Intervento di Claudio Fiore
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Intervento di Claudio Fiore
LA VITA PER LA LEGALITÀ Incontro con Rita Borsellino Lucca, 28 maggio 2003 presso il Palazzo della Provincia di Lucca Sala ex-Corte di Assise INTERVENTO DI CLAUDIO FIORE (La trascrizione dall’audio non è stata revisionata dall’autore) PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE I ragazzi di Paolo Io ripartirei da quello che diceva mia madre: la dignità che si cercava a tutti i costi di tirar fuori davanti alla gabbia del tribunale di Caltanissetta. Io questo l’avevo già provato prima ed era stato in un’occasione completamente diversa: era ai funerali dello zio. La gente che c’era intorno era amica: per lo più, ai funerali dello zio c’era Palermo. Non ho visto personalità, politici: ho visto cittadini che ci guardavano. In quel momento, la prima cosa che ho sentito è stato il dovere di far vedere che comunque non avevano piegato, che noi, in qualche modo, avremmo continuato.Già lì sentivo che non eravamo da soli. Qualche giorno dopo, in via D’Amelio la buca dell’autobomba fu transennata, con le transenne che si usano per i lavori stradali, e queste transenne divennero il luogo su cui la gente, le persone venivano a lasciare il loro pensiero, il loro ricordo la loro testimonianza: fotografie, fiori; chi lasciava il fazzoletto da scout, chi un crocifisso. Lasciavano veramente tutto, ed erano delle storie una più bella dell’altra, tanto che abbiamo messo un grosso pannello di legno per accogliere questi segni di solidarietà, di testimonianza. Poi, fu piantato l’albero, l’ulivo che volle la nonna, e quello divenne il posto dove davvero la memoria veniva conservata. Successe una cosa bellissima a proposito dei nomi degli agenti. Quando fu creata la lapide, su cui vennero incisi i nomi dello zio e degli agenti che erano con lui, ci si rese conto che, scritti uno sotto l’altro, formavano la scritta pace e le due v, segno di vittoria. (n. r. Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Valter Cusina) Fu un segno che lasciò tutti di stucco e a noi è stato impossibile, anche per questo, dimenticare questi nomi, perché non può essere un caso una cosa del genere. E poi da quell’albero siamo nati noi. Io non riesco quasi a ricordare come fosse la mia vita prima del ’92. E’ cambiato veramente tutto: adesso abito a Firenze, sono sposato; mia moglie l’ho conosciuta dopo il ’92, perché era venuta a cercare la storia dello zio Paolo. Così adesso vivo a Firenze, sono sposato ho anche 2 bambine. Cristina, in fondo alla sala, venne a Palermo come regalo per la promozione di terza media. Noi, affacciati al balcone, vedemmo questo visino di bambina che guardava in su e la invitammo a salire e così è cominciata la nostra storia, la storia del nostro gruppo intorno a quell’albero e all’albero Falcone. Abbiamo conosciuto una quantità immensa di ragazzi. Con alcuni siamo rimasti particolarmente legati: Cristina viene da Pordenone, ma c’erano ragazzi da tutta l’Italia, Milano, Torino veramente da tutta Italia, Firenze, appunto. Ci siamo ritrovati e abbiamo visto che stare lì e stare insieme ci dava forza. Tutti la pensavamo alla stessa maniera, cioè che non eravamo da soli, che alla fine c’è dappertutto un seme che può germogliare. Abbiamo cominciato a rivederci il 19 di luglio di ogni anno, che è diventata quasi una giornata di festa. Paradossalmente, mentre magari sotto casa ci sono manifestazioni ufficiali con le personalità del momento, più o meno sincere, che vengono a portare la corona di fiori, noi siamo su in casa con tutto questo gruppo di amici a fare memoria, come se lo zio Paolo fosse lì. Perché lo zio Paolo con noi era veramente eccezionale: non credo che riuscirei a trovare delle parole per rendervi anche una minima parte di quello che significava. Quando c’era lo zio Paolo era una festa: sia perché, naturalmente, era una figura importante, importante nel senso più alto della parola, e un bambino, un ragazzino, subisce l’influsso di una persona importante, sia perché a lui piaceva tantissimo stare con i ragazzi e si divertiva con i ragazzi. Questo è diventato lo spirito del nostro 19 di luglio. Fin dall’inizio abbiamo deciso di mettere in pratica quello che lo zio ci aveva indicato. Ci siamo resi conto che più o meno tutti eravamo impegnati: chi con un’associazione, chi a scuola, magari, portava avanti delle iniziative particolari. Abbiamo capito che bisognava diffondere quella frase che lo zio Paolo aveva detto: che bisogna fare tutti qualcosa, ognuno per quello che può, ognuno per quello che sa, per quanto piccolo. Così abbiamo deciso di unirci in associazione per dare un segno all’esterno, non per noi che siamo un gruppo di amici e rimaniamo un gruppo di amici, ma per dare un segno tangibile di quello che vogliamo