L`ISLAM E` LA SOLUZIONE? E` notorio che nel Nord Africa e nel

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L`ISLAM E` LA SOLUZIONE? E` notorio che nel Nord Africa e nel
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L'ISLAM E' LA SOLUZIONE?
E' notorio che nel Nord Africa e nel Medio Oriente non esistono attualmente forme di democrazia
partecipata con l'esclusione di Israele. Tale affermazione vale anche se nella specifica definizione si
ritiene - forse erroneamente - che il concetto di democrazia sia un valore universale, assoluto,
distinto dalle varie realta' locali ed avulso dalla storia di ogni singolo Paese.
In altre parole, quello che avviene nelle aree sopra specificate, nel bene ma soprattutto nel male,
non e' altro che il risultato di un decorso storico, in quota parte colpa di una presenza coloniale
pregressa che non ha saputo creare quadri sufficientemente addestrati a sviluppare e/o trasmettere
concetti di democrazia, sensibilita' sui diritti umani, rispetto delle liberta' civili. Talvolta, anche da
parte dei Paesi ex coloniali, si e' favorito una soluzione autoritaria nelle nazioni di interesse
barattando una questione di principio con una questione di interessi.
Per tutto questo, come affermato all'inizio, in questa parte geografica del mondo prevalgono regimi
autoritari, a diverso livello di crudelta', ma tutti accomunati da una violazione permanente di quei
valori fondamentali che dovrebbero prevalere in un consesso civile.
La cosiddetta primavera araba, almeno nell'accezione del termine, avrebbe dovuto produrre risultati
apprezzabili nel campo della democrazia ed in quota parte - a fronte del punto di partenza e quello
presunto di arrivo - cio' e' avvenuto. Pero' molti cicli sociali non si sono ancora conclusi ( il caso
dell'Egitto e della Libia ), altri devono ancora svilupparsi (il caso della Siria), altri non hanno
prodotto risultati apprezzabili (Yemen), altri ancora non si sono ancora mossi (Algeria e vari Paesi
della Penisola arabica), uno e' ancora sotto osservazione (Tunisia).
Cioe', nel riferimento al termine di "primavera", si e' premiato etimologicamente un periodo
stagionale di risveglio della natura a fronte di un inverno che e' perdurato a lungo ed una estate che
ancora non si sa bene se produrra' i frutti auspicati. Ma dalla "primavera araba" adesso, come viene
definito dai giornali israeliani, si e' passati probabilmente ad un "inverno islamico".
AL CENTRO DELLA SOCIETA'
Ma ecco che emerge il problema di fondo: perche' ogni volta che crolla un regime autoritario in
questa parte di mondo, la forza contrastante che prevale e' sempre una entita' politico-religiosa?
Le spiegazioni al riguardo sono tante :
In primis, laddove c'erano precedentemente dei regimi e quindi una assoluta mancanza di
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democrazia e di trasmissione del consenso, l'unica struttura che poteva competere con il predominio
del partito unico era la filiera delle moschee. La' e' nato il dissenso e la' si e' diffuso in molti Paesi.
Questo spiega in parte perche' quelle monarchie legittimate da una investitura religiosa (la dinastia
alawita in Marocco o il sultano ibarita in Oman) si sono salvate da questa ondata di rivolte sociali.
Questo spiega con altrettanta chiarezza perche', invece, la rivolta in Algeria e' stata pilotata a suo
tempo dal F.I.S. di Madani o perche' da altre parti sono nate istanze politico-religiose;
L'Islam, tra le tre religioni monoteistiche, e' quello che ha molto piu' impatto sul sociale
regolandone comportamenti (le 5 preghiere giornaliere), rituali (il mese di Ramadan),
l'amministrazione della giustizia (sharia). Nell'Islam, inoltre, non esiste tradizionalmente una
barriera tra la gestione dell'anima e quella politica del corpo. Si tende sempre a confondere il
termine di "umma" (comunita' di musulmani) con quello di societa';
Anche in presenza di dittature piu' o meno crudeli, le organizzazioni religiose musulmane hanno
svolto sempre un ruolo sociale ed umanitario importante. Basti ricordare al riguardo quanto fatto dai
Fratelli Musulmani con la gestione di ospedali, cliniche, scuole, assistenza a poveri e disabili. Tutto
questo ha prodotto simpatia e consenso sociale che poi, al momento giusto, si e' trasformato in
consenso politico;
A differenza di altre parti del mondo, le ideologie marxiste - ma anche capitaliste - non hanno avuto
mai particolarmente successo in questa regione. I pochi comunisti mediorientali erano soprattutto di
religione cristiana. Senza la spinta di questo background culturale, le istanze sociali degli arabi non
hanno mai trovato altra giustificazione ideologica che non fosse quella di giustizia sociale propagata
dal Corano. Il nazionalismo arabo di Nasser, il baathismo di Siria e Iraq altro non sono state che
delle pseudo-ideologie di facciata (e non di sostanza) per legittimare una presa o gestione del
potere;
Molte volte una componente religiosa della societa' araba si e' opposta al regime o lo ha combattuto.
E' stato il caso di Rashid Gannouchi in Tunisia e quello dei Fratelli Musulmani in Egitto. Questo
spiega perche' nelle ultime elezioni queste forze abbiano prevalso nelle elezioni. Domani, in Siria,
altrettanto potrebbe avvenire con i Fratelli Musulmani legittimati dallo sterminio di Hama nel 1982.
Vi e' poi un problema di egemonia tra Paesi dell'area mediorientale che viene perseguita attraverso
il finanziamento di strutture e/o organismi religiosi nelle nazioni di interesse. Il wahabismo saudita
e qatariota sono ritenuti oggi tra i maggiori finanziatori dei gruppi salafiti nella regione. Predicano
un Islam ortodosso, dove il precetto della sharia e' prevalente su qualsivoglia istanza democratica.
