2Storie di gente veneta nel mondo
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2Storie di gente veneta nel mondo
Luci nel Mondo onlus 2 Storie di gente veneta nel mondo Con il contributo della Regione Veneto Pubbl. cartacea e su supporti magnetici in tempo reale, edita dall’Associazione “Luci nel mondo onlus”- via Duomo 18/A 37121 Verona - Poste italiane s.p.a.- Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 com 2 DBC Verona LUCI NEL MONDO Anno 6 - N. 3 - Settembre 2010 In copertina: emigranti veneti in Germania, anni Sessanta del Novecento 2 Storie di gente veneta nel mondo È un progetto di Luci nel Mondo onlus Con il contributo della Regione Veneto Assessorato alle Politiche dei Flussi Migratori INTRODUZIONE Storie di Gente Veneta 2 è il proseguo del progetto che, con il contributo della Regione Veneto, vuole raccontare vite e vissuti di veneti o comunità venete nel mondo. In questa seconda parte del progetto vengono raccontate 11 storie di veneti o di comunità venete che risiedono nei diversi paesi del mondo non già visitati e raccontati nella prima parte del progetto (paesi già visitati nella prima parte del progetto sono: Sudafrica, Brasile, Argentina, Svizzera, Belgio, Canada). Raccontare i loro vissuti, le loro fatiche, la loro nostalgia, i loro ricordi, le loro speranze. Raccontare i loro successi, i loro fallimenti. Raccontare la loro famiglia, i loro figli, perché sono partiti… Raccontare questi veneti vuol dire anche un po’ raccontare i paesi dove oggi risiedono, con i problemi, le speranze. Raccontare questi veneti vuol dire raccontare i valori di una terra (il Veneto) da loro esportati in tutto il mondo. L’obiettivo è anche quello di descrivere i flussi migratori che li hanno visti protagonisti: perché sono partiti?, che Italia, che Veneto era?, cosa hanno fatto quando sono arrivati?, come sono stati accolti?, che ricordo hanno e che rapporto hanno ancor oggi con il Veneto? Domande che, come possiamo vedere negli 11 video, aprono interessanti scenari di dibattito. Se la prima parte del progetto ha raccontato soprattutto i veneti partiti nel dopoguerra o figli dei veneti partiti con la prima generazione di immigrazione (fine 1800), questo secondo progetto parla anche di un Veneto che recentemente è andato a cercar possibilità in altre parti del mondo. È la nuova migrazione, meno drammatica, più selettiva, ma altrettanto interessante, di un Veneto che si connota come popolo di migranti in cerca sempre di nuove possibilità. Il progetto racconta 11 storie di gente veneta raccolte attraverso 8 viaggi nei seguenti paesi: Australia, Germania, Romania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Austria, Messico, Venezuela. Il progetto è destinato alle scuole medie e superiori del Veneto, all’associazionismo, alle parrocchie, a chi si occupa di fenomeni migratori. Luci nel Mondo 5 Storie di gente veneta nel mondo 2 “Mèrica Mèrica Mèrica, cossa saràla ‘sta Mèrica?” La fuga dal Veneto di fine Ottocento In origine il fenomeno migratorio veneto nella seconda metà del secolo XIX fu di carattere temporaneo o stagionale, diretto in particolare verso la Germania, l'Austria e l'Ungheria, dalle zone montane verso i grandi cantieri di costruzione del centro Europa o per la stagione agricola nella campagne. Verso la fine dell'Ottocento il Veneto sprofondò in una profonda crisi economica che diede l'inizio alla “grande emigrazione”, che si sarebbe protratta sin dopo la seconda guerra mondiale. Con la nascita di nuove rotte transoceaniche iniziò l'emigrazione verso il 6 Dati statistici cosiddetto “Nuovo Mondo”.Il Veneto fu probabilmente la ragione che subì più danni, tra le regioni del Nord, dall'unificazione italiana: prima del 1859 il Regno Lombardo-Veneto era il più ricco stato italico, ma l'unificazione del Veneto con l’Italia nel 1866 portò ad un depauperamento delle risorse della regione obbligando i veneti a migrare verso stati più ricchi, tanto che nel periodo tra il 1876 ed il 1900 è stata la regione col tasso più alto di migranti. Il Veneto vanta il maggior numero di migranti dal 1876 al 1976: furono quasi 4 milioni i veneti che “fuggirono” dalla povertà sviluppatasi in conseguenza delle azioni politiche della seconda metà dell’Ottocento. Le offerte di lavoro dal Nuovo Mondo non mancavano. Nel 1888 la Lei Aurea promulgata dalla principessa Isabel in Brasile aveva abolito la schiavitù e di fatto si registrava una forte richiesta di braccianti nelle fazendas e di contadini per mettere a coltura le terre boschive del sud. Il governo brasiliano (almeno sulla carta) incentivava questo fenomeno, mediante facilitazioni nella distribuzione delle terre e nell’inserimento degli immigrati. La stessa cosa succedeva in Argentina e in Messico. Ad alimentare il "sogno americano" contribuivano poi i racconti riportati dagli agenti delle compagnie di navigazione, le lettere di parenti o amici già sul posto, i passaparola nelle osterie: racconti che narravano di luoghi favolosi, terre fertili, guadagni enormi nella pampa argentina o nella serra gaucha brasiliana. L’America, l’Argentina, il Messico, il Brasile erano pensati dai contadini veneti come nuovi bengodi, dove “si legano gli animali con le salsicce”. E molti, in effetti concretizzarono i loro sogni, raggiungendoli. L’esodo ebbe il suo apice tra il 1888 e il 1891: in questi anni se ne andò dal Veneto il 15% della popolazione, con punte del 30% in Polesine e nelle province di Venezia, Verona e Vicenza. I numeri dell’immigrazione italiana in Brasile sono impressionanti: nel 1872 giunsero 1354 coloni, l’anno successivo altri 1607, nel 1911 perfino 7790 e quasi 10.000 nel 1913. In tutta Italia, tra il 1861 e il 1985, 7 Storie di gente veneta nel mondo 2 il fenomeno migratorio ha interessato quasi 30 milioni di partenze. Nell'arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all'ammontare della popolazione al momento dell'Unità d'Italia (25 milioni nel primo censimento italiano) si trasferì in quasi tutti gli stati del mondo occidentale e in parte del Nord Africa. Tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47% dell'intera cifra migratoria: il Veneto (17,9%), il FriuliVenezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (12,5%). Cifre esorbitanti, che – in Brasile - misero in seria difficoltà l’organizzazione prevista dallo Stato che aveva sì promosso questo fenomeno, ma che non si aspettava una risposta di questo genere. La comunità italiana in Brasile conta oggi tra i 23 e i 25 milioni di persone, il 13% della popolazione totale. In Argentina tocca i 20 milioni, cifra che rappresenta il 50% della popolazione totale, in Uruguay il 40% della popolazione. La volontà di preservare le proprie origini e l’identità di italiani emigrati si traduce nel proliferare di associazioni che mantengono la lingua, gli usi, i costumi degli emigranti. Ci sono scuole italiane, circoli italiani, radio in italiano sparse in tutto il Sudamerica. A Caracas si stampa il quotidiano in italiano “La voce d’Italia”. I nomi di alcune prefetture del Brasile meridionale, come Nova Schio, Nova Bassano, Nova Brescia, Nova Treviso, Nova Veneza, Nova Padova e Monteberico, denotano chiaramente l'origine veneta dei loro abitanti e il legame che ancora vogliono avere con la loro storia. Un fenomeno particolare caratterizza questi ultimi anni: persone di origine veneta provenienti dal Brasile, Argentina, Venezuela e altri paesi sono rimpatriate in Italia, favorite da una legislazione regionale in merito. Gli emigranti italiani hanno alleviato la nostra pressione demografica, hanno reso un servizio storico all’Italia. Le loro rimesse hanno aiutato molto l’Italia nel dopoguerra, e oggi sono sfegatati sostenitori del “made in Italy” attraverso l’acquisto di prodotti italiani e la promozione dell’immagine italiana nei loro paesi. 