Schede film discussi insieme 2009
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Schede film discussi insieme 2009
co”: le vite parallele di Lucas e di Roberts, il gangster e lo sbirro. Il problema del film è tutto lì (e si è aggravato quando, per la parte del poliziotto, è stato scelto un divo come Crowe): Lucas e Roberts devono avere la stessa presenza sullo schermo, e mentre la storia del primo è sconvolgente, quella del secondo è intessuta di cliché. Di sbirri onesti e macilenti, dalla vita privata devastata, ne abbiamo visti a centinaia. Ridley Scott si conferma un regista senz’anima: dategli un grande copione (“Blade Runner”, “Il gladiatore”, “Le crociate”) e farà un grande film, dategli una schifezza (Hannibal Lecter docet) e farà una schifezza. Qui fa un normale poliziesco, decisamente troppo lungo (157 minuti), senza minimamente scavare nella personalità di Lucas e senza raccontare la Harlem anni ‘60 e ‘70 che dovrebbe essere molto più di uno scenario. “American Gangster” è perfetto per una futura tesi di laurea sul tema: come prendere un’emozionante storia vera e trasformarla in un film falso. Alberto Crespi, L’Unità, 18 gennaio 2008 «Perché questa era la cosa giusta da fare». Lo sbirro non sa spiegarsi in altro modo né gli convengono forbiti proclami moralistici: più simile ai laconici guerrieri de “Gli intoccabili” che ai luciferini trasformisti di Scorsese, Mann e Cronenberg, l’eroe di «American Gangster» si contrappone all’antieroe sulla base di uno schema, come si dice, puro e duro. Da una parte l’ordine, la legalità, l’etica della comunità civile; dall’altra il caos, l’illegalità, l’individualismo della giungla: tenendo sempre presente, però, che le facce appartengono a un’unica medaglia antropologica e i duellanti cercano di conquistare sul ring della propria epoca il medesimo Sogno americano. Ridley Scott, grandissimo professionista svincolato dalle ossessioni d’autore, firma un gangster-film volutamente all’antica, grintoso, compatto, incalzante e sorretto da una formidabile accoppiata di mattatori della sfumatura: una scelta che potrebbe deludere qualche spettatore a causa delle inevitabili sensazioni di «già visto», ma che al contrario gli prospetta un quadro drammaturgico tutt’altro che conformistico. Quindi per apprezzare il film bisogna dimenticare Tarantino. Frank Lucas (Denzel Washington) e Richie Roberts (Russell Crowe) discendono, infatti, dalla documentata cronaca di fine anni Sessanta, quando la temibile e degradata Harlem assiste alla fine del superboss nero Bumpy Johnson e all’ascesa del suo ex guardaspalle American Gangster 64 FILM DISCUSSI INSIEME Frank Lucas. L’instabilità politica nazionale, accentuata dall’infausto esito dell’intervento in Vietnam, favorisce il lucido progetto di Frank d’imporre il proprio monopolio sul traffico di droga nell’area newyorkese: assicuratosi il via libera delle famiglie mafiose e procuratosi il contatto diretto con il cartello dell’eroina nel sud-est asiatico, l’uomo costruisce con pazienza e prudenza - ovviamente corredate da adeguata spietatezza - un’organizzazione a stampo familiare/ manageriale in grado di smerciare micidiali bustine di “Blue Magic” dalla purezza elevata e dal prezzo imbattibile. Il detective Roberts è il suo perfetto opposto: stropicciato e cafonesco, un corpaccione tra il muscoloso e il grasso, una vita privata disastrata e per di più detestato dai corrottissimi colleghi per la sua pragmatica incorruttibilità. L’Unità Speciale della sezione narcotici incarnerà, così, per lui una scelta di campo quanto mai brusca e dimessa: «Vengo dal New Jersey e qui i poliziotti arrestano i criminali». Un film di genere che vuole rimanere tale: del resto, sul piano degli accordi fotografici, del ritmo di montaggio, della ricostruzione ambientale e dell’accompagnamento musicale, Scott non teme confronti perché sa motivare i collaboratori giusti. Questa meticolosità di base non ha bisogno di overdose di violenza e di capriole psicologiche: al film basta scatenare il match a distanza tra i giganteschi protagonisti per fare capire come sotto il livido cielo degli anni Settanta siano stati sporchi e tragici la pianificazione e lo smantellamento di un dominio. Valerio Caprara, Il Mattino, 19 gennaio 2008 Ad Harlem, nel 1968, si celebra il funerale di un boss mafioso, ma di colore. Il religiosissimo Frank Lucas (Denzel Washington) è pronto a raccoglierne il testimone. È l’uomo del “cambiamento”, quello che vuole imporre la propria legge ai picciotti, ma anche ai fratelli. E comincia a importare droga purissima, approfittando della guerra in Vietnam, direttamente da Bangkok. La fa tagliare con latte in polvere e la trasforma in “blue magic”, mettendo tutta la famiglia (RZA, T.I.) a libro paga. Dall’altra parte della barricata c’è Richie Roberts (Russell Crowe), poliziotto che non si fa problemi di correttezza, e che ha il cervello per diventare un investigatore più scafato. In mezzo c’è una schiera di poliziotti marci fino al midollo, più mafiosi della mafia stessa. L’America vive l’eroina come una peste e il presidente Nixon alla TV la dichiara nemico pubblico numero uno. Ridley Scott A can Gangster regia RIDLEY SCOTT sceneggiatura STEVEN ZAILLIAN fotografia HARRIS SAVIDES musiche MARC STREITENFELD montaggio PIETRO SCALIA interpreti CUBA GOODING JR. - DENZEL WASHINGTON JOSH BROLIN - RUSSELL CROWE RIDLEY SCOTT 30.11.1937 - Northumberland (Gran