2Storie di gente veneta nel mondo

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2Storie di gente veneta nel mondo
Luci nel Mondo onlus
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Storie di gente
veneta nel
mondo
Con il contributo
della
Regione Veneto
Pubbl. cartacea e su supporti magnetici in tempo reale, edita
dall’Associazione “Luci nel mondo onlus”- via Duomo 18/A 37121
Verona - Poste italiane s.p.a.- Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 com 2 DBC Verona
LUCI NEL MONDO
Anno 6 - N. 3 - Settembre 2010
In copertina: emigranti veneti in Germania, anni Sessanta del Novecento
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Storie di gente
veneta nel
mondo
È un progetto di Luci nel Mondo onlus
Con il contributo della Regione Veneto
Assessorato alle Politiche dei Flussi Migratori
INTRODUZIONE
Storie di Gente Veneta 2 è il proseguo del progetto che, con il contributo della
Regione Veneto, vuole raccontare vite e vissuti di veneti o comunità venete nel
mondo. In questa seconda parte del progetto vengono raccontate 11 storie di
veneti o di comunità venete che risiedono nei diversi paesi del mondo non già
visitati e raccontati nella prima parte del progetto (paesi già visitati nella prima
parte del progetto sono: Sudafrica, Brasile, Argentina, Svizzera, Belgio, Canada).
Raccontare i loro vissuti, le loro fatiche, la loro nostalgia, i loro ricordi, le loro
speranze. Raccontare i loro successi, i loro fallimenti. Raccontare la loro famiglia,
i loro figli, perché sono partiti… Raccontare questi veneti vuol dire anche un po’
raccontare i paesi dove oggi risiedono, con i problemi, le speranze. Raccontare
questi veneti vuol dire raccontare i valori di una terra (il Veneto) da loro esportati
in tutto il mondo. L’obiettivo è anche quello di descrivere i flussi migratori che li
hanno visti protagonisti: perché sono partiti?, che Italia, che Veneto era?, cosa
hanno fatto quando sono arrivati?, come sono stati accolti?, che ricordo hanno
e che rapporto hanno ancor oggi con il Veneto? Domande che, come possiamo
vedere negli 11 video, aprono interessanti scenari di dibattito.
Se la prima parte del progetto ha raccontato soprattutto i veneti partiti nel
dopoguerra o figli dei veneti partiti con la prima generazione di immigrazione
(fine 1800), questo secondo progetto parla anche di un Veneto che recentemente
è andato a cercar possibilità in altre parti del mondo. È la nuova migrazione,
meno drammatica, più selettiva, ma altrettanto interessante, di un Veneto che si
connota come popolo di migranti in cerca sempre di nuove possibilità. Il progetto
racconta 11 storie di gente veneta raccolte attraverso 8 viaggi nei seguenti paesi:
Australia, Germania, Romania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Austria, Messico,
Venezuela. Il progetto è destinato alle scuole medie e superiori del Veneto,
all’associazionismo, alle parrocchie, a chi si occupa di fenomeni migratori.
Luci nel Mondo
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Storie di gente veneta nel mondo 2
“Mèrica Mèrica Mèrica,
cossa saràla ‘sta Mèrica?”
La fuga dal Veneto di fine Ottocento
In origine il fenomeno migratorio veneto nella seconda metà del secolo XIX fu
di carattere temporaneo o stagionale, diretto in particolare verso la Germania,
l'Austria e l'Ungheria, dalle zone montane verso i grandi cantieri di costruzione
del centro Europa o per la stagione agricola nella campagne. Verso la fine
dell'Ottocento il Veneto sprofondò in una profonda crisi economica che diede
l'inizio alla “grande emigrazione”, che si sarebbe protratta sin dopo la seconda
guerra mondiale.
Con la nascita di nuove rotte transoceaniche iniziò l'emigrazione verso il
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Dati statistici
cosiddetto “Nuovo Mondo”.Il Veneto fu probabilmente la ragione che subì più
danni, tra le regioni del Nord, dall'unificazione italiana: prima del 1859 il Regno
Lombardo-Veneto era il più ricco stato italico, ma l'unificazione del Veneto
con l’Italia nel 1866 portò ad un depauperamento delle risorse della regione
obbligando i veneti a migrare verso stati più ricchi, tanto che nel periodo tra il
1876 ed il 1900 è stata la regione col tasso
più alto di migranti.
Il Veneto vanta il maggior numero di
migranti dal 1876 al 1976: furono quasi
4 milioni i veneti che “fuggirono” dalla
povertà sviluppatasi in conseguenza
delle azioni politiche della seconda metà
dell’Ottocento. Le offerte di lavoro dal
Nuovo Mondo non mancavano. Nel 1888
la Lei Aurea promulgata dalla principessa
Isabel in Brasile aveva abolito la schiavitù
e di fatto si registrava una forte richiesta di braccianti nelle fazendas e di
contadini per mettere a coltura le terre boschive del sud. Il governo brasiliano
(almeno sulla carta) incentivava questo fenomeno, mediante facilitazioni nella
distribuzione delle terre e nell’inserimento degli immigrati. La stessa cosa
succedeva in Argentina e in Messico.
Ad alimentare il "sogno americano" contribuivano poi i racconti riportati dagli
agenti delle compagnie di navigazione, le lettere di parenti o amici già sul posto,
i passaparola nelle osterie: racconti che narravano di luoghi favolosi, terre
fertili, guadagni enormi nella pampa argentina o nella serra gaucha brasiliana.
L’America, l’Argentina, il Messico, il Brasile erano pensati dai contadini veneti
come nuovi bengodi, dove “si legano gli animali con le salsicce”. E molti, in
effetti concretizzarono i loro sogni, raggiungendoli.
L’esodo ebbe il suo apice tra il 1888 e il
1891: in questi anni se ne andò dal Veneto
il 15% della popolazione, con punte
del 30% in Polesine e nelle province di
Venezia, Verona e Vicenza. I numeri
dell’immigrazione italiana in Brasile
sono impressionanti: nel 1872 giunsero
1354 coloni, l’anno successivo altri 1607,
nel 1911 perfino 7790 e quasi 10.000 nel
1913. In tutta Italia, tra il 1861 e il 1985,
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Storie di gente veneta nel mondo 2
il fenomeno migratorio ha interessato
quasi 30 milioni di partenze.
Nell'arco di poco più di un secolo
un
numero
quasi
equivalente
all'ammontare della popolazione
al momento dell'Unità d'Italia
(25 milioni nel primo censimento
italiano) si trasferì in quasi tutti gli
stati del mondo occidentale e in parte
del Nord Africa. Tra il 1876 e il 1900
l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che
fornirono da sole il 47% dell'intera cifra migratoria: il Veneto (17,9%), il FriuliVenezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (12,5%).
Cifre esorbitanti, che – in Brasile - misero in seria difficoltà l’organizzazione
prevista dallo Stato che aveva sì promosso questo fenomeno, ma che non
si aspettava una risposta di questo genere. La comunità italiana in Brasile
conta oggi tra i 23 e i 25 milioni di persone, il 13% della popolazione totale.
In Argentina tocca i 20 milioni, cifra che rappresenta il 50% della popolazione
totale, in Uruguay il 40% della popolazione.
La volontà di preservare le proprie origini e l’identità di italiani emigrati si
traduce nel proliferare di associazioni che mantengono la lingua, gli usi, i
costumi degli emigranti. Ci sono scuole italiane, circoli italiani, radio in italiano
sparse in tutto il Sudamerica. A Caracas si stampa il quotidiano in italiano “La
voce d’Italia”. I nomi di alcune prefetture del Brasile meridionale, come Nova
Schio, Nova Bassano, Nova Brescia, Nova Treviso, Nova Veneza, Nova Padova e
Monteberico, denotano chiaramente l'origine veneta dei loro abitanti e il legame
che ancora vogliono avere con la loro storia.
Un fenomeno particolare caratterizza questi ultimi anni: persone di origine
veneta provenienti dal Brasile, Argentina, Venezuela e altri paesi sono rimpatriate
in Italia, favorite da una legislazione regionale in merito. Gli emigranti italiani
hanno alleviato la nostra pressione demografica, hanno reso un servizio storico
all’Italia. Le loro rimesse hanno aiutato molto l’Italia nel dopoguerra, e oggi
sono sfegatati sostenitori del “made in Italy” attraverso l’acquisto di prodotti
italiani e la promozione dell’immagine italiana nei loro paesi.
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Strumenti didattici
L’EMIGRAZIONE DI IERI
E QUELLA DI OGGI
Linee guida per l’utilizzo didattico dei video
Analizzare l’emigrazione di ieri può essere un utile strumento per comprendere
quella attuale, da e verso l’Italia. Di seguito, alcuni suggerimenti per favorire
l’analisi e la riflessione sulle tematiche proposte dai video di “Storie di gente
veneta nel mondo 2”.
Cosa ha spinto questi veneti a emigrare?
