n. 12 - Primavera 2010 - Le Montagne Divertenti
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n. 12 - Primavera 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina n°12 - primavera 2010 - EURO 3 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Sci di fondo Provare per credere Meridiane L'ora di Fratello Sole Sentiero del Viandante Da Dervio a Colico e v r i D tenti Giovanni Morelli "Valtellina nel passato" Sondrio I suoi ultimi prati Cima della Bondasca Scialpinismo fuori traccia Alta Valle Monte Rinalpi, ai piedi della Cima Piazzi Fotografia Fenomeni naturali spiegati e fotografati Redorta Re delle Orobie Natura Insetti, rondini e fiori Valchiavenna Savogno e Dasile, un tuffo nel passato Pittura Ferruccio Vanotti: paesaggi e lampi di colore Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Giovello le miniere della Valmalenco valchiavenna - bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Beno La pace è quando arrivi in vetta e il buio è la tua compagnia, quando in balia della corrente del fiume non hai paura di annegare, quando puoi startene fermo e fissare il vuoto, quando mangi solo se hai fame e piangi perchè sei felice, quando il tuo viaggio ha una meta, quando non c'è fretta di tornare, quando hai il coraggio di essere te stesso, un abbraccio, quando non hai paura che qualcuno faccia meglio di te, quando ti senti ospite e non padrone del mondo. La pace è stata investita da un SUV sulla SS38. 2 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Tramonto in vetta al Pizzo Giumellini (6 gennaio 2010, foto Beno). In copertina: disgelo al lago Pirola in Valmalenco (23 maggio 2009, foto Roberto Moiola). Ultima di copertina: fioritura di Crocus in località Corte Granda di Albaredo, sullo le vetteDivertenti ancora innevate Lesfondo Montagne della Valgerola (6 maggio 2009, foto Roberto Ganassa). 1 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Ne vale veramente la pena Assolutamente sicuro Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (è necessaria una guida) ore di percorrenza Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. dislivello in salita Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Sommario Le Montagne Divertenti Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Alessandra Morgillo Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Valentina Messa Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 55 Sentiero del Viandante: da Dervio a Colico 74 6 Beno Revisore di bozze Mario Pagni Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Osti, Antonio Boscacci, Carlo Pelliciari, Carmen Mitta, Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Eliana e Nemo Canetta, Franco Benetti, Franco Cirillo, Giacomo Meneghello, Gianni De Stefani, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Giorgio Urbani, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luigi Zani, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Gianatti, Nicola Giana, P. Brichetti, Paolo Rossi, Paride Dioli, Pascal van Duin, Pierandrea Brichetti, Piero Gaggioni, Renzo Benedetti, Riccardo Ghislanzoni, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Ufficio Turismo di Madesimo (Arianna e Michela), Viola Doddi. Si ringraziano inoltre Carlo Giotta, Ezio Gianatti, Filippo Scaramella, Gioia Zenoni, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, CAI Valtellinese, la Tipografia Bonazzi, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Redazione Il giovello 7 Una storia lunga 600 anni 15 Progetti per il futuro 16 Le serpentiniti 17 80 Il mondo in miniatura 85 Arretrati [email protected] - € 5,00 PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero 21 giugno 2010 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio Disegni Carlo Pelliciari / Dicle Responsabile cartografia Matteo Gianatti Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Fauna: messaggeri di primavera 88 Flora: bulbose Abbonamenti per l’Italia Giovanni Morelli, il modellista 23 26 I mille volti del Marocco 39 Alta Valle: Monte Rinalpi Via S. Francesco, 33/C – 23020 Montagna (SO) annuale (4 numeri della rivista): costo € 20 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via S. Francesco 33/C 23020 Montagna SO NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) Valtellinesi nel mondo: 60 Lo Sbarramento del Poschiavino Meridiane: l'ora di Fratello Sole 42 Valmasino: Cima della Bondasca 91 Pittura: Ferruccio Vanotti 97 Poesia in dialetto: I dùu scióor 66 Passo dopo passo: Pralamagno Gli ultimi prati di Sondrio 32 Sci di fondo 99 L'arte della fotografia: Fenomeni naturali 104 Le foto dei lettori 50 Versante orobico: Pizzo Redorta 70 Valchiavenna: Savogno e Dasile 110 Giochi 112 Le ricette della nonna Speciali di primavera Cavatori all’imbocco della galleria (foto Archivio del Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). A fianco: Località Giuèl: gruppo di cavatori di fine ‘800 con le piode dei morti. Secondo la tradizione, ogni anno tutte le Compagnie offrivano, a suffragio dei cavatori caduti sul lavoro, un numero variabile di piode che, in seguito, venivano messe all’asta. Completava il rito un lauto pasto a cui potevano partecipare anche i figli dei giovellai. Al centro della foto si nota la pioda di dimensioni maggiori, che veniva premiata con la bandiera, una singolare botte colma di vino di cui la Compagnia vincitrice andava fiera perché segno evidente di un buon operato (foto Archivio del Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). LE CAVE DEL GIUÈL Una storia lunga 600 anni Valentina Messa S ono passati un po' più di vent'anni da quando la produzione di piode di serpentino in località Giovello è terminata e, insieme a lei, è caduto nell'oblio un sapere artigianale unico nel suo genere. S ituata a circa due chilometri a nord di Chiesa in Valmalenco, a m 1130, la zona del Giovello si estende su di una ripida pendice coprendo una superficie di circa dieci ettari. Un tempo testimone di una fiorente attività estrattiva e di un vivace brulicare di instancabili cavatori, oggi si presenta come una massa informe di detriti accumulatisi nel corso degli anni, a tratti sostenuti da muretti a secco tra i quali si scoprono i resti di antiche tettoie sotto cui venivano lavorate le piode. In realtà, l'attività estrattiva è ancora presente in Valmalenco. Ad essere cambiati sono i modi, i tempi, i luoghi e le persone. La pendice del Giovello è stata abbandonata e "sostituita" da numerosi altri siti dislocati nella valle. Il serpentino, le cui cave un tempo si sviluppavano nel sottosuolo seguendo solo le vene buone (i soli imbocchi risultavano visibili sulla pendice), oggi viene estratto a cielo aperto con l'ausilio di esplosivi che demoliscono ingenti quantità di roccia per volta. La lavorazione, che una volta era minuziosa e semplice, ora sfrutta moderni 6 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Località Giuèl: panoramica degli anni ‘50 (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). macchinari e tecnologie presenti nei grandi cantieri. Sembra che le piode resistano al tempo che passa sebbene siano scomparsi quei saperi artigianali che hanno cullato la cultura valligiana fin dai tempi antichi. La tradizione e le consuetudini, tramandate di padre in figlio per generazioni, hanno lasciato il posto a nuove abitudini e ad attività più confortevoli, ma anche ad un silenzio e ad un vuoto quasi irreale. Il Giovello 7 Speciali di primavera Valmalenco L'espressione 'ndà a Giuèl significa andare a lavorare in una cava di piode, diversamente da 'ndà int al Giuèl che, invece, significa recarsi presso la località Giovello. Un nome originale… I l termine Giu(v)èl o Giuèl dà il nome ad una località che affonda le sue radici nella tradizione, nel sapere artigianale e nell'esperienza di una comunità da sempre legata a doppio filo con il territorio e le sue ricchezze. L’origine del nome resta dibattuta. Gli antichi abitanti di Chiesa erano soliti battezzare con un nome proprio tutti quei luoghi che potevano avere un interesse particolare, sia dal punto di vista naturalistico che economico e sociale. E i nomi non venivano mai dati a caso. Il termine Giuèl potrebbe essere ricondotto al latino Jugum, giogo, che al diminutivo Jughellum prende il significato di piccolo valico o bocchetta. In passato, infatti, la pendice era attraversata a mezza costa da una strada che portava alla valle superiore: una “cavallera” che congiungeva Sondrio all’Engadina e alla Val Bregaglia attraverso il Passo del Muretto. Un secondo significato riporta, invece, all'attività mineraria: Giuèl indicava un insieme di cave di serpentino o, più comunemente, di piode. Entrambi i significati celano una profonda verità. Cenni storici L e prime testimonianze che individuano la diffusione delle piode della Valmalenco risalgono al 1300. Ne veniva fatto uso prevalentemente nella costruzione dei tetti, fino ad allora realizzati in paglia e scandola. La tradizione orale racconta che la produzione delle cave del Giovello ebbe inizio intorno al 1400, seppur la mancanza di documenti renda difficile datarne con esattezza l'avvio dei primi cantieri; quello che è certo, però, è che in quel periodo le piode malenche erano già abbondantemente conosciute anche fuori valle. Pareri contrastanti, invece, riguardano l'origine di questa attività mineraria, da alcuni attribuita all'inventiva della gente del posto, da altri relegata al sapere di abili forestieri che portarono le proprie conoscenze in Valmalenco. In quei tempi, infatti, numerosi erano i 8 Le Montagne Divertenti Spacco manuale di lastre grezze (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Perforazione manuale con stämp e mazza cubia (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). passanti che transitavano in valle dal Passo del Muretto: commercianti, soldati e viandanti che potrebbero aver trasmesso agli abitanti della valle le tecniche di estrazione e di lavorazione della roccia situata lungo la via di passaggio (il Giovello appunto). Eppure non è da escludere nemmeno l'ipotesi che la scoperta sia da attribuire ai locali: la presenza di una roccia tanto scistosa, come è il serpentino, e la facilità di lavorazione con pochi semplici strumenti avrebbero potuto favorire l'inizio di una fiorente produzione mineraria. primi passi di questa nascente forma di artigianato sfruttarono attrezzi e modalità semplici, quasi rudimentali. Ben presto, però, non fu più sufficiente. Si cominciò a fare uso del fuoco, tecnica precedentemente utilizzata nelle miniere di ferro e di rame, per generare fratture nella roccia che facilitassero l'estrazione. La legna migliore, ricca di resina che assicurava perciò una maggior resa di calore, era quella dei boschi di pino mugo di Giumellini e Entova. Il mattino i cavatori, dopo aver ripulito l’ambiente da brace e cenere, si apprestavano I al disgaggio con mazze e cunei. Solo nel 1600, il fuoco verrà sostituito dalle mine: piccole e profonde cavità nella roccia riempite di polvere pirica, detta anche polvere nera, che esplodendo staccava importanti volumi di serpentino, agevolando il lavoro dei cavatori in termini di tempo ed energie. Individuate quindi le banche di serpentino buono, si preparava in superficie lo spazio dove raccogliere e lavorare le lastre di pietra: in corrispondenza dell'imbocco della cava, che si sviluppava nel sottosuolo, veniva allestito un terrazzino con l'ausilio di muri a secco, protetto a sua volta da una tettoia, la “teciada”. Qui, i lotti di roccia estratta venivano scissi e rifiniti in pratiche piode. Accanto, non potevano mancare la “ca de la pulénta” e la “ca di fèr”, la prima per la preparazione del pranzo, la seconda per gli attrezzi. La sponda, mano a mano che il minerale veniva estratto e lavorato, si ricopriva di detriti; era compito delle donne, mogli dei cavatori, trasportare gli scarti delle opere di finitura oltre lo spazio di attività. gni cava era gestita da una compagnia e aveva un proprio O Il Giovello 9 Speciali di primavera Valmalenco Lavorazione delle piode sotto la tettoia (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). Fondamentale nella stesura dell'articolo: Annibale Masa, A Chiesa, un tempo, 'si andava a Giovello', Tipografia Mevio, Sondrio 1994. nome, spesso riferito al soprannome dei giovellai. Ricordiamo, a titolo di esempio, il giuèl del pinacul, il giuèl di cabèi, il giuèl di schenatum, quello di bac e quello di prémul. Nel corso degli anni, numerose cave sono state scoperte, sfruttate seguendo le vene buone e in seguito abbandonate. el 1957 il Distretto Minerario di Milano (oggi sostituito negli incarichi dalla Regione Lombardia) impose al comune di Chiesa il rilevamento topografico di tutte le cave del Giuèl. Il risultato fu un vivace intreccio di gallerie esteso e complesso che registrava l'apice nella cava dei Pauletti con ben 175 m di profondità. Purtroppo, nessuna ulteriore cartografia venne più realizzata durante gli ultimi anni di attività: risulta perciò impossibile conoscere l'evoluzione dell'ambiente minerario che ha portato all'abbandono della sponda nel 1987, quando anche l'ultima delle compagnie, quella di Olivo Gianfranco, cessò l'attività nel suo cantiere di Zòt Ciàta. N 10 Le Montagne Divertenti Oggi, quel che resta dell'antica area è stato nuovamente censito e registra ventotto cave sotterranee con una lunghezza variabile da 80 a 280 metri. Le Compagnie I l lavoro nelle cave del Giuèl era lungo, faticoso e complesso, impossibile da condurre per un solo operaio. Ogni cantiere era gestito da un gruppo di persone, detto Compagnia, con mansioni e responsabilità differenti. Nessun documento scritto legava i componenti di ciascun nucleo operativo, che si impegnava nei confronti dei propri compagni sulla parola. La lealtà e il rispetto reciproco stavano alla base della vita in cava. Generalmente formate tra padri e figli, parenti e amici stretti, in un numero variabile tra i due e i cinque individui secondo necessità, le Compagnie prevedevano per tutti i membri il diritto al lavoro e la suddivisione paritaria del prodotto ricavato. Addirittura, i gruppi più antichi non prevedevano la presenza di capi: tutti avevano pari diritti e dignità. olo nel 1933 quando, a seguito del riconoscimento di sfruttamento del suolo pubblico a fini minerari, venne introdotto nel regolamento una nuova voce; l'articolo 8 così citava: "i vari operai di una data cava dovranno eleggersi un Capo Squadra o Capo Compagnia che verrà assumendosi le responsabilità dei singoli lavori nei riflessi della legge di Polizia mineraria." n realtà, nonostante questa nuova imposizione, nulla o quasi cambiò per i lavoratori: il ruolo di Capo veniva generalmente conferito al più anziano o al più prestante con l'assenso di tutti, senza necessità di elezione alcuna, ciò nonostante le decisioni e l'operatività venivano comunque gestite democraticamente e collegialmente. I rapporti fra le varie Compagnie S I Primavera 2010 Preparazione manuale di un foro da mina (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). Per approfondire: AAVV, Serpentinoscisto della Valmalenco, Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco, TLC Grafica, Torino 2002. erano buoni, poche furono le liti a memoria d'uomo: lo spirito di collaborazione portava spesso i cavatori a prestare polveri per le mine, carburo per le lampade, a volte sale e farina per la polenta. Non conosciamo con esattezza il numero di Compagnie che operava sul territorio del Giovello; in una statistica dell'economista Melchiorre Gioia datata 1813 si parla di circa una cinquantina di operai. Lo stesso documento descrive l'attività del cavatore come secondaria rispetto alle principali occupazioni negli alpeggi e nelle coltivazioni; al Giovello il lavoro veniva perciò sospeso da aprile a novembre: la redditività in quei mesi era scarsa, pare che il guadagno medio giornaliero per persona si aggirasse intorno ai 75 centesimi di lira. Una vita spesa in cava N el corso degli anni di attività, ovviamente, le abitudini che scandivano il lavoro in cava mutarono, evolvendo verso una più confortevole modernità. Vale la pena, però, fare una riflessione su quanto caratterizzava i cavatori nel passato. Abbigliamento I l gelo invernale e i freddi venti che soffiavano dalle Tremogge, costringevano i giovellai a un abbigliamento molto pesante; alcuni sostenevano addirittura che la quantità di lana indossata ogni giorno fosse pari all’intera pelliccia di una pecora! Solo negli ultimi decenni del XIX secolo, l'attività del giovellaio divenne, in alcuni casi, quella principale. Le Montagne Divertenti Il Giovello 11 Speciali di primavera Valmalenco I vestiti abituali venivano protetti con giacche e pantaloni da lavoro che di sera erano accuratamente appesi nella ca de la pulénta. Ai piedi calzavano scarpe chiodate e ghette di lana spesse e alte fino al ginocchio. Quando il clima lo permetteva, invece, erano i pedü la scelta abituale: tipiche scarpe di pezza della Valmalenco cucite dalle donne della famiglia nelle lunghe sere passate intorno al fuoco. Gli operai che lavoravano all’interno della cava portavano zuculùn di legno. Grosse calze di lana, un cappello e guanti foderati sul palmo con del fustagno completavano la "divisa" del giovellaio. Tutti i capi e le calzature utilizzati erano ovviamente soggetti a forte usura e poiché dovevano durare nel tempo subivano frequenti rattoppi. In un contesto di povertà, quale era quello in cui si viveva allora, non si buttava via niente. Tecnica di spacco manuale (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). Il pranzo F ino ai primi anni '60 il piatto quotidiano al Giovello fu la polenta. Di facile preparazione e molto economica, era particolarmente indicata nella dieta dei cavatori perché garantiva sazietà per lunghe ore. In realtà, il granoturco venne importato dall'America non prima del 1500. Prima di allora la farina per preparare la polenta era ottenuta macinando differenti cereali (segale, frumento, miglio, etc.) insieme a legumi e ortaggi. In una relazione inviata nel 1813 all'economista Melchiorre Gioia si legge: "Sono pochi anni, che si è introdotta in Malenco la coltivazione del Grano Turco". Veniva coltivato prevalentemente in località Vassalini e lungo la soliva Valle del Lanterna. La polenta preparata al Giovello era particolarmente asciutta e spezzettata (ancora oggi si parla di pulénta da giuelää), tanto che era possibile mangiarla direttamente con le mani. A lle undici circa il cuoco di ciascuna compagnia si recava nella Ca de la pulénta, un locale L'area del12 Giovello (22 ottobre 2006, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). Leoggi Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Antico cantiere di lavoro (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco). di pochi metri quadri, provvisto di tettoia e focolare, dedicato alla preparazione del pranzo. Il brùunz (recipiente in ghisa) veniva riempito d’acqua; aggiunta la farina, che a turno ciascun cavatore si premurava di portare da casa, era compito del cuoco rimestarla con il pal. A mezzogiorno in punto, all’urlo di “l'è cöcia" tutti gli operai si radunavano nei pressi del proprio focolare e pran- zavano insieme. Qualcuno portava con sé del formaggio, qualcun altro accompagnava la polenta con salsicce di produzione casalinga. Per alcuni il companatico mancava del tutto. aranno gli anni '60/70 a segnare il primo vero cambiamento: gli affari andavano a gonfie vele grazie a una crescente domanda sul mercato delle piode. Ogni aspetto della vita nelle cave del Giovello ne risentì posi- S Il Giovello 13 Valmalenco Speciali di primavera tivamente, anche quello alimentare: le ca de la pulénta furono realizzate più ampie e spesso dotate di fornelli a legna o a gas, suppellettili e elementi d'arredo provenienti dalle abitazioni. Questo nuovo benessere permise alle Compagnie di acquistare direttamente diversi generi alimentari, tra cui pasta, riso, burro, formaggio e pane. Il passaggio successivo di questa rapida evoluzione portò, infine, a un cambiamento ancor più radicale: grazie ad un rinnovato servizio di spartineve esteso fino al Giovello, i cavatori ebbero, finalmente, la possibilità di rientrare a casa in auto per mezzogiorno e pranzare con la propria famiglia. Progetti per il futuro N el 1974 nasce il Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco, con lo scopo di fornire agli associati servizi utili alle attività di estrazione e lavorazione del serpentino. Le aziende consociate detengono un sapere ormai secolare grazie all’inscindibile rapporto che lega i valligiani alle ricchezze del territorio. Con lo scopo di salvaguardare e allo stesso tempo valorizzare il patrimonio storico legato all'attività estrattiva di serpentino in Valmalenco, che risulta essere la più datata e presente a livello mondiale in questo unico sito, il consorzio ha portato avanti un progetto tanto ambizioso quanto degno di stima, volto alla diffusione e alla condivisione della memoria e dei saperi artigianali tramandati localmente di generazione in generazione. Protagonista: il Giuèl. L'idea è quella di descrivere il serpentino attraverso un percorso museale a più tappe, che tocchi riferimenti geografici, tecnici, storici e culturali. L'iniziativa, strettamente coordinata allo sviluppo sul territorio di altri simili progetti (ad esempio la Miniera della Bagnada), mira a perseguire il concetto di museo diffuso di valle: un progetto innovativo rivolto certamente ai valligiani, per rafforzare in loro il senso di appartenenza alla propria cultura, ma anche a tutti i visitatori della valle. La salute L a vita dei cavatori era tutt’altro che facile ed era continuamente minata dai pericoli che il territorio celava. Gli infortuni sul lavoro capitavano sovente: un masso che si staccava all’improvviso, un’esplosione prima del tempo, una frana di detriti dalla cava sovrastante, l’utilizzo maldestro dei ferri da lavoro. Nonostante i giuelää sdrammatizzassero e ironizzassero spesso circa la sicurezza nelle cave (è loro il detto "i fèr i gà minga i öcc' "), si ricordano diversi incidenti, in alcuni casi purtroppo mortali, in altri invece causa di ferite, mutilazioni, o piccoli inconvenienti come semplici escoriazioni o dita schiacciate. A nche all'esterno della cava, in realtà, i pericoli erano tanti. Al di là delle calamità naturali, del tutto imprevedibili, come valanghe e esondazioni del Mallero, i detriti che ricoprivano la pendice del Giuèl, estremamente ripida e franosa, minavano la sicurezza della strada sottostante, collegamento con Chiareggio. Un documento del tempo illustra la proposta di stabilire un orario unico, da mezzogiorno alle 15, in cui tutte le Compagnie provvedessero allo scarico dei detriti, predisponendo un uomo di guardia sulla strada che garantisse l'incolumità dei passanti. 14 Le Montagne Divertenti L'ingresso di una delle ultime cave in località Giovello (5 luglio 2009, foto Roberto Moiola). L' ambiente, già di per sé piuttosto disagiato, costringeva spesso i cavatori a vivere in condizioni dannose anche per la loro salute, causando talvolta malesseri, altre volte gravi malattie. Dal semplice mal di schiena, dovuto al peso dei materiali che venivano trasportati all’interno dei cantieri, alle irritazioni a gola e occhi, causate dal fumo della legna ancora verde o tagliata in cattiva luna che bruciava all'interno della cava o dal carburo delle lampade, diversi furono i casi di malattie polmonari e febbri reumatiche, tipiche di ambienti umidi e con forti escursioni termiche tra interno ed esterno. In pochi casi capitò la silicosi, malattia emblema dei minatori causata dall'inalazione di polvere di roccia: al Giuèl la quantità di polvere di roccia era piuttosto limitata, quantomeno fino all’introduzione delle perforatrici ad aria compressa nell'attività quotidiana. Nel biennio 1949/51, venne infine realizzata una piccola infermeria nei pressi del Ponte del Giovello, dotata dei medicinali di primo soccorso. Primavera 2010 Il progetto prevede il ripristino dell'area del Giuèl mediante la realizzazione di un itinerario che permetta di capire le esperienze di intere generazioni di cavatori. Tutisti visitano il Giovello (5 luglio 2009, foto Roberto Moiola). ne della pietra verranno ristrutturati, riportati allo stato originario e corredati da numerosi esemplari di attrezzi del mestiere, con lo scopo di condividere, ancora una volta, un patrimonio altrimenti destinato all’oblio. L’area dell’antico Giuèl sarà oggetto di recupero strutturale e, grazie alla sua naturale conformazione, diverrà anche oggetto di una progettazione artistica che mira a farne un’opera di Land Art: un'interpretazione museale non invasiva che, rivisitando elementi del paesaggio, propone una visione della realtà originale e degna di riflessione. A sostegno dell'intero progetto, nel 2009 è stato realizzato una seconda importante iniziativa: il festival "I giorni della pietra". Una quattro giorni ricca di contenuti culturali, volta a celebrare le tradizioni legate agli antichi saperi minerari, con un programma di tutto rispetto: visite guidate, mostre tematiche, incontri musicali dal titolo “Suoni di pietra” con maestri della percussione, concerti, percorsi enogastronomici ed eventi artistici che hanno portato alla realizzazione di quattro sculture ad opera di artisti di fama internazionale, oggi in mostra permanente a Chiesa nella contrada del Curlo. La manifestazione, che nella sua prima edizione ha fatto registrare un'ottima affluenza, cercherà un secondo successo nel 2010. L'appuntamento è fissato per domenica 4 luglio 2010, per una giornata dedicata alla scoperta delle contrade e dei sapori malenchi; per l'occasione verrà svelato il nome della contrada che, seguendo l'esempio del Curlo, ospiterà la seconda edizione del Festival "I giorni della Pietra" ed avrà l'onore di esporre le opere che realizzeranno artisti del calibro di Roland de Jong Orlando (Olanda), Beppe Bonetti (Italia), Moises Preto Paulo (Portogallo) e Giuseppe Zecca (Italia). E' prevista la realizzazione, peraltro già avviata, di un fabbricato d'accoglienza al cui interno saranno allestiti uno spazio museale, un’area espositiva e un’aula didattica dove organizzare laboratori per le scuole e convegni. Dal museo si diramerà un sentiero pedonale che permetterà di raggiungere l'antico sito estrattivo del Giuèl. Sul tracciato d’accesso agli imbocchi delle ventotto cave sotterranee rimaste, oggetto di ripristino e messa in sicurezza, alcuni fabbricati utilizzati anticamente per la lavorazioLe Montagne Divertenti Il Giovello 15 Adèss té špiéghi Speciali di primavera Le serpentiniti Carmen Mitta T ra le rocce della Valmalenco, le serpentiniti sono le più rilevanti sotto il profilo volumetrico e certamente le più rappresentative. Nessuno scorcio del paesaggio ne è privo; prima o poi l’occhio le avvista, e ne coglie forme e colori. Geologicamente parlando, esse sono molto diverse dalle altre rocce presenti in valle. Diverse per genesi e per composizione mineralogica. Marmi, paragneiss, micascisti e quarziti sono di origine crostale, dunque più superficiali, e nulla hanno in comune con le serpentiniti, le quali, con la loro derivazione profonda, attestano quanto sia stato elevato il grado delle forze che, stappandole al mantello, le ha infilate tra le rocce della crosta terrestre. Tutto è successo durante l’orogenesi alpina e il suo metamorfismo, in un intervallo di tempo compreso tra 110 e 30 milioni di anni. Giovanni Morelli, classe 1923, è l'uomo che da oltre 17 anni sta realizzando dei modelli miniaturizzati degli antichi ambienti e macchinari un tempo diffusi in Valtellina. Testi e foto Marino Amonini Serpentinoscisto. Sezione sottile a nicols incrociati. Ben evidente l’alternanza di due livelli subparalleli, mineralogicamente differenti: uno, di colore grigio, composto da un feltro di minuti cristalli isorientati, di antigorite e l’altro, con colori vivaci, costituito da pirosseni e olivina, di dimensioni maggiori. Quest’ultimo livello è compenetrato da individui aghiformi di antigorite. La foliazione della sezione, e dunque la scistosità della roccia, è determinata dalla alternanza dei livelli e dall’orientazione dei minerali. S Sezione sottile a nicols incrociati di serpentinite massiccia. La composizione mineralogica è la stessa della foto precedente. Si notano le maggiori dimensioni degli individui cristallini e il medesimo livello di cristalli, minuti ed isorientati, di antigorite. Pirosseni e olivina, invece, condividono lo spazio con grossi cristalli di antigorite che non hanno un’orientazione preferenziale, ma sono messi in disordine. Da qui una scistosità meno evidente e la compattezza della roccia. 16 Le Montagne Divertenti tudi petrografici, supportati da abbondanti dati di terreno e di laboratorio, dimostrano che il massiccio ultrabasico della Valmalenco, al quale le serpentiniti appartengono, costituiva il mantello litosferico sottocontinentale della falda Margna in epoca pre – alpina. (Trommsdorff & al., 1993; Münterer & Hermann, 1996; Münterer & al., 2000). Per quanto concerne la composizione mineralogica, le serpentiniti, sono rocce costituite prevalentamente da un solo minerale, l’antigorite associata a pochi altri minerali, quali olivina, pirosseni, clorite, magnetite. La scistosità più o meno evidente dipende dalle pressioni subite dalla roccia durante la sua storia. Al microscopio le due varietà, serpentinoscisto e serpentino massivo, si differenziano anche per l’aspetto. Il primo è caratterizzato da un’alternanza millimetrica e sub-millimetrica di livelli antigoritici a grana finissima, con altri di olivina e clinopirosseni; marcata foliazione. Il secondo possiede grana più grossolana e foliazione meno evidente. Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Giovanni Morelli 17 Speciali di primavera Artigiani “Valtellina nel passato”, passata attraverso una ostinata capacità di ricerca, osservazione ed Laelaborazione, è concentrata qui, nello straordinario unicum realizzato dall’artigiano villasco. A visitare il laboratorio museale che Giovanni Morelli ha concentrato nella sua ex officina di Villa di Tirano si corre un solo rischio: restarne stregati. Tanto dal fascino dei modellini lillipuziani che vi sono stipati quanto dalle efficacissime spiegazioni che l’inossidabile artigiano del sapere e del fare sa dare a ogni domanda, a ogni curiosità, a ogni sfumatura di ciò che rappresenta l’ampia rassegna di strutture e utensili da lui realizzati in oltre vent’anni. utto è cominciato nel 1985, quando Giovanni ha potuto godere della pensione. Divorato dalla curiosità di conoscere, sostenuto da una capacità intuitiva e da una non comune manualità, l’ex meccanico di moto, motocarri e wagen, ha ritrovato una nuova dimensione ed una nuova stagione: il passato. T 18 Le Montagne Divertenti Nello svolgere la bobina della sua memoria hanno ritrovato posto e smalto la cucina, la stanza, la casera, la latteria, il mulino, la segheria, la fucina … poi ancora, la bottega del calzolaio, il torchio e la cantina, la pila, la folla, il telaio... Riproduzioni di ambienti e di utensili con fedeltà assoluta, quasi maniacale nella scelta dei materiali, delle proporzioni, dei dettagli e nella precisione. Quattordici ambienti in cui leggervi una dignitosa povertà di vita ed un ingegno aguzzato proprio per riscattarsi da questa. Impossibile non restarne ammirati. L’armonia formale che si coglie osservando minuziosamente la cucina o la stanza di un tempo lievita ad entusiasmo quando lo sguardo osserva un mulino, una segheria o una pila funzionare perfettamente. Perfettamente! L’unica variante, legittimamente adottata, è che in sostituzione all’energia idraulica che azionava in origine questi opifici, Giovanni si avvale di qualche minuscola manovella che fa girare la pala, ossia ciò che produceva la forza dell’acqua. “Valtellina nel passato” condensa in pochi metri quadri decenni di storia valliva; gli ambienti realizzati da Giovanni Morelli sono testimonianze vive di un vissuto comune. Gli utensili, i manufatti accendono memorie di lavoro, di mestieri un tempo diffusi, di tecniche tanto semplici quante ingegnose. Un mondo pressoché scomparso, quasi cancellato dalla memoria e dalla didattica salvo le sopravvivenze isolate nei musei etnografici – decisamente Primavera 2010 N el suo costruire sono fondamentali le capacità del falegname, del carpentiere, del muratore, del fabbro, del tornitore, del lattoniere, dell'imbianchino e con il valore aggiunto di saper miniaturizzare il tutto. meno rappresentativi degli ambienti di Giovanni – e nelle rappresentazioni folcloristiche e presepistiche che costellano le valli. In aggiunta alle 14 vette (paragonabili agli “ottomila”) costituite dagli ambienti di vita e lavoro brillano intere bacheche di utensili da bosco, da fieno, da campagna, una straordinaria rassegna di carri, carrette, priale. E ancora aratri, carrelli per filare, mastelli, tini e botti, mulinelli per granaglie, mole da arrotino, utensili d’uso quotidiano; una quantità di manufatti difficili da inventariare. a panoramica sugli oggetti è limitata dagli spazi; il demone del lavoro che ha intossicato Giovanni fin dall’infanzia si è scatenato quando il dinamico artigiano ha “chiuso” con la lunga attività professionale e si è L Le Montagne Divertenti “divertito” cimentandosi come polivalente in questa inimitabile avventura. Indiscutibilmente bravo nel fare, Giovanni si esalta con gli interlocutori che si rivelano appassionati al tema; eccolo allora diventare torrentizio nel descrivere dove, come, quando e perché quegli opifici funzionavano così, come in cantina o in latteria le sequenze osservavano una scrupolosa liturgia di gesti e di tempi. Si rivela il suo sapere: antico, solido, ampio e soprattutto appassionato. Giovanni è andato in ogni dove della Valtellina e Valchiavenna per osservare una segheria ad acqua, un mulino, una pila, una folla… capirne il respiro e i segreti, studiarne i particolari ed elaborarli in scala. Tanto gli era già in testa per aver visto durante l’infanzia quei luoghi, quegli attrezzi, ma era necessario più di un ripasso, più di una testimonianza per attivare la sua divorante voglia di conoscerli e ricostruirli. Pazienza, tenacia e passione lo hanno poi supportato per dar forma e vita alla “Valtellina nel passato” e liberare la sua genialità costruttiva. Ad oltre 17 anni da quando l’indimenticato Ferry (Ferruccio Scala) ne pennellò un gustoso ritratto sul n° 62 del Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, restano invariati gli interrogativi su cosa ne sarà e dove andrà l’ampia rassegna di manufatti griffati Giovanni Morelli. Scrisse allora il Ferry: "E poi come dice lui: «Ho settant’anni e non venti. Questi lavori hanno bisogno di manutenzione. Ogni due o tre anni bisogna vitalizzare il legno, nutrirlo, tenerlo pulito. Tener puliti i meccanismi, ingrassarli, Giovanni Morelli 19 Speciali di primavera rinnovare il grasso. Proprio come veri posti di lavoro o officine. Chi c’è stato lo sa. E poi? Dove finiranno, a chi potranno servire, insegnare qualcosa specie alle giovani generazioni che non sanno nulla di quel che è stato prima di loro… Questa è vera cultura, perché legata ad ognuno di noi, in Valtellina.»” iovanni è contrario al fatto che il suo materiale vada a finire in un museo, magari sempre chiuso o con orari che vietino l’afflusso dei giovani e dei meno giovani. Basterebbe, a mio avviso, assegnare a Giovanni uno stabile dove possa svolgere la continuazione di questo lungo racconto, spiegando il suo sape- G Artigiani re. Forse darebbe il via a quel caro progetto che anche io accarezzo da quando mi trovo in pensione: “fare in modo che la gente possa muovere le mani, fabbricare, costruire, quando ormai ha già dato il suo contributo alla società.” Giovanni a 87 anni ha programmato di realizzare nei prossimi due anni due capitoli complementari: gli attrezzi per i lavori ambulanti (magnani, muléta, ombrellai, seggiolai, spazzacamini, …) e i vecchi giochi dei bimbi (con i loro essenziali “giocattoli”). In tal senso si appella a quanti vogliano fornirgli testimonianze, documentazione e letteratura sugli argomenti, un’aiutino per implemen- tare la sua memoria. Anche la verve di Giovanni è inesauribile. uando si sono esaurite le curiosità scaturite dai suoi manufatti e dal suo sapere stuzzicategli l’ironia di cui è dotatissimo. Chiedetegli di quella ilare storia di cannabis rimbalzata sui quotidiani e settimanali locali nel luglio 2005 che quasi gli fece udire un tintinnar di manette! Il verbale delle Fiamme Gialle campeggia in bella vista sul pilastro centrale del suo regno di Lilliput. Q Allora Giovanni? “Adess te spieghi!” Contrada Beltramelli: passato e futuro a “Valtellina nel passato” di Giovanni Morelli LMolti è un capitale di cultura da investire. hanno ammirato la sua opera, qualche mostra e pubblicazione hanno rivelato il talento dell’artista e la qualità dei suoi manufatti; gli elvetici più di tutti lo hanno gratificato nelle visite e nell’interesse. Un sostanziale disinteresse hanno invece mostrato associazioni ed enti che pure menano vanto di promuovere, valorizzare, formare, sostenere. Solo parole al vento. Uno squarcio nell’indifferenza l’ha aperto da due anni un intelligente progetto della Valtellina Rurale s.r.l., una società composta da quattro liberi professionisti valtellinesi: Fulvio Santarossa, Nadia Andreis ed i fratelli Daniele e Matteo Sambrizzi. Il 29 settembre 2008 è iniziata l’attività dell’impresa con l’acquisto di beni immobili costituiti da vecchi fabbricati a Villa di Tirano in località Contrada Beltramelli e di fondi agricoli. Tra le vecchie dimore figura anche la casa paterna di Giovanni. La società si propone in partenrship con gli enti territoriali, associazioni no profit, soggetti singoli e consorziati del settore agricolo, di promuovere il recupero degli storici edifici in proprietà al fine di sviluppare attività multiple dell’agricoltura di montagna, legate ad attività didattiche di pubblica fruizione e di incentivazione turistica. l progetto elaborato è davvero articolato ed ambizioso; un modello di recupero mutuato da realtà europee ben note nel saper coniugare cultura, armonia ambientale e sviluppo. I 20 Le Montagne Divertenti Fare di contrada in abbandono un polo culturale che salda il passato al futuro, un lembo di comunità al suo territorio e questi agli anelli virtuosi dei sapori, dei saperi, del turismo sostenibile con valenza transnazionale. L’opera di Giovanni Morelli in quel progetto e in quel contesto assume rilievo, lo connota, diventa un prezioso strumento didattico capace di attivare ricerche e stimoli per le nuove generazioni. Gli obiettivi del progetto ”Rural Resort” in sintesi sono: - la salvaguardia e valorizzazione della tipologia storica di architettura rurale della contrada Beltramelli; - la conservazione degli elementi e degli archetipi dell’architettura contadina: l’involt, la lobbia, la casa a ringhiera ecc. - il recupero delle testimonianze dell’economia di sussistenza contadina tradizionale, lo sviluppo delle funzioni multiple. Primavera 2010 Profilo d'artista Giovanni Morelli nasce a Villa di Tirano l’11 aprile 1923. Frequenta, integrando lo studio coi lavori agricoli, “l’avviamento al lavoro”, tre anni a Tirano, che perfeziona con "solo officina" e guadagna subito un posto in officina da Perego a Tirano. Due anni dopo riceve la cartolina precetto; va in grigioverde a Milano, Bologna e Torino come autiere e lì frequenza un corso per meccanici Fiat per un anno intero. Finisce il militare nel ’43 e torna a casa, ma per sfuggire ai rastrellamenti si rifugia in Svizzera. Con altri valtellinesi e lombardi viene sistemato per la quarantena nei pressi di Berna. Una famiglia di contadini elvetici lo ingaggia per i lavori di campagna; possiedono un trattore e subito ne diventa il conduttore. Per 22 mesi, salariato con la paga stabilita dal governo elvetico, sgobba, fa esperienza e guadagna da vivere. Torna a Villa di Tirano, riprende l’attività da Perego finchè uno screzio con la proprietà lo induce a cambiare mestiere. Per un anno insegna all’Istituto Professionale di Tirano, ma la passione per il fare prevale su quella di insegnare; la Perego lo richiama e in quell’officina ci sta fino al 1954. Maturata una solida esperienza si mette in proprio, nella casa paterna adatta una vecchia stalla a officina e avvia l’attività. Nel 1955 sposa Lina Bassi da cui ha due figli. Sempre nel 1955 costruisce una nuova officina sul ciglio della Statale, dove, sfruttando i telai ed i motori della “Fiat 1100 10 quintali”, inizia anche a costruire wagen agricoli. Accorcia i telai, irrobustisce i semiassi, elabora la trazione e nella sua officina prendono vita oltre cinquanta esemplari di robusti automezzi per gli agricoltori del mandamento tiranese. Tutti regolarmente omologati e a norma, anche se ancor oggi rimpiange l’esosa parcella saldata all’ingegnere milanese che aveva firmato quei certificati. Nel 1985 giunge la pensione. Basta automezzi, basta orari senza fine. Da una sfida con un amico, impegnato a costruirsi il modello della nuova abitazione, parte la scintilla che lo porta a buttarsi a capofitto nelle ricostruzioni degli ambienti del passato. Quasi nell’indifferenza generale; non compreso, non incoraggiato. Solo la moglie lo ascolta e approva il suo divorante fare. Le Montagne Divertenti Giovanni Morelli sorride leggendo il verbale delle Fiamme Gialle che lo denunciavano per detenzione di cannabis (18 gennaio 2010). Per otto anni Giovanni studia, ascolta, produce, assembla poi finalmente qualcuno comincia ad osservare con interesse i suoi manufatti. Nel 1993, prima la Biblioteca di Chiuro con una mostra e una pubblicazione, quindi il Notiziario della Banca Popolare rivelano al pubblico la straordinaria opera di Giovanni Morelli da Villa di Tirano. Nel 1996 muore la moglie Lina; oltre al dolore per la perdita gli tocca riorganizzare i ritmi domestici. Ora Giovanni si rivela anche provetto cuoco e scarella pizzoccheri con la stessa precisione chirurgica con la quale ha elaborato la “Valtellina nel passato”. Sempre da uno sguardo al passato, ha insistito con alcuni volonterosi locali a ripristinare le 7 grandi croci, a mo’ di punti trigonometrici, che punteggiavano un tempo gli alpeggi di Villa di Tirano. Mai tardi! si dice al Tirano! Ma anche "Mai stracc e Mai fermo" l’inossidabile Maestro villasco! Giovanni Morelli 21 Speciali di primavera L'ora di Fratello Sole Piero Gaggioni San Giacomo e Filippo, località Laghizzuola: meridiana con forte esposizione E e perciò dotata di gnomone gigante (foto Gianni de Stefani). Tirano, Piazza della Basilica della Madonna. Complesso a doppio orologio a ore italiche e a ore francesi con doppio gnomone che si trova sulla faccia SE della basilica. E' stato recentemente restaurato e mancano i due gnomoni (23 gennaio 2010, foto Nicola Giana). 22 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Meridiane 23 Speciali di primavera La gente va in montagna per i motivi più svariati; il mio personale interesse legato alle zone rurali in quota, strano e piuttosto singolare, è la ricerca di meridiane. Non di rado, infatti, ho rilevato che tra gli antichi borghi e nuclei di comunità abitative (di cui oggi molte abbandonate) sono presenti delle meridiane. Il termine “meridiane”, di uso comune, deriva dal latino “meridies” cioè mezzogiorno ed è riferito a quella linea che indica il mezzogiorno solare vero di ciascuna località, ma forse sarebbe più appropriato definire le meridiane con la giusta terminologia: orologi solari. Sì, perché in effetti quelle che noi comunemente chiamiamo meridiane sono dei veri e propri orologi perpetui alimentati dalla luce del sole. e sorprese che un orologio solare correttamente costruito ci riserva vanno ben oltre la semplice e scontata indicazione delle ore: il costruttore, oltre alla imprescindibile parte squisitamente tecnica, talvolta riporta numerosi dettagli coreografici di completamento, esclusivamente dettati dal gusto personale come la data di realizzazione, i segni dello zodiaco, cornici esterne, motti o scritte di varia natura e genere, curve astronomiche, linee di costruzione, classificazione e forma del ferro che genera l’ombra ed altro ancora. L Meridiane Non dobbiamo considerare un orologio solare come un oggetto appartenente ad un passato ormai lontano e superato dalla tecnologia nucleare, la quale scandisce il tempo legando il concetto di secondo alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale del cesio 133, ma qualcosa di vivo ancora nel presente e in grado di fornirci molte informazioni storiche e geografiche. Per dare una lettura attenta di una meridiana dovremmo: - confrontare l'ora con quella del nostro orologio da polso per verificarne la correttezza; - osservare la linea degli equinozi (ovvero quella linea che taglia orizzontalmente, tipicamente con scarsa angolazione rispetto al piano di costruzione, la raggiera oraria ) che indica qualitativamente l’asse estovest, da cui si deduce facilmente il nord; - valutarne lo stato di conservazione, quindi di utilizzo e funzionalità attuali, alterazioni o interventi successivi alla costruzione come eventuali restauri o modifiche; - notare le dimensioni del quadro e sua lettura, talvolta possibile da distanza anche considerevole, grafica delle ore e delle scritte, tecnica di costruzione (riporto di calce, affresco, incisione, graffiato, su ceramica o altro materiale); - leggere motti ed iscrizioni varie. ueste ed altre considerazioni di carattere squisitamente tecnico, per lo più a beneficio degli gnomonisti più esperti, non sono sempre, e con certezza, riscontrabili su ogni meridiana. Q Oltre alle meridiane "professionali" si trovano meridiane dipinte senza il rigoroso rispetto dei macchinosi e complessi algoritmi che stanno alla base delle tecniche costruttive presenti nella letteratura dedicata, ma realizzate con “licenza poetica”. A me piace ritornare con il pensiero a qualche anno fa ed immaginare che i caricatori d’alpe, siano essi in gruppo organizzato che conduttori singoli, ovvero in regime familiare, durante i lunghi ed assolati pomeriggi estivi trascorsi a guardia del bestiame, in attesa della mungitura serale, si mettessero a giocare con l’ombra che il proprio bastone, conficcato nell’erba, proiettava sul terreno confrontando, quotidianamente, l’ armonico andamento del percorso che l’ombra descriveva sullo stesso e, sulla base della reiterazione di questo procedimento empirico, segnare dei precisi riferimenti relativi alle ombre correlate alle varie posizioni del sole in determinati periodi delle stagioni e della giornata; e perché no, successivamente, mutuare questo gioco su una parete verticale e riportare su di essa gli stessi riferimenti. Così possono essere nate alcune delle meridiane che, pur non essendo precise e affidabili per tutto l’arco dell’anno, sono comunque degne di apprezzamento e plauso per la loro silenziosa presenza e per quanto esse fossero parte integrante e testimoni di un costume di vita ormai scomparso. n Valtellina la maggior diffusione delle meridiane è concentrata sulla mezza costa, meglio se ben esposta al sole e per un maggior numero di ore, laddove l’abitato costituiva I la dimora stanziale delle comunità. Qui è più facile scovare le “vecchie meridiane” maestosamente affrescate o dipinte, talvolta anche con criterio minimalista volto all’essenzialità della loro funzione. Esse si trovano sui muri delle Chiese, delle case parrocchiali o delle dimore importanti, su palazzi blasonati, oltre che sui campanili dove, spesso e volentieri, fungevano da perpetui regolatori ai primi prototipi degli orologi meccanici. Nel corso dei secoli sono state costruite un'infinità di meridiane strettamente correlate e dirette figlie della cultura e delle tradizione di ogni civiltà e nazione. Sono così nate le meridiane a ore italiche, babilonesi, astronomiche, francesi, curve, concave, convesse, piane, inclinate, reclinate, sferiche, geometriche, a riflessione, immerse in liquido sfruttando la diffrazione ottica, insomma chi più ne ha più ne metta. Capitolo a parte meritano i motti: possono essere gioiosi ("per gli amici qualunque ora"), beneaugurati ("Segno solo le ore serene"), oscuri moniti ("ogni grandezza il tempo al fin risolve, in pianto, in fumo, e l’uomo in polve"), Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Linea equinoziale: L'ombra della punta dello gnomone scorre su questa linea durante l'equinozio di primavera (22 marzo) e l'equinozio di autunno (23 settembre). Sono inoltre riportati i segni zodiacali di Cancro, Capricorno, Bilancia, Ariete. Quando, ad esempio, l'ombra dello gnomone di questa meridiana segnerà il mezzodì l'1 aprile il nostro orologio indicherà circa le 13:23 (+ 1 ora per l'ora legale, + 20' circa per la differenza di longitudine tra Tirano e il meridiano dell'Etna, +3' per l'equazione del tempo). vere perle di saggezza ("fai buon uso del tuo tempo") o semplicemente scherzosi ("Muta io son eppur ti dico in mia favella che l’ora di polenta e la più bella"). Una cosa è certa: l’uomo ha cercato di catturare il tempo piegandolo alle proprie necessità, ma il tempo, da sempre, cattura l’uomo trascinandolo inevitabilmente con sè.1 1 - Per approfondimenti: Piero Gaggioni, L'ora di Fratello Sole, Litografia Mitta, Sondrio 2000. Leggere l'ora della meridiana I n Valtellina esistono sostanzialmente due tipi di meridiane, a ore italiche e a ore francesi. Talune sono ibride e riportano entrambe le notazioni. Q uelle a ore italiche, comuni dall' XI alla metà del XVII secolo, contano le ore a partire dal tramonto (l'intervallo tra tramonto e tramonto è suddiviso in 24 ore). L'informazione sulle ore di luce rimanenti che fornivano era dato cronologico fondamentale per quella società di matrice contadina. Con le campagne napoleoniche, invece, si diffusero quelle a ora francese o astronomica, dove è indicato l'intervallo tra la mezzanotte e la mezzanotte del giorno successivo suddiviso in 24 ore. er leggere l'ora di una meridiana a ora francese (per quelle a ora italica la procedura è ben più complessa) e confrontarla con quella del nostro orologio da polso è necessario correggere il dato numerico indicato dall'ombra che lo gnomone proietta sulla superficie ricevente, secondo due scostamenti fondamentali: - quello dovuto alla longitudine (fuso orario rispetto al meridiano dell'Etna [15° est] a cui il nostro orologio da polso fa riferimento. Ad esempio Sondrio, che è a circa 10° est, ha un fuso orario di 5° x 4'/grado=20 minuti); - quello legato all'equazione del tempo (differenza di +14/-16 minuti dovuta alle variazioni della velocità di rotazione della terra attorno al sole nei vari mesi dell'anno). La terra infatti, oltre al moto di rivoluzione P 24 La meridiana costruita nel 1674 sulla Chiesa di San Martino a Tirano (23 gennaio 2009, foto Nicola Giana). E' una meridiana a doppia indicazione oraria: in nero sono indicate le ore italiche, in rosso le ore francesi. Le Montagne Divertenti -16 -15 -14 -13 -12 -11 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 gen feb mar apr mag giu lug ago sett ott nov dic attorno al proprio asse che dura 24 ore, ruota attorno al sole compiendo in un anno un'orbita ellittica. Secondo le leggi di Keplero la velocità di rotazione è massima nei punti più vicini al sole e minima nei punti più lontani. La composizione del moto di rivoluzione e quello di rotazione determina così delle anomalie i cui valori possono essere ricavati o dalla curva a forma di 8 disegnata su talune meridiane (rappresenta l'equazione del tempo) e su cui l'ombra del mezzogiorno indica il valore della correzione, oppure dalla comoda tabella soprastante dove sono indicati i minuti di correzione in base al mese dell'anno. Meridiane 25 Speciali di primavera Gli di Sondrio ultimi prati ondrio S Franco Benetti Tra l’argine dell’Adda e la tangenziale della città a sud, Via Marinai d’Italia e Corso Europa a nord, Via del Ponticello, Via Samaden, Via Donatori di sangue e Via Brigata orobica a ovest e ancora Corso Europa a est fino alla tangenziale, vi è un’area che costituisce, insieme al Sentiero Valtellina una delle poche aree verdi utilizzabili dai cittadini del capoluogo, come sfogo per le passeggiate del tempo libero. Q uella a sud-est di Sondrio è un’area destinata per gran parte a zona agricola con solo alcune porzioni destinate ad area residenziale e a uso pubblico ed è già parzialmente utilizzata da abitazioni private e aziende agricole che vi allevano i loro animali e che vi tengono prati per lo sfalcio stagionale; vi sono inoltre incluse, l’autorimessa della STPS, la sala del Regno dei Testimoni di Geova, un'area destinata agli orti per gli anziani, un’altra destinata al deposito materiale edile, un veterinario e oltre a piccole aziende che si occupano di taglio pietre, rappresentanza e vendita auto e di spurghi, le sedi dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia, dell’Associazione Provinciale Allevatori, di una grossa azienda di servizi come l’ASM e del Consorzio Tutela Formaggi Valtellina Casera e Bitto. utta questa zona è anche attraversata da numerosi canali, attualmente assai trascurati, ricettacolo di sporcizia e rifiuti di ogni genere; è infatti usanza di pochi maleducati, utilizzare questi canali e le strade che li costeggiano per gettarvi i loro rifiuti che svariano dalle batterie d’auto fino ai materassi e alle poltrone. Rifiuti di ogni tipo è facile anche trovare ai margini dell’area occupata dall’ASM che, anche solo per una questione di immagine, potrebbe preoccuparsi di curare maggiormente il look della propria sede sociale. Questi canali, con i caratteristici filari di salici che li costeggiano, che un tempo, non solo qui, ma anche in altre zone della periferia e del fondovalle, erano ricchi di fauna (gamberi di fiume e le trote, i ramarri, le salamandre, le libellule e i coleotteri, ...) sono ormai da tempo abbandonati a sé stessi, e vi si riversano anche gli scolatoi con sfiatatoio delle fognature del quartiere est di Sondrio, che quando, per qualche particolare motivo non trovano via libera per il depuratore scaricano nel canale che attraversa Via Bormio, impestando irrimediabilmente quella poca acqua pulita che i canali stessi risucchiano dal fratello maggiore che scende all’Adda dalla centrale Enel situata a est del cimitero e sotto i vigneti dell’area Grumello. T Prati della periferia nella nebbia mattutina (inverno 2007, Benetti). Le Montagne Divertenti 26foto Franco Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Salici lungo i canali (inverno 2008, foto Franco Benetti). F anno da bordura a questi canali, che un tempo ricevevano l’acqua anche dalla rete dei malleretti che passano sotto la città e che costituiscono o costituivano (dopo l’intervento che ha squarciato e scavato Piazza Garibaldi e giardini limitrofi) una ricchezza da salvaguardare, filari di bellissimi salici e pioppi, canneti e cespugli di Buddleya, Viburnum, ed Everonymus dalle caratteristiche bacche rosse. Nonostante il degrado tutta l’area è ancora ricca di fauna, che sarebbe opportuno salvare e non avvelenare con qualsiasi tipo di scarico pestilenziale. Di questa diamo una sintetica visione con le fotografie a corredo di questo articolo: oltre a uccelli abbastanza comuni come il merlo, la rondine, il piccione, la tortora dal collare, il balestruccio, il pettirosso, la cinciallegra, il fringuello, la ballerina bianca e gialla, lo scricciolo, il cardellino, il codibugnolo e la cinciarella, è presente il picchio rosso maggiore e il picchio verde, il picchio muratore, il saltimpalo, la volpe, l’astore, lo sparviere, il gheppio e la civetta e di passo anche qualche nibbio, il martin pescatore, la pavoncella, il ciuffolotto, l’averla cinerina, il saltimpalo, il rampichino e il frullino; sono presenti poi il germano reale che talvolta, al riparo delle canne, vi nidifica e limicoli come il corriere piccolo. el corso del 2009 si sono avuti degli incontri tra rappresentanti della popolazione residente e le autorità competenti tra cui in primis il Comune di Sondrio e il Consorzio o Comprensorio dell’Adda (si vorrebbe N Gli ultimi prati di Sondrio 27 Speciali di primavera poi coinvolgere anche la Comunità Montana, allo scopo di dare vita a un progetto per la salvaguardia dell’area che tenda a eliminare i guai attualmente presenti (soprattutto relativi alla pulizia delle acque dei canali e delle aree limitrofe impedendo gli scarichi fognari e studiando un sistema più efficiente di prelievi d’acqua pulita dal vicino canale dell’Enel), a preservarla da danni futuri (costruzioni o altro che riducano ulteriormente, occupandoli, i pochi prati attualmente presenti), a curare che non si facciano scarichi abusivi di immondizie o che si taglino o rovinino le poche piante presenti. Non si chiedono interventi costosi o distruttivi della realtà presente che va solo preservata. S i potrà poi in seguito, una volta che saranno ottenuti dei risultati concreti, passare ad esaminare la possibilità di creare un piccolo “Parco dei canali della periferia di Sondrio”. Nell’area indicata sono già attive varie Sondrio Una città a misura d'uomo? L Vitellino alla poppata (estate 2008, foto Franco Benetti). aziende agricole oltre all’attività di un apicoltore privato e di un coltivatore di piccoli frutti. Tra queste in via Bormio, quindi proprio al centro dell’ipotizzato parco agricolo, è operativa da anni una piccola azienda che produce e vende direttamente al pubblico latticini pregiati, esempio da seguire per qualità dei prodotti e riduzione dei costi dovuta ad accorciamento della filiera e polo attrattivo già consolidato per i cittadini che qui nel tempo libero passeggiano, accompagnano i loro cani, corrono o pedalano. Dalla salvaguardia del nostro territorio tutti abbiamo da guadagnare, sia chi vi vive e lavora nel capoluogo, sia i passanti, i turisti e gli amanti della natura che, con il loro contributo e il loro corretto modo di comportarsi, possono contribuire ad arricchire il parco rendendolo, nei limiti possibili, sempre più gradevole e accogliente. Salviamo l’ultima area agricola I cittadini si mobilitano e danno vita ad un comitato per salvaguardare l’area periferica dell’Agneda Un gruppo di cittadini della periferia Est del capoluogo è deciso a promuovere la salvaguardia dell’ultima area agricola nella piana di Sondrio. Si tratta della zona detta “Agneda”, che costituisce insieme al Sentiero Valtellina, una delle poche aree verdi utilizzabili dai cittadini del capoluogo, come sfogo per le passeggiate del tempo libero. E’ un’area destinata per gran parte a zona agricola con solo alcune porzioni residenziali e a uso pubblico ed è già parzialmente utilizzata da abitazioni private e aziende agricole che vi allevano i loro animali e che vi tengono prati per lo sfalcio stagionale. Il rischio di un progressivo degrado della parte ancora coltivata, viene avvertito dalle persone che si stanno muovendo per promuovere la creazione di un “parco agricolo” nell’area ancora intatta. Tutta questa zona è anche attraversata da numerosi canali, attualmente assai trascurati che – a detta dei residenti - sono ricettacolo di sporcizia e rifiuti di ogni genere […] (dall' articolo di Paride Dioli comparso sul Giorno del 25 agosto 2009) Cosa ne pensa il sindaco Un primo stop al degrado della zona da parte del Comune, è stato dato con il parere negativo alla costruzione di una nuova centralina che una società privata vorrebbe realizzare alla foce del canale Enel ex-Vizzola nell’Adda. Al riguardo il sindaco Alcide Molteni precisa che nel Piano regolatore generale l’area viene classificata come “FP1” e cioè ad alto valore ambientale. Infatti a monte della stessa c’è la vasta area agricola dell’Agneda nella quale è possibile realizzare una intelligente riqualificazione