"¿Quién mató a Palomino Molero?" di Mario Vargas Llosa
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"¿Quién mató a Palomino Molero?" di Mario Vargas Llosa
DOMENICO ANTONIO CUSATO Università di Catania ¿Quién mató a Palomino Molero? di Mario Vargas Llosa: una atipica trasgressione al canone poliziesco (I parte) Nella sua vasta produzione letteraria – che va dal racconto al romanzo, dal teatro al saggio, dall’articolo politico a quello letterario –, Mario Vargas Llosa ha affrontato le tematiche più varie; e, pur attingendo sempre ai suoi dèmoni personali, è riuscito a suscitare inquietudini di carattere più universale nei lettori. In particolare, le opere narrative – sono queste, tra le varie forme di scrittura, quelle che ha dimostrato di prediligere – sono state improntate a diverse tipologie: da quella umoristico-dissacratoria (Pantaleón y las visitadoras1) all’altra di taglio storico (Conversación en la Catedral2, La fiesta del chivo3), dal romanzo biografico (El paraíso en la otra esquina4, El sueño del celta5) alla narrazione erotica (Elogio de la madrastra6, Los cuadernos de Don Rigoberto7)… Non poteva, dunque, mancare il romanzo poliziesco, un genere che per lunghi anni, nonostante il crescente interesse dei lettori, è stato considerato di bassa cultura. Tuttavia, da “narrativa popolare”, con il tempo si è rivelato di particolare interesse anche per la critica, oltre che per il pubblico degli aficionados. Già il primo romanzo di Vargas Llosa, La ciudad y los perros8, per certi versi potrebbe essere considerato un giallo, anche se l’approccio a questo genere è stato, più che altro, involontario: è evidente che in quell’opera l’autore intendeva sottolineare non tanto l’aspetto della detection – vale a dire l’investigazione svolta per arrivare all’assassino del Esclavo – quanto la violenza del militarismo. A qualche anno di distanza dalla pubblicazione di ¿Quién mató a Palomino Molero?9, lo scrittore si cimenterà ancora in questo genere con Lituma en los Andes10. Tuttavia, così come si è detto per La ciudad y los perros, anche quest’opera è un poliziesco particolare: attirando l’attenzione sul movimento Sendero luminoso, Vargas Llosa dà l’idea che il tema centrale del romanzo sia quello politico. Solo alla fine, dopo che il caporale Lituma avrà scoperto la verità (senza, tuttavia, poter fare niente per assicurare i colpevoli alla giustizia), si noterà che si tratta di un romanzo anti-detective, poiché nessun ordine potrà essere ristabilito dall’investigatore 11. Con ¿Quién mató a Palomino Molero?, invece, l’autore entra in modo più diretto nel modello poliziesco, creando una storia che, pur se non segue strettamente il canone, non 1 Madrid, Alfaguara, 1973. 2 Lima, Peisa, 1969. 3 Madrid, Alfaguara, 2000. 4 Madrid, Alfaguara, 2003. 5 Madrid, Alfaguara, 2010. 6 Barcelona, Tusquets, 1988. 7 Barcelona, Tusquets, 1997. 8 Barcelona, Seix Barral, 1963. 9 Barcelona, Seix Barral, 1986. Per il presente studio, mi servo dell’edizione stampata a Madrid, Punto de lectura, 2011. 10 Barcelona, Seix Barral, 1993. 11 Cfr. Stefano Tani, The Doomed Detective. The Contribution of the Detective Novel to Postmodern American and Italian Fiction, Carbondale and Edwardsville, Southern Illinois University Press, 1984. In particolare, si veda il cap. II: «Toward a Definition of the Anti-Detective Novel» (pp. 35-51). manca di nessuno degli ingredienti tipici di questo genere. Da una parte, infatti, propone una coppia di investigatori (come fa, nei suoi ormai classici romanzi, Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes e John H. Watson; o, per restare in àmbito iberistico, come fanno Vázquez Montalbán con Pepe Carvalho e Biscuter, ovvero Leonardo Padura Fuentes con il tenente Mario Conde e il sergente Manuel Palacios) e indugia sugli aspetti sociali, sottolineando la differenza tra ricchi e poveri e la marginalità di questi ultimi in un Paese dove la democrazia è assolutamente imperfetta12. Articola, inoltre, la struttura sui due tipici livelli temporali del giallo: il presente su cui si svolge l’indagine e il passato che viene recuperato attraverso il ricordo dei testimoni. D’altra parte, però, l’opera si distingue dai romanzi più aderenti al canone per il fatto che si svolge in un ambiente rurale e non metropolitano, e anche perché i due poliziotti sono agli antipodi del prototipo dell’investigatore: eccessivamente dominato dal sesso, il tenente Silva; troppo romantico, Lituma. Oltre a ciò, come vedremo più avanti, la voce che narra le vicende in analessi ha una sua originale impostazione che la differenzia da quella extradiegetica che narra l’intera vicenda. Prima di passare all’analisi del testo, vediamone brevemente la trama. *** Un aviere della base aerea di Talara, Palomino Molero, viene trovato assassinato nelle campagne circostanti. Sul corpo del giovane, sono evidenti i segni di varie sevizie, e ciò suscita un forte sgomento in Lituma, l’agente di polizia che, insieme con il tenente Silva, dovrà investigare sul caso. Inizialmente, si pensa che Palomino possa essere stato ucciso da un marito geloso, poiché si scopre che qualche tempo prima, da civile, il ragazzo corteggiava una donna della base aerea di Piura, città dove aveva vissuto fino a un paio di mesi addietro. Al momento della sua uccisione, infatti, egli è militare solo da poco: pur essendo stato esonerato dal servizio di leva in quanto figlio unico di madre vedova, Palomino aveva deciso di arruolarsi comunque nell’aviazione