15-19 settembre - Filtea

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15-19 settembre - Filtea
Dipartimento Internazionale
http://www.cgil.it/internazionale/
RASSEGNA STAMPA
INTERNAZIONALE
15 – 19 settembre 2008
A cura di Maria Teresa Polico
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
15 – 19 settembre 2008
INDICE
ARGOMENTO
Unione europea
TESTATA
La rabbia europea per il “flagello” delle pratiche salariali anglo-americane
The Guardian
Gran Bretagna
Rivalità tra fratelli
The Economist
Irlanda
L’Irlanda fissa il congelamento degli stipendi del settore pubblico
The Financial Times
Italia
Alitalia sull’orlo del baratro mentre l’offerta viene accantonata
Le confederazioni sindacali italiane accettano il piano di salvataggio di
Alitalia
Progressi in movimento per salvare l’Alitalia
Financial Times
Le Monde
BBC
Africa
L’African National Congress in Sud Africa parla di indipendenza degli
alleati di sinistra
Reuters
Asia
Lavoratori migranti cinesi in Giappone feriti dopo aver lavorato in
condizioni “simili agli schiavi”
Labour Start
Medio e Vicino Oriente
Divisioni dietro lo sciopero dei medici a Gaza
Beirut non riceve ringraziamenti per l’aumento del salario minimo a 500,000
lire libanesi
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BBC
The Daily Star
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
The Guardian
13/09/08
La rabbia europea per il “flagello” delle pratiche salariali angloamericane
David Gow da Bruxelles
Il “flagello sociale” degli eccessivi stipendi degli amministratori ha provocato un ampio
dibattito nell’Unione europea, mentre i lavoratori vedono il loro potere d’acquisto eroso
dagli alti prezzi e dai bassi aumenti dei salari. I dirigenti politici europei hanno chiesto
severe misure legali e fiscali.
Gli azionisti, specialmente gli investitori al dettaglio, stanno sollecitando una più grande
apertura della politica remunerativa delle società, che includono collegamenti al risultato
economico e ai pacchetti remunerativi individuali degli amministratori, come al diritto di
voto su questioni negli incontri annuali.
Il dibattito sulle remunerazioni è stato esasperato dalla crisi creditizia, che ha messo in
evidenza un eccessivo rischio nel ricercare gli alti bonus dei banchieri investitori pagati
molto e i pacchetti di liquidazioni di alto profilo dei dirigenti che non hanno avuto successo,
che aumenterebbe il senso di rabbia nel continente europeo, che è culturalmente più
egualitario degli Stati Uniti o della Gran Bretagna.
Persino prima di Pat Russo, direttore generale dell’azienda in perdita del settore della
tecnologia dell’informazione, Alcatel-Lucent, che ha lasciato alla fine di luglio con un
guadagno previsto dal contratto superiore a 6 milioni di euro, il presidente francese
Nicolas Sarkozy aveva presentato progetti di legge per contenere questi “paracaduti d’oro”.
Il governo tedesco, in parte influenzato dal guadagno multimilionario del presidente
dell’ABN Amro, Rijkman Groenink, ha introdotto una legislazione che tassa del 30% i
bonus superiori a 500.000 euro e aumenta del 15% i contributi fiscali al datore di lavoro
per le pensioni dei dirigenti. In Germania, dove i salari dei lavoratori sono aumentati
soltanto del 4.3% tra il 2003 e il 2007 mentre le aziende licenziavano centinaia di migliaia
di lavoratori, i Social Democratici chiedono un tetto di 1 milione di euro per le
remunerazioni deducibili degli amministratori. E’ il divario crescente tra le remunerazioni
degli amministratori e quelle della base operaia in un contesto economico che si sta
deteriorando per alimentare reazioni di protesta. La prova crescente è che le società del
continente europeo stanno seguendo la guida dei loro omologhi inglesi, stabilendo
pacchetti retributivi dei dirigenti, che includono azioni, a un livello proporzionato ai loro pari
globali, non nazionali, nel tentativo di incentivare gli amministratori.
Le paghe dei dirigenti europei ammontano in media a 5 milioni di euro l’anno. Si dice che i
direttori generali in Francia siano i meglio pagati, con pacchetti del valore di 6 milioni di
euro dopo un aumento improvviso del 58% nel 2007. Una recente indagine da parte della
lobby di investitori tedeschi, la DSW, ha scoperto che la paga di un dirigente tedesco è
aumentata nel 2007 del 7.75% appena al di sotto di 3 milioni di euro, con Joseph
Ackermann della Deutsche Bank che è il percettore di reddito più alto con 14 milioni di
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euro, sebbene Wendelin Wiedeking della Porsche non quotata in borsa abbia guadagnato
quattro volte di più.
E’ questo livello di generosità delle società ad aver indotto Jean-Claude Junker, presidente
del gruppo dell’euro dell’Unione europea, ad etichettarlo un “flagello sociale”.
L’avvio di pratiche varia molto nell’Unione europea, nonostante le raccomandazioni non
vincolanti della Commissione europea di quattro anni fa di aumentare la trasparenza dei
guadagni della società sulla paga individuale dei dirigenti e sulla totalità delle politiche
remunerative.
Un rapporto della commissione europea ha scoperto lo scorso anno che ne è conseguita
una trasparenza più grande, ma che le risposte sono state frammentate, con solo un terzo
degli stati membri che danno diritto di voto all’azionista che opera da consulente sulla
remunerazione del dirigente. In Germania, dove soltanto il 40% delle 30 aziende più alte
del Dax ha comitati che stabiliscono le remunerazioni e rapporti annuali che per lo più
dettagliano soltanto il pacchetto del più grande percettore di reddito, persino questa
clausola provoca rabbia tra gli amministratori.