agricola eco-sostenibile. “La zona Asm – spiega il primo cittadino – verrà riqualificata e il deposito sarà spostato come anche gli impianti di cava presenti che non sono affatto contemplati in quell’area e non sono certo definitivi”. Infatti proprio perché l’esistente andrà rimosso, l’ente locale ritiene che sia assolutamente controproducente autorizzare un nuovo capannone in zona Parco Adda-Agneda. La stessa Regione, con l’operazione “Foreste di pianura”, ha già destinato tutta la fascia golenale del Castelletto ad area di riqualificazione ambientale. “Noi ci opporremo alla centralina in tutte le sedi e andremo sino in fondo. Chiediamo alla Provincia di fare altrettanto formulando parere negativo.” (Il Giorno del 25 agosto 2009) 28 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 a modernità non porta solo progresso, ma talvolta, specie se avviene in modo esplosivo e non pianificato, seguono effetti collaterali che peggiorano notevolmente la qualità della vita. Sondrio e il suo circondario sono state travolte sia dalla speculazione edile, che ha fatto sparire quasi completamente il verde e le zone rurali, che dal vortice del consumismo e della distribuzione di massa che rischiano di cancellare le piccole realtà produttive, quelle dove ancora vive il rapporto diretto tra consumatore e produttore e lega il produttore al territorio stesso. espansione edilizia ed edifici inutili area presa in esame per l'ipotetico “Parco dei canali della periferia di Sondrio” non è edificabile a parte un piccolo settore sotto Via dei Marinai d’Italia, che è stato edificato proprio nel corso del 2009; d’altra parte Sondrio, dopo il boom espansivo degli anni sessanta-settanta che ha visto allargarsi l’area urbana sotto la ferrovia con la creazione del nuovo quartiere della Piastra, ha segnato il passo in quanto ad aumento della popolazione e a richiesta di nuovi appartamenti; nonostante questo, i costruttori edili non sono stati con le mani in mano: sono sorte nuove costruzioni nella zona nord sotto l’ex manicomio e nella zona di espansione commerciale-artigianale verso Trippi, per non parlare di quelli che sono ormai definiti gli ecomostri dell’area Carini, i cui spazi sembra siano rimasti fino ad ora in larga parte ancora invenduti. Questa progressiva occupazione di territorio alla periferia di Sondrio, che ormai ha portato a una quasi unione di fatto tra Sondrio e i comuni di Montagna (Trippi) a est, di Albosaggia (Porto) a sud e di Castione a ovest, costituisce un motivo in più per difendere strenuamente quei pochi prati rimasti nell’area sud-est della città. L’ Le Montagne Divertenti Vendita diretta e filiera corta i fronte all’affermarsi sempre più massiccio della grande distribuzione, quali sono i punti a favore della vendita diretta? D La vendita diretta, usufruendo di una filiera più corta, permette di offrire prodotti che al consumatore costano circa il 30% in meno rispetto alla grande distribuzione. La vendita diretta aiuta l’ambiente dato che permette di risparmiare sugli imballaggi che sono ridotti al minimo mentre l’agricoltore che gestisce l’azienda svolge anche un’utile lavoro di cura e giardinaggio sul territorio utili alla comunità. La vendita diretta è sinonimo di maggiore qualità. La qualità superiore del prodotto (sempre chiaramente in presenza di garanzie di lavorazione effettuata con i dovuti canoni igie- Franco Benetti nici) è certa dato che il consumatore può verificare personalmente come sono allevati gli animali da cortile o da stalla, maiali, mucche, pecore ecc. e come sono coltivate la verdura e gli ortaggi. La vendita diretta come anche la piccola distribuzione permettono di conservare il rapporto diretto umano e di fiducia personale tra venditore-consumatore, cosa praticamente impossibile nella grande distribuzione dove domina l’impersonalità del rapporto. La vendita diretta a cui in genere è collegata un’azienda agricola permette di conservare quelle tradizioni lavorative che un tempo in famiglia erano tramandate di padre in figlio: l’allevamento del bestiame, l’arte casearia, la preparazione dei salumi, la coltivazione degli ortaggi, la lavorazione del vigneto, il taglio periodico del fieno ecc. Aziende agricole presenti nella zona Azienda agricola Della Maddalena Andreina - produce latticini Azienda agricola Della Maddalena Stefano - alpeggiatore in Acquanegra in Valmalenco Azienda agricola Parolo Ezio - produce latte alimentare Azienda agricola Gandossini Renato - produce latticini Azienda agricola Zani e Della Maddalena - produce e vende direttamente al pubblico rinomati prodotti latticini artigianali e vino Azienda agricola Brunalli Fortunata - produce latticini con maggengo a Carnale Tutte queste sono aziende proprietarie di un certo numero di capi di bestiame per la produzione del latte o per il solo carico d’alpe o maggengo. Azienda agricola Gandossini Sergio - produce piccoli frutti Azienda agricola Sertorelli - produce mais Azienda agricola Bertini Bruno - produce vino Azienda agricola Libera Maura - alleva cavalli Gli ultimi prati di Sondrio 29 Speciali di primavera Sondrio Piccoli animali nell’ecosistema dei canali circondati dai salici Paride Dioli I grandi salici che costeggiano alcuni canali in località Agneda, nella periferia est di Sondrio, sono l’esempio principale di un’agricoltura inserita nel contesto del paesaggio e dell’ambiente naturale, nel segno della continuità tra gli agro-ecosistemi e il bosco fluviale. Infatti i prati della piana valtellinese, coltivati secondo i riti della fienagione, venivano circondati da filari di salice i cui rami - da quelli più grossi a quelli più sottili venivano utilizzati nella fabbricazione delle gerla e delle ceste oltre che per legare i viticci. Si trattava cioè di una coltivazione parallela a quella della vite. Contemporaneamente avveniva uno scambio tra i macroinvertebrati che abitavano i due ecosistemi contigui. Salici e pioppi fungevano da riparo ombroso, durante l’estate, a coloro che si riposavano dopo le fatiche del taglio del fieno e della successiva lavorazione. Sostituivano i gazebo dei ristoranti che oggi si allungano sui marciapiedi di strade e piazze in città. Questo ambiente, di derivazione antropica, non mancava però di offrire ospitalità anche a diversi animali che costruivano nidi e tane nel cavo dei salici o sulle sponde dei canali. alla primavera all’autunno non era raro osservare nei prati i cumuli di terra delle talpe che, costruivano il nido principale alla base di un salice, evitando così la zona inondabile durante l’irrigazione periodica estiva. Sempre alla base delle piante si trovavano i ripari per vari roditori, dalle arvicole ai quercini. Biscia d’acqua, raganella e biacco completavano l’elenco dei vertebrati. ra gli invertebrati non mancava il Gambero di fiume autoctono (Austropotamobius pallipes). Nei fossi non inquinati si può ancor oggi scorgere il Ditisco (Ditiscus marginalis), coleottero predatore, sempre attivo alla ricerca delle sanguisughe e di larve di insetti da aggredire e succhiare con le potenti mandibole scanalate. D T Cinciarella sulle canne (inverno 2008, foto Franco Benetti). C Pettirosso su Viburnum (inverno 2007, foto Franco Benetti). T 30 Le Montagne Divertenti Sulle piante di salice è tutt’ora presente un corteggio di insetti che contendono alla pianta ogni spazio vitale. Si assiste perciò a una tenace resistenza da parte del salice che mantiene vive alcune parti del tronco, permettendo così ai suoi rami e alle foglie di prosperare, mentre altre porzioni vengono degradate dalla invadenza di vari coleotteri, sino all’attacco finale di formiche e funghi. ra i cerambidi dalle lunghe antenne, si riconoscono il Grande Capricorno (Cerambyx cerdo) attivo volatore al tramonto e l’Aegosoma (Aegosoma scabricorne) quest’ultimo dalle antenne molto rugose e dai costumi notturni. Di giorno si ripara negli incavi del tronco. Sui rami frondosi, dove sgorga la linfa se vengono incisi dalle mandibole potenti di questi insetti, si trova anche l’Aromia (Aromia moschata) un insetto dal colore verde dal profumo inconfondibile di muschio che i nostri vecchi imprigionavano nelle tabacchiere per aromatizzare il tabacco stesso. Di qui il nome che Carol Linné (Linneo) diede a questo cerambice. ommensali al banchetto della linfa dolciastra sono anche la Cetonia (Cetonia aurata), di un bel verde smeraldo con tacche più chiare sulle elitre, e altre specie appartenenti alla stessa famiglia come la Eupotosia affinis, la Potosia cuprea, la Netocia morio, la Liocola lugubris e la rarissima Potosia fieberi, tutte assieme spesso incredibilmente presenti sui salici nell’intera piana di Sondrio. Difficile da vedere di giorno ma non raro nelle serate della tarda primavera anche il Cervo volante (Lucanus cervus) il più grande coleottero europeo con i suoi sette centimetri di lunghezza. Molto comune in certe annate anche lo Scarabeo rinoceronte (Oryctes nasicornis) la cui larva, a forma di “C” come quella del Maggiolino, ma di dimensioni nettamente maggiori, vive a spese di sfasciumi del legno nella zona radicale dei ceppi tagliati. na vistosa specie predatrice è poi la Calosoma (Calosoma sycophanta), in certe annate assai numerosa alla caccia di bruchi della Limantria dispar, una farfalla spesso dannosa proprio ai salici. Naturalmente abbondano, soprattutto U Codibugnolo su Ontano (primavera 2007, foto Franco Benetti). Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Vanessa Atalanta (primavera 2008, foto Franco Benetti). Cerambice e , sotto, libellula su ortica(estate 2008, foto Franco Benetti). alla fine dell’estate le libellule più grandi e vistose come le Aeschna sp. e alcune farfalle dalle ali iridescenti come l’Apatura ilia e, in primavera, la Cedronella (Gonepteryx rhamni), dalle ali giallo-limone nel maschio e l’Aurora (Anthocaris cardamines) il cui maschio ha l’apice delle ali anteriori color arancio vivo. ra le ninfalidi non mancano l’Antiopa (Vanessa antiopa), che sverna e ricompare in marzo, e la T Vanessa multicolore (Nymphalis polycloros) “sorella maggiore” della Vanessa dell’Ortica (Vanessa urticae), la più comune nei prati assieme alla Cavolaia (Pieris rapae). n un concetto di Parco urbano estensivo, con la possibilità di aree di ri-naturalizzazione, anche questi lembi residuali di agro-ecosistema tradizionale, avrebbero validi motivi di esistere, al riparo dall’antropizzazione. I Gli ultimi prati di Sondrio 31 Speciali di primavera Sport invernali Sci di fondo provare per credere una disciplina invernale economica e adatta a tutti che permette di migliorare la propria forma fisica, aumentare la coordinazione del proprio corpo e rilassare la Beno mente nel contesto di splendidi scenari innevati 32 Le Montagne Divertenti Fondisti a Santa Caterina (7 febbraio Primavera 2010 2010, foto Giacomo Meneghello). A ppassionato di montagna come sono, era inammissibile non avere mai messo gli sci da fondo. Così, deciso a colmare questa mia lacuna, ho iniziato a informarmi sulla disciplina per non arrivare al banco di prova impreparato. la storia o sci di fondo nasce, come le ciaspole, dall'esigenza delle popolazioni nord europee e asiatiche di muoversi in uno scenario che è innevato per molti mesi all'anno. L'intuizione porta l'uomo a comprendere l'utilità di uno strumento che, oltre al galleggiamento sulla neve, permetta maggiori velocità nei tratti in discesa grazie allo scivolamento. Nascono così i primi rudimentali sci. La loro datazione è impossibile, ma già nelle incisioni rupestri i cacciatori talvolta sono raffigurati con delle assi ai piedi. I reperti più antichi risalgono a 4500 anni fa e sono stati ritro- L Le Montagne Divertenti vati sui Monti Altai in Siberia. Sono attrezzi diversissimi dagli attuali: uno di questi sci è lungo, sottile e serve per lo scivolamento, mentre l'altro, più corto, largo e rivestito di pelle di renna, è adibito alla trazione. Descritti in letteratura fin da prima di Cristo, diventano anche preziosi ausili militari. Il re svedese Sverre, ad esempio, vince nel 1100 una battaglia grazie agli sci. Sempre in Svezia, Gustavo Svasa, tenta inutilmente di fomentare una rivolta contro gli invasori danesi. Deluso dagli svedesi, decide di andare in esilio. Percorre 90 km, da Salen a Mora, dove viene raggiunto poco prima del confine da due sciatori che lo richiamano per unirsi agli insorti. Così egli guida la Svezia verso l'indipendenza dai danesi e viene incoronato nel 1523 Re di Svezia col nome di Gustavo I. In ricordo di questa vicenda nel 1922 nasce la gran fondo Vasaloppet, una gara di sci di fondo che si snoda sullo stesso percorso. Il primo sciatore italiano è stato il parroco di Ravenna, Francesco Negri, il quale aveva fatto questa esperienza durante un viaggio in Lapponia attorno al 1660. Ma poi più nulla finchè nel 1890 esce a Londra il libro di Fridtjof Nansen The First Crossing of Greenland, riguardante appunto la sua impresa di traversata con gli sci della Groenlandia. Adolfo Kind, ingegnere svizzero naturalizzato italiano, colto da entusiasmo per il libro di Nansen si fa spedire dalla Svizzera 2 ski Jacober in frassino. Ai primi esperimenti, segue l'attività di propaganda sciatoria in Italia, naturalmente di sole discipline nordiche. Nel 1901, all'interno del CAI nasce lo Ski Club Torino, primo in Italia, finalizzato agli allenamenti nel pattinaggio e nelle escursioni con gli sci. Il gruppo conta 29 elementi, tra cui i più esperti alpinisti dell'epoca (Hess, Dumondel, Valbusa, ...). Adolfo Kind è eletto presidente e mantiene tale carica fino al 1907, quando muore a Sci di fondo 33 Speciali di primavera soli 59 anni durante un'ascensione sul Bernina. Nel 1902 nasce lo Ski Club di Milano, nel 1903 per lo sci di fondo è la svolta: viene scoperta la sciolina di tenuta (le pelli a tale scopo erano utilizzate fin dalle origini degli sci). Composta da una miscela con cera d'api, la sciolina aumenta l'attrito statico e riduce quello dinamico tra sci e neve, permettendo così allo sci di non scivolare all'indietro, pur scorrendo agevolmente in avanti. Durante la Prima Guerra Mondiale lo sci di fondo trova applicazioni militari tanto che vengono formati interi reparti di sciatori per l'addestramento dei quali sono ingaggiati istruttori stranieri. Negli anni lo sci di fondo ha quindi assunto connotati prettamente sportivi e agonistici. Sport invernali le braccia. Per questa ragione gli atleti che praticano questa disciplina hanno braccia possenti. Nelle competizioni di tecnica classica non sono permessi movimenti di skating. Nello skating gli sci scorrono alternativamente divaricati in punta e diagonali rispetto al senso di marcia su terreno privo di binari. A differenza della tecnica classica, lo sci è sempre in movimento, anche in fase di spinta, aumentando così i tempi di applicazione della forza, la continuità dell'azione e perciò anche la velocità. La scarpetta è più alta. L'attrito tra sci e neve avviene grazie alla presa di spigolo degli sci, visto che non è presente sciolina sul fondo. I movimenti degli arti superiori e inferiori devono essere coordinati e l'azione più rapida. Le competizioni di skating sono anche chiamate "tecnica libera" perchè è possibile utilizzare anche lo stile pattinato. Benefici fisici Lo sci di fondo è uno sport completo perchè fa lavorare tutta la muscolatura e ha benefici anche sulla circolazione e sull'apparato respiratorio. L'impegno muscolare e il conseguente aumento di tono, come già accennato, è diverso nelle due tecni- tecniche e attrezzatura che. Nello skating si sfruttano particolarmente i glutei, i quadricipiti e i polpacci, mentre nella tecnica classica sono le spalle, le braccia e il dorso ad essere maggiormente sollecitati. "Essendo una attività prolungata nel tempo, a bassa intensità di sforzo, migliora l’efficienza cardiaca, stimolando la capacità del cuore di pompare sangue nei vasi e in circolo, irrorando i tessuti. Viene potenziata la capacità di ventilare aria e ossigeno in maniera continuativa, migliorando la capacità respiratoria complessiva e dei singoli atti respiratori [...]. Fa anche dimagrire. La quantità di lavoro svolta aiuta a bruciare grassi, a patto di seguire già da prima un’alimentazione corretta e senza difetti. Un’ora di sci di fondo, ad andatura normale, permette di smaltire circa 400 calorie. Ma non solo. Il miglioramento della circolazione si ripercuote anche sui vasi capillari e su quelli linfatici, evitan- do la formazione della cellulite o migliorando la situazione di ristagno dei liquidi nei tessuti in quelle donne che hanno questo problema estetico e funzionale. Infine, il cuore, contraendosi, funziona da pompa sulla circolazione periferica, stimolando il ritorno del sangue venoso, evitando la formazione delle fastidiose varici.”3 consigli / avvertenze Lo sci di fondo è uno sport che non può essere totalmente improvvisato, visto l'impegno muscolare richiesto. Sebbene sia attività aerobica con sollecitazioni medio-basse dell'apparato cardiocircolatorio, necessita tuttavia, per i soggetti con vita sedentaria, una 3 - Tratto dall'intervista di Umberto Gambino al dottor Sergio Lupo, dirigente medico dell’Istituto di Scienza dello Sport del Coni, pubblicata su www.humanitasalute.it . preparazione continuativa durante l'anno propedeutica alla stagione invernale. Per ottenere benefici, inoltre, serve praticare fondo per almeno 50 minuti senza interruzioni. Sarà perciò opportuno per i meno allenati raggiungere queste durate di allenamento gradualmente. Per apprendere la tecnica è consigliabile farsi seguire nelle prime uscite da un maestro o da un fondista esperto. L'attrezzatura generalmente può essere noleggiata nei pressi degli impianti con circa 10 euro. Essendo le velocità moderate, il rischio di infortuni gravi è basso: serve molta sfiga per arrivare a lussarsi una spalla o fare una distorsione al ginocchio. Nei soggetti meno allenati, le prime sedute possono comportare dolori articolari o muscolari, ma cio che non uccide fortifica! L'attrezzatura utilizzata è composta da bastoncini (devono arrivare quasi all'altezza dell'ascella) e da sci su cui la scarpetta è fissata solamente in punta, permettendo così la mobilità del tallone. Gli sci e le scarpette sono di diversa tipologia a seconda della tecnica che si vuole praticare. Gli stili del fondo sono due: quello classico1 e lo skating2, introdotto ad alto livello solo nell'inverno 1981-82 dal finlandese Siitonen. Nella tecnica classica, la più facile da apprendere, si viaggia su binari battuti. Lo sci è guidato e anche la scivolata risulta più sicura. La scarpetta è avvolgente e alta fino alla caviglia. La spinta avviene sia con le braccia, grazia all'ausilio dei bastoncini, sia con le gambe che trasmettono la spinta grazie alla sciolina di tenuta o a delle scaglie presenti sulla parte centrale della soletta degli sci. Si ha ancoraggio solo quando la posizione del baricentro è centrale sugli sci. All'aumentare della velocità è sempre più breve il periodo in cui l'atleta si trova a poter spingere con le gambe, fino ad arrivare alla condizione per cui la forza può essere impressa solo con 1 - Detto anche alternato. 2 - Detto anche pattinato. 34 Le Montagne Divertenti A sx sciata in skating e a dx sciata pattinata sulle nevi di Santa Caterina (7 febbraio 2010, foto Giacomo Meneghello). Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Sci di fondo 35 Speciali di primavera Sport invernali I Gemelli di Chiareggio chiudono la valle. D opo tanta teoria, il 29 gennaio è giunta l'ora che provi lo sci di fondo. Mi affido al mio amico Carlo che mi porta nel Centro Sportivo San Giuseppe in Valmalenco, uno splendido comprensorio per lo sci di fondo a circa 40 minuti da Sondrio. Carlo mi racconta che ha conosciuto questa disciplina circa due anni fa e da allora se ne è innamorato, tanto da farne appassionare anche sua madre che ora spesso lo segue. Una giornata all'aria aperta, passata in luoghi incantevoli praticando uno sport che distende anima e corpo, questo è il perchè del fondo amatoriale. Raggiungiamo località Sabbionaccio, a un km dalla chiesa di San Giuseppe in direzione Chiareggio1. Presso il Bar Isola c'è il noleggio e con 10 euro ci procuriamo tutta l'attrezzatura. Essendo la mia prima uscita Carlo mi consiglia di prendere quella per il pattinato, perchè è più facile da imparare. Abituato allo scialpinismo, ho subito la stranissima sensazione di avere ai piedi attrezzi troppo leggeri. Inoltre il tallone non si muove solo su e giù, ma anche lateralmente. Serve equilibrio. Senza troppi preliminari, iniziamo la nostra avventura, lanciandoci sull'anello più lungo: quello che sale fino a Forbicina, oltre Chiareggio, per poi tornare a Sabbionaccio dopo circa 15 km percorsi. Inizialmente ho difficoltà a trovare il baricenLocalità Carot in discesa (29 gennaio 2010, foto Beno). 36 Le Montagne Divertenti 1 - Lasciata l'auto nei pressi delle cave di marmo, si deve scendere per la stradina fino alla piana alluvionale del Mallero nota come Sabbionaccio. Primavera 2010 Il giro di boa presso Forbicina. tro giusto per riuscire a spingere anche con le gambe. Lo sci mi scappa sempre indietro perchè sto troppo sulle punte. Risolvo l'inconveniente "andando di braccia" come un disperato. Man mano che imparo lo stile, ci inoltriamo nel silenzio e nella pace della valle di Chiareggio. Passiamo il Carot, sentendoci come statuette nel presepe, poi continuiamo a salire fino a Senevedo e di lì, superati un paio di tornanti ripidi, iniziamo ad ammirare la corona di vette che orla la valle con le imponenti moli del Disgrazia, delle Cime di Chiareggio e dei Gemelli di Chiareggio: Cima di Vazzeda e Cima di Rosso. Il paesaggio fa dimenticare la fatica, e in men che non si dica siamo al giro di boa nei pressi di Forbicina. Veniamo superati da un fondista attempato che, con lo skating e senza troppo impegno, ci brucia a velocità doppia. Inizia il veloce ritorno accanto al Mallero che rumoreggia per scrollarsi di dosso l'abito ghiacciato. Al tornante sono obbligato a imparare come si curva. Direi che è una specie di spazzaneve, ma la posizione è assai diversa rispetto a quella che si tiene con lo sci da discesa. Quando si prende velocità inoltre lo sci sbacchetta. Provo anche a cadere (tecnica suggerita dalla FISI se non ci si riesce a fermare) e capisco che non ci si fa male. In meno di due ore e con solo un po' di mal di braccia, si conclude il nostro anello. Un bella esperienza, sicuramente consigliabile, che mi ha riposato e rilassato prima di tornare a impaginare Le Montagne Divertenti ! Le Montagne Divertenti La Sassa d'Entova e il Sasso Nero chiudono l'orizzonte a NE. Sci di fondo 37 Speciali di primavera Piste di fondo di Valtellina e Valchiavenna L'anello di fondo di Mottale (foto archivio Ufficio Turistico di Campodolcino). Le piste di Santa Caterina (foto Giacomo Meneghello). ZONA LUOGO km di piste noleggio attrezzatura telefono/email orari d'apertura Madesimo Fondovalle (m 1656) 5 Deghi Sport tel. 0343.53372 (1 giorno € 10) tel. 0343 53015 infomadesimo@provincia. so.it sempre aperto tel. 0343 50611 infocampodolcino@ provincia.so.it sempre aperto Campodolcino Iselle (m 1080) 6.5 Baldiscio Sport tel. 338.3175342 (1 giorno € 7) Campo Sport tel. 0343.51178 (1 giorno € 10) Campodolcino Motta (m 1720) 5 Levi Nicoletta tel. 0343.52947 (1 giorno € 10) tel. 0343 50611 infocampodolcino@ provincia.so.it sempre aperto tel. 0343 50611 infocampodolcino@ provincia.so.it sempre aperto Campodolcino Mottala (m 1361) 1.5 Baldiscio Sport tel. 338.3175342 (1 giorno € 7) Campo Sport tel. 0343.51178 (1 giorno € 10) Aprica Pian del Gembro (m 1352-1454) 7.5 presso Bar Pian del Gembro (€ 10) tel. 0342 746918 tutti i giorno 9-16:30 Livigno Centro di Livigno: Pista " mulin" 40 km Scuola Sci Fondo Livigno 2000 0342 996367 www.scuolascifondolivigno. com tutti i giorni, tutto il giorno, per 1.5 km anche illuminazione serale Valfurva - Santa Caterina Santa Caterina Valfurva (m 1800) tot 45 km anelli da 10 /15 km Centro Sci Fondo Valtellina : Centro La Fonte, noleggio € 5 334 2309939 www.scifondovaltellina.it tutti i giorni 9 -17:00 Bormio Piana dell'Alute 10 km Sci Club Altavaltellina APT Bormio 0342 902765 tutti i giorni 9 - 16:30 0342 985768 tutti i giorni, 8 - 17 / mer-gio-ven-sab anche sera fino 23 38 Valdidentro Isolaccia Isolaccia 25 km Scuola Italiana Sci Fondo Valdidentro Val Gerola Località Fenile 2,5 km - - sempre aperto Valmalenco Località Sabbionaccio 15 km Bar Isola (1 giorno € 10) www. centrosportivovalmalenco.it 347 9606848 tutti i giorni 9:30 - 17 Valmalenco Lago Palù 7 km - Scuola Italiana Sci Valmalenco 0342 451284 sempre aperto Valmalenco Lanzada (località Pradasc) 5 km di cui 1 illuminato Bar Pradasc di Lanzada Ivan Pegorari 347 4687105 sempre aperto, illuminazione fino alle 22 Le Montagne Divertenti Sciare ai piedi della Cima Piazzi Primavera 2010 Una ciaspolata all'Alpe Borron, o una scialpinistica ai m 3009 del Monte Rinalpi, sono l'occasione per gustarsi una giornata sulle nevi della Valle Lia e ammirare l'imponente mole della Cima Piazzi. Beno La Montagne Cima Piazzi dall'alta Valle Lia. Per il Monte Rinalpi si deve salire in fondo a sx (3 febbraio 2009, foto Beno). Monte Rinalpi (m 3009) Le Divertenti 39 Alta Valle Alpinismo P artiamo di buon'ora da Isolaccia (m 1345) e seguiamo la strada che, resa un biliardo dal gatto delle nevi, si inoltra con poca pendenza in Valle Lia. Dall'altro lato della Valdidentro c'è un'alta fascia rocciosa2 calcarea da cui scende una terrificante colata di ghiaccio. Pascal afferma che nessuno l'ha mai salita perchè quella cascata non si è mai formata completamente, probabilmente per l'esposizione al sole che impedisce alle varie colate di unirsi. Giorgio aggiunge che quella cascata veniva osservata dai contadini per la semina: appena non c'era più ghiaccio significava che era giunta la stagione buona. Ci mettiamo in marcia e in circa un'ora passiamo sotto le Baite di Pezzel, quindi nei pressi di Presedont c'è un bivio: noi saliamo a sx, vicino alla cappelletta della Madonna di Presedont. Seguitiamo quindi nel bosco di abeti lungo la Valle Lia. Alla nostra dx il Dosso Pennaglia, alla nostra sx il Dosso Le Pone, tutti solcati da tracce di sci. Davanti a noi s'alza la maestosa Cima Piazzi, sfoggiando i suoi ghiacciai e le sue creste tormentate dal vento. Fa molto freddo, le velature del cielo impediscono al sole di scaldarci, così inizio a pregustarmi una bella "lessata" alle terme di Bormio. Finalmente usciamo dal bosco e tocchiamo l'Alpe Borron (m 2057, ore 2:20), oggi deserta. Pianeggiamo verso S fino in testa alla Valle Lia. Purtroppo il Monte Rinalpi si nasconde alla vista. Il Corno di San Colombano è invece meno timido, e svetta tra le serpentine degli sciatori in alto a SE. Le pendenze, finalmente, iniziano a crescere mentre pieghiamo leggermente a sx, saliamo un primo circo, quindi deviamo a dx e attacchiamo un ripido vallone che, dopo molte inversioni, ci regala la conca tra il Colle Rinalpi (S) e il Monte Rinalpi (O, sx). La cresta E della Piazzi, ora alla nostra dx, incute un certo rispetto con le sue torri e le sue lame di roccia. lagellati dal vento leviamo gli sci per superare gli ultimi ripidi metri di neve dura e la breve cresta che ci separano dall'ometto di vetta (Monte Rinalpi, m 3009, ore 2:40). Il paesaggio è ampio a N e a S, mentre le altre direzioni sono chiuse dal San Colombano e dalla Piazzi. In basso si vede Bormio coi suoi impianti. Dato il freddo, per non emulare Oetzi, iniziamo subito la discesa. La sciata è molto bella fino alla base del canale. Vista l'esposizione, infatti, la neve è sempre leggera e abbondante. Poi, una volta raggiunta quota 2100, non resta altro che far correre le assi e lasciarsi trascinare dalla forza di gravità fino alla macchina. La Cima Piazzi dall'Alpe Borron (3 febbraio 2010, foto Beno). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Isolaccia (m 1345). Itinerario automobilistico: da Bormio prendere la SS 301 del Foscagno in direzione Livigno fino ad Isolaccia. All'entrata del paese seguire per Valle Lia - Alpe Borron. Se non c'è neve la strada può essere percorsa in auto fin nei pressi dell'Alpe Borron, evitando circa 2 ore e mezzo di avvicinamento. Itinerario sintetico: Isolaccia (m 1345) - Baite di Pezzel - Madonna di Presedont - Prato di Sotto (m 1850) - Alpe Borron (m 2057) - Monte Rinalpi (m 3009). L a Cima di Piazzi, o Cima de Piazzi, o comunemente chiamata Cima Piazzi (m 3439), è la più imponente montagna della fascia retica che va da Bormio a Poschiavo. Domina Val Grosina, Valdisotto e Valdidentro, ma è sicuramente il suo versante settentrionale quello più bello e famoso. Questo è infatti coperto da una possente e tormentata calotta glaciale, che parrebbe appartenere a una vetta ben più elavata. Sulle mappe il complesso glaciale è indicato come Vedretta di Piazzi, ma in realtà esso comprende tre ghiacchiai distinti: quello di Val Cardonè a NO, quello di Val Lia a NE e il Ghiacciaio di Rinalpi a E, da qualche anno 40 Le Montagne Divertenti Tempo di salita previsto: 5 ore da Isolaccia. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da sci alpinismo, pala, arva e sonda. Difficoltà / dislivello: 3 su 6 / 1664 metri. Dettagli: MSA. Gli ultimi metri per la vetta sono un po' ripidi. Se ghiacciati meglio levare gli sci e salire a piedi. Mappe: Kompass n. 96 - Bormio Livigno - 1:50000. nettamente diviso dagli altri e caratterizzato da due piccoli circhi a O della montagna da cui prende il nome. E sistono due modi per ammirare in tutta la sua bellezza la Cima Piazzi: guardare le bottiglie di acqua minerale, oppure farsi un'escursione in Val Cardonè o in Valle Lia. Il consiglio è quello di andare a Isolaccia, bere l'acqua del rubinetto, ottima anche se non imbottigliata, e, armati di sci o ciaspole, avventuarsi sulle nevi della Valle Lia. Da Isolaccia si stacca verso O una rotabile1 con indicazioni per Valle Lia - Alpe Borron. Se c'è neve la strada è chiusa al traffico e il fondo ben battuto dal gatto delle nevi per agevolare in passaggio di fondisti e ciaspolatori. Raggiungere semplicemente l'Alpe Borron è una bella ciaspolata per chi è alle prime armi con questo attrezzo, ma si può anche proseguire: l'ascesa dall'alpe al Monte Rinalpi è una classica scialpinistica. Sebbene il Rinalpi sia solo un'elevazione rocciosa di poco conto fra il Corno di San Colombano e la Piazzi, sciisticamente offre un vallone molto divertente da 900 metri di dislivello. 