Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla

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Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla
Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul
risparmio energetico e sulla compatibilità
ambientale
M ICHELE VIO
RC Group - Pavia
Affronto sempre il tema dell’inquinamento ambientale partendo da un’osservazione banale: in
natura, qualsiasi concentrazione di energia, un uragano, un fiume in piena, un vulcano in eruzione, è
distruttiva. E’ una pura velleità dell’uomo arrivare laddove neppure la natura stessa può e pretendere
di concentrare energia senza alterare in alcun modo l’ambiente. Non può esistere energia pulita,
almeno non con le densità oggigiorno necessarie. L’energia solare, l’eolica e la idroelettrica sono
pulite fino a quando la potenza generata non è ingente, altrimenti qualche scompenso nel microclima
del luogo di produzione lo producono anche loro. Se così non fosse, avrebbe avuto ragione
quell’inventore un po’ bislacco che una quindicina d’anni fa propose, in una trasmissione televisiva di
successo, di abbattere il monte Turchino per eliminare la nebbia in Val Padana.
Un esempio clamoroso in tal senso è rappresentato dalla costruzione della nuova diga di Assuan
che non solo ha modificato la geografia di un’intera regione, creando un lago artificiale di 500 km di
lunghezza per 200 di larghezza, ma soprattutto, bloccando l’afflusso del limo, ha sconvolto i millenari
effetti delle piene del Nilo.
La strada della salvaguardia dell’ambiente, quindi, non passa solamente per la ricerca di sistemi
di produzione dell’energia sempre più efficienti, ma anche dalla razionalizzazione del suo uso.
Cosa può fare il mondo del condizionamento dell’aria in questo senso? Poco, purtroppo, in
positivo, giacché le politiche, tariffarie, fiscali e normative, che regolano il settore sono finora state
decise senza un nostro reale coinvolgimento; molto di più in negativo, in quanto non si è ancora
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sviluppata una vera cultura del risparmio energetico, sia dal punto di vista della progettazione, che
soprattutto della gestione degli impianti.
1. Perché dobbiamo risparmiare energia
Ne parliamo da così tanti anni di risparmio energetico che quasi ci siamo dimenticati del perché
rimane un nostro obbiettivo. Negli anni 70 la guerra del Kippur e la conseguente crisi energetica ci
gettarono nel panico: sedicenti esperti ci prospettarono scenari apocalittici da medioevo prossimo
venturo, ipotizzando il rapido esaurimento delle riserve petrolifere. Cominciammo a consumare di
meno per preservare le nostre risorse, nonché per salvaguardare il portafoglio, visto l’impennata dei
costi energetici.
Negli anni abbiamo scoperto l’inconsistenza di queste tetre profezie, tanto da aver vissuto quasi
senza conseguenze la guerra del Golfo e l’incendio dei pozzi kuwaitiani; profezie comunque salutari,
se alle soglie del 2000 il problema energetico è divenuta l’ultima delle nostre preoccupazioni:
abbiamo imparato a diversificare le nostre fonti, ad utilizzarle in modo più razionale.
Tuttavia, da una necessità, piano piano il risparmio energetico è diventato un optional: si
persegue solo se conviene economicamente in tempi estremamente rapidi, difficilmente superiori ai
tre anni. Questa logica, corretta nel caso dei privati, si è estesa anche al pubblico: è stato
completamente disatteso il comma 16 dell’articolo 5 del DPR 412 26/8/93, ovvero il decreto di
attuazione della legge 10/91, che impone chiaramente l’obbligo in edifici pubblici di ricorrere ad
impianti utilizzanti fonti energetiche rinnovabili, qualora non sussistano impedimenti di natura tecnica o
economica, dove questi ultimi sono intesi come investimenti con ritorno superiore agli 8 anni nei
piccoli comuni e 10 nei comuni con più di 60.000 abitanti.