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The Economist
11/09/08
Lavoro e sindacati
Rivalità tra fratelli
I sindacati non sono terribili come sembrano
Un'economia indebolita dall’inflazione; sindacati combattivi minacciano scioperi; un primo ministro
laburista non eletto, indebolito da manovre speculative su un’improvvisa elezione, sta cercando di
mantenere basse le decisioni sugli stipendi: per gli inglesi, che ricordano la crisi che ha stretto il
loro paese alla fine degli anni ‘70, gli attuali eventi devono sembrare preoccupantemente familiari.
Gordon Brown, assediato come il primo ministro James Callaghan 30 anni fa, insiste sul fatto che
gli aumenti di stipendio debbano essere in linea con l’obiettivo dell’inflazione del 2% del governo. I
sindacati, che convergono a Brighton per il loro annuale Trades Union Congress (TUC) l'8
settembre, sono lividi, brandendo storie di membri sottopagati che combattono per pagare i
prodotti alimentari e il carburante. Nel suo giorno di apertura l’assise ha votato con schiacciante
maggioranza per una campagna contro la politica salariale del governo, compresa una
manifestazione nazionale.
Le guardie costiere, funzionari per l’immigrazione e i lavoratori degli enti locali - sono tra i pubblici
dipendenti che hanno già dichiarato scioperi quest'anno. I sindacati dei Servizi pubblici e
commerciali (PCS) voteranno i loro membri, soprattutto i dipendenti pubblici, a tre mesi dallo
sciopero sindacale. E le rivendicazioni a Brighton vanno ben oltre la paga: i sindacati chiedono
una "manna fiscale" sui profitti delle imprese energetiche (qualcosa che il cancelliere Alistair
Darling, non ha escluso nel suo discorso a sangue freddo al Congresso del 9 settembre) e la
riforma dei servizi pubblici meno basata sul mercato.
Per tutto questo, parallelismi con la fine degli anni ‘70, quando gli scioperi paralizzarono il paese e
fecero cadere il governo, hanno i loro limiti. La situazione di Brown ricorda Callaghan, ma i
sindacati non rappresentano la minaccia di una volta. C’erano 13 milioni e 200 mila iscritti al
sindacato nel 1979, rappresentavano il 55% di tutti i dipendenti, i loro numeri ora si sono ridotti a
7,6 milioni (vedi grafico). Se sono inclini a causare un simile danno, la loro capacità di farlo si è
ridotta.
Ma non è chiaro che i leader sindacali vogliano questo. Informazioni provenienti dall’interno
dicono che 11 anni di trattative con un governo disponibile abbiano educato i leaders sindacali
sulla realtà politica - ora sanno scegliere le loro lotte. Si fanno ancora le richieste fantastiche, come
il ritorno dei picchetti secondari, ma questi sono timidi rituali. E sebbene il TUC abbia votato a
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favore di una campagna sui salari, ha respinto un emendamento della discordia che chiedeva lo
sciopero generale. "Questo non è stato un insolito Congresso di sinistra ", dice un membro
parlamentare laburista. "Ha ricevuto più attenzione a causa della difficoltà del governo".
Neanche i sindacati hanno interesse a indebolire ulteriormente Brown. Pochi s’illudono che il
Primo Ministro sia un socialista puro: non ha concesso loro molto in un vertice politico a Warwick
nel mese di luglio. Ma essi temono che David MILIBAND, il ministro degli Esteri e il preferito
sostituisca Brown. Alla vigilia del congresso, Derek Simpson, il segretario generale del sindacato
Unite, un grande sindacato, ha descritto Miliband come "arrogante" e ha paragonato il suo punto di
vista a quello di David Cameron, il leader conservatore. Il giorno successivo, Keith Sonnet, vice
segretario generale di Unison, il principale sindacato del settore pubblico dell'Unione europea, ha
implorato il partito laburista di "fermare i litigi". Brown sarà stato grato dei due interventi.
Nulla di tutto questo nega che i sindacati potrebbero ancora avere un profondo impatto sulla
politica. Le conciliazioni ideologiche del New Labor con l’economia di libero mercato sono state
tollerate da molti nel partito solo perché è stato un credo vincente. La sconfitta alle prossime
elezioni, la probabile perdita di molti parlamentari centristi con seggi marginali, e la dipendenza del
partito dal denaro del sindacato (il 74% delle donazioni nel corso del primo semestre del 2008
proviene dal lavoro organizzato), potrebbe far svoltare a sinistra i laburisti. In tal caso i sindacati,
che aiutano a scegliere il leader del partito, potrebbero votare per collocare un candidato favorito,
come Alan Johnson o Ed Balls, entrambi membri del governo ben disposti verso il sindacato.
Ed ora vi è un nuovo modo di pensare tanto a sinistra del partito - da parte di parlamentari come
Jon Cruddas e organizzazioni come Compass - come a destra. Era evidente nei primi anni 1990
che uno spostamento a destra del Labour era l'unica via per il potere, ma ce ne possono essere
due quando si è prossimi all’opposizione. I modernizzatori vorranno competere con i Tories sulle
tasse basse e sulla riforma del servizio pubblico. Ma i sindacati possono citare la politica più
impopolare di Brown (la demolizione del 10% dell’aliquota di partenza dell’imposta sul reddito),
come prova che l'elettorato è ora leggermente a sinistra nel Labour. Un sondaggio di Populus
pubblicato in Times l’11 settembre ha appena suggerito il contrario.