Analisi della situazione economica, sociale e culturale dell’Italia all’epoca delle
migrazioni dei protagonisti dei video.
Qual è la “terra promessa” a cui aspirano questi emigranti?
Analisi della situazione economica, sociale e culturale delle terre che li hanno
accolti. Quali prospettive offrivano sulla carta? Sono state effettivamente
soddisfatte o questi emigranti hanno dovuto “lottare” per trovare un proprio
spazio all’interno della loro “terra promessa”?
Il ruolo dell’emigrato veneto nella nuova patria
Come si pongono i protagonisti dei video nei confronti dello Stato ospitante?
Come costruiscono i propri spazi d’azione nella nuova patria? Quali
caratteristiche tipicamente venete, tipicamente italiane, “esportano” assieme
alla manodopera?
Il rapporto con la madrepatria
Come si presenta il legame con la terra che, pur avendo dato loro i natali, non
è riuscita a dare loro motivi sufficienti per restare? I protagonisti dei video
sono partiti con l’idea di restare per sempre nella nuova patria o di ritornare,
prima o poi, a casa? Quanti sono effettivamente rientrati? A distanza di quante
generazioni questi migranti continuano a tenere vive le tradizioni italiane, la
lingua italiana?
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Storie di gente veneta nel mondo 2
Il caso particolare dei gelatieri di Vienna
Pur avendo trovato nella nuova patria il prestigio economico e sociale, i
membri della famiglia Molin Pradel continuano, da generazioni, a contrarre
matrimonio con italiani e a far trascorrere ai figli l’anno scolastico in Italia, che
seguono quindi i genitori a Vienna prettamente nei mesi estivi. Un amore per
la madrepatria certamente non obbligato da alcuna regola, ma davvero molto
sentito da questa famiglia, e che richiede indubbiamente sacrifici. Ma tutto
questo sforzo di mantenere la propria italianità non è anacronistico in un’epoca
globalizzata come la nostra? E un atteggiamento simile, negli immigrati in
Italia, verrebbe ben visto o mal tollerato dai concittadini italiani?
L’emigrazione di oggi e quella del futuro
Quanti sono e quali sono oggi gli italiani che migrano all’estero? Quali
motivi li spingono ad allontanarsi da casa? Verso quali Stati si indirizzano in
modo particolare? Quali professionalità propongono alla nuova patria, quali
qualità “made in Italy” esportano e quanto restano effettivamente legati alla
madrepatria?
Il fenomeno dei circoli italiani all’estero
Quanti sono e di cosa si occupano? Vi partecipano per lo più migranti di prima
generazione o anche figli e nipoti dei vecchi migranti? Quanto è forte, quindi,
l’influenza della propria madrepatria anche a distanza di generazioni?
La migrazione verso l’Italia
Quali caratteristiche ha, da quali paesi provengono le persone che cercano
un nuovo futuro per sé e per i propri figli in Italia? Che cosa li ha spinti a
partire? Che cosa deve fare un cittadino straniero (europeo o extraeuropeo)
per diventare cittadino italiano? Qual è la legge in materia di immigrazione?
Confronto con le attuali leggi in materia di immigrazione degli Stati che hanno
accolto i protagonisti dei video.
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Stati Uniti d’America
NUOVA EMIGRAZIONE
Last but not least
Un padovano a New York
Volendo inserire in questo lavoro anche gli
immigrati dell’ultima ora, quelli che ai giorni nostri
partono dal Veneto per affrontare il proprio futuro
in altre realtà, abbiamo scelto la città che da anni
rappresenta l’innovazione: New York.
Francesco Belcaro nasce a Padova da un costruttore
edile e dalla nota stilista Rosy Garbo, ma appena
deve decidere dove affrontare gli studi universitari
sceglie la Spagna, nello specifico Madrid. Quando
si presenta la possibilità di affrontare un periodo
di interscambio culturale, con un compagno di
studi opta per New York. E in questo momento che
sboccia l’amore per questa città.
Raggiunta la laurea lavora per qualche anno in
Sudamerica nel campo della moda, sia come
modello che organizzando eventi e sfilate, ma siccome il primo amore non si
scorda mai, non appena si presenta la possibilità si trasferisce a New York, dove
è responsabile dell'area est degli Stati Uniti per un’importante ditta di moda
italiana che produce bottoni, cerniere e accessori metallici.
Qui parte il suo sogno americano. Forte dell’esperienza accumulata in Sudamerica,
con un altro Francesco, Francesco Mo, inizia ad organizzare feste in piccoli loft
per creare networking, ossia riunire persone allo scopo di allargare il portafoglio
clienti. Nasce il “Made in Italy NYC”, le cose funzionano bene, tanto che altre
persone conosciute sul posto gli propongono di capitalizzare la rete creata nel
campo dell’edilizia. A questo punto entra in gioco quanto appreso dal lavoro
del padre. Si unisce a una società ben strutturata in cui un socio si occupa di
individuare la location, l’altro si occupa della costruzione o della ristrutturazione
dello stabile e Francesco Belcaro della vendita. Il target principale è rappresentato
da investitori stranieri, in prevalenza italiani, ma anche spagnoli, francesi ed
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Storie di gente veneta nel mondo 2
europei in generale, e l’offerta spazia da appartamenti a hotel e ristoranti. Al
cliente viene offerto un pacchetto chiavi in mano, l’investitore viene assistito da
professionisti che parlano la sua lingua, rendendo agevole un investimento che
di per sé è già allettante, visto che i prezzi alla vendita negli Stati Uniti si sono
notevolmente ridotti negli ultimi anni. Non solo, la burocrazia statunitense, dice
Belcaro, è molto snella e da un lato facilita i costruttori che sono molto veloci
a realizzare palazzi imponenti, dall’altro semplifica le attività degli investitori
rispetto a quanto si possa realizzare in Europa.
Nel frattempo Made in Italy NYC continua a crescere, e ora gli eventi organizzati
sono passati dai piccoli loft ai più importanti simboli della grande mela: il Plaza,
storico hotel di lusso che si affaccia su Central Park, il Pink Elefant, il 75 Wall,
dove siamo stati per raccontare questa storia, ma soprattutto il Made in Italy
NYC non cerca più di creare eventi, viene cercato per farlo. A lui si sono affidati
personaggi del calibro di Sean Connery e Donald Trump, molti personaggi di
spicco che devono organizzare un evento a New York pretendono che siano i
due Francesco a farlo. Gli americani amano molto la creatività italiana, il nostro
modo di divertirci e di socializzare, e poterlo fare contando sulla laboriosità e
sull’efficienza veneta è un’opportunità alla quale sempre più “Very Important
Person” non vogliono rinunciare. Le caratteristiche venete diventano vincenti
anche a New York.
Per mettere a disposizione queste peculiarità, insieme ad Alvise Casellati che la
presiede, Francesco Belcaro ha creato la Venetian Community New York. Questa
comunità vuole creare un ponte tra il Veneto e New York, facilitare i veneti che
per qualsiasi ragione si trovano a dover operare nella Grande Mela, città che può
lasciare il nuovo arrivato un po’ spaesato, e contemporaneamente promuovere
la nostra regione. Se Venezia non ha bisogno di molte presentazioni, la Venetian
Community New York vuole invogliare i newyorkesi a venire a conoscere anche le
altre ricchezze che la nostra regione propone. E così che al Columbus Day, giorno
in cui New York ricorda Cristoforo Colombo, tra le migliaia di bandiere italiane
che affollano le vie della città, gli americani hanno visto sfilare un grande leone
di S. Marco, diversi carri allegorici che arrivavano da tutte le città del Veneto e
le televisioni statunitensi hanno potuto intervistare Giulietta Capuleti.I valori
veneti rimangono comunque il miglior biglietto da visita che la regione possa
portare a New York. “Quando arrivi a New York...” dice Belcaro, “è forse l'unica
città dove non ti senti uno straniero, ma qualsiasi cultura, anche la più chiusa
si deve amalgamare, si deve mescolare, deve convivere sotto una, tra virgolette,
legge: ci vuole rispetto, e noi ce l’abbiamo!”.
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Stati Uniti d’America
SELF-MADE MAN
Semplicemente Veneto
Un padovano a Los Angeles
Fabio Peraro nasce a Bagnoli di
Sopra (in provincia di Padova) nel
1938, nel ‘54 si trasferisce con la
famiglia in centro città, dove gli zii
hanno una trattoria in Prato della
Valle. I rudimenti del mestiere
Fabio li acquisisce tra la trattoria
e la scuola alberghiera, fino a che,
nel 1957, gli viene proposto di
andare a lavorare in un albergo di
St. Moritz, in Svizzera. Lui accetta
sfidando le autorità svizzere,
molto attente a rilasciare permessi di lavoro. A St. Moritz inizia la sua vera
gavetta; parte facendo il lavapiatti per poter imparare, oltre alle ricette, anche
un uso spigliato della lingua, perché a quel tempo si cucinava davanti al cliente
e non bastava essere dei bravi cuochi per lavorare in alberghi e ristoranti.