La conferenza di Kyoto ci ha fatto aprire gli occhi e il tema del risparmio energetico è diventato
nuovamente un’emergenza, questa volta non più economica, ma ambientale. Il problema dell’effetto
serra sembra effettivamente serio e gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati richiedono l’apporto
di tutti. Personalmente ho sempre ritenuto una clamorosa bufala la battaglia condotta contro l’R22,
nata più da calcoli commerciali che da reale necessità. Sul problema dell’effetto serra preferisco
sospendere ogni giudizio, prendendone semplicemente atto e, come Garibaldi a Teano, rispondere
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con un bel “Obbedisco”. Comunque sia, per chi ama questo mestiere, la sfida della riduzione dei
consumi è estremamente allettante.
E’ comunque interessante esaminare i valori di emissione di CO2 media annua per abitante per
le diverse zone geografiche. Colpisce, in particolare, l’enorme differenza tra aree sviluppate ed aree
depresse: prevedendo un naturale sviluppo di queste ultime, si può capire la necessità di imporre un
tetto alle emissioni dei paesi più industrializzati.
Africa
Estremo oriente
America latina
Europa
Nord America, Australia,
Giappone
0
5
10
15
20
25
EMISSIONI CO2 per ABITANTE
[tonnellate/anno]
Figura 1: valori di emissione di CO2 per le varie zone geografiche
2. Il compito del governo
L’Italia si è impegnata a ridurre, entro il 2010, del 6% le emissioni di CO2 facendo riferimento ai
valori del 1990. Rispetto ai valori attuali, significa, più o meno, ridurle del 10%, impresa non
certamente facile.
Tralasciando le iniziative in altri settori, quale quello industriale e dei trasporti, nel campo della
climatizzazione la riduzione delle emissioni può essere perseguita attraverso una politica atta a:
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-
ridurre i fabbisogni energetici
-
spingere le tecnologie ad alta efficienza energetica mediante una politica fiscale e tariffaria
incentivante legata ai reali risultati ottenuti
Inoltre, o sarebbe meglio dire prima di tutto, bisognerebbe seguire una politica coerente, con
scelte durature, smettendola di cambiare le carte in tavola. Si deve, insomma, evitare ciò che sta
accadendo nel campo della cogenerazione: il decreto Bersani ha fatto decadere il CIP 6 ben sue anni
fa e, ad oggi, non è stato ancora sostituito. E’ una situazione gravissima: nessun consulente serio può
proporre un investimento ad un proprio cliente, sapendo che da un giorno all’altro quanto ha previsto
può cambiare completamente. E nessun amministratore oculato investirà mai una sola lira in questa
incertezza.
2.1 La riduzione dei fabbisogni energetici
Attualmente l’argomento è regolato dalla Legge 10, per quanto riguarda i fabbisogni invernali.
E’ una buona legge, decisamente più evoluta rispetto alla 373/76. Purtroppo è il decreto di
attuazione ad essere assolutamente demenziale, l’esempio tipico di come non si deve effettuare una
valutazione energetica seria, basata cioè su fatti concreti, non sulle elucubrazioni di qualche
visionario. Sull’argomento si sono spese fin troppe parole e ogni progettista ne ha un’opinione
precisa, più o meno simile a quella del rag. Fantozzi a proposito del film “La corazzata Potenkim”.
Sarebbe serio prenderne atto e rifare un decreto di attuazione che dia risultati più veritieri,
oppure tornare ai cari vecchi calcoli della 373, che almeno avevano il pregio di unire causa ed
effetto. Si sta preparando una estensione estiva della 10/91: se il principio è lo stesso, grazie tante,
non ne abbiamo bisogno, abbiamo già dato.
Effettuare delle valutazioni energetiche serie è sempre molto difficile, perché sono troppi i
parametri influenti. Il vero controllo dell’energia spesa può essere effettuato più efficacemente sul
campo, con una politica fiscale adeguata, piuttosto che a priori sulla carta.
Quello di cui si sentirebbe assolutamente il bisogno è una sorta di Legge 10 per i consumi
elettrici. Le potenze installate, negli edifici commerciali, aumenta sempre di più, a volte in modo
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assolutamente ingiustificato: nei centri commerciali più recenti c’è la stessa illuminazione richiesta da
un torneo ATP, l’associazione mondiale dei giocatori professionisti di tennis.
