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Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale M ICHELE VIO RC Group - Pavia Affronto sempre il tema dell’inquinamento ambientale partendo da un’osservazione banale: in natura, qualsiasi concentrazione di energia, un uragano, un fiume in piena, un vulcano in eruzione, è distruttiva. E’ una pura velleità dell’uomo arrivare laddove neppure la natura stessa può e pretendere di concentrare energia senza alterare in alcun modo l’ambiente. Non può esistere energia pulita, almeno non con le densità oggigiorno necessarie. L’energia solare, l’eolica e la idroelettrica sono pulite fino a quando la potenza generata non è ingente, altrimenti qualche scompenso nel microclima del luogo di produzione lo producono anche loro. Se così non fosse, avrebbe avuto ragione quell’inventore un po’ bislacco che una quindicina d’anni fa propose, in una trasmissione televisiva di successo, di abbattere il monte Turchino per eliminare la nebbia in Val Padana. Un esempio clamoroso in tal senso è rappresentato dalla costruzione della nuova diga di Assuan che non solo ha modificato la geografia di un’intera regione, creando un lago artificiale di 500 km di lunghezza per 200 di larghezza, ma soprattutto, bloccando l’afflusso del limo, ha sconvolto i millenari effetti delle piene del Nilo. La strada della salvaguardia dell’ambiente, quindi, non passa solamente per la ricerca di sistemi di produzione dell’energia sempre più efficienti, ma anche dalla razionalizzazione del suo uso. Cosa può fare il mondo del condizionamento dell’aria in questo senso? Poco, purtroppo, in positivo, giacché le politiche, tariffarie, fiscali e normative, che regolano il settore sono finora state decise senza un nostro reale coinvolgimento; molto di più in negativo, in quanto non si è ancora Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale sviluppata una vera cultura del risparmio energetico, sia dal punto di vista della progettazione, che soprattutto della gestione degli impianti. 1. Perché dobbiamo risparmiare energia Ne parliamo da così tanti anni di risparmio energetico che quasi ci siamo dimenticati del perché rimane un nostro obbiettivo. Negli anni 70 la guerra del Kippur e la conseguente crisi energetica ci gettarono nel panico: sedicenti esperti ci prospettarono scenari apocalittici da medioevo prossimo venturo, ipotizzando il rapido esaurimento delle riserve petrolifere. Cominciammo a consumare di meno per preservare le nostre risorse, nonché per salvaguardare il portafoglio, visto l’impennata dei costi energetici. Negli anni abbiamo scoperto l’inconsistenza di queste tetre profezie, tanto da aver vissuto quasi senza conseguenze la guerra del Golfo e l’incendio dei pozzi kuwaitiani; profezie comunque salutari, se alle soglie del 2000 il problema energetico è divenuta l’ultima delle nostre preoccupazioni: abbiamo imparato a diversificare le nostre fonti, ad utilizzarle in modo più razionale. Tuttavia, da una necessità, piano piano il risparmio energetico è diventato un optional: si persegue solo se conviene economicamente in tempi estremamente rapidi, difficilmente superiori ai tre anni. Questa logica, corretta nel caso dei privati, si è estesa anche al pubblico: è stato completamente disatteso il comma 16 dell’articolo 5 del DPR 412 26/8/93, ovvero il decreto di attuazione della legge 10/91, che impone chiaramente l’obbligo in edifici pubblici di ricorrere ad impianti utilizzanti fonti energetiche rinnovabili, qualora non sussistano impedimenti di natura tecnica o economica, dove questi ultimi sono intesi come investimenti con ritorno superiore agli 8 anni nei piccoli comuni e 10 nei comuni con più di 60.000 abitanti. La conferenza di Kyoto ci ha fatto aprire gli occhi e il tema del risparmio energetico è diventato nuovamente un’emergenza, questa volta non più economica, ma ambientale. Il problema dell’effetto serra sembra effettivamente serio e gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati richiedono l’apporto di tutti. Personalmente ho sempre ritenuto una clamorosa bufala la battaglia