Fabio Peraro dimostra di saper imparare velocemente e bene, questo lo porta
a lavorare presto in sala, dove un cliente gli offre un lavoro a Londra. Nella
capitale inglese cambia più posti di lavoro, sino ad arrivare in un ristorante
italiano frequentato da personaggi del jet set internazionale. La sua abilità
di cuoco e la professionalità nel porsi di fronte alla clientela convincono il
padrone del Beverly Hills Hotel a offrirgli un posto di lavoro a Los Angeles.
Fabio accetta e si trasferisce in California.
Il Beverly Hills Hotel era tappa obbligata per tutte le star internazionali del
cinema e Mr. Peraro si trova a cucinare per Sofia Loren, Carlo Ponti, De
Laurentis, Frank Sinatra, Elizabeth Taylor, Richard Burton e così via. Il suo
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Storie di gente veneta nel mondo 2
lavoro è particolarmente apprezzato tanto che molte di queste personalità
lo chiamano a lavorare nelle loro ville in occasione di feste e ricevimenti.
Inconsapevole del valore che portava con sé, Fabio Peraro si dice stupito di
questo interesse, dicendoci con molta semplicità: “Io cucinavo alla veneta.”
Nel frattempo i rapporti con la direzione dell'hotel si deteriorano e Peraro
decide di dimettersi. Come nuova occupazione decide di aprire una ditta per
l’importazione di prodotti alimentari dall'Italia.
Nel 1976, negli Stati Uniti esplode la moda dei prodotti dietetici e Peraro scopre
che il gelato italiano ha una percentuale di grassi molto inferiore a quelli locali.
Con alcuni soci apre una gelateria e introduce la Pernigotti negli Stati Uniti.
Le cose partono bene, tanto che in due anni si trovano ad avere quaranta
dipendenti. Quando iniziano a dar fastidio alle grandi compagnie, nascono i
primi problemi. Nel 1983 la dogana blocca per un anno l’importazione di tutti
i prodotti dolciari italiani. Parecchie società soffrono molto, ma l’abilità e la
conoscenza del territorio di Mr. Peraro permettono alla sua ditta, grazie ad
una legge del Presidente Reagan, di essere esentata dal blocco.
Anche dal punto di vista commerciale la carriera di Fabio Peraro dà le sue
soddisfazioni. Il primo mandato ricevuto dalla Pernigotti copriva la California.
Poi, visti i risultati e paragonandoli con gli altri venditori, gli viene assegnata
tutta l’area occidentale degli Stati Uniti. La scelta risulta azzeccata e gli viene
affidato l’intero mercato statunitense, con costante crescita del fatturato.
Nel 1989 cambia la direzione della Pernigotti e i rapporti non sono più lineari
come quelli intrattenuti con la precedente amministrazione. Così si vede
ridimensionato il mandato alle posizioni iniziali, cioè alla California. Inizia
allora ad importare prodotti anche di altre ditte e di accessori per la gelateria,
come contenitori e cucchiaini; come dice lui: “Vendi per far schei!”, ovvero
soldi!
A giudicare dalla villa che si è
comprato su una collina ad un’ora
da Los Angeles, pare ci sia riuscito.
Un paradiso in stile messicano
sapientemente arredato grazie al
contributo della moglie Rosa. Una
bella signora di origini messicane
appunto, conosciuta alla chiesa
italiana di St. Peter. Insieme alla
villa ci sono dieci ettari di terreno,
in cui Fabio può soddisfare la
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Stati Uniti d’America
voglia di coltivare portata dalle campagne padovane. Ortaggi, frutta e fagioli
borlotti, insieme a molti animali, fanno da cornice alle arcate bianche della
villa sui pendii della collina.
L'origine veneta di Mr. Peraro non rimane però nel recinto del suo orto. “Tra
messicani, siciliani e calabresi il nostro Veneto sta scomparendo” dice; ecco
perché insieme ad altri membri della Fameja Veneta di Los Angeles, e sotto
la presidenza di Maria Varlotta, si riunisce per poter parlare in dialetto, ma
soprattutto per trasmettere l’orgoglio veneto alle nuove generazioni. Lo fanno
in primo luogo attraverso l’attribuzione di borse di studio a giovani, figli di
emigrati veneti, che si siano distinti attraverso un elaborato sulle proprie
origini. Ma anche con altri incontri della Fameja Veneta presso il centro degli
Scalabriniani, ed uno che, annualmente, proprio Fabio Peraro organizza
mettendo a disposizione la propria casa.
Insomma una vita piena, vivace, ma che non è mai uscita dalla semplicità delle
origini, proprio come la sua relazione con Rosa, compagna e collega di lavoro,
che bilancia la vivacità di Fabio con un carattere molto riflessivo ma non meno
entusiasta.
In questo video vi raccontiamo la storia di un veneto che, nella patria dello star
system, tra luci e riflettori, non si fa abbagliare dal miraggio del successo, ma
realizza passo dopo passo il suo sogno americano sfruttando i valori di origine:
lavoro, lavoro, lavoro... e semplicità.
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Storie di gente veneta nel mondo 2
GLOBALIZZATI DAL 1886
Gelatieri veneti a Vienna
Come quella che raccontiamo per gli emigrati veneti in Germania, anche questa
storia parte dalla Val Zoldana, ma, anziché fermarsi secondo un progetto
in Germania, arriva solo per caso a Vienna. Si, perché, intorno al 1880, gli
antenati di Silvio Molin Pradel andarono in Transilvania a lavorare come
tagliaboschi per una ditta che, nel 1886, fallì. I soldi raccolti non erano molti e
finirono durante il viaggio di ritorno, costringendo la carovana a fermarsi nella
capitale austriaca. Dopo aver trovato alcuni lavori saltuari grazie a conoscenti
friulani, riuscirono a raccogliere i soldi per il rientro a Zoldo. La permanenza
viennese svelò nuove opportunità di lavoro, quindi, sempre nel 1886, decisero
di tornare a Vienna per iniziare un'attività di produzione del gelato.
Si partì da zero, le prime gelaterie erano dei carrettini, poi si passò a piccoli
laboratori affittati stagionalmente. I primi emigranti erano solo gli uomini;
donne, vecchi e bambini dovevano rimanere a Zoldo ad occuparsi dei prati
e degli animali. Per i gelatieri la stagione iniziava, come si ricorda tuttora, il
19 marzo, San Giuseppe, patrono dei lavoratori. Si rientrava poi per la festa
del paese, a metà agosto, per diversi motivi. Prima di tutto le materie prime
finivano, fragole e limoni erano disponibili solo d'estate. Nello stesso tempo
c’erano lavori, quelli più duri, che
non potevano essere portati avanti
da donne, vecchi e bambini. Ad
esempio, allora ci si scaldava col
fuoco, e fare legna per l’inverno
era un lavoro da uomini.
A partire dal periodo della
Prima Guerra Mondiale, le mogli
iniziarono a seguire i mariti,
un passo che, al contrario di
quanto potrebbe sembrare in un
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Austria
primo momento, portava più
sofferenze che sollievo. Infatti i
figli dovevano rimanere a casa,
e considerando l’epoca, priva dei
moderni mezzi di comunicazione,
il distacco era molto traumatico:
durava sette mesi e poteva essere
alleviato solo da una saltuaria
corrispondenza epistolare. I figli
più fortunati stavano con i nonni,
mentre i meno fortunati vivevano
in collegio.
Nel 1930 il nonno, omonimo di Silvio, subentrò al bisnonno Arcangelo; era
un periodo fortunato e le gelaterie conobbero un notevole successo. Successo
interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale Vienna venne
bombardata, e come altri edifici, anche quello che ospitava la gelateria dei
Molin Pradel subì gravissimi danni. Un veneto, si sa, non si fa scoraggiare, e
piano piano, dai ruderi del palazzo, al piano terra ripartì l’attività.
Negli anni Sessanta fu il turno del padre di Silvio, e anche per lui il periodo fu
fortunato. In quegli anni i giovani iniziavano ad uscire, ma non erano molti i
luoghi di ritrovo, soprattutto quelli permessi alle ragazze dai genitori. Ecco che
le gelaterie rappresentarono il giusto compromesso tra le aspirazioni dei figli e
le regole imposte da padri e madri, a tutto vantaggio dei gelatieri italiani.
Il passaggio del tempo non muta però le abitudini e, anche nel secondo
dopoguerra, quasi tutti i gelatieri veneti mantenevano un'emigrazione
stagionale. Si fermava solo chi sposava ragazze austriache, ma molti figli, come
Silvio, continuavano a crescere in
Veneto, lontani dai genitori. Di
conseguenza, cultura e affinità
li portavano a cercar moglie in
patria. Così capitò a Silvio che,
a Zoldo, conobbe e poi sposò
Deborah Fontanella, figlia di
gelatieri emigrati in Germania.