Bretagna) 2008 2007 2006 2005 2003 2001 2001 2000 Nessuna verità American Gangster Un’ottima annata Le crociate Il genio della truffa Hannibal Black Hawk Down Il gladiatore nazione USA distribuzione UNIVERSAL durata 160’ 1997 1995 1992 1991 1989 1987 1985 1982 1979 1977 Soldato Jane L’albatross - Oltre la tempesta 1942 - La scoperta del Paradiso Thelma e Louise Black Rain - Pioggia sporca Chi protegge il testimone Legend Blade Runner Alien I duellanti American Gangster 61 La storia Frank Lucas e Richie Roberts sono rispettivamente un gangster e un poliziotto. Il primo compie in grande stile la sua rapida scalata al potere tra le fila del crimine organizzato grazie alla sua intelligenza e fermezza, applicando le sue capacità al traffico di droga. Trova inoltre la donna della sua vita e la sposa secondo tutte le regole del buon costume. La sua vita è ineccepibile, se non fosse per il fatto che è un gangster e un trafficante di droga. Il secondo fa invece fatica nel suo mondo perché, pur essendo onesto e incorruttibile, ha amicizie poco raccomandabili e una vita affettiva non proprio esemplare: è divorziato dalla moglie e non disdegna rapporti occasionali, come anche la compagnia di prostitute. Nonostante tutto e grazie alla sua incorruttibilità sul lavoro, però, Richie viene messo a capo di una squadra speciale anti droga. Il discusso poliziotto insegue l’irreprensibile criminale e alla fine riesce a incastrarlo. La critica Please lo possiamo subito passare tra i classici? Il gangster movie va immediato alle origini dei prototipi sociali made in USA. Qui Ridley Scott ritrova la vena e muove la macchina, i personaggi, vizi e virtù, pugni e carezze, illusioni e pugni in faccia, con senso del cinema ineluttabile e impaginazione da maestro. E ribalta le convenzioni: da un lato, nella New York ‘70 il boss nero, padrino tutto droga, Chiesa e famiglia (Denzel Washington, superbo, sottile vilain: difficile non diventar complici); dall’altro il detective dalla vita arruffata, con sentimenti sparsi, infelice ma costante e incorruttibile, un Russell Crowe che vorremmo definire, con ossimoro, misurato e sensibile. Tra i due si muove un carico di miliardi che alla fine trasloca. Come, quando e perché (inedito il traffico di droga nelle bare dei soldati morti nel Viet) è tutto da vedere a nervi saldi, a riprova che i film lunghi ma belli sembrano corti. Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 25 gennaio 2008 Se non il principe della città (il film di Lumet sulla corruzione di polizia), Frank Lucas era, a un certo punto, tra fine anni ‘60 e primi ‘70, il re di Harlem. Dalla storia vera del trafficante di eroina di colore che, American Gangster 62 FILM DISCUSSI INSIEME alla morte del suo boss, cambiò le regole e conquistò il mercato, il regista di “Blade Runner” trae un romanzo criminale di formazione nel contesto del nascente capitalismo della droga, affidato a un divo sicuro. Croce e delizia. Perché da un lato Washington imposta la sua regolare recitazione forte e concentrata intorno a un eroe negativo che inventa un suo modo di fare mercato con un certo stile. Dall’altro lato, proprio l’eleganza dell’attore, la sua tradizione borghese di «nero emancipato», riducono l’impatto del ruolo, patinandolo di letteratura nel gusto realistico-pop del film. Neanche l’antagonista, il poliziotto Roberts (un forte Crowe) è esente dalla lista di norme intorno all’investigatore scapigliato e integerrimo. Ambientazioni coinvolgenti, ritratto d’epoca riuscito, ma risalta l’inerzia dello sguardo. Né Scorsese né Ferrara. Voglia d’intrattenimento, ma colto. Silvio Danese, Il Quotidiano Nazionale, 18 gennaio 2008 Un buon film, forte, solido e ben costruito, con lampi di vero talento. Denzel Washington e Russell Crowe, gangster e poliziotto, il primo elegante e impassibile, il secondo sciatto e infelice, sostengono benissimo la storia lunga due ore e quaranta, ispirata a una vera vicenda di cronaca, e il fenomeno sociale in essa rispecchiato. Tra il 1968 e il 1974, durante e dopo la guerra del Vietnam, grazie al traffico d’eroina tra ragazzi e soldati un nero riuscì a diventare una delle figure più potenti di New York; e i poliziotti smisero (o quasi) di essere tutti corrotti, pagati dalla malavita o dalle autorità cittadine. Il percorso dei due protagonisti è contrastante e parallelo, scandito da televisori accesi sulle immagini di guerra in Vietnam, del presidente Nixon che dichiara la sconfitta americana, della evacuazione da Saigon dei diplomatici americani. Oltre allo sfondo di guerra, i due hanno in comune un unico elemento: il senso del dovere, l’onestà e integrità rispetto alle proprie attività, l’amore necessario per il lavoro ben fatto. Il gangster vende soltanto droga pura che acquista alla fonte in Asia, e a metà del prezzo di mercato. Il poliziotto trova un milione di dollari di criminali e lo consegna, con odio e diffidenza dei colleghi. Il poliziotto non teme nulla e non rinuncia; il gangster ferito dice: «Non scappo davanti a nessuno. Questa è l’America». Alla festa del Ringraziamento il gangster taglia il tacchino arrosto a una tavola di cristalli, porcellane, Fiandra; il poliziotto mangia da solo un sandwich col tonno in scatola. Il poliziotto ha un figlio che non vede, una moglie che chiede il divorzio; il gangster ha una moglie bianca chic e una vasta famiglia che gli vuole bene. Il meccanismo parrebbe elementare, schematico, senza