2.2 L’incentivazione del risparmio energetico mediante politiche fiscali e tariffarie
premianti
L’obiettivo dovrebbe essere duplice: agire sia verso i produttori e distributori dell’energia
elettrica, in vista della liberalizzazione in atto, e degli altri combustibili, sia verso gli utilizzatori finali.
Recentemente il governo ha introdotto la Carbon Tax, proprio con l’intento di limitare i consumi
energetici. Così come è stata impostata, non sembra poter avere successo e difatti il Governo ha
subito precisato trattarsi di un sistema per finanziare la lotta alla disoccupazione e delle non meglio
identificate iniziative a favore dell’ambiente.
Per renderla efficace, si dovrà necessariamente legarla ai risultati desiderati. Attualmente l’Italia
è tra gli ultimi posti nei paesi della UE per quanto riguarda il valore delle emissioni di anidride
carbonica per la produzione unitaria di energia elettrica. Nelle nostre centrali il rapporto è di 0,71 kg
di CO2 per ogni kWh elettrico prodotto, contro il valore di 0,64 della Germania, quello di 0,51
medio per tutti i paesi UE e lo 0,13 della Francia, valore più basso in assoluto grazie all’utilizzo del
nucleare e dell’idroelettrico in percentuali rilevanti.
Il valore di produzione italiano dipende sia dalla conformazioni delle nostre centrali, sia dal
sistema tariffario attualmente in vigore, unico in tutta Europa. Siamo l’unico paese, infatti, ad avere
una tariffazione multioraria solamente a partire da potenze impegnate sopra i 400 kW. Tutti i nostri
partners europei adottano questa tariffazione anche per le piccole potenze, con l’effetto di distribuire
in modo più corretto il fabbisogno di energia durante l’arco delle 24 ore, appiattendo la curva dei
consumi. Non a caso gli elettrodomestici più silenziosi sono di costruzione tedesca, proprio perché in
quel paese è molto più conveniente utilizzarli nelle ore serali.
Una curva piatta dei consumi permette di far lavorare con rendimento ottimizzato le centrali di
produzione. Il loro rendimento elettrico, infatti, si abbatte molto rapidamente al diminuire del carico,
cosa che avviene puntualmente nelle ore notturne.
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Nell’attuale regime di monopolio, con tariffe decise dal CIP, non vi è alcun interesse a migliorare
le cose. In vista della liberalizzazione, però, la situazione può cambiare rapidamente, soprattutto se si
dovesse legare la quota fiscale proprio al rapporto tra emissioni di anidride carbonica e produzione
di energia elettrica. Sarebbero allora favoriti sia i distributori che importano da paesi come la
Francia, sia i produttori che investano su nuove tecnologie e soprattutto chi riesca a ottimizzare la
propria produzione offrendo interessanti tariffe differenziate. Potrebbe accadere quello che sta
avvenendo per la telefonia mobile, nella quale è oramai possibile personalizzare la tariffa alle proprie
esigenze con beneficio sia degli utenti, che delle compagnie in grado di ottimizzare la propria rete.
Negli Stati Uniti, ove il libero mercato dell’energia ha una luna storia, sono proprio le compagnie
elettriche ad incentivare la domanda piatta dei loro utenti, penalizzando molto i picchi di richiesta, con
conseguente sviluppo, nel nostro settore, di sistemi di produzione alternativi, quali banche del
ghiaccio e microcogenerazione.
E’ fondamentale anche un livellamento della quota fiscale in funzione dell’effettivo potenziale
inquinante. Attualmente il metano ha un carico fiscale di quasi 100 £ per ogni kg di anidride
carbonica emessa, contro le circa 43 £ dell’energia elettrica.
Dal punto di vista dell’utente finale, di chi cioè utilizza l’energia primaria per la climatizzazione,
l’unico modo per favorire le nuove tecnologie è quello di legare la quota fiscale agli effettivi risultati
ottenuti. In pratica, bisognerebbe esportare anche alle altre applicazioni, quanto già in atto per la
cogenerazione, per la quale la defiscalizzazione è legata al rendimento elettrico di produzione. La
figura 2 mostra il differente andamento percentuale del costo energetico nel caso la defiscalizzazione
sia o meno legata al rendimento. Legando la quota fiscale ai risultati effettivi, la curva risulta più ripida
in quanto il rendimento di produzione influisce due volte, sia sul consumo che sul costo stesso del
combustibile.