8 Strumenti didattici L’EMIGRAZIONE DI IERI E QUELLA DI OGGI Linee guida per l’utilizzo didattico dei video Analizzare l’emigrazione di ieri può essere un utile strumento per comprendere quella attuale, da e verso l’Italia. Di seguito, alcuni suggerimenti per favorire l’analisi e la riflessione sulle tematiche proposte dai video di “Storie di gente veneta nel mondo 2”. Cosa ha spinto questi veneti a emigrare? Analisi della situazione economica, sociale e culturale dell’Italia all’epoca delle migrazioni dei protagonisti dei video. Qual è la “terra promessa” a cui aspirano questi emigranti? Analisi della situazione economica, sociale e culturale delle terre che li hanno accolti. Quali prospettive offrivano sulla carta? Sono state effettivamente soddisfatte o questi emigranti hanno dovuto “lottare” per trovare un proprio spazio all’interno della loro “terra promessa”? Il ruolo dell’emigrato veneto nella nuova patria Come si pongono i protagonisti dei video nei confronti dello Stato ospitante? Come costruiscono i propri spazi d’azione nella nuova patria? Quali caratteristiche tipicamente venete, tipicamente italiane, “esportano” assieme alla manodopera? Il rapporto con la madrepatria Come si presenta il legame con la terra che, pur avendo dato loro i natali, non è riuscita a dare loro motivi sufficienti per restare? I protagonisti dei video sono partiti con l’idea di restare per sempre nella nuova patria o di ritornare, prima o poi, a casa? Quanti sono effettivamente rientrati? A distanza di quante generazioni questi migranti continuano a tenere vive le tradizioni italiane, la lingua italiana? 9 Storie di gente veneta nel mondo 2 Il caso particolare dei gelatieri di Vienna Pur avendo trovato nella nuova patria il prestigio economico e sociale, i membri della famiglia Molin Pradel continuano, da generazioni, a contrarre matrimonio con italiani e a far trascorrere ai figli l’anno scolastico in Italia, che seguono quindi i genitori a Vienna prettamente nei mesi estivi. Un amore per la madrepatria certamente non obbligato da alcuna regola, ma davvero molto sentito da questa famiglia, e che richiede indubbiamente sacrifici. Ma tutto questo sforzo di mantenere la propria italianità non è anacronistico in un’epoca globalizzata come la nostra? E un atteggiamento simile, negli immigrati in Italia, verrebbe ben visto o mal tollerato dai concittadini italiani? L’emigrazione di oggi e quella del futuro Quanti sono e quali sono oggi gli italiani che migrano all’estero? Quali motivi li spingono ad allontanarsi da casa? Verso quali Stati si indirizzano in modo particolare? Quali professionalità propongono alla nuova patria, quali qualità “made in Italy” esportano e quanto restano effettivamente legati alla madrepatria? Il fenomeno dei circoli italiani all’estero Quanti sono e di cosa si occupano? Vi partecipano per lo più migranti di prima generazione o anche figli e nipoti dei vecchi migranti? Quanto è forte, quindi, l’influenza della propria madrepatria anche a distanza di generazioni? La migrazione verso l’Italia Quali caratteristiche ha, da quali paesi provengono le persone che cercano un nuovo futuro per sé e per i propri figli in Italia? Che cosa li ha spinti a partire? Che cosa deve fare un cittadino straniero (europeo o extraeuropeo) per diventare cittadino italiano? Qual è la legge in materia di immigrazione? Confronto con le attuali leggi in materia di immigrazione degli Stati che hanno accolto i protagonisti dei video. 10 Stati Uniti d’America NUOVA EMIGRAZIONE Last but not least Un padovano a New York Volendo inserire in questo lavoro anche gli immigrati dell’ultima ora, quelli che ai giorni nostri partono dal Veneto per affrontare il proprio futuro in altre realtà, abbiamo scelto la città che da anni rappresenta l’innovazione: New York. Francesco Belcaro nasce a Padova da un costruttore edile e dalla nota stilista Rosy Garbo, ma appena deve decidere dove affrontare gli studi universitari sceglie la Spagna, nello specifico Madrid. Quando si presenta la possibilità di affrontare un periodo di interscambio culturale, con un compagno di studi opta per New York. E in questo momento che sboccia l’amore per questa città. Raggiunta la laurea lavora per qualche anno in Sudamerica nel campo della moda, sia come modello che organizzando eventi e sfilate, ma siccome il primo amore non si scorda mai, non appena si presenta la possibilità si trasferisce a New York, dove è responsabile dell'area est degli Stati Uniti per un’importante ditta di moda italiana che produce bottoni, cerniere e accessori metallici. Qui parte il suo sogno americano. Forte dell’esperienza accumulata in Sudamerica, con un altro Francesco, Francesco Mo, inizia ad organizzare feste in piccoli loft per creare networking, ossia riunire persone allo scopo di allargare il portafoglio clienti. Nasce il “Made in Italy NYC”, le cose funzionano bene, tanto che altre persone conosciute sul posto gli propongono di capitalizzare la rete creata nel campo dell’edilizia. A questo punto entra in gioco quanto appreso dal lavoro del padre. Si unisce a una società ben strutturata in cui un socio si occupa di individuare la location, l’altro si occupa della costruzione o della ristrutturazione dello stabile e Francesco Belcaro della vendita. Il target principale è rappresentato da investitori stranieri, in prevalenza italiani, ma anche spagnoli, francesi ed 11 Storie di gente veneta nel mondo 2 europei in generale, e l’offerta spazia da appartamenti a hotel e ristoranti. Al cliente viene offerto un pacchetto chiavi in mano, l’investitore viene assistito da professionisti che parlano la sua lingua, rendendo agevole un investimento che di per sé è già allettante, visto che i prezzi alla vendita negli Stati Uniti si sono notevolmente ridotti negli ultimi anni. Non solo, la burocrazia statunitense, dice Belcaro, è molto snella e da un lato facilita i costruttori che sono molto veloci a realizzare palazzi imponenti, dall’altro semplifica le attività degli investitori rispetto a quanto si possa realizzare in Europa. Nel frattempo Made in Italy NYC continua a crescere, e ora gli eventi organizzati sono passati dai piccoli loft ai più importanti simboli della