Ora sono loro due a gestire la
gelateria, hanno più di quaranta
dipendenti e, oltre alla vendita
al dettaglio, forniscono diverse
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Storie di gente veneta nel mondo 2
catene.
Silvio da dieci anni presiede l’Associazione dei Gelatieri Italiani in Austria, e,
da poco, è stato inoltre eletto, primo italiano, presidente dell’associazione che
riunisce tutti i gelatieri austriaci.
Come dice Silvio, il legame con la valle è viscerale, motivo per cui tutte le
generazioni hanno continuato a tornare e motivo per cui anche i due figli di
Silvio e Deborah seguono lo stesso percorso. Entrambi frequentano quindi
i mesi scolastici invernali a Zoldo e quelli estivi a Vienna, sin dalla scuola
materna. In questo modo raggiungeranno, col tempo, la piena padronanza delle
due lingue, italiano e tedesco, e avranno la libertà, in età di scelte professionali,
di poter optare per la realizzazione in uno o nell’altro paese. Il più grande, in
età scolare, frequenta già la scuola a Zoldo e così sarà per il più piccolo. Questo
perché, pur non volendo negare le opportunità a disposizione, vogliono che i
loro figli si sentano sempre profondamente italiani. Frequentando le scuole
a Vienna questa italianità andrebbe persa. Questo comporta certamente un
dolore. “Il distacco” confessa Deborah, “fa male. Anche se le possibilità di
vedersi e comunicare sono molto superiori a quelle che avevamo noi da piccoli,
comunque fa male”. E allora, tutto ciò non appare anacronistico in un’epoca
in cui tutti parlano di globalizzazione, di mondializzazione? Perché ostinarsi a
mantenere legami che comportano questi sacrifici? “Globalizzazione?” - chiede
Silvio - “ma noi siamo sempre stati globalizzati, cosa significa globalizzazione...
non saprei”.
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Germania
GENERAZIONI IN PROGRESSO
Dalla Val Zoldana a Mannheim
La storia di Dario Fontanella
inizia molto prima di venire al
mondo a Mannheim nel 1952.
Inizia nel 1906, quando il nonno
Michelangelo fonda a Conegliano
Veneto la sua prima pasticceria.
Michelangelo
Fontanella
si
accorge presto del calo di clienti
durante il periodo estivo, e si
adopera presto per riempire
questo vuoto specializzandosi
nella produzione del gelato.
Il papà di Dario non è meno ambizioso del nonno; mentre lavora studia e a
diciotto anni, nel 1931, decide di andare a trovare lo zio che si era trasferito ad
Hannover. Qui alterna lo studio del tedesco con il lavoro dallo zio. Dopo solo
due mesi dal suo arrivo, vista l’intraprendenza del giovane, lo zio gli propone di
aprire una nuova gelateria. Le cose vanno subito bene, ma il ragazzo è troppo
giovane per fermarsi. Dopo aver letto che a Mannheim iniziava la Germania più
simile alla sua terra d’origine - le foto gli mostravano una terra di vigneti, che
riportava subito alla mente le campagne venete -, che lì non c’erano gelaterie
e, cosa fondamentale, che Mannheim era la patria delle donne più belle della
Germania, non indugia, prende il treno e parte.
Arriva a Mannheim nella primavera del 1933 e la città, col suo stile lineare,
gli piace subito. Apre il primo negozio facendosi aiutare da esperti chiamati
dallo zoldano e dal coneglianese. Visti gli ottimi risultati, decide di allargarsi
aprendo negozi a Wiesbaden, a Karlsruhe e a Stoccarda. Le cose procedono
bene fino al 1943, quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si allea
con gli anglo-americani e la gioventù hitleriana inizia un boicottaggio di tutti
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Storie di gente veneta nel mondo 2
gli esercenti di origine italiana. Il declino è inevitabile, ma Mannheim, città di
commerci e poco incline alle ingerenze politiche, resiste bene.
Nel frattempo, nel 1941, conosce la futura madre di Dario, consacrando così
la città a nuova patria della famiglia Fontanella. Da Mannheim i Fontanella
non si sono più mossi, lì hanno instaurato nuove relazioni e nuove amicizie,
lì si sono integrati stabilmente nel tessuto cittadino, senza però rinunciare a
periodiche visite a Conegliano e alla Val di Zoldo, che rimane la patria dei
nonni.
Per sua stessa ammissione, l’ammirazione che Dario ha per il padre è smisurata.
Ricorda le sue doti sportive: praticava lo sci a livello agonistico, si arrampicava
sulle montagne di Zoldo, faceva gare in salita con le automobili, fu il primo ad
andare da Mannheim a Conegliano in bicicletta e lo fece in soli quattro giorni;
una personalità mai doma e sempre pronta alla competizione. Un padre che
ha dato molto e preteso molto da Dario e che ha lasciato molto in lui. In primo
luogo ha voluto lasciare l’amore verso il lavoro e l’apertura all’innovazione.
Da questa prima lezione ricevuta da Dario è nato il “Laboratorio aperto”,
ossia lo spazio in cui Dario Fontanella invita i clienti ad andare a vedere
come nasce il suo gelato. Tutto avviene alla luce del sole, si può mangiare una
coppa alla frutta e contemporaneamente seguire attraverso il vetro tutte le
fasi della produzione, perché, come ricorda Dario Fontanella, “I piccoli cuochi
custodiscono segreti, i grandi cuochi scrivono libri”.
L’apertura all’innovazione si manifesta anche nel concetto secondo cui ciò che
oggi distingue un gelato artigianale da uno industriale non è la presenza o
meno di moderne tecnologie, quanto l’utilizzo di elementi naturali e semplici
anziché di prodotti
sofisticati. Ecco che
al di là del vetro
vediamo frutta fresca,
frutta secca, cacao
e vaniglia che, sotto
l’occhio vigile di un
tecnico specializzato,
passano
attraverso
pastorizzatori,
gelatiere, abbattitori
di
temperatura
e
potenti
frigoriferi,
trasformandosi
in
20
Germania
un prodotto sempre più buono e
genuino.
Accanto al nucleo produttivo
costituito dal laboratorio, l'attività
di Dario Fontanella si sviluppa nella
vendita al dettaglio, che avviene
attraverso quella che definisce la
madre delle sue gelaterie, aperta
tutto l’anno nel centro pedonale
della città, e altri due punti vendita
stagionali sempre nel centro di Mannheim. Inoltre, i suoi prodotti vengono
richiesti da ogni parte della Germania in occasione di eventi particolari
Sempre nell’ottica imprenditoriale trasmessagli dal padre, Dario Fontanella
non manca di farsi parte attiva nelle manifestazioni che l'UNITEIS, l'Unione
dei Gelatieri Italiani in Germania, organizza per la promozione del gelato
artigianale. Ne abbiamo seguita una, proprio a Mannheim, vedendo come
veniva prodotto il gelato dai nonni, verificando l’interesse che suscitano
queste manifestazione nei media tedeschi e constatando come i gelatieri veneti
facciano la parte del leone in questo fiorente mercato.
In questo lavoro abbiamo poi messo in parallelo il progresso generazionale di
una famiglia di gelatieri veneti con il moderno processo produttivo del gelato
artigianale, rilevando così come lo spirito di iniziativa, la tenacia, l’amore per
il lavoro e lo sguardo verso il futuro abbiano contraddistinto l’emigrazione
veneta in Germania. Una storia nata nel 1906 a Conegliano ed ancora in pieno
sviluppo, che si concentra nella frase che accoglie gli avventori del Laboratorio
aperto: “Wir produzieren mit Herz”, “Noi produciamo col cuore”.
21
Storie di gente veneta nel mondo 2
NOIALTRI QUA A CHIPILO
L’emigrazione dei veneti di Segusino
nella Piana di Puebla, Messico
Il 23 settembre 1882
sessantotto
famiglie
trevigiane di Segusino
e dintorni sbarcarono a
Veracruz, in Messico, con
il vascello Atlantico e,
dopo giorni di cammino,
arrivarono a Chipilo,
nella piana alle spalle
di Puebla, scrivendo
una nuova pagina dell’
emigrazione
italiana:
quella dei “Chipilegni”.
La
storia
popolare
racconta che quando questi giganti bianchi dai capelli chiari e gli occhi azzurri
avanzavano tutti insieme nella piana, accompagnati dalle autorità messicane,
tutti si fermarono a guardare cosa stava succedendo. Il governo messicano che
si stava consolidando aveva bisogno di gente esperta per mettere in produzione
le terre. Dall’altra parte del mondo, nel nord Italia, gente senza possibilità ma
con tecnica e operosità aveva bisogno di spazi da lavorare. Questa fu la molla
che convinse i veneti, gente fortemente legata alla propria terra, a lasciarla e
ad affrontare il mare.