Tutto questo va ad accentuare il ruolo della religione nelle vicissitudini sociali di ogni singolo Paese
della regione;
Altre volte nell'ambito dell'Islam entrano in competizione varie componenti dello stesso credo:
wahabismo contro sufismo, sunnismo contro sciismo. E queste divisioni e competizioni si risolvono
in lotte politiche tra gli aventi causa. Questo porta ancora di piu' l'Islam a diventare centrale nelle
vicende politiche del Medio Oriente e Nord Africa.
Quanto detto spiega perche' ad ogni esautorazione di dittatura prevale nelle societa' arabe l'emergere
di entita' politiche religiose. Questo accredita anche quello che i Fratelli Musulmani considerano il
loro slogan principale : "l'Islam e' la soluzione".
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MIOPIA OCCIDENTALE
I Paesi Occidentali tendono a considerare - almeno in prima approssimazione- questa presenza
islamica nella regione come pericolosa in riferimento ai propri interessi egemonici o economici.
Ogni volta che avvengono libere elezioni in questa regione - e questo e' un parametro caro alle
democrazie occidentali - e prevalgono istanze politico-religiose, si crea nell'immaginario
occidentale un cortocircuito tra aspettative e valutazioni su un uso perverso della democrazia. In
altre parole, si addebita ad un basso tasso di coscienza democratica quello che e' in realta' la volonta'
espressa dai cittadini arabi. Cosi' facendo si evita di contestualizzare l'evento nelle realta' di quei
Paesi e di quelle societa'.
Una prima affermazione la si può fare sull'Islam che queste entita' politico-religiose sapranno
applicare nelle societa' civili di interesse. Esiste Islam alla maniera turca di Erdogan ed esiste
l'Islam alla maniera saudita o iraniana. L'uno e' piu' rispettoso degli aspetti laici della societa' civile,
gli altri molti meno se non per niente. A fattor comune comunque c'e' nelle popolazioni arabe una
sete di giustizia sociale e di affermazione del vivere civile che, piaccia o non piaccia, si identifica in
Medio Oriente e nel Nord Africa attraverso la religione predominante.
La democrazia che nell'accezione dell'Occidente viene considerata un valore universale affrancato
da limitazioni religiose, nei Paesi arabi viene invece circoscritta nel contesto religioso di
riferimento.
Alla base di queste due diverse concezioni del vivere civile c'e' latente una conflittualita' tra due
mondi, ma soprattutto tra due culture diverse che portano a societa' diversamente operanti. Come se
la civilta' dell'una cercasse di prevalere sull'altra . Due mondi che comunque nel tempo si
avvicineranno perche' la diffusione dei mass media e di internet livelleranno le differenze che oggi
esistono. La conferma dell'incidenza dei mezzi di comunicazioni di massa nelle societa' dei vari
Paesi del mondo viene proprio dai Paesi arabi. La primavera araba nella regione si e' diffusa , in un
effetto domino, grazie alla globalita' delle vicende del mondo. Di endogeno, per ogni singolo
Paese, e' stata la scintilla che ha scatenato le varie rivoluzioni. Non esiste infatti un comune
denominatore che possa collegare - politicamente - una rivolta dall'altra se non la ricerca di una
maggiore giustizia sociale.
Con lo stesso sistema oggi in tempo reale si e' aggiornati sulle efferatezze del regime siriano. E'
cosi' preminente il fattore religioso che diventa forza politica che di questo stato di cose e' rimasto
contagiato anche Israele, dove la struttura dello Stato e la prevalenza dei partiti ortodossi portano
quel Paese a configurarsi talvolta come una teocrazia benche' liberale.
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L'IRAN E L'ONDA VERDE (PARTE II)
Il biennio 2010-2011 non e' stato solamente scontro al vertice del regime; l'Iran e' stato attraversato,
come si e' detto in premessa, da avvenimenti che effettivamente potrebbero modificare gli sviluppi
di situazione del Paese: il programma nucleare e le connesse sanzioni da parte dell'ONU.
Il programma nucleare iraniano
Risale ai tempi dello Scia' Mohammed Reza Pahlavi; e' stato sospeso a seguito del bombardamento
aereo israeliano sulla centrale di Osirak in Iraq, nel 1981 e poi ripreso.
L'Iran dispone di tecnologia nucleare da piu' di venti anni, grazie all'aiuto russo e pakistano e
indirettamente anche cinese e nord-coreano.
Nell'agosto del 2002, l'opposizione al regime, il "Movimento Armato dei Combattenti del Popolo"
(MEK), durante una conferenza a Washington, annunciava che l'Iran stava per completare la
costruzione di un sito per l'arricchimento dell'uranio in Natanz, dove nel 2003 sarebbero state messe
in funzione alcune decine di centrifughe; si sarebbe trattato di arricchimento di modesto livello da
utilizzare nel settore sanitario; a Natanz si sono aggiunti negli anni successivi gli altri siti "chiave"
del programma nucleare: Isfahan, Arak e da ultimo Fordow, vicino Qom.
L'uranio in natura contiene "uranio combustibile" (uranio 235) nella percentuale dello 0,7%; il resto
e' costituito da uranio 238 "non combustibile": il numero definisce il peso atomico.
L'arricchimento e' il processo che, attraverso la centrifugazione, separa l'uranio dividendo l'uranio
combustibile dal non combustibile.
A Natanz il successivo controllo da parte dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA)
non trovo' tracce di uranio "altamente arricchito"; da tener presente che l'uranio:
per l'utilizzazione nella centrali elettriche e' sottoposto ad un arricchimento del 3,5%;
per scopi sanitari, del 20%;
per scopi militari, almeno del 90%.