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The Financial Times
18/0908
L’Irlanda fissa il congelamento degli stipendi del settore
pubblico
Di John Murray Brown da Dublino
Il governo irlandese ha fissato il congelamento per 11 mesi dello stipendio del settore pubblico in
base alle condizioni dell’accordo firmato ieri con i sindacati e i gruppi datoriali.
L’accordo rappresenta un grande sostegno alla coalizione di governo guidata dal Fianna Fail, che
sta cercando di contenere la crescita della spesa pubblica in un momento in cui i redditi sono stati
colpiti dal rallentamento del settore immobiliare e delle costruzioni.
La decisione mentre il deficit del bilancio dell’Irlanda quest’anno sarà vicino ai limiti fiscali previsti
dal patto di stabilità e crescita europeo che vuole che gli stati membri mantengano il loro deficit al
di sotto del 3 per cento del prodotto interno lordo.
Gli stipendi del settore pubblico rappresentano circa il 37% delle spese attuali del governo.
Anche i lavoratori sindacalizzati nel settore privato sono coperti da un accordo di 21 mesi ed
avranno un’interruzione della paga per tre mesi. L’accordo colpisce un totale di 600.000 lavoratori.
I salari per tutti i lavoratori aumenteranno del 6% entro la fine del periodo di 21 mesi. C’è un
aumento extra dello 0.5% per i meno pagati, coloro che ricevono meno di 430 euro la settimana.
L’accordo non è vincolante per i datori di lavoro con una forza lavoro non sindacalizzata.
Brian Cowen, primo ministro, ha affermato che l’accordo “darà un senso di fiducia e di stabilità nel
periodo di sfide che è davanti”.
Il modello irlandese di partenariato sociale è stato una chiave per il successo economico del paese
e per le buone relazioni industriali, dando certezza agli investitori. In base agli accordi precedenti, i
sindacati hanno accettato aumenti modesti di salario in cambio di riduzioni fiscali.
Ma con le finanze pubbliche sotto tensione, c’è scarsa opportunità di ridurre le tasse, mentre i
lavoratori attendono di essere compensati per l’inflazione alta.
Come parte dell’accordo, le parti hanno concordato di non utilizzare i lavoratori di agenzie, coloro
che hanno un contratto di breve durata, per fare scioperi. Il governo si è impegnato ad affrontare la
questione del riconoscimento sindacale nei luoghi di lavoro.
Esiste anche un divieto per statuto sia di far degli iscritti al sindacato delle vittime e sia di
incentivare gli iscritti a lasciare i loro sindacati.
Turlough O’Sullivan, direttore generale della Confederazione del Commercio e dei Datori di lavoro,
ha affermato: “Ce ne sono tante. Invia un segnale positivo alla comunità dell’investimento
all’interno del paese e all’esterno e mantiene il processo [del partenariato sociale] intatto.
Fortunatamente questa bozza di accordo ci darà un respiro per sfidare le difficoltà molto serie che
l’economia sta affrontando”.
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La Federazione dell’Industria delle Costruzioni ha affermato di avere ancora delle preoccupazioni.
Tom Parlon, direttore generale della Federazione, ha affermato che avrebbe sottoposto l’accordo
ai suoi iscritti ma la federazione non lo ha raccomandato.
Un rappresentante dell’industria alberghiera, un settore caratterizzato dal salario basso, ha
affermato che i suoi iscritti non saranno in grado di soddisfare le condizioni dell’accordo.
John Power, presidente della federazione degli alberghi, ha sottolineato che i costi del personale
hanno assorbito l’80% dei profitti alberghieri.
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Financial Times
19/09/08
Alitalia sull’orlo del baratro mentre l’offerta viene accantonata
Di Guy Dinmore da Roma
Ieri, il consorzio degli investitori italiani ha ritirato la sua offerta di acquisizione di Alitalia a causa
dell’opposizione dei sindacati, lasciando il vettore di bandiera in perdita e, sotto gli occhi di tutti, nel
fallimento, a meno che il governo non intervenga all’ultimo minuto.
Maurizio Sacconi, ministro del welfare che aveva tentato di mediare, ha affermato che non c’era
altra alternativa. Ha dichiarato che la compagnia aerea, che è di proprietà del governo per il 49.9%
ed ha debiti per circa 1 miliardo e 200 milioni di euro, si sta dirigendo verso la bancarotta.
Alitalia è sembrata che volesse cercare di costruire un declino sotto controllo, senza scatenare un
improvviso caos nella rete dei trasporti dell’Italia. Una fonte dell’industria ha riferito che il
combustibile doveva durare fino ad oggi ma deve esserci del danaro lasciato per fare ulteriori
ordinazioni.
Ci si aspetta che Augusto Fantozzi, amministratore speciale di Alitalia, inizi subito a ridurre i voli.
Prima della partenza del consorzio, aveva già annunciato che 831 piloti avrebbero lavorato 12
giorni al mese in meno.
Il primo ministro Silvio Berlusconi, ha la scelta di lasciare che l’Alitalia fallisca e affronti la rabbia
sindacale per la perdita fino a 20.000 posti di lavoro, o che intervenga ancora per tirare fuori dai
guai la compagnia. Le sue recenti dichiarazioni suggeriscono che egli è pronto a sfidare i sindacati.
Il governo che è sostenuto dal team degli acquirenti - un appello di 16 industriali e finanziatori
guidati da Roberto Colannino, presidente della Piaggio, la casa produttrice di scooter, a cui ha
aderito la compagnia aerea rivale Air One – ha annunciato a Milano di essersi tirato fuori dopo due
settimane di trattative con i sindacati che non hanno portato ad un accordo sui posti di lavoro e sui
tagli degli stipendi.
Il consorzio aveva offerto circa 400 milioni di euro per alcuni beni della compagnia aerea.