condotta contro l’R22, nata più da calcoli commerciali che da reale necessità. Sul problema dell’effetto serra preferisco sospendere ogni giudizio, prendendone semplicemente atto e, come Garibaldi a Teano, rispondere Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale con un bel “Obbedisco”. Comunque sia, per chi ama questo mestiere, la sfida della riduzione dei consumi è estremamente allettante. E’ comunque interessante esaminare i valori di emissione di CO2 media annua per abitante per le diverse zone geografiche. Colpisce, in particolare, l’enorme differenza tra aree sviluppate ed aree depresse: prevedendo un naturale sviluppo di queste ultime, si può capire la necessità di imporre un tetto alle emissioni dei paesi più industrializzati. Africa Estremo oriente America latina Europa Nord America, Australia, Giappone 0 5 10 15 20 25 EMISSIONI CO2 per ABITANTE [tonnellate/anno] Figura 1: valori di emissione di CO2 per le varie zone geografiche 2. Il compito del governo L’Italia si è impegnata a ridurre, entro il 2010, del 6% le emissioni di CO2 facendo riferimento ai valori del 1990. Rispetto ai valori attuali, significa, più o meno, ridurle del 10%, impresa non certamente facile. Tralasciando le iniziative in altri settori, quale quello industriale e dei trasporti, nel campo della climatizzazione la riduzione delle emissioni può essere perseguita attraverso una politica atta a: Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale - ridurre i fabbisogni energetici - spingere le tecnologie ad alta efficienza energetica mediante una politica fiscale e tariffaria incentivante legata ai reali risultati ottenuti Inoltre, o sarebbe meglio dire prima di tutto, bisognerebbe seguire una politica coerente, con scelte durature, smettendola di cambiare le carte in tavola. Si deve, insomma, evitare ciò che sta accadendo nel campo della cogenerazione: il decreto Bersani ha fatto decadere il CIP 6 ben sue anni fa e, ad oggi, non è stato ancora sostituito. E’ una situazione gravissima: nessun consulente serio può proporre un investimento ad un proprio cliente, sapendo che da un giorno all’altro quanto ha previsto può cambiare completamente. E nessun amministratore oculato investirà mai una sola lira in questa incertezza. 2.1 La riduzione dei fabbisogni energetici Attualmente l’argomento è regolato dalla Legge 10, per quanto riguarda i fabbisogni invernali. E’ una buona legge, decisamente più evoluta rispetto alla 373/76. Purtroppo è il decreto di attuazione ad essere assolutamente demenziale, l’esempio tipico di come non si deve effettuare una valutazione energetica seria, basata cioè su fatti concreti, non sulle elucubrazioni di qualche visionario. Sull’argomento si sono spese fin troppe parole e ogni progettista ne ha un’opinione precisa, più o meno simile a quella del rag. Fantozzi a proposito del film “La corazzata Potenkim”. Sarebbe serio prenderne atto e rifare un decreto di attuazione che dia risultati più veritieri, oppure tornare ai cari vecchi calcoli della 373, che almeno avevano il pregio di unire causa ed effetto. Si sta preparando una estensione estiva della 10/91: se il principio è lo stesso, grazie tante, non ne abbiamo bisogno, abbiamo già dato. Effettuare delle valutazioni energetiche serie è sempre molto difficile, perché sono troppi i parametri influenti. Il vero controllo dell’energia spesa può essere effettuato più efficacemente sul campo, con una politica fiscale adeguata, piuttosto che a priori sulla carta. Quello di cui si sentirebbe assolutamente il bisogno è una sorta di Legge 10 per i consumi elettrici. Le potenze installate, negli edifici commerciali, aumenta sempre di più, a volte in modo Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale assolutamente ingiustificato: nei centri commerciali più recenti c’è la stessa illuminazione richiesta da un torneo ATP, l’associazione mondiale dei giocatori professionisti di tennis. 