alcune immagini o inquadrature molto belle: l’incontro assai tardivo tra i due protagonisti, le immagini di morti per overdose, un assalto, l’eleganza dei neri in cappello di cincillà e stivali d’argento coi tacchi, un requiem sbagliato per New York: “È diventata una fogna a cielo aperto: tutti rubano”. Lietta Tornabuoni, La Stampa, 18 gennaio 2008 Un film ispirato a una storia autentica, ma che sembra inventata: quella di Frank Lucas, protagonista di un’irresistibile ascesa criminale nella New York anni ‘70. Dopo la morte del boss che serviva come guardia del corpo, Frank abbatte tutti gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo progetto: essere il capo dei capi. L’itinerario è quello ultraclassico del gangstermovie, da “Scarface” e “Piccolo Cesare” in poi. Lucas, però, ha un senso del marketing molto moderno, che gli permette di sbaragliare ogni concorrenza nello spaccio della droga abbassandone il prezzo grazie all’acquisto diretto della merce in Thailandia, col favore del caos del conflitto vietnamita. Come ogni amante del genere non ignora (e il produttore Pileggi, vecchio complice di Scorsese, la sa lunga in merito), la carriera del gangster è un’allegoria del capitalismo, di cui l’eroe nero applica con particolare puntiglio le regole portando alle estreme conseguenze la “logica” imprenditoriale. Sappiamo anche, però, che alla parabola ascensionale corrisponde una simmetrica caduta, tale da provocare la rovina del gangster e il crollo del suo impero criminale. La parte del castigamatti tocca a Richie Roberts, ispettore del dipartimento di polizia esperto e determinato come un mastino a non mollare la preda. Sono due le peculiarità che fanno di American gangster un poliziesco di qualità superiore. La prima è il disegno di una coppia di characters fortemente connotati, messi in opposizione ma tratteggiati, anche, dallo sceneggiatore Steven Zaillian con un’inversione particolarmente efficace degli stereotipi del genere. Lucas, criminale spietato fino dalla prima sequenza, è marito e padre probo, puntuale frequentatore della messa e osservante delle convenzioni sociali. All’opposto l’onestissimo piedipiatti Roberts, capace di riconsegnare un milione di dollari “orfani” (attirandosi la diffiden- za dei corrotti colleghi), è un uomo dalla vita privata tutt’altro che irreprensibile: puttaniere con causa di divorzio in corso, incline alle sregolatezze e vagamente autolesionista. Pur affascinante, l’opposizione non sarebbe sufficiente senza il valore aggiunto del linguaggio, che Ridley Scott (di nuovo in forma dopo un paio di film da dimenticare) usa sapientemente per stimolare nello spettatore l’attesa dell’incontro tra i due protagonisti. Il film è un’autentica lezione di montaggio: la storia è raccontata focalizzando a turno ora su Roberts, ora su Lucas; col procedere, si alternano scene più brevi, come ad accorciare le distanze fino alla convergenza dei due destini (magistrale il montaggio “per analogia” tra la ricerca del denaro in casa di Frank e quella della droga sull’aereo militare). A qualcuno sembrerà una notazione troppo tecnica: ma è proprio il montaggio che, in un film del genere, dà la possibilità di emozionarsi e godersi la vicenda. Si aggiunga che Scott è uno dei pochi registi capaci di tenere sotto controllo Russell Crowe, ricavandone un’ottima performance. Quanto a Denzel Washington, non è mai tanto bravo come nelle parti da cattivo. Nel 2001 si aggiudicò l’Oscar per il poliziotto putrido di “Training Day”: chissà che il suo padrino di Harlem non gliene frutti uno di più? Roberto Nepoti, La Repubblica, 18 gennaio 2008 Il film tratto dall’articolo di Mark Jacobson uscito nel 2001 Sul New York Magazine si intitola “American Gangster” ed esce oggi nei cinema italiani. Negli USA ha incassato ad oggi circa 130 milioni di dollari, non moltissimi se pensate che ne è costati (ufficiosamente) 100. Lo dirige Ridley Scott, è interpretato da Denzel Washington nel ruolo di Frank Lucas, e da Russell Crowe nella parte di Richie Roberts, il poliziotto/avvocato che riuscì ad incastrarlo. A Mark Jacobson; sappiatelo, il film non piace molto. Non piace nemmeno a noi, e per gli stessi motivi (lo abbiamo scoperto parlandone con lo stesso Jacobson). Una volta acquisiti i diritti della storia di Lucas, la Universal ha impiegato diversi anni per portarla sullo schermo: Terry George ha scritto un primo copione per il regista Antoine Fuqua, ma il film è. stato cancellato per motivi di budget (per la cronaca Washington è stato pagato due volte: il suo cachet ufficiale è di 20 milioni di dollari). È subentrato Steven Zaillian, premio oscar per “Schindler’s List” che ha strutturato il film “alla PlutarAmerican Gangster 63 La storia Frank Lucas e Richie Roberts sono rispettivamente un gangster e un poliziotto. Il primo compie in grande stile la sua rapida scalata al potere tra le fila del crimine organizzato grazie alla sua intelligenza e fermezza, applicando le sue capacità al traffico di droga. Trova inoltre la donna della sua vita e la sposa secondo tutte le regole del buon costume. La sua vita è ineccepibile, se non fosse per il fatto che è un gangster e un trafficante di droga. Il secondo fa invece fatica nel suo mondo perché, pur essendo onesto e incorruttibile, ha amicizie poco raccomandabili e una vita affettiva non proprio esemplare: è divorziato dalla moglie e non disdegna rapporti occasionali, come anche