1- Tröi de Cardone poi Strada di Borron su Kompass. Primavera 2010 F Verso la testa della Valle Lia (3 febbraio 2010, foto Beno). Le Montagne Divertenti 2 - Sul ripiano superiore si trova Sant' Antonio di Scianno. Monte Rinalpi (m 3009) 41 Valmasino: Alpinismo scialpinismo fuori traccia Mario Sertori Pizzo del Ferro Centrale o Cima della Bondasca (3287) Pizzo del Ferro Orientale (3199) Torrione del Ferro (3234) Pizzo del Ferro Occidentale (3267) Passo del Ferro (3203) Bivacco Molteni Valsecchi (2510) L'alta Valle del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno). Alla pagina seguente: il tracciato per il Passo del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno). Scialpinismo in Valmasino? Ai più sembrerà un ossimoro, perché la conoscono bene solo per le sue ardite pareti e le cascate di ghiaccio, ma di rado hanno sentito parlare di gite con le pelli di foca sui versanti meridionali del gruppo. In realtà in ognuna delle valli minori sono possibili tracciati che offrono discese lunghissime e mozzafiato. In queste pagine vi proporremo un itinerario di quasi 2300 metri di dislivello positivo: l’ascesa alla Cima della Bondasca (m 3287) per la Valle del Ferro. Un’uscita da sogno, ma solo per i più allenati. 42 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Cima della Bondasca (m 3287) 43 Valmasino Alpinismo Partenza: Cà Rogni (m 1030). Itinerario automobilistico: da San Martino Valmasino entrare in Val di Mello e parcheggiare nell’apposita grande area prima del Gatto Rosso. Itinerario Bellezza Fatica sintetico: I giorno: imboccare il sentiero che all’inizio segue l’argine idrografico dx e quindi Pericolosità piega decisamente a O (sx) risalendo la vallata. Dopo aver passato il secondo salto della cascata, si sbuca alla Casera del Ferro (m 1568). Il tracciato estivo piega ora a dx per evitare il gradino roccioso e ritorna a sinistra (O) più sopra, ma si può aggirare l'ostacolo anche da sx (O) per poi riaccentrarsi nella valle. Nell'alta Val del Ferro, quindi, non c’è percorso obbligato, basta puntare la bussola dei propri sci verso la scatola rossa del Bivacco Molteni (m 2510), nei pressi di alcuni grandi macigni più o meno in centro all’anfiteatro e a valle del tracciato (non visibile in inverno) del Sentiero Roma. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da sci alpinismo, pala, arva e sonda, ramponi, piccozza, corda 40m, cordini e imbraco per raggiungere il passo. Difficoltà / dislivello: 4 su 6 / 2267 metri. Dettagli: OSA. Alpinistica PD- il tratto finale per il Passo del Ferro. E' presente una corda fissa sulla probabile fascia rocciosa a quota 3100 ca (20 m - consigliabile una calata in corda doppia in discesa). 10 m di calata in doppia anche dalla vetta (III+). Passo del Ferro (3203) II giorno: dal bivacco piegare verso O fino ad imboccare il largo pendio nevoso che scende dal Passo del Ferro. Risalirlo fino a quando diviene troppo ripido e stretto per essere percorso con gli sci ai piedi (roccette). Con ramponi e piccozza e sci in spalla (pendenza max 45°) si prosegue fino a sbucare al Passo del Ferro (m 3203). Rimessi gli sci si aggira da N l'anticima O, quindi si porta sulla cima principale (m 3287). La discesa è sulla via di salita e può richiedere una breve corda doppia dal Passo del Ferro per raggiungere la neve del canale ed evitare le possibili infide rocce affioranti. M i è stato chiesto di proporre un escursione di scialpinismo in Valmasino: un compito arduo? Forse. Premetto che, in giovane età, ho scorrazzato parecchio d’inverno tra le valli del Masino, spesso con gli sci, per andare ad arrampicare sulle pareti più in quota. Il mio era un utilizzo con scopi diversi dal piacere del raggiungimento di una cima e della discesa dispensatrice di grazia sinuosa. I poveri attrezzi che avevo mutilato accorciandoli a colpi di sega elettrica, per meglio adattarsi ai percorsi stretti, si vendicavano nel corso dei ritorni che, gravati da zaini pesanti, si trasformavano sempre in epiche battaglie per raggiungere indenni il fondovalle. a Val Masino è conosciuta e apprezzata tra gli alpinisti di mezzo mondo per la sua roccia meravigliosa che dà vita e forma a lavagne vertiginose terribilmente attraenti. Su questi monti sono nate nel corso del tempo scalate leggendarie che hanno fatto crescere le pagine del libro dell’alpinismo. Meno celebre, o meglio, meno praticato dai moderni scivolatori con le assi di legno è lo scialpinismo. In effetti non sono molte le valli di questo bacino che si prestano facilmente all’uso degli sci. Gradini iniziali impervi e dirupati per accedere agli ampi circhi superiori scoraggiano anche i più motivati dal lanciarsi in avventure dall’esito incerto. C’è anche da considerare che in provincia di Sondrio sono parecchie le aree prese d’assalto ogni inverno da frotte di sciatori con le pelli di foca, e a ragione, perché tante sono le zone del nostro territorio adatte a questa affascinante disciplina. Le Orobie soprattutto - con le loro lunghe ombre e le nevi soffici come polvere mantenute appetibili per un lungo periodo, come i formaggi in una buona cantina - sono una sorta di Mecca per gli aspiranti domatori di curve. on dirò del conosciuto e apprezzato itinerario di salita (e discesa ovviamente) al Monte Disgrazia da Preda Rossa perché fa parte del repertorio classico della regione. Vorrei segnalare, a quanti ancora non la conoscono o non l’hanno mai presa in considerazione, una grandiosa ascesa con gli sci ad un picco di granito solare con un pano- di salita previsto: 4:30 ore per il Bivacco Molteni, da qui 4 ore scarse per la vetta. Si consiglia pertanto di dividere la gita in 2 giorni. N Le Montagne Divertenti gli amanti della solitudine, della fatica e degli ampi spazi si apre tra i graniti ruspanti del Masino uno scenario attraente e avventuroso, dove non mancano percorsi assai remunerativi anche per i più raffinati supergigantisti. L Tempo 44 A Primavera 2010 Le Montagne Divertenti rama eccezionale: il Pizzo del Ferro Centrale o Cima della Bondasca, partendo dalla Val di Mello. E’ questa un’escursione fantastica, per i luoghi che si attraversano, per gli ampi scorci che si possono ammirare e soprattutto per la speciale scivolata che si sviluppa su pendii che sembrano disegnati appositamente per essere percorsi con gli sci. ccorre scegliere il periodo adatto, in genere è tra febbraio e aprile, quando si hanno le condizioni più favorevoli e la neve è ben assestata dall’azione del sole: bisogna tener presente che siamo in pieno versante S e bastano un po’ di giornate limpide e temperature miti con un buon rige- O lo notturno per trasformare anche le nevi più riottose. In ogni caso è una gita particolare che richiede un certo impegno fisico, ma anche e soprattutto adattamento all’ambiente. Bisogna infatti portare gli sci in spalla per una buona ora (abbondante… dipende da dove si comincia a trovare la neve) sul tortuoso sentiero del Ferro, ed avere appresso un po’ di rifornimenti per la sera e il giorno successivo. Salire carichi come muli, nel caldo pomeriggio di aprile lambendo gli spruzzi della cascata del Ferro potrà sembrare improbo, ma man mano il dislivello sarà superato, il carico diventerà meno stressante e aumenterà la voglia di progredire. In base all’innevamento si Cima della Bondasca (m 3287) 45 Valmasino Alpinismo L'alba sul Cavalcorto da quota 1800 (16 gennaio 2010, foto Beno). Una volta valicato il Passo del Ferro (m 3203) e così raggiunto il Ghiacciaio della Bondasca, si ha un paesaggio incredibile sui Pizzi Gemelli, sul Cengalo e sul Badile. La discesa può essere effettuata, con attenzione ai crepacci, pure per lo straordinario versante N: 2500 metri di dislivello. Con molta neve si riesce a raggiungere l'abitato di Bondo con gli sci ai piedi, quindi bus e treno per tornare a casa! (7 febbraio 2010, foto Beno). Nel vallone a SO della Cima della Bondasca (16 gennaio 2010, foto Beno). potranno alleggerire le spalle e inforcare gli sci con le pelli fino a sentirsi a proprio agio nella parte. Alla Baita di quota 2000 metri, più volte distrutta dalla valanga e più volte ricostruita, si imporrà una sosta per osservare la muraglia ormai in ombra del Cavalcorto: è come un grande mausoleo pieno zeppo di storie e di memorie di coloro che lo hanno esplorato dal lato più impervio, ma anche di quelli che sotto la sua parete hanno vissuto con le greggi protetti dalla sua benevola ala. a nostra meta è il Bivacco Molteni Valsecchi, una scatola di latta rossa tra i macigni al centro della valle. Da pochi anni la struttura originaria è stata smantellata e, al suo posto, messa in funzione una nuova. Dentro è come essere in una piccola stanza di legno di un vecchio albergo di Chamonix o di Grindenwald, quasi con le stesse comodità. Manca solo il wc, ma fuori c’è la più bella e ampia L 46 Le Montagne Divertenti sala da bagno che si possa desiderare. Da quassù tutto appare diverso e, quando ci sei, anche la fatica per arrivarci sembra svanita. Siamo soli a goderci questo Grand Hotel dell’altopiano. Là sotto tutto è immobile e solo il fischio di un camoscio rompe l’aria di cristallo, come l’arbitro di una partita che si gioca su questo grande campo. Stambecchi dormienti in piedi strabuzzano l’occhio e arricciano il naso stritolando l’aria: non si muoveranno dalla loro cementata postura, se non al sopraggiungere di un pericolo grave. Si trovano su una cengia esposta a valle del Passo Qualido, io li osservo con il binocolo e loro mi guardano senza particolari emozioni, perché intuiscono che non rappresento una minaccia per la loro pelliccia. Riconosco Gustavo, un vecchio maschio sulla quindicina, con corna ormai lisciate dalla smeriglia del tempo. Si è trasferito qui dal Came- raccio, dove era nato e dove l’ho visto per la prima volta nel lontano ’96. l Passo del Ferro, la nostra meta di domani è lì, dritto sopra di noi. Una lunga lingua di neve, come una stola cardinalizia messa in candeggina, scende a precipizio dall’insellatura verso l’immenso tappeto bianco che copre tutto il circo dell’alta valle. I primi che ci hanno messo piede sono stati gli inglesi Freshfield con un amico e la guida chamoniarda Devouassoud, nell’estate del 1864. Lo leggo sulle pagine ingiallite de Le Montagne di Val Masino pubblicato nel 1883 dal CAI Milano a firma del nobile Francesco Lurani Cernuschi, uno dei maggiori esploratori del gruppo tra ‘800 e ‘900. Il sottile volumetto è una specie reliquia, è come avere tra le mani i pensieri dell’illustre milanese e leggere tra le pieghe dei resoconti le sue aspirazioni, paure e soddisfazioni; le mappe e i disegni sono i primi I Primavera 2010 su queste montagne, ancora in parte sconosciute. Proprio il Cernuschi fu protagonista della prima al Pizzo del Ferro Centrale (la nostra meta) che intraprese, con un percorso che oggi ci appare insolito, partendo dai Bagni di Masino, passando dall’Alpe Brasco ed entrando in Val del Ferro dal Bocchetto del Cavalcorto. Raggiunse il Passo del Ferro e da lì in breve il Ferro Centrale. Con lui, le guide Antonio Baroni di Sussia (Valbrembana) e Giulio Fiorelli di San Martino, capostipite della dinastia di guide ancor oggi ben rappresentata. ccoci dunque, dopo un viaggio nel tempo, di nuovo sulla neve dura di questo luogo alto. Saliamo con ampi zig zag fino a quando la pendenza si fa più accentuata e ci costringe a togliere gli sci e a infilare i ramponi. In breve siamo al colle, accolti dagli sbadigli del vento della Bondasca che sembra si sia svegliato E Le Montagne Divertenti Gli ultimi ripidi tratti per il Passo del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno). Cima della Bondasca (m 3287) 47 Valmasino Alpinismo Pizzo del Ferro Centrale o Cima della Bondasca (3287) con il nostro arrivo. Le Sciore ancora avvolte dalle ombre ci sono di fronte e sotto i loro sguardi si srotola il lungo serpente di curve che ondeggia fino ai prati di Laret, in Val Bondasca, una discesa per veri intenditori. n ultimo sforzo e, aggirata l’anticima, ci arrampichiamo (20 metri non facili) sulla più panoramica sommità del Masino, sospesi tra l’aria quasi mediterranea di Valtellina e quella più mitteleuropea dell’Engadina, tra due bacini, quello dell’Adda che fa rotta a S e quello dell’Inn, che dal vicino passo del Maloja, ha come destino il Mar Nero. a discesa da quassù è grandiosa e dopo un tratto un po’ scorbutico sotto il colle, dove è meglio non fare passi falsi1, si lascia andare alle più varie interpretazioni, ma tutte all’insegna della bellezza e della potenza della natura. oco a valle della ripida strozzatura ognuno potrà scegliere la U L In alto: il tratto finale dell'ascesa alla Cima della Bondasca visto da N. In basso a sx un primo piano da E del bizzarro testone sommitale, circa 15 metri di altezza; noi lo abbiamo superato dalla faccia N (III+). In basso a dx una strana scultura rocciosa sulla cresta che unisce la Cima della Bondasca alla sua anticima orientale (7 febbraio 2010, foto Luciano Bruseghini). P 1 - Il ritiro dei ghiacciai negli ultimi anni impone – dove un tempo si sciava – una breve calata con la corda per evitare le rocce scoperte. 48 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Dal cocuzzolo della Cima della Bondasca verso NO (7 febbraio 2010, foto Pascal van Duin). propria strada: lasciar correre le assi o tenerle a briglia corta, pennellare, condurre, usare il compasso, oppure disegnare le curve più pazze fino a quando le gambe ne avranno abbastanza. Alla fine della corsa, sarà un navigare faticoso nella neve marcia, che a grandi palloni da calcio riem- pie i canali di valanghe primaverili. E ancora un po’ di camminata per mettere i piedi ormai infuocati a bagno nelle fresche acque della bella pozza della Cascata del Ferro che, persi ormai da tempo gli aguzzi cristalli di ghiaccio, darà sollievo alle consumate estremità. Cima della Bondasca (m 3287) 49 Alpinismo Luciano Bruseghini 50 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Cima della Bondasca (m 3287) 51 Versante Orobico Alpinismo Bellezza Il Vallone di Scais e la via di salita alla piramide del Redorta (foto Ricky Scotti). A dx : la crestina finale per la vetta con, in secondo piano, il Rodes (m 2829) (10 gennaio 2010, foto Luciano Bruseghini). In copertina a questo articolo: acquerello del gruppo Scais-Redorta visto del Pizzo Rodes (Kim Sommerschield, www.kimsommerschield.com). Fatica Pericolosità Partenza: Vedello (m 1032) Itinerario automobilistico: Da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna Piano e Piateda fino a Busteggia. 100 metri oltre l'ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in Val Vedello. Si lascia l'auto nei pressi della Centrale di Vedello (m 1000, 6 km ). Itinerario sintetico: Vedello (m 1032) - Agneda (m 1228) - Diga di Scais (m 1500) - Baita di Caronno (m 1612) - Rifugio Mambretti (m 2003) - Pizzo Redorta (m 3039) Tempo di salita previsto: 6 ore. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da sci alpinismo, ramponi, piccozza, pala, arva e sonda. Difficoltà / dislivello: 3+ su 6 / 2007 metri. Dettagli: BSA. L'ultima cresta è un po' esposta. Mappe: Kompass n. 104 - Foppolo Valle Seriana 1:50000. Nonostante il Redorta per soli 11 metri non sia la cima maggiore delle Orobie, resta tuttavia la vetta più alta raggiungibile facilmente durante il periodo invernale. Anche la sciata che si svolge nel vallone glaciale, se effettuata con neve adeguata, è entusiasmante. Q uello proposto è un itinerario abbastanza lungo, con un dislivello di 2000 metri e uno sviluppo di circa 12 km, spezzabile comunque in due giorni, con pernottamento alla Capanna Mambretti. L a salita inizia a Vedello (m 1032) nel comune di Piateda, dove dalla Val Venina si stacca la Val Caronno. Per arrivarci dall’abitato di Piateda si seguono le indicazioni per la frazione Piateda Alta e quindi per Centrale Vedello. La strada, fin qui asfaltata, è sempre tenuta pulita dagli addetti alla centrale idroelettrica. Negli anni con scarso innevamento La Capanna Mambretti e la testata della Val Caronno (10 gennaio 2010, foto Luciano Bruseghini). 52 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti nel fondovalle, si può imboccare la pista sterrata che sfocia oltre il paese di Agneda (m 1228), al termine di un lungo pianoro, proprio dove si trova sempre, anche a inizio stagione, la slavina che dalla Motta di Scais scende verso valle. Da Vedello, seguendo il tracciato della rotabile, si sale lungo la sponda sx idrografica del torrente Caronno e con vari tornanti si guadagna quota fino a raggiungere Agneda (m 1228 ore 0:30). Un tempo abitato tutto l’anno, oggi questo paesino viene frequentato solo nei mesi estivi o durante i week end da poche persone. Lasciate le case alle spalle inizia un tratto pianeggiante, abbastanza noioso soprattutto nella discesa, che porta alla slavina. Quest'anno è particolarmente abbondante e per superarla bisogna compiere alcuni slalom tra i blocchi ghiacciati. Qui la strada si fa più stretta e ripida e sale con rapide svolte in direzione del muro della diga di Scais. Poco prima di raggiungere lo sbarramento si imbocca il sentiero a sx e si attraversa su un ponticello (Ponte della Padella) il torrente Caronno. Il tracciato ora si sviluppa in un fitto bosco di abeti, dove la neve ogni tanto scarseggia. Si arriva alla Diga di Scais, nei pressi della casa Pizzo Redorta (m 3039) 53 Alpinismo dei guardiani (m 1500 ore 0:45)1. Si costeggia il lago, ghiacciato quasi completamente, facendo attenzione alle piccole slavine che di tanto in tanto ostruiscono la via. Raggiunte le case di Scais, in fondo alla diga, il cammino si fa di nuovo erto per vincere un piccolo dosso boschivo; servono alcune manovre tecniche a causa del sentiero costretto fra le rocce. In breve si raggiunge l'Alpe Caronno (m 1612, ore 0:45), dove si trova una baita isolata in mezzo a un grande pascolo. Da qui si hanno due opzioni di salita. prendendo a sx si affronta un lungo pendio privo di alberi e abbastanza ripido. La mancanza di grossi alberi è indice che di tanto in tanto scendono a valle delle valanghe. Improvvisamente al di là di un piccolo dosso appaiono la parte alta della vallata e il tetto rosso della Capanna Mambretti (m 2003, ore 1)2. In lontananza verso E si intravede il vallone di Scais, ma la cima del Redorta ancora non si scorge, nascosta dall'imponente mole del Pizzo Brunone. A sx del vallone di Scais c'è quello di Porola, sede del ghiacciaio di Porola, un tempo possente e crepacciata vedretta, simbolo del glacialismo orobico, e oggi in costante e inesorabile ritiro. Nel giugno 2009 una grossa frana scesa dalla Cima del Lupo ha ricoperto il ghiacciaio con un consistente strato detritico, dando quasi l'impressione che questo si sia diviso in due longitudinalmente. Si compie un lungo traverso a mezza costa su ripidi pendii, fino a raggiungere il punto di confluenza tra il Vallone di Scais e quello di Porola (m 2200, ore 0:45). Questo passaggio va affrontato solamente con neve sicura, altrimenti bisogna utilizzare l’altro itinerario al bivio presso la Baita Caronno. dalla Baita di Caronno si attraversa il torrente (dx), continuando nel fondovalle, prima lungo un tratto pianeggiante, con slalom tra alberi e piccoli arbusti, poi con una breve rampa fra alberi e grossi massi fino a toccare il limitare del bosco. Costeggiando il corso d'acqua, si lascia sulla dx la traccia che si inerpica verso il vallo- I: ne a SO del Pizzo Brunone e si punta al canalone (NE) in corrispondenza grande salto roccioso che si vede in lontananza a sx. Il pendio è abbastanza ripido e non molto largo, ma con parecchie diagonali anche questa difficoltà viene superata. ra il tracciato si fa meno impegnativo, anche se non concede momenti di relax, e punta diritto all'imbocco del Vallone di Scais, dove si ricongiunge con il percorso che passa dalla Mambretti (m 2200, ore 1:45). Il primo tratto del vallone, incassato tra la Cresta Corti alla Punta di Scais e il Pizzo Brunone, non ha pendenze eccessive, me è spesso freddo e ombroso. La fatica comincia a farsi sentire, ma la piramide del Redorta è ora visibile sullo sfondo, con i raggi del sole che ne illuminano la cima, facendola sembrare una corona in testa al suo re. Nel tratto finale della Vedretta di Scais, a circa m 2700, c'è un'impennata, detta "schiena di mulo". Un tempo, prima del ritiro del ghiacciaio, era molto crepacciata nel periodo estivo. Oggi veste il suo mantello invernale ed è liscia e immacolata. Utilizzando le energie residue si esce sul pendio superiore del ghiacciaio e si punta a sx verso l'evidente Bocchetta di Scais (m 2905 ore 1:15), incastonata tra il Redorta e un'anticima della Punta di Scais detta "Fetta di Polenta". Adesso bisogna prestare molta attenzione se si vuole guardare oltre: c'è un precipizio verso la Val di Coca e un ruzzolone da qui sarebbe tragico. Di rimpetto troneggia con l'aspro versan- O te SO il Pizzo di Coca (m 3050), vero dominatore delle Orobie. Tornati sui propri passi si raggiunge la parte bassa del canale che solca la faccia O del Redorta. Lasciati gli sci, si sale senza troppa difficoltà per circa cento metri fino a toccare la cresta sommitale. Proseguendo verso dx la lama si fa pian piano più affilata e in breve si raggiunge la croce di vetta del Redorta (m 3039, ore 0:45), dove si ha la meritata ricompensa per la fatica sopportata. Se il manto nevoso lo consente, è possibile portare gli sci fin quasi in vetta e poi ridiscendere con gli attrezzi ai piedi (opzione riservata solamente a ottimi sciatori). In cima, nei pressi della piccola croce, lo spazio è molto limitato: uno stretto pianerottolo dove cinque o sei sciatori ci stanno stretti. Il panorama è di ampio respiro: verso N la corona del Bernina, a NE in primo piano il Pizzo di Coca e a N la Punta di Scais, uniche altre vette delle Orobie a superare i 3000 metri. A E e O seguita la catena orobica con una quantità disorientante di picchi e vallate. Anche verso S la vista è interessante, soprattutto se si capita in vetta durante una giornata con nuvole basse o nebbia asfissiante sulla pianura padana: un'immensa coperta grigiastra copre tutto e scompare verso l'orizzonte, lasciando affiorare solamente le cime più alte, come isolette in un gelido mare. La discesa avviene lungo l'itinerario di salita ed è motivo di soddisfazione per chi ha reso omaggio da vicino al “Re delle Orobie”. Il Sentiero del Viandante da Dervio a Colico Riccardo Ghislanzoni II: L’ultima tappa del Sentiero del Viandante ci accompagna lungo la sponda orientale del Lago di Como fino alle porte di Valtellina, attraverso un percorso ricco di storia e con panorami spettacolari. 1 - Questo è anche un punto di chiamata del soccorso alpino (i cellulari non sempre ricevono correttamente il segnale). 2 - 25 posti letto. Per il ritiro delle chiavi rivolgersi al CAI Valtellinese 0342/214300. 54 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Panorama sopraDivertenti Dorio e verso Le Montagne Olgiasca (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti). Da Dervio a Colico 55 Porte di Valtellina Escursionismo Verso Corenno Plinio (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Dervio (m 217). Itinerario automobilistico: da Lecco seguiamo la SS 36 e, dopo circa 27 km, prendiamo l’uscita di Dervio. Raggiungiamo la piazza della stazione dove possiamo parcheggiare l’auto. La scelta più conveniente, anche in vista del rientro, è quella di utilizzare il treno per gli spostamenti. Itinerario Dervio (m 217) – Corenno Plinio (m 229) – Posallo (m 460) – Colico (m 227). Tempo - sintetico: di percorrenza: 5 ore. D alla piazza della stazione risaliamo Piazza Cavour in direzione del dosso del Castello, che raggiungiamo grazie a una bella gradinata fra alte mura di cinta. Il borgo di Castello è rimasto immutato nel suo aspetto medievale: tortuosi viottoli, rustici portoni in legno, muri in pietra e numerose nicchie dove troviamo fresche fonti d’acqua. L’antico castello guardava dall’alto dello sperone roccioso l’accesso alla Val Varrone, un tempo luogo produttivo di prim’ordine sopra la precipite forra in cui rumoreggia il Torrente Varrone. Lasciato l’abitato di Castello passando dal lavatoio, torniamo sulla strada asfaltata. Prendiamo il sottopasso della strada per Vestreno e proseguiamo per Via al Monastero, attraverso i Prati di 56 Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: 600 metri. Dettagli: T. facile e panoramica escursione tra lago e monti. Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 105, Lecco – Valle Brembana. Alcune informazioni sono tratte dalla guida Il Sentiero del Viandante, Albano Marcarini, LYASIS Edizioni (sito www.vasentiero.it). Chiari. II percorso continua pianeggiante e sulla sx appare il complesso rustico che costituiva il Monastero di Santa Clemente degli Umiliati. Si narra che l’Imperatore di Germania Enrico II, verso l’inizio dell’XI secolo, nella lunga lotta con i lombardi avesse fatto prigionieri parecchi nobili milanesi e comaschi, poi condotti oltr’alpe in qualità di ostaggi. Persi in quelle terre a loro straniere essi decisero di pentirsi, gettare le loro ricchezze e indossare umili abiti per dedicarsi alla produzione della lana. L’imperatore, commosso da tale gesto, avrebbe detto loro un giorno: “Eccovi finalmente umiliati!”, rimandandoli liberi in patria. Da quel momento, in tutta l’Italia settentrionale si diffuse un nuovo ordine monastico, detto appunto degli Umiliati, dedito in tutta povertà al lavoro artigianale. Ebbero una “casa” anche a Dervio, una delle ventidue presenti nel Comasco, che fu dimora e laboratorio. L’Ordine degli Umiliati fu soppresso da papa Pio V nel 1571 perché accusato di aver accumulato con la loro attività ingenti ricchezze che ne avrebbero corrotto gli ideali iniziali. assato il monastero, proseguiamo su fondo sterrato e poi sull’originario acciottolato. Superiamo una leggera soglia e poi scendiamo a Corenno Plinio (m 229, ore 0:45), pittoresco nucleo a lago, stretto attorno al suo castello, eretto tra il 1363 e il 1370. Questo è un esempio di castello-recinto, ossia un ricovero temporaneo della popolazione in caso P Primavera 2010 di pericolo, con funzioni analoghe a quelle del Castello di Vezio. Accanto al castello, dove i cipressi contrastano le fredde muraglie, troviamo la Chiesa di San Tommaso da Canterbury, che contiene antichi affreschi dal Trecento al Cinquecento. Sulla piazza ci sono dei rari esempi di scultura gotica rappresentati dalle tre arche funerarie in marmo della famiglia Andreani. opo un tratto di strada asfaltata e, nei pressi di un ristorante, riprendiamo il percorso pedonale transitando accanto a una cappella decorata con una crocifissione. Rimanendo sempre in costa, seguiamo la mulattiera attraverso la Cascina del Guasto e gli abitati di Torchiedo e di Panico. Raggiungiamo la chiesa di San Giorgio, antica parrocchiale D Le Montagne Divertenti di Dorio, già esistente nel 1412. La parete sx dell’interno ha un grande affresco del 1492 che raffigura la Madonna e i Santi e un fulgido San Giorgio, vittorioso sul drago. ltre la chiesa, arriviamo a Mondonico, antico nucleo di case costruite con la grezza pietra locale e ora abbandonato. Qui inizia la salita nel castagneto che conduce alla Cappella di San Rocco e alla soglia che divide dalla costiera di Colico. Questo è uno dei tratti più spettacolari che segue una mulattiera realizzata con le tecniche tipiche di un secolo fa. La strada sale regolare con stretti tornanti fino ad arrivare alla piccola Chiesa di San Rocco (m 498, ore 0:30), posta su un poggio molto panoramico. Dietro alla O chiesa, troviamo un’area per una sosta e una sorgente d’acqua freschissima. Durante la salita notiamo anche un cambio della tipologia di roccia: non più calcare, ma bensì pietra scistosa e vene di anfiboliti. Pure la vegetazione cambia: ecco la ginestra, l’erica e arbusti che amano l’intensa insolazione di questo versante. Un tratto di salita ed ecco la soglia del contrafforte che divide la costa di Dorio da quella che si affaccia sul Laghetto di Piona. Il sentiero solca la nuda roccia lavorata dai ghiacciai quaternari e attraversa boschi di castagni, betulle e faggi. Accanto al sentiero di tanto in tanto degli strani cippi numerati indicano i lotti in cui un tempo era ripartito il bosco da legna. Proseguiamo attraverso l’ombrosa Valle Rossello e transitiamo per una scalinata di pietra. Raggiungiamo la luminosa radura circondata dai castagni secolari nei pressi del Monte Perdonasco, uno dei tanti insediamenti stagionali sulle pendici del Monte Legnone, dove in passato si veniva a far provvista di legna e di castagne. Oltre la Valle di Noh e il Monte Sparse, arriviamo all’isolata Chiesa della Madonna dei Monti. Qui imbocchiamo la strada sterrata che ci porta a Posallo (m 460, ore 1:45), dove troviamo un accogliente punto di ristoro con un’ottima visuale sul Monte Legnone. A Posallo parte anche il sentiero denominato Dorsale Orobica Lecchese (DOL), lungo circa 80 km e con diverse varianti, percorribile in più giorni, che termina a Valcava, transitando per gli alpeggi di Premana, i Piani di Bobbio, i Piani di Artavaggio, la Culmine di San Pietro, la Culmine di Palio e il Monte Tesoro. A Posallo, per la strada asfaltata, si giunge a Borgonuovo e Corte, frazioni di Colico, e alla stazione ferroviaria di Piona. Seguendo le indicazioni facilmente si può visitare anche la famosa Abbazia di Piona. iprendiamo il cammino lungo