I veneti che arrivarono non portarono solo le loro braccia, ma trasportarono
il modello Segusino dall’altra parte dell’oceano. Portarono una cultura, una
lingua, una operosità, una religione, delle tradizioni. In un contesto totalmente
diverso si creò una enclave veneta in territorio messicano, che sta ancora
22
Messico
resistendo, nonostante oggi molte cose siano cambiate.
Il chipilegno parla il dialetto di Segusino di fine ‘800, e lo insegna ai figli
dei figli come lingua madre, di coesione, di riconoscimento. Che poi quella
lingua non sia - ovviamente - nemmeno più parlata a Segusino, poco importa.
L’importante è conservare una identità, un’origine, l’idea scolpita di un
viaggio che ha segnato indelebilmente questo gruppo di agricoltori trevigiani,
i quali avevano in realtà ben altre aspirazioni che emigrare verso mondi
lontani. Non avevano in testa i sogni di Marco Polo, nemmeno gli ideali di
fratellanza universale, i contadini di Segusino alla fine dell’800. Avrebbero
voluto rimanere a Segusino a fare quello che sempre avevano fatto.
Ma il Veneto di fine Ottocento non era quello che diventerà. Si pativa la fame
e nessuno intravvedeva futuro. L’emigrazione fu una scelta obbligata, come
capita per tutti i popoli del mondo che si mettono in viaggio. Nessuno sceglie
di lasciare suo padre e la sua terra se non è costretto a farlo. Fu così anche per
Segusino. La destinazione? Un fortuito innesco di coincidenze. Poteva essere
Brasile, Argentina, Stati Uniti. Fu Messico perché a quel tempo i procacciatori
delle grandi compagnie di navigazione battevano il Trentino e il Veneto
vendendo passaggi per Veracruz. Si dovevano adempiere gli impegni presi con
il governo messicano che richiedeva navi cariche di braccia forti per lavorare
una terra che nessuno voleva affrontare, e di uomini dediti solo al lavoro, non
interessati alle insurrezioni autonomistiche che tanto preoccupavano.
La storia racconta che le cose andarono anche diversamente, come sempre
succede. Obiettivo degli armatori era quello di riempire la nave, promettendo
“una terra dove si legano gli animali con la salsiccia”. Cosa avrebbero trovato
poi, quelli di Segusino sbarcati in Messico, a loro non interessava molto. I
chipilegni oggi raccontano
che i loro nonni, i giganti
saliti sulla piana di Puebla
accompagnati dalle autorità
messicane, avevano gli occhi
rigati dalle lacrime e tanta
tristezza. Com’era diversa la
realtà: non c’erano animali,
tantomeno salsicce con le
quali legarli. La dura realtà
era questa, e segnava il
punto di non ritorno. Si
rimboccarono le maniche
per costruirsi un futuro
23
Storie di gente veneta nel mondo 2
su tradizioni e valori veneti, in
territorio messicano.
La piana di Puebla era già abitata
da un meticciato dove l’elemento
indigeno era predominante. I
giganti di Segusino arrivarono
silenziosi e iniziarono a dissodare
il terreno affidato, costruendo le
loro case, le loro fattorie, la loro
chiesa. Cominciarono a produrre,
a raccogliere, a trasformare. La
gente del luogo rimase per un po’ stupita da tanta forza e organizzazione.
Ma soprattutto rimase indifferente verso questo mondo di valori straniero,
lontano. I “cici” – così vengono chiamati gli abitanti originari del luogo dagli
emigranti di Segusino - iniziarono a lavorare per loro come salariati agricoltori
o allevatori. Ma tra i due non c’è mai stato amore, contiguità. I chipilegni
vivevano tra loro, si sposavano tra loro, andavano a messa nella loro chiesa.
Altrettanto facevano i “cici”.
“Per fare quello che faccio io ogni giorno ci servono 5 cici”. Sono parole di
Bernardo Stefanoni Berra, agricoltore, figlio di Salvatore. Sono parole che
delineano un mondo che ha caratterizzato un secolo. Oggi la grande Puebla,
abitata da “cici”, è alle porte di Chipilo e il mondo delineato da Bernardo è
sempre più ristretto.
24
Messico
I VENETI NELLA COLONIA
MANUEL GONZÁLES
Zentla, Messico
Il 19 ottobre 1881 a bordo del vapore
Atlantico, reclutati dalla compagnia
Rovatti di Livorno, 428 emigranti
italiani arrivarono al porto di Veracruz,
nel Golfo del Messico. Erano 88 famiglie
dirette alla colonia Manuel Gonzales
come stabilito dal governo messicano.
Furono accolte con grandi onori dalle
autorità messicane e accompagnate
in treno fino a Orizaba. Da lì, a piedi,
uomini, donne e bambini salirono i crinali delle montagne del Pico fino al
distretto di Huatuzco per raggiungere la colonia Manuel Gonzales a Zentla,
900 metri di altezza. I giorni passavano e il sogno di una terra ricca e dorata
lasciava il passo alla più dura realtà.
Tra il 1881 e il 1882 7 navi provenienti dall’Italia portarono a Veracruz
emigranti italiani. Molte famiglie destinate alla colonia Manuel Gonzales
erano venete, di Treviso e Belluno. Quando videro le pendenze della montagna
e le condizioni di vita della popolazione, molti volevano far marcia indietro.
Ma riattraversare l’oceano era troppo costoso. Già avevano venduto tutto
nel Veneto per comprare il biglietto di sola andata per la famiglia intera.
Ritornare voleva dire fallire due volte: agli occhi di chi ti aveva visto partire
con l’idea della fortuna a portata di mano, indebitarsi di nuovo per ritornare
laddove si aveva già fallito. Non pochi di quelli arrivati alla colonia Manuel
Gonzales cambiarono destinazione: nord America e Brasile soprattutto. Gli
altri si fermarono e iniziarono a lavorare questa terra scoscesa, tra valli ripide
dove “era difficile anche camminare”. La capacità di resistenza che un popolo
sa tirar fuori nelle situazioni decisive ha dell’incredibile. Così fu per i veneti
alla colonia Manuel Gonzales. Si organizzarono, costruirono le prime case di
legno, poi, piano piano, di muratura. Poi costruirono la scuola. I primi anni
25
Storie di gente veneta nel mondo 2
furono drammatici: scarsa alimentazione, nuove malattie prima sconosciute
portarono a numerose perdite soprattutto tra uomini e bambini, con problemi
di coesione sociale non indifferenti.
Silvia Cesa racconta che sua nonna letteralmente impazzì di fronte a condizioni
di vita molto peggiori del Veneto che aveva lasciato. Aveva perso il marito e non
aveva nulla da dar da mangiare ai suoi figli piccoli. Fu salvata dalla solidarietà
comunitaria che sempre scatta nella povertà, ma le conseguenze segnarono
la sua vita. I veneti a Zentla, nella colonia Manuel Gonzales, organizzarono il
territorio, piantarono caffè facendo diventare Zentla una delle zone rinomate
per la produzione del caffè miscela arabica. Non solo: portarono in quota la
canna da zucchero con produzione intensiva, per produrre quello che oggi
è un pilastro dell’industria dolciaria: il “piloncillo”, usato come dolcificante.
Modificarono l’amministrazione del territorio con le prime forme di catasto
terreni e aree demaniali, con la costruzione di strade, di sistemi di irrigazione.
Quello che era un inferno ad alta quota iniziava a diventare, grazie all’iniezione
di gente di Lentiai, di Mel, di altre parti del bellunese e del trevigiano, una
terra ricercata, da trasformare.
Il caffè pregiato della Colonia Manuel Gonzales iniziò a conquistare il mercato
non solo messicano. Gli agricoltori veneti producevano, e producendo
creavano ricchezza. Da qui alle prime cooperative di credito il passo fu breve.
Riprodussero a Zentla il sistema organizzativo che avevano lasciato nel Veneto
o in Trentino e i benefici iniziarono a farsi sentire in tutta la regione circostante.
I veneti e i trentini che arrivarono a Zentla dimenticarono ben presto la lingua e
assunsero lo spagnolo parlato in Messico. Si inculturarono notevolmente e ben
presto nelle abitudini, negli usi e costumi locali. Ricordavano la loro origine,
ma i legami col nuovo mondo avevano superato la nostalgia del passato. Il
Veneto si dimenticò di loro, fino a quando circa 15 anni fa l’amministrazione
comunale della colonia Manuel Gonzales intraprese un viaggio nel Veneto
per riscoprire le origini di molti loro
abitanti. Rifiorì un legame, si riscoprì
l’amicizia tra due terre lontane ma
unite dal destino di molte persone.
Seguirono scambi, viaggi, e la
dedicazione all’emigrazione veneta
e trentina della piazza principale
di Colonia Manuel Gonzales, dove
campeggia il Leone di San Marco a
sancire un passato che accomuna.