la compagnia di prostitute. Nonostante tutto e grazie alla sua incorruttibilità sul lavoro, però, Richie viene messo a capo di una squadra speciale anti droga. Il discusso poliziotto insegue l’irreprensibile criminale e alla fine riesce a incastrarlo. La critica Please lo possiamo subito passare tra i classici? Il gangster movie va immediato alle origini dei prototipi sociali made in USA. Qui Ridley Scott ritrova la vena e muove la macchina, i personaggi, vizi e virtù, pugni e carezze, illusioni e pugni in faccia, con senso del cinema ineluttabile e impaginazione da maestro. E ribalta le convenzioni: da un lato, nella New York ‘70 il boss nero, padrino tutto droga, Chiesa e famiglia (Denzel Washington, superbo, sottile vilain: difficile non diventar complici); dall’altro il detective dalla vita arruffata, con sentimenti sparsi, infelice ma costante e incorruttibile, un Russell Crowe che vorremmo definire, con ossimoro, misurato e sensibile. Tra i due si muove un carico di miliardi che alla fine trasloca. Come, quando e perché (inedito il traffico di droga nelle bare dei soldati morti nel Viet) è tutto da vedere a nervi saldi, a riprova che i film lunghi ma belli sembrano corti. Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 25 gennaio 2008 Se non il principe della città (il film di Lumet sulla corruzione di polizia), Frank Lucas era, a un certo punto, tra fine anni ‘60 e primi ‘70, il re di Harlem. Dalla storia vera del trafficante di eroina di colore che, American Gangster 62 FILM DISCUSSI INSIEME alla morte del suo boss, cambiò le regole e conquistò il mercato, il regista di “Blade Runner” trae un romanzo criminale di formazione nel contesto del nascente capitalismo della droga, affidato a un divo sicuro. Croce e delizia. Perché da un lato Washington imposta la sua regolare recitazione forte e concentrata intorno a un eroe negativo che inventa un suo modo di fare mercato con un certo stile. Dall’altro lato, proprio l’eleganza dell’attore, la sua tradizione borghese di «nero emancipato», riducono l’impatto del ruolo, patinandolo di letteratura nel gusto realistico-pop del film. Neanche l’antagonista, il poliziotto Roberts (un forte Crowe) è esente dalla lista di norme intorno all’investigatore scapigliato e integerrimo. Ambientazioni coinvolgenti, ritratto d’epoca riuscito, ma risalta l’inerzia dello sguardo. Né Scorsese né Ferrara. Voglia d’intrattenimento, ma colto. Silvio Danese, Il Quotidiano Nazionale, 18 gennaio 2008 Un buon film, forte, solido e ben costruito, con lampi di vero talento. Denzel Washington e Russell Crowe, gangster e poliziotto, il primo elegante e impassibile, il secondo sciatto e infelice, sostengono benissimo la storia lunga due ore e quaranta, ispirata a una vera vicenda di cronaca, e il fenomeno sociale in essa rispecchiato. Tra il 1968 e il 1974, durante e dopo la guerra del Vietnam, grazie al traffico d’eroina tra ragazzi e soldati un nero riuscì a diventare una delle figure più potenti di New York; e i poliziotti smisero (o quasi) di essere tutti corrotti, pagati dalla malavita o dalle autorità cittadine. Il percorso dei due protagonisti è contrastante e parallelo, scandito da televisori accesi sulle immagini di guerra in Vietnam, del presidente Nixon che dichiara la sconfitta americana, della evacuazione da Saigon dei diplomatici americani. Oltre allo sfondo di guerra, i due hanno in comune un unico elemento: il senso del dovere, l’onestà e integrità rispetto alle proprie attività, l’amore necessario per il lavoro ben fatto. Il gangster vende soltanto droga pura che acquista alla fonte in Asia, e a metà del prezzo di mercato. Il poliziotto trova un milione di dollari di criminali e lo consegna, con odio e diffidenza dei colleghi. Il poliziotto non teme nulla e non rinuncia; il gangster ferito dice: «Non scappo davanti a nessuno. Questa è l’America». Alla festa del Ringraziamento il gangster taglia il tacchino arrosto a una tavola di cristalli, porcellane, Fiandra; il poliziotto mangia da solo un sandwich col tonno in scatola. Il poliziotto ha un figlio che non vede, una moglie che chiede il divorzio; il gangster ha una moglie bianca chic e una vasta famiglia che gli vuole bene. Il meccanismo parrebbe elementare, schematico, senza alcune immagini o inquadrature molto belle: l’incontro assai tardivo tra i due protagonisti, le immagini di morti per overdose, un assalto, l’eleganza dei neri in cappello di cincillà e stivali d’argento coi tacchi, un requiem sbagliato per New York: “È diventata una fogna a cielo aperto: tutti rubano”. Lietta Tornabuoni, La Stampa, 18 gennaio 2008 Un film ispirato a una storia autentica, ma che sembra inventata: quella di Frank Lucas, protagonista di un’irresistibile ascesa criminale nella New York anni ‘70. Dopo la morte del boss che serviva come guardia del corpo, Frank abbatte tutti gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo progetto: essere il capo dei capi. L’itinerario è quello ultraclassico del gangstermovie, da “Scarface” e “Piccolo Cesare” in poi. Lucas, però, ha un senso del marketing molto moderno, che gli permette di sbaragliare ogni concorrenza nello spaccio della droga abbassandone il prezzo grazie all’acquisto diretto della merce in Thailandia, col favore del caos del conflitto vietnamita. Come ogni amante del genere non ignora (e il produttore Pileggi, vecchio complice di Scorsese, la sa lunga in merito), la carriera del