Si aggiunge che l'AIEA, per i controlli del settore, si avvale di ispettori i quali operano sulla base di
uno specifico "Trattato di Non Proliferazione" (TNP) e di un protocollo aggiuntivo sottoscritto da
parte dei Paesi aderenti ( il Trattato "aggiuntivo" consente di ispezionare anche i siti non riportati
nell'accordo per il Trattato).
Al riguardo, mentre Israele non ha firmato il TNP, l'Iran lo ha sottoscritto; i Paesi inadempienti, per
quanto si riferisce alla normativa TNP, sono proposti per le sanzioni che il "Consiglio di Sicurezza"
dell'ONU (15 membri) riceve dagli ispettori o dai Paesi firmatari, per l'approvazione.
Il programma nucleare dell'Iran e' stata oggetto anche di diverse riunioni del cosiddetto "club 5+1"
(i cinque Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, piu' la Germania), che ha invitato gli
iraniani a sospendere l'arricchimento dell'uranio onde evitare conseguenze negative, le sanzioni
cioe'.
Gia' in precedenza la Russia aveva proposto all'Iran di trasferire sul proprio suolo l'attivita' legata al
ciclo di produzione del combustibile nucleare: offerta non accolta. L'Iran peraltro, in vista del
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quarto turno di sanzioni, ha dichiarato illegittime tali sanzioni, anticipando che abbandonera' il TNP
in caso di ulteriori pressioni sul programma nucleare; nel frattempo ha provveduto a installare 6000
centrifughe nel sito di Natanz (arricchimento 2-4%) che, entro il 2013, diventeranno 50.000.
Gli Stati Uniti, da parte loro hanno abbandonato ogni altra possibilita' di compromesso puntando
decisamente sulle sanzioni che, estese all'esportazione del petrolio, potrebbero compromettere
l'economia e la stessa sopravvivenza del regime.
Si giustifica cosi' l'abbandono, da parte degli Stati Uniti, dell' iniziativa di Turchia e Brasile ai fini
dell'arricchimento dell'uranio iraniano in uno dei due Paesi in questione; alcuni valutatori inoltre
ritengono che se l'Iran si ritirasse dal TNP, potrebbe disporre dell'atomica entro un anno!
Questo stato di fatto ha connotato il periodo 2010-2011 in termini "sostenibili" per l'Iran; una piega
piu' negativa hanno assunto gli avvenimenti a fine 2011 con l'applicazione del quarto turno di
sanzioni all'Iran, per non aver ottemperato all'invito di sospendere l'arricchimento dell'uranio.
Al riguardo, si osserva che l'Iran ha firmato il TNP, Israele si rifiuta di farlo: si e' cosi' nella
condizione paradossale di "chi detiene in segreto l'arma suprema e si rifiuta di aderire al trattato che
glielo vieterebbe (TNP), mentre accusa un altro Paese che quel trattato ha sottoscritto (e che
dell'atomica e' privo) e di volerla allestire", come sostiene la rivista "Limes", n.1/12, a pag.26!
Il quarto turno di sanzioni all'Iran
Il quarto turno di sanzioni all'Iran e' stato approvato con risoluzione n. 1929 del 2 giugno 2010 del
Consiglio di Sicurezza dell'ONU; comprende:
il divieto degli investimenti iraniani all'estero nell'ambito nucleare;
il divieto a tutti i Paesi di fornire all'Iran equipaggiamenti militari pesanti (carri armati, aerei e navi
da guerra);
il divieto all'Iran di effettuare qualsiasi attivita' collegata ai missili balistici con testate nucleari;
il rafforzamento delle perquisizioni nei porti e in mare aperto dei cargo sospettati di trasportare
materiali proibiti;
il divieto a tutti i Paesi di svolgere affari finanziari con l'Iran legati alle attivita' nucleari;
il divieto all'Iran di aprire all'estero strutture finanziarie a capitale unico o in joint-venture che
potrebbero contribuire allo sviluppo del suo programma nucleare.
La risoluzione e' stata approvata con 12 voti favorevoli, due contrari (Turchia e Brasile), un
astenuto (il Libano).
Il 21 novembre 2011, Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada piu' altri Paesi occidentali, in aggiunta alla
risoluzione ONU (quarto turno), hanno annunciato l'imposizione di sanzioni "unilaterali" all'Iran,
nei settori finanziario ed energetico.
Anche la Francia ha in programma di adottare analoghe misure tra le quali il congelamento dei
capitali della Banca Centrale iraniana e la sospensione dell'acquisto di petrolio dall'Iran.
Nonostante le opposte dichiarazioni da parte iraniana, le sanzioni dell'ONU del quarto turno piu'
quelle "unilaterali", hanno avuto effettive conseguenze sull'economia dell'Iran:
il ritiro delle Compagnie petrolifere Shell e Total hanno creato difficolta' all'industria petrolifera per
quanto attiene agli aspetti finanziari e tecnologici;
le sanzioni ad alcune compagnie iraniane (la lista e' contenuta in tre elenchi allegati al testo delle
sanzioni,riferiti a: privati, societa' e banche iraniani) hanno inciso negativamente sul commercio, e
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questo anche in relazione al margine di applicazione, in quanto sono rivolte al sistema finanziario
del Paese, dipendente in larga misura da introiti in "petrodollari";
l'Iran, secondo Paese produttore di petrolio in ambito OPEC, con il quarto turno di sanzioni, ha
dovuto limitare l'importazione di benzina "distillata", la cui disponibilita' nel Paese dipende
dall'importazione da altri Paesi nella misura del 30% (India, Cina, Venezuela ecc.), ristrutturando
altresi' alcune linee di produzione (petrolchimica) e aumentando i prezzi del petrolio all'interno del
Paese.