Nel caso della cogenerazione, l’utente finale ha tutto l’interesse di mantenere elevato il
rendimento del sistema, perché la detrazione fiscale avviene in base ai valori misurati nei contatori di
energia elettrica prodotta e del combustibile utilizzato. Analoghi metodi potrebbero essere impiegati
negli impianti di climatizzazione, almeno in quelli al di sopra di una certa taglia, con il risultato sia di
favori l’installazione di soluzioni ad alta efficienza energetica, sia soprattutto imporre la manutenzione
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degli impianti, attualmente prevista sulla carta, sulla cui effettiva frequenza e qualità non esistono
controlli adeguati.
Un sistema fiscale di questo tipo favorirebbe l’espandersi ed il proliferare di aziende di vendita
dell’energia termica, le uniche davvero interessate a mantenere sempre al massimo dell’efficienza gli
impianti gestiti.
180%
170%
COSTO PRODUZIONE [%]
160%
150%
140%
130%
120%
110%
100%
90%
80%
70%
60%
20%
25%
30%
35%
40%
RENDIMENTO ELETTRICO
defiscalizzazione legata al rendimento
defiscalizzazione indipendente dal rendimento
Figura 2: effetti sul costo di produzione derivanti dalla defiscalizzazione legata al rendimento di
produzione
3. Il compito del settore impiantistico
Il mondo della climatizzazione attualmente non influisce più di tanto nelle scelte politiche, anche
se è auspicabile in futuro un maggior coinvolgimento di AiCARR, che ha il diritto, essendo
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un’associazione culturale che raggruppa tutti i soggetti del settore, nonché il dovere nei confronti dei
propri soci di far sentire la propria voce in modo deciso.
La scelta impiantistica dell’utente finale è sempre improntata su un calcolo di pura convenienza
economica. Su questa influiscono principalmente le tariffe dell’energia e le politiche fiscali, per cui,
spesso, si devono scegliere controvoglia delle soluzioni impiantistiche tradizionali, anche laddove
sarebbero auspicabili sistemi ad alta efficienza.
Comunque, qualche cosa il nostro settore lo può fare, soprattutto cercando di evitare errori
comunemente diffusi che portano influiscono notevolmente nel consumo dell’impianto.
3.1 La fase di progettazione
Il compito del progettista dovrebbe essere fondamentale per la buona riuscita di un impianto.
Purtroppo in Italia i consulenti non sono sufficientemente responsabilizzati e pagati di conseguenza.
La fase di progetto non può e non deve essere disgiunta dalla direzioni dei lavori e dalla fase di
messa in funzione dell’impianto. Inoltre, una vera cultura impiantistica si potrà raggiungere solamente
quando il progettista sarà ritenuto responsabile anche dei risultati economici del proprio lavoro.
Sarebbe sbagliato affermare che la maggior parte dei progettisti non sia sensibile alle
problematiche del risparmio energetico, perché sono sempre più frequenti i capitolati che impongono
dei valori minimi di efficienza delle macchine. Il punto è che, spesso, l’analisi è limitata solo alle
condizioni di massimo carico, irrilevanti dal punto di vista energetico. Le valutazioni, invece, vanno
fatte globalmente, considerando che in Italia, per un impianto civile, il carico energeticamente più
significativo è quello compreso tra il 35% ed il 75% del massimo ed in questo intervallo va
ottimizzato l’efficienza.
Imporre un valore di EER minimo al 100% del carico e a 35°C dell’aria esterna è poco
indicativo. I costruttori statunitensi forniscono generalmente anche dei diagrammi in parzializzazione,
soprattutto per le macchine a vite e con i compressori centrifughi. Questi valori sono ottenuti
applicando le norme ARI STANDARD che prevedono l’abbassamento di 1,4°C della temperatura
di condensazione ogni 10% di parzializzazione: una macchina ad acqua di torre con mandata al
condensatore di 30°C a pieno carico dovrebbe essere alimentata a 23°C al 50% del carico. Una
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simile riduzione può essere anche vera in un clima secco, come quello continentale, non certo nei
nostri climi umidi. A Venezia, Bologna, Milano, dove in estate si possono avere temperature di 26°C
con oltre l’80% di umidità relativa, difficilmente si può avere lo stesso rapporto tra condensazione e
percentuale di carico, perché le torri evaporative lavorano male con elevata umidità dell’aria. Non a
caso le norme UNI prevedono un decremento di 0,5°C ogni 10% di parzializzazione, molto più
realistica nei nostri climi.