gangster è un’allegoria del capitalismo, di cui l’eroe nero applica con particolare puntiglio le regole portando alle estreme conseguenze la “logica” imprenditoriale. Sappiamo anche, però, che alla parabola ascensionale corrisponde una simmetrica caduta, tale da provocare la rovina del gangster e il crollo del suo impero criminale. La parte del castigamatti tocca a Richie Roberts, ispettore del dipartimento di polizia esperto e determinato come un mastino a non mollare la preda. Sono due le peculiarità che fanno di American gangster un poliziesco di qualità superiore. La prima è il disegno di una coppia di characters fortemente connotati, messi in opposizione ma tratteggiati, anche, dallo sceneggiatore Steven Zaillian con un’inversione particolarmente efficace degli stereotipi del genere. Lucas, criminale spietato fino dalla prima sequenza, è marito e padre probo, puntuale frequentatore della messa e osservante delle convenzioni sociali. All’opposto l’onestissimo piedipiatti Roberts, capace di riconsegnare un milione di dollari “orfani” (attirandosi la diffiden- za dei corrotti colleghi), è un uomo dalla vita privata tutt’altro che irreprensibile: puttaniere con causa di divorzio in corso, incline alle sregolatezze e vagamente autolesionista. Pur affascinante, l’opposizione non sarebbe sufficiente senza il valore aggiunto del linguaggio, che Ridley Scott (di nuovo in forma dopo un paio di film da dimenticare) usa sapientemente per stimolare nello spettatore l’attesa dell’incontro tra i due protagonisti. Il film è un’autentica lezione di montaggio: la storia è raccontata focalizzando a turno ora su Roberts, ora su Lucas; col procedere, si alternano scene più brevi, come ad accorciare le distanze fino alla convergenza dei due destini (magistrale il montaggio “per analogia” tra la ricerca del denaro in casa di Frank e quella della droga sull’aereo militare). A qualcuno sembrerà una notazione troppo tecnica: ma è proprio il montaggio che, in un film del genere, dà la possibilità di emozionarsi e godersi la vicenda. Si aggiunga che Scott è uno dei pochi registi capaci di tenere sotto controllo Russell Crowe, ricavandone un’ottima performance. Quanto a Denzel Washington, non è mai tanto bravo come nelle parti da cattivo. Nel 2001 si aggiudicò l’Oscar per il poliziotto putrido di “Training Day”: chissà che il suo padrino di Harlem non gliene frutti uno di più? Roberto Nepoti, La Repubblica, 18 gennaio 2008 Il film tratto dall’articolo di Mark Jacobson uscito nel 2001 Sul New York Magazine si intitola “American Gangster” ed esce oggi nei cinema italiani. Negli USA ha incassato ad oggi circa 130 milioni di dollari, non moltissimi se pensate che ne è costati (ufficiosamente) 100. Lo dirige Ridley Scott, è interpretato da Denzel Washington nel ruolo di Frank Lucas, e da Russell Crowe nella parte di Richie Roberts, il poliziotto/avvocato che riuscì ad incastrarlo. A Mark Jacobson; sappiatelo, il film non piace molto. Non piace nemmeno a noi, e per gli stessi motivi (lo abbiamo scoperto parlandone con lo stesso Jacobson). Una volta acquisiti i diritti della storia di Lucas, la Universal ha impiegato diversi anni per portarla sullo schermo: Terry George ha scritto un primo copione per il regista Antoine Fuqua, ma il film è. stato cancellato per motivi di budget (per la cronaca Washington è stato pagato due volte: il suo cachet ufficiale è di 20 milioni di dollari). È subentrato Steven Zaillian, premio oscar per “Schindler’s List” che ha strutturato il film “alla PlutarAmerican Gangster 63 co”: le vite parallele di Lucas e di Roberts, il gangster e lo sbirro. Il problema del film è tutto lì (e si è aggravato quando, per la parte del poliziotto, è stato scelto un divo come Crowe): Lucas e Roberts devono avere la stessa presenza sullo schermo, e mentre la storia del primo è sconvolgente, quella del secondo è intessuta di cliché. Di sbirri onesti e macilenti, dalla vita privata devastata, ne abbiamo visti a centinaia. Ridley Scott si conferma un regista senz’anima: dategli un grande copione (“Blade Runner”, “Il gladiatore”, “Le crociate”) e farà un grande film, dategli una schifezza (Hannibal Lecter docet) e farà una schifezza. Qui fa un normale poliziesco, decisamente troppo lungo (157 minuti), senza minimamente scavare nella personalità di Lucas e senza raccontare la Harlem anni ‘60 e ‘70 che dovrebbe essere molto più di uno scenario. “American Gangster” è perfetto per una futura tesi di laurea sul tema: come prendere un’emozionante storia vera e trasformarla in un film falso. Alberto Crespi, L’Unità, 18 gennaio 2008 «Perché questa era la cosa giusta da fare». Lo sbirro non sa spiegarsi in altro modo né gli convengono forbiti proclami moralistici: più simile ai laconici guerrieri de “Gli intoccabili” che ai luciferini trasformisti di Scorsese, Mann e Cronenberg, l’eroe di «American Gangster» si contrappone all’antieroe sulla base di uno schema, come si dice, puro e duro. Da una parte l’ordine, la legalità, l’etica della comunità civile; dall’altra il caos, l’illegalità, l’individualismo della giungla: tenendo sempre presente, però, che le facce appartengono a un’unica medaglia antropologica e i duellanti cercano di conquistare sul ring della propria epoca il medesimo Sogno americano. Ridley Scott, grandissimo professionista svincolato dalle ossessioni d’autore, firma un gangster-film volutamente all’antica, grintoso, compatto, incalzante