2.2 L’incentivazione del risparmio energetico mediante politiche fiscali e tariffarie premianti L’obiettivo dovrebbe essere duplice: agire sia verso i produttori e distributori dell’energia elettrica, in vista della liberalizzazione in atto, e degli altri combustibili, sia verso gli utilizzatori finali. Recentemente il governo ha introdotto la Carbon Tax, proprio con l’intento di limitare i consumi energetici. Così come è stata impostata, non sembra poter avere successo e difatti il Governo ha subito precisato trattarsi di un sistema per finanziare la lotta alla disoccupazione e delle non meglio identificate iniziative a favore dell’ambiente. Per renderla efficace, si dovrà necessariamente legarla ai risultati desiderati. Attualmente l’Italia è tra gli ultimi posti nei paesi della UE per quanto riguarda il valore delle emissioni di anidride carbonica per la produzione unitaria di energia elettrica. Nelle nostre centrali il rapporto è di 0,71 kg di CO2 per ogni kWh elettrico prodotto, contro il valore di 0,64 della Germania, quello di 0,51 medio per tutti i paesi UE e lo 0,13 della Francia, valore più basso in assoluto grazie all’utilizzo del nucleare e dell’idroelettrico in percentuali rilevanti. Il valore di produzione italiano dipende sia dalla conformazioni delle nostre centrali, sia dal sistema tariffario attualmente in vigore, unico in tutta Europa. Siamo l’unico paese, infatti, ad avere una tariffazione multioraria solamente a partire da potenze impegnate sopra i 400 kW. Tutti i nostri partners europei adottano questa tariffazione anche per le piccole potenze, con l’effetto di distribuire in modo più corretto il fabbisogno di energia durante l’arco delle 24 ore, appiattendo la curva dei consumi. Non a caso gli elettrodomestici più silenziosi sono di costruzione tedesca, proprio perché in quel paese è molto più conveniente utilizzarli nelle ore serali. Una curva piatta dei consumi permette di far lavorare con rendimento ottimizzato le centrali di produzione. Il loro rendimento elettrico, infatti, si abbatte molto rapidamente al diminuire del carico, cosa che avviene puntualmente nelle ore notturne. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale Nell’attuale regime di monopolio, con tariffe decise dal CIP, non vi è alcun interesse a migliorare le cose. In vista della liberalizzazione, però, la situazione può cambiare rapidamente, soprattutto se si dovesse legare la quota fiscale proprio al rapporto tra emissioni di anidride carbonica e produzione di energia elettrica. Sarebbero allora favoriti sia i distributori che importano da paesi come la Francia, sia i produttori che investano su nuove tecnologie e soprattutto chi riesca a ottimizzare la propria produzione offrendo interessanti tariffe differenziate. Potrebbe accadere quello che sta avvenendo per la telefonia mobile, nella quale è oramai possibile personalizzare la tariffa alle proprie esigenze con beneficio sia degli utenti, che delle compagnie in grado di ottimizzare la propria rete. Negli Stati Uniti, ove il libero mercato dell’energia ha una luna storia, sono proprio le compagnie elettriche ad incentivare la domanda piatta dei loro utenti, penalizzando molto i picchi di richiesta, con conseguente sviluppo, nel nostro settore, di sistemi di produzione alternativi, quali banche del ghiaccio e microcogenerazione. E’ fondamentale anche un livellamento della quota fiscale in funzione dell’effettivo potenziale inquinante. Attualmente il metano ha un carico fiscale di quasi 100 £ per ogni kg di anidride carbonica emessa, contro le circa 43 £ dell’energia elettrica. Dal punto di vista dell’utente finale, di chi cioè utilizza l’energia primaria per la climatizzazione, l’unico modo per favorire le nuove tecnologie è quello di legare la quota fiscale agli effettivi risultati ottenuti. In pratica, bisognerebbe esportare anche alle altre applicazioni, quanto già in atto per la cogenerazione, per la quale la defiscalizzazione è legata al rendimento elettrico di produzione. La figura 2 mostra il differente andamento percentuale del costo energetico nel caso la defiscalizzazione sia o meno legata al rendimento. Legando la quota fiscale ai risultati effettivi, la curva risulta più ripida in quanto il rendimento di produzione influisce due volte, sia