Il quarto turno di sanzioni va ad aggiungersi ai tre precedenti sul programma nucleare iraniano, con
le risoluzioni:
n. 1737 del dicembre 2006, approvata all'unanimita' dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che
impone il divieto di vendita a Teheran di tecnologie per l'arricchimento dell'uranio, piu' il divieto di
viaggiare all'estero e il congelamento dei beni per alcuni esponenti del regime;
n. 1747 del marzo 2007, approvata all'unanimita', che introduce il divieto di vendere a Teheran aerei
da combattimento, elicotteri da assalto, missili e mezzi blindati, piu' il divieto di viaggiare all'estero
per alcuni esponenti di governo, inclusi esponenti di vertice dei Pasdaran, congelati i loro beni e
quelli di istituzioni iraniane, compresa la Banca Centrale di Teheran;
n. 1803 del marzo 2008 (14 voti a favore e uno astenuto, il Libano), che, oltre al divieto di viaggiare
all'estero per esponenti coinvolti nel programma nucleare, impone ispezioni su navi iraniane
sospette.
E a proposito di forniture di petrolio raffinato all'Iran per uso interno ( il Paese non dispone della
necessaria tecnologia ne' degli impianti per la raffinazione), vale la pena di ricordare al riguardo la
conferma delle buone relazioni tra Iran e Venezuela (come evidenzia "il tour dei tiranni" a gennaio
scorso, cosi' definito dalla Casa Bianca, nel corso della visita di Ahmadinejad), specie per quanto si
riferisce alla fornitura di benzina raffinata che, nel 2010, ha raggiunto una media di 20 mila barili al
giorno, in aggiunta alla considerevole fornitura di componenti chimici, destinati al trattamento del
greggio.
Il possibile attacco all'Iran
Al di la' delle valutazioni sull'efficacia delle sanzioni contro il regime iraniano ai fini del
programma nucleare e della complessa situazione del Paese per i contrasti di vertice e per gli
sviluppi negativi dell'economia (in relazione alle sanzioni), il 2012 presenta aspetti di difficile
conciliazione nella regione mediorientale:
- l'Iran non appare disponibile ad alcuna rinuncia sul programma nucleare, nonostante la situazione
interna di vertice ed economica;
- Israele in considerazione del programma nucleare di Teheran, vede compromessa la sua
supremazia nella regione mediorientale, di per se' gia' compromessa dal forte recupero dei Paesi
concorrenti dell'area, Turchia soprattutto.
A piu' riprese si e' parlato (e si continua a parlare) di un raid israeliano "chirurgico" sui siti nucleari
iraniani, con o senza il supporto degli Stati Uniti; questi ultimi sono prossimi alle elezioni di
novembre, incentrate sulla conferma del Presidente democratico Obama contro i Repubblicani i
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quali si sono dichiarati, in caso di vittoria, favorevoli a Israele; alcuni, anche per un "raid" contro
l'Iran.
Il bombardamento dei siti nucleari (Israele avrebbe acquisito bombe idonee a colpire anche il sito
sotterraneo di Fordow, nei pressi di Qom) non avrebbe il sostegno dell'ONU (Russia e Cina
prevedibilmente opporrebbero il veto); mentre al regime iraniano l'attacco potrebbe tornare utile ai
fini di un ricompattamento del vertice di potere e della dignita' nazionale, specie per la
continuazione del programma nucleare; da considerare in tal caso la possibile rappresaglia contro le
basi militari USA nei Paesi del Golfo Persico (Kuwait, Baharain, Qatar, E.A.U., Oman e Arabia
Saudita) e contro i Paesi arabi appena indicati; in ultima ratio, anche il blocco dello stretto di
Hormuz, attraverso il quale transitano quotidianamente 17 milioni di barili di petrolio (un terzo del
commercio mondiale).
Un se pur sintetico esame dei possibili scenari di un attacco contro l'Iran da parte di Israele, con il
supporto o meno degli Stati Uniti, si presta alla seguente casistica:
attacco limitato contro una parte dei siti nucleari iraniani da parte di Israele, con il supporto degli
USA, si tradurrebbe in una perdita di consenso degli Stati Uniti in ambito internazionale, con
ripercussioni negative sul Presidente Obama in occasione delle elezioni di novembre. Per l'Iran
significherebbe un ricompattamento del fronte interno, con alcuni dubbi circa la convenienza
riguardo alla chiusura dello stretto di Hormuz: per le ricadute sull'economia iraniana e sull'opinione
pubblica mondiale e per le successive giustificazioni, in tal caso, ai fini della ripresa del programma
nucleare;
attacco generalizzato su tutti i siti del programma nucleare, da parte della "coalizione" Stati UnitiIsraele, confermerebbe le criticita' per gli USA del caso precedente; mentre per l'Iran, oltre al
ricompattamento del fronte interno, e' da mettere in conto la chiusura dello stretto di Hormuz,
giustificata dalla responsabilita' degli attacchi - che ricadrebbe in toto su Stati Uniti e Israele - cui si
aggiungerebbe, in tal caso, la rappresaglia contro obiettivi nella regione mediorientale, sia diretta
che indiretta (attraverso la mobilitazione di Hezbollah e altre organizzazioni estremiste);
attacco da parte di Israele senza il supporto USA, al di la' dei risultati, provocherebbe la
rappresaglia del terrorismo islamico: Israele verrebbe a configurarsi come principale fattore
destabilizzante della regione, a tutto vantaggio della propaganda iraniana. Si aggiunge che anche in
questo caso gli interessi USA potrebbero entrare nel computo del terrorismo islamico che
riverserebbe comunque sugli Stati Uniti la responsabilita' dell'iniziativa israeliana.