e sorretto da una formidabile accoppiata di mattatori della sfumatura: una scelta che potrebbe deludere qualche spettatore a causa delle inevitabili sensazioni di «già visto», ma che al contrario gli prospetta un quadro drammaturgico tutt’altro che conformistico. Quindi per apprezzare il film bisogna dimenticare Tarantino. Frank Lucas (Denzel Washington) e Richie Roberts (Russell Crowe) discendono, infatti, dalla documentata cronaca di fine anni Sessanta, quando la temibile e degradata Harlem assiste alla fine del superboss nero Bumpy Johnson e all’ascesa del suo ex guardaspalle American Gangster 64 FILM DISCUSSI INSIEME Frank Lucas. L’instabilità politica nazionale, accentuata dall’infausto esito dell’intervento in Vietnam, favorisce il lucido progetto di Frank d’imporre il proprio monopolio sul traffico di droga nell’area newyorkese: assicuratosi il via libera delle famiglie mafiose e procuratosi il contatto diretto con il cartello dell’eroina nel sud-est asiatico, l’uomo costruisce con pazienza e prudenza - ovviamente corredate da adeguata spietatezza - un’organizzazione a stampo familiare/ manageriale in grado di smerciare micidiali bustine di “Blue Magic” dalla purezza elevata e dal prezzo imbattibile. Il detective Roberts è il suo perfetto opposto: stropicciato e cafonesco, un corpaccione tra il muscoloso e il grasso, una vita privata disastrata e per di più detestato dai corrottissimi colleghi per la sua pragmatica incorruttibilità. L’Unità Speciale della sezione narcotici incarnerà, così, per lui una scelta di campo quanto mai brusca e dimessa: «Vengo dal New Jersey e qui i poliziotti arrestano i criminali». Un film di genere che vuole rimanere tale: del resto, sul piano degli accordi fotografici, del ritmo di montaggio, della ricostruzione ambientale e dell’accompagnamento musicale, Scott non teme confronti perché sa motivare i collaboratori giusti. Questa meticolosità di base non ha bisogno di overdose di violenza e di capriole psicologiche: al film basta scatenare il match a distanza tra i giganteschi protagonisti per fare capire come sotto il livido cielo degli anni Settanta siano stati sporchi e tragici la pianificazione e lo smantellamento di un dominio. Valerio Caprara, Il Mattino, 19 gennaio 2008 Ad Harlem, nel 1968, si celebra il funerale di un boss mafioso, ma di colore. Il religiosissimo Frank Lucas (Denzel Washington) è pronto a raccoglierne il testimone. È l’uomo del “cambiamento”, quello che vuole imporre la propria legge ai picciotti, ma anche ai fratelli. E comincia a importare droga purissima, approfittando della guerra in Vietnam, direttamente da Bangkok. La fa tagliare con latte in polvere e la trasforma in “blue magic”, mettendo tutta la famiglia (RZA, T.I.) a libro paga. Dall’altra parte della barricata c’è Richie Roberts (Russell Crowe), poliziotto che non si fa problemi di correttezza, e che ha il cervello per diventare un investigatore più scafato. In mezzo c’è una schiera di poliziotti marci fino al midollo, più mafiosi della mafia stessa. L’America vive l’eroina come una peste e il presidente Nixon alla TV la dichiara nemico pubblico numero uno. Ridley Scott A can Gangster regia RIDLEY SCOTT sceneggiatura STEVEN ZAILLIAN fotografia HARRIS SAVIDES musiche MARC STREITENFELD montaggio PIETRO SCALIA interpreti CUBA GOODING JR. - DENZEL WASHINGTON JOSH BROLIN - RUSSELL CROWE RIDLEY SCOTT 30.11.1937 - Northumberland (Gran Bretagna) 2008 2007 2006 2005 2003 2001 2001 2000 Nessuna verità American Gangster Un’ottima annata Le crociate Il genio della truffa Hannibal Black Hawk Down Il gladiatore nazione USA distribuzione UNIVERSAL durata 160’ 1997 1995 1992 1991 1989 1987 1985 1982 1979 1977 Soldato Jane L’albatross - Oltre la tempesta 1942 - La scoperta del Paradiso Thelma e Louise Black Rain - Pioggia sporca Chi protegge il testimone Legend Blade Runner Alien I duellanti American Gangster 61 La storia Mentre è in alto mare per salvare una sconosciuta che rischia di affogare, Pietro Palatini perde la moglie Lara, colta a casa da un improvviso malore. Una coincidenza spiazzante che rende l’incidente ancora più sconvolgente. Ma Pietro, di fronte al dolore che inspiegabilmente non arriva, vive in una sorta di sospensione dalla realtà, quasi di stand-by. Ha una figlia, Claudia, di 10 anni che frequenta la quinta elementare e per proteggerla dal trauma della morte della madre e impedire che la sua sofferenza possa turbarla, sceglie di continuare a vivere rimanendo immobile, in un fragile equilibrio instabile, immergendosi in un “caos calmo” che lo isola da se stesso e dal resto del mondo. Accompagna la bambina il primo giorno di scuola e – per non farla sentire troppo sola – decide di aspettarla fino al termine delle lezioni. Anche l’indomani resterà, seduto su una panchina, davanti alle finestre della sua classe, fino all’ora dell’uscita. E lo stesso succederà nei giorni seguenti. Il protagonista stazionerà per settimane ai giardinetti di fronte all’edificio scolastico. Naturalmente, smettendo di andare in ufficio e continuando a osservare il mondo dalla sua panchina. Questo suo modo così alternativo di elaborare il lutto, però, colpisce e preoccupa parenti e colleghi che, a turno, passano a fargli visita e che invece di confortarlo - sconcertati dalla sua impiegabile quiete - si lasciano andare a confessioni personali, spesso dolorose. Davanti alla scuola di Claudia, Pietro incontra il fratello, la