grande mela: il Plaza, storico hotel di lusso che si affaccia su Central Park, il Pink Elefant, il 75 Wall, dove siamo stati per raccontare questa storia, ma soprattutto il Made in Italy NYC non cerca più di creare eventi, viene cercato per farlo. A lui si sono affidati personaggi del calibro di Sean Connery e Donald Trump, molti personaggi di spicco che devono organizzare un evento a New York pretendono che siano i due Francesco a farlo. Gli americani amano molto la creatività italiana, il nostro modo di divertirci e di socializzare, e poterlo fare contando sulla laboriosità e sull’efficienza veneta è un’opportunità alla quale sempre più “Very Important Person” non vogliono rinunciare. Le caratteristiche venete diventano vincenti anche a New York. Per mettere a disposizione queste peculiarità, insieme ad Alvise Casellati che la presiede, Francesco Belcaro ha creato la Venetian Community New York. Questa comunità vuole creare un ponte tra il Veneto e New York, facilitare i veneti che per qualsiasi ragione si trovano a dover operare nella Grande Mela, città che può lasciare il nuovo arrivato un po’ spaesato, e contemporaneamente promuovere la nostra regione. Se Venezia non ha bisogno di molte presentazioni, la Venetian Community New York vuole invogliare i newyorkesi a venire a conoscere anche le altre ricchezze che la nostra regione propone. E così che al Columbus Day, giorno in cui New York ricorda Cristoforo Colombo, tra le migliaia di bandiere italiane che affollano le vie della città, gli americani hanno visto sfilare un grande leone di S. Marco, diversi carri allegorici che arrivavano da tutte le città del Veneto e le televisioni statunitensi hanno potuto intervistare Giulietta Capuleti.I valori veneti rimangono comunque il miglior biglietto da visita che la regione possa portare a New York. “Quando arrivi a New York...” dice Belcaro, “è forse l'unica città dove non ti senti uno straniero, ma qualsiasi cultura, anche la più chiusa si deve amalgamare, si deve mescolare, deve convivere sotto una, tra virgolette, legge: ci vuole rispetto, e noi ce l’abbiamo!”. 12 Stati Uniti d’America SELF-MADE MAN Semplicemente Veneto Un padovano a Los Angeles Fabio Peraro nasce a Bagnoli di Sopra (in provincia di Padova) nel 1938, nel ‘54 si trasferisce con la famiglia in centro città, dove gli zii hanno una trattoria in Prato della Valle. I rudimenti del mestiere Fabio li acquisisce tra la trattoria e la scuola alberghiera, fino a che, nel 1957, gli viene proposto di andare a lavorare in un albergo di St. Moritz, in Svizzera. Lui accetta sfidando le autorità svizzere, molto attente a rilasciare permessi di lavoro. A St. Moritz inizia la sua vera gavetta; parte facendo il lavapiatti per poter imparare, oltre alle ricette, anche un uso spigliato della lingua, perché a quel tempo si cucinava davanti al cliente e non bastava essere dei bravi cuochi per lavorare in alberghi e ristoranti. Fabio Peraro dimostra di saper imparare velocemente e bene, questo lo porta a lavorare presto in sala, dove un cliente gli offre un lavoro a Londra. Nella capitale inglese cambia più posti di lavoro, sino ad arrivare in un ristorante italiano frequentato da personaggi del jet set internazionale. La sua abilità di cuoco e la professionalità nel porsi di fronte alla clientela convincono il padrone del Beverly Hills Hotel a offrirgli un posto di lavoro a Los Angeles. Fabio accetta e si trasferisce in California. Il Beverly Hills Hotel era tappa obbligata per tutte le star internazionali del cinema e Mr. Peraro si trova a cucinare per Sofia Loren, Carlo Ponti, De Laurentis, Frank Sinatra, Elizabeth Taylor, Richard Burton e così via. Il suo 13 Storie di gente veneta nel mondo 2 lavoro è particolarmente apprezzato tanto che molte di queste personalità lo chiamano a lavorare nelle loro ville in occasione di feste e ricevimenti. Inconsapevole del valore che portava con sé, Fabio Peraro si dice stupito di questo interesse, dicendoci con molta semplicità: “Io cucinavo alla veneta.” Nel frattempo i rapporti con la direzione dell'hotel si deteriorano e Peraro decide di dimettersi. Come nuova occupazione decide di aprire una ditta per l’importazione di prodotti alimentari dall'Italia. Nel 1976, negli Stati Uniti esplode la moda dei prodotti dietetici e Peraro scopre che il gelato italiano ha una percentuale di grassi molto inferiore a quelli locali. Con alcuni soci apre una gelateria e introduce la Pernigotti negli Stati Uniti. Le cose partono bene, tanto che in due anni si trovano ad avere quaranta dipendenti. Quando iniziano a dar fastidio alle grandi compagnie, nascono i primi problemi. Nel 1983 la dogana blocca per un anno l’importazione di tutti i prodotti dolciari italiani. Parecchie società soffrono molto, ma l’abilità e la conoscenza del territorio di Mr. Peraro permettono alla sua ditta, grazie ad una legge del Presidente Reagan, di essere esentata dal blocco. Anche dal punto di vista commerciale la carriera di Fabio Peraro dà le sue soddisfazioni. Il primo mandato ricevuto dalla Pernigotti copriva la California. Poi, visti i risultati e paragonandoli con gli altri venditori, gli viene assegnata tutta l’area occidentale degli Stati Uniti. La scelta risulta azzeccata e gli viene affidato l’intero mercato statunitense, con costante crescita del fatturato. Nel 1989 cambia la direzione della Pernigotti e i rapporti non sono più lineari come quelli intrattenuti con la precedente amministrazione. Così si vede ridimensionato il mandato alle posizioni iniziali, cioè alla California. Inizia allora ad importare prodotti anche di altre ditte e di accessori per la gelateria, come contenitori e cucchiaini; come dice lui: “Vendi per far schei!”, ovvero soldi! A giudicare dalla villa che si è comprato su una collina ad un’ora da Los Angeles, pare ci sia riuscito. Un paradiso in stile messicano sapientemente arredato grazie al contributo della moglie Rosa. Una bella signora di origini messicane appunto, conosciuta alla chiesa italiana di St. Peter. Insieme alla villa ci sono dieci ettari di terreno, in cui Fabio può soddisfare la 14 Stati Uniti d’America voglia di coltivare portata dalle campagne padovane. Ortaggi, frutta e fagioli borlotti, insieme a molti animali, fanno da cornice alle arcate bianche della villa sui pendii della collina. L'origine veneta di Mr. Peraro non rimane però nel recinto del suo orto. “Tra messicani, siciliani e calabresi il nostro Veneto sta scomparendo” dice; ecco perché insieme ad altri membri della Fameja Veneta di Los Angeles, e sotto la presidenza di Maria Varlotta, si riunisce per poter parlare in dialetto, ma soprattutto per trasmettere l’orgoglio veneto alle nuove generazioni. Lo fanno in primo luogo attraverso l’attribuzione di borse di studio a giovani, figli di emigrati veneti, che si siano distinti attraverso un elaborato sulle proprie origini. Ma anche con altri incontri della Fameja Veneta presso il centro degli Scalabriniani, ed uno che, annualmente, proprio Fabio Peraro organizza mettendo a disposizione la propria casa. Insomma una vita piena, vivace, ma che non è mai uscita dalla semplicità delle origini, proprio come la sua relazione con Rosa, compagna e collega di lavoro, che bilancia la vivacità di Fabio con un carattere molto riflessivo ma non meno entusiasta. In questo video vi raccontiamo la storia di un veneto che, nella patria dello star system, tra luci e riflettori, non si fa abbagliare dal miraggio del successo, ma realizza passo dopo passo il suo sogno americano sfruttando i valori di origine: lavoro, lavoro, lavoro... e semplicità. 