Dai possibili scenari considerati, si evince la "non convenienza" di una soluzione militare ne' per
l'Iran ne' per Israele (con o senza la partecipazione USA), nonostante i toni decisi del Presidente
Netanyahu a favore dell'intervento militare contro l'Iran; peraltro non si esclude un "trascinamento
di situazione" verso un conflitto generalizzato, a seguito di azioni non deliberate di uno dei due
contendenti (Iran, Israele), tanto piu' che non s'individua, al momento, alcuna disponibilita' dell'Iran
a rinunciare al completamento del programma di arricchimento dell'uranio e questo, nemmeno in
epoca successiva all'attacco ipotizzato, in relazione al nazionalismo della popolazione e al possibile
recupero della sua credibilita' in ambito regionale.
I piu' recenti aggiornamenti di situazione parlano di attentati terroristici contro gli scienziati
"nucleari" iraniani le cui dinamiche non sempre risultano chiare ne' risultano ben definiti i mandanti
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(Teheran ne attribuisce la paternita' al Mossad); come pure sussistono perplessita' circa il movente e
i mandanti del fallito tentativo di assassinare l'Ambasciatore saudita a Washington da parte di una
presunta cellula iraniana.
Quest'ultimo episodio avrebbe fatto lievitare la tensione tra Stati Uniti e Iran e tra Iran e Arabia
Saudita: quest'ultima attribuisce, da sempre, al regime di Teheran il sostegno alle minoranze sciite
contro le dirigenze sunnite dei Paesi del Golfo.
Si aggiunge in ultimo che anche l'azione diplomatica di questi giorni, da parte della responsabile per
l'UE (Catherina Ashton), sarebbe stata presa in considerazione dal governo di Teheran.
In conclusione, la situazione mediorientale, nonostante le alterne vicende del contrasto ai vertici del
regime di Teheran, tra Khamenei e Ahmadinejad, il quarto turno di sanzioni e la possibilita' di
riaprire i colloqui del "gruppo dei 5+1" sul programma nucleare iraniano, contiene elementi di
estrema instabilita', tanto che la situazione potrebbe sfuggire al controllo, come gia' detto, anche per
avvenimenti poco significativi o per azioni non deliberate.
Fanno da sfondo e potrebbero costituire fattori di rallentamento del precipitare della situazione sia
l'esito delle elezioni presidenziali negli USA del prossimo novembre (i candidati repubblicani si
sono dichiarati favorevoli a Israele, in caso di vittoria) sia quello della consultazione in Iran prevista
per il 2013 (le aspettative si rivolgono soprattutto al candidato Qalibaf, attuale sindaco di Teheran,
per le sue qualita' intellettuali ed umane).
Le considerazioni fin qui esposte inducono pertanto a riflettere sulla scarsa convenienza, per
entrambi i contendenti dell'area (Israele e Iran), di un intervento di tipo militare, mentre appare
meritevole di maggiore considerazione la proposta di un contenimento della situazione attraverso
l'azione diplomatica e la rigorosa applicazione delle recenti sanzioni, nonostante gli esiti poco
confortanti di precedenti esperienze (dalla "mano tesa" del Presidente Obama ai tentativi di
soluzione mediati dal gruppo 5+1 per l'arricchimento "delocato" dell'uranio).
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A.I.S.E. I SERVIZI SEGRETI AL SERVIZIO DI CHI?
LA CREDIBILITA' DELL' A.I.S.E.
La credibilita' di un Servizio Informazioni che si dedica specificamente all'attivita' di intelligence
all'estero come l'A.I.S.E. (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e' in gran parte legata
all'efficacia della propria capacita' operativa, ma si misura anche nel contesto delle relazioni
bilaterali e/o multilaterali nell'ambito della cooperazione con altre strutture analoghe estere.
In un mondo ormai globalizzato, dove eventi e situazioni si intersecano senza limiti territoriali, dove
non esistono piu' parametri di riferimento nell'individuare quegli obiettivi che meglio di altri
possano garantire la sicurezza nazionale, dove non e' piu' possibile saper tutto subito e bene, dove
causa ed effetti sono a volte imprevedibili e si correlano in tempi brevissimi, dove le notizie
acquistano subito dimensioni globali, ecco che occorre avere dei rapporti fiduciari con altri Servizi
esteri che possano concorrere a conoscere fatti o misfatti.
Questo tipo di esigenza e' ovviamente piu' sentita per quegli organismi di intelligence che operano
con limitati mezzi finanziari e di risorse umane in un contesto geo-strategico regionale com'e' il
caso dell'A.I.S.E. che quindi non potrebbe fare fronte ad esigenze informative qualora occorresse
operare in luoghi distanti dal proprio dispositivo operativo all'estero.
Ma nel mondo dell'intelligence i matrimoni non sono mai d'amore, ma solo di interesse. Nessuno
regala niente a nessuno. La regola del "do ut des" regna sovrana e quindi se vuoi ricevere
informazioni devi essere anche in grado di darle. Magari in altri settori o in altre aree. Ma questo e'
nei fatti l'aspetto "commerciale" di una cooperazione di intelligence.
A questa circostanza se ne aggiunge subito un'altra : la disponibilita' a dare una informazione e'
direttamente proporzionale alla fiducia che un Servizio ripone nell'omologa controparte. Se non mi
fido, le informazioni non le fornisco. E questa e' proprio la sfera afferente il concetto di credibilita'.
Analizziamola nel caso di Franco Lamolinara.