la carrozzabile e poco dopo la abbandoniamo, passando su una passerella il torrente Perlino e, per una mulattiera, saliamo all’antica Chiesa di San Rocco, con affreschi del XIV secolo. Passiamo quindi nei pressi di R Da Dervio a Colico 57 Porte di Valtellina Escursionismo T un’azienda agrituristica e imbocchiamo la strada asfaltata. Man mano si apre la visuale sulla piana di Colico. Poco dopo raggiungiamo l’ampio greto del torrente Inganna, all’Acqua de La Fevra, conca acquitrinosa a monte dei Molini con delle cascine ammodernate. Da qui, se seguissimo a sx la strada, perverremmo a Villatico e, transitando per Campione e Pontée, alla Chiesa di San Giorgio e a Colico. l nostro sentiero prosegue invece verso Robustello e attraversa la frazione di Chiaro lungo un’ampia mulattiera selciata. Oltre i vigneti di Chiarello e un paio di fonti e passiamo sotto la SS36, fino alle case di Curcio. Continuiamo nella stessa direzione (Via Strada Granda) e, all’incrocio con Via Basett, pieghiamo a dx e imbocchiamo il sovrappasso della SS36 che finalmente abbandoniamo alle nostre spalle. L asciamo a dx l’accesso a Ca’ Biasett e continuiamo su sterrato in direzione della Torretta. orniamo sul selciato di quella che era la più antica via di comunicazione con la Valtellina, la Scalotta o Scalottola, che ha preso questo denominazione per via delle rampe gradinate tagliate nella roccia. Saliamo fino a oltrepassare il confine tra la provincia di Lecco e quella di Sondrio. Poi il sentiero scende verso valle. Abbandoniamo la strada che si abbassa verso Piantedo e seguiamo il cartello che ci fa deviare a sx. Per un sentiero a ripide svolte, raggiungiamo in pochi minuti il Santuario della Madonna di Val Pozzo (m 227, ore 2), grande chiesa ottocentesca con un massiccio campanile e un monumento che ricorda i caduti e in particolare i martiri della Resistenza, che in questa zona visse significativi episodi. Dalla chiesa, la mulattiera scende verso la strada asfaltata. Da qui possiamo raggiungere a piedi la stazione ferroviaria di Colico distante circa 3 km: seguiamo a sx la Via Colico, la Via al Confine (sottopasso della SS36), Via Nazionale Nord e Via Nazionale. Altrimenti possiamo andare in direzione Piantedo, verso dx e, dopo circa 500 m, incrociamo la Strada Provinciale e la fermata più vicina dell’autobus (linea Morbegno – Delebio – Colico). Dalla stazione ferroviaria di Colico facciamo comodamente ritorno in treno a Dervio. Le Montagne Divertenti L'Abbazia di Piona vista dalla vetta del Legnone (25 luglio 2007, foto Ricky Scotti). L ’Abbazia di Piona sorge ai piedi del monte Legnone, sulla collina di Olgiasca, a due passi dalla riva del Lago di Como nel comune di Colico. Le prime fonti che attestano la presenza in questo territorio di una comunità monastica risalgono al VII secolo. Sono stati trovati documenti del XII secolo che dimostrano la vitalità anche economica dell’Abbazia di Piona a quei tempi. ntrando nell’Abbazia possiamo visitare la chiesa, il chiostro, la sala capitolare e l’edificio che ospita i prodotti dei monaci di Piona. La chiesa, rivolta ad oriente, è lunga 27 m, larga 8 m e alta 9 m, costruita su navata unica. Gli affreschi del catino absidale, di epoca ignota, sono stati riportati alla luce nel 1906 e anche la volta del presbiterio e l’arco trasversale sono affrescati con scene dell’ascensione del Cristo in cielo e degli apostoli. l chiostro, a forma quadrangolare, è il punto di riferimento di tutta l’abbazia di Piona. Il chiostro è un luogo di meditazione e di silenzio, la sua struttura evoca la forza simbolica del numero quattro: i quattro elementi dell’universo, i quattro punti cardinali. Il chiostro fu fatto costruire dal priore Bonaccorso de Canova tra il 1252 e il 1257. E I 58 L'Abbazia di Piona I L a sala capitolare è il luogo d’incontro e di lettura dei monaci, dove eleggono, con votazione segreta, il superiore, discutono i problemi e ammettono postulanti al noviziato. Le panche e le spalliere di legno provengono dalla sagrestia di San Zeno a Verona. Nell’edificio adibito alla vendita dei prodotti dei monaci possiamo trovare erbe medicinali, creme cosmetiche, miele e i famosi liquori sapientemente distillati secondo le più antiche tradizioni, tutti prodotti naturali creati dai monaci. n consiglio? Acquistate le “Gocce Imperiali”. Sono un distillato d’erbe prodotte dai monaci secondo un’antica ricetta, probabilmente inventata da un frate di nome Eutimio tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800. Digestivo, cordiale, energetico, dissetante, correttivo di bevande, calma il dolore di denti e disinfetta la bocca. L’uso esterno ha proprietà antireumatiche e antiartritiche. Le “gocce” hanno una gradazione alcolica di 90° e un gusto di anice. Ingredienti: alcol, acqua, erbe, aromi naturali e zafferano, che conferisce il colore giallo che le contraddistingue. U Il Laghetto di Piona (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti). Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Da Dervio a Colico 59 Lo Sbarramento Escursionismo del Poschiavino Un potente insieme di fortificazioni, opere e strutture militari eretto nel periodo antecedente e durante la Grande Guerra - a sbarramento di possibili invasioni da nord attraverso la Valle di Eliana e Nemo Canetta Poschiavo. Tirano I n questi ultimi tempi si parla parecchio dei Forti valtellinesi e anche quello di Tirano, il più danneggiato e dimenticato, inizia ad avere i suoi giusti riconoscimenti. Forse anche grazie ai lavori di ricerca e di pulizia voluti dall’attuale amministrazione comunale, dal Museo Tiranese e dalla Sezione ANA locale. Non bisogna, però, pensare ai Forti di Colico, Tirano e Oga come a strutture isolate nel loro territorio. Questi, infatti, rispondevano a esigenze diverse e quindi necessitavano di una serie di opere distaccate, atte a migliorare la difesa delle aree loro assegnate. Perché il nostro esercito decise di costruire questi tre forti? Per rispondere a questa domanda, bisogna tornare indietro sino agli anni immediatamente successivi all’Unità d'Italia. In quel periodo, tutti gli stati -ma proprio tutti- ritenevano che, per difendere le frontiere, fosse indispensabile erigere forti e opere tali da sbarrare ogni possibile via d’invasione. L’Italia, fresca d’Unità, si trovò a dover provvedere a tutto il confine alpino, oltre naturalmente ai suoi 3000 e rotti chilometri di coste. Probabilmente, paesi ben più ricchi del nostro si sarebbero trovati in difficoltà; figuriamoci Roma le cui casse erano perennemente in crisi! Fu quindi necessario fare delle scelte e le poche risorse vennero impiegate per contenere eventuali invasioni dalla Francia che in quegli anni era considerata un po’ da tutti il probabile avversario. Ecco che sulle Alpi occidentali, ove i Savoia già avevano conteso ai nostri cugini d’oltralpe per secoli il passaggio, si rimodernarono i forti già esistenti, se ne eressero di nuovi, si costruirono caserme, strade e tutto quanto si ritenne necessario. Perfino il Corpo degli Alpini, da poco costituito, fu in gran parte concentrato ad occidente. In Valtellina ci si contentò di sistemare un paio di Battaglioni Alpini. In quegli anni l’Italia era alleata con Austria e Germania, la famosa Triplice Alleanza, e quindi da N ci si riteneva abbastanza al sicuro. Ben presto tutto cambiò e se da un lato i rapporti con Santa Perpetua (5 gennaio 2010, foto Canetta). 60 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti la Francia migliorarono, peggiorarono quelli con l’Austria, specie sotto la spinta dell’Irredentismo che richiedeva sempre più ad alta voce Trento e Trieste. Fu allora che la necessità di fortificare la Valtellina si fece maggiormente sentire. Si aveva forse paura che Berna puntasse a riacquistare le Valli dell’Adda e della Mera che in fondo le erano state tolte da pochi decenni? N on era questo il punto; in realtà si temeva che, violando la neutralità elvetica, gli austriaci attraverso l’Engadina aggirassero le difese dello Stelvio e puntassero su Tirano, per la Valle di Poschiavo, e su Chiavenna, per la Val Bregaglia. I potenti cannoni del Forte Canali, questo era il nome in genere utilizzato per indicare il Forte di Tirano, avrebbero avuto la possibilità di colpire la Valle di Poschiavo sin nei pressi dell’omonima cittadina. Quei quattro cannoni, però, non erano ritenuti sufficienti. Si decise allora, in modo simile a quanto effettuato nei pressi del Forte di Colico e di quello di Oga, L’ interno di Santa Perpetua, con gli antichissimi affreschi (16 gennaio 2010, foto Canetta). L’ arrivo della ferrovia (una delle prime a trazione elettrica) aveva fatto di Tirano un importante centro economico e turistico (vecchia cartolina - archivio Museo Tiranese). Lo Sbarramento del Poschiavino 61 Escursionismo Tirano di rafforzare le artiglierie con postazioni a Trivigno e sui pendii di Ronco e Corradini. In tal modo le forze italiane avrebbero potuto concentrare un notevole volume di fuoco in direzione dello sbocco della Valle di Poschiavo. Chiunque abbia un po’ di conoscenza delle artiglierie moderne sa, però, che, per guidarne il tiro a notevole distanza, sono necessari degli osservatori. Oggi abbiamo a disposizione elicotteri, aerei e persino satelliti. Inutile dire che prima della Grande Guerra non si parlava nemmeno di simili diavolerie della tecnica. L’osservazione veniva effettuata da ufficiali e sottoufficiali che, per telefono, comunicavano al Forte e alle altre batterie come modificare il tiro. Potrebbe sembrare un procedimento farraginoso ma, con uomini allenati e ben addestrati, il tutto funzionava bene e celermente. Ecco allora la necessità di avere degli osservatori il più possibile vicino alla frontiera. Da uno schema trovato nei polverosi archivi romani, si può dedurre che, verso la Svizzera, furono scelte le caserme della Guardia di Finanza di Lughina e del Sasso del Gallo. Altri osservatori erano situati in posizioni tali che le artiglierie nelle cupole del Forte potessero battere pure il fondovalle tellino verso Grosio e Teglio. In quegli anni i Finanzieri non erano impiegati, come oggigiorno, per verificare bolle di spedizione e pagamenti dell’IVA, ma costituivano, sin dai tempi di pace, una vera e propria forza, ben armata ed addestrata, che controllava capillarmente i confini. Certamente si impegnavano per reprimere il contrabbando, ma nondi- meno sorvegliavano le frontiere e, nei momenti critici, intercettavano i malintenzionati (al tempo non si parlava di terroristi). Questo spiega perché, tutto attorno al cuneo di Poschiavo, troviamo ancor oggi delle massicce caserme della Finanza: in Val Fontana, a Lughina, sopra Baruffini, a Schiazzera e in Val Grosina. Caserme ben più grandi ed importanti della semplice necessità di ospitare in tempo di pace poche Guardie. Naturalmente gli osservatori andavano difesi; ecco allora che, sin dal tempo di pace, furono redatti dei piani (oggi depositati presso gli archivi romani e di cui il Museo Tiranese è entrato recentemente in possesso) per tracciare tutta una serie di difese campali: trincee, reticolati e mulattiere. Inizialmente si pensò di fortificare Lughina, lo sbocco della valle e le pendici del Masuccio, poi con la guerra tali fortificazioni speditive assunsero un’importanza sempre maggiore. Non ci si deve far ingannare dall’aspetto tranquillo che aveva all’epoca Tirano. Qui giungeva da Milano la ferrovia e di conseguenza, quando dallo Stelvio al Gavia si iniziò a combattere, a Tirano giungevano tutti i rifornimenti, i materiali e gli uomini da indirizzare in alta Valtellina. In poche parole il pacifico capoluogo del Terziere di Sopra tornò ad essere, come in tempi lontani, un centro strategico di prima importanza e soprattutto la base logistica della difesa di tutta l’alta valle dell’Adda. Sarebbe qui troppo lungo elencare le opere di difesa tracciate da Teglio alla Val Grosina, nonché sulle morbide costiere tra Aprica e Mortirolo, ma basta dare un’occhiata alle carte dell’epoca per rendersi conto che fu un’opera ciclopica che si interruppe soltanto nel novembre del 1918, quando le nostre forze, caso unico sul fronte italo-austriaco, forzando le difese allo Stelvio e in alta Valfurva, discesero in Val Martello sino a Prato allo Stelvio, occupando quindi un lembo di quell’Alto Adige che poi ci saremmo fatti assegnare con la pace. Persino sul ripiano di Santa Perpetua, fu sistemata una postazione antiaerea. In realtà la Valtellina ebbe a lamentare, in tutto e per tutto, solo una singola bomba su Sondrio, sganciata da un aereo imperial-regio nel 1916. Pochi i danni: cadde nel giardino dell’arciprete e uniche vittime furono alcune galline. Sfidare la fortuna, ad ogni modo, poteva essere pericoloso, tanto più a Tirano, zeppo di depositi e di strutture logistiche, e nelle vicine centrali idroelettriche che fornivano già allora energia a Milano. Dai pressi dell’antichissimo xenodochio si fece buona guardia sul cielo tiranese; per fortuna senza sparare un colpo come, altrettanto per buona sorte di tutti, mai i cannoni del Forte di Tirano inviarono le loro granate su Poschiavo. Una nuova guida: Tirano da scoprire ER P L dita dal Museo Etnografico Tiranese e fresca di stampa è la nuova guida ai beni culturali e ambientali del territoreio di Tirano. ealizzato da Mauro Rovaris con Eliana e Nemo Canetta, questo volume si offre come strumento prezioso per chi vuole conoscere e visitare Tirano e dintorni. asseggiate alla scoperta di storia, ambiente, luoghi, musei e leggende, ma anche ricette gastronomiche, consigli sui vini e i luoghi dove soggiornare o semplicemente saziare i propri stomaci dopo una lunga camminata. a potete trovate nelle librerie di Sondrio e Tirano, oppure presso il Museo Tiranese. Il prezzo? Soli 10 euro. 62 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Bellezza Partenza: Tirano (m 439). Itinerario sintetico: Fatica Santa Perpetua (verde): Madonna di Tirano (m 439) - Chiesa di Santa Perpetua (m 546) - strada del Bernina - Rasica - Madonna di Tirano [ore 1:30]. Pericolosità Lughina (giallo): Madonna di Tirano (m 439) Ronco - San Sebastiano (m 535) - Novaglia (m 880) - Ramaione (m 1109) - Lughina (1464) Madonna di Tirano per la via dell'andata [ore 4:30]. - Sasso del Gallo (rosso): Roncaiola (m 800) - Bedolle - Caserma del Sasso del Gallo (m 1239) - Piazzo (m 928) - Baruffini (m 729) - Roncaiola [ore 3]. - Santa Perpetua D al piazzale del Santuario della Madonna di Tirano (m 439), ci si porta al vicino parcheggio situato lungo le rive del Poschiavino, che si valica grazie ad un caratteristico ponte di legno. Sull’opposto versante si risale tra le vigne, lungo un sentiero già dominato dalla rupe dove si trova la chiesetta di Santa Perpetua. In tal modo si giunge a poche decine di metri dall’edificio sacro (m 546), che è, assieme ad alcune strutture vicine, quanto resta di un antichissimo xenodochio (ovvero un ospizio per viandanti) sulla strada del Bernina. Non fu l’unico: in territorio elvetico vi era Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: Difficoltà: rispettivamente 0, 2 e 1 su 6. Dislivello in salita: rispettivamente 107 m, 1025 m e 439 m. Dettagli: T/E . Per approfondimenti: • Eliana e Nemo Canetta, Antichi percorsi del Terziere di Sopra, Casa Editrice Stefanoni, Lecco 2006 • Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande Guerra in Valtellina e Valchiavenna, Edizioni Libreria Militare, Milano 2008 quello di San Remigio e un altro (oggi non più esistente), invece, era localizzato nei pianori dell’Aprica. Non sappiamo quando la chiesetta fu edificata, quel che è certo è che già esisteva nel XII secolo. Dalla finestrella del massiccio portone di acceso (purtroppo sempre chiuso), gettando lo sguardo all’interno, si possono scorgere gli affreschi dell’abside, di età incerta, ma considerati tra i più antichi in assoluto della Valtellina. La chiesetta è sita su una sorta di terrazzo naturale che domina tutta la conca tiranese. E’ pure possibile osservare, sull’opposto versante dell’Adda, la città vecchia, ancor oggi in parte racchiusa dalle mura, e il sovrastante colle di Dosso, che si ritiene il nucleo originario fortificato del capoluogo del Terziere di Sopra. Da Santa Perpetua val la pena di continuare, addentrandosi lungo la Valle di Poschiavo, lungo l’antica mulattiera che va ad incrociare l’attuale carrozzabile del Bernina, sotto le rupi di Lughina e Ramaione, un chilometro a valle di Piattamala, dove si trova la frontiera italo-svizzera. Valicato nuovamente il Poschiavino, invece di utilizzare la strada principale, è consigliabile tornare verso Madonna, traversando il nucleo di Rasica, un tempo completamente distaccato e sede di segherie. Ore 1.30; turistico. Lo Sbarramento del Poschiavino 63 Tirano Escursionismo Lughina D a Madonna di Tirano occorre valicare il Poschiavino e, subito dopo la centrale idroelettrica, prendere a dx seguendo le indicazioni per Lughina. Si giunge così, in ripida salita, al bivio di quota 509 dove è il primo dei tabelloni posti dal Consorzio Val Maggiore (confine italo-svizzero) per illustrare l’importanza storica di Lughina e dei borghi circostanti. Lasciato a dx il tracciato che in breve porta a Santa Perpetua, si prende a O sino a Ronco, cui segue una ripida serie di tornanti. Superato San Sebastiano (m 535), ecco un nuovo bivio con un altro pannello. Continuando a mezza costa si è a Novaglia (m 880), minuscolo nucleo su un panoramico terrazzo, dove conviene parcheggiare. Spostandosi un poco sul pianoro è possibile godere di un panorama ampio e spettacolare su gran parte della Valtellina medio superiore, nonché sullo sbocco della Valle di Poschiavo. Ovviamente l’insieme di creste e di colli circostanti aveva grande importanza per la difesa della sottostante cittadina. Per contro il Forte di Tirano, che sta quasi di fronte a Novaglia sulle pendici boscose del Monte Padrio, è completamente mimetizzato. Passando nei pressi di un vecchio edificio con bella santella, continuiamo su una stradetta che prende quota nel bosco e che permette di evitare l’ultimo tratto asfaltato della carrozzabile, costruita dal nostro Genio militare durante la Grande Guerra. In tal modo si giunge a Ramaione (m 1109), da dove è possibile continuare ancora lungo la mulattiera. Seguendola si lascia a sx il tracciato segnalato del Sentiero del Sole, che conduce a mezza costa tra ripide vallette boscose in direzione di Prato Valentino. Un’ultima rampa e si è al parcheggio, dove l’ultimo pannello dell’itinerario culturale illustra la conca di Lughina (m 1464). iamo nei pressi del piccolo altopiano, caratterizzato da due dossi. Il primo, con una galleria militare sottostante, regge i resti della caserma di Finanza; il secondo, a picco sulla Valle di Poschiavo, è intersecato da alcuni crepacci naturali come pure da notevoli resti di S 64 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Il borgo di Roncaiola a m 800 (10 ottobre 2008, foto Franco Benetti). trincee. Il percorso ad anello realizzato dai volontari del Consorzio permette di accedere ai punti più interessanti delle difese di Lughina. Volendo, in pochi metri si può arrivare a valicare la frontiera italo-elvetica, per continuare poi lungo un sentiero segnalato che porta in Val Saiento. Ore 3-4 secondo i percorsi e i tempi di osservazione; turistico se si resta sulla strada, altrimenti in parte escursionistico. Sasso del Gallo e Sentiero del contrabbando e della memoria I l versante sud-occidentale del Monte Masuccio è intersecato da numerosi tracciati che per decenni sono stati utilizzati dai contrabbandieri. Lungo alcuni di questi, l’ANFI di Tirano ha inaugurato nel 2007 il Sentiero del contrabbando e della memoria. Durante la Grande Guerra questi percorsi, di transito relativamente facile, erano assai controllati anche per evitare passaggio di informatori avversari. a Tirano si sale in auto verso Baruffini; al bivio di quota 700 circa si prende a sx per Roncaiola (m 800), nei cui pressi si parcheggia. Il caratteristico villaggio è situato a picco sopra il capoluogo e offre una spettacolare visione su tutta la conca di Tirano e i monti circostan- D ti. Seguendo le segnaletiche si procede lungo un tratturo fino a Bedolle. Lasciati a sx tracciati che scendono a Rasica, si risale da ultimo abbastanza ripidamente sin nei pressi della Caserma del Sasso del Gallo (m 1239). Il vasto edificio, eretto sulle pendici dell’omonimo immane roccione a picco sulla valle a quota 1239, era uno dei punti di controllo più importanti lungo i transiti tra Tirano e Poschiavo. Di qui, infatti, passava l’antichissima mulattiera che, entrata in territorio elvetico, portava a Viano e di lì a San Romerio. La caserma era anche uno dei punti di osservazione principale per guidare i tiri del Forte di Tirano e delle altre artiglierie dello Sbarramento del Poschiavino, verso un avversario proveniente dal Bernina. La caserma, purtroppo, è oggi in stato di deplorevole abbandono, cui vorrebbe porre rimedio l’ANFI tiranese, realizzandovi un punto di sosta e una mostra sull’attività di finanzieri e contrabbandieri. Al ritorno vale la pena, invece, di puntare su Roncaiola, di tenersi a mezza costa lungo la vecchia mulattiera che gradatamente scende a Piazzo (m 928), trasformandosi poi in stradetta che conduce a Baruffini (m 792), da dove si segue la strada asfaltata fino a Roncaiola. Ore 2-3; escursionistico. Lo Sbarramento del Poschiavino 65 Escursionismo Passo dopo passo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Versante Retico P r a l a m a g n o Hanno cambiato l’ora legale e quindi si dovrebbe dormire un’ora in più. Mi alzo come faccio da mesi alla stessa ora e parto da Sondrio che sono quasi le 7. Attraverso una città ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello. Le montagne intorno, in un cielo che si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi, camminando lungo la pista ciclabile al bordo della strada, osservo, ancora distesa sui prati, una spessa coltre di nebbia. L’umidità del mattino che si sta aprendo al giorno sembra per un momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc- E’ La Chiesa di Bratta con il piccolo porticato sotto il quale si trovano gli affreschi del Valorsa (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici). Bellezza Fatica Pericolosità - Partenza: Bianzone (località Prada). Itinerario automobilistico: da Sondrio D prendere la SS38 fino a Bianzone (23 km). Abbandonare la SS38 (svolta a sx) in corrispondenza di Via Roma. Seguire Via Roma verso il municipio, quindi svoltare a dx su Via Stelvio, a sx su Via Cantalupo fino alle case di Prada dove si può trovare qualche piazzola per parcheggiare. Itinerario sintetico: Bianzone (Prada) (m 575), Bratta (m 1003), La Volta (m 1100), Pralamagno (m 1333), Morelli (m 1379), Nemina Bassa (m 1392), Piazzeda (m 894), Bianzone (Prada) Tempo per l'intero giro: 4-5 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà: 2+ su 6. Dislivello in salita: 800 m. Dettagli: Carte: Foglio Tirano dell’Istituto Geografico Militare 1:25000, foglio Tirano - Val Poschiavo, Edizioni Muligraphic (con qualche errore), foglio Teglio - Tirano della Carta Tecnica della Comunità Montana Valtellina di Tirano (manca Lungo la stradicciola che dalla località La Volta, si inoltra il sentiero che porta ai Morelli). nella Valle di Bianzone (1 novembre 2009, foto Angelici). 66 23 dicembre 2001 una fredda e serenissima giornata. Quando ci incamminiamo a piedi dalle case di Prada, la contrada più alta sul conoide di Bianzone. ue cani ci seguono per un tratto. Sembrano infreddoliti anche loro, perché ci lasciano subito e si rifugiano sotto una tettoia dove sono ammonticchiati degli steli di granoturco. Percorriamo il primissimo pezzo della strada che sale a Bratta a grande velocità per scaldarci, poi dopo un breve tratto di mulattiera ripido, ci accorgiamo che le nostre giacche di piumino sono superflue. La mulattiera sparisce soffocata dai rovi, dalle robinie e da qualche decennio di non passaggio; così dobbiamo seguire la strada che, per altro, è molto piacevole e panoramica. Quando raggiungiamo i primi raggi del sole, ci si mostra uno spettacolo speciale: la valle in basso è ancora avvolta dal gelo Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti e il fumo dei pochi camini funzionanti si sparge nell'aria in sottili volute che si distendono formando una nebbiolina leggera. Il muoversi concitato delle foglie della rovere, che qui è l’albero più diffuso, ci rivela la presenza del vento. Prima è un soffiare leggero, poi veniamo investiti da vere e proprie folate che ci raggelano anche in presenza del sole. Chiediamo spiegazioni sul nostro itinerario a un vecchio contadino con un’ Ape e ci accorgiamo che è lo stesso al quale, almeno due anni prima, avevamo chiesto altre informazioni. Ci fermiamo a chiaccherare un momento con lui poco sotto il mulino nuovo di Bratta. Quando gli chiedo come facesse a funzionare, visto che non c’è traccia di acqua nei d’intorni, mi spiega che questo funzionava con l’elettricità (ci dice che venne messo in funzione intorno alla metà del secolo scorso). Poi mi parla del mulino vecchio che co la strada per Piateda, osservato, mentre attraverso il ponte sull’Adda, da un grosso corvo nero appollaiato su un grande albero. Leggo gli avvisi di una pesa pubblica e, poco dopo, mi infilo a sinistra lungo una strada sterrata che mi porterà a Piateda. Chiedo conferma ad un contadino mattiniero, intento a spargere letame sull’argine di un fosso e lui annuisce. La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una tregua di brevissima durata perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti al centro sportivo e al municipio di Piateda, mi accorgo di avere le scarpe già per metà bagnate. era giù nella valle e, usando l’acqua del torrente, macinava i cereali sia di coloro che vivevano sulla sponda destra, sia di quelli che vivevano sulla sponda sinistra della Valle di Bianzone. Passando accanto al mulino nuovo, saliamo alla Chiesa di Sant’Antonio e San Bernardo ad ammirare e fotografare gli affreschi di Cipriano Valorsa. Questi si trovano nel piccolo porticato che precede la facciata e, come si legge accanto alla testa del Cristo dipinto sopra la porta d’entrata della chiesa, vennero eseguiti nel 1563. Sempre segueno la strada, raggiungiamo il piccolo gruppo di case de La Volta e, poco sopra, un marcato tornante (La Vòlta, che dà il nome alle case sottostanti), dal quale si stacca una stradicciola a sinistra. Il vento sembra essersi placato e fa caldo, un caldo insolito però. La stradicciola sale attraverso un rado bosco con pochi larici e abeti, alcuni con il fusto nero, segno di un passato incendio. Pralamagno 67 Passo dopo passo Escursionismo Gli affreschi del Valorsa a Bratta (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici). ripido bosco e una serie di vallecole . Dopo una ventina di minuti il bosco si apre un po’ verso l’alto e ci rendiamo conto di essere arrivati al maggengo di Morelli (m 1379). Le baite non si vedono e occorre salire una cinquantina di metri per incontrarle. Sono abbandonate e crollate e hanno accanto due piccoli e caratteristici ricoveri con tetto in cemento2. Mentre ci fermiamo a guardare il panorama intorno, un vento fortissimo e freddo ci assale e ci costringe ad andarcene. Scendiamo a riprendere il sentiero che stavamo seguendo. Questo prosegue con numerosi e continui saliscendi, non sempre facili da intuire e che richiedono tutta la nostra attenzione, in un bosco strano e sempre diverso, con gli abeti e i faggi che si alternano o si mischiano secondo l’esposizione del pendio. Un pendio a tratti così ripido che il minuscolo sentiero che stiamo percorrendo sembra essere stato scavato appositamente da un gruppo di equilibristi. La vecchia baita di Pralamagno (1 novembre 2009, foto Antonio Boscacci). Una parte delle piante bruciate sono state tagliate e questo ha permesso la crescita di un rigogliosissimo sottobosco. Basterebbe un fiammifero per trasformare questa sterpaglia, che si sbriciola per il troppo secco, in una gigantesca torcia. Ci chiediamo che cosa faremmo se fossimo intrappolati da un incendio e concludiamo che è una eventualità alla quale è meglio non pensare. Dopo un buon tratto di salita, passato discutendo di boschi e di incendi, arriviamo a un bivio. Imbocchiamo la strada più bassa, che attraversa un freddissimo bosco di abeti e poi sbuca in una vallecola. 