15 Storie di gente veneta nel mondo 2 GLOBALIZZATI DAL 1886 Gelatieri veneti a Vienna Come quella che raccontiamo per gli emigrati veneti in Germania, anche questa storia parte dalla Val Zoldana, ma, anziché fermarsi secondo un progetto in Germania, arriva solo per caso a Vienna. Si, perché, intorno al 1880, gli antenati di Silvio Molin Pradel andarono in Transilvania a lavorare come tagliaboschi per una ditta che, nel 1886, fallì. I soldi raccolti non erano molti e finirono durante il viaggio di ritorno, costringendo la carovana a fermarsi nella capitale austriaca. Dopo aver trovato alcuni lavori saltuari grazie a conoscenti friulani, riuscirono a raccogliere i soldi per il rientro a Zoldo. La permanenza viennese svelò nuove opportunità di lavoro, quindi, sempre nel 1886, decisero di tornare a Vienna per iniziare un'attività di produzione del gelato. Si partì da zero, le prime gelaterie erano dei carrettini, poi si passò a piccoli laboratori affittati stagionalmente. I primi emigranti erano solo gli uomini; donne, vecchi e bambini dovevano rimanere a Zoldo ad occuparsi dei prati e degli animali. Per i gelatieri la stagione iniziava, come si ricorda tuttora, il 19 marzo, San Giuseppe, patrono dei lavoratori. Si rientrava poi per la festa del paese, a metà agosto, per diversi motivi. Prima di tutto le materie prime finivano, fragole e limoni erano disponibili solo d'estate. Nello stesso tempo c’erano lavori, quelli più duri, che non potevano essere portati avanti da donne, vecchi e bambini. Ad esempio, allora ci si scaldava col fuoco, e fare legna per l’inverno era un lavoro da uomini. A partire dal periodo della Prima Guerra Mondiale, le mogli iniziarono a seguire i mariti, un passo che, al contrario di quanto potrebbe sembrare in un 16 Austria primo momento, portava più sofferenze che sollievo. Infatti i figli dovevano rimanere a casa, e considerando l’epoca, priva dei moderni mezzi di comunicazione, il distacco era molto traumatico: durava sette mesi e poteva essere alleviato solo da una saltuaria corrispondenza epistolare. I figli più fortunati stavano con i nonni, mentre i meno fortunati vivevano in collegio. Nel 1930 il nonno, omonimo di Silvio, subentrò al bisnonno Arcangelo; era un periodo fortunato e le gelaterie conobbero un notevole successo. Successo interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale Vienna venne bombardata, e come altri edifici, anche quello che ospitava la gelateria dei Molin Pradel subì gravissimi danni. Un veneto, si sa, non si fa scoraggiare, e piano piano, dai ruderi del palazzo, al piano terra ripartì l’attività. Negli anni Sessanta fu il turno del padre di Silvio, e anche per lui il periodo fu fortunato. In quegli anni i giovani iniziavano ad uscire, ma non erano molti i luoghi di ritrovo, soprattutto quelli permessi alle ragazze dai genitori. Ecco che le gelaterie rappresentarono il giusto compromesso tra le aspirazioni dei figli e le regole imposte da padri e madri, a tutto vantaggio dei gelatieri italiani. Il passaggio del tempo non muta però le abitudini e, anche nel secondo dopoguerra, quasi tutti i gelatieri veneti mantenevano un'emigrazione stagionale. Si fermava solo chi sposava ragazze austriache, ma molti figli, come Silvio, continuavano a crescere in Veneto, lontani dai genitori. Di conseguenza, cultura e affinità li portavano a cercar moglie in patria. Così capitò a Silvio che, a Zoldo, conobbe e poi sposò Deborah Fontanella, figlia di gelatieri emigrati in Germania. Ora sono loro due a gestire la gelateria, hanno più di quaranta dipendenti e, oltre alla vendita al dettaglio, forniscono diverse 17 Storie di gente veneta nel mondo 2 catene. Silvio da dieci anni presiede l’Associazione dei Gelatieri Italiani in Austria, e, da poco, è stato inoltre eletto, primo italiano, presidente dell’associazione che riunisce tutti i gelatieri austriaci. Come dice Silvio, il legame con la valle è viscerale, motivo per cui tutte le generazioni hanno continuato a tornare e motivo per cui anche i due figli di Silvio e Deborah seguono lo stesso percorso. Entrambi frequentano quindi i mesi scolastici invernali a Zoldo e quelli estivi a Vienna, sin dalla scuola materna. In questo modo raggiungeranno, col tempo, la piena padronanza delle due lingue, italiano e tedesco, e avranno la libertà, in età di scelte professionali, di poter optare per la realizzazione in uno o nell’altro paese. Il più grande, in età scolare, frequenta già la scuola a Zoldo e così sarà per il più piccolo. Questo perché, pur non volendo negare le opportunità a disposizione, vogliono che i loro figli si sentano sempre profondamente italiani. Frequentando le scuole a Vienna questa italianità andrebbe persa. Questo comporta certamente un dolore. “Il distacco” confessa Deborah, “fa male. Anche se le possibilità di vedersi e comunicare sono molto superiori a quelle che avevamo noi da piccoli, comunque fa male”. E allora, tutto ciò non appare anacronistico in un’epoca in cui tutti parlano di globalizzazione, di mondializzazione? Perché ostinarsi a mantenere legami che comportano questi sacrifici? “Globalizzazione?” - chiede Silvio - “ma noi siamo sempre stati globalizzati, cosa significa globalizzazione... non saprei”. 18 Germania GENERAZIONI IN PROGRESSO Dalla Val Zoldana a Mannheim La storia di Dario Fontanella inizia molto prima di venire al mondo a Mannheim nel 1952. Inizia nel 1906, quando il nonno Michelangelo fonda a Conegliano Veneto la sua prima pasticceria. Michelangelo Fontanella si accorge presto del calo di clienti durante il periodo estivo, e si adopera presto per riempire questo vuoto specializzandosi nella produzione del gelato. Il papà di Dario non è meno ambizioso del nonno; mentre lavora studia e a diciotto anni, nel 1931, decide di andare a trovare lo zio che si era trasferito ad Hannover. Qui alterna lo studio del tedesco con il lavoro dallo zio. Dopo solo due mesi dal suo arrivo, vista l’intraprendenza del giovane, lo zio gli propone di aprire una nuova gelateria. Le cose vanno subito bene, ma il ragazzo è troppo giovane per fermarsi. Dopo aver letto che a Mannheim iniziava la Germania più simile alla sua terra d’origine - le foto gli mostravano una terra di vigneti, che riportava subito alla mente le campagne venete -, che lì non c’erano gelaterie e, cosa fondamentale, che Mannheim era la patria delle donne più belle della Germania, non indugia, prende il treno e parte. Arriva a Mannheim