L’influenza di queste considerazioni nella scelta del gruppo frigorifero appare chiara osservando
la figura 3 dove sono riportate le curve di efficienza di una macchina dotata di un vite aperto rispetto
ad una con quattro compressori alternativi semiermetici, calcolato sia secondo le norme ARI
STANDARD che secondo le norme UNI. Una macchina con quattro compressori a vite
semiermetici avrebbe più o meno le stesse curve di quella con gli alternativi.
8
7
EER
6
5
4
3
2
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90% 100%
CARICO [%]
ARI STANDARD - 1 vite aperto
ARI STANDARD - 4 alternativi
UNI - 1 vite aperto
UNI - 4 alternativi
Figura 3: andamento dell’efficienza in funzione del carico, secondo le norme ARI STANDARD e
UNI
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Come si vede l’andamento dell’efficienza è nettamente diverso, decisamente più ottimistico
quello secondo ARI STANDARD. In particolare secondo questa norme, i valori di EER di un vite
aperto rimangono al di sopra 5 fino al 30% del carico, mentre applicando le più realistiche UNI
questa soglia è varcata già al 45%.
La figura mostra come macchine diverse siano adatti ad impianti diversi. Se il carico
dell’impianto è mediamente costante ed elevato, la scelta di una macchina con un compressore a vite
ad elevata efficienza è sostanzialmente corretta; viceversa può essere negativa lavorando al di sotto
del 60% della potenza massima richiesta. Ecco perché fissare un valore di EER minimo alle
condizioni nominali, non solo è poco indicativo, ma può essere addirittura fuorviante.
Un aspetto generalmente in netta contraddizione con gli obiettivi del risparmio energetico è
generalmente quello dei valori di umidità relativa ambiente di progetto. E’ stato dimostrato da anni la
scarsa influenza sul comfort dell’umidità relativa nelle condizioni di benessere. Valori elevati
disturbano solamente quando la temperatura dell’aria è superiore ai 30°C. Nelle condizioni di
progetto, quindi, è assolutamente indifferente, dal punto di vista del benessere, mantenere il 50% o il
60% di umidità relativa. Non lo è, però, dal punto di vista energetico: il risparmio ottenibile
aumentando del 10% il valore controllato è mostrato in figura 4.
La spesa energetica per l’aria di rinnovo diminuisce rapidamente al diminuire della temperatura
dell’aria esterna e della sua umidità relativa. In termini relativi i risparmi sono notevoli, soprattutto
nelle condizioni climatiche di maggior frequenza durante la stagione.
Inoltre l’aumento del valore dell’umidità ambiente porta altri due vantaggi: si allarga la fascia
delle condizioni in cui è possibile utilizzare il free-cooling e si può far lavorare il gruppo frigorifero con
temperatura di produzione più elevata, e, quindi, con miglior efficienza.
Malgrado ciò, la maggior parte dei progetti ancora oggi stabilisce il 50% di UR come
condizione ottimale.
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100%
90%
RISPARMIO [%]
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
TEMPERATURA ARIA ESTERNA [°C]
UR = 50%
UR = 60%
UR = 70%
UR = 80%
Figura 4: risparmio percentuale, in funzione delle condizioni esterne, sull’energia spesa per l’aria di
rinnovo, ottenibile mantenendo in ambiente il 60% di UR, invece che il 50% (temperatura
interna di 26°C)
Un’altra cattiva abitudine difficile da debellare è la tendenza ad imporre nei gruppi frigoriferi
temperature di produzione non consone all’obbiettivo del risparmio energetico. Se in un refrigeratore
alzare la temperatura dai tradizionali 7°C ai 10°C può portare ad un risparmio del 5%, ben più
importanti sono le conseguenze con le pompe di calore, così come mostrato in figura 5.