I dirigenti di sei sindacati nell’incontro a Roma, inclusa la potente confederazione sindacale della
CGIL, hanno offerto una contro proposta e ulteriori trattative. Il movimento sindacale, però, si è
diviso con tre altre importanti federazioni sindacali che avevano segnalato la loro accettazione di
principio del piano industriale che avrebbe fuso un’Alitalia ridimensionata con Air One.
I dirigenti italiani affermano che questo è il momento per Berlusconi, con una forte maggioranza in
parlamento e con un considerevole sostengo dell’opinione pubblica, di sfidare i sindacati.
I piloti e gli assistenti di volo che hanno protestato fuori al parlamento questa settimana, hanno
affermato che i tagli richiesti li rendevano delle vittime ingiuste di anni di cattiva gestione. Uno di
loro manteneva un cartello nel quale si diceva che il suo stipendio lordo dello scorso anno era
stato di appena 16.800 euro mentre all’ex presidente di Alitalia licenziato lo scorso anno gli era
stata data una liquidazione multimilionaria.
“Berlusconi si assumerà la colpa. Noi non siamo la Swiss Air o la Sabena, di piccoli paesi con treni.
La situazione economica si paralizzerà”, ha affermato Patrizio, un pilota dagli occhi arrossati.
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Rassegna stampa internazionale
Le Monde
16/09/08
Le confederazioni sindacali italiane accettano il piano di
salvataggio di Alitalia
E’ stato trovato un accordo con il consorzio degli acquirenti e con il governo Berlusconi per
ristrutturare la compagnia aerea. Saranno soppressi circa 6.500 posti di lavoro
Roma
Un primo accordo quadro raggiunto nelle prime ore della notte, lunedì 15 settembre, ha permesso
al governo, ai sindacati e alla direzione della Compagnia aerea italiana (CAI, ex-Alitalia) di fare dei
progressi significativi per il salvataggio della compagnia. Al termine di una prova di forza
punteggiata da rotture e da colpi di bluff, le confederazioni sindacali hanno accettato un piano di
ristrutturazione industriale che porta il personale della nuova compagnia a 12.500 lavoratori (1550
piloti, 3300 hostess e 7650 tecnici e impiegati) al posto di 19.000 che contava Alitalia.
Doveva tenersi lunedì alle 13.00 al ministero del lavoro una nuova riunione sui contratti di lavoro. Il
piano degli acquirenti prevede un contratto unico per tutti i lavoratori della compagnia molto meno
vantaggioso in termini di salari, di orari e di congedi. Le perdite potrebbero raggiungere il 20%.
Sotto la pressione del governo, gli investitori della nuova compagnia hanno accettato di aumentare
la loro offerta di 100 milioni di euro per attenuare il sacrificio finanziario dei lavoratori.
“Non possiamo fallire”
Questo accordo è stato denunciato dalle categorie sindacali dei piloti e del personale che non
hanno potuto partecipare alla trattativa. Nonostante la loro manifestazione davanti al ministero del
lavoro, in via Veneto a Roma, hanno atteso l’intera notte invano per essere ricevuti dal ministro
Maurizio Sacconi. Quest’ultimo non ha accettato di discutere che con le confederazioni
(CGIL,CISL, UIL e UGL) reputate più concilianti.
La posta in gioco di questa battaglia è anche politica. Dopo il fallimento delle prime trattative alla
fine della settimana, il dossier è stato direttamente ripreso da Silvio Berlusconi e dai suoi
collaboratori. Il presidente del consiglio ha abbreviato sabato 13 settembre una visita a Bari (Puglia)
per dedicarsi al caso Alitalia, di cui lo stato possiede il 49,9%. E’ proprio lui, in realtà, che aveva
previsto durante la campagna elettorale, la ricerca di una soluzione italiana per la ripresa della
compagnia nazionale, mentre il governo di Romano Prodi aveva favorito un accordo con Air
France-KLM. Il piano della compagnia franco-olandese, respinto dai sindacati, prevedeva
“soltanto” la soppressione di 2.500 posti. “Noi non possiamo fallire, o allora sarà il caos”, ha
avvisato più volte durante il fine settimana, accusando il centro sinistra di soffiare sulle braci del
conflitto per vendicarsi del risultato elettorale.
Alle prese con una situazione economica difficile (crescita zero, aumento dei prezzi, stagnazione
dei salari), Berlusconi ha bisogno di una nuova vittoria dopo quella ottenuta sul fronte dei rifiuti di
Napoli, per consolidare il suo potere. La compagnia aerea, da parte sua, accentuerà la pressione
sui lavoratori e sull’opinione pubblica strombettando che, per mancanza di liquidità per sistemare
le fatture del carburante, i voli non saranno più assicurati.
LE TAPPE DELLA PRIVATIZZAZIONE
5 Dicembre 2006: lo stato italiano si impegna
ad allargare il capitale di Alitalia
18 luglio 2007: per mancanza di acquirenti,
viene fermata la privatizzazione
28 dicembre 2007: apertura dei negoziati con
Air France-KLM
21 aprile 2008: per mancato accordo con i
sindacati, Air France ritira la sua offerta
20
maggio
2008:
Roma
rilancia
la
privatizzazione della compagnia aerea
29 agosto 2008: Alitalia viene posta sotto
amministrazione giudiziaria
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Qualunque cosa succeda, questo primo accordo permette di intravedere la fine prossima di un
lungo feuilleton per la ripresa di Alitalia. A fine agosto, diciotto investitori italiani si dicono pronti a
metter più di 1 miliardo di euro sul tavolo per salvare la compagnia, che perde 2 milioni di euro al
giorno. Tra loro, si ritrova il fior fiore dell’industria e della finanza italiana: i gruppi industriali
(Piaggio, Air One, Benetton, Ligresti, Riva, Aponte), i fondi di investimento (Findim, Clessidra,
Equinox). In base ad una modifica della legge sui fallimenti, Alitalia è stata allora divisa in due
società. L’una, la CAI, integra le attività redditizie, mentre l’altra, piena di debiti (2 miliardi di euro),
è messa in fallimento.