nella primavera del 1933 e la città, col suo stile lineare, gli piace subito. Apre il primo negozio facendosi aiutare da esperti chiamati dallo zoldano e dal coneglianese. Visti gli ottimi risultati, decide di allargarsi aprendo negozi a Wiesbaden, a Karlsruhe e a Stoccarda. Le cose procedono bene fino al 1943, quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si allea con gli anglo-americani e la gioventù hitleriana inizia un boicottaggio di tutti 19 Storie di gente veneta nel mondo 2 gli esercenti di origine italiana. Il declino è inevitabile, ma Mannheim, città di commerci e poco incline alle ingerenze politiche, resiste bene. Nel frattempo, nel 1941, conosce la futura madre di Dario, consacrando così la città a nuova patria della famiglia Fontanella. Da Mannheim i Fontanella non si sono più mossi, lì hanno instaurato nuove relazioni e nuove amicizie, lì si sono integrati stabilmente nel tessuto cittadino, senza però rinunciare a periodiche visite a Conegliano e alla Val di Zoldo, che rimane la patria dei nonni. Per sua stessa ammissione, l’ammirazione che Dario ha per il padre è smisurata. Ricorda le sue doti sportive: praticava lo sci a livello agonistico, si arrampicava sulle montagne di Zoldo, faceva gare in salita con le automobili, fu il primo ad andare da Mannheim a Conegliano in bicicletta e lo fece in soli quattro giorni; una personalità mai doma e sempre pronta alla competizione. Un padre che ha dato molto e preteso molto da Dario e che ha lasciato molto in lui. In primo luogo ha voluto lasciare l’amore verso il lavoro e l’apertura all’innovazione. Da questa prima lezione ricevuta da Dario è nato il “Laboratorio aperto”, ossia lo spazio in cui Dario Fontanella invita i clienti ad andare a vedere come nasce il suo gelato. Tutto avviene alla luce del sole, si può mangiare una coppa alla frutta e contemporaneamente seguire attraverso il vetro tutte le fasi della produzione, perché, come ricorda Dario Fontanella, “I piccoli cuochi custodiscono segreti, i grandi cuochi scrivono libri”. L’apertura all’innovazione si manifesta anche nel concetto secondo cui ciò che oggi distingue un gelato artigianale da uno industriale non è la presenza o meno di moderne tecnologie, quanto l’utilizzo di elementi naturali e semplici anziché di prodotti sofisticati. Ecco che al di là del vetro vediamo frutta fresca, frutta secca, cacao e vaniglia che, sotto l’occhio vigile di un tecnico specializzato, passano attraverso pastorizzatori, gelatiere, abbattitori di temperatura e potenti frigoriferi, trasformandosi in 20 Germania un prodotto sempre più buono e genuino. Accanto al nucleo produttivo costituito dal laboratorio, l'attività di Dario Fontanella si sviluppa nella vendita al dettaglio, che avviene attraverso quella che definisce la madre delle sue gelaterie, aperta tutto l’anno nel centro pedonale della città, e altri due punti vendita stagionali sempre nel centro di Mannheim. Inoltre, i suoi prodotti vengono richiesti da ogni parte della Germania in occasione di eventi particolari Sempre nell’ottica imprenditoriale trasmessagli dal padre, Dario Fontanella non manca di farsi parte attiva nelle manifestazioni che l'UNITEIS, l'Unione dei Gelatieri Italiani in Germania, organizza per la promozione del gelato artigianale. Ne abbiamo seguita una, proprio a Mannheim, vedendo come veniva prodotto il gelato dai nonni, verificando l’interesse che suscitano queste manifestazione nei media tedeschi e constatando come i gelatieri veneti facciano la parte del leone in questo fiorente mercato. In questo lavoro abbiamo poi messo in parallelo il progresso generazionale di una famiglia di gelatieri veneti con il moderno processo produttivo del gelato artigianale, rilevando così come lo spirito di iniziativa, la tenacia, l’amore per il lavoro e lo sguardo verso il futuro abbiano contraddistinto l’emigrazione veneta in Germania. Una storia nata nel 1906 a Conegliano ed ancora in pieno sviluppo, che si concentra nella frase che accoglie gli avventori del Laboratorio aperto: “Wir produzieren mit Herz”, “Noi produciamo col cuore”. 21 Storie di gente veneta nel mondo 2 NOIALTRI QUA A CHIPILO L’emigrazione dei veneti di Segusino nella Piana di Puebla, Messico Il 23 settembre 1882 sessantotto famiglie trevigiane di Segusino e dintorni sbarcarono a Veracruz, in Messico, con il vascello Atlantico e, dopo giorni di cammino, arrivarono a Chipilo, nella piana alle spalle di Puebla, scrivendo una nuova pagina dell’ emigrazione italiana: quella dei “Chipilegni”. La storia popolare racconta che quando questi giganti bianchi dai capelli chiari e gli occhi azzurri avanzavano tutti insieme nella piana, accompagnati dalle autorità messicane, tutti si fermarono a guardare cosa stava succedendo. Il governo messicano che si stava consolidando aveva bisogno di gente esperta per mettere in produzione le terre. Dall’altra parte del mondo, nel nord Italia, gente senza possibilità ma con tecnica e operosità aveva bisogno di spazi da lavorare. Questa fu la molla che convinse i veneti, gente fortemente legata alla propria terra, a lasciarla e ad affrontare il mare. I veneti che arrivarono non portarono solo le loro braccia, ma trasportarono il modello Segusino dall’altra parte dell’oceano. Portarono una cultura, una lingua, una operosità, una religione, delle tradizioni. In un contesto totalmente diverso si creò una enclave veneta in territorio messicano, che sta ancora 22 Messico resistendo, nonostante oggi molte cose siano cambiate. Il chipilegno parla il dialetto di Segusino di fine ‘800, e lo insegna ai figli dei figli come lingua madre, di coesione, di riconoscimento. Che poi quella lingua non sia - ovviamente - nemmeno più parlata a Segusino, poco importa. L’importante è conservare una identità, un’origine, l’idea scolpita di un viaggio che ha segnato indelebilmente questo gruppo di agricoltori trevigiani, i quali avevano in realtà ben altre aspirazioni che emigrare verso mondi lontani. Non avevano in testa i sogni di Marco Polo, nemmeno gli ideali di fratellanza universale, i contadini di Segusino alla fine dell’800. Avrebbero voluto rimanere a Segusino a fare quello che sempre avevano fatto. Ma il Veneto di fine Ottocento non era quello che diventerà. Si pativa la fame e nessuno intravvedeva futuro. L’emigrazione fu una scelta obbligata, come capita per tutti i popoli del mondo che si mettono in viaggio. Nessuno sceglie di lasciare suo padre e la sua terra se non è costretto a farlo. Fu così anche per Segusino. La destinazione? Un fortuito innesco di coincidenze. Poteva essere Brasile, Argentina, Stati Uniti. Fu Messico perché a quel tempo i procacciatori delle grandi compagnie di navigazione battevano il Trentino e il Veneto vendendo passaggi per Veracruz. Si dovevano adempiere gli impegni presi con il governo messicano che richiedeva navi cariche di braccia forti per lavorare una terra che nessuno voleva affrontare, e di uomini dediti solo al lavoro, non interessati alle insurrezioni autonomistiche che tanto