68 Le Montagne Divertenti Una baita dai muri robusti, ma abbandonata da decenni, ci dice che siamo a Pralamagno (m 1333). La strada che stiamo seguendo prosegue ancora per un centinaio di metri poi si arresta davanti ad un torrentello1. Attraversiamo il torrente e imbocchiamo un sentierino [lo si prende sotto le opere di presa]. Scendiamo e saliamo (ma il percorso è complessivamente pianeggiante) attraversando un 1 - Qui sono state costruite delle opere di presa per raccogliere l’acqua del torrente e convogliarla verso la piccola e antica centralina idroelettrica, rimessa appositamente in funzione. Per far questo, la strada che parte da La Volta è stata allargata e a tratti rifatta. Incontriamo tracce numerose della presenza di cervi e caprioli, ma non ne vediamo nemmeno uno. Solo di quando in quando, spuntando magari improvvisamente da dietro un dosso, si sentono concitati rumori di fuga. Al termine di questa lunga e non facile traversata, complessivamente in leggera salita, sbuchiamo tra le baite di Nemina Bassa (m 1392), incrociando la strada che sale da Piazzeda. Le vecchie baite non ci sono più e sono state sostituite da nuove costruzioni. Ci fermiamo per il pranzo, riparandoci dietro l’angolo di una casa. Dopo aver raccolto da un abete qualche pigna, scendiamo chiacchierando lungo la strada sterrata. All’ombra fa un freddo boia e dobbiamo coprirci con tutto ciò che 2 - Accanto alle vecchie baite ora esiste una nuova e grande abitazione, alla quale si accede dall’alto, con una strada che scende da quella che collega Piazzeda con Nemina Alta. Primavera 2010 Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Versante Retico abbiamo. Poi però, quando cambia l’esposizione del pendio e ci troviamo in pieno sud, il vento si placa e ci sembra quasi che sia caldo. Incrociamo un’auto che sale e il guidatore si ferma a fare quattro chiacchiere. Ci racconta che pochi metri sotto di noi si trova un grosso masso, il Sas de la Crus, sul quale ci sono numerose coppelle. Ce lo mostra dicendoci nel contempo che più in alto, lungo la vecchia mulattiera, ce n’è un altro con incisioni simili. Mentre lui torna indietro con la sua Panda, la moglie ci chiede se può scendere con noi lungo la strada per fare quattro passi. Così ci racconta della vita da quelle parti. Lei è stata l’ultima ragazza a frequentare la scuola elementare di Piazzeda, poi chiusa nel 1960 o 1961 per mancanza di alunni: ce n’erano solo 3. Per fare la quinta elementare è dovuta quindi scendere a Bianzone, ospite di una zia. Dopo averci fatto attraversare Piazzeda, per farci vedere la chiesa e la vecchia fontana con la vasca in sasso, ci accompagna lungo la stradicciola che porta al piccolo cimitero della contrada. Qui, davanti all’entrata, ci racconta la storia di quel muratore che, la sera nella quale terminò di costruire il muro di cinta dello stesso cimitero, disse che adesso era tutto in ordine e che il primo ad oltrepassare quel cancello sarebbe stato lui. Morì proprio quella notte. Lasciamo la nostra accompagnatrice davanti alla sua bella casa della contrada Gosatti con i balconi di legno e, tra le ultime deboli raffiche di un vento calante e gli ultimi raggi di un sole altrettanto calante, scendiamo lungo la strada fino alla nostra auto lasciata alle case di Prada, accanto al torrente. Le Montagne Divertenti Morelli (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici). La fontana in sasso di Piazzeda (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici). Aggiornamento sul percorso Abbiamo rifatto lo stesso percorso l'1 novembre 2009. Fino a Pralamagno l’itinerario è lo stesso. Sotto le opere di presa si imbocca il sentiero pianeggiante che porta ai Morelli. Fin qui non ci sono particolari difficoltà. Solo in caso di giornate tardo autunnali o invernali molto fredde, potrebbe esserci qualche problema di ghiaccio e quindi delle difficoltà nell’attraversamento dei numerosi ruscelletti che si incontrano. In ogni caso non si deve cercare di passare sul ghiaccio, ma occorre risalire il rigagnolo ghiacciato fino a trovare il punto più favorevole all’attraversamento. Giunti al maggengo dei Morelli, si hanno altre due possibilità oltre a quella proposta: A) seguire la strada sterrata che parte dal maggengo e sale ad incontrare la strada Piazzeda - Nemina Alta (è la soluzione consigliata); B) quando, prima di arrivare ai Morelli, il bosco si apre un po’ sulla destra e si vede in alto il dosso dietro il quale si trova il maggengo, il sentierino che si sta percorrendo incontra un bivio (attenzione). Seguire il sentierino che scende e poi si fa pianeggiante e con numerosi saliscendi non sempre facili da capire, porta Dalò la sua chiesetta (13-dicembre foto Roberto Moiola). sullae strada Piazzeda Nemina2008, Bassa. Pralamagno 69 Valchiavenna Escursionismo Savogno e Dasile: tuffo nel passato In Valchiavenna, su un altipiano protetto da 170 metri di salto roccioso, ci sono due minuscoli borghi dove il tempo pare essersi Enrico Minotti fermato alla prima metà del '900. Fioriture di ranuncoli e di salvia dei prati ai piedi dei 170 metri di salto delle Cascate dell'Acqua Fraggia (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Serlone (m 405). Itinerario automobilistico: per chi viene da Milano l’accesso è praticamente obbligato per la SS 36 dello Spluga fino a Chiavenna. Si segue poi la SS 37 del Maloja in direzione del confine Svizzero sino a Borgonuovo (m 400, 4 km da Chiavenna), quindi prendere a sx lasciando l’auto alla frazione Selone in una delle aree adibite a parcheggio prossime alle Cascate dell'Acqua Fraggia. Itinerario sintetico: Serlone (m 405) - Dasile (m 1032) - Savogno (m 932) - Stalle dei Ronchi - S avogno è una frazione disabitata del comune di Piuro a m 932 di quota sul lato orografico dx della verde Val Bregaglia. E' raggiungibile solo a piedi lungo una ripida mulattiera che porta oltre il salto roccioso delle famose Cascate dell'Acqua Fraggia. Nei suoi edifici è viva la testimonianza dell'architettura rurale spontanea. asile (m 1032), suo paese gemello e storicamente rivale, è sull'opposta orografica della valle dell'Acqua Fraggia. er visitare questi borghi, proponiamo un'escursione adatta a tutti che inizia a Borgonuovo, a 4 km da Chiavenna, e attraversa scenari naturali unici e affascinanti. D P Il Rifugio70 Savogno maggio 2009, foto Enrico Minotti). Le(8Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti (m 590) - Serlone. Tempo previsto: 3 ore per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: 650 metri circa. Dettagli: per approfondimenti: • AA VV, C’era una volta – Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna, Bonazzi Grafica, Sondrio 1994 D al parcheggio di Serlone, proprio sulla dx delle magnifiche Cascate dell’Acqua Fraggia1, al cartello indicatore, prendiamo il sentiero di sx che si inoltra nel bosco di castagni e sale con agevoli tornanti. In circa dieci minuti raggiungiamo una deviazione che adduce in breve alla piazzuola adiacente la cascata. Oltre alla vista sulla Val Bregaglia e Chiavenna, possiamo godere anche dell’arcobaleno prodotto dalla nebulizzazione dell’acqua che si infrange sulle rocce. 1 - Le Cascate dell'Acqua Fraggia dal 1983 sono state elette a "Monumento Nazionale". Il toponimo discende da aqua fracta, cioè acqua spezzata. Savogno e Dasile 71 Valchiavenna Escursionismo R Savogno (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti). La fontana alle Stalle dei Ronchi presenta due sezioni: un abbeveratoio per animali e una zona di prelievo acqua destinata a uso umano (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti). Asini a Dasile (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti). 72 Le Montagne Divertenti itornati al sentiero, raggiungiamo una scalinata in ferro che supera un’altrimenti inagibile gola. Proseguiamo nel bosco, caratterizzato dal persistente e piacevole profumo di funghi, sulla bella mulattiera che per lunghi tratti costeggia il torrente. Avremo modo di attraversarlo in un paio di occasioni tramite ondeggianti e caratteristici ponticelli. Bellissima, nei pressi del secondo ponte, la spumeggiante cascata che alimenta una pozza naturale. A m 800 incrociamo il sentiero classico, proveniente dalla nostra dx. Camminiamo ora più agevolmente su questa bella mulattiera costituita da circa 3000 gradini. Un’opera veramente grandiosa, eseguita a suo tempo dai valligiani per agevolare il transito del bestiame verso gli alpeggi più alti. Superiamo una croce di legno e in pochi minuti arriviamo a un bivio dove seguiamo l’indicazione a sx per Dasile. Oltre il cimitero e il lavatoio, attraversiamo il ponte in muratura sulla profonda forra scavata dal torrente. All’altezza della cappelletta dedicata alla Madonna, possiamo ammirare una suggestiva vista su Savogno. Poca fatica porta al pianoro che ospita Dasile. Rigenerante la vista sulla valle e sul versante opposto con il Pizzo di Prata e il Monte Gruf in primo piano. Più lontano a E l’inconfondibile profilo del Badile. Una simpatica famigliola di asinelli ci accompagna nella breve visita nel paese caratterizzato da sobrie case interamente in pietra e dalla chiesetta dedicata a San Giovanni Battista. L'edificio con minuscola torre campanaria, fu costruito nel 1689 anche grazie alle rimesse degli abitanti emigrati a Venezia in cerca di lavoro. Ritornando sui nostri passi a Savogno, vedremo subito che la costruzione più recente è la vecchia scuola elementare ora ristrutturata e adibita a rifugio, dove il signor Luigi, il gestore, intrattiene con ottima cucina e simpatici aneddoti. Da notare la particolare disposizione delle case, con le stalle a monte, nettamente separate dalle abitazioni. Particolare la chiesetta dedicata a San Bernardino col magnifico campanile Primavera 2010 risalente all’anno 1465. Il sagrato è un autentico terrazzo con vista sulla valle e sulle montagne1. Sembra giocare la luce del sole, infiltrandosi tra vicoli e viuzze, tra splendidi loggiati di legno e scalinate di pietra. Ed è bello, anche se un poco triste, indugiare nelle piazzuole, immaginando le persone affaccendate, gli schiamazzi dei bambini, il passaggio del bestiame verso i pascoli alti. Il silenzio seppur piacevole è innaturale, non consono ad un villaggio, rurale si, ma ben conservato e perfettamente vivibile. Eppure, già dagli anni cinquanta, gli abitanti hanno lasciato man mano questo gioiello, preferendo i maggior agi del fondovalle (l'abbandono completo è datato 1967). Ora qui risiede solo la famiglia del signor Luigi, il gestore del rifugio. Terminata la visita del villaggio possiamo scendere utilizzando il sentiero adiacente al piazzale della chiesetta. Percorriamo questa volta integralmente la via classica, quasi tutta a gradini, molto agevole e sempre nel bosco, con poche radure a concedere piacevoli vedute sul fondovalle. A quota m 590 nei pressi di una fontana, con una breve deviazione è possibile visitare il nucleo delle Stalle dei Ronchi, edifici allora adibiti a deposito e stalle, costruiti con muri a secco e travi di legno. Le piode sui tetti provenivano dall’Alpe Alpigia. Queste strutture erano utilizzate dai contadini di Savogno che in questa fascia montuosa coltivavano viti e castagni. Qui è ancora possibile ammirare un antico torchio da vino risalente al 1704. La stessa fontana merita la nostra attenzione, interamente scavata nel granito e divisa in sezioni ben distinte per gli animali e uomini, testimonianza di buone norme igieniche. Lasciato l’abbeveratoio, in pochi minuti ritroviamo il bivio da cui siamo partiti, nei pressi di Serlone. 1 - Beato Luigio Guanella fu parroco di Savogno dal 1867 al 1875. Le Montagne Divertenti Savogno, la casa parrocchiale (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti). La vendetta della morte nera C Q L P ome raccontato nei Promessi Sposi, la calata dei Lanzichenecchi su Milano portò la peggiore epidemia di peste mai vista. In Valchiavenna, in particolare, dal 1629 al 1631 vi fu un'enorme strage. Anche Savogno e Dasile ne furono coinvolti. eggenda narra che la Morte Nera infettò dapprima Dasile. Ai primi sintomi, gli abitanti, presi dalla paura di morire tutti, decisero di mandare due giovani in isolamento col bestiame all'Alpe Corbia. Così almeno loro si sarebbero salvati e da loro avrebbe potuto continuare a vivere il paese. uando, dopo mesi, i giovani ridiscesero non trovarono più anima viva. Videro il ponte per Savogno abbattuto e capirono che gli abitanti del paese vicino avevano isolato e lasciato al suo destino Dasile per salvaguardarsi dal'epidemia. resi dall'ira per quanto accaduto ai loro paesani, per vendetta raccolsero con un lungo palo un gatto morto e lo gettarono sulla sponda di Savogno innescando così un nuovo focolaio di peste che flagellò pure il borgo rivale. Savogno e Dasile 73 Rubriche valtellinesi nel mondo Nicola sul cammello che lo porter‡ in cima alla duna per una bella sciata sulla sabbia (20 febbraio 2009). Rifugio Toubkal del Club Alpino Francese. Alle sue spalle la vallettina di salita verso la cima del Toubkal (16 febbraio 2009). I mille volti del Marocco Gara di nuoto su una duna di sabbia (20 Le Montagne Divertenti febbraio 2009). 74 Primavera 2010 Testi e foto Luciano Bruseghini Paesaggio tipico Divertenti marocchino lungo il viaggio da Marrakech a Mihamid, nel deserto del Shaara (20 febbraio I2009). mille volti del Marocco Le Montagne 75 Rubriche Valtellinesi nel mondo Q uando Ivan Pegorari mi chiese di andare a fare scialpinismo con lui in Marocco credevo mi prendesse in giro. Pensai a una burla e per tutta la sera scherzammo domandandoci quale fosse il modo con cui i cammelli avanzano sulla neve: particolari catene o zoccoli chiodati? Nei giorni seguenti invece, navigando in internet, trovai parecchi siti che parlavano della bella valle del Toubkal, vicino a Marrakech, dove la neve in inverno non manca mai e dove c’è un rifugio che permette agli escursionisti di trovare riparo. Ci sono cinque cime che superano i 4000 metri e la più alta, il monte Toubkal (m 4168) supera di gran lunga il nostro Pizzo Bernina! N el mese di gennaio 2009 organizziamo il nostro viaggio in Marocco. In totale saremo in sette: quattro caspoggini (Ivan1, Luciano, Nicola, Lorenzo), un lissonese (Angelo) e due svizzere (Francesca, originaria di Bergamo, e Madeleine, di Stoccolma). Alle 7.30 del 15 febbraio decolliamo con il volo della Easyjet e arriviamo a Marrakech alle 10.30 locali. Cambiamo un po’ di euro in dirhams, la moneta locale che vale all’incirca un decimo di euro. Contrattiamo con dei taxisti il passaggio all’hotel Alì in pieno centro. La macchina è uno spettacolo: un vecchio Mercedes con tre sacche da sci e un paio di borsoni sul tetto, il bagagliaio pieno di zaini e sei persone a bordo! L’hotel non ha certo gli standard europei, però è pulito e ogni stanza ha il suo bagno. Per dieci euro/notte a testa possiamo accontentarci. Nel pomeriggio andiamo a fare un giro nel souk della città: una miriade di stretti vicoli con piccole botteghe che vendono di tutto (abbigliamento, tappeti, ciabatte, lampade, spezie, animali, pugnali, quadri, manufatti in 1 - Guida Alpina Ivan Pegorari www.valmalencoalpina.it legno…). La gente ci guarda in modo un po’ strano, forse perché parliamo in dialetto e loro non capiscono niente o più probabilmente perché siamo un po’ strani noi. Marrakech si può definire una città di frontiera tra l’Europa e l’Africa, infatti si incontrano persone di diverse etnie e fra gli stessi marocchini si notano molte differenze, soprattutto fra le donne. Ci sono quelle vestite con il burqa che non lascia intravedere nemmeno gli occhi, quelle con il velo che nasconde parzialmente il capo e quelle vestite all’occidentale con acconciature alla moda, tutte che chiacchierano cordialmente fra loro. In serata arrivano da Zurigo anche le due donzelle. Fortunatamente Madeleine parla solo inglese e svedese, così eviterà tutte le nostre stupidate, invece Francesca sarà il nostro bersaglio preferito. Con un colpo di fortuna nella hall dell’albergo conosciamo un vecchietto, che poi si rivelerà essere una delle più famose guide di montagna marocchine (se poi esistono realmente non si sa…), che ci organizza tutta la spedizione sui monti dell’Atlante, Carico dei muli a Imlil prima della partenza verso il rifugio Toubkal (16 febbraio 2009). evitandoci problemi e contrattempi. Infatti per guadagnare la neve bisogna fare un po’ di strada e poi al rifugio bisogna portarsi le provviste e un cuoco che cucini per noi (non è un nostro vezzo, ma il regolamento della capanna!). Un consiglio utile: per contrattare bisogna saper parlare francese o inglese, oltre ovviamente marocchino, perché non sempre l’italiano è compreso; solamente al mercato tutti i venditori parlano correttamente la nostra lingua. l giorno seguente la sveglia è all’alba: infatti l’ha puntata Nicola che non ha cambiato il fuso orario, così ci svegliamo alle 5.30 anziché alle 6.30 e ci sorbiamo anche mezz’ora di preghiera del muezzin! Alle 8.00 partiamo per le montagne con destinazione il paese di Imlil (m 1800), a 80 km dalla città, dove termina la strada. Qui conosciamo Amid, un omone alto quasi due metri con denti da castoro, che sarà il nostro cuoco al rifugio. Il grosso dei bagagli e gli sci vengono caricati su muli, mentre noi ci avviamo a piedi nella valle del Toubkal. Già all’inizio incontriamo un po’ di neve, ma si procede senza problemi. La valle, molto arida e con solo pochi pascoli e alberi, compie un semicerchio e improvvisamente ci si para davanti l’imponente mole della cima che dà il nome a tutto il gruppo: il Toubkal. Dopo un’ora e mezzo di cammino arriviamo a Sidi Chamarouch (m 2310), dove termina il trekking e inizia la nostra avventura con gli sci. E’ un posto abbastanza squallido, incassato in fondo a una valle, con poche case di fango dove vivono i portatori che recapitano i bagagli dei turisti fino al rifugio. Vestiti con abbigliamento da scialpinismo partiamo alla volta della capanna. La salita lungo la valle del Toubkal è molto dura, non tanto per le pendenze, piuttosto moderate, ma soprattutto per il caldo opprimente: ci saranno almeno 20 °C. Dopo un paio d’ore arriviamo al rifugio Toubkal (m 3200) del Club Alpino Francese. Un repentino sbalzo termico e inizia a nevicare! . Anche se vi sono parecchi ospiti (soprattutto spagnoli e francesi), il gestore (da noi subito ribattezzato il “Bianco” del Marocco) ci dà un camerone da 16 persone tutto per noi, così possiamo sistemare un po’ di attrezzatura sui letti. Ceniamo con minestra, carne e verdura lessa, tutto sommato un pasto niente male. Parlando con gli altri escursionisti, capiamo che, anche se nevica molto, lungo le creste e i pendii più esposti il vento smuove la neve facilmente, rendendo difficoltosa la sciata. Solamente nei numerosi canali riparati il manto nevoso si accumula abbondante e consente bellissime imprese. L’ambiente è gelido, così dormiamo vestiti nel sacco a pelo. l giorno seguente partiamo con destinazione la sommità del Toubkal. Fortunatamente altri sciatori hanno fatto la traccia nella neve fresca caduta ieri sera. Inizialmente è molto freddo, ma quando raggiungiamo la parte soleggiata la temperatura si alza. Io e Lorenzo, ovviamente, partiamo in quarta così, quando raggiungiamo il pianoro a 3800 metri, togliamo le pelli e scendiamo per un bellissimo canalino sotto la cima est del Toubkal fino a quando non ci ricongiungiamo con gli altri. Riprendiamo di nuovo l’ascesa ma, invece di piegare verso la cresta sulla destra dove tutti si arrampicano a piedi I I 76 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Trekking nella valle del Toubkal verso Sidi Chamarouch. Lorenzo lungo il canale del Ras con una pendenza media di 45°. perché non c’è molta neve, ci teniamo lungo il pendio sud, molto ripido ma con neve sufficiente per usare le pelli. Alle 12 siamo in vetta al Toubkal, gli unici con gli sci ai piedi. Il panorama è molto vario: oltre alle prossime cime innevate, in lontananza si scorgono i verdeggianti prati di Marrakech. Dicono che nelle giornate limpidissime si riesca ad intravedere l’oceano Atlantico, distante circa 200 chilometri. Sempre per essere differenti dagli altri, invece di prendere per la via normale, decidiamo di abbassarci dal versante nord, dove non è ancora passato nessuno. Poco dopo però la neve scarseggia, quindi siamo costretti ad avanzare a piedi per un breve tratto. Vogliosi di gustare le nevi africane, rimettiamo gli sci troppo presto così li grattiamo sulle I mille volti del Marocco 77 Rubriche Valtellinesi nel mondo le rocce infide nascoste sotto pochi centimetri di coltre bianca. Fortunatamente abbassandoci la neve diventa abbondante e ci consente fluide serpentine. Il canale di discesa che abbiamo individuato ci porta 100 metri a valle del rifugio, così ci tocca rimettere le pelli e risalire sotto un sole cocente, soddisfatti comunque per la splendida avventura. Purtroppo all’appello manca Francesca che, lenta nella salita, ha scelto per il ritorno la via normale. Inizia a nevicare e la nostra preoccupazione aumenta. Chiediamo alla gente che rientra se qualcuno l’ha vista, ma nessuno sa dirci niente. Allora montiamo gli sci ai piedi e ripartiamo alla volta della cima. Anche il custode del rifugio è preoccupato e inizia a pregare rivolto verso la montagna. Grazie al cielo, dopo non molto, la incontriamo mentre procede in stile telemark e senza racchette: le ha buttate per paura dei fulmini. Fortunatamente si è risolto tutto bene. l giorno seguente le mete sono due: il monte Timezguida (m 4088) e il Ras (m 4083), due cime gemelle, poco distanti fra loro. Memorabile la discesa dal Ras per lo splendido e stretto canale immacolato che dalla cima precipita con una pendenza di circa 45° verso il rifugio. Dopo due giorni senza lavarci, decidiamo di pulirci un po’ in bagno. L’unico problema è che si deve usare l' acqua gelida, presa dal torrente che scorre appena fuori: che piacevole sensazione ?! l terzo giorno era in programma un tour che ci avrebbe portato in vetta ad altri due quattromila, l’Akioud (m 4030) e l’Afella (m 4015), ma la previsione di un peggioramento delle condizioni meteo in tarda mattinata ci sconsiglia questo lungo itinerario. Così decidiamo di inerpicarci per il canalone che porta ai piedi dei Clochetons (m 3900) vicino all’Afella. E’ una strettoia molto lunga, circa 700 metri di dislivello, e ripida, principalmente nella parte alta (40°/45°). La salita si svolge tranquillamente in gruppo e alle 11 siamo in cima, presso il passo che collega la valle del Toubkal con quella del Tazarhart. Ovviamente nevica… Bellissima però la volata per i ripidi pendii che ci riportano al nostro rifugio. Lungo la gola ci sono diversi massi che proviamo a saltare, ma non sempre con ottimi risultati, per la diversa compattezza della neve. Le cattive previsioni meteo ci convincono a tornare a Marrakech. Essendo posizionati vicino all’oceano, i monti dell’Atlante subiscono notevoli cambiamenti climatici, non sempre prevedibili con diversi giorni di anticipo. Nella discesa dal rifugio anche Amid, il nostro cuoco, vuole provare il brivido della sciata, così gli montiamo gli sci portati per emergenza e, con un paio di scarponi da trekking, parte con uno stile misto: spazzaneve, scivolata e caduta. Caricati i bagagli sui muli, una fitta nevicata ci accompagna fin quasi a Imlil. L’omettino che ci ha organizzato la spedizione sull’Atlante ci vende anche un viaggio nel deserto fino a Mihamid e uno a Todra dove sosteremo ad arrampicare. Per la cena gli altri preferiscono fermarsi in un ristorante e ordinare una pizza, invece io e Nico (si vede che siamo cugini!), sotto una pioggia torrenziale, ci dirigiamo al mercato a gustare alle bancarelle il menù tradizionale I I Nella valle di Todra non si arrampica solo sulle pareti del canyon, ma anche un altissima palma che Nicola la sale a piedi nudi. 78 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 marocchino, seduti al tavolo con la gente del posto. Il cibo è ottimo: spiedini di carne alla griglia, gamberetti arrosto e totani fritti, lumache, testa di capra lessa, datteri e dolci al caramello. l viaggio verso il deserto è molto lungo, così decidiamo di partire alle cinque del mattino. Fa freddo sul minibus, ma l’autista dice che il riscaldamento non funziona, così ci teniamo le giacche ben strette. Ho sempre pensato che il Marocco fosse un paese molto caldo, ma mi devo ricredere: nel periodo invernale durante la notte e al primo mattino è freddo, mentre durante il giorno si sta appena bene. Attraversiamo l’impervio passo Tizi-n-Tichka (m 2260) con la neve a bordo strada e puntiamo al deserto. Il paesaggio è molto vario: zone brulle e aride si alternano a terre fertili lungo le rive dei fiumi. Sempre lungo I le sponde, sparsi qua e là, sorgono piccoli nuclei abitativi. Nel primo pomeriggio poco lontano da Zagorà facciamo una sosta a Tame Groute dove c’è una bellissima duna di sabbia. Ne approfittiamo per lanciarci con gli sci lungo i suoi pendii più verticali e per rotolarci nella sabbia. A me è finita in buchi che nemmeno sapevo di avere! Alle 18 siamo a Mhamid, il punto più a sud del nostro viaggio, dove trascorriamo la notte in tenda nei pressi di un accampamento berbero. Nonostante il loro nome derivi dalla parola barbaro, sono molto accoglienti, gentili e si lasciano fotografare durante le faccende domestiche. indomani seguente partiamo con destinazione Todra. L’autista decide di utilizzare una scorciatoia. Prende una strada sterrata, nemmeno segnata sulla mappa, rischiando di finire in un fosso per gli scavi dell’acquedotto. Comunque a mezzogiorno siamo alle gole di Todra tutti interi. Posto bellissimo: sembra il Grand Canyon. E’ una stretta valle circondata da pareti verticali, attrezzate per l’arrampicata. Ci tratteniamo tre giorni ad esplorare e a provare diverse vie di salita, alcune anche molto tecniche (fino all’ottavo grado). l viaggio per il rientro a Marrakech è assai lungo: partiamo alle sei di sera per arrivare all’aeroporto alle cinque del mattino. Alle 10 decolliamo e alle 14.30, ora italiana, siamo alla Malpensa. stato un bellissimo viaggio, con numerose avventure e divertimenti, che mi ha permesso di visitare posti spettacolari, nemmeno immaginabili, e di conoscere la cultura di un paese così vicino a noi ma molto diverso e pieno di sfumature. Lo consiglio a tutti! l’Africa, continente meraviglioso e pieno di sorprese, dove sono stato già tre volte: forse a causa anche del richiamo ancestrale impresso nel nostro DNA. La passione per la fotografia mi è stata trasmessa dal Sysa e i suoi preziosi consigli, sia tecnici che di materiale, mi hanno permesso di diventare un discreto fotografo. E’ stato quindi un passaggio naturale inserirmi nel gruppo che partecipa alla stesura di “Montagne Divertenti”, dove parliamo di argomenti e cime non sempre conosciuti dal grande pubblico, ma apprezzati dai più avventurosi. L' I E' Luciano Bruseghini S ono nato l'8 ottobre 1974 e da sempre risiedo a Caspoggio. Mi occupo di controllo di gestione e in parte della qualità in un bresaolificio della media Valtellina e nel poco tempo libero a disposizione amo soprattutto praticare sport. Fin da giovanissimo sono stato attirato dalle montagne da cui sono circondato, compiendo prima semplici trekking, poi escursioni sempre più impegnative, fino ad arrivare alle uscite alpinistiche con il mitico Otzi Team, un gruppo di sei scavezzacolli che ogni estate compie qualche avventura no limits, comunque sempre in sicurezza. Un altro mio amore è la bicicletta, sia da corsa sia mountain bike. Percorro circa 3000 Km ogni anno, quasi tutti in salita e discesa: non amo molto la pianura! Ma la mia passione più grande sono gli sport invernali, forse perché il giorno della mia nascita a Caspoggio nevicava! Su tutti il magnifico SCIALPINISMO che permette di coniugare due attività sublimi: la salita alle cime innevate e le discese mozzafiato in neve fresca, meglio se provviste di salti e passaggi estremi. In questi ultimi anni ho scoperto di essere attratto dai viaggi fai da te, anche se il tempo a disposizione è sempre limitato. Amo soprattutto Le Montagne Divertenti Il gruppo in posa con il gestore "Bianco" del rifugio Toubkal (19 febbraio 2009). I mille volti del Marocco 79 Speciali di primavera Alessandra Osti Macroglossum stellatarum sugge il nettare in volo librato (TrivignoLe23Montagne settembre 2009, foto Paolo Divertenti Rossi). 80 Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Il mondo in miniatura 81 Speciali di primavera insetti Il mondo in miniatura E ccovi una nuova rubrica che vi farà esplorare il misterioso e minuscolo mondo degli insetti. Piccole creature che popolano le nostre terre, ma di cui spesso non ci soffermiamo ad ammirare la bellezza. In questo numero vi presenteremo la famiglia dei Sirfidi e il Lepidottero Macroglossum stellatarum, creature facilmente osservabili in Valtellina e Valchiavenna. I Sirfidi sono insetti diurni e amanti del sole che appartengono all’ordine dei ditteri, chiamati così perché dotati di due sole ali. Sono ditteri anche le comuni mosche domestiche, ma a differenza di queste ultime preferiscono vivere all’aria aperta, per questo sono facilmente osservabili tra i monti della Valtellina. Sono, tra l’altro, una delle specie più diffuse sul pianeta ed è possibile trovarli praticamente ovunque, salvo regioni non proprio ospitali come l’Antartide o alcune zone desertiche dell'Africa. irca seimila le specie di questo genere di mosche, catalogate grazie alla spiccata differenziazione morfologica che, nel corso della storia, ha suscitato curiosità ed interesse tra gli studiosi di insetti data l’ampia presenza di reperti fossili risalenti al Cenozoico e al Cretaceo. Al di là dell’eterogeneità, i principali aspetti che rendono i Sirfidi praticamente unici nel mondo degli insetti sono due: gli adulti sono gli artropodi più diffusi ed i maggiori impollinatori del pianeta mentre le larve predano altri insetti come gli afidi. C Quale è l’aspetto di queste simpatiche creaturine? I Sirfidi adulti possono raggiungere una dimensione massima di circa 82 Le Montagne Divertenti chilometri in un sol giorno spostandosi su fronti larghi quasi duemila chilometri e profondi oltre mille superando ostacoli naturali come le catene montuose. e montagne valtellinesi pullulano di insetti tra i più curiosi, tra questi spicca il Macroglossum stellatarum (letteralmente “Grande Lingua”), appartenente all’ordine dei Lepidotteri. Altri nomi con cui è conosciuta sono Sfinge del Galio, Farfalla Sfinge o Sfinge Colibrì. uesto lepidottero appartiene alla famiglia delle “Sfingi” e di preferenza vola durante il giorno ma, se si è particolarmente fortunati, è possibile osservarlo all’alba e al tramonto. In alcune occasioni sono stati avvistati in giornate piovose, cosa decisamente inusuale per le farfalle diurne. La “Farfalla Sfinge” predilige i mesi più caldi dell’anno, la sua attività dura all’incirca da maggio fino all’inizio dell’autunno, quando se ne va svolazzando per prati e giardini tutto il giorno posandosi sulle corolle solo dopo il tramonto per riposare. Fisicamente il Macroglossum ha un corpo piuttosto grosso, tozzo e peloso, ma nonostante questo il suo volo è rapidissimo (può arrivare a sbattere le ali ad una frequenza di duecento volte al secondo). Mentre si libra produce un ronzio che appunto ricorda quello di un colibrì. Grazie a questa caratteristica gli è valso l’appellativo di “Sfinge Colibrì”. na delle teorie sviluppate negli anni dagli entomologi per spiegare la rassomiglianza con il grazioso uccellino (caratterizzato dal velocissimo movimento alare e dal lungo becco sottile che ricorda la proboscide delle farfalle), ipotizza che sia il risultato di un’evoluzione convergente. Differentemente dalle ali delle altre sue cugine, che vantano colori sgargianti, quelle anteriori del Macroglossum sono grigie con sottili bande scure, mentre le posteriori sono rosse/arancioni con una punta nera in cima. L’apertura alare può variare tra i 45 e i 58 millimetri, cosa che rende il Macroglossum una delle sfingidi più piccole. In fondo all’addome è poi visibile un ciuffo di peli bianchi e neri, utilizzato come timone per stabilizzare il volo. La Sfinge Colibrì vola L Q Sirfide femmina (Eristalis interruptus) in fase di decollo verticale - (Carona 17 agosto 2008, foto Paolo Rossi). 