Philippe Ridet
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Rassegna stampa internazionale
BBC
15/09/08
Progressi in movimento per salvare l’Alitalia
Se non sarà raggiunto nessun accordo,
l’Alitalia potrebbe essere messa in liquidazione
la prossima settimana
Il ministro del lavoro Sacconi ha affermato che in base a un nuovo accordo raggiunto con le
quattro principali organizzazioni sindacali italiane, l’Alitalia taglierà 3.000 posti di lavoro.
“Il taglio dei posti di lavoro…è di circa 3.000”, ha affermato Sacconi in un programma televisivo
lunedì. I quattro sindacati hanno firmato un accordo con il CAI, un consorzio preparato per
investire in una nuova compagnia aerea, ma altri cinque sindacati si oppongono all’accordo.
Coloro che si oppongono all’accordo riguardano i piloti e il personale di bordo. I funzionari
dell’aeroporto hanno affermato che il traffico nei principali aeroporti di Roma e di Milano è stato
normale lunedì pomeriggio, nonostante gli avvisi che le operazioni di volo avrebbero potuto
cessare a causa della mancanza di carburante.
“Completamente inaccettabile”
L’agenzia stampa Ansa ha affermato che la nuova Alitalia occuperà circa 12.500 persone che
includono 1.500 piloti, 3.300 per il personale di bordo e 7.650 tecnici, lavoratori e personale
dirigenziale.
“Si tratta di un primo passo importante”, ha affermato Raffaele Bonanni della CISL.
Ma Massimo Notaro, responsabile di uno dei due principali sindacati dei piloti in Italia, ha descritto
l’accordo di domenica come “completamente inaccettabile”. Cinque sindacati – SDL, ANPAC, UP
ANPAV e Avia, hanno rifiutato l’accordo come “inutile e provocatore”, mentre i quattro firmatari –
CGIL, CISL, UIL e UGL, stavano parlando con i cosiddetti acquirenti. L’ultima disperata trattativa
ha avuto luogo nella nottata a Roma su un pacchetto salvataggio per Alitalia, che opera sotto un
commissario straordinario.
Alitalia affronterà la liquidazione se non dovesse essere raggiunto un accordo. La compagnia
aerea afferma di essere a corto di danaro per acquistare il combustibile.
I piani per la fusione
In base alla proposta di salvataggio, il consorzio italiano ha presentato un’offerta alla compagnia
aerea di 1 miliardo di euro.
Alitalia si fonderebbe con Air One, la seconda compagnia più grande del paese, e 1 miliardo e 200
milioni di debiti sarebbero assorbiti da una seconda azienda, che sarebbe poi liquidata.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Il primo ministro Silvio Berlusconi si è impegnato a fare di tutto per salvare Alitalia. Il governo
possiede il 49.9% di Alitalia.
Ad aprile, i piani di acquisto della compagnia aerea da parte di Air France-KLM sono crollati.
Nel frattempo Richard Branson, che possiede metà della compagnia aerea Virgin Atlantic ha
affermato che Alitalia dovrebbe andare in fallimento.
“A meno che il governo [italiano] non intenda versare danaro dopo danaro, è probabile che
scompaia”, ha affermato.
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Rassegna stampa internazionale
Reuters
12/09/08
L’African National Congress in
indipendenza degli alleati di sinistra
Sud
Africa
parla
di
Johannesburg (Reuters). Il quotidiano The Business Day ha riferito venerdì che il tesoriere del
partito, Mathews Phosa, ha affermato che l’ANC al governo in Sud Africa non condivide
necessariamente le opinioni sull’economia dei suoi alleati di sinistra.
Phosa ha affermato, in un incontro di uomini d’affari e di diplomatici, che l’ANC ha rispettato le
opinioni dei suoi alleati, la federazione sindacale del COSATU e il Partito Comunista Sud Africano
(SACP), ma non condivide tutte le opinioni, ha riferito il quotidiano.
“Siamo pronti a fare il compromesso necessario attorno a un tavolo per fare chiarezza sul quadro
economico”, è stato citato Phosa per aver risposto ad una domanda sulla futura direzione
dell’economia politica.
“Il COSATU ha le sue opinioni e noi le rispettiamo…ma anche noi abbiamo le nostre opinioni e la
responsabilità di gestire il nostro paese. Solo perché sono state sollevate alcune questioni, questo
non significa che si tratta di opinioni dell’ANC. Continueremo a parlare al COSATU e al SACP”.
Il COSATU e il SACP vorrebbero vedere una spesa sociale più alta e sussidi per i poveri, invece di
un’eccedenza d’imposta e vorrebbero porre fine all’obiettivo dell’inflazione che accusano di aver
fatto aumentare i tassi di interesse fino a 500 punti tra giugno 2006 e giugno 2008.
Phosa ha ripetuto la posizione dell’ANC, che non ci sarebbero stati cambiamenti nel quadro delle
politiche macroeconomiche che hanno fatto guadagnare al Sud Africa il rispetto dei mercati globali
dal 1994.