cognata, alcuni compagni di lavoro e perfino la sconosciuta che è riuscito a riportare a riva. Proprio, attraverso il confronto con questi personaggi insoddisfatti e pieni di problemi, il protagonista riuscirà a poco a poco ad abbandonare questa statica esistenza, trovando la forza per reagire e riprendere la sua nuova vita senza Lara. La critica Il «caos» scatenatosi intorno alle prestazione erotiche di Moretti, una volta visto il film, finisce per sgonfiarsi da solo. E molto in fretta anche (niente che non si sia visto in centinaia di altri film...). Piuttosto si capiscono le ragioni di quello che poteva, sì, sembrare un picCaos DISCUSSI Calmo INSIEME 68 FILM colo mistero: la scelta di Nanni Moretti come attore protagonista. C’è stata sicuramente una componente “marketing” nell’ingaggiare una delle icone più conosciute del cinema italiano, e in quanto tale poco adatta ad assumere le maschere della recitazione. Ma scena dopo scena scopri che esiste una sintonia profonda tra il personaggio Nanni Moretti e il personaggio Pietro Paladini (il protagonista di “Caos calmo”). Una specie di osmosi segreta che scompagina i confini, che mescola le carte e che alla fine riverbera dallo schermo su una imprevista ma convincente interpretazione. In fondo non è un caso se Sandro Veronesi, citi anche lui tra le persone da ringraziare per averlo aiutato nella stesura del romanzo... Pietro/Nanni è il dirigente di un’industria televisiva a cui improvvisamente muore la moglie (proprio mentre lui, col fratello, stava salvando su una spiaggia poco distante due donne che rischiavano di annegare) e che per stare vicino alla figlia di dieci anni decide di aspettarla davanti a scuola mentre lei è in classe. Da quel momento il suo “ufficio” diventa una panchina dove tutti finiscono per andarlo a trovare, dalla cognata un po’ sbullonata ai colleghi più o meno rampanti, dal mondanissimo fratello ai frequentatori occasionali di quella piazzetta. Tutti vorrebbero consolare il suo dolore e tutti invece finiscono per farsi consolare, raccontando a Pietro/Nanni angosce, paure, errori, desideri. E così la “colpa” di non sentire tutto quel dolore che il mondo si aspetta da lui diventa il “merito” di rifiutare i valori di una società in cui si sente sempre meno integrato: il carrierismo, la possessività, il tornaconto... Il film è piuttosto abile nel raccontare questa specie di silenzioso “dissociato”, nel descrivere con pochi tocchi i tanti personaggi che ruotano intorno a Pietro/Nanni. E pur dedicando lo spazio maggiore al rapporto tra padre e figlia offre allo spettatore l’occasione per riflettersi in qualcuno dei tanti “infelici” che lo incrociano. Così, anche l’ incontro di sesso tra il protagonista e la donna che ha salvato dal mare (quattro minuti sui 112 del film. Nel romanzo Bompiani erano 16 pagine su 451) diventa una delle tante facce di una vita che sembra sempre sul punto di scomporsi nei suoi elementi fondanti: l’amicizia, l’amore paterno, la curiosità, l’incontro con l’ altro... Alla fine, personaggio e film sembrano non avere il coraggio di tirare tutte le conseguenze (morali) che ci si potevano aspettare. Ma per quasi due ore hanno saputo raccontare, con pudore e sensibilità, i temi sommersi (o repressi) che a settant’anni scrive il suo “Padrino” in declinazione black, costruito su sicuri e violentissimi montaggi paralleli, contrapposizioni nette tra due duellanti mai così cool e affascinanti. Dipinge l’alternanza delle generazioni criminali con l’abituale eccesso, cui aggiunge l’ambizione di aggrapparsi alla Storia, dato che la sceneggiatura di Steven Zaillian (“Schindler’s List”, “Gangs of New York”) muove in effetti da vicende reali. Estetizzando anche il ghetto. Per la colonna sonora mette Sam and Dave accanto ai Public Enemy e reimpiega persino “Across 110th Street” da “Jackie Brown”. Epico. Raffaella Giancristofaro, Rolling Stone, Gennaio 2008 I commenti del pubblico DA PREMIO VITTORIO ZECCA Un film nel suo genere perfetto, arricchito da una molteplicità di temi che vanno dalla normalità del male, alla disgregazione morale dell’esercito USA, alla corruzione della polizia. Il tutto reso ancora più intenso dalla bravura degli attori e da un uso della macchina da presa quasi innovativo. OTTIMO ANNAMARIA PARACCHINI Un ottimo film; eccellente l’interpretazione dei due protagonisti; una regia abile ed equilibrata. ALESSANDRA CASNAGHI La pellicola è al termine: sono passati circa 145 minuti dal suo inizio e i due protagonisti finalmente si incontrano; una sequenza muta, da brivido, dove gli sguardi significano tutto, dove proprio il silenzio si contrappone magistralmente alla quantità di significati rappresentati da quel fatale faccia a faccia. In tribunale, poi, la scena fra Lucas e Roberts, uno di fronte all’altro a un tavolo, mi è sembrata un capolavoro di interpretazione e significato. Ridley Scott è preciso, sapiente, a proprio agio anche in un genere nuovo per lui: ottimo, forse da premio! CATERINA PARMIGIANI Si sa che l’apparenza spesso inganna: Lucas frequenta regolarmente la chiesa con moglie e madre, rispetta le tradizioni familiari, è stato un dipendente fidato e devoto, veste in modo sobrio, conduce una vita appartata; Richie è in crisi con la moglie, non riesce a trovare tempo per il figlio, è disordinato, veste in modo sciatto, è uno “sciupafemmine”, ha amici non integerrimi: però il primo è un big boss della droga e l’altro