26
Venezuela
VIVERE CON LA PAURA
I veneti a Caracas, Venezuela
Sono pochi i veneti che oggi vivono
a Caracas (Venezuela) che hanno
voluto farsi riprendere nei luoghi di
vita o di attività per questo nostro
progetto “Storie di gente veneta
nel mondo”. Alcuni hanno voluto
rilasciare solo interviste. Altri,
nemmeno quelle. L’insicurezza, la
paura di assalti e rapimenti oggi a
Caracas, bellissima capitale di questo
stato latinoamericano, vince sulla
voglia di raccontare questa grande
pagina di emigrazione veneta.
Arrivi a Caracas e il primo consiglio è di non arrivarci di notte. Se ci arrivi,
aspetta in aeroporto il sorgere del sole. Poi prendi un taxi rigorosamente di
quelli ufficiali, memorizzati la targa e le caratteristiche del conducente. Nessun
taxista ti porterà mai in certe zone di Caracas, solo dall’autopista al centro della
città. Non chiedere di più. Sono indicazioni tipiche di un paese in guerra che
fanno impressione per un paese come il Venezuela.
Che la situazione non sia felice lo si capisce appunto dalla quantità di “no,
grazie” che abbiamo ricevuto alle richieste di intervista. “Lo farei volentieri,
a microfoni spenti le racconto tutto quello che vuole”. Ma a microfoni accesi,
nessuno ci mette la faccia. Perché? Perché oggi l’industria più fiorente a Caracas
(come in altre città del paese) è l’industria dei sequestri. Sequestri lampo, dove
stranieri, emigranti, gente che si pensa possa aver soldi viene trattenuta per
due-tre giorni, in attesa che i familiari paghino il riscatto. Chi non paga viene
ucciso, tranne casi eccezionali dove il malcapitato riesce a far comprendere ai
rapitori la cantonata presa. Ma sono casi rari. La violenza è diventata padrona
di Caracas. Maria Corridori, ricordando la fiorentissima attività di oreficeria del
27
Storie di gente veneta nel mondo 2
marito, ci racconta che hanno dovuto
chiudere dopo l’ennesimo assalto e
sequestro di tutto il personale della
fabbrica. Cosa insostenibile per il suo
povero marito, che ora non c’è più.
E le figlie sono tutte all’estero: Stati
Uniti, Spagna, dove ancora si può
passeggiare con il cane per strada
senza il pericolo di essere inseguiti e
rapiti.
“Vedere questi emigranti benestanti, che godono il frutto di una vita di lavoro
e sacrifici, vivere in belle casette sempre più soli perché i figli sono mandati
all’estero, fa tristezza”. Sono parole di p. Giuseppe Cogo, scalabriniano, che di
emigrazione se ne intende, avendo vissuto per 40 anni a New York accogliendo
chi arrivava dal resto del mondo.
Non è diverso quanto ci racconta Oriana Lion Castellaz, figlia di Giuseppe
Lion, grande costruttore edile che dagli anni ’60 agli anni ’90 ha fatto fortuna a
Caracas. Ci dice Oriana che la sua vita si svolge tra casa, lavoro e Club Italia. Non
ci sono altre possibilità. “Quando arrivi nelle vicinanze di casa, devi guardare
negli specchietti retrovisori se sei seguito, se ci sono movimenti strani. Se è tutto
a posto, puoi entrare, altrimenti rifai il giro dell’isolato. La stessa cosa quando
arrivi in ufficio: entri direttamente con l’auto nel garage del grattacielo dove
lavori, dove c’è la sicurezza 24 ore su 24”. Lo svago per gli emigranti si chiama
Circolo Italia, dove tra campi da tennis, piscine, ristoranti, pizzerie, centri
commerciali c’è un’isola felice e sicura in questa Caracas da brividi. “L’unica
attività che faccio oltre al lavoro”, ci racconta Virginio Perotto, da 50 anni in
Venezuela, “è cantare nel coro Giuseppe Verdi, promosso dal Circolo Italia. Ma
è sempre più pericoloso uscire di casa con la macchina alla sera e percorrere
Caracas”.
Alessandro Olivieri è il giovane figlio del vicentino Guido che col suo “ristorante
da Guido” dà da mangiare ai manager della classe medio-alta del centro di
Caracas. Guido è rientrato in Italia, Alessandro e le sorelle portano avanti la
gestione del ristorante. Alessandro ci dice senza mezzi termini che non ci starebbe
mai in un posto come Caracas se non avesse da portare avanti un ristorante
con un nome storico alle spalle e un giro d’affari ancora interessante. “Noi qui
siamo sopportati, il contesto è cambiato, gli stranieri sono visti come persone
che rubano alla nazione”. E tutto viene di conseguenza. Una domanda da non
fare ai veneti che vivono a Caracas è chiedere cosa pensano di Hugo Chavez.
28
Romania
NUOVI MERCATI,
NUOVI IMMIGRATI
Un veronese a Bucarest
Sono passati più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, la Romania è da
tempo meta di imprenditori del Nord-est italiano per la delocalizzazione della
produzione.
I forti investimenti che la delocalizzazione porta con sé hanno bisogno di
un’assistenza adeguata ai nostri standard imprenditoriali. Il buco nero creato
dalla dittatura comunista, in particolare dai vent’anni della guida di Ceausescu,
non è stato ancora colmato. Ecco quindi che non sono solo gli imprenditori
a spostarsi, ma anche figure come quella di Christian Neri che, per conto
della Banca Popolare di Vicenza, ha seguito in Romania questo processo di
industrializzazione che coinvolge da vicino la regione Veneto.
Dopo un percorso formativo che, passando per la Germania, si è concretizzato
in provincia di Verona, Neri ha accettato la sfida lanciatagli dal proprio gruppo
dirigente e da cinque anni vive in Romania. Trasferitosi nel 2005 a Timisoara,
prima terra di conquista per le nostre imprese, ha poi seguito lo sviluppo
imprenditoriale veneto che, attecchendo bene in terra straniera, si è allargato
fino a comprendere la capitale.
Oggi Neri vive a Bucarest e oltre
a seguire gli imprenditori veneti,
l’esperienza sul terreno lo ha
portato a dirigere l’area Corporate
per conto della Volksbank, istituto
bancario austriaco associato alla
Banca Popolare di Vicenza.
Arrivare a Bucarest da Verona
non è facile. Passando da una
città
relativamente
piccola
dell’Europa occidentale ad una
29
Storie di gente veneta nel mondo 2
metropoli di cinque milioni di
abitanti, con la pesante eredità
di un passato di regime, le
differenze si sentono eccome.
“Welcome to the jungle” mi
dice appena esco dall’aeroporto.
Il traffico della città come gli
spostamenti nel resto del paese,
che non ha che pochi chilometri
di autostrada, ti fanno subito
capire dove sei arrivato. Ma la
difficoltà maggiore, dice Neri,
rimane nella mentalità, nella mancanza di attitudine verso il mercato sempre
più competitivo. Mentre l’occidente sviluppava le tecniche e le individualità
commerciali, i rumeni dovevano solo obbedire. Questa è l’eredità più pesante,
la mancanza di attenzione per il cliente, dell’assunzione di responsabilità, dello
spirito di iniziativa, del gesto creativo. Questo è quello che si sente di portare e
di dover lasciare in Romania.
Quando i ragazzi rumeni parlano del desiderio di avere quello che abbiamo in
occidente, Neri spiega loro che tutto ciò che abbiamo è frutto di questo spirito
di iniziativa, dell’operosità e della creatività che, soprattutto in Veneto, hanno
portato ai risultati di cui oggi godiamo. La Romania non ha avuto la possibilità
di evolvere nel tempo, si è trovata da un giorno all’altro in un mondo nuovo; la
sfida quindi è ancora più difficile. In Romania ci sono professionalità che godono
di ottima preparazione, in primo luogo medici ed ingegneri. Il problema è che in
Romania guadagnano quattrocento euro al mese, con un costo della vita che si
avvicina al nostro. Ecco quindi l’emigrazione di massa dei cervelli migliori che,
in occidente, guadagnano dieci/quindici volte di più, spendendo poco di più. È
l’impianto socio-economico che deve ancora essere ristrutturato.
Questo è quello a cui Neri si augura possano contribuire gli investimenti stranieri,
in modo che guardando alle industrie e alle attitudini venete si riesca a portare
quel cambiamento di mentalità che gioverebbe tanto alle industrie straniere, ma
in primo luogo al popolo rumeno, per poter sfruttare al meglio le grandi risorse
del proprio paese.
30
Australia
EMIGRAZIONE VOLONTARIA
Un veneto a Sydney
Giuseppe Fin nasce a Noventa
Vicentina nel 1930, a sei anni si
trasferisce a Runzi Bagnolo di
Po, in provincia di Rovigo.
Nel 1948 fonda la sezione locale
dell’Azione Cattolica e nel 1950
viene eletto presidente della
sezione locale della Democrazia
Cristiana. In quegli anni caldi
accadevano molte cose, come
ad esempio di dover rischiare le
botte solo per far sapere a delle
anziane che avevano diritto alla pensione, e impegnarsi poi a fargliela avere.
