo alla
regolamentazione a livello individuale operata dalle stesse parti del rapporto di lavoro e non già
determinata dalla contrattazione collettiva. Cosicché le due discipline non sono compatibili e vi è
persino da dubitare se quella nuova, con il sistema di controllo (anche e soprattutto giurisdizionale)
ex post sull'esistenza delle condizioni oggettive, rafforzi realmente le garanzie del lavoratore,
affidate in precedenza alla contrattazione collettiva, ancorché abilitata a contemplare anche ipotesi
soggettive...".
Il datore deve indicare tali ragioni nell'atto scritto di assunzione ("atto scritto "sancisce il secondo
comma dell'art. 1- nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1").
Il decreto non ha esplicitamente previsto di chi sia l'onere della prova della esistenza di tali ragioni,
ma è evidente che tale onere grava su colui che ne afferma l'esistenza.
Quindi, il datore di lavoro ha l'onere di indicare le ragioni nel contratto di assunzione, ma ha anche
l'onere, in caso di contestazione, di dimostrarne e provarne l'esistenza ed il collegamento con
l'assunzione a termine del lavoratore.
Al riguardo va evidenziato che nel contratto di lavoro risultano adeguatamente specificate le causali
dell'assunzione a termine dal momento che essa contiene la chiara ed univoca enunciazione delle
ragioni del ricorso al contratto a termine dovute alla mobilità del personale in ambito nazionale
anche in attuazione dei citati accordi sindacali nonché alla necessità della sostituzione di lavoratori
assenti con diritto alla conservazione del posto.
Il ricorrente a tali ragioni, muove innanzitutto una censura formale che ridonda, a suo dire, in un
vizio di genericità della motivazione e quindi in un difetto della causa. Egli sostiene che
l'esplicitazione di tre ragioni, peraltro tra loro contrastanti, costituisce la prova dell'illegittimità della
clausola finale del contratto.
Orbene, a parere del Giudicante, la valutazione della condotta del datore di lavoro che abbia fatto
ricorso alla stipula di un contratto a termine va esaminata in relazione alle prescrizioni legali e non
già con riferimento alla qualità dello stesso.
In altri termini, le Poste Italiane vanno considerate come un qualsiasi datore di lavoro che
utilizzando lo schema del contratto a termine, deve ottemperare alle prescrizioni della legge
fondamentale vigente per cui le Poste non possono né giovarsi della loro forza dimensionale in
ambito nazionale per sottrarsi a tale onere né tale forza può nuocergli. Pertanto, avendo addotto la
sussistenza di ragioni di mobilità e ragioni di carattere sostitutivo, le Poste hanno delineato il
motivo della stipula del contratto a termine soggiacendo all'onere di fornirne la prova.
La pluralità di ragioni non inficia la motivazione laddove, come nel caso che ne occupa, la lettura
delle stesse le rende compatibili l'un l'altra ovvero non incompatibili tra loro. Difatti, ben potrebbe il
datore di lavoro avere inteso fronteggiare sia un fenomeno di mobilità dovuta a processi tecnologici
e a crisi economica sia un fenomeno di assenza del personale nel periodo estivo, con particolare
riferimento alla sede di assegnazione del contrattista a termine. Trattandosi di ragioni tra loro non
incompatibili la valutazione della legittimità della clausola va fatta tenendo conto della lettura
combinata delle ragioni addotte per giustificare la stipula del contratto.
La società convenuta invece allega che "la temporaneità dell'esigenza di mobilità trova conferma
nel riferimento alla necessità di impiego del ricorrente in sostituzione di dipendenti assenti per ferie
laddove il riferimento non è inserito quale giustificazione ulteriore ed autonoma ma solo a maggiore
specificazione e completamento del contesto organizzativo che fa da sfondo all'instaurazione di
quel rapporto (cfr pag. 9 della memoria).
La formulazione letterale delle ragioni addotte dalle Poste nel contratto individuale in esame è
compatibile anche con l'interpretazione datane dalle Poste dove l'uso dell'avverbio
"congiuntamente", può anche denotare che le Poste abbiano inteso correlare l'apposizione del
termine ai processi di mobilità per cui le ragioni di carattere sostitutivo apparirebbero rafforzative
delle esigenze di mobilità.
In ogni caso, la società convenuta ha adeguatamente provato sia i processi di mobilità in ambito
nazionale e provinciale sia la carenza di personale, assente per ferie nell'ufficio di assegnazione del
ricorrente.
In particolare sussistono le esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere
straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, prodotti e
servizi nonché all'attuazione delle previsioni degli accordi del 17, 18 e del 23 ottobre 2001, 11
novembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio, 17 aprile 2002".