è il tenace poliziotto che riuscirà a catturarlo. Due ottimi interpreti valorizzati sia dalla regia sia dalla sceneggiatura. Unico neo: troppo prolissa la prima parte, che focalizza a turno i protagonisti. EDOARDO IMODA Nasce all’insegna di un prodotto sicuro, visti i successi vicini e lontani del regista, la programmazione del nuovo anno. Il film è imperniato, sul dualismo in tutti sensi, fra personaggi apparentemente agli antipodi; l’uno schivo, sempre da numero due, tanto da destare sorpresa negli inquirenti la sua escalation nella gerarchia della malavita, e l’altro al limite della legge di cui paradossalmente è tutore, e del buon comportamento. Cosa dire: che l’abito non fa il monaco o che Dio li fa e poi li accoppia; di proverbi ce ne sarebbero a bizzeffe per racchiudere in poche parole una storia che sembra già vista molte volte, ma qui appare come rigenerata. Quello che accomuna i due personaggi è il credere in quello che fanno e come lo fanno per cui quando faranno gesti al di fuori della norma ne pagheranno le conseguenze. Chi dal racconto ne esce con le ossa veramente rotte sono le istituzioni, dai reparti militari impegnati in Vietnam, alle forze di polizia cui fa piacere assumere atteggiamenti “caporaleschi” ed ottenere remunerazioni alternative. Difficile è prendere la parte dei buoni visto che l’eroe è solo, e non cosi incensurabile, e dall’altra parte il gangster ha modi così raffinati e gentili. Concordo con le recensioni lette che se il film è bello la sua lunghezza non è un difetto, anzi consente un narrazione più completa; non concordo sul quel “volemose bene” che sembra pervadere non solo il film, ma anche, in questo periodo, una certa attuale gestione della giustizia. American Gangster 65 BUONO MARGHERITA TORNAGHI Pur riconoscendo che il film è fatto molto bene, non mi sento di dare ottimo per il “contenuto” che tratta. FRANCA SICURI Bravi gli attori, abile il regista, incalzante il ritmo. C’è però un eccesso di violenza. CARLA CASALINI Un buon film che trova il suo limite proprio nelle sue qualità: i bei ritratti dei due protagonisti a connotati invertiti (il “cattivo” dal rigore quasi etico e il “buono” dalla vita sregolata); le perfette alternanze del montaggio; l’intrigante costruzione della trama come un fatale progredire verso lo scontro/incontro di due opposti itinerari. Ma tanta puntuale simmetria incrina la credibilità della storia vera e accredita invece l’artificiosità della fiction. Quanto ai due attori, bravissimi entrambi; ma, secondo me, Denzel Washington, così fisicamente definito come eroe positivo, riesce meno del più “anonimo” gladiatore Russel Crowe a far dimenticare i suoi precedenti ruoli. PIERANGELA CHIESA Un film mozzafiato fin dalla scena iniziale, travolgente anche grazie al montaggio che, tuttavia, all’inizio del film non consente di mettere bene a fuoco i personaggi nei loro diversi ruoli. Nella seconda parte, però, proprio l’alternarsi quasi frenetico delle scene, fra l’arresto di Lucas e la pequisizione nella sua casa, fanno di “American Gangster” un grande film. Notevole la capacità di Ridley Scott di mettere a nudo la corruzione dei militari, dei poliziotti e degli imprenditori senza alcun compiacimento né condanna, solo raccontando. E perfetta l’interpretazione dei due protagonisti, così diversi ma coinvolti, indirettamente, in un destino comune. Il colloquio finale nell’ufficio di Roberts è veramente un pezzo da grande cinema. LUISA ALBERINI Il finale è scritto, lo si conosce in anticipo. Ma non è scontato. Tutta la storia sembra procedere in modo da preparare un’uscita diversa. Il boss della malavita che insegue l’ideale di rispettabilità capace di renderlo autorevole, e il poliziotto che non American Gangster 66 FILM DISCUSSI INSIEME sembra preoccuparsi di cadere in quegli errori di discutibile moralità, sono l’uno di fronte all’altro fino all’ultimo come duellanti in attesa della mossa definitiva che potrebbe preparare anche una sorpresa. Il primo diviso tra affetti e affari, la mamma che gli ricorda “non si spara ai poliziotti” e l’esigenza di vendere droga pura, elemento di distinzione sul mercato, il secondo condannato alla solitudine ma senza che nessuno possa mettere in dubbio la sua serietà professionale, si muovono in una New York, che ha alle spalle troppe storie di mafia spietata e di polizia non proprio integerrima. La sfida dunque si apre su un altro piano: quello del rispetto reciproco, del dover ammettere che ognuno ha il proprio ruolo e il confine non può essere mai dimenticato. Ed è quello che alla fine consente al primo di cavarsela con un buono sconto di pena e al secondo di fare carriera. Un’ottima sceneggiatura e due grandi attori, e una storia che nonostante tutto ha la sua morale. C Calmo regia ANTONELLO GRIMALDI sceneggiatura FRANCESCO PICCOLO - LAURA PAOLUCCI NANNI MORETTI fotografia ALESSANDRO PESCI montaggio ANGELO NICOLINI musica PAOLO BUONVINO interpreti VALERIA GOLINO - NANNI MORETTI ALBA ROHRWACHER - SILVIO ORLANDO - DISCRETO ISABELLA FERRARI - ALESSANDRO GASSMAN ROMAN POLANSKI TULLIO MARAGNOLI Esagerato e prolisso. Interessante il ripetuto riferimento agli “italiani” ma ho il sospetto che non ci sia niente di cui vantarsi. nazione ITALIA distribuzione 01 DISTRIBUTION durata 112’ ANTONELLO GRIMALDI 14.08.1955 - Sassari 2007 2000 1999 1996 1985 Caos Calmo Un delitto impossibile Asini Il cielo è sempre più blu Juke-box Caos Calmo 67