Tutte le attività di cui si fa carico non esauriscono la sua irrequietezza, e a ventisei
anni decide di andare a trovare la sorella che si era trasferita in Australia col
marito otto anni prima. Nel 1956 non si va in Australia in ferie, solo per arrivarci
serve un mese di nave, ma il giovane Giuseppe non ha comunque intenzione
di trasferirvisi: “Vado là per un paio di anni, e poi torno”. Molti amici non
capiscono, la sua famiglia possiede una bella azienda agricola, a lui il lavoro
e le soddisfazioni non mancano, eppure vuole andarsene. Ricorda la cena di
addio quando gli amici gli regalarono una collanina d’oro e fecero di tutto per
farlo piangere, ma un ragazzo giovane di quasi due metri non può cedere, quindi
lascia piangere loro e attende di salire sulla nave, scegliere un luogo appartato e
finalmente si abbandona allo sfogo.
Dopo aver organizzato cori a tre voci, colonna sonora dei passeggeri nelle serate
passate a scrutare l’oceano, arriva a Sydney dove sulla banchina del porto lo
aspetta la sorella. In seguito, lei gli ricorderà che si trattò di uno dei momenti
più belli della sua vita.
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Storie di gente veneta nel mondo 2
A sei giorni dal suo arrivo inizia a lavorare presso un fornaio, dopo tre mesi
passa a lavorare per un importatore di prodotti alimentari italiani e, dopo aver
trovato un altro posto in cui poteva perfezionare meglio l’inglese, nel 1958 con il
cognato apre un negozio di frutta e verdura.
Lo stesso anno si sposa con Patricia, una ragazza australiana di origini irlandesi
che suonava l’organo nella parrocchia dei Cappuccini, nel cui coro lui cantava.
Ed è proprio nella parrocchia di Leichard che ha modo di dare risposta ai dettami
ricevuti dalla madre. Il giovane Giuseppe inizia l’attività con l’associazione
cattolica San Francesco, che dà assistenza a immigrati, ammalati e bisognosi. Tra
i primi successi che Fin ricorda di questa esperienza c’è la costruzione della “Sala
San Francesco”, in cui i giovani si incontravano due o tre volte la settimana per
ballare, un punto di riferimento per molti immigrati che arrivavano in Australia
senza nulla e che ha contribuito alla formazione di centinaia di famiglie.
Dopo alcuni anni da taxista, Giuseppe passa all’amministrazione di imprese
edili, per poi lavorare in proprio in questo campo, con ottimi risultati. Ma quello
che vi raccontiamo è un altro lato di mister Fin, è la sua volontà di aiutare. Mister
Fin non è mai uscito dall’Associazione San Francesco e per molti anni ne è stato
presidente. Sotto la sua direzione nel 1971 è nato un asilo, fondamentale per le
famiglie, considerato che in Australia già allora entrambi i genitori dovevano
lavorare e non sapevano dove lasciare i piccoli. E a proposito di piccoli, mister
Fin non si è certo limitato a guardare gli altri: con la moglie Patricia ha dato alla
luce otto figli che lo hanno fatto diventare nonno diciotto volte e, per ora, una
volta bisnonno.
Nel 1980 viene eletto presidente del Comitato scolastico del Co.As. It., il
Comitato di Assistenza agli Italiani, e ne rimane presidente fino al 1996. Sotto la
sua presidenza, si è passati da un doposcuola, creato per fortificare l’italiano nei
figli degli emigrati che raggiungeva quattromila ragazzi, all’insegnamento nelle
scuole pubbliche a quarantaseimila
ragazzi, fino al grande impegno
della creazione di una scuola
bilingue, un progetto pieno di
ostacoli che ha visto la luce solo
nel 2001, partito con soli sette
ragazzi e che ora invece diploma
centotrenta ragazzi all’anno. Ma
il vero successo di questa scuola
sta nel fatto che solo il 60% degli
alunni è di origine italiana, l’altro
32
Australia
40% è costituito da giovani che diffonderanno l'italianità tra altre culture. A
corredo di questo progetto è stato creato un centro multimediale che, attraverso
gli ultimi strumenti comunicativi, accontenta bambini, insegnanti e adulti, che
possono così conoscere la cultura italiana e in particolare quella veneta.
Sbocco naturale di questo percorso è la presidenza del Co. As. It. A, a cui mister
Fin viene eletto nel 1991. Come ricorda padre Attanasio, storica guida spirituale
della comunità italiana in Australia, quando nel 1998, l’allora presidente della
Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, in visita nel Paese, gli chiede chi tra i membri
della comunità meritasse un’onorificenza, senza indugio risponde: “Se c’è uno
che merita un’onorificenza per impegno e generosità, questo è mister Fin”.
È con grande stupore che Giuseppe Fin si sente chiamato sul palco, a bocca
aperta per quella medaglia di “Commendatore all’ordine al merito della
Repubblica Italiana”, il cui ricordo gli provoca ancora intense emozioni. Perfetto
coronamento di una carriera “volontaria” tanto quanto la sua emigrazione, che
non dipendeva da necessità economiche, ma da un grande spirito d’iniziativa e
di avventura. È quella volontarietà gratuita che ti porta a dire: “Ho fatto qualcosa
per gli altri!”.
33
Storie di gente veneta nel mondo 2
IT’S WEDNESDAY NIGHT
Ne valeva la pena!
Una famiglia veronese di Melbourne
Era ancora piccolo Renzo Zanella, quando rapito dalle immagini che vedeva sui
libri di scuola, sognava di poter vedere, un giorno, coi suoi occhi quel paese
distante e ricco di fascino: l’Australia.
Diplomatosi come idraulico specializzato inizia a lavorare per alcune ditte di
Verona, sua città natale. Ecco che, dopo il matrimonio con Ida e la nascita della
prima figlia, Gabriella, su “L’Arena”, giornale cittadino, vede la possibilità di
realizzare il suo sogno d’infanzia: un annuncio in cui si richiede la disponibilità
di operai specializzati pronti a trasferirsi in Australia.
Entusiasta annuncia subito a Ida la volontà di rispondere all’annuncio. Ida è
decisamente contraria, non ha intenzione di allontanarsi dai suoi cari, ma
l’entusiasmo e le insistenze di Renzo non lasciano molto respiro alla discussione,
e anche la mamma alla fine le dice di assecondare le scelte del marito.
34
Australia
Il giorno di Natale del 1968 Renzo, Ida e Gabriella si imbarcano. Il viaggio è
tutt'altro che piacevole: Gabriella non sta bene e Ida ricorda di aver passato
gran parte del tempo nell'infermeria della nave, con l’ansia per la salute della
sua piccola.
Finalmente
sbarcano
a
Melbourne, ma si rendono subito
conto che il sogno di Renzo è
molto più distante delle migliaia
di chilometri che separano Verona
dall’Australia. Come gli altri
passeggeri, vengono trasferiti
in un centro di raccolta per
immigrati e viene assegnata loro
una parte di baracca in lamiera,
sotto trentotto gradi centigradi
e il torrido sole australiano. Non
parlano una parola di inglese, nessuno si fa vivo, non hanno da mangiare e in
tasca hanno quaranta dollari australiani. Dopo tre giorni passati senza mangiare,
riescono a capire, grazie ad altri italiani, che in una parte remota del campo c’è
una mensa. Renzo riesce a trovare un litro di latte e due arance per moglie e
figlia. Ida non capisce nemmeno cosa le sta succedendo, si sente persa, svuotata.
Renzo è completamente abbattuto, depresso, il paradiso sognato sembra rivelarsi
un inferno. È seduto sotto il sole, con la testa tra le mani quando l’occhio cade
su un pezzo di giornale portato dal vento sotto quella panchina. Il suo futuro
sta su quel pezzo de “Il Globo”, testata locale in italiano per italiani: “Cercasi
idraulici” è la scritta che lo riempie di nuovo entusiasmo. Proprio li di fianco c'è
una cabina telefonica e Renzo vi si lancia dentro; per fortuna dall’altra parte del
cavo parlano italiano e Renzo ottiene il lavoro.
Il giorno dopo può concretamente iniziare a realizzare il sogno. L’autista
dell’autobus che lo riporta da Ida e Gabriella si offre di affittargli il proprio
bungalow, una baracca in lamiera che tutte le abitazioni australiane hanno nel
giardino, sul retro della casa. Renzo e Ida accettano quasi riconoscenti, non è
molto, ma è meglio che vivere nel centro di raccolta, è una casa per loro, e poi
quelle persone sembrano così gentili... Sembrano!
Dopo una settimana anche Ida trova un lavoro e la moglie dell’autista si offre di
tenerle la bambina. Quasi subito però si accorgono che qualcosa non va; quando
trovano la casa sottosopra, capiscono che la piccola Gabriella spesso non
veniva seguita, ma lasciata dentro il bungalow a temperature inimmaginabili.