sul consumo che sul costo stesso del combustibile. Nel caso della cogenerazione, l’utente finale ha tutto l’interesse di mantenere elevato il rendimento del sistema, perché la detrazione fiscale avviene in base ai valori misurati nei contatori di energia elettrica prodotta e del combustibile utilizzato. Analoghi metodi potrebbero essere impiegati negli impianti di climatizzazione, almeno in quelli al di sopra di una certa taglia, con il risultato sia di favori l’installazione di soluzioni ad alta efficienza energetica, sia soprattutto imporre la manutenzione Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale degli impianti, attualmente prevista sulla carta, sulla cui effettiva frequenza e qualità non esistono controlli adeguati. Un sistema fiscale di questo tipo favorirebbe l’espandersi ed il proliferare di aziende di vendita dell’energia termica, le uniche davvero interessate a mantenere sempre al massimo dell’efficienza gli impianti gestiti. 180% 170% COSTO PRODUZIONE [%] 160% 150% 140% 130% 120% 110% 100% 90% 80% 70% 60% 20% 25% 30% 35% 40% RENDIMENTO ELETTRICO defiscalizzazione legata al rendimento defiscalizzazione indipendente dal rendimento Figura 2: effetti sul costo di produzione derivanti dalla defiscalizzazione legata al rendimento di produzione 3. Il compito del settore impiantistico Il mondo della climatizzazione attualmente non influisce più di tanto nelle scelte politiche, anche se è auspicabile in futuro un maggior coinvolgimento di AiCARR, che ha il diritto, essendo Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale un’associazione culturale che raggruppa tutti i soggetti del settore, nonché il dovere nei confronti dei propri soci di far sentire la propria voce in modo deciso. La scelta impiantistica dell’utente finale è sempre improntata su un calcolo di pura convenienza economica. Su questa influiscono principalmente le tariffe dell’energia e le politiche fiscali, per cui, spesso, si devono scegliere controvoglia delle soluzioni impiantistiche tradizionali, anche laddove sarebbero auspicabili sistemi ad alta efficienza. Comunque, qualche cosa il nostro settore lo può fare, soprattutto cercando di evitare errori comunemente diffusi che portano influiscono notevolmente nel consumo dell’impianto. 3.1 La fase di progettazione Il compito del progettista dovrebbe essere fondamentale per la buona riuscita di un impianto. Purtroppo in Italia i consulenti non sono sufficientemente responsabilizzati e pagati di conseguenza. La fase di progetto non può e non deve essere disgiunta dalla direzioni dei lavori e dalla fase di messa in funzione dell’impianto. Inoltre, una vera cultura impiantistica si potrà raggiungere solamente quando il progettista sarà ritenuto responsabile anche dei risultati economici del proprio lavoro. Sarebbe sbagliato affermare che la maggior parte dei progettisti non sia sensibile alle problematiche del risparmio energetico, perché sono sempre più frequenti i capitolati che impongono dei valori minimi di efficienza delle macchine. Il punto è che, spesso, l’analisi è limitata solo alle condizioni di massimo carico, irrilevanti dal punto di vista energetico. Le valutazioni, invece, vanno fatte globalmente, considerando che in Italia, per un impianto civile, il carico energeticamente più significativo è quello compreso tra il 35% ed il 75% del massimo ed in questo intervallo va ottimizzato l’efficienza. Imporre un valore di EER minimo al 100% del carico e a 35°C dell’aria esterna è poco indicativo. I costruttori statunitensi forniscono generalmente anche dei diagrammi in parzializzazione, soprattutto per le macchine a vite e con i compressori centrifughi. Questi valori sono ottenuti applicando le norme ARI STANDARD che prevedono l’abbassamento di 1,4°C della temperatura di condensazione ogni 10% di parzializzazione: una macchina ad acqua di torre con mandata al condensatore di 30°C a pieno carico dovrebbe essere alimentata a 23°C al 50% del carico. Una Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale simile riduzione può essere anche vera in un clima secco, come quello continentale, non