A parere del Giudicante, la formula trascritta non è censurabile, contrariamente all'assunto attoreo,
in via aprioristica solo perché mutua l'ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva all'art.25
laddove essa, come nel caso in esame, contiene uno specifico riferimento alle ragioni (processi di
riorganizzazione connesse ad un riposizionamento di risorse sul territorio) alla causa del
riposizionamento (innovazioni tecnologiche, prodotti e servizi) alle fonti contrattuali della mobilità
del personale (accordi del 17, 18 e del 23 ottobre 2001, 11 novembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13
febbraio, 17 aprile 2002).
Del resto la formulazione legislativa secondo cui " L'apposizione del termine è priva di effetto se
non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui
al comma l (Art.1. "comma 2) non può essere intesa nel senso restrittivo voluto dal ricorrente per
cui la specificazione delle ragioni deve ragionevolmente consistere nell'indicazione della causale
del ricorso al contratto a termine, restando demandato al datore di lavoro di fornire la prova in caso
di contestazione.
A tale riguardo, le Poste sostengono che in applicazione degli accordi richiamati nella lettera di
assunzione, è stato avviato un processo di mobilità infraaziendale a livello nazionale che ha
interessato tutti gli uffici postali.
Tale processo di mobilità ha creato una situazione di temporanea carenza di personale protratta per
tutto il 2002 e, dunque, era tale da "conferire piena idoneità giustificativa all'apposizione del
termine della causale invocata" per il periodo dal 9/5/2002 al 30/6/2002 (cfr pag.8 della memoria).
In base ai principi processuali su richiamati, in presenza di questo stato di cose, le Poste avrebbero
dovuto provare non solo l'esistenza in generale di un processo di mobilità interna ma anche e più
specificamente, che quel processo aveva riguardato anche la sede di assunzione del ricorrente, nel
senso che lo spostamento per mobilità interna di alcuni lavoratori aveva determinato una carenza di
personale nel comune di Napoli che costituiva per il periodo di tale carenza una ragione oggettiva
per l'assunzione di personale non a tempo indeterminato, bensì a termine (sino a che quella carenza
non fosse venuta meno). E avrebbero dovuto dimostrare che al momento della assunzione del
ricorrente quel processo non era ancora esaurito ma era in atto.
A tal fine le Poste hanno prodotto in primo grado copia degli accordi collettivi richiamati nell'atto di
assunzione e hanno chiesto una prova testimoniale sulle circostanze enunciate nella parte in fatto
della memoria di costituzione.
La prova è quindi affidata alla contrattazione collettiva richiamata nella motivazione della
assunzione a termine e allegata alla produzione delle Poste.
Dalla lettura di questi accordi ed in particolare dell'accordo del 17 ottobre 2001 si evince che in
effetti le Poste hanno concordato con le organizzazioni sindacali "una distribuzione più funzionale
del personale sull'intero territorio nazionale", che ha comportato il pensionamento di molti
lavoratori e il ricollocamento di altri attraverso un processo di mobilità nazionale diviso in due
filoni, quello del recapito (portalettere) e quello della sportelleria. L'accordo dell'ottobre 2001 fissa
l'inizio ed il termine delle procedure di mobilità, stabilendo che dovranno concludersi, "per quanto
riguarda la mobilità verso il recapito (portalettere) entro il 31 gennaio 2002 e per quanto riguarda la
mobilità verso la sportelleria, entro il 31 marzo 2002".
La tesi delle Poste è che successivi contratti collettivi hanno prorogato i termini finali (differenziati)
di tali processi di mobilità. Per la sportelleria tale proroga in base all'accordo del 18 settembre 2002
è stata spostata al 30 novembre 2002 "la data entro la quale completare l'intero processo di mobilità
verso la sportelleria").
Per quanto attiene al recapito, alla data del 30 luglio 2002 società e organizzazioni sindacali si sono
reciprocamente date atto della conclusione dei processi di mobilità aziendale verso il recapito (cfr.
accordi del 30 luglio e del 1 agosto 2002).
Quindi, alla data della stipula del contratto di lavoro per cui è causa (cfr 1/7/2002), la mobilità non
era ancora conclusa ed era quindi proponibile la ragione indicata dall'azienda come giustificativa
della assunzione a tempo determinato del lavoratore.
Se le assunzioni a tempo determinato erano giustificate dal dover coprire gli scompensi determinati
dal fatto che erano in corso processi di mobilità endoaziendale, essendo in atto tali processi di
mobilità alla data di sottoscrizione del contratto individuale di lavoro quella ragione organizzativa
era ancora idonea a svolgere il suo ruolo.
Ciò posto, è rimasta dimostrata anche l'ulteriore circostanza che quel processo di mobilità abbia
riguardato l'ambito regionale e provinciale cui era stata assegnata il ricorrente.