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130%
VARIAZIONE COP
120%
110%
100%
90%
80%
35
40
45
50
55
TEMPERATURA DI PRODUZIONE [°C]
Figura 5: variazione del COP di una pompa di calore in funzione della temperatura di produzione
dell’acqua al condensatore
Per diminuire la superficie delle batterie, molti progettisti hanno la mania di spingere a 50°C ed
oltre la temperatura in uscita dalle pompe di calore. Tralasciando la maggior usura dei compressori,
energeticamente è assolutamente deleterio, perché si ha una perdita del 10% dell’efficienza, rispetto
ai tradizionali 45°C. Tradizionali, ma comunque ancora troppo elevati: con batterie adeguate si può
scendere a 40°C, con un miglioramento del 10% dell’efficienza. Obiezione tipica: batterie con più
ranghi costano di più. L’energia elettrica, invece, la regalano! Di sicuro, non la paga il progettista.
Utilizziamo l’elettronica negli impianti in mille modi, abbiamo perfino sistemi di gestione che ci
sanno dire l’apertura della valvola del 24° fan-coil al sesto piano, ma difficilmente di queste
informazioni facciamo un uso sensato. Facilmente ottenibile, ma quasi mai applicata, è la
compensazione della temperatura di produzione in funzione dell’effettiva richiesta dell’impianto. Se
tutte le valvole dei terminali sono in chiusura parziale, significa che la temperatura di produzione è
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eccessiva (troppo fredda in estate o troppo calda in inverno): parallellando il segnale delle valvole
(non servono tutte, bastano le principali), è possibile compensare il set – point assegnato al gruppo
frigorifero, facendolo lavorare ad una temperatura tale per cui il corpo più sfavorito, ovverosia quello
che richiede più carico, lavori con valvola completamente aperta. In questo modo si ottimizza
l’efficienza del gruppo, soprattutto nelle mezze stagioni, quelle più rilevanti dal punto di vista del
consumo, e nel contempo si possono utilizzare batterie di serie, giacché la produzione alle
temperature poco convenienti energeticamente si limita a brevi periodi nel corso dell’anno.
3.2 La fase di installazione
L’elemento debole del settore della climatizzazione è attualmente rappresentato dal mondo
dell’installazione. Ridimensionati dalla crisi degli anni passati, costretti a lavorare con margini
praticamente nulli, gli installatori sono costretti a limare su ogni singolo particolare del loro lavoro, se
vogliono sopravvivere.
Questa situazione è scandalosa, dovuta alla dabbenaggine dei clienti finali, dai loro uffici acquisti
e colpevolmente sostenuta anche dai progettisti. L’Italia un paese ben strano, pieno di furbi: sembra
quasi che ognuno pensi di essere l’unico in diritto di guadagnare e che gli altri debbano invece
lavorare gratis. Nessuno regala nulla: quando si capirà questa verità, quando si smetteranno di
applicare condizioni capestro, pagamenti a babbo morto, quando soprattutto anche i progettisti
capiranno che una ditta seria, quindi più costosa, è il loro miglior alleato, probabilmente le cose
cambieranno.
Non che gli installatori siano esenti da colpe, anzi. Sono nato in una ditta installatrice, ho
frequentato l’ASSISTAL, mi sento molto solidale con la categoria, ma in essa ci sono soggetti che
andrebbero radiati. Ultimamente mi sono trovato alle prese con un bell’impianto, innovativo, con
valori di efficienza molto elevati, costoso si, ma con tempi di rientro dell’investimento inferiori ai 2
anni, il cliente finale convinto, un progettista tosto, impegnato a difendere con le unghie il proprio
progetto. Situazione davvero ideale, ma che è successo? Delle quattro ditte contattate, tre hanno
tentato di stravolgere il progetto, offrendo soluzioni tradizionali, meno costose, cercando di far
passare per fantasie le conclusioni del progettista. Risultato finale: le tre ditte hanno perso il lavoro e
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l’unica seria per aggiudicarselo ha dovuto fare un prezzaccio, sotto la minaccia del cliente finale di
lasciar perdere tutto e affidarsi a chi offriva il prezzo inferiore.