presso la base di Talara. Egli stesso aveva detto alla propria madre che doveva assolutamente farlo per allontanarsi da Piura, poiché era una questione di vita o di morte. L’investigazione di Silva e Lituma è rallentata, se non bloccata, dal colonnello Mindreau, il comandante della base aerea di Talara, il quale nega ai due poliziotti la possibilità di interrogare le reclute e di ottenere, così, le informazioni necessarie per il proseguimento delle indagini. Grazie a una lettera anonima che li invita a svolgere ricerche nel villaggio di Amotape, i due investigatori scoprono che Palomino e Alicia Mindreau, la figlia del colonnello, erano scappati in questo paesino per cercare un prete che li sposasse. Era lei, dunque, la donna della base aerea di Piura a cui Palomino andava a fare serenate con la chitarra ogni notte; il padre di Alicia, infatti, era stato comandante di quella base fino a pochi mesi prima. Ad Amotape, in attesa del ritorno del sacerdote che si trovava fuori da vari giorni, due militari erano andati a prelevare gli innamorati. Silva e Lituma non fanno fatica a capire che si tratta del colonnello Mindreau e del tenente Dufó, l’ex fidanzato di Alicia. A questo punto la situazione sembra precipitare. Di ritorno a Talara, i poliziotti incontrano Alicia, la quale dà la sua versione dei fatti, facendo capire che il padre, che aveva da sempre attenzioni morbose nei suoi confronti, era geloso dell’aviere Palomino, il quale per giunta era un cholo. 12 La descrizione della corruzione e della decadenza della comunità è molto presente in quella corrente conosciuta come «giallo sociale», il quale trova la sua ragione d’essere, più che nel caso delittivo in sé, proprio nella denuncia delle ingiustizie e delle condizioni di vita delle classi meno abbienti. Sull’aspetto sociale dei romanzi gialli (e in particolare di quelli di Leonardo Padura Fuentes), rimando al volume di Sabrina Costanzo, La costruzione di un giallo sociale: «Las cuatro estaciones» di Leonardo Padura Fuentes, Messina, Lippolis, 2008. Ormai lo svolgimento dell’atto criminoso e il movente sembrano essere chiari: il colonnello commissiona l’omicidio di Palomino, e il tenente Dufó, fidanzato tradito, ne è l’esecutore materiale. Tuttavia il colonnello, che rifiuta qualsiasi illazione di incesto, vuole incontrare Silva per spiegare che Alicia soffre di allucinazioni; e che, se lui aveva tentato di allontanare Palomino dalla ragazza, era solo perché lei necessitava della protezione paterna. Poiché sa di essere stato scoperto e di non avere altra possibilità, il colonnello chiede di essere lasciato solo e si suicida. Tornati in caserma, i poliziotti trovano la lettera che Mindreau aveva annunciato di aver mandato loro, e nel leggerla scoprono che, prima di suicidarsi, l’ufficiale dell’aviazione ha ucciso anche Alicia, quella figlia che non avrebbe potuto più proteggere. Nei giorni successivi, nessuno sembra credere alla colpevolezza del colonnello: tutti pensano che egli sia stato accusato ingiustamente per coprire dei pesci più grossi. E i due poliziotti, invece di essere ricompensati per l’esito positivo delle loro indagini, saranno trasferiti: Lituma, a Junín, sulle impervie Ande; Silva, in un luogo ancora da stabilire. Parallelamente alla vicenda investigativa, vi è quella amorosa del tenente Silva. Questi, che sente una forte pulsione erotica per doña Adriana, la proprietaria della locanda dove suole mangiare con Lituma, parla costantemente di lei con il sottoposto, e cerca inutilmente di sedurla. La spia quando va a mare a fare il bagno in sottoveste, cerca di sfiorarla ogni volta che lei gli si avvicina, prova a eccitarla mostrandosi seminudo… Ma tutto ciò non pare avere effetti sulla donna che, molto più grande di lui, sottolinea sempre di essere una madre di famiglia. La storia d’amore di Silva si conclude nello stesso momento in cui si chiudono le indagini su Palomino: quella sera, il tenente, dopo essere venuto a capo della verità sulla morte dell’aviere, decide di andare a violentare la locandiera. Ma, come si saprà nell’ultimo capitolo, pare che l’atteggiamento di doña Adriana abbia messo in difficoltà il poliziotto che, mortificato nella sua virilità, non riuscirà nell’intento e abbandonerà per sempre l’arrogante aria di seduttore. *** Come prima cosa, mi pare opportuno accennare a due aspetti tematici, uno relativo al giallo in senso lato, e l’altro collegato più prettamente al «giallo sociale». Per quanto concerne il primo, nell’opera troviamo non solo l’occultamento della verità al lettore fino alla conclusione del romanzo, ma anche un continuo depistaggio da parte dello scrittore per allontanare i sospetti dal colpevole. Sin dall’inizio, infatti, ogni volta che si accenna alla precipitosa partenza di Palomino per Talara, c’è sempre un’interpretazione di questo spostamento, che serve a confondere. Come si sa, il ragazzo vuole solo seguire la donna di cui è innamorato; e tuttavia, quando si accenna a quella decisione, troviamo annotazioni che allontanano il lettore dalla verità. Vediamo alcuni esempi: O sea que se enroló para salir de Piura, porque eso para él era de vida o muerte. Alguien lo habría amenazado aquí en la ciudad y pensó que estaría seguro en Talara, en el interior de una Base Aérea13. –Ahora me acuerdo que […] estaba enamorado hasta las cachas. A mí me contó algo. Un amor imposible. Me dijo eso. […] estoy enamorado, Moisés, y mi amor es imposible. Por eso se metió de avionero 14. 