LA MORTE DI FRANCO LAMOLINARA
L'ingegnere Franco Lamolinara viene rapito insieme ad un cittadino inglese, Christopher McManus,
il 12 maggio 2011 a Birkin Kebin in Nigeria. L'8 marzo 2012 le forze speciali nigeriane ed inglesi
tentano un blitz per liberare gli ostaggi. Nell'operazione gli ostaggi vengono uccisi. Il tutto avviene
all'insaputa delle autorita' italiane (Servizi informativi compresi). Il primo ministro inglese David
Cameron avvertira' il premier italiano Mario Monti ad operazione iniziata.
E' lecito domandarsi perche' l'operazione sia avvenuta senza consultare o avvisare l'Italia. Ed e' un
discorso che riguarda l'Inghilterra, ma anche la Nigeria.
La domanda e' ancor piu' lecita se si considera che un rappresentante dell'A.I.S.E. e' dislocato ad
Abuja ed altrettanti rappresentanti sono a Londra. A questi va aggiunto il rappresentante dei Servizi
inglesi a Roma. Non era quindi una difficolta' a comunicare, ma solo una precisa volonta' a non
voler comunicare l'imminente operazione.
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Per quanto riguarda gli inglesi (siano essi MI-5 o MI-6) vi e' da sempre una certa tendenza di queste
Servizi a non interfacciarsi piu' di tanto con altri Servizi a meno che non si tratti degli americani
(con cui cooperano in simbiosi) o con altri Servizi delle ex colonie (con relazioni di preminenza).
Questo rapporto privilegiato tra inglesi e nigeriani puo' avere indotto questi ultimi a sottacere sul
blitz militare in essere.
Comunque dei segnali inequivocabili erano di sicura interpretazione. Uno di questi era l'arrivo in
Nigeria dei reparti speciali inglesi. Era facile dedurre - ma non e' stato fatto - che si stava
preparando un'operazione militare e sicuramente, avvenendo su territorio nigeriano, erano parte
della organizzazione anche le forze di sicurezza locali.
Un capocentro accorto, con un po' di mestiere ed intuizione avrebbe sicuramente acquisito
informazioni di interesse nel merito. Non dagli inglesi, ma con buona sagacia dai nigeriani dove era
piu' facile acquisire informazioni con qualche regalia mirata.
La credibilita' dell'A.I.S.E. si e' qui giocata sullo scarso spessore di qualcuno e anche su un fatto
inequivocabile oramai di dominio pubblico a livello internazionale: l'Italia privilegia sempre il
negoziato nel caso di ostaggi e la conclusione delle trattative postula sempre il pagamento di un
riscatto.
Se fossero state portate a conoscenza ufficialmente di un blitz militare, le autorita' italiane non
avrebbero sicuramente dato l'autorizzazione. E' avvenuto in Iraq , altrettanto in Afghanistan e in
altre situazioni similari africane. Questo modus operandi non e' gradito a molti, soprattutto ne' agli
americani ne' agli inglesi ne' a quei Paesi che si confrontano con il terrorismo endogeno come
l'Algeria o la Mauritania. Cedere ad un riscatto puo' aumentare le probabilita' che l'ostaggio venga
liberato incolume, ma oggettivamente ci sono anche altre controindicazioni: si alimenta
finanziariamente una organizzazione criminale e/o terroristica, si accredita il concetto che il ricatto
paga ed e' strumentalmente percorribile. Nel caso in questione il riscatto sarebbe andato agli
estremisti di Boko Haram. E l'Italia, nello specifico mercato, e' oramai accreditata come un buon
cliente.
LE ALTRE RECENTI DEBACLES
Un'informativa richiesta all'Agenzia sulla situazione nelle Maldive. Risposta: tutto a posto. Due
giorni dopo c'e' stato il colpo di Stato. L'area geografica in questione non rientra tra le priorita'
informative dell'Agenzia ne' quindi viene monitorata piu' di tanto. Si e' tentato di fare millantato
credito con particolare imperizia.
La questione dei due maro' a Cochin e degli ostaggi italiani nell'Orissa. Nel mezzo di questi eventi
il capocentro a New Delhi va in pensione e non viene sostituito. Pensione raggiunta per limiti di eta'
quindi cronologicamente prevista. Sede vacante perche' l'eventuale neo-designato deve fare corsi
preparatori. Nessuno e' stato quindi nelle condizioni di dialogare con i Servizi locali in modo
costante e continuativo come la circostanza imponeva ed ancora impone per i due militari italiani.
Non tanto per i maro', dove l'interlocutore principale e' il Ministero degli Esteri, ma per il
connazionale in ostaggio. Ma anche li' chi ha interloquito e' stato il Ministero degli Esteri a cui
vanno i meriti per la liberazione di Paolo Bosusco il 12 Aprile scorso. L'Agenzia, salvo le frenesie
dell'ultimo momento, e' stata latitante.
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Il premier Monti effettua la prima visita in Libia il 21 Gennaio 2012. Chiede informazioni
all'Agenzia sulla situazione sul posto. Risposta: tutto tranquillo. Arriva a Tripoli e si trova a dover
stare asserragliato nell'hotel a causa di grossi scontri in citta'. Questo avviene anche perche' a
cavallo della rivolta in Libia il Capocentro pro-tempore da poco designato in quella sede viene
avvisato che verra' messo dopo pochi mesi in quiescenza a seguito di una nuova regola introdotta
nell'Agenzia. L'avente causa se ne va giustamente adirato.