certo nei nostri climi umidi. A Venezia, Bologna, Milano, dove in estate si possono avere temperature di 26°C con oltre l’80% di umidità relativa, difficilmente si può avere lo stesso rapporto tra condensazione e percentuale di carico, perché le torri evaporative lavorano male con elevata umidità dell’aria. Non a caso le norme UNI prevedono un decremento di 0,5°C ogni 10% di parzializzazione, molto più realistica nei nostri climi. L’influenza di queste considerazioni nella scelta del gruppo frigorifero appare chiara osservando la figura 3 dove sono riportate le curve di efficienza di una macchina dotata di un vite aperto rispetto ad una con quattro compressori alternativi semiermetici, calcolato sia secondo le norme ARI STANDARD che secondo le norme UNI. Una macchina con quattro compressori a vite semiermetici avrebbe più o meno le stesse curve di quella con gli alternativi. 8 7 EER 6 5 4 3 2 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% CARICO [%] ARI STANDARD - 1 vite aperto ARI STANDARD - 4 alternativi UNI - 1 vite aperto UNI - 4 alternativi Figura 3: andamento dell’efficienza in funzione del carico, secondo le norme ARI STANDARD e UNI Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale Come si vede l’andamento dell’efficienza è nettamente diverso, decisamente più ottimistico quello secondo ARI STANDARD. In particolare secondo questa norme, i valori di EER di un vite aperto rimangono al di sopra 5 fino al 30% del carico, mentre applicando le più realistiche UNI questa soglia è varcata già al 45%. La figura mostra come macchine diverse siano adatti ad impianti diversi. Se il carico dell’impianto è mediamente costante ed elevato, la scelta di una macchina con un compressore a vite ad elevata efficienza è sostanzialmente corretta; viceversa può essere negativa lavorando al di sotto del 60% della potenza massima richiesta. Ecco perché fissare un valore di EER minimo alle condizioni nominali, non solo è poco indicativo, ma può essere addirittura fuorviante. Un aspetto generalmente in netta contraddizione con gli obiettivi del risparmio energetico è generalmente quello dei valori di umidità relativa ambiente di progetto. E’ stato dimostrato da anni la scarsa influenza sul comfort dell’umidità relativa nelle condizioni di benessere. Valori elevati disturbano solamente quando la temperatura dell’aria è superiore ai 30°C. Nelle condizioni di progetto, quindi, è assolutamente indifferente, dal punto di vista del benessere, mantenere il 50% o il 60% di umidità relativa. Non lo è, però, dal punto di vista energetico: il risparmio ottenibile aumentando del 10% il valore controllato è mostrato in figura 4. La spesa energetica per l’aria di rinnovo diminuisce rapidamente al diminuire della temperatura dell’aria esterna e della sua umidità relativa. In termini relativi i risparmi sono notevoli, soprattutto nelle condizioni climatiche di maggior frequenza durante la stagione. Inoltre l’aumento del valore dell’umidità ambiente porta altri due vantaggi: si allarga la fascia delle condizioni in cui è possibile utilizzare il free-cooling e si può far lavorare il gruppo frigorifero con temperatura di produzione più elevata, e, quindi, con miglior efficienza. Malgrado ciò, la maggior parte dei progetti ancora oggi stabilisce il 50% di UR come condizione ottimale. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale 100% 90% RISPARMIO [%] 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 TEMPERATURA ARIA ESTERNA [°C] UR = 50% UR = 60% UR = 70% UR = 80% Figura 4: risparmio percentuale, in funzione delle condizioni esterne, sull’energia spesa per l’aria di rinnovo, ottenibile mantenendo in ambiente il 60% di UR, invece che il 50% (temperatura interna di 26°C) Un’altra cattiva abitudine difficile da debellare è la tendenza ad imporre nei gruppi frigoriferi temperature di produzione non consone all’obbiettivo del risparmio energetico. Se in un refrigeratore alzare la temperatura dai tradizionali 7°C ai 10°C può portare ad un risparmio del 5%, ben più importanti sono le conseguenze con le pompe di calore, così come mostrato in figura 5. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale 130% VARIAZIONE COP 120% 110% 100% 90% 80% 35 40 45 50 55 TEMPERATURA DI PRODUZIONE [°C] Figura 5: variazione del COP di una pompa di calore in funzione della temperatura di produzione dell’acqua al condensatore Per diminuire la superficie delle batterie, molti progettisti hanno la mania di spingere a 50°C ed oltre la temperatura in uscita dalle pompe di calore. Tralasciando la maggior usura dei compressori, energeticamente è assolutamente deleterio, perché si ha una perdita del 10% dell’efficienza, rispetto ai tradizionali 45°C. Tradizionali, ma comunque ancora troppo elevati: con batterie adeguate si può scendere a 40°C, con un miglioramento del 10% dell’efficienza. Obiezione tipica: batterie con più ranghi costano di più. L’energia elettrica, invece, la regalano! Di sicuro, non la paga il progettista. Utilizziamo l’elettronica negli impianti in mille modi, abbiamo perfino sistemi di gestione che ci sanno dire l’apertura della valvola del 24° fan-coil al sesto piano, ma difficilmente di queste informazioni facciamo un uso sensato. Facilmente ottenibile, ma quasi mai applicata, è la compensazione della temperatura di produzione in funzione dell’effettiva richiesta dell’impianto. Se tutte le valvole dei terminali sono in chiusura parziale, significa che la temperatura di produzione è Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale eccessiva (troppo fredda in estate o troppo calda in inverno): parallellando il segnale delle valvole (non servono tutte, bastano le principali), è possibile compensare il set – point assegnato al gruppo frigorifero, facendolo lavorare ad una temperatura tale per cui il corpo più sfavorito, ovverosia quello che richiede più carico, lavori con valvola completamente aperta. In questo modo si ottimizza l’efficienza del gruppo, soprattutto nelle mezze stagioni, quelle più rilevanti dal punto di vista del consumo, e nel contempo si possono utilizzare batterie di serie, giacché la produzione alle temperature poco convenienti energeticamente si limita a brevi periodi nel corso dell’anno. 3.2 La fase di installazione L’elemento debole del settore della climatizzazione è attualmente rappresentato dal mondo dell’installazione. Ridimensionati dalla crisi degli anni passati, costretti a lavorare con margini praticamente nulli, gli installatori sono costretti a limare su ogni singolo particolare del loro lavoro, se vogliono sopravvivere. Questa situazione è scandalosa, dovuta alla dabbenaggine dei clienti finali, dai loro uffici acquisti e colpevolmente sostenuta anche dai progettisti. L’Italia un paese ben strano, pieno di furbi: sembra quasi che ognuno pensi di essere l’unico in diritto di guadagnare e che gli altri debbano invece lavorare gratis. Nessuno regala nulla: quando si capirà questa verità, quando si smetteranno di applicare condizioni capestro, pagamenti a babbo morto, quando soprattutto anche i progettisti capiranno che una ditta seria, quindi più costosa, è il loro miglior alleato, probabilmente le cose cambieranno. Non che gli installatori siano esenti da colpe, anzi. Sono nato in una ditta installatrice, ho frequentato l’ASSISTAL, mi sento molto solidale con la categoria, ma in essa ci sono soggetti che andrebbero radiati. Ultimamente mi sono trovato alle prese con un bell’impianto, innovativo, con valori di efficienza molto elevati, costoso si, ma con tempi di rientro dell’investimento inferiori ai 2 anni, il cliente finale convinto, un progettista tosto, impegnato a difendere con le unghie il proprio progetto. Situazione davvero ideale, ma che è successo? Delle quattro ditte contattate, tre hanno tentato di stravolgere il progetto, offrendo soluzioni tradizionali, meno costose, cercando di far passare per fantasie le conclusioni del progettista. Risultato finale: le tre ditte hanno perso il lavoro e Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale l’unica seria per aggiudicarselo ha dovuto fare un prezzaccio, sotto la minaccia del cliente finale di lasciar perdere tutto e affidarsi a chi offriva il prezzo inferiore. Questo è il mercato attuale, e, fintantoché il costo dell’energia non sarà davvero legato alle reali prestazioni, difficilmente le aziende più serie avranno vita facile. 