13 14 ¿Quién mató…?, cit., p. 24. Ibidem, p. 28. –Palomino estaba muy enamorado –balbuceó–. Y parece que… […] no eran amores muy santos […]. Tal vez por eso se escapó de Piura. […] –En otras palabras, mi coronel, podría ser que a Palomino Molero lo chapara en sus amoríos un marido celoso y lo amenazara de muerte […]. Y que, por eso, el muchacho se enrolara aquí15. –Mira, yo sé que Palomino tenía un amorcito allá en la Base de Piura […]. –No sé nada –exclamó el aviador […]. –Sí, sabes […]. Sabes que el marido de ésa a la que daba serenatas malició algo, o los pescó, y sabes que Molero tuvo que salir pitando de Piura. Por eso se vino aquí, por eso se enroló en Talara16. Allo stesso modo, come si diceva, si tenta di allontanare i sospetti dal colpevole. Il colonnello Mindreau, infatti, da una parte viene descritto come un antipatico e arrogante dittatore della Base, dall’altra, però, alcune considerazioni sulla sua persona ce lo restituiscono come un uomo assolutamente integro e rigoroso nell’osservare e applicare la legge: Además de antipático, el jefe de la Base tenía fama de ser un monstruo de rectitud, un maniático del reglamento 17. –Anda a hablar con el coronel Mindreau, Chinito –le aconsejó el teniente Silva–. Es problema de él. Yo no voy a hablar con el coronel por nada del mundo –le contestó el chino–. A Mindreau yo le tengo un miedo del carajo, dicen que es rectísimo18. E se nel gioco del depistaggio l’autore a volte avanza dei dubbi sull’ufficiale dell’aviazione, subito li ritira, per tenerci lontani dalla verità. Quando, per esempio, Silva confida a Lituma di sospettare del colonnello poiché sicuramente sa molte più cose di quanto non sembri, a distanza di qualche riga ritorna la moralità dell’alto ufficiale a dissolvere il sospetto che si stava facendo strada nella mente del lettore: –[…] estoy seguro que sabe mucho y tal vez todo lo que pasó. […] –¿Que sabe quiénes mataron a Palomino Molero? […] –No sé qué sabe, pero sabe un chuchonal de cosas […]. […] oyeron un motor. Era una camioneta con los colores azules de la Base. El chofer paró sin que ellos se lo pidieran. –¿Van a Talara? […] Suban, los jalamos. […] –¿Y? –dijo uno de ellos–. ¿Van a descubrir el pastel o enterrarán el crimen para proteger a los peces gordos? […] –Lo descubriríamos si el coronel Mindreau nos ayudara […]. –No es mala gente –dijo el avionero–. Es rectísimo y hace andar la Base como un cañón19. Per quanto concerne il secondo aspetto tematico – quello, come si diceva, di pertinenza Ibidem, pp. 41-42. Ibidem, p. 67. 17 Ibidem, p. 42. 18 Ibidem, p. 51. 19 Ibidem, pp. 48-49. 15 16 del «giallo sociale» –, dobbiamo rilevare come l’opera abbia la finalità anche (o soprattutto) di denunciare i limiti di una società (in questo caso, quella peruviana degli anni ’50), attraverso la descrizione delle ingiustizie, che si traducono nella enorme differenza tra le classi sociali. Lo stesso Mario Vargas Llosa ci informa che la genesi del romanzo è da imputarsi a un’ingiustizia di cui aveva avuto notizia: Escribí ¿Quién mató a Palomino Molero? por la indignación que me produjo el asesinato de un joven avionero de la base aérea militar de Talara que quedó misteriosamente silenciado por la burocracia oficial20. Nell’opera, i riferimenti alle discriminazioni sono numerosi e vari; e si trovano disseminati lungo tutto il romanzo, fino alle ultime pagine. Già la descrizione delle case all’interno della Base dell’aviazione e di quelle dei gringos rende l’idea della sproporzione del tenore di vita tra chi abita in quelle magioni e i modesti abitanti di Talara: ¡Puta, qué lecheros! ¡Vivir y trabajar en un sitio así! A la derecha se alineaban las casas de los oficiales, igualitas, de madera, empinadas sobre pilotes, pintadas de azul y de blanco, con pequeños jardines de geranios bien cuidados y rejillas para los insectos en puertas y ventanas. […] ¡Los aviadores vivían casi tan bien como los gringos de la International, carajo! […] Como los gringos de la International, éstos, detrás de sus muros y rejas, vivían igual que en las películas. Y gringos y aviadores podían mirarse la cara por sobre las cabezas de los talareños, que se asaban de calor allá abajo en el pueblo […]21. Ma, al di là del benessere economico, anche l’aspetto sociale e quello razziale marcano la differenza tra i privilegiati e i diseredati della vita. Dufó, personaggio dalle dubbie doti umane, è idoneo a sposare la figlia del colonnello: Porque Ricardo Dufó no es un pata pelada de Castilla, sino un oficial. Un hombre de buena familia22. Palomino, invece, rimane sempre un povero «guitarrista de Castilla» e non può aspirare all’amore della ragazza. Lo stesso colonnello, riferendo ai poliziotti di aver cercato di dissuadere l’aviere dal corteggiare Alicia, riporta la conversazione avuta con il giovane: Yo podría decirle a usted, sencillamente: «Un avionero […] un muchacho de Castilla no puede aspirar ni en sueños a Alicia Mindreau. Sépalo y sepa también que no debe acercarse ni mirarla, ni soñar siquiera con ella, o pagará ese atrevimiento con su vida». Pero, en vez de prohibírselo, se lo expliqué, de hombre a hombre. Creyendo que un guitarrista de Castilla podía ser, también, alguien racional, tener reflejos de persona decente23. La discriminazione che trapela dalle parole del colonnello («Creyendo que un guitarrista de Castilla podía ser, también […] racional […] decente») in fondo non è molto diversa da quella che si manifesta nelle espressioni della figlia. Quando Alicia racconta a Silva e Lituma di come ha conosciuto Palomino, aggiunge: 20 Ibidem, ultima pagina di copertina. L’aviere dell’episodio a cui fa riferimento è José Abad, «[…] cuyo cuerpo torturado fue abandonado entre los chopos de las inmediaciones de la base militar» (cfr. Miguel Godos Curay, Piura, Vargas Llosa y la inagotable pasión, in http://palosalviento.blogspot.it/2007/02/ piuravargas- llosa-yla-inagotable.html 21 ¿Quién mató…?, cit., pp. 36-37. 