Ha,infine, affermato: “Non abbiamo motivo di allontanarci dall’applicazione di politiche di successo
che consentirebbero al commercio di prosperare”.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Labour Start
16/09/2008
Lavoratori migranti cinesi in Giappone feriti dopo aver lavorato
in condizioni “simili agli schiavi”
Sei donne migranti provenienti dalla provincia di Hubei sono state scoperte per aver lavorato in
una lavanderia in Giappone 15 ore al giorno per sette giorni la settimana. Le sei donne sono
andate in Giappone alla fine del 2005 attraverso un’agenzia di impiego cinese e credevano che
avrebbero lavorato nell’industria dell’abbigliamento come cucitrici.
Però, secondo gli ultimi rapporti, dopo le lamentele dei lavoratori dell’agosto 2008 riguardo i bassi
salari e le lunghe ore lavorative, sono state minacciate di essere licenziate e infine deportate. Tre
donne, cercando di scappare dalla deportazione, sono saltate fuori dal loro dormitorio e poi sono
state ferite e mandate in ospedale. Alla fine tre sono state deportate con la forza mentre tre sono
rimaste in ospedale. The Shangahai Daily informa dei feriti ma dice che le donne sono state colpite
mentre altri rapporti dichiarano che le donne fuggite cercavano di scappare dalla deportazione.
Le donne pensavano che avrebbero imparato a confezionare vestiti ma in realtà, secondo un
rapporto della scrittrice cinese Mo Bangfu, recentemente pubblicato nel Japan New Chinese
Sojourners Daily situato in Giappone, hanno lavorato alla Techoclean, un’azienda che lava vestiti.
Il rapporto dichiara che donne cinesi sono state ferite mentre altre tre sono state obbligate a fare
ritorno a casa il 22 agosto dopo che la Techoclean ha rifiutato le loro richieste di aumento della
paga.
Secondo quanto viene riferito, dopo un anno di studio, le donne sono diventate delle formali
lavoratrici interne all’azienda di lavatura di abiti nel dicembre del 2006. Nei loro contratti di lavoro, è
richiesto di lavorare dalle 3.30 del mattino alle 5.30 del pomeriggio con una paga mensile
equivalente a circa 3.200 Yuan (468 $). Sono state però obbligate a lavorare fino a mezzanotte,
nei fine settimana e a fare gli straordinari a 22 Yuan ad ora. Il livello è stato aumentato a 28 Yuan
ad ora questa primavera, al di sotto del livello legale di 819 yen l’ora, che sono circa 50 Yuan l’ora.
In sei mesi, a partire da settembre fino a marzo, alle donne sono stati permessi soltanto tre giorni
di riposo. Prima delle ispezioni nella fabbrica da parte degli organi addetti alla supervisione, i
lavoratori sono stati obbligati a firmare documenti dicendo che stavano ricevendo un reddito
mensile di 110,000 yen e che stavano lavorando non oltre le 33 ore di straordinario al mese.
L’Agenzia nazionale per l’impiego minaccia i lavoratori occupati come “interni”
Le donne hanno lavorato alla fine del 2005 come “tecnici interni” attraverso la Dongchuang
Overseas Labor Service Co, situata a Huangshi City, nella provincia Hubei della Cina centrale. Un
lavoratore dell’agenzia ha affermato ai media che la maggior parte della gente reclutata
dall’azienda, includono queste donne che sono state assunte come “tecnici interni” per eludere le
norme del lavoro in Giappone. “Questa è l’unica misura legale per ottenere [lavoratori cinesi]
lavoro in Giappone. Altrimenti, si deve uscire per entrare con un visto per motivi di studio o di
commercio”, ha affermato.
I lavoratori cinesi hanno affermato, secondo quanto si asserisce, a Mo Bangfu che le loro famiglie
sono state minacciate dall’agenzia per l’impiego cinese, Dongchuang, dopo aver esposto le loro
sofferenze.
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Risposta ufficiale
Secondo i media ad Hong Kong, il ministro degli esteri cinesi ha pubblicamente invitato il governo
giapponese a “rispettare i diritti legali dei cittadini cinesi” in seguito alle accuse che le sei donne
sarebbero state effettivamente ridotte in schiavitù dal loro datore di lavoro giapponese. Il ministro,
a quando si dice, sta avviando un’indagine per verificare l’incidente.
Il lavoratore della Dongchuang Overseas Labor Service Company ha riferito ai media che il
direttore generale si trova ora in Giappone per indagare sul caso. Il lavoratore ha riferito anche che
i funzionari della città commerciale e le autorità del lavoro di livello provinciale hanno fatto indagini
sul caso, ma si sono rifiutati di fornire dettagli.
Questo caso è ovviamente di grande interesse date le relazioni spesso complicate e difficili tra i
due paesi e noi ci aspettiamo che il caso riceva grande pubblicità all’interno della Cina. Un
rapporto precedente dell’Ufficio di Collegamento della Confederazione Internazionale dei Sindacati
a Hong Kong (in seguito alle lettere scritte dalla CIS al governo cinese e alla Guinea equatoriale)
riguardo la morte di due lavoratori cinesi nella Guinea equatoriale (mentre stavano lavorando per
una società cinese che non pagava loro i salari) ha mostrato la risposta problematica delle autorità
e come in questo caso ci siano stati rapporti secondo i quali l’azienda di assunzione o l’agenzia per
l’impiego avrebbero minacciato i lavoratori e le loro famiglie. Il ministro cinese degli esteri ha
inizialmente emesso una dichiarazione sul sito web del ministero degli esteri, intitolata “I nostri
lavoratori hanno scioperato e provocato conflitti nella Guinea equatoriale “che sembrano aver
creato accuse di morte e ferito i lavoratori stessi. La dichiarazione ha inoltre dichiarato che “i 100
lavoratori hanno ignorato la legge locale e iniziato lo sciopero. Hanno provocato un conflitto con la
polizia locale quando ha cercato di mantenere l’ordine”.