In particolare, con l'accordo del 17 ottobre 2001 (in atti) concluso con le OOSS ai sensi della legge
223/91, nell'ambito della procedura di riduzione del personale avviata con comunicazione del
25.6.2001, si prevedeva una riduzione del personale in eccedenza attraverso forme di mobilità
volontaria su base nazionale verso il recapito (porta lettere) e successivamente attraverso un
processo di mobilità territoriale su base collettiva sempre verso il medesimo recapito; nel
documento si legge altresì che "...l'azienda ha fatto ricorso ad assunzioni a tempo determinato al
fine di garantire il livello di qualità dei servizi di cui al contratto di Programma, soprattutto nel
settore del recapito, anche tenuto conto della non fungibilità tra le qualifiche proprie del personale
in eccedenza e quelle richieste per l'attività in parola ..." e si prevedeva, infine, che "in tale contesto
la società potrà continuare a ricorrere all'attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il
livello del servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità di cui al
presente accordo".
Nell'accordo del 23 ottobre 2001 (in atti), costituente parte integrante del precedente, si dava atto
che la ricollocazione del personale appartenente all'area Operativa e di Base, in eccedenza a seguito
dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione, sarebbe stata realizzata mediante: l'assegnazione
del personale ad attività di produzione e di contatto con la clientela; l'individuazione e
ricollocazione del personale sulla base di criteri oggettivi, quali carichi di famiglia e anzianità di
servizio; mobilità volontaria sull'intero territorio nazionale; mobilità collettiva entro il limite
geografico della Provincia ove è ubicata la sede di lavoro; interventi formativi.
Con una serie di accordi successivi (in produzione di parte resistente), ultimo dei quali stipulato in
data 18.9.2002, le parti collettive procedevano poi all'ulteriore definizione ed attuazione dei descritti
processi di mobilità.
Per quanto qui ne occupa, dal verbale del 17/4/2002 versato in atti dalle Poste vi evince che il
processo di mobilità collettiva provinciale verso il recapito avrebbe avuto inizio entro e non oltre il
6/5/2002 e, con il richiamo ai precedenti accordi del 17 e 23 ottobre 2001 a conclusione della
procedure avviata ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 2223/91, si conferma il dato numerico delle
310 unità addette al recapito interessate dal processo di mobilità in ambito campano.
L'accordo del 18 settembre 2002 ha spostato al 30 novembre 2002 "la data entro la quale
completare l'intero processo di mobilità verso la sportelleria", mentre già alla data del 30 luglio
2002 società e organizzazioni sindacali si sono reciprocamente date atto della conclusione dei
processi di mobilità aziendale verso il recapito (cfr. accordi del 30 luglio e del 1 agosto 2002,
nonché, indirettamente, l'accordo del 18 settembre 2002 in cui si proroga ulteriormente solo la
mobilità sportelleria).
Da tanto consegue un adeguato riscontro dell'esigenza oggettiva di assumere personale con
contratto a termine, in relazione e sino all'esaurimento del processo di mobilità che, in riferimento
all'ambito regionale campano e provinciale di Napoli, consente di giustificare, ai sensi della
normativa vigente, l'apposizione del termine al contratto di lavoro individuale del ricorrente in
quanto stipulato il 1/7/2002 allorquando la mobilità era ancora in corso.
Con riferimento all'ulteriore causale del contratto a termine in esame, la sostituzione del personale
assente per ferie è stata adeguatamente riscontrata dalla produzione documentale della società
versata in atti e in particolare dal prospetto riepilogativo del personale addetto al CMP di Napoli
nello stesso periodo del rapporto di lavoro del ricorrente da cui è risultato che il personale in
servizio aveva totalizzato un numero di assenze per ferie pari a 10.725 giornate mentre l'impiego di
personale a termine ne aveva consentito l'utilizzo per un numero di giornate inferiore, pari a 3.624.
Alla stregue dei riscontri documentali, che pur promanando dalla parte, non risultano oggetto di
specifiche censure formali e sostanziali, deve ritenersi che le Poste abbiano adempiuto all'onere
probatorio su di esse gravante avendo dimostrato che l'assunzione del ricorrente con contratto a
termine nel periodo dal 1/7/2002 al 30/9/2002 è avvenuta anche per soddisfare le assenze per ferie
del personale assegnato al CMP di Napoli.
In ordine alle ulteriori doglianze va evidenziato che alcun obbligo di rispettare limiti quantitativi di
ricorso alle assunzioni a tempo determinato può ritenersi gravi sulle Poste in base all'art.25, 2°
comma del ccnl 2001 che attiene ad ipotesi diverse da quelle per cui è causa.
Pertanto, l'operato delle Poste Italiane si appalesa immune dalle censure denunciate da parte
ricorrente.
Quindi, superflua ogni altra considerazione, il ricorso va rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa le spese tra le parti.
Napoli, 16/3/2007
Il giudice del lavoro
Dott.ssa Amalia Urzini