Questo è il mercato attuale, e, fintantoché il costo dell’energia non sarà davvero legato alle reali
prestazioni, difficilmente le aziende più serie avranno vita facile.
3.2 La manutenzione e la gestione
Manutenzione e gestione sono belle parole, spesso citate nei nostri convegni, difficilmente
tradotte in pratica.
Quando va bene, si ritiene che far manutenzioni sugli impianti significhi semplicemente fare un
contratto con un frigorista. Nulla di più sbagliato: innanzitutto il contratto di manutenzione può
garantire il corretto funzionamento della macchina, non necessariamente la miglior efficienza
energetica. Un esempio eclatante è dato dalle pompe di calore con sistemi di sbrinamento
tradizionali: un frigorista imporrà dei tempi minimi tra ciclo di tutta sicurezza, per evitare che la
macchina si fermi per blocco di bassa pressione, a discapito del consumo. Esempi come questi se ne
possono fare all’infinito: la morale è che non si può delegare l’impianto a chi abbia obbiettivi diversi
da quelli del costo energetico.
Le soluzioni ci sarebbero: si può affidare l’impianto con un contratto di vendita del calore, in
modo che l’interesse del gestore sia quello di migliorare l’efficienza del sistema, in modo da
aumentare il proprio utile. Si può anche concludere contratti tradizionali, imponendo ai costruttori dei
componenti prima, e ai manutentori poi, il rispetto di valori di efficienza in diverse condizioni di
funzionamento. Non è difficile come sembra, basta installare degli strumenti di misura sul campo in
modo da tenere sempre sotto controllo l’andamento dell’impianto.
Sembra incredibile: spendiamo centinaia di milioni per le regolazioni, ma è quasi più facile
incontrare una foca monaca nel Mediterraneo che un misuratore di energia negli impianti di
condizionamento. Costano, è ovviamente la risposta.
Il loro utilizzo è duplice: da un lato permettono di verificare sul campo le effettive rese delle
macchine, dall’altro il loro permanere nel tempo. Negli ultimi anni la certificazione in qualità prima, le
norme Eurovent poi, hanno fatto illudere i progettisti e gli utilizzatori finali di avere la certezza delle
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prestazioni dichiarate dai costruttori. Purtroppo non è così: in troppi ciurlano nel manico, o barando
spudoratamente o manipolando furbescamente i dati. Né danno garanzia assoluta i collaudi effettuati
presso le sale prova dei costruttori, nelle quali i trucchi per addomesticare i risultati si sprecano. Le
certificazioni comunque, rispetto al caos totale di qualche anno fa, rappresentano sicuramente un
passo in avanti, ma per evitare che iniziative simili rimangano specchietti per le allodole è necessario
introdurre negli impianti adeguati strumenti di misura, cosa d’altra parte già largamente diffusa
all’estero.
Tale strumentazione non ha il solo compito di prendere i furbi con le mani nel sacco, bensì
soprattutto quello di verificare la permanenza delle condizioni ottimali di funzionamento del sistema
durante la propria vita. D’altra parte, degli strumenti di misura della portata d’acqua sono presenti,
per norma, sui circuiti delle caldaie, proprio per poterne verificare il rendimento: non si comprende,
per quale motivo, debbano esserne esenti i gruppi frigoriferi.
I fattori che possono alterare l’efficienza di un gruppo frigorifero sono molteplici: basta cambiare
un parametro del sistema di regolazione, come un set point o un differenziale, oppure modificare una
portata d’acqua per ridurla di qualche punto percentuale. Come recita una delle leggi di Murphy, è
impossibile progettare un sistema a prova d’idiota, visto quanto ingegnosi sono gli idioti. Pertanto è
necessario controllare in continuazione il permanere delle condizioni ideali.
Oltre alla dabbenaggine o ai naturali errori, la sporcizia e l’usura dei componenti tendono a
peggiorare la situazione. La figura 6 mostra la variazione di efficienza di un refrigeratore in funzione
del fattore di sporcamento dell’evaporatore e della portata d’aria sul condensatore, modificata a sua
volta dalla sporcizia accumulata.