25 millimetri, la forma del corpo può essere tozza o sottile. Altro segno distintivo è la membrana esterna (tegumento) che può essere ricoperta di una sottile peluria. La livrea è di solito a colori vivaci con riflessi metallici e iridescenti; l’addome può essere disegnato a bande o a macchie, i colori variano da giallo a bruno alternati al nero. L’insieme di tutti questi caratteri rende l’aspetto dei Sirfidi decisamente simile ad api e vespe, tanto che questi diversissimi insetti possono essere confusi facilmente da occhi poco esperti. a capacità di confondere è definita “mimetismo batesiano” ed è tipica degli animaletti innocui che la sfruttano per sfuggire ai predatori. All’origine di questa abilità, che è più presente in questo genere rispetto ad altri ditteri, si ipotizza vi sia la specializzazione alimentare, le abitudini comportamentali e il fatto che con gli imenotteri (api e vespe) condividono il medesimo territorio e cibo. Ulteriore tratto fisico tipico dei Sirfidi è la conformazione relativamente grande del capo: nella maggior parte dei maschi esso si presenta “oloptico” (gli occhi si estendono dorsalmente o frontalmente fino a toccarsi), mentre nelle femmine è per lo più “dicoptico” (occhi nettamente distanziati e separati da una zona più o meno ampia). Il sistema visivo del Sirfide è composto di tre ocelli (occhi primitivi), che L reagiscono all’intensità della luce percependo quella polarizzata, mentre i due grandi occhi composti sono fotorecettori più complessi destinati alla percezione delle immagini. ome le altre mosche i Sirfidi, nella maggior parte dei casi, sono privi di pungiglione, sebbene alcuni esemplari, del tutto innoqui, possano presentare una sorta di peduncolo che può essere scambiato per un’arma di difesa. Altro primato che spetta a questi piccoli insetti è la loro particolare abilità nel volare: essi possono infatti roteare velocemente le ali, restando immobili sospesi nell’aria, in un modo molto simile all’elicottero - da questo gli inglesi comunemente li definiscono “hover flies” ovvero mosche elicottero - ma sono in grado di spostarsi lateralmente a semicerchio rimanendo sempre rivolti verso il loro obiettivo. Si può osservare questa movenza soprattutto prima che il Sirfide si posi su un fiore per nutrirsi. a loro “dieta” è composta principalmente da nettare, melata e polline. Tra i vari aspetti comportamentali di questo insetto, ricopre un ruolo importante la sua mobilità. Vi sono infatti specie sia stanziali che migratrici. Queste ultime tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno si spostano verso ambienti più favorevoli per svernare. Uno sciame di Sirfidi è in grado di percorrere anche cento C L Primavera 2010 U Le Montagne Divertenti con estrema rapidità da un fiore all’altro restando librata per pochi secondi sopra di esso. Ciò avviene anche quando deve nutrirsi: per suggere il nettare - alimento principale della sua dieta allunga la spirotromba, il tipico apparato boccale delle farfalle. Questa, definita anche proboscide, è formata da un tubo allungato e flessibile con il quale riescono a raggiungere le parti più interne e protette della corolla. In fase di riposo è tenuta arrotolata sotto il capo. Si è inoltre scoperto che può raggiungere una lunghezza pari a quella dell’intero corpo della farfalla. Ulteriore elemento a conferma dell’unicità della “Sfinge del Galio” è la sua buona capacità di distinguere i colori, come emerso da studi condotti su numerosi esemplari. n Provincia di Sondrio la si può trovare nei prati, in quota e spesso anche negli ambienti urbanizzati. Pur essendo un insetto migratore durante la vita adulta non disdegna di restare nel suo habitat, invece che migrare verso latitudini più calde, trascorrendo i mesi freddi nascosto in anfratti tra le rocce, negli incavi degli alberi e persino all’interno degli edifici, “mettendo fuori la proboscide” solo nei giorni più tiepidi per procurarsi del cibo. I Livrea dorsale di Sirfide maschio (Eristalis tenax) - (Carona 17 agosto 2008, foto Paolo Rossi). Il mondo in miniatura 83 Rubriche fauna alpina Messaggeri di primavera Alessandra Morgillo Ogni anno in primavera si manifesta la spettacolare rinascita della Natura: in svariate forme sboccia la vita nei prati e gli alberi si vestono di fiori, tutti gli animali, dimentichi del gelo che a lungo li ha intorpiditi, si destano sotto i tiepidi raggi del sole che pian piano diffonde la sua vitale energia. Ma la primavera giunge da venti lontani, viaggia veloce sulle ali dei suoi messaggeri che, puntuali, annunciano l’inizio della bella stagione. 84 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Due giovani balestrucci. I proprietari della casa dopo la nidificazione hanno tinteggiato i muri e con essi anche il nido, l'anno successivo la coppia di balestrucci ha ritrovato e riutilizzato il proprio nido dopo averne rimesso in sesto l'ingresso con delMessaggeri fango nuovo di (foto P. Brichetti). primavera Le Montagne Divertenti 85 Rubriche Fauna Messaggeri di primavera Nelle settimane tra marzo e aprile riappaiono intrecciando danze nell'aria, quelle vivaci frecce scure che sono solite allietare le nostre giornate estive. Riconquistano i nostri cieli che hanno abbandonato in autunno, partendo all’improvviso in grandi stormi. Da dove arrivano? Instancabili volatori, questi animali hanno trascorso il rigido inverno al centro e al sud del continente africano e percorrono fino a 10000 km, sfidando la distesa del Mar Mediterraneo e del deserto del Sahara, per tornare nel luogo in cui sono venuti al mondo e in cui faranno nascere i loro piccoli. T Bal est ru cc io (A .M org illo ) ra questi straordinari migratori la specie senz’altro più nota è la rondine. Questo piccolo passeriforme, dal dorso scuro con riflessi bluastri, il ventre bianco, la gola rossa e un’inconfondibile coda lunga e biforcuta, è un uccello un po’ speciale, dalla forte carica emotiva e simbolica. Da sempre a contatto con l’uomo, è ben presente nell’immaginario collettivo come vero e proprio simbolo della primavera. Ogni località ha le sue rondini e tanto atteso è il loro ritorno. Esse, con mirabile puntualità, mantengono sempre la loro promessa e sanciscono ogni anno la fine dei rigori invernali. Le loro ardite e festose acrobazie ne fanno presenza gradita e molto utile: i giocosi volteggi, infatti, altro non sono che eleganti manovre per afferrare col becco migliaia e migliaia di insetti. Sono diverse le specie di uccelli insettivori molto simili alle rondini e spesso confusi con esse, che annunciano la nostra primavera. La famiglia degli Irundinidi, a cui appartiene la rondine comune (Hirundo Le Montagne Divertenti llo) orgi M . (A dine Ron senza della coda forcuta e per la colorazione nera del dorso, su cui spicca un’evidente macchia bianca, e la parte inferiore del corpo totalmente bianca. È maggiormente diffuso nelle zone urbane perché nidifica anche sulle pareti di edifici a più piani; i nidi, spesso riuniti in colonie, sono coppe di fango che aderiscono quasi completamente ai cornicioni, se non per una sola piccola apertura utilizzata come ingresso. La rondine montana (Ptyonoprogne rupestris) dai colori grigiastri spenti e dalle caratteristiche macchie bianche sulla coda, nidifica nelle zone di montagna, presso pareti rocciose o edifici di centri abitati, anche oltre i m 2000. Il topino (Riparia riparia) è la specie più piccola delle quattro. Presenta una colorazione bruno-grigiastra ed è riconoscibile in volo grazie a una sorta di collare scuro che attraversa il petto bianco. È facile individuarlo in prossimità di corsi d’acqua poiché nidifica in colonie in tunnel sotterranei scavati nei greti sabbiosi dei fiumi. Infine la rondine rossiccia (Hirundo daurica) è piuttosto rara e presenta il capo ornato da una tinta fulva. Nati per volare Vi sono poi messaggeri molto speciali: i rondoni (Apus apus). Differiscono dalle rondini perché sono più grandi, hanno lunghe ali a forma di mezzaluna che non piegano in volo, il corpo è più affusolato e la coda è corta e poco biforcuta. Volano molto in alto e prediligono le fresche ore del mattino e del crepuscolo per sfrecciare in gruppi assai rumorosi nei cieli dei centri urbani. Le loro potenti strida sono inconfondibili e ben diverse dai cinguettii e garriti delle rondinelle. Volatori eccezionali, possiedono tutta- via zampe cortissime che li rendono goffi quando si tratta di posarsi su qualsiasi tipo di superficie. Per questo accedono al nido direttamente volando e infilandosi nella fessura in cui esso è riposto, di solito sotto i coppi o nei buchi dei muri di vecchi edifici. Pur rassomigliando agli Irundinidi per forma ed abitudini, questi appartengono a tutt'altro ordine, quello degli Apodiformi, come i colibrì. Il termine deriva dal greco e significa letteralmente “senza piedi”, e rimanda alla progressiva perdita della funzionalità delle zampe, caratteristica di uccelli molto specializzati nell’arte del volo. L’habitat dei rondoni è l’aria e qui spendono la maggior parte della loro vita, riuscendo persino a dormire in alta quota, sorretti probabilmente da colonne d'aria calda. Un così straordinario adattamento alla vita aerea fa di questi animali dei cacciatori di insetti eccezionali: il loro volo agile e potente li rende in grado di compiere picchiate vertiginose e rapide virate, la perfetta aerodinamica consente loro di superare i 150 km/h in volo rettilineo, detenendo perciò il record assoluto di velocità nel mondo animale per questo tipo di volo. problema soltanto dal punto di vista ecologico, ma è anche il segno di un deterioramento dell’ ambiente in cui vivono gli uomini. Particolarmente sensibili alle modificazioni ambientali, infatti, le rondini e le specie affini possono considerarsi "indicatori biologici" della qualità ambientale, ovvero vivono e prosperano solo dove le condizioni naturali non sono compromesse. Ma non tutti ritornano Negli ultimi decenni questi utilissimi animali sono in preoccupante diminuzione. Un tempo se ne contavano a migliaia, invece oggi ci accorgiamo che numerosi tetti rimangono vuoti e in alcune zone addirittura le rondini non si vedono più. La causa principale è forse imputabile all’uso massiccio di pesticidi adoperati in campo agricolo che hanno drasticamente ridotto gli insetti di cui le rondini si cibano. Questo impoverimento, però, non è un Primavera 2010 lo) Morgil ne (A. Rondo 86 Non solo rondini rustica), è rappresentata in Italia da altre quattro specie. Il balestruccio (Delichon urbicum) si distingue dalla rondine per l’as- Infatti, a mettere ulteriormente in difficoltà questi uccelli concorre anche la trasformazione del loro habitat di nidificazione: la progressiva cementificazione di vaste aree li privano per esempio di quella risorsa di fango e di terriccio indispensabile per la costruzione dei nidi e la modernizzazione della struttura degli edifici offre sempre meno siti riparati con facile accesso come rustici, casolari, o vecchi fienili e stalle, oggi sostituiti da grandi capannoni metallici senza possibilità di entrata per le rondini. Capita persino che i nidi vengano rimossi volontariamente in quanto considerati antiestetici e fonte di sporcizia. Ma il problema si può contenere installando sotto di essi mensole removibili al termine della stagione riproduttiva e inoltre va ricordato che le rondini, compresi i loro nidi, uova e nidiacei, sono protetti dalla legge 157/92 e dall’articolo 635 del Codice penale che ne vieta l’uccisione e la distruzione. Non bisogna nemmeno tentare di spostarli, poichè una volta staccato dal suo sito, un nido fatto di fango si danneggia irreparabilmente e non può più essere collocato altrove; in questo modo si chiede un enorme dispendio energetico ai suoi costruttori che, già indeboliti dalla lunga migrazione, dovranno mettersi alla ricerca di un luogo più sicuro e realizzare nuovamente la loro opera. Non è un caso dunque che queste creature abbiano sviluppato quella straordinaria capacità di orientamento che ogni anno permette ad ognuna Le Montagne Divertenti Una rondine raccoglie le pagliuzze per il nido nel fango - (Sondrio 25 aprile 2008, foto Franco Benetti). Per saperne di più V isitate il sito www.ornitho.it, si tratta dell' unica piattaforma nazionale per la raccolta, l'archiviazione e la condivisione dei dati ornitologici italiani. Iscrivendosi è possibile inserire in modo semplice e veloce le proprie osservazioni, condividere i propri dati con altri appassionati e collaborare alla realizzazione degli atlanti sugli uccelli nidificanti e su quelli presenti in inverno in Italia. R egistrate l’arrivo della bella stagione annotando sul sito www.springalive.net gli avvistamenti dei messaggeri primaverili per eccellenza come la cicogna bianca, la rondine, il rondone e il cuculo. I risultati saranno illustrati sotto forma di mappe animate che mostreranno il progressivo avanzamento della primavera in Europa. Il progetto di educazione ambientale “Spring Alive”, realizzato in Europa da BirdLife International e in Italia dalla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli), coinvolge bambini, ragazzi, scuole e famiglie. di loro di ritrovare il proprio vecchio nido. Già gli antichi notarono questo comportamento: i Romani, per esempio, contrassegnando le rondini con nastrini colorati ne verificavano il ritorno e le ritenevano il simbolo di fedeltà alla casa. e per i nostri nonni ospitare un nido di rondine presso la propria abitazione era considerato di buon augurio, oggi può assumere un valore importante per la natura, come gesto di sensibilità e di rispetto per una specie in difficoltà. noltre, la presenza di uccelli insettivori nei nostri centri abitati S riveste un’utilità ecologica non indifferente, in quanto contribuiscono a ridurre sensibilmente il numero di insetti, comprese le fastidiosissime mosche e zanzare. Rondini, rondoni e altri uccelli migratori sono purtroppo minacciati anche nei loro quartieri invernali africani da un’agricoltura chimica e intensiva, ma bastano piccole attenzioni e modesti interventi per rendere almeno il nostro ambiente più ospitale. I Messaggeri di primavera 87 Speciali di primavera flora alpina D opo le bulbose nivali sbocciano i narcisi, anch’essi appartenenti alla famiglia delle Amaryllidacee. Il nome del genere Narcissus deriva dal termine greco narkòo che significa “stordire” in relazione all’intenso profumo dei fiori. I bulbi di queste piante contengono alcaloidi particolarmente tossici, che agiscono sul sistema nervoso. Franco Cirillo L e piante si servono di diversi metodi per accumulare sostanze nutritive da utilizzare al momento del bisogno. Particolarmente interessanti sono le bulbose, ovvero quelle piante che alle radici presentano un bulbo, cioè un ingrossamento ricco di nutrienti situato sotto o a livello del terreno. Per fare un esempio noto a tutti citiamo la comune cipolla (Allium cepa L., fam. Liliacee) ove la parte radicale è costituita da foglie ingrossate e carnose strettamente raccolte a formare, appunto, un bulbo. L’attrattiva caratteristica delle bulbose è non solo culinaria, come nel caso sopra citato (anzi alcune sono velenose), ma sono in genere apprezzate anche per i loro fiori appariscenti. Le bulbose sono diffuse in tutto il mondo e presentano tantissime specie. Sono molto resistenti perché proprio nel bulbo accumulano l’acqua necessaria a superare periodi di siccità, nonché le sostanze grasse per sopravvivere alle basse temperature. Tra quelle adatte al clima montano e alpino vi sono specie che fioriscono a inizio primavera, addirittura quando le nevi non sono ancora del tutto sciolte, con maturazione dei semi in autunno, e quelle che fioriscono a primavera inoltrata quasi prossima all’estate. Tra le prime, le più comuni in Valtellina sono il croco, il bucaneve e il campanellino di primavera. l croco (Crocus vernus L. fam. Iridacee) fiorisce da febbraio a maggio. I suoi minuscoli fiori, tipicamente a forma di coppa, si aprono al sole e tappezzano i prati alpini. Il colore va dal bianco puro al viola, con tutte le tonalità intermedie. Lo sapevate che lo zafferano (Crocus sativus L.) appartiene allo stesso genere ed è molto simile morfologicamente al croco alpino? Il nome, infatti, deriva dal greco kròkes che significa “filo di tessuto” e si riferisce ai lunghi stigmi rossi dello zafferano coltivato che, raccolti pazientemente ed essiccati, costituiscono una delle spezie di maggior valore. Il suo nome volgare deriva dal persiano za’faran che significa oro, luce, saggezza rivelata. l vero bucaneve non è quindi il croco, bensì il Galanthus nivalis L. (fam. Amaryllidacee) che presenta una elegantissima corolla a sei tepali di cui tre più corti bianchissimi, con un macchia verde a forma di “V” al termine del singolo tepalo. Il nome del genere Galanthus deriva da due parole greche: gala cioè “latte” (per il colore bianco simile il latte) e anthos che significa “fiore”. Mentre il nome specifico nivalis fa riferimento alla sua precoce fioritura in mezzo alla neve. olto simile al bucaneve, ma mai contemporaneamente presente, è il campanellino di primavera (Leucojum vernum L. fam. Amaryllidacee) anch’esso con macchia verde chiaro, quasi giallastra, presente su tutti i tepali di una corolla che si conforma ad un regolare e gonfio campanello. R Paradisea liliastrum (12 giugno 2009, foto Franco Cirillo). icordiamo il Narcissus tazetta L. bianco con la paracorolla centrale a forma di piccola tazza (da cui il nome) di colore arancione e il Narcissus pseudonarcissus L. completamente giallo, con la paracorolla centrale a forma di trombetta da cui deriva anche il nome volgare di questa specie. Quest’ultimo narciso è alquanto diverso da tutti gli altri, per cui Linneo non voleva annoverarlo tra i narcisi e da qui l’appellativo pseudonarcissus, ovvero falso narciso. on i primi caldi di aprile le vigne valtellinesi si ricoprono spesso di azzurro: è il muscari (Muscari botryoides L. fam. Liliacee), stranissima infiorescenza formata da tante piccole campanelline blu raccolte intorno ad un unico gambo. Il nome deriva forse dal fatto che alcune specie hanno un leggero profumo di muschio. I giardinieri li usano spesso in grandi quantità per simboleggiare ruscelli o laghetti. Il lampascione, o cipollaccio, usato in cucina è il bulbo di Muscari comosum (L.) Mill., liliacea estiva diffusa in Valtellina nei coltivi e campi abbandonati. maggio alle quote montane fioriscono i gigli che danno il nome alla fam. delle Liliacee: il giglio bianco (Paradisia liliastrum L.) è comune sulle praterie solatie e fertili; il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum L.) rosso arancio, severamente protetto, ama le pendici dirupate asciutte e solatie su terreno basico (calcare) e il martagone (Lilium martagon L.), detto anche turbante di turco per l’aspetto dei petali carnosi rivolti all’indietro, si può incontrare nei boschi radi di latifoglie, arbusteti e pascoli. Per la semplicità della loro coltivazione, è sufficiente infatti interrare il bulbo, le bulbose sono molto apprezzate dai fiorai che le hanno selezionate e trasformate, riuscendo persino a creare esemplari giganti molto belli e appariscenti. C Crocus vernus (30 aprile 2006, foto Franco Cirillo). I Narcissus pseudonarcissus (20 aprile 2009, foto Franco Cirillo). Crocus albiflorus (25 aprile 2009, foto Alessandra Morgillo). A I Leucojum vernum (13 marzo 2009, foto Franco Cirillo). M 88 Le Montagne Divertenti Galanthus nivalis (13 marzo 2009, foto Franco Cirillo). Primavera 2010 Lilium martagon (30 giugno 2009, foto F. Cirillo). Le Montagne Divertenti Lilium bulbiferum (30 giugno 2008, foto Franco Cirillo) e il Narcissus poeticus (25 aprile 2009, foto Alessandra Morgillo). Flora Alpina 89 arte e montagna Beno E F Non lasciarci a secco: dona sangue e torna a donare. Se hai compiuto 18 anni e sei in buona salute, scegli di donare il tuo sangue. Un gesto semplice e prezioso che aiuterà molte vite a ripartire. 90 AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670, AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954, AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297, AVIS DI LANZADA 0342 452633, AVIS DI MORBEGNO 0342 610243, AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 Le Montagne Divertenti 380292, AVIS DI SONDALO 0342 801098, AVIS DI SONDRIO 800593000 Inverno 2009 L’ arte si esprime con un lampo di genio, un’intuizione vanescente che dà vita e forma a sentimenti e sensazioni. E’ emozionante assistere al concepimento di un quadro, di una poesia, di una fotografia, vedere l’artista che, colto da ispirazione, materializza la propria idea. Proprio questi attimi sono i miei più bei ricordi di Ferruccio Vanotti, uno dei maggiori pittori contemporanei valtellinesi, prematuramente scomparso nel 2007. Rubriche Arte e montagna I l mattino era lì in piedi dinnanzi al cavalletto. Le luci entravano prepotenti nel suo studio di Polaggia. Mi strofinavo gli occhi e lo osservavo. Era immerso in uno stato di ascesi contemplativa della tela e di un'immagine di paesaggio che, come un amuleto, evocava l’ispirazione. In una mano teneva la tavolozza del colore, nell’altra pennello e sigaretta. Lo sguardo era fisso, concentrato su un punto che pareva stare al di là del dipinto e del soggetto. Attimi di silenzio, passi avanti e passi indietro per cambiare prospettiva. Momenti d’immobilità. Poi d’improvviso una serie di pennellate sicure e il quadro prendeva vita. Sembrava che Ferruccio avesse già tutta l’opera disegnata in testa. F erruccio Vanotti, classe 1952: un vero e proprio talento. Già da bambino si era messo in evidenza vincendo alle scuole elementari un concorso nazionale di disegno. Premio un'enciclopedia; mai ritirata perchè scendere fino a Roma era allora una trasferta troppo onerosa. Poi la prosecuzione degli studi lo aveva portato su una strada lontana dall’arte. Prima di completare la scuola superiore, aveva trovato impiego come meccanico nelle Ferrovie dello Stato, quindi era diventato macchinista sulla linea Milano-Sondrio. Dall’inizio degli anni ‘80 Ferruccio si era nuovamente dedicato alla pittura con costanza. Soleva dire, ricorda l'amico Bruno Bongini: "ho dentro di me un roveto e attraverso la pittura cerco di districarmici." I primi timidi esperimenti di arte figurativa, fra cui molti ritratti, erano maturati rapidamente e la presa di consapevolezza delle proprie capacità lo aveva portato a definire quel suo personalissimo stile pittorico, caratterizzato da trasposizioni oniriche del paesaggio intrise di una straordinaria sensibilità prospettica e cromatica1. Ferruccio ricostruiva i paesaggi con associazioni apparentemente arbitrarie del colore, cromie inusuali, 1 - "Da alcuni anni si dedica prevalentemente al paesaggio, creando sovente visioni immaginarie dalla policromia scintillante; egli stesso ama definirsi a giusto titolo un colorista." D. Micault 92 Le Montagne Divertenti "L'albero" (acrilico 70x50cm) e, in copertina a questa rubrica, "La foresta degli gnomi" (acrilico 50x70cm). I due quadri, pur trasmettendo sentimenti contrapposti (pace ne "L'albero" e minaccia ne "La foresta degli gnomi"), ben rappresentano la dimensione fiabesca dei quadri di Ferruccio dove bellezza e regolarità delle forme sono elementi di secondo ordine nella percezione dello spazio e della natura. Ferruccio Vanotti mentre dipinge a ScarpatettiArte. che poi, quando si sdraiavano vicine sulla tela, riacquisivano pace e unità. La forte tensione tra i singoli tratti si distendeva nell’equilibrio fiabesco dell’opera. Trapela dai suoi dipinti anche l’importanza del contesto naturale valtellinese, di cui aveva conosciuto ed esplorato le montagne. Sempre attivo nel sociale, Ferruccio amava rendere partecipi gli altri della sua arte e, come raramente accade, dipingeva volentieri a quattro mani con artisti o apprendisti. Frequentissime, in particolare, le collaborazioni in numerosi murales con l’amico Gianni Crotti. Di questo desiderio di condivisione ne hanno beneficiato il Gruppo Arte Libera - dove teneva corsi -, ScarpatettiArte, i bambini e i detenuti a cui aveva insegnato a dipingere e persino i degenti degli ospedali cubani i cui muri sono impreziositi dai suoi murales raffiguranti la magia delle nostre montagne. Ferruccio, sposato e padre di due figlie, nell’ultimo periodo della sua vita si era dedicato sempre più all’arte, ampliando i propri orizzonti grazie a viaggi all’estero e approfondimenti sulle filosofie orientali. Primavera 2010 Il realismo delle opere si era così lentamente dissolto in visioni interiori dense di luce e di personalità. I quadri di Ferruccio Vanotti sono una via di fuga dal quotidiano, un invito a entrare nel suo mondo fantastico per cercare le risposte che sfuggono quando si accetta acriticamente la fredda logica di un sistema votato alle guerre e alle ingiustizie. A portarselo via nell’agosto del 2007 è stata una malattia tanto rapida quanto letale, appena pochi mesi dopo la pensione che gli aveva regalato la possibilità di fare il pittore a tempo pieno: “A ll”improvviso, senza ripensamenti. Anche la morte ha il senso dell’arte e a Ferruccio lo ha presentato sotto forma di un foglietto in bianco e nero, però giusto il tempo di prendere conoscenza della malattia senza poi poter più ritoccare il disegno, quello divino o del destino che ci rende anche noi pastelli e colori della stessa tela.2” 2 - Ricordo di Luca Paini su www.vatellinarte.it. Le Montagne Divertenti “Come nascevano i quadri di Ferruccio?” “Che criteri usava per la scelta delle cornici?” “Quasi sempre utilizzava dei soggetti (cartoline o fotografie) come base” mi racconta la figlia Manuela “ma dandone una libera interpretazione secondo il suo gusto personale. Addirittura quando gli venivano commissionati soggetti da privati riusciva sempre a fare l’opera come più gli aggradava, riconducendola a ciò che più gli piaceva .” “Andava a periodi. Inizialmente sceglieva cornici belle, preziose, poi si era messo a farle lui, dipingedole a mano, mentre gli ultimi quadri li ha voluti senza cornice.” “Quanto impiegava per realizzare una tela?” “Dipingeva di getto, aveva una produttività altissima. Talvolta un quadro era pronto in meno di un’ora; tavolta dopo la foga iniziale si fermava e copriva la tela per riprendere a lavorarci magari anche dopo mesi.” “Il Ferry firmava i quadri appena dopo averli abbozzati” aggiunge la moglie Paola mostrandomi la sua ultima opera del 2007, ancora incompiuta ma già firmata. “Com’è avere un padre artista?” “A dire il vero, e me ne dispiaccio,” – sottolinea Manuela – “la bravura di mio padre mi ha spesso resa gelosa e mi ha portato quasi a un rifiuto della pittura stessa. Adesso che lui non c’è più mi rendo conto a malincuore di quante cose avrei potuto imparare da lui e che, per puro orgoglio, non ho voluto ascoltare a tempo debito. Sono tuttavia felice che lui si sia dedicato al Gruppo Arte Libera, di cui è stato fondatore e direttore. Lì ha insegnato la pittura ad allievi e amici.” “Ricordi Ferruccio quando dipingeva?” Ferruccio Vanotti (1952-2007) 93 Rubriche Arte e montagna “Era concentratissimo, assente. Diceva sempre di sì a tutto ciò che gli si chiedeva, era un po’ la caricatura di Homer Simpson quando guarda le televendite. Ed io, “ aggiunge Manuela sorridendo, “ sapevo che quella era l’occasione per fargli firmare i brutti voti a scuola o farmi dare dei permessi altrimenti insperati.” “Quali sono stati gli ultimi soggetti che ispiravano Ferruccio?” "Nei suoi soggetti - i paesaggi e il sogno - non c’era spazio certo per la denuncia sociale. Ciò, tuttavia, non intendo dire che scindesse l’arte dal suo impegno sociale, anzi, l’arte era proprio il mezzo per realizzare ciò in cui credeva. Ha infatti dipinto coi detenuti nelle carceri, insegnato ai più piccoli e decorato gli ospedali civili a Cuba dando così alla pittura dei connotati sociali.” “Dove si possono ammirare le sue opere?” “Molte sono state acquistate e si trovano in abitazioni private, ma si possono vedere i suoi murales a Berbenno, lungo il Sentiero Valtellina, a Triasso … All’indirizzo http://ferrucciovanotti.carbonmade.com sono inoltre presenti le immagini dei suoi lavori”. “Sicuramente i piccoli paesi di mare o di lago, con le casette abbarbicate che si specchiano nell'acqua.” “Può essere interpretato come un desiderio di fuga?” “No, lui era un sognatore attratto da luoghi incantati, casette, gnomi, boschi, fate e folletti. Mi ricordo che quando ero piccola mi rubava spesso il libro di favole per ammirarne le figure.” “Nella sua lunga carriera ha avuto dei rimpianti?” “Certamente gli pesava non aver frequentato scuole specifiche d’alto livello, non avere un titolo ufficiale e certamente il non essersi confrontato con realtà di tipo accademico. Appena in pensione, ti dirò, stava meditando di iscriversi all’Accademia d’Arte!” “Ferruccio era fortemente impegnato nel sociale, uomo di sinistra e interessato alle tematiche politiche; ma i suoi quadri sembrano lontani da tutto ciò...” Nella pagina a fianco: "Oceano rosso" (acrilico 100x70cm). Può sembrare assurdo, ma in questa tela dai colori eccezionali e dal soggetto tutt'altro che alpino, ho sentito il forte legame con la montagna di Ferruccio. Questo oceano non spaventerebbe un montanaro: è stupendo ma senza onde cannibali e l'incognita dell' infinito. L'addensarsi dell'aria, infatti, lo limita e come le montagne che proteggono la nostra valle, impedisce di precipitare nell'orizzonte. 