35
Storie di gente veneta nel mondo 2
Protestano ma non vedono altre soluzioni. Quando però Renzo torna a casa e
si sente dire “Papà, signore botte” è chiaro che lì non è più possibile restare.
Renzo si rivolge da ogni parte per trovare un’altra casa in affitto, finché un
amico lo consiglia: “Perché pagare un affitto quando puoi comprarti una casa
tua?”. A Renzo non pare vero: una casa di proprietà a quei tempi in Italia era un
miraggio, ma l’amico gli illustra le procedure da seguire per ottenere il mutuo
dalla banca, e così, dopo soli quaranta giorni dall’arrivo in Australia, Renzo fa
entrare Ida nella loro prima casa.
Per tre anni Renzo lavora di giorno e studia la sera; studia inglese, studia per
poter ottenere le licenze idrauliche australiane. Appena ottenute apre la propria
ditta: “Arena Plumbing”, “Idraulica Arena” in italiano, in ricordo della sua
Verona.
Nel frattempo iniziano a pensare a un secondo figlio, ma decidono che questa
volta non verrà affidato a nessuno: “Pane e cipolla” dice Renzo a Edda “ma i
bambini li guardi te!”. Così Edda lascia il lavoro e arriva anche Christine, la
secondogenita. Non solo, per dedicare a tutti lo stesso spazio fanno un accordo,
un figlio ogni sei anni, solo quando l’ultimo nato andrà a scuola, Ida avrà il tempo
di dedicarsi completamente a quello che verrà. Così dopo altri sei anni arriva
Junior, Renzino, il
maschietto di famiglia.
Ora tutti e tre sono
sposati e hanno dato
nipoti a Renzo e Ida,
e,
raccontando
la
quotidianità delle loro
famiglie, in questo
video vediamo come i
valori di Renzo e Ida,
formatisi nella Verona
del dopoguerra, si sono
trasferiti in Australia e si diffondono attraverso le nuove generazioni. Lavoro,
valori cristiani e attaccamento alla famiglia, caratteristiche tipiche del Veneto,
contraddistinguono le nuove famiglie “Zanella” in una nazione multietnica nata
dall’incrocio di molte culture.
L’attaccamento alla famiglia trova la sua forma più significativa nel Wednesday
night, il mercoledì sera, giorno in cui, ogni settimana, tutti si riuniscono a casa
dei nonni. È il Wednesday Night che riempie la vita di Ida e Renzo e che permette
loro di guardarsi indietro e dire: “Ne valeva la pena!”.
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Inghilterra
CIBO PER LA MENTE
Una vicentina a Londra
La curiosità, l’interesse verso gli altri, la vivacità
sono caratteristiche che Maria Carcia Carta ha
sempre avuto. Questa sua irrequietezza la porta
a mal sopportare la vita in collegio di Vicenza e a
cercare presto l’autonomia. Ecco allora che entra
ancora giovane a lavorare come segretaria in uno
studio legale. L’attività di penalista del titolare lo
porta spesso al tribunale di Venezia, lasciando
così a Maria il tempo di appagare la propria sete
di sapere. È in quello studio che Maria si avvicina
a Freud, Jung ed altri studiosi di psicologia: la
libreria dell’avvocato le chiarisce definitivamente
quale sarà la sua strada.
Non potendosi permettere gli studi universitari,
cerca di indirizzarsi verso l’opzione infermieristica,
ma anche in questo caso la formazione necessaria
rimane fuori dalla sua portata. Leggendo un giornale trova la soluzione: in
Inghilterra cercano giovani disposti a lavorare e studiare contemporaneamente,
offrendo vitto, alloggio e studi in cambio del lavoro. Maria non ci pensa un
attimo e con un’amica fa le valige e parte per Londra.
Ad alcuni mesi dall’arrivo però la situazione non decolla. Maria non ha paura di
lavare i pavimenti delle corsie dell’ospedale, nemmeno di dover attendere fino a
settanta pazienti da sola; l’obbiettivo però non le sfugge e siccome la formazione
non parte, non ha paura di battere i pugni anche a migliaia di chilometri da casa.
Si rivolge a sindacati e polizia pretendendo di essere trasferita in un luogo in cui
poter realizzare ciò per cui era venuta in Inghilterra. Nonostante la normativa
inglese non permettesse agli immigrati di poter cambiare i contratti per i primi
quattro anni di residenza nel Paese, riesce a far valere i propri diritti e a far
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Storie di gente veneta nel mondo 2
rispettare il patto “lavoro in cambio di studi”. Viene trasferita e il suo sogno
inizia a diventare realtà. Questa tenacia trova presto riscontro. Dopo il percorso
formativo inizia il lavoro effettivo come part-time notturno; presto viene
promossa a caposala, quindi passa al lavoro diurno e a dirigere l’intera sezione
dell’ospedale di Caybury, nei pressi di Londra. “Ricordo che Maria girava sempre
con un foglio e una penna in mano” dice una superiore, “ascoltava e annotava
sempre tutto, con qualsiasi persona parlasse, dottori, pazienti o infermieri;
penso che questo fosse il modo in cui raccoglieva informazioni che poi usava
rendendo molto efficace la sua comunicazione”.
La curiosità, la voglia di imparare e di risolvere i problemi degli altri non si
perdono nel tempo. Ecco quindi che, quando, negli anni Ottanta si diffondono i
nuovi sistemi di approccio e di cura delle patologie psichiatriche, Maria si trova
in prima linea. Come altre, anche la legislazione inglese si aggiorna e Maria
viene incaricata di studiare, organizzare e diffondere le nuove metodologie.
Vengono riconosciute le esigenze individuali del paziente e ne consegue una
personalizzazione delle cure, che prima erano standardizzate a seconda della
patologia. Bisogna costruire percorsi individuali da caso a caso, vengono istituite
comunità esterne all’ospedale e si inizia a riorganizzare un reinserimento dei
pazienti nella società. Per Maria inizia una nuova fase di “lotta”. Le persone sono
spesso contrarie ai cambiamenti e Maria deve insistere molto per portare lo staff
medico ai corsi di aggiornamento: “I più difficili da convincere” ci dice, “erano
i medici. Tanto che una volta andai persino a seguire i corsi di filosofia che uno
di loro teneva. Vedendomi appassionata, perché già l’avevo studiata, iniziammo
un dialogo interessante. Quando capii di aver ottenuto la fiducia del professore
gli dissi: senti, io vengo alle tue lezioni, perché non provi a venire ad assistere a
quelle che organizzo io? Alla fine cedette e riuscii a convincerlo”.
Così la sua carriera procede fino a che arriva il momento della pensione. Lasciato
il camicie, una come lei non può stare con le mani in mano. Ecco che oltre a
diverse attività di volontariato sempre in ambito psichiatrico, entra a collaborare
con Royal College of Nurse, l’istituto di assistenza agli infermieri che l’aveva
aiutata al suo arrivo in Inghilterra. Anche qui si distingue, e per non perderla le
offrono una posizione conveniente che la terrà occupata ancora qualche anno.
Infine accetta la pensione e di godersi la vita, tra ritorni nel suo amato Veneto, e
balli alla Casa d’Italia, presso la locale parrocchia dei padri scalabriniani.
Nel 2004 torna in Veneto dietro a un invito impossibile da rifiutare: la Camera
di Commercio la sceglie per onorarla del premio alla carriera per i vicentini che
si sono distinti nel lavoro all’estero. Come dar torto a questa scelta?
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INDICE
Introduzione
pag.
5
“Mèrica Mèrica Mèrica, cossa saràla ‘sta Mèrica?”
La fuga dal Veneto di fine Ottocento
pag.
6
L’emigrazione di ieri e quella di oggi
Linee guida per l’utilizzo didattico dei video
pag.
9
Nuova emigrazione
Last but not least - Un padovano a New York
pag. 11
Self-made man
Semplicemente veneto - Un padovano a Los Angeles
pag. 13
Globalizzati dal 1886
Gelatieri veneti a Vienna
pag. 16
Generazioni in progresso
Dalla Val Zoldana a Mannheim
pag. 19
Noialtri qua a Chipilo
pag. 22
L’emigrazione dei veneti di Segusino nella Piana di Puebla, Messico
I veneti nella colonia Manuel Gonzáles
Zentla, Messico
pag. 25
Vivere con la paura
I veneti a Caracas, Venezuela
pag. 27
Nuovi mercati, nuovi immigrati
Un veronese a Bucarest
pag. 29
Emigrazione volontaria
Un veneto a Sydney
pag. 31
It’s Wednesday night
Ne valeva la pena! - Una famiglia veronese di Melbourne
pag. 34
Cibo per la mente
Una vicentina a Londra
pag. 37
Luci nel Mondo
Direttore
Giuseppe Pizzoli
Responsabile
Paolo Annechini
In redazione
Paolo Annechini
Andrea Sperotti
Ha collaborato
Francesca Mauli
Sede
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37121 Verona
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Autorizzazione del Tribunale di Verona
n° 1525 del 11/01/2003