LA CREDIBILITA' NEL PROBLEMA DELL'IMPIEGO DEL PERSONALE
Molte delle situazioni sopra descritte derivano da un inadeguato utilizzo del personale e della
scarsa professionalita' dello stesso quando viene designato all'estero. La tipica attivita' di un
capocentro all'estero va dallo spionaggio all'antiterrorismo. Si basa sulla qualita' dei rapporti
instaurati con gli organismi di sicurezza locali, all'analisi continua dei fatti che lo circondano fino
alla capacita' di relazionarsi con il mondo in cui opera, sia esso la comunita' italiana o il contesto
internazionale, dove e' importante sapersi muovere senza cadere nei controlli dei Servizi locali. Un
agente deve essere depositario di un bagaglio di conoscenze che gli possano permettere di
individuare obiettivi informativi al passo con l'evoluzione della situazione. Tutto questo non puo'
essere frutto di una improvvisazione o di una raccomandazione. E' un lavoro atipico che richiede
tempo per essere assimilato, un addestramento per imitazione continuo, alcune caratteristiche
(culturali linguistiche, spirito di iniziativa, capacita' di intuizione e di deduzione, comunicativa
dialogica, percezione del pericolo, psicologia applicata alle relazioni umane, spirito di osservazione,
riservatezza e ben altro ancora) che probabilmente non tutti hanno.
In passato un aspirante capocentro, prima di essere impiegato all'estero, doveva prima aver fatto
un'esperienza di almeno 2-3 anni come analista, magari nell'area di futuro impiego (e questo gli
forniva la capacita' di valutare fatti e situazioni nell'ambito di una specifica conoscenza regionale o
areale) per poi transitare nella specifica branca operativa ove permaneva un altro paio di anni al fine
di acquisire una certa tecnica - o meglio detta sensibilita' - sul modus operandi futuro agendo per
imitazione o contrasto su quanto facevano gia' i suoi colleghi all'estero. Di questo nucleo di persone,
al termine di questo ciclo prima teorico e poi pratico che complessivamente durava 8-9 anni, se ne
faceva un uso appropriato nel tempo sempre per impieghi futuri o come volano operativo in
situazioni di emergenza.
Ma oggi, forse piu' del passato (perche' si tratta di una circostanza purtroppo endemica), questo
excursus ad honorem viene disatteso.
Purtroppo in un Servizio dove la gestione media di un Direttore Generale va dai 3 ai 5 anni e quindi
non si crea un beneficio temporale tra chi semina e chi raccoglie nel campo del personale, l'esigenza
di costruire quadri qualificati viene spesso vanificata da altre valutazioni piu' contingenti e
sicuramente meno professionali. Salvo qualche eccezione, che comunque esiste ma non costituisce
piu' regola ma eccezione, all'estero si va oggi spesso per raccomandazione o per una gratificazione
ad personam.
Ecco che capita che il rappresentante del Servizio ad Abuja, in Nigeria, era un ex sottufficiale
diventato funzionario che aveva passato la propria vita professionale a fare altro. Senza sufficiente
bagaglio specifico e' stato inviato all'estero a termine carriera per una presumibile gratificazione
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finanziaria. Sicuramente con la benedizione o raccomandazione del suo ex Capo ora Vice Direttore
esecutivo dell'Agenzia che precedentemente lo aveva alle dirette dipendenze nel suo Reparto. E,
come apparso su stampa, il de cuius, nel momento del blitz era probabilmente in ferie.
Alla situazione di un capocentro a fine carriera a Abuja, si deve aggiungere la presenza del parente
di un altissimo funzionario del Quirinale e di un giovane portaborse di un ex Direttore del Servizio
a Londra (sede fortemente ambita per ovvi motivi ambientali e quindi ad alto tasso di
raccomandazione). E' in questo la colpa per il fatto che l'operazione per liberare Lamolinara e'
avvenuta senza la conoscenza dell'A.I.S.E.? Forse e' difficile affermarlo, ma sicuramente queste
circostanze - sovrapponendosi - creano effetti negativi e rimane lecito il dubbio se con la presenza
di ben altri, piu' qualificati, rappresentanti nelle sedi in questione il risultato sarebbe stato differente.
Anche la presenza di un capocentro anche lui a fine carriera e poi colpito da limiti di eta' senza
essere sostituito a New Delhi poteva avere un impatto diverso sulla gestione del sequestro dei due
connazionali nell'Orissa indiano? Non e' dato saperlo anche perche' non esiste la dimostrazione del
contrario.
LA CREDIBILITA' NELLA POLITICA DEL RECLUTAMENTO
Appare una deduzione ovvia affermare che pur nelle diverse attivita' in cui si articola l'Agenzia, a
fattor comune, vi e' la qualita' del personale reclutato. Da sempre il criterio base e' stata la
cooptazione e nel passato - piu' che oggi - l'alimentazione era costituita dalle Forze Armate e dalle
Forze di Sicurezza. Nel tempo, questo sistema che poteva garantire, se ben utilizzato, una scelta
alquanto oculata dei membri del Servizio, e' diventato sempre piu' condizionato, meglio dire
inquinato, dalla imperante raccomandazione, dal clientelismo, dal familismo e dal sistema dei favori
e degli interessi incrociati. Il tutto favorito da un incremento dei reclutamenti nel mondo civile.
Nel piccolo l'organizzazione e' un lampante spaccato dell'Italia di oggi con la variante che nei
Servizi si accede senza concorsi sia transitando da altre Amministrazioni dello Stato, sia - ed e' qui
soprattutto che risiedono i maggiori abusi - con diretto reclutamento dal mondo civile. Una tecnica,
quest'ultima, che permette al segreto di Stato di non rendere palesi comportamenti
deontologicamente illeciti. Se a un non concorso si abbina un trattamento economico privilegiato,
questo puo' aiutare a quantificare quanto esteso e pressante sia diventato questo mercato.