preoccupavano. La storia racconta che le cose andarono anche diversamente, come sempre succede. Obiettivo degli armatori era quello di riempire la nave, promettendo “una terra dove si legano gli animali con la salsiccia”. Cosa avrebbero trovato poi, quelli di Segusino sbarcati in Messico, a loro non interessava molto. I chipilegni oggi raccontano che i loro nonni, i giganti saliti sulla piana di Puebla accompagnati dalle autorità messicane, avevano gli occhi rigati dalle lacrime e tanta tristezza. Com’era diversa la realtà: non c’erano animali, tantomeno salsicce con le quali legarli. La dura realtà era questa, e segnava il punto di non ritorno. Si rimboccarono le maniche per costruirsi un futuro 23 Storie di gente veneta nel mondo 2 su tradizioni e valori veneti, in territorio messicano. La piana di Puebla era già abitata da un meticciato dove l’elemento indigeno era predominante. I giganti di Segusino arrivarono silenziosi e iniziarono a dissodare il terreno affidato, costruendo le loro case, le loro fattorie, la loro chiesa. Cominciarono a produrre, a raccogliere, a trasformare. La gente del luogo rimase per un po’ stupita da tanta forza e organizzazione. Ma soprattutto rimase indifferente verso questo mondo di valori straniero, lontano. I “cici” – così vengono chiamati gli abitanti originari del luogo dagli emigranti di Segusino - iniziarono a lavorare per loro come salariati agricoltori o allevatori. Ma tra i due non c’è mai stato amore, contiguità. I chipilegni vivevano tra loro, si sposavano tra loro, andavano a messa nella loro chiesa. Altrettanto facevano i “cici”. “Per fare quello che faccio io ogni giorno ci servono 5 cici”. Sono parole di Bernardo Stefanoni Berra, agricoltore, figlio di Salvatore. Sono parole che delineano un mondo che ha caratterizzato un secolo. Oggi la grande Puebla, abitata da “cici”, è alle porte di Chipilo e il mondo delineato da Bernardo è sempre più ristretto. 24 Messico I VENETI NELLA COLONIA MANUEL GONZÁLES Zentla, Messico Il 19 ottobre 1881 a bordo del vapore Atlantico, reclutati dalla compagnia Rovatti di Livorno, 428 emigranti italiani arrivarono al porto di Veracruz, nel Golfo del Messico. Erano 88 famiglie dirette alla colonia Manuel Gonzales come stabilito dal governo messicano. Furono accolte con grandi onori dalle autorità messicane e accompagnate in treno fino a Orizaba. Da lì, a piedi, uomini, donne e bambini salirono i crinali delle montagne del Pico fino al distretto di Huatuzco per raggiungere la colonia Manuel Gonzales a Zentla, 900 metri di altezza. I giorni passavano e il sogno di una terra ricca e dorata lasciava il passo alla più dura realtà. Tra il 1881 e il 1882 7 navi provenienti dall’Italia portarono a Veracruz emigranti italiani. Molte famiglie destinate alla colonia Manuel Gonzales erano venete, di Treviso e Belluno. Quando videro le pendenze della montagna e le condizioni di vita della popolazione, molti volevano far marcia indietro. Ma riattraversare l’oceano era troppo costoso. Già avevano venduto tutto nel Veneto per comprare il biglietto di sola andata per la famiglia intera. Ritornare voleva dire fallire due volte: agli occhi di chi ti aveva visto partire con l’idea della fortuna a portata di mano, indebitarsi di nuovo per ritornare laddove si aveva già fallito. Non pochi di quelli arrivati alla colonia Manuel Gonzales cambiarono destinazione: nord America e Brasile soprattutto. Gli altri si fermarono e iniziarono a lavorare questa terra scoscesa, tra valli ripide dove “era difficile anche camminare”. La capacità di resistenza che un popolo sa tirar fuori nelle situazioni decisive ha dell’incredibile. Così fu per i veneti alla colonia Manuel Gonzales. Si organizzarono, costruirono le prime case di legno, poi, piano piano, di muratura. Poi costruirono la scuola. I primi anni 25 Storie di gente veneta nel mondo 2 furono drammatici: scarsa alimentazione, nuove malattie prima sconosciute portarono a numerose perdite soprattutto tra uomini e bambini, con problemi di coesione sociale non indifferenti. Silvia Cesa racconta che sua nonna letteralmente impazzì di fronte a condizioni di vita molto peggiori del Veneto che aveva lasciato. Aveva perso il marito e non aveva nulla da dar da mangiare ai suoi figli piccoli. Fu salvata dalla solidarietà comunitaria che sempre scatta nella povertà, ma le conseguenze segnarono la sua vita. I veneti a Zentla, nella colonia Manuel Gonzales, organizzarono il territorio, piantarono caffè facendo diventare Zentla una delle zone rinomate per la produzione del caffè miscela arabica. Non solo: portarono in quota la canna da zucchero con produzione intensiva, per produrre quello che oggi è un pilastro dell’industria dolciaria: il “piloncillo”, usato come dolcificante. Modificarono l’amministrazione del territorio con le prime forme di catasto terreni e aree demaniali, con la costruzione di strade, di sistemi di irrigazione. Quello che era un inferno ad alta quota iniziava a diventare, grazie all’iniezione di gente di Lentiai, di Mel, di altre parti del bellunese e del trevigiano, una terra ricercata, da trasformare. Il caffè pregiato della Colonia Manuel Gonzales iniziò a conquistare il mercato non solo messicano. Gli agricoltori veneti producevano, e producendo creavano ricchezza. Da qui alle prime cooperative di credito il passo fu breve. Riprodussero a Zentla il sistema organizzativo che avevano lasciato nel Veneto o in Trentino e i benefici iniziarono a farsi sentire in tutta la regione circostante. I veneti e i trentini che arrivarono a Zentla dimenticarono ben presto la lingua e assunsero lo spagnolo parlato in Messico. Si inculturarono notevolmente e ben presto nelle abitudini, negli usi e costumi locali. Ricordavano la loro origine, ma i legami col nuovo mondo avevano superato la nostalgia del passato. Il Veneto si dimenticò di loro, fino a quando circa 15 anni fa l’amministrazione comunale della colonia Manuel Gonzales intraprese un viaggio nel Veneto per riscoprire le origini di molti loro abitanti. Rifiorì un legame, si riscoprì l’amicizia tra due terre lontane ma unite dal destino di molte persone. Seguirono scambi, viaggi, e la dedicazione all’emigrazione veneta e trentina della piazza principale di Colonia Manuel Gonzales, dove campeggia il Leone di San Marco a sancire un passato che accomuna. 