fare. Quindi abbiamo scritto un libro in cui abbiamo raccontato il nostro percorso. E’ bello, perché in questo libro spesso si ritrova la giornata del 19 luglio del ’92: tutti abbiamo raccontato come abbiamo vissuto quella giornata: ci sono le esperienze più diverse e come, alla fine, ci hanno portato a una vita nuova. Questo libro è uscito nel ‘94 ed è diventato il nostro statuto. (n. r. I ragazzi di Paolo, EGA 1994) Abbiamo cercato di indirizzare questo nostro cammino, difficile perché siamo sparsi su tutto il territorio nazionale, siamo in pochi ma molto ben sparpagliati, e abbiamo cercato di portare questo nostro discorso a più gente possibile Soprattutto abbiamo pensato ai ragazzi, anche perché soprattutto ragazzi eravamo allora: ora qualche anno in più c’è. Volevamo parlare con i ragazzi, perché bisogna che ci sia la possibilità per tutti i bambini di crescere bene e allora abbiamo tirato su un progetto. Abbiamo trovato un’esperienza bellissima a Monreale, un paesino vicino a Palermo, dove una donna anziana con la sua pensione ha messo a disposizione la sua casa a bambini che casa non ne hanno, o subiscono magari i soprusi, le botte dei genitori o delle ragazze madri, e abbiamo deciso di fare dei campi di lavoro per aiutare questa signora. Da lì è partito il nostro lavoro come associazione: fare conoscere fuori questa realtà come inizio, per permettere a più gente possibile di venire a contatto con quella che è veramente Palermo. Perché davvero c’è, c’era tanta gente che di Palermo proprio non ne voleva sentir parlare. C’è stata gente che è venuta a Palermo e non ha potuto fare a meno di ritornare, ha dovuto davvero cambiare idea. Allora abbiamo pensato a questa sorta di gemellaggio ideale, chiamiamolo così, e abbiamo deciso di rivolgerci ai ragazzi, inizialmente, con questa idea del campo di lavoro. Ma, soprattutto, abbiamo voglia di raccogliere attorno a noi quanta più gente possibile che la pensi a questo modo, per vedere che siamo in tanti: lo sappiamo, ma è bello vedere che siamo in tanti e, possibilmente, anche per organizzare questo cammino, per poterlo portare a quante più persone possibile. C’è una frase che mi ha colpito molto. Fa parte di una canzone che risentii dopo il ’92, una canzone di Jovanotti scritta per ricordare una sua esperienza di partecipazione ai funerali degli agenti della scorta di Aldo Moro: il papa portò il suo bambino al funerale dove “non c’era neanche un morto parente, neanche un conoscente”, tanta gente seria, consapevole, era lì, pur non avendo una persona cara da piangere. Ecco non tanta gente dice, ma tante persone. Questo è diventato il mio chiodo fisso: tutti quanti siamo delle persone, ma non tutti se ne rendono conto; spesso non abbiamo il tempo di accorgercene, soprattutto perché nella vita - io adesso ho due bambine - non si fa altro che correre dalla mattina alla sera, non abbiamo più il tempo per pensare. Ma bisogna fermarsi a pensare, perché altrimenti rimaniamo gente; solo essendo persone nel senso vero della parola siamo consapevoli di tutte le nostre scelte e dei nostri atti e, in questa modo, non si può fare a meno di andare avanti. Questa è la cosa più importante che ho imparato e che cerco di fare tutti i giorni e che spero che possa essere il futuro di tutti quanti, anche di tutti voi. RITA BORSELLINO Volevo condividere per un attimo un’emozione con voi. La prima volta, quando che io lessi la testimonianza di questi ragazzi - che io conoscevo tutti, poi, perché li avevo incontrati in giro per l’Italia - quando lessi questo libro, mi commosse per le cose che ognuno era capace di dire e di tirare fuori con tanta intensità, ma soprattutto ebbi la possibilità di scoprire delle cose che scrivevano i miei figli che a me non avevano mai detto e fu la cosa che mi fece star bene: perché capivo che erano persone anche al di fuori di me. Perché le mamme hanno l’abitudine che tutto quello che appartiene ai figli appartiene a loro: ebbene io mi rendevo conto che ognuno aveva ormai dei luoghi dell’anima, della mente e del cuore che aveva tenuto per sé e che tirava fuori insieme ad altri ragazzi perché insieme volevano costruire qualcosa. Oggi è la prima volta che io sento parlare Claudio. E’ un’emozione grandissima: mi è sembrato di rivedere Claudio quando aveva un anno e cominciava a muovere i primi passi. L’ho sentito staccarsi da me la stessa emozione che ho provato allora oppure la prima volta che gli mettemmo tra le mani con grande timore un motorino e lo seguivamo con la macchina; io lo vedevo proiettarsi lontano con quel motore, ma capivo che stava camminando con le sue gambe. Oggi l’ho sentito parlare; con le sue parole ho sentito tirare fuori i suoi sentimenti e, credetemi, ho tanti motivi per ringraziarvi per avermi fatto tornare qui, ma questo credo che sia il motivo più bello.