22 Ibidem, p. 145. 23 Ibidem, p. 144. –En el cumpleaños de Lala Mercado, allá en Piura […]. Todas las chicas decían «qué bonito canta, qué linda voz». Y, también, «qué buen mozo es, no parece cholo». Cierto, no lo parecía. «Estos blancos», se indignó Lituma. […] –Y bailamos […]. A nadie le pareció mal que bailara con nosotras, todas querían que las sacara. Se portaba como gente decente24. Nel romanzo, l’aspetto sociale è così evidente che non vale la pena di riportare altre esemplificazioni sul tema. Soltanto mi pare opportuno evidenziare come sia tanta la sfiducia da parte del popolo, che ritiene di essere sempre l’unico a pagare. Quando si farà chiarezza sul delitto, infatti, nessuno crederà alla colpevolezza del colonnello, né al suo suicidio: dato che i potenti non pagano, se è stato incolpato è perché bisognava coprire qualcuno ancora più in alto; e, per avere la certezza che non parlasse, lo si è dovuto eliminare: –¿Y quiénes dicen que lo mataron [al coronel]? –Los peces gordos, por supuesto –abrió los brazos don Jerónimo–. Quién si no. […] Todo el mundo anda diciendo que a usted le han tapado la boca y no lo dejan aclarar las cosas. Lo de siempre, pues25. La morale che il popolo trae da questa storia, dunque, non può che essere quella di sempre: –Aquí, los únicos que se friegan siempre somos los pobres –rezongó don Jerónimo–. Los peces gordos, jamás. ¿No, teniente?26. In ¿Quién mató a Palomino Molero?, dunque, non si realizza ciò che forse lo scrittore si era inizialmente prefisso, vale a dire rendere giustizia, quantomeno nella finzione narrativa, a quel Pepe Abad, la cui oscura morte ha voluto riproporre. Certamente, nel romanzo si fa un passo avanti, rispetto alla realtà, in quanto almeno si arriva a individuare – ancorché non a punire – il colpevole. Ma la verità sarà conosciuta solo dal lettore, visto che il popolo di Talara, non credendo allo scioglimento finale, si sentirà deluso nelle aspettative. Cosicché, il ripristino dell’ordine sociale a cui tende ogni investigazione – rimasto frustrato, nella realtà – nel romanzo non si concretizza che in modo parziale: se è vero che il caso non resterà irrisolto, è pur vero che – probabilmente per una maggiore aderenza a una realtà di ingiustizia e sopraffazione, quale quella dell’ambientazione cronotopica dell’opera – a pagare saranno i due poliziotti, che verranno trasferiti nelle zone più impervie del Paese. Ibidem, pp. 113-114. Ibidem, p. 155. 26 Ibidem, p. 157. 24 25 ¿Quién mató a Palomino Molero? di Mario Vargas Llosa: una atipica trasgressione al canone poliziesco (II parte) Domenico Antonio Cusato (Università di Catania) Dopo aver dedicato la prima parte di questo studio a quegli elementi che dal punto di vista tematico non aderiscono perfettamente al canone del poliziesco27, cercheremo ora di verificare come in ¿Quién mató a Palomino Molero? anche dal punto di vista formale ci siano trasgressioni al modello convenzionale, benché siano presentate in modo più sottile ed abilmente elaborato. L’opera è divisa in otto capitoli, e, a ognuno di essi, corrisponde un diverso piano spazio-temporale. Di seguito, ne abbozziamo uno schema dal quale, comunque, espungiamo la vicenda che scorre parallela alla storia dell’investigazione, vale a dire quella in cui si raccontano l’innamoramento e i tentativi di seduzione del tenente Silva nei confronti di doña Adriana. Vediamo, dunque, come è articolata l’opera. I capitolo: i poliziotti sono nella campagna di Talara, dove si trova il cadavere di Palomino, scoperto da poco. II capitolo: ci spostiamo a Piura, dove Lituma parla con gli Inconquistables del caso criminale di cui si dovrà occupare. Poi va a trovare la madre del ragazzo assassinato e acquisisce nuove informazioni. III capitolo: siamo di nuovo a Talara. Dopo che Lituma racconta al tenente Silva quanto è venuto a sapere nel colloquio avuto con doña Asunta, i due si recano alla base aerea e parlano con il colonnello Mindreau. IV capitolo: i nostri poliziotti, dopo aver ricevuto delle denunce, vanno a controllare ciò che avviene nel locale del Chino Liau, dove ogni sera, da qualche tempo a questa parte, il tenente Dufó, ex fidanzato di Alicia Mindreau, si ubriaca e provoca gli avventori. Riescono a interrogarlo sulla morte di Palomino e rientrano in caserma, dove trovano una lettera anonima che li invita a fare ricerche ad Amotape. V capitolo: ad Amotape, la locandiera doña Lupe ammette, terrorizzata, di avere avuto come ospiti Palomino e Alicia, e racconta di due militari venuti a prendere i giovani per portarli via. VI capitolo: tornati a Talara, i due poliziotti ascoltano Alicia Mindreau che dà la sua versione dei fatti, suggerendo il movente del delitto: la ragazza fa capire che il padre, che l’aveva violentata e nutriva per lei dei forti sentimenti di gelosia, era stato il mandante dell’omicidio. VII capitolo: di notte, i due poliziotti sono raggiunti sulla spiaggia dal colonnello Mindreau. Questi dà una personale versione dei fatti, ammettendo 27 Cfr. Domenico Antonio Cusato, «¿Quién mató a Palomino