26 Venezuela VIVERE CON LA PAURA I veneti a Caracas, Venezuela Sono pochi i veneti che oggi vivono a Caracas (Venezuela) che hanno voluto farsi riprendere nei luoghi di vita o di attività per questo nostro progetto “Storie di gente veneta nel mondo”. Alcuni hanno voluto rilasciare solo interviste. Altri, nemmeno quelle. L’insicurezza, la paura di assalti e rapimenti oggi a Caracas, bellissima capitale di questo stato latinoamericano, vince sulla voglia di raccontare questa grande pagina di emigrazione veneta. Arrivi a Caracas e il primo consiglio è di non arrivarci di notte. Se ci arrivi, aspetta in aeroporto il sorgere del sole. Poi prendi un taxi rigorosamente di quelli ufficiali, memorizzati la targa e le caratteristiche del conducente. Nessun taxista ti porterà mai in certe zone di Caracas, solo dall’autopista al centro della città. Non chiedere di più. Sono indicazioni tipiche di un paese in guerra che fanno impressione per un paese come il Venezuela. Che la situazione non sia felice lo si capisce appunto dalla quantità di “no, grazie” che abbiamo ricevuto alle richieste di intervista. “Lo farei volentieri, a microfoni spenti le racconto tutto quello che vuole”. Ma a microfoni accesi, nessuno ci mette la faccia. Perché? Perché oggi l’industria più fiorente a Caracas (come in altre città del paese) è l’industria dei sequestri. Sequestri lampo, dove stranieri, emigranti, gente che si pensa possa aver soldi viene trattenuta per due-tre giorni, in attesa che i familiari paghino il riscatto. Chi non paga viene ucciso, tranne casi eccezionali dove il malcapitato riesce a far comprendere ai rapitori la cantonata presa. Ma sono casi rari. La violenza è diventata padrona di Caracas. Maria Corridori, ricordando la fiorentissima attività di oreficeria del 27 Storie di gente veneta nel mondo 2 marito, ci racconta che hanno dovuto chiudere dopo l’ennesimo assalto e sequestro di tutto il personale della fabbrica. Cosa insostenibile per il suo povero marito, che ora non c’è più. E le figlie sono tutte all’estero: Stati Uniti, Spagna, dove ancora si può passeggiare con il cane per strada senza il pericolo di essere inseguiti e rapiti. “Vedere questi emigranti benestanti, che godono il frutto di una vita di lavoro e sacrifici, vivere in belle casette sempre più soli perché i figli sono mandati all’estero, fa tristezza”. Sono parole di p. Giuseppe Cogo, scalabriniano, che di emigrazione se ne intende, avendo vissuto per 40 anni a New York accogliendo chi arrivava dal resto del mondo. Non è diverso quanto ci racconta Oriana Lion Castellaz, figlia di Giuseppe Lion, grande costruttore edile che dagli anni ’60 agli anni ’90 ha fatto fortuna a Caracas. Ci dice Oriana che la sua vita si svolge tra casa, lavoro e Club Italia. Non ci sono altre possibilità. “Quando arrivi nelle vicinanze di casa, devi guardare negli specchietti retrovisori se sei seguito, se ci sono movimenti strani. Se è tutto a posto, puoi entrare, altrimenti rifai il giro dell’isolato. La stessa cosa quando arrivi in ufficio: entri direttamente con l’auto nel garage del grattacielo dove lavori, dove c’è la sicurezza 24 ore su 24”. Lo svago per gli emigranti si chiama Circolo Italia, dove tra campi da tennis, piscine, ristoranti, pizzerie, centri commerciali c’è un’isola felice e sicura in questa Caracas da brividi. “L’unica attività che faccio oltre al lavoro”, ci racconta Virginio Perotto, da 50 anni in Venezuela, “è cantare nel coro Giuseppe Verdi, promosso dal Circolo Italia. Ma è sempre più pericoloso uscire di casa con la macchina alla sera e percorrere Caracas”. Alessandro Olivieri è il giovane figlio del vicentino Guido che col suo “ristorante da Guido” dà da mangiare ai manager della classe medio-alta del centro di Caracas. Guido è rientrato in Italia, Alessandro e le sorelle portano avanti la gestione del ristorante. Alessandro ci dice senza mezzi termini che non ci starebbe mai in un posto come Caracas se non avesse da portare avanti un ristorante con un nome storico alle spalle e un giro d’affari ancora interessante. “Noi qui siamo sopportati, il contesto è cambiato, gli stranieri sono visti come persone che rubano alla nazione”. E tutto viene di conseguenza. Una domanda da non fare ai veneti che vivono a Caracas è chiedere cosa pensano di Hugo Chavez. 28 Romania NUOVI MERCATI, NUOVI IMMIGRATI Un veronese a Bucarest Sono passati più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, la Romania è da tempo meta di imprenditori del Nord-est italiano per la delocalizzazione della produzione. I forti investimenti che la delocalizzazione porta con sé hanno bisogno di un’assistenza adeguata ai nostri standard imprenditoriali. Il buco nero creato dalla dittatura comunista, in particolare dai vent’anni della guida di Ceausescu, non è stato ancora colmato. Ecco quindi che non sono solo gli imprenditori a spostarsi, ma anche figure come quella di Christian Neri che, per conto della Banca Popolare di Vicenza, ha seguito in Romania questo processo di industrializzazione che coinvolge da vicino la regione Veneto. Dopo un percorso formativo che, passando per la Germania, si è concretizzato in provincia di Verona, Neri ha accettato la sfida lanciatagli dal proprio gruppo dirigente e da cinque anni vive in Romania. Trasferitosi nel 2005 a Timisoara, prima terra di conquista per le nostre imprese, ha poi seguito lo sviluppo imprenditoriale veneto che, attecchendo bene in terra straniera, si è allargato fino a comprendere la capitale. Oggi Neri vive a Bucarest e oltre a seguire gli imprenditori veneti, l’esperienza sul terreno lo ha portato a dirigere l’area Corporate per conto della Volksbank, istituto bancario austriaco associato alla Banca Popolare di Vicenza. Arrivare a Bucarest da Verona non è facile. Passando da una città relativamente piccola dell’Europa occidentale ad una 29 Storie di gente veneta nel mondo 2 metropoli di cinque milioni di abitanti, con la pesante eredità di un passato di regime, le differenze si sentono eccome. “Welcome to the jungle” mi dice appena esco dall’aeroporto. Il traffico della città come gli spostamenti nel resto del paese, che non ha che pochi chilometri di autostrada, ti fanno subito capire dove sei arrivato. Ma la difficoltà maggiore, dice Neri, rimane nella mentalità, nella mancanza di attitudine verso il mercato sempre più competitivo. Mentre l’occidente sviluppava le tecniche e le individualità commerciali, i rumeni dovevano solo obbedire. Questa è l’eredità più pesante, la mancanza di attenzione per il cliente, dell’assunzione di responsabilità, dello spirito di iniziativa, del gesto creativo. Questo è quello che si sente di portare e di dover lasciare in Romania. Quando i ragazzi rumeni parlano del desiderio di avere quello che abbiamo in occidente, Neri spiega loro che tutto ciò che abbiamo è frutto di questo spirito di iniziativa, dell’operosità e della creatività che, soprattutto in Veneto, hanno portato ai risultati di cui oggi godiamo. La Romania non ha avuto la possibilità di evolvere nel tempo, si è trovata da un giorno all’altro in un mondo nuovo; la sfida quindi è ancora più difficile. In Romania ci sono professionalità che godono di ottima preparazione, in primo luogo medici ed ingegneri. Il problema è che in Romania guadagnano quattrocento euro al mese, con un costo della vita che si avvicina al nostro. Ecco quindi l’emigrazione di massa dei cervelli migliori che, in occidente, guadagnano dieci/quindici volte di più, spendendo poco di più. È l’impianto socio-economico che deve ancora essere ristrutturato. Questo è quello a cui Neri si augura possano contribuire gli investimenti stranieri, in modo che guardando alle industrie e alle attitudini venete si riesca a portare quel cambiamento di mentalità che gioverebbe tanto alle industrie straniere, ma in primo luogo al popolo rumeno, per poter sfruttare al meglio le grandi risorse del proprio paese. 