94 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti "Case di cartone" (acrilico 70x50cm). I paesini abbarbicati sopra specchi d'acqua sono stati tema ricorrente nelle ultime tele di Ferruccio Vanotti. "La voce chiara del fiume" (acrilico 100x70cm). Ferruccio Vanotti (1952-2007) 95 RimA e prosa in dialetto Ul valdambrìi Luigi Zani Il vice presidente dell’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca Gabriele Antonioli mi ha scherzosamente definito “uno degli ultimi mohicani”! Questi “mohicani”, di cui faccio parte, sono gli ultimi superstiti originari di Ambria, un piccolo paesino nel comune di Piateda che sorge a m 1325, alla confluenza fra i torrenti Venina e Zapello. Con gli ultimi indigeni di Ambria è in via di estinzione anche l’originario dialetto (detto valdambrìi) che, oramai, ben poche persone sono ancora in grado di capire e di parlare. I l dialetto “valdambrìi” è un patrimonio culturale a tutti gli effetti in quanto era e rimane parte integrante di questo piccolo e remoto paesino di montagna che lo utilizzava quale unico sistema di comunicazione. Il “valdambrìi” è un dialetto arcaico e, come tale, ha il pregio di non essere stato soggetto nel tempo da influssi linguistici esterni; mentre, quasi nella totalità dei casi, i paesi limitrofi hanno adeguato o “lombardizzato” il loro dialetto originale. Probabilmente la posizione geografica di Ambria ha fatto sì che i contatti con i paesi vicini fossero limitati o comunque non abbastanza prolungati nel tempo da influenzare e/o alterare in qualche modo la parlata. L’ inesorabile avanzare del tempo, tuttavia, porta con sé anche le preziose testimonianze della gente e, di conseguenza, il “valdambrìi” è destinato a estinguersi in pochi anni. È un po’ come se venissero a mancare, una dopo l’altra, tutte le persone che custodiscono dei piccoli segreti mai svelati, tasselli di un mosaico che non sarà più possibile ricostruire. È chiaro che, senza alcuna testimonianza scritta, questo inestimabile patrimonio culturale andrà perso. Perciò da diversi anni sono impegnato alla realizzazione del dizionario etimologico del dialetto di Ambria, raccogliendo tutte le testimonianze orali che possono aiutarmi nel mio scopo. Tanti di voi si chiederanno perché dedico buona parte del mio tempo libero nell’approfondimento di questo dialetto in via di estinzione: chi visita Ambria rimane stregato dal paese e sicuramente anche la sua “lingua” ha un effetto tale. I l 13 novembre 2009 a Piateda, in occasione dell’incontro organizzato da Marino Amorini sulla Guida Alpina Giovanni Bonomi e condotto da “Beno”, ho presentato I dùu scióor, una mia poesia in originale “valdambrìi” dedicata appunto a Giovanni Bonomi, leggendaria figura delle nostre montagne. Fonetica I dùu scióor ul ghişàtt al dundàava tacàt sü àla müscia ndegàat ca lauràavi a fàa dùu tontógn séeti a truntunàa pósa l’üss al sa ntèersa scià a bèlbèl e ‘l pàar descià ul Giuànn di Bunùm cun dùu furèšc’ cài vuléeva scimà tresü la Vinìna üü l’éera l’àarma nèta netènta l’òotru l’éera iscé ‘n petasciùu cul portašpüüda ma a vardàa dài mandrù ca i éeva sü i paréeva pròpi dùu scióor fó ndàa la cràpa e vàardi ‘l Bunùm cal tràava a grignàa trezzót a chìi bàff néegri tücc’ šturğiüüc’ cài paréeva la cùua dün müşaràgn ndegàat che i dùu scióor i lauràava a cüntàla fó ntéla nsèera, ac fóo cul Bunùm “ngött indàa tresü per i catapìzz cul petasciùu cal na büt a gràmm a rivàa tresü ‘n Ambria? .....ét ca dàcc’ améet cal bufàava cugnà ‘n màntes, iló ‘l ta cràpa sü da öör a nna quài pludìscia!” aràl vardàat ğió vergüü? .....l’éera dréet a trà ‘l téep, la tacàat de sumèlech e de trù ca ‘l tremàava a li başèrghi gliùura, tàat da badentàa i dùu scióor, tàchi la ‘l peröll da fa scià ‘npóo ‘d còola per una corretta pronuncia del valdambrìi c' cc' cch ch é è ğ ó ò ö s š ş ss ü z ź 96 vàardi i dùu furèšc’ e ‘glà fó ca a tignìss, al magrétt ac fóo tarà sü l’acqua nèta e c’dìşi da seguitàa a mööf ul tarài sedenò la tàca ğió, a l’òotru büdelùu a c’fóo cüntàa cincènt gràa de sàal e c’dìşi da štà atènt, né üü de pü né üü de méenu, sedenò an sé ca ncàas da fàcch tra sü ‘l bói suono dolce, pronuncia semplice in fine di parola (calcio) = cunvìnc' suono dolce, pronuncia doppia in fine di parola (miccia) = bòcc', cavìcc' suono duro, pronuncia doppia in fine di parola (piccone) = pìcch, bècch suono duro, pronuncia semplice in fine di parola (casa) = cèrech, fìich per i suoni chiusi (méla) = ciapéll, fée per i suoni aperti (bèllo) = bèll, fèrr si pronuncia contemporaneamente una sce e una g (come dal francese jean) = ğélt, bàağiul per i suoni chiusi (órso) = órs, blótt per i suoni aperti (òsso) = òss, fòort suono chiuso (ö lombardo/dal tedesco) = cört, rööda sorda, pronuncia semplice (sale) = sàal, saiòtt si pronuncia come le due consonanti “s” e “c” separate (ascia) = šciòpp, féšta sonora (rosa) = peşànt, pişucàa sorda, pronuncia doppia (rosso) = róss, péss suono chiuso (ü lombardo/dal tedesco) = grüff, ferüüda sorda (calza) = zàpa, zòcul sonora (zero, zanzara) = źìu, brónźa Le Montagne Divertenti ndóo ğió ntùl bàit e, ndegàat ca scìmi ‘l culderàtt cun la šplàana al ma vée lannàaz ai öcc’ la móta ‘d butéer c’aréss pudüüt fa scià sàl föss ca dàcc’ scià chi dùu magòoregn! plée cugnàa sciàcc’ i dùu scióor, tàat cuntéec’, i dervìss fó ‘n bursàtt cugnàa nn’armònica e i ma šlùnga scià dées ghèi perű .....éevi téep a vénden de butéer! Plizar Primavera 2010 Le Montagne Divertenti viàt scià tardulìi i sa nvìia, i é bunaméi foğió crónti al càap dàla camaméla ma crìidi: “salüüdi Bunùm, ac végnet a dumàa?” al sa gìira, al ma vàarda, ma ‘l rešpónt ca, al tra nùma a grignàa trezzót a chìi bàff néegri tücc’ šturğiüüc’ I dùu scióor 97 Rubriche fotografia I due signori (traduzione) la pentola ondeggiava appesa alla müscia1 intanto che sbrigavo alcune faccende sento rumoreggiare vicino alla porta fuoco per preparare un po’ di polenta si socchiude lentamente e si affaccia il Giovanni Bonomi accompagnato da due forestieri che volevano salire verso la Val Venina uno di loro era magro magro2 l’altro era un trippone con la barbetta ma osservando attentamente i vestiti che indossavano sembravano proprio due signori i due signori stavano nel frattempo conversando fuori sul viottolo allora mi rivolgo al Bonomi “dove vuoi avventurarti sui crepacci col trippone che è arrivato a malapena fino ad Ambria? ..... non hai notato che sbuffava come un mantice, vedrai che muore vicino a qualche pludìscia3!” qualcuno avrà guardato giù dal cielo? ..... il tempo stava peggiorando, sono iniziati lampi e tuoni che facevano tremare anche le case allora, per intrattenere i due signori, metto il paiolo sul Ruttico gomme Fenomeni naturali come catturarli? Roberto Moiola e Beno vado nel bàit5 e, intanto che scremavo il latte di una caldaia con la šplàana6 vedevo davanti agli occhi il grosso pezzo di burro che avrei potuto ricavare (da quella panna) se non fossero arrivati questi due babbei! ondeggio con la testa mentre guardo il Bonomi che accenna un sorriso sotto quei baffi neri tutti attorcigliati che sembravano la coda di un toporagno 1 - Palo di legno conficcato nel muro adiacente al focolare. 2 - L’àarma nèta netènta = solo lo scheletro. 3 - Grossa pietra piatta e liscia. guardo i due forestieri e non riesco a trattenermi, a quello più magro gli faccio rimestare il paiolo con l’acqua limpida e gli raccomando di continuare a rimestare con il tarài4 altrimenti l’acqua aderisce al fondo, all’altro trippone gli faccio contare cinquecento grani di sale e gli raccomando di stare attento nel conteggio, né uno di più né uno di meno, altrimenti non saremo più in grado di portare l’acqua ad ebollizione sazi come rospi i due signori, tanto soddisfatti, aprono un portafogli come una fisarmonica e ognuno di loro mi porge dieci centesimi ..... quanto burro avrei dovuto vendere (per ricavare venti centesimi)! sul tardi prendono la via del ritorno, sono quasi all’altezza del camposanto ma urlo: “ti saluto Bonomi, vieni anche domani?” lui si gira, mi guarda, ma non mi risponde, accenna solo un sorriso sotto quei baffi neri tutti attorcigliati 4 - Palo di legno utilizzato per mescolare la polenta 5 - Spartana costruzione in sasso adibita alla conservazione del latte. 6 - Piatto in legno, largo e senza bordo, utilizzato esclusivamente per la scrematura del latte. DAL 1967 ti aiuta a guidare sicuro • PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA; • TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI; • MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA; • RIPARAZIONE GOMME E CERCHI; • BILANCIATURA E CONVERGENZA; • ASSISTENZA SUL POSTO; • OFFICINA MOBILE; • CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO. MONTAGNA IN VALTELLINA (SO) FINE TANGENZIALE DIREZIONE BORMIO TEL.0342/215328 FAX 0342/518609 E-mail: [email protected] WWW.RUTTICOGOMME.191.IT utto T ciò che possiamo immaginare la Natura l'ha già creato ed è con questa certezza che dobbiamo ammirare il mondo che ci circonda. Ogni giorno, consapevolmente o inconsapevolmente, assistiamo a dei fenomeni naturali che ci fanno rimanere allibiti dinnanzi alla loro bellezza. Pensiamo agli arcobaleni, ai fulmini, alle nubi di forme e colori strani, ai tramonti, alle piogge di sabbia... Un tempo il loro fascino era accresciuto dall'incapacità di spiegarli, perciò spesso venivano associati a delle manifestazioni del divino, pensiamo a fulmini e tuoni, imputati agli umori di Giove, dio del cielo. Oggi la scienza può svelarci l'origine di quasi tutte le cose, ma certe situazioni ci lasceranno sempre a bocca aperta. Sono soggetti che colpiscono innanzitutto per la loro immagine anomala, quasi magica, e in quanto tale difficile da immortalare. In queste pagine mostreremo i più noti fenomeni naturali dell'ambiente alpino e, dopo averne dato spiegazione scientifica, sveleremo i trucchi per riuscire a fotografarli. Andalo Valtellino, l’arcobaleno verso le orobie (15 giugno 2007, foto Ricky Scotti). 98 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia 99 arcobaleno A pagina 99 osserviamo un doppio arcobaleno. L'arcobaleno primario (sequenza dei colori dall'esterno: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto) con all'esterno, più grande e meno luminoso, un arcobaleno secondario (i colori sono invertiti). L'area scura compresa fra i due archi viene chiamata "banda di Alessandro" (Alessandro di Afrodisia fu il primo a descriverla nel III secolo d.C.). L'arcobaleno, che nella mitologia greca e cristiana è un segno di comunicazione tra uomo e divinità, in realtà è un fenomeno ottico che scaturisce dalla dispersione e dalla diffrazione della luce solare contro delle particelle d'acqua in sospensione (vedi figura a fianco). Lo possiamo perciò osservare dopo un temporale, ai bordi di una cascata o di una fontana. La luce solare bianca, entra nella gocciolina d'acqua per poi essere riflessa all'indietro alla successiva interfaccia goccia-aria. Nei passaggi aria/acqua la luce viene anche rifratta e ad ogni lunghezza d'onda sono associati angoli diversi che portano alla scomposizione in bande cromatiche. Lo spettro cromatico risulta inoltre "ribaltato" perchè la goccia ha un punto focale al suo interno. L'arcobaleno di per sè non esiste nel cielo, ma è un fenomeno percepito solo quando l'angolo tra la luce solare e il segmento goccia-osservatore è fra 40° e 42° (da questo ne deriva anche la forma circolare). Tali angoli implicano che per osservare l'arcobaleno dopo un temporale il sole dev'essere basso sull'orizzonte. L'arcobaleno secondario è l'effetto della doppia riflessione della luce solare all'interno delle goccioline d'acqua. Questa luce viene percepita quando l'angolo tra la luce solare e il segmento goccia-osservatore è fra 50° e 53° (perciò appare più alto nel cielo). La doppia riflessione interna implica anche un doppio ribaltamento, ed è per questo che la sequenza cromatica è invertita. Benchè più difficili da osservare, esistono arcobaleni tripli e quadrupli, oltre che arcobaleni circolari di luna, ma in questo caso il nostro occhio, data la scarsa luminosità, coglie solo in minima parte la scomposizione cromatica. ra i fenomeni naturali l'arcobaleno è il più semplice da fotografare, sia perché si materializza di giorno che perché non è poi così raro da incontrare. Solitamente questo evento ha luogo in estate dato che il temporale ne è l’artefice principale. Attendiamo la fine del maltempo e speriamo nell’arrivo repentino del sole che, illuminando verso la perturbazione in allontanamento, ci regalerà la magia di colori che tutti conosciamo. Per poter fotografare un arcobaleno dobbiamo avere l’accortezza di controllare la messa a fuoco. L’arcobaleno infatti, non avendo consistenza potrebbe andare fuori fuoco, meglio quindi una messa a fuoco manuale. Importante attenzione va poi indirizzata verso l’inquadratura: cerchiamo di isolare la scena includendo nello scatto soggetti interessanti come una chiesa o una porzione di paesaggio. T fulmine I l fulmine è una scarica elettrica che avviene in atmosfera e si instaura tra due corpi con grande differenza di potenziale. Nell'85% dei casi di fulmine tra cielo e terra accade che le cariche negative presenti nella parte bassa delle nubi inducono cariche positive al suolo finchè la differenza di potenziale tra terra e suolo supera un valore compreso tra gli 80 milioni e 1 miliardo di Volt. In questa situazione si genera una prima scarica invisibile diretta dalla nube verso il terreno detta "scarica pilota". La sua velocità si aggiara sui 100km/s. Analogamente dalla terra parte una "scarica di richiamo". Quando le due si incontrano, preparando così un canale ionizzato conduttore, si genera il fulmine, o "scarica di ritorno" (dai 10 ai 200 mila Ampere, un'energia in grado di far funzionare per 3 mesi una lampada da 100 W). Ad esso sono associati un effetto luminoso detto "lampo", la cui durata è attorno al decimo di secondo, e uno sonoro detto "tuono", dovuto all'espandersi dell'aria riscaldata dal passaggio del fulmine. Data la minore velocità del suono rispetto alla luce, il tuono viene percepito dall'osservatore con un certo ritardo rispetto al lampo (circa 1 secondo ogni 340 metri di distanza). Il fulmine tende a passare attraverso tutti i corpi a bassa resistenza prossimi al suo cammino, come oggetti metallici, ma anche persone e animali. Il fulmine entra nel corpo umano attraverso occhi, orecchie, naso e bocca e si scarica a terra dopo aver percorso il sangue e il sistema nervoso, causando arresto cardiaco e respiratorio, oltre che, in alcuni casi, ustioni. In caso di temporale bisogna perciò abbandonare gli oggetti metallici, allontanarsi da potenziali punti d'innesco (ad esempio alberi isolati) e se possibile rifugiarsi in strutture chiuse come baite o automobili. Se porte e finestre sono chiuse si creerà una gabbia di Faraday che non verrà attraversata dal fulmine. Secondo le mappe di densità (www.fulmini.it) Valtellina e Valchiavenna sono zone a incidenza di fulmini medio-bassa con circa 1.5-2.5 Nt (fulmini al kmq ogni anno), mentre, ad esempio, la zona del Lago di Como è ad alta incidenza (4 Nt). er fotografare i fulmini il discorso è complesso. Dobbiamo innanzitutto conoscere alcune nozioni di base legate agli scatti realizzati con scarsa luce, praticamente in condizione notturna. Non che i fulmini avvengano solo di notte, ma di certo una buona resa la si avrà solo col buio. Ci penserà il fulmine ad illuminare a giorno la scena, così come avviene quando ammiriamo i fuochi d’artificio. Nella fotografia notturna l'esposimetro non è più attendibile ed è compito del fotografo calcolare la corretta illuminazione (impostare la ghiera delle funzione sulla modalità M= manual Mode). Per prima cosa mettiamoci in una posizione comoda, magari rialzata rispetto al fondovalle e, soprattutto, al riparo dalla pioggia. Una veranda all’aperto può essere la soluzione migliore. Fissata la macchina al treppiede e scelta l’inquadratura cominciamo con un valore di sensibilità basso, intorno a ISO 200; così eviteremo il rumore dovuto alla lunga esposizione. Decidiamo arbitrariamente per un apertura intermedia (da f/8 a f/10). Un intervallo tra i 10 e i 20 secondi può essere ottimale se ci troviamo già a tarda sera. Eseguiamo un primo scatto di prova per analizzare la corretta esposizione nella scena: teniamo presente che la quantità di fulmini catturati nel nostro fotogramma sarà direttamente proporzionale alla lunghezza della posa, ma che lo sarà altresì l’eventuale sovraesposizione. Andiamo quindi a raffinare i parametri di scatto fino a ottenere il risultato desiderato. P Fulmine in località Pra de l'O nei Cech (7 luglio 2009, foto Ricky Scotti). Fantasma di Brocken I nube iridescente Q l Fantasma di Brocken, è la spettrale materializzazione della propria immagine ingigantita e proiettata sulla nebbia dai raggi del sole. Il fenomeno ottico è chiamato "gloria" e avviene quando il sole si trova in un punto molto basso all'orizzonte e la sua luce viene riflessa indietro dalla foschia. Se una persona è tra sole e nebbia, la sua ombra scurisce le goccioline d'acqua che compongono la nebbia. Tali gocce sono relativamente vicine, ma l'occhio tende a confrontarle direttamente con ciò che è in secondo piano giudicando così quest'ombra molto grande. La distanza variabile tra le goccioline e l'osservatore poi sforma ulteriormente l'ombra, dandole pure effetto di tridimensionalità. La gloria può avere anche degli anelli colorati concentrici che circondano l'ombra e che si spiegano in maniera analoga all'arcobaleno. L'angolo di osservazione dell'iridescenza va dai 5° ai 20° d'inclinazione rispetto ai raggi solari. Il movimento delle foschie dovuto al vento può inoltre creare l'illusione di movimento del Fantasma di Brocken, rendendolo ancor più spaventoso. Il nome discende dal Brocken (m 1142), che è la più alta vetta dell'Harz (Germania). Questa montagna è di facile accesso e per la maggior parte dell'anno lambita da grandi nebbie e foschie, tali da rendere frequenti gli avvistamenti del fenomeno ottico che le è stato intitolato. ealizziamo questa fotografia cercando di impostare manualmente la messa a fuoco ad una distanza ragionevole tra noi e l’effetto. A seconda della modalità di lettura dell’esposimetro che abbiamo in uso potrebbe essere necessario sottoesporre leggermente la scena evitando così di avere uno Spettro di Brocken appena visibile. Un’inquadratura inusuale darà maggior risalto a questo fenomeno. Trovandoci di fronte ad un oggetto che potrebbe muoversi diamo un occhio di riguardo al tempo di scatto, ricordando che un normale scatto realizzato senza cavalletto non deve mai esser più lungo di 1/125 di secondo. Buona regola da seguire è impostare un tempo che sia almeno il doppio della focale utilizzata (se ad esempio stiamo fotografando con un teleobiettivo ad una focale di 100mm, imposteremo un tempo di scatto di almeno 1/200 di secondo). uesta iridescenza è dovuta a una nube lenticolare costituita da cristalli di ghiaccio omogenei nella dimensione che diffrangono la luce del sole uniformemente. I colori dello spettro sono inoltre deviati con angolazioni diverse. Come per l'arcobaleno, anche la nube iridescente è un fenomeno percepito solo da un osservatore che si trova ad una data angolazione rispetto all'asse nube-sole. Il mio consiglio è quello di dotarci di filtro polarizzatore per poter contrastare maggiormente la nube dal cielo, donandole così un risalto maggiore. Se vogliamo esagerare includiamo nella fotografia una parte del paesaggio, ricordandoci però che il soggetto principale è la nuvola e che quindi l’eventuale montagna dovrà essere isolata in basso, coprendo solo da 1/5 a 1/3 del nostro fotogramma. er un buono scatto, il filtro polarizzatore permette di contrastare maggiormente la nube dal cielo. Se vogliamo esagerare includiamo nella fotografia una parte del paesaggio, ricordandoci però che il soggetto principale è la nuvola e che quindi l’eventuale montagna dovrà essere isolata in basso, coprendo solo da 1/5 a 1/3 del fotogramma. 102 Le Montagne Divertenti R P Nube lenticolare sopra la cima Sassal Mason nei pressi del Passo del Bernina (13 marzo 2008, foto R. Moiola). Fantasma di Brocken dalla cresta del Monte Azzarini sulle Alpi Orobie (14 ottobre 2007, foto R. Moiola). Le Montagne Divertenti Primavera 2010 L'arte della fotografia 103 le foto dei lettori Rubriche 1 Acqua e ombra nei pressi dei Bagni di Masino (11 luglio 2009, foto Marco Meda) D ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!). Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero. P er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto estivo potrà essere scelta con l'ultima di copertina del prossimo numero! Lo scatto vincitore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: il fotografo recensione di sysa Marco Meda, classe 1982. Sin da adolescente ha sentito forte il richiamo delle montagne, cominciando con le cime vicino a casa nel Lecchese, per allargare poi lo sguardo all’intero arco alpino e ancora oltre, dal Nepal all’Islanda, dal Ladakh alla Patagonia. Amante dell’aria sottile dei ghiacciai e dei 4000, della neve che cancella tracce e sentieri nella stagione invernale, degli itinerari poco frequentati, delle notti in tenda, cerca costantemente di vivere la montagna in una dimensione di avventura ed esplorazione ancora possibile anche nelle “conosciute” Alpi Lombarde. La laurea e la professione di geologo lo spingono poi a cogliere anche quello che sta “sotto” le montagne, per apprezzarne ancora di più la bellezza, muovendosi a piedi, sugli sci, con le scarpette d’arrampicata, e sempre con la macchina fotografica al collo. Ha un sogno nel cassetto: vivere sempre a tempo pieno le sue passioni. Il lento scorrere dell’acqua nei ruscelli di montagna ci dice che finalmente è arrivata la primavera. Dimentichiamo il freddo pungente dell’inverno e ci tuffiamo nella natura in cerca di fotografie armoniose. Per cogliere il fluttuare dell’acqua dobbiamo riuscire ad impostare uno scatto abbastanza lungo, perlomeno vicino al secondo. L’apertura del diaframma a sua volta deve essere la più chiusa possibile e l’impostazione ISO ridotta a livelli minimi (ad esempio 100 ISO). Un buon accorgimento adottato dal bravo Marco è stato di utilizzare un filtro neutro, cioè una lente che posta sull’obiettivo non altera in alcun modo qualità o tonalità, ma semplicemente sottrae luminosità alla scena, obbligando l’esposimetro a impostare tempi maggiori. A livello di inquadratura e contenuti ritengo molto interessante in questa foto l’accostamento acqua-muschio, un contrasto reso ancor più vivace dalla forte ombra in alto alla scena. 104 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 3 2 1) Pascal van Duin durante l'esplorazione del canyon nel Tassili N'Ajjer nel Sahara Algerino (7 dicembre 2009). 2) Chiara e Cristiano in luna di miele in Islanda (sullo sfondo la cascata Svartifoss, 18 ottobre 2009). 3) Antonio Boscacci a Geilo in Norvegia (17 agosto 2009). Le Montagne Divertenti Le Lefoto fotodei deilettori lettori 105 le foto dei lettori Rubriche Rubriche 5 9 4 6 7 8 4) Francesco Vaninetti si butta dall'aereo con Le Montagne Divertenti (18 ottobre 2009, foto Vittorio Vaninetti). 5) Poldino sulla riva del Lago Tscheppa in Svizzera (m 2600 ca., 11 ottobre 2009, foto Eliana Gilardelli). 6) Martina Gusmeroli e Emma Moiola al Temple Bar di Dublino (Irlanda, 1 novembre 2009). 7) Pierangela e Gianfranco Roda a Budapest (28 novembre 2009). 8) Alberto Frigino col figlio Ivan a Torre Pali (Lecce, 5 ottobre 2009, foto Elena Mambretti). 106 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 11 Le Montagne Divertenti 10 6 12 Le Lefoto fotodei deilettori lettori 107 le foto dei lettori Rubriche Xxxxxxxxxxxxxxxx 14 17 6 18 Un regalo speciale? 20 Sono disponibili fino a esaurimento - le nuove magliette de Le Montagne Divertenti. Comode e di cotone morbidissimo. Info su ----> 7 15 16 9) Corlatti Simone e Cunca a Cartagena (Colombia, gennaio 2010). 10) Valentina Negrini e William Pegorari all'Alpe Prabello in Valmalenco (Rifugio Cristina, 24 gennaio 2010). 11) Michele all’interno del suo RIAD “Al Kadar” a Marrakech in Marocco (3 ottobre 2009). 12) Bricalli Fabiano al castello di Eurodisney (17 novembre 2009). 13) Flora Dell'Agosto, Floriana Faldrini, Giuseppe Dell'Agosto, Giancarlo Albareda, Antonietta e Pia Faldrini al Lagazzuolo (10 ottobre 2009). 14) Doris Moretti, Alberto Rossattini, Nerino Panettai sulla Phi Phi Island (Thailandia, 16 novembre 2009). 15) Cristina Foppoli con figli e amici all'Isola della Maddalena (giugno 2009). 16) Nevio nella cantina gestita da Gruppo ANA di Albaredo durante Morbegno in Cantina 2009. 17) Alan e Simona in Val Viola (29 ottobre 2009). 18) Cesare Giana mostra Le Montagne Divertenti agli indigeni d'Egitto (27 ottobre 2009). 19) Ivan, Elena e Matteo nella Monument Valley (Utah/Arizzona USA, 24 agosto 2009). 20) Monti Stella porta la maglietta de Le Montagne Divertenti sulle pareti della Val di Mello (agosto 2009). 21) e 22) Carlo Pelliciari insegna ai sui bambini Pietro e Giacomo una sana abitudine (3 febbraio 2009). 108 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2010 19 21 22 Le Lefoto fotodei deilettori lettori 109 www.lemontagnedivertenti.com 13 Rubriche Rubriche Vincitori e Giochi Ma ch'el? vinti ma ch'el? ma 'n gh'el? L'oggetto qui sotto è il famigerato cilicio, antico strumento di tortura conservato al Museo di Chiavenna e fotografato da Luciano Bruseghini. Purtroppo nessuno ha indovinato la soluzione e i premi sono rimasti in nostro possesso per foraggiare i prossimi concorsi! La foto in oggetto, tratta dall'Archivio Baracchi, raffigura il Castello di San Faustino a Grosio. I vincitori, tutti racchiusi in pochi secondi, sono: Sei pratico di cose strane? Eccoti uno strumento antico fotografato da Antonio Stefanini. Dimmi di che cosa si tratta e come veniva utilizzato. I 2 più veloci dalle ore 20:00 del 25 marzo 2010 vinceranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 3° classificato ricevera' una copia del libro "Giovanni Bonomi - Guida Alpina" , il 4° e il 5° una fascetta de "Le Montagne Divertenti / Waltellina.it ". 1) Annamaria Sironi; 2) Bruna Corradini; 3) Martina Pedroli; 4) Alan Muscetti; 5) Maurizio Sala; 6) Bruna Sarotti; 7) Ivan Rastelli; 8) Giuseppe Mosconi; 9) Patrizio Ferrari; 10) Martina Besseghini. Manda le tue risposte a: [email protected] oggetto della mail: “ma ch'el?” Ricordati di specificare il tuo indirizzo e la tua taglia. Annamaria Sironi, vincitrice del concorso, mostra il suo premio ai piedi delle cascate dell'Acquafraggia. Ma 'n gh'el? Se sei un attento osservatore, indovina quale vetta ritrae questo acquerello realizzato da Kim Sommerschield. Il più veloce dalle ore 20:00 del 25 marzo 2009 vincerà il quadro (misure 33x44cm) in pregevole cornice di legno artigianale. Il 2° e il 3° classificato avranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 4° e il 5° una fascetta de "Le Montagne Divertenti / Waltellina.it ". Manda le tue risposte a [email protected] oggetto della mail: “ma 'n gh'el?”. Ricordati di specificare il tuo indirizzo e la tua taglia. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE 110 Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Giochi 111 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Sciroppo di fiori di sambuco Dissetante se diluito in acqua, miracoloso contro il mal di gola Beno V I l sambuco è un arbusto di dimensioni medio-grandi, un piccolo albero comunissimo lungo le siepi campestri, nei boschi, ai bordi delle strade di campagna, nonché alla periferia delle città, dove rappresenta un relitto della vegetazione spontanea. frutti sono lassativi, la corteccia è diuretica, i fiori si usano nelle malattie da raffreddamento, nell'influenza, nella febbre, nelle affezioni reumatiche e infiammatorie dell'apparato respiratorio n primavera/inizio estate le piante si ricoprono di tantissimi e minuscoli fiori bianchi a 5 steli che si raccolgono in ampie inflorescenze ombrelliformi. La loro forma e il loro profumo dolcissimo sono inconfondibili. Le inflorescenze possono essere impanate e fritte (effetto distensivo), mentre col frutto (sono bacche nero-viola) si fanno golosissime marmellate (lassative). Dai fiori si può anche ottenere facilmente un buonissimo sciroppo che se diluito in acqua è dissetante, se puro è ottimo contro il fastidiosissimo mal di gola grazie alle proprietà lenitive del fiore e a quelle disinfettanti del limone contenuto nello sciroppo. I I Ingredienti 4 limoni 10 inflorescenze (non infestate dai pidocchi!) 1 litro di acqua 1 kg di zucchero 1 cucchiaio di aceto bianco 112 Le Montagne Divertenti preparazione Mettete i fiori, i limoni tagliati e spremuti e un cucchiaio di aceto dentro una bacinella. Coprite e lasciate macerare per 48 ore, dopo di che strizzate bene i limoni. Separate passandola a colino la parte liquida e mettetela in una pentola. Aggiungete lo zucchero e cuocete mescolando. Spegnete non appena in ebollizione. Lo sciroppo è pronto, col suo classico colore giallo! Imbottigliate e tenetelo in un luogo fresco e al riparo dal sole: se ben conservato il succo resiste svariati mesi senza alterare le sue proprietà. Primavera 2010 “Può venire il giorno in cui tutto l'oro del mondo non basterà a ridarci l'immagine del tempo svanito." Arthur Hazelius 114 (fondò nel 1891 a Skansen il primo museo all'aperto al mondo) Le Montagne Divertenti Primavera 2010 Le Montagne Divertenti Ricette 115