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100%
EER
95%
90%
85%
0
0,00005
0,0001
0,00015
0,0002
0,00025
0,0003
0,00035
0,0004
FATTORE DI SPORCAMENTO [m2 °C/W]
Portata aria 100%
Portata aria 90%
Portata aria 80%
Portata aria 70%
Figura 6: variazione dell’EER in funzione del fattore di sporcamento dell’evaporatore e della portata
d’aria nella batteria condensante
I ventilatori assiali hanno delle curve piatte, per cui basta una piccola perdita di carico aggiuntiva
per modificare di molto la portata d’aria. Non è solamente la sporcizia a contribuire al fenomeno:
spesso è la stessa installazione scorretta, con distanze minime tra batterie ed ostacoli non rispettate a
provocare una drastica riduzione della portata, oppure, più banalmente, dei colpi subiti sulla
superficie delle batterie stesse con conseguente piegatura irregolare delle alette.
Nelle pompe di calore le conseguenza sono ancora più gravi, in quanto la riduzione di portata
d’aria anticipa l’insorgere di brina, con conseguente necessità di effettuare cicli di sbrinamento anche
con elevate temperature dell’aria, così come mostrato in figura 7.
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120%
110%
COP [%]
100%
90%
80%
70%
60%
50%
-10
-5
0
5
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TEMPERATURA ARIA [°C]
Condizioni di catalogo
Condesatore sporco - 100% portata
Condesatore sporco - 90% portata
Condesatore sporco - 80% portata
Figura 7: variazione percentuale del COP in funzione della portata d’aria (curve tracciate con UR =
90%)
Nelle pompe di calore, inoltre, l’evaporatore/condensatore tende a sporcarsi maggiormente per
il deposito di calcare durante il funzionamento invernale.
I circuiti dell’impianto sono a circuito chiuso, per cui, se le tubazioni non vengono svuotate,
dopo un primo aumento del fattore di sporcamento, questo tende a rimanere sostanzialmente
costante per tutta la vita dell’impianto. Viceversa, negli impianti con torre o acqua di pozzo, i
condensatori possono sporcarsi anche molto rapidamente, in alcune situazioni sfavorevoli,
analogamente alle batterie delle macchine condensate ad aria.
Comunque sia, le perdite di efficienza nel corso del funzionamento possono raggiungere valori
compresi tra un 5% ed il 10%, nel caso di refrigeratori, per salire ulteriormente nel caso di pompe di
calore.
Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale
4. Conclusioni
Il risparmio energetico, ai fini della salvaguardia ambientale, può essere ambientale può essere
correttamente perseguito purché agli sbandierati propositi politici seguano delle azioni coerenti.
L’azione deve necessariamente partire dai governanti che debbono incentivare i sistemi
innovativi e a basso consumo non tanto con finanziamenti a fondo perduto, deleteri per la creazione
di una adeguata cultura, quanto piuttosto con un sistema di tassazione che penalizzi molto la bassa
efficienza energetica. Questo metodo, già in vigore nel caso della cogenerazione, ha il duplice
vantaggio di favorire la qualità costruttiva ed il rispetto delle condizioni dichiarate dal fabbricante e di
costringere l’utente finale a mantenere in piena efficienza il sistema nel tempo, mediante una
conduzione adeguata. Iniziative tese a premiare solamente i valori nominali, senza alcun controllo
serio per sul campo, non portano a nessun risultato concreto, se non quello di creare opportunità ai
più furbi per mungere un po’ di risorse dallo Stato.
Un sistema di tassazione legato ai risultati sul campo costringerebbe i progettisti ad effettuare
delle analisi energetiche serie e molte delle incongruenze ancora oggi presenti in troppi lavori
sparirebbero immediatamente.
Gli installatori più qualificati ne trarrebbero un indubbio vantaggio, perché l’alta efficienza
energetica passa solo per una buona installazione, rispettosa delle indicazioni dei costruttori, possibile
solo con margini di guadagno corretti per tutti. Analogamente il mercato premierebbe solamente i
costruttori più seri, chi fosse in grado di costruire macchine con elevata efficienza anche nella realtà,
non solo sulla carta.