Questo con buona pace di chi ha cercato di entrare nell'organizzazione attraverso il tanto
pubblicizzato - e praticamente mai attuato - concorso pubblico confidando nella qualita' del proprio
curriculum. Se qualcuno e' riuscito a trafilare attraverso questo percorso, magari per requisiti
linguistici di difficile reperibilita' (e cio' seppur raramente e' avvenuto), se non altro e' servito a
giustificare come regola quello che e' invece e' stata solo una rara eccezione.
A questo si e' poi abbinato il fatto che nelle progressioni di carriera e promozioni il sistema procede
senza ostacoli alla discrezionalita' di chi comanda. E nei fatti chi ha avuto una buona
raccomandazione per entrare nella struttura ha poi altrettante buone possibilita' di procedere piu'
speditamente di altri nella progressione della stessa. Magari anche in deroga alle proprie qualita'
professionali. E sono circostanze realmente accadute.
Il risultato e' stato che nel tempo c'e' stato un equivocabile abbassamento della qualita' generale dei
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dipendenti e fatalmente anche della capacita' operativa dell'Agenzia.
A tutto questo si e' poi voluto dare seguito, recentemente, attraverso un sistema di rinnovamento e/o
avvicendamento del personale basato su una equazione matematica e non su una valutazione critica
dei singoli individui: chi nel triennio 2010-2013 raggiunge i 40 anni di contributi, supera i 20 anni
di permanenza nel Servizio ed ha almeno 57 anni sara' allontanato (pensionato o, a richiesta,
transitato in altra amministrazione). Questo sistema alquanto grezzo di selezione ha portato/sta
portando alla fuoriuscita dall'organismo di circa 400-600 persone che proprio in virtu' della loro
esperienza pluriennale e del loro bagaglio professionale sono difficilmente sostituibili - soprattutto
in alcuni settori tecnici - in un arco temporale cosi' breve. Ma evidentemente hanno fatto premio
altre valutazioni che sfuggono se si applica un percorso analitico di logica manageriale, ma che
forse trovano giustificazione se si sostituiscono a queste logiche alcuni obiettivi pratici.
Il primo obiettivo raggiunto e' quello che consente all'Agenzia di rimpiazzare i vuoti organici con il
reclutamento di altre persone. Si creano piu' spazi organici e quindi si creano piu' opportunita' nel
mercato delle assunzioni. Piu' spazio per il familismo, per il clientelismo, per le pretese di politici o
alti funzionari dello Stato (a cui aggiungere, per onore di statistica, anche una pletora di figli e/o
parenti di giornalisti, magistrati, militari, raccomandati da politici di tutto l'arco costituzionale etc.).
Forse non e' un caso che anche uno strettissimo parente di un Ministro di questo governo tecnico sia
stato adesso accontentato.
Si crea inoltre nell'Agenzia un effetto organico collaterale ed quello che dall'equazione matematica
che tende al rinnovamento del personale vengono esclusi i circa 800 finanzieri, alcuni con al seguito
i propri problemi giudiziari, transitati nell'organismo nel periodo 2001-2006 ai tempi di Pollari e
quindi nella formula matematica non hanno i previsti 20 anni di permanenza nella struttura.
Sara' forse un caso, ma il responsabile del personale e' oggi sempre quello stesso finanziere messo
in quel posto da Pollari (oramai inamovibile per le benemerenze che si e' guadagnato e per i segreti
che specificamente detiene), chiave di volta di quel sistema clientelare di cui l'allora Direttore
Generale pro-tempore si avvaleva per assicurasi il sostegno politico, con l'obiettivo - peraltro
sfumato dopo il caso Pio Pompa e Abu Omar - di poter essere il primo Comandante della Guardia
di Finanza proveniente dal Corpo stesso. Gia' un intreccio interpersonale tra lui e l'allora
Comandante della Finanza Speciale permetteva ai due e ai rispettivi organismi relazioni particolari
che si estrinsecavano in questa osmosi continua di personale tra i due Enti e nell'assistenza
reciproca dei rispettivi parenti parallelamente assunti.
UN VUOTO DA COLMARE
Si e' trattato di un periodo storico del Servizio, ora Agenzia, dove le assunzioni, passate da una
pregressa gestione artigianale e aperiodica, sono diventate qualcosa di sistematico e continuativo ed
infine parte integrante di un sistema di corruttela, convivenze e convenienze.
Tutto questo con il cosiddetto rinnovamento in essere non e' stato smantellato, ma forse
maggiormente legittimato dagli spazi organici artificiosamente ora creati. Il paradosso e' stato anche
che, a fronte e contemporaneamente ad uno "svecchiamento" degli organici con l'allontanamento di
ultra 57enni, si e' pensato bene di arruolare un prefetto di 65 anni che non trovava piu' collocazione
adeguata al Ministero dell'Interno.
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Non e' lecito comunque demonizzare questo stato di cose per arrivare alla conclusione che i quadri
ora assunti all'Agenzia siano tutti dequalificati per il ruolo ed i compiti che devono o dovranno
svolgere. Nell'Agenzia, specie tra quei pochi vecchi che vi sono rimasti, molti sono personaggi
professionalmente di spessore. Ma numericamente non bastano. Alcuni giovani neo-assunti avranno
probabilmente domani (ma non oggi) la possibilita' di diventare quadri capaci. Ma non e' su questi
parametri che si e' verificata la loro assunzione . Il problema e' nella mancata etica che regola
questo sistema e che potrebbe ingenerare nei beneficiati l'idea che tutto e' dovuto o raggiungibile a
prescindere dai meriti. L'altro problema e' nei tempi che intercorrono tra il personale che viene
assunto e la successiva acquisizione di quello spessore professionale che un incarico - comunque
delicato - richiede. La carente, attuale, limitata capacita' operativa dell'A.I.S.E. risiede soprattutto in
questa circostanza.
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