In realtà la dichiarazione continuava: “nei recenti anni, più cinesi sono andati all’estero. Alcuni sono
andati come immigrati illegali ed alcuni vanno sono andati senza un contratto e questo crea ogni
tipo di controversia di lavoro. Un piccolo gruppo di queste persone non gestisce i loro problemi in
modo razionale e lancia scioperi illegali senza un senso di legalità, attacca gli organi locali preposti
all’applicazione della legge e disturbano gravemente la sicurezza”. La dichiarazione è stata poi
tolta.
Per ulteriori dettagli si veda: La morte di due migranti cinesi nella Guinea equatoriale: false
promesse e nessun risarcimento
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BBC
12/09/08
Divisioni dietro lo sciopero dei medici a Gaza
Di Aleem Maqbool
BBC News, Striscia di Gaza
La lotta tra le fazioni nei territori palestinesi potrebbe cessare, ma è nata una nuova
battaglia politica: gli ospedali della striscia di Gaza.
Nell’unità pediatrica di terapia intensiva dell’ospedale Nasser nella striscia di Gaza, il dottor Ahmed
Shatat lotta per salvare le vite. Corre da un incubatrice ad un’altra per curare i neonati. L’ospedale
sta affrontando seri problemi da mesi. Il blocco israeliano vuol dire che ci sono difficoltà per far
entrare medicinali e attrezzature all’interno di Gaza. Ma due settimane fa, le cose sono andate
molto peggio per il dottor Shatat, quando più della metà dei suoi colleghi hanno deciso di
scioperare.
I dottori che non scioperano devono fare il doppio turno
“E’ molto difficile lavorare durante questo sciopero”, afferma. “Naturalmente, colpisce la qualità del
nostro servizio, il tasso della mortalità è aumentato”. “Qui, è morto un bambino nel primo giorno di
sciopero. Era molto malato, e c’erano pochi medici che non potranno dare una continua
supervisione che il bambino richiedeva”.
Alla fine del reparto, Um Givara, 26 anni, culla il suo bambino, aspettando che le venga dato il
ventilatore.
“Tutti noi siamo preoccupati per questo sciopero perché i nostri bambini malati hanno bisogno di
medici e di infermiere che si prendano cura di loro”, dice Um Givara. “Posso dire che le cose non
sono come prima”.
Fa molto, ma molto male utilizzare
questi bambini per motivi politici
Interferenza
Dr Ahmed Shatat
E’ la stessa fotografia su e giù negli ospedali di Gaza. Centinaia di medici scioperano. Il motivo,
affermano, è protestare contro l’abuso del potere da parte di Hamas, e l’ingerenza nella loro
professione.
Seduti a casa sua, in un appartamento della città di Gaza, incontriamo il dottor Mohammed. Non
vuole dare il nome completo per timore di essere arrestato e afferma: “Siamo impegnati in questo
sciopero”. “Da quando Hamas ha assunto il controllo, ha licenziato molti medici e sostituito i
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dirigenti negli ospedali con persone che sostengono Hamas. Sono pronto a fare ritorno se fanno
ritornare le persone”.
Ma il dottor Mohammad è sembrato in difficoltà per un momento. “Non mi è facile scioperare, ci
sono pressioni psicologiche su di me in quanto medico. Non so veramente cosa fare”.
Minacce
C’è la politica in gioco qui. Dopo duri combattimenti dello scorso anno, gli islamici di Hamas hanno
assunto il controllo di Gaza con la violenza.
Da allora, il suo rivale, il partito di Fatah del presidente Mahmud Abbas dell’Autorità palestinese,
ha assunto il controllo della Cisgiordania lasciando due territori, due partiti, due amministrazioni
palestinesi. E’ l’Autorità palestinese dominata da Fatah, con base a Ramallah, a ricevere tutte le
donazioni internazionali in danaro per pagare i salari dei medici. Hamas afferma che sono
utilizzate per rendere le cose difficili ad Hamas a Gaza e a causare problemi ad Hamas.
“Fatah partecipa a questo sciopero al 100%”, afferma il dottor Bassam Naim, il responsabile
politico di Hamas per la salute a Gaza.
L’Autorità palestinese afferma di sostenere lo
sciopero,ma nega di minacciare la riduzione degli
stipendi dei medici se non aderiscono allo sciopero.
E’ come se stessimo dando ad Hamas un
appartamento ammobiliato a Gaza e lo stessimo
pagando, mentre
Ma il dottor Shatat, nell’unità pediatrica di terapia
intensiva, ci ha detto di aver perso già il suo salario
perché non ha aderito al precedente sciopero sostenuto
da Fatah.
Hamas umilia il nostro
popolo”
Osama Najjar
Sindacato dei lavoratori dei medici filo Fatah
“Quando mi dissero da Ramallah che dovevo andare a casa e lasciare i pazienti soli, o avrebbero
bloccato il mio stipendio, non riuscivo a capire, così io rimasi”, ha affermato.
Stanco dal dover fare i doppi turni nell’ospedale, ora molti suoi colleghi stanno scioperando,
sembra angosciato mentre gira guardando nel reparto pieno di neonati. “Fa molto, ma molto male
utilizzare questi bambini per motivi politici”.
Nuove sofferenze
Lo sciopero è guidato dal Sindacato dei Lavoratori dei Medici filo Fatah. Il suo direttore, Osama
Najjar, a Ramallah, dice che una ventina di medici in sciopero a Gaza sono stati chiamati per
essere interrogati e le loro cliniche private sono state chiuse per punizione.