30 Australia EMIGRAZIONE VOLONTARIA Un veneto a Sydney Giuseppe Fin nasce a Noventa Vicentina nel 1930, a sei anni si trasferisce a Runzi Bagnolo di Po, in provincia di Rovigo. Nel 1948 fonda la sezione locale dell’Azione Cattolica e nel 1950 viene eletto presidente della sezione locale della Democrazia Cristiana. In quegli anni caldi accadevano molte cose, come ad esempio di dover rischiare le botte solo per far sapere a delle anziane che avevano diritto alla pensione, e impegnarsi poi a fargliela avere. Tutte le attività di cui si fa carico non esauriscono la sua irrequietezza, e a ventisei anni decide di andare a trovare la sorella che si era trasferita in Australia col marito otto anni prima. Nel 1956 non si va in Australia in ferie, solo per arrivarci serve un mese di nave, ma il giovane Giuseppe non ha comunque intenzione di trasferirvisi: “Vado là per un paio di anni, e poi torno”. Molti amici non capiscono, la sua famiglia possiede una bella azienda agricola, a lui il lavoro e le soddisfazioni non mancano, eppure vuole andarsene. Ricorda la cena di addio quando gli amici gli regalarono una collanina d’oro e fecero di tutto per farlo piangere, ma un ragazzo giovane di quasi due metri non può cedere, quindi lascia piangere loro e attende di salire sulla nave, scegliere un luogo appartato e finalmente si abbandona allo sfogo. Dopo aver organizzato cori a tre voci, colonna sonora dei passeggeri nelle serate passate a scrutare l’oceano, arriva a Sydney dove sulla banchina del porto lo aspetta la sorella. In seguito, lei gli ricorderà che si trattò di uno dei momenti più belli della sua vita. 31 Storie di gente veneta nel mondo 2 A sei giorni dal suo arrivo inizia a lavorare presso un fornaio, dopo tre mesi passa a lavorare per un importatore di prodotti alimentari italiani e, dopo aver trovato un altro posto in cui poteva perfezionare meglio l’inglese, nel 1958 con il cognato apre un negozio di frutta e verdura. Lo stesso anno si sposa con Patricia, una ragazza australiana di origini irlandesi che suonava l’organo nella parrocchia dei Cappuccini, nel cui coro lui cantava. Ed è proprio nella parrocchia di Leichard che ha modo di dare risposta ai dettami ricevuti dalla madre. Il giovane Giuseppe inizia l’attività con l’associazione cattolica San Francesco, che dà assistenza a immigrati, ammalati e bisognosi. Tra i primi successi che Fin ricorda di questa esperienza c’è la costruzione della “Sala San Francesco”, in cui i giovani si incontravano due o tre volte la settimana per ballare, un punto di riferimento per molti immigrati che arrivavano in Australia senza nulla e che ha contribuito alla formazione di centinaia di famiglie. Dopo alcuni anni da taxista, Giuseppe passa all’amministrazione di imprese edili, per poi lavorare in proprio in questo campo, con ottimi risultati. Ma quello che vi raccontiamo è un altro lato di mister Fin, è la sua volontà di aiutare. Mister Fin non è mai uscito dall’Associazione San Francesco e per molti anni ne è stato presidente. Sotto la sua direzione nel 1971 è nato un asilo, fondamentale per le famiglie, considerato che in Australia già allora entrambi i genitori dovevano lavorare e non sapevano dove lasciare i piccoli. E a proposito di piccoli, mister Fin non si è certo limitato a guardare gli altri: con la moglie Patricia ha dato alla luce otto figli che lo hanno fatto diventare nonno diciotto volte e, per ora, una volta bisnonno. Nel 1980 viene eletto presidente del Comitato scolastico del Co.As. It., il Comitato di Assistenza agli Italiani, e ne rimane presidente fino al 1996. Sotto la sua presidenza, si è passati da un doposcuola, creato per fortificare l’italiano nei figli degli emigrati che raggiungeva quattromila ragazzi, all’insegnamento nelle scuole pubbliche a quarantaseimila ragazzi, fino al grande impegno della creazione di una scuola bilingue, un progetto pieno di ostacoli che ha visto la luce solo nel 2001, partito con soli sette ragazzi e che ora invece diploma centotrenta ragazzi all’anno. Ma il vero successo di questa scuola sta nel fatto che solo il 60% degli alunni è di origine italiana, l’altro 32 Australia 40% è costituito da giovani che diffonderanno l'italianità tra altre culture. A corredo di questo progetto è stato creato un centro multimediale che, attraverso gli ultimi strumenti comunicativi, accontenta bambini, insegnanti e adulti, che possono così conoscere la cultura italiana e in particolare quella veneta. Sbocco naturale di questo percorso è la presidenza del Co. As. It. A, a cui mister Fin viene eletto nel 1991. Come ricorda padre Attanasio, storica guida spirituale della comunità italiana in Australia, quando nel 1998, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, in visita nel Paese, gli chiede chi tra i membri della comunità meritasse un’onorificenza, senza indugio risponde: “Se c’è uno che merita un’onorificenza per impegno e generosità, questo è mister Fin”. È con grande stupore che Giuseppe Fin si sente chiamato sul palco, a bocca aperta per quella medaglia di “Commendatore all’ordine al merito della Repubblica Italiana”, il cui ricordo gli provoca ancora intense emozioni. Perfetto coronamento di una carriera “volontaria” tanto quanto la sua emigrazione, che non dipendeva da necessità economiche, ma da un grande spirito d’iniziativa e di avventura. È quella volontarietà gratuita che ti porta a dire: “Ho fatto qualcosa per gli altri!”. 33 Storie di gente veneta nel mondo 2 IT’S WEDNESDAY NIGHT Ne valeva la pena! Una famiglia veronese di Melbourne Era ancora piccolo Renzo Zanella, quando rapito dalle immagini che vedeva sui libri di scuola, sognava di poter vedere, un giorno, coi suoi occhi quel paese distante e ricco di fascino: l’Australia. Diplomatosi come idraulico specializzato inizia a lavorare per alcune ditte di Verona, sua città natale. Ecco che, dopo il matrimonio con Ida e la nascita della prima figlia, Gabriella, su “L’Arena”, giornale cittadino, vede la possibilità di realizzare il suo sogno d’infanzia: un annuncio in cui si richiede la disponibilità di operai specializzati pronti a trasferirsi in Australia. Entusiasta annuncia subito a Ida la volontà di rispondere all’annuncio. Ida è decisamente contraria, non ha intenzione di allontanarsi dai suoi cari, ma l’entusiasmo e le insistenze di Renzo non lasciano molto respiro alla discussione, e anche la mamma alla fine le dice di assecondare le scelte del marito. 34 Australia Il giorno di Natale del 1968 Renzo, Ida e Gabriella si imbarcano. Il viaggio è tutt'altro che piacevole: Gabriella non sta bene e Ida ricorda di aver passato gran parte del tempo nell'infermeria della nave, con l’ansia per la salute della sua piccola. Finalmente sbarcano a Melbourne, ma si rendono subito conto che il sogno di Renzo è molto più distante delle migliaia di