3.2 La manutenzione e la gestione Manutenzione e gestione sono belle parole, spesso citate nei nostri convegni, difficilmente tradotte in pratica. Quando va bene, si ritiene che far manutenzioni sugli impianti significhi semplicemente fare un contratto con un frigorista. Nulla di più sbagliato: innanzitutto il contratto di manutenzione può garantire il corretto funzionamento della macchina, non necessariamente la miglior efficienza energetica. Un esempio eclatante è dato dalle pompe di calore con sistemi di sbrinamento tradizionali: un frigorista imporrà dei tempi minimi tra ciclo di tutta sicurezza, per evitare che la macchina si fermi per blocco di bassa pressione, a discapito del consumo. Esempi come questi se ne possono fare all’infinito: la morale è che non si può delegare l’impianto a chi abbia obbiettivi diversi da quelli del costo energetico. Le soluzioni ci sarebbero: si può affidare l’impianto con un contratto di vendita del calore, in modo che l’interesse del gestore sia quello di migliorare l’efficienza del sistema, in modo da aumentare il proprio utile. Si può anche concludere contratti tradizionali, imponendo ai costruttori dei componenti prima, e ai manutentori poi, il rispetto di valori di efficienza in diverse condizioni di funzionamento. Non è difficile come sembra, basta installare degli strumenti di misura sul campo in modo da tenere sempre sotto controllo l’andamento dell’impianto. Sembra incredibile: spendiamo centinaia di milioni per le regolazioni, ma è quasi più facile incontrare una foca monaca nel Mediterraneo che un misuratore di energia negli impianti di condizionamento. Costano, è ovviamente la risposta. Il loro utilizzo è duplice: da un lato permettono di verificare sul campo le effettive rese delle macchine, dall’altro il loro permanere nel tempo. Negli ultimi anni la certificazione in qualità prima, le norme Eurovent poi, hanno fatto illudere i progettisti e gli utilizzatori finali di avere la certezza delle Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale prestazioni dichiarate dai costruttori. Purtroppo non è così: in troppi ciurlano nel manico, o barando spudoratamente o manipolando furbescamente i dati. Né danno garanzia assoluta i collaudi effettuati presso le sale prova dei costruttori, nelle quali i trucchi per addomesticare i risultati si sprecano. Le certificazioni comunque, rispetto al caos totale di qualche anno fa, rappresentano sicuramente un passo in avanti, ma per evitare che iniziative simili rimangano specchietti per le allodole è necessario introdurre negli impianti adeguati strumenti di misura, cosa d’altra parte già largamente diffusa all’estero. Tale strumentazione non ha il solo compito di prendere i furbi con le mani nel sacco, bensì soprattutto quello di verificare la permanenza delle condizioni ottimali di funzionamento del sistema durante la propria vita. D’altra parte, degli strumenti di misura della portata d’acqua sono presenti, per norma, sui circuiti delle caldaie, proprio per poterne verificare il rendimento: non si comprende, per quale motivo, debbano esserne esenti i gruppi frigoriferi. I fattori che possono alterare l’efficienza di un gruppo frigorifero sono molteplici: basta cambiare un parametro del sistema di regolazione, come un set point o un differenziale, oppure modificare una portata d’acqua per ridurla di qualche punto percentuale. Come recita una delle leggi di Murphy, è impossibile progettare un sistema a prova d’idiota, visto quanto ingegnosi sono gli idioti. Pertanto è necessario controllare in continuazione il permanere delle condizioni ideali. Oltre alla dabbenaggine o ai naturali errori, la sporcizia e l’usura dei componenti tendono a peggiorare la situazione. La figura 6 mostra la variazione di efficienza di un refrigeratore in funzione del fattore di sporcamento dell’evaporatore e della portata d’aria sul condensatore, modificata a sua volta dalla sporcizia accumulata. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale 100% EER 95% 90% 85% 0 0,00005 0,0001 0,00015 0,0002 0,00025 0,0003 0,00035 0,0004 FATTORE DI SPORCAMENTO [m2 °C/W] Portata aria 100% Portata aria 90% Portata aria 80% Portata aria 70% Figura 6: variazione dell’EER in funzione del fattore di sporcamento dell’evaporatore e della portata d’aria nella batteria condensante I ventilatori assiali hanno delle curve piatte, per cui basta una piccola perdita di carico aggiuntiva per modificare di molto la portata d’aria. Non è solamente la sporcizia a contribuire al fenomeno: spesso è la stessa installazione scorretta, con distanze minime tra batterie ed ostacoli non rispettate a provocare una drastica riduzione della portata, oppure, più banalmente, dei colpi subiti sulla superficie delle batterie stesse con conseguente piegatura irregolare delle alette. Nelle pompe di calore le conseguenza sono ancora più gravi, in quanto la riduzione di portata d’aria anticipa l’insorgere di brina, con conseguente necessità di effettuare cicli di sbrinamento anche con elevate temperature dell’aria, così come mostrato in figura 7. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale 120% 110% COP [%] 100% 90% 80% 70% 60% 50% -10 -5 0 5 10 15 TEMPERATURA ARIA [°C] Condizioni di catalogo Condesatore sporco - 100% portata Condesatore sporco - 90% portata Condesatore sporco - 80% portata Figura 7: variazione percentuale del COP in funzione della portata d’aria (curve tracciate con UR = 90%) Nelle pompe di calore, inoltre, l’evaporatore/condensatore tende a sporcarsi maggiormente per il deposito di calcare durante il funzionamento invernale. I circuiti dell’impianto sono a circuito chiuso, per cui, se le tubazioni non vengono svuotate, dopo un primo aumento del fattore di sporcamento, questo tende a rimanere sostanzialmente costante per tutta la vita dell’impianto. Viceversa, negli impianti con torre o acqua di pozzo, i condensatori possono sporcarsi anche molto rapidamente, in alcune situazioni sfavorevoli, analogamente alle batterie delle macchine condensate ad aria. Comunque sia, le perdite di efficienza nel corso del funzionamento possono raggiungere valori compresi tra un 5% ed il 10%, nel caso di refrigeratori, per salire ulteriormente nel caso di pompe di calore. Quo vadis? Riflessioni ad alta voce sul risparmio energetico e sulla compatibilità ambientale 4. Conclusioni Il risparmio energetico, ai fini della salvaguardia ambientale, può essere ambientale può essere correttamente perseguito purché agli sbandierati propositi politici seguano delle azioni coerenti. L’azione deve necessariamente partire dai governanti che debbono incentivare i sistemi innovativi e a basso consumo non tanto con finanziamenti a fondo perduto, deleteri per la creazione di una adeguata cultura, quanto piuttosto con un sistema di tassazione che penalizzi molto la bassa efficienza energetica. Questo metodo, già in vigore nel caso della cogenerazione, ha il duplice vantaggio di favorire la qualità costruttiva ed il rispetto delle condizioni dichiarate dal fabbricante e di costringere l’utente finale a mantenere in piena efficienza il sistema nel tempo, mediante una conduzione adeguata. Iniziative tese a premiare solamente i valori nominali, senza alcun controllo serio per sul campo, non portano a nessun risultato concreto, se non quello di creare opportunità ai più furbi per mungere un po’ di risorse dallo Stato. Un sistema di tassazione legato ai risultati sul campo costringerebbe i progettisti ad effettuare delle analisi energetiche serie e molte delle incongruenze ancora oggi presenti in troppi lavori sparirebbero immediatamente. Gli installatori più qualificati ne trarrebbero un indubbio vantaggio, perché l’alta efficienza energetica passa solo per una buona installazione, rispettosa delle indicazioni dei costruttori, possibile solo con margini di guadagno corretti per tutti. Analogamente il mercato premierebbe solamente i costruttori più seri, chi fosse in grado di costruire macchine con elevata efficienza anche nella realtà, non solo sulla carta.