E’ categorico sul fatto che lo sciopero continuerà fino a che Hamas non tornerà indietro. Infatti,
chiede di applicare ad Hamas a Gaza una pressione maggiore. Anche se si chiede ad Abbas di
mantenere l’aiuto in danaro, riceveranno la paga soltanto per pagare l’elettricità a Gaza.
“E’ come se stessimo dando ad Hamas un appartamento ammobiliato a Gaza e lo stessimo
pagando, mentre Hamas umilia il nostro popolo. Dovremmo pensare molto per pagare queste
fatture, lasciamo che Hamas sia il responsabile”. Questi giorni, la gente potrebbe non essere
uccisa dal fuoco incrociato di Fatah e Hamas nelle strade di Gaza, come facevano una volta, ma i
litigi
di
origine
politica
continuano
a
colpirli.
Per la popolazione della striscia di Gaza, più della metà di loro sono sotto i 16 anni, c’è ora una
nuova dimensione della loro sofferenza.
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The Daily Star
10/09/08
Beirut non riceve ringraziamenti per l’aumento del salario
minimo a 500,000 lire libanesi
Beirut. Il governo ha approvato martedì il piano per aumentare il
salario minimo in Libano passando da 300,000 lire libanesi a
500.000 lire libanesi e per aumentare lo stipendio per tutti i
lavoratori del settore pubblico e privato di 200.000 lire libanesi.
Questo è il primo aumento salariale approvato dal governo
libanese dal 1996.
Il ministro delle finanze Mohammad Shatah ha detto ai giornalisti che anche i pensionati
riceveranno un aumento di 150.000 lire libanesi nel loro assegno mensile.
Inoltre, il governo ha accettato di aumentare le indennità di trasporto passando da 6,000 lire
libanesi a 8,000 lire libanesi al giorno e questo sarà applicato al settore privato e pubblico.
Shatah ha affermato che l’aumento del salario costerà al tesoro 500 milioni di dollari l’anno e
questa misura aumenterà il deficit del bilancio, passando dagli attuali 2.5 miliardi e 3 miliardi.
Ma la Confederazione Generale del Lavoro (GLC) ha licenziato l’offerta del governo come
“offensiva e insufficiente”.
Ghassan Ghosn, presidente della Confederazione, ha riferito a The Daily Star che il sindacato si
incontrerà subito per discutere la decisione del governo di aumentare il salario minimo a 500.000
lire libanesi al mese.
“L’aumento è un gioco. Nessuna persona sensibile accetterà quest’aumento”, ha affermato.
Ghosn ha sottolineato che la Confederazione potrebbe indire presto uno sciopero generale se il
governo non accetterà le richieste del sindacato.
La confederazione insiste sull’aumento del salario a 960,000 al mese, una richiesta rifiutata dal
governo, dal settore privato e da alcuni economisti come irreale.
Secondo un’indagine del Comitato Indice Prezzi, i prezzi dei prodotti di base sono aumentati oltre il
65% tra il 1996 e il 2007.
Inoltre, la Banca Centrale ha valutato che l’inflazione si attesterà tra il 13 e il 14% entro la fine del
2008.
Parte del settore privato è rimasta dispiaciuto per la decisione del governo di aumentare i salari.
Fady Aboud, presidente dell’Associazione degli Industriali libanesi, ha affermato che i produttori
non accetteranno di pagare un aumento di 200,000 lire libanesi a tutte le categorie di salari.
“Ci rifiutiamo di pagare anche l’aumento retroattivo a partire da maggio di quest’anno. Il governo
non può obbligarci a fare qualcosa di cui non siamo convinti”, ha affermato Abbud.
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Rassegna stampa internazionale
Ha sollecitato il governo a favorire la riduzione dei costi di produzione come il petrolio e l’elettricità
al fine di incoraggiare gli industriali a presentare pacchetti migliori ai lavoratori.
Il governo ha chiesto anche ad Israele di applicare le risoluzioni delle Nazioni Unite relative alle
questioni in corso con il Libano.
“Le questioni in corso con Israele…sono tutte questioni non negoziabili. Sono governate da
risoluzioni internazionali alle quali Israele è vincolato”, ha affermato il ministro dell’informazione
Tarek Mitri dopo un incontro di sei ore.
In particolare, ha affermato che Israele deve ritirare le sue truppe dal territorio libanese che ancora
occupa; porre fine ai voli nello spazio libanese e fornire le mappe delle mine e delle cluster bombs
lasciate e fatte cadere sul territorio libanese.
Israele ha catturato le fattorie di Shebaa nel 19767, e Beirut ora rivendica il piccolo pezzetto di
terra all’incrocio con Israele, il Libano e la Siria con il sostegno di Damasco. Israele insiste sul fatto
che l’area sia siriana.
Tutte le azioni richieste dovrebbero essere “attuate completamente e incondizionatamente”, ha
affermato Mitri, aggiungendo che il “Libano rifiuta qualsiasi accordo che mantiene i palestinesi in
condizione di rifugiati sulla sua terra”.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, UNRWA, si stima che 400,000 rifugiati palestinesi vivono in
12 campi in tutto il Libano, e Mitri ha affermato che la loro naturalizzazione è “fuori discussione”.
Mitri ha affermato che il presidente Michel Sleiman ha informato il governo del suo incontro dello
scorso mese con il presidente siriano Bashar Assad a Damasco.
“Il presidente Assad ha dato un’idea di quello che sta accadendo nei colloqui indiretti in base ai
quali la Siria si sta impegnando con Israele e quali conseguenze potrebbero esserci nella regione
per la strada alla pace”, ha affermato Mitri.
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