Molero?» di Mario Vargas Llosa: una atipica trasgressione al canone poliziesco (I parte), in AA. VV., «El ingenio es como el fuego…». Studi di iberistica offerti a Cecilia Galzio, Messina, Lippolis, 2012, pp. comunque di aver ordinato al tenente Dufó di uccidere Palomino. Nega, tuttavia, di avere abusato della propria figlia. Dopo aver comunicato ai poliziotti di aver lasciato una lettera presso la loro caserma, li accomiata e si suicida. VIII capitolo: all’interno della locanda di doña Adriana, gli avventori commentano gli accadimenti degli ultimi giorni. *** Per quanto riguarda i piani spazio-temporali, c’è da fare una distinzione tra quello più recente, su cui si svolge l’investigazione di Silva e Lituma, e quello più antico – ricuperato in analessi dalle indagini dei due poliziotti –, su cui si snoda la storia d’amore di Alicia e Palomino, dall’esordio dell’idillio fino all’assassinio del giovane. Come in gran parte dei romanzi polizieschi, il primo piano descritto è ordinato secondo una temporalità pressoché lineare, e si riflette nell’altrettanto lineare (come si è appena visto) disposizione dei capitoli del romanzo: dal ritrovamento del cadavere fino alla soluzione del caso, le giornate dei due investigatori vengono proposte secondo un percorso cronologicamente progressivo. All’interno di questo processo di regolare avanzamento nel tempo, si apre attraverso i flash-backs (che spesso, come si vedrà, sono mediati dalla fantasia di Lituma28) il piano relativo al momento più preterito. Tuttavia la narrazione analettica, che è funzionale all’adempimento delle più comuni regole del poliziesco, qui ha ,delle sfumature leggermente diverse rispetto a quella che si riscontra nei romanzi che seguono più strettamente i precetti del genere. Invero, da una parte aderisce al canone, in quanto il nuovo livello relativo al periodo in cui Palomino era ancora in vita presenta delle sfasature maggiori rispetto al tempo più recente dell’investigazione. La ricostruzione della storia del chitarrista innamorato, infatti, non viene riportata ordinatamente, ma piuttosto attraverso disordinati brandelli di episodi, così come la apprendono i due investigatori, e in particolare Lituma, dalla cui prospettiva è narrata tutta la vicenda. Anche in questo romanzo, dunque, il livello analettico è una narrazione a mosaico; un mosaico che, in realtà, si ricostruirà senza troppa fatica, anche se comunque, mancando di alcune tessere, date le eccessive ellissi, necessiterà di integrazioni da parte del lettore. Ma se da una parte il nucleo ha questa adesione al canone, dall’altra se ne differenzia perché, nella sua strutturazione, il tempo dell’enunciazione non è stato situato a storia conclusa ma, come si chiarirà più avanti, all’interno della stessa, vale a dire durante la parabola diegetica. E tuttavia, pur se il primo livello narrativo, come si è appena detto, procede in modo tutto sommato lineare, nei capitoli V e VII troviamo, proprio su questo livello, una temporalità abbastanza articolata. È vero che pure il capitolo I – il più breve, peraltro, visto che si estende da p. 13 a circa la metà di p. 15 – ha una rottura della 28 Per quanto riguarda l’aspetto della ricostruzione degli episodi tramite la fantasia, appare evidente la reciproca influenza tra questo romanzo e il dramma La Chunga (Barcelona, Seix Barral, 1986), pubblicato e rappresentato nello stesso anno in cui è apparso ¿Quién mató a Palomino Molero? (la prima rappresentazione, in Perù, è avvenuta appunto il 30 gennaio 1986, al teatro «Canout» di Lima). Non dimentichiamo infatti che, nell’opera teatrale, le storie vissute dagli Inconquistables nella loro mente non sono il ricordo dell’episodio realmente occorso nel passato, ma la ricostruzione fantastica di ciò che avrebbero voluto che avenisse. linearità cronotopica; ma ciò avviene solo per quel flash-back dove si ricupera il momento in cui il giovane pastore corre a Talara ad avvisare i due poliziotti del ritrovamento del cadavere. Per quanto riguarda il resto, vediamo solo la raffigurazione del luogo del crimine e la descrizione delle sevizie riscontrate sul corpo di Palomino. Ed è pur vero che, anche in altri capitoli, la linearità cronologica viene interrotta da qualche anacronia. Però, come si diceva, nei capitoli V e VII troviamo sfasature spazio-temporali molto più vivaci. Per ovvie ragioni di spazio, in questa sede tralasceremo l’analisi del VII capitolo, per poterci occupare in modo più approfondito del V. In esso, si narra del viaggio fatto da Silva e Lituma ad Amotape, dopo che una lettera anonima li invita a indagare in quel villaggio. Già l’incipit ci dice come la storia inizi in medias res: –Amotape, vaya nombre –se burló el teniente Silva–. ¿Será cierto que viene de la historia esa del cura y su sirvienta? ¿Usted que cree, doña Lupe?29. A queste parole di Silva, segue una digressione in cui si descrivono la localizzazione geografica del paese («medio centenar de kilómetros al sur de Talara») e i suoi sobborghi. Poi, si ritorna al monologo di Silva: –¿Usted cree que esa historia del cura y su sirvienta sobre Amotape será cierta, doña Lupe? –repitió el teniente Silva30. Ed ecco che affiora una nuova digressione che, come in una riduzione di zumata, ci avvicina allo spazio su cui si svolge la scena. Dopo averne descritto i sobborghi, infatti, adesso si tratteggia il centro di Amotape: El poblado es un revoltijo de cabañas de barro y caña brava, con corralitos de estacas, y alguna que otra casa de rejas nobles […]31. La prima cosa che colpisce in queste pagine è l’accentuata strutturazione anisocronica: i brevi istanti che intercorrono tra la prima e la seconda battuta di Silva sono amplificati a causa delle ben quindici righe della prima digressione, e anche la risposta della donna (che dovrebbe essere quasi immediata, visto che è apostrofata con sollecitudine dal tenente) arriva dopo altre sedici righe della seconda. In pratica le tre battute, che nel tempo della storia devono essere state pronunciate consecutivamente nello spazio di pochi secondi, nel momento della narrazione sono disseminate all’interno di una pagina abbondante del romanzo. Ma, oltre a questo aspetto che riguarda la durata32 (e che mi limito solamente a segnalare), mi preme di far rilevare altre alterazioni temporali all’interno del capitolo che, come si è già detto, si apre con le parole di Silva che sta mangiando, insieme con il suo sottoposto, nella locanda di doña Lupe ad Amotape. 29 ¿Quién mató…?, cit., p. 76. 30 Ibidem, p. 77. 31 Ibidem. 32 Cfr. Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1986, pp. 135-145. Che lo spazio sia proprio quello della locanda di Amotape, lo scopriremo solo in seguito. Dopo le iniziali battute del tenente e le digressioni di cui si è detto, prende l’avvio un flash-back in cui si descrive l’arrivo dei due poliziotti al cospetto della donna: Desde que los vio llegar, los miraba con desconfianza. […] Cuando su mirada se cruzaba con la de uno de ellos, la sonrisita que intentaba le salía tan falsa que parecía morisqueta. […] Los había mirado así mientras les servía de comer […]33. Ma è solo diverse righe più avanti che si capisce che la scena non si svolge in una taverna di Talara, bensì in una locanda di quel villaggio che si trova cinquanta chilometri più a sud. Infatti, dopo aver descritto l’incontro con doña Lupe, il tempo retrocede ancora e ci riporta al momento in cui i due personaggi arrivano in paese: A ellos los había traído un camión que cargaba jaulas de pollos. Los dejó en la carretera. Mientras atravesaban el pueblo, habían visto brotar caras curiosas de todas las chozas de Amotape34. E come se non bastasse, Vargas Llosa ritorna a giocare ancora con il tempo, manipolandolo ulteriormente. Dapprima, lo fa andare avanti, fino a riportarci di nuovo al presente del pranzo dei poliziotti: El tieniente preguntó cuál de esas casas en que servían chicha era la de doña Lupe. El corro de churres […] señaló al instante la cabañita donde estaban ahora. […] –Buenos días, doña Lupe –había dicho el teniente Silva, al entrar–. Venimos a ver si su chicha, sus chifles y su seco de chabelo son tan buenos como se comenta35. E, una volta arrivati al presente, dopo aver descritto la locanda e la conversazione che si svolge durante il pranzo (in realtà, si tratta piuttosto di un monologo di Silva, che elogia le bellezze di doña Adriana), la narrazione retrocede cronologicamente e ci riporta a molte ore prima, quando i due poliziotti sono ancora in viaggio da Talara a Amotape: En el camino hacia Amotape, mientras el sol del desierto les taladraba los quepis, el teniente había venido monologando sin cesar sobre el anónimo, especulando sobre el teniente Dufó, sobre el coronel Mindreau y su hija36. *** Come si è potuto notare, dunque, questi andirivieni temporali sono relativi al primo livello narrativo. Da questo, poi, tramite il racconto di doña Lupe, si ricupererà il livello relativo alla storia dei due ragazzi. È vero che l’anacronia che ci riporta al 33 ¿Quién mató…?, cit. pp. 77-78. 34 Ibidem, p. 78. 35 Ibidem, pp. 78-79. 36 Ibidem, p. 80. tempo in cui la vittima ancora non è stata assassinata è comune a tutti i capitoli (e, come si è già detto, rientra nella struttura tipica del romanzo criminale), ma in questa occasione l’artificio con cui lo scrittore elabora la narrazione del flash-back è più accentuato. Infatti, l’avvio della storia di Palomino e Alicia è narrato da doña Lupe in prima persona, sotto interrogatorio. A poco a poco, però, grazie a una tecnica che Vargas Llosa ha usato molto nel suo teatro, l’episodio smette di essere una confessione – o, se si vuole, un racconto metadiegetico –, e sembra prendere vita come narrazione diegetica del secondo livello. Si veda il seguente esempio in cui, dietro le sollecitazioni di Silva, doña Lupe avvia il racconto che, dopo un po’, passa a essere narrato in terza persona: –El carro llegó a Amotape y usted lo vio –le recordó el teniente–. ¿Ellos se echaron a correr? ¿Se escondieron? –Ella quiso que se escapara, que se escondiera. Lo asustaba diciéndole corre amor, escápate amor, corre, corre, no te quedes, no quiero que… –No, amor, date cuenta, has sido mía, hemos pasado dos noches juntos, tú ya eres mi mujer. Ahora nadie podrá oponerse. Tendrán que aceptar nuestro amor. No me voy. Lo voy a esperar, le voy a hablar. Ella, asustadísima, corre, corre, te van a, te pueden no sé qué, escápate, yo los entretengo, no quiero que te maten amor. Estaba tan asustada que doña Lupe se asustó también: –¿Quiénes son? –les preguntó señalando el auto embadurnado de tierra, las siluetas que descendían y se recortaban, oscuras, sin cara, contra el horizonte incendiado–. ¿Quién viene ahí? Dios mío, Dios mío, qué va a pasar. –Quiénes venían, doña Lupe? –echó una hilera de argollas de humo el teniente Silva. –Quién iba a ser –susurró la mujer […]37. Come si può notare, nelle parti evidenziate in corsivo doña Lupe da personaggio che racconta passa a essere personaggio raccontato, all’interno di quella storia che Silva e Lituma stanno conoscendo proprio grazie alla sua confessione. E ciò non avviene perché il narratore abbia deciso di tornare, con uno scarto temporale, sul livello che appartiene a quel passato che i poliziotti stanno cercando di riscattare tramite l’investigazione. Quanto accade, piuttosto, lo si deve al gioco prospettico architettato da Mario Vargas Llosa. Il narratore extradiegetico, infatti, poiché adotta sempre il punto di vista di Lituma, riporta anche questo episodio da quella focalizzazione, nonostante il poliziotto fosse assente dalla scena: l’uomo, mentre ascolta ciò che dice la locandiera di Amotape, vive il racconto con tanta intensità da riuscire a vedere e ad ascoltare, come se fosse presente, tutta l’azione relativa a quell’avvenimento. Quel che viene riportato nel romanzo, dunque, non è il passaggio a un altro piano narrativo – operato dallo scrittore per far procedere la narrazione su due livelli diegetici – e non è nemmeno la raffigurazione generata dalla memoria della testimone: è piuttosto, la proiezione della fantasia dell’agente di polizia. O, se si vuole, è l’altro piano narrativo che lo scrittore fa affiorare tramite il ricordo della donna, mediato però dalla prospettiva di Lituma. 37 Ibidem, pp. 87-88. Il corsivo è mio. Ecco che si spiega, così, anche la maggiore competenza linguistica con cui si esprime il giovane aviere rispetto alla figlia del colonnello (che, dato il livello sociale, dovrebbe invece utilizzare un linguaggio più raffinato di quello del suo innamorato): No, amor, date cuenta, has sido mía, hemos pasado dos noches juntos, tú ya eres mi mujer. Ahora nadie podrá oponerse. Tendrán que aceptar nuestro amor. No me voy. Lo voy a esperar, le voy a hablar38. Tutto ciò è dovuto al fatto che la frase della ragazza è riportata da doña Lupe – di inferiore cultura rispetto al poliziotto –, mentre la battuta di Palomino è immaginata da Lituma, il quale la colora anche con quel pizzico di romanticismo che lo contraddistingue. A questo proposito, è opportuno ricordare che nel dramma La Chunga, il nostro Inconquistable è il protagonista della scena intitolata «Un amor romántico», e viene caratterizzato – diversamente dai suoi compari – come un personaggio particolarmente sentimentale, capace di tutto per amore39. Nell’immaginare l’episodio raccontato dalla locandiera di Amotape, dunque, Lituma dapprima dà un maggior ordine alle espressioni frammentarie e disarticolate della donna. Infatti, sostituisce la lacunosa espressione «Lo asustaba diciéndole corre amor […]» con un’altra che, seppur imprecisa, risulta meno frammentaria («Ella, asustadísima, corre, corre […]»). Poi, completa quella frase lasciata in sospeso da doña Lupe («no quiero que…») con «no quiero que te maten amor». Infine, perfeziona la scena con l’immaginazione, aggiungendo la possibile romantica risposta di Palomino ad Alicia («No, amor, date cuenta, has sido mía, hemos pasado dos noches juntos […]»). E, proprio in virtù di questo romanticismo, la sensazione di paura viene spostata sulla ragazza, che adesso non «asusta» Palomino, come riferiva doña Lupe ( «Lo asustaba diciéndole corre amor […]»): nella prospettiva di Lituma, è proprio lei a provare paura («Ella, asustadísima, corre, corre […]»). Infatti, nonostante Alicia sappia che non le può succedere nulla (poiché è pienamente consapevole del profondo amore che suo padre nutre per lei), manifesta una forte trepidazione per la vita del suo uomo, dimostrando così quel grande afflato romantico che il romantico detective desidera per la scena. *** 38 Ibidem, p. 87. 39 L’amore di Lituma per Meche, il personaggio di La Chunga, viene ricordato anche in questo romanzo, facendoci capire che l’opera teatrale precede la stesura di ¿Quién mató…?: «–¿Terminó usted enamorándose de él? –No sé –contestó la muchacha. «¿No sabe? ¿Cómo puede no saber eso?», pensó el guardia. Buscó en su memoria la vez que había estado más enamorado. ¿Fue de Meche, la querida de Josefino, esa trigueñita de cuerpo escultural a la que nunca se atrevió a declararse? Sí, esa había sido» (¿Quién mató…?, cit., p. 115). Un altro accenno a Meche si era trovato anche qualche pagina prima: «“Nunca he sentido un amor así”, pensó. “Ni siquiera esa vez que me enamoré de Meche, la querida de Josefino”» (ibidem, p. 95). Un altro elemento che ci indica la posteriorità di questo romanzo, rispetto all’opera teatrale menzionata, è il richiamo del quartiere in cui è situato il bar della Chunga: «[…] en ese barrio de blancos vecino al arenal donde estaba el bar de la Chunga – Buenos Aires– […]» (ibidem, p 114). Ovviamente, quella appena riportata non è l’unica analessi ricostruita da un Lituma assente dall’episodio descritto. Anzi, è il caso di puntualizzare che, quando la vita dell’aviere non ci viene presentata dalla testimonianza diretta di qualche personaggio (testimonianza che si può manifestare attraverso brevi battute oppure tramite una più consistente narrazione metadiegetica), gli episodi del passato prendono vita grazie all’immaginazione del poliziotto, che il narratore extradiegetico si preoccupa di rappresentare. Tuttavia, la voce di questo narratore si differenzia da quella che descrive il piano cronologico più recente, poiché il tempo dell’enunciazione è completamente diverso, proprio in virtù della prospettiva di Lituma: essendo lui a creare nella propria mente la scena, il tempo della narrazione non si pone più al di fuori della storia, ma all’interno della stessa, situandosi proprio nel momento in cui l’uomo ascolta quegli avvenimenti e li immagina. Un esempio interessante – che dimostra anche l’accuratezza con cui Vargas Llosa ha confezionato l’aspetto formale del romanzo, non facendo mai assumere al narratore alcuna focalizzazione diversa da quella di Lituma – si trova nel III capitolo, dove ci viene proposto un altro episodio a cui il poliziotto non ha assistito. Si tratta di ciò che accade la prima notte in cui Matías Querecotillo ascolta il canto di Palomino. Subito dopo l’avvio della storia da parte di doña Adriana, che racconta ai due detectives l’esperienza del marito, si passa alla narrazione in terza persona: –Lo oyó cantar un par de noches, mientras preparaba las redes –dijo doña Adriana. El viejo Matías Querecotillo y sus dos ayudantes se hallaban cargando las redes y el cebo en El León de Talara, cuando, de repente, los distrajo el bordoneo de una guitarra. La luna estaba tan clara y lúcida que no hacía falta encender la linterna para ver que ese grupito de sombras en la playa era media docena de avioneros. […] Cuando el muchacho empezó a cantar, Matías y sus ayudantes dejaron las redes y se acercaron. El muchacho tenía una voz cálida […]. Cantó Dos almas y, cuando terminó, lo aplaudieron. […] Desde entonces, el marido de doña Adriana lo había visto un par de veces más, en la misma playa […]. Cada vez, había hecho un alto en la faena para oírlo40. Anche in questo caso, la narrazione sembra essere partita da un elemento scatenante del primo nucleo narrativo: doña Adriana racconta del marito e, immediatamente, si apre una finestra sul passato che ci riconduce a quell’episodio, ampliandolo e definendolo meglio. In un primo tempo, questa costruzione potrebbe configurarsi come uno scarto del narratore verso l’altro nucleo, come se volesse far scorrere il romanzo sui due tipici binari del giallo (il presente dell’investigazione e il passato che da essa emerge). In più, il fatto che nel racconto si riscontri la prospettiva di don Matías, sembrerebbe confermare lo scarto del narratore sull’altro piano narrativo: «Tú podrías cantar en Radio Piura, Palomino», oyó Matías que decía uno de los avioneros41. 40 ¿Quién mató…?, cit., p. 33-34. 41 Ibidem, p. 34. Invece, anche l’episodio citato prende corpo grazie alla fantasia di Lituma. Infatti, appena finisce la scena descritta in terza persona, abbiamo un ritorno alla realtà presente, che appare come un risveglio del personaggio dal suo sogno. Le parole di doña Adriana, invero, sembrano scuotere Lituma e fugargli la visione a cui sta assistendo: –Si Matías hizo eso y le dijo eso, no hay duda que el muchacho tenía una voz de ángel – aseguró doña Adriana–. Porque Matías no se emociona así nomás, él es más bien frión42. Il fatto, poi, che le due narrazioni dell’episodio (ovvero quella proposta dalla locandiera e quella enunciata in terza persona) si concludano contemporaneamente, fa capire come vi sia stata una sovrapposizione della fantasia di Lituma sul racconto della donna. E si intuisce, così, che il romantico poliziotto stava rivivendo (ed elaborando) nella sua mente quella storia, proprio nel momento in cui la moglie di don Matías la raccontava. *** Alla luce di quanto si è detto finora, pare dunque strano che i pochi studiosi che si sono occupati di ¿Quién mató a Palomino Molero? considerino questo romanzo troppo modesto per un autore che, nelle prime opere, aveva colpito pubblico e critica con le audaci strutture narrative che era riuscito a creare. Secondo Julio Ortega: Mario Vargas Llosa parece haber perdido en esta novela su identidad creadora. Es una novela que falla incluso dentro de los límites, bastantes reducidos por sus últimos libros, de un proyecto narrativo que ha ido perdiendo inteligencia y pasión. Retóricamente, cabe esta pregunta: ¿Quién mató a Vargas Llosa, el inconformista apasionado de los primeros libros? Y menos retóricamente se podría responder: Tú, hipocrita lector, novelero y complaciente43. Negativo è anche il giudizio di Béjar: Pero mientras que su narrativa primera se había caracterizado por una innovadora experimentación con complejas estructuras espacio-temporales, inesperados desplazamientos del punto de vista narrativo, una múltiple articulación de fábulas y voces enunciadoras, y por el pathos de un lenguaje dialógico acomodado a la coyuntura dramática, la retórica y estructura de esta reciente novela se adhieren sorpresivamente al lenguaje y a las técnicas más tradicionales del causalismo realista decimonónico44. 42 Ibidem. 43 Julio Ortega, García Márquez y Vargas Llosa, imitados, in «Revista Iberoamericana», vol. LII, n. 137, 1986, p. 979. 44 Eduardo C. Béjar, «¿Quién mató a Palomino Molero?». La cuestión es el texto, in «Anales de literatura hispanoamericana», n. 19, 1990, p. 226. È vero che in quest’opera non troviamo le tecniche esacerbate delle prime narrazioni di Mario Vargas Llosa; ciò non di meno, mi pare evidente che quello che è considerato il suo primo romanzo “non sperimentale” non ha assolutamente niente dello stile ottocentesco di cui è stato accusato né si presenta piatto dal punto di vista della struttura. Anzi, al contrario: essa è così ben elaborata da nascondere sia lo sforzo profuso dallo scrittore nel costruirla sia gli artifici tecnici a cui ha dato fondo per evitare stridenze che potessero apparire – come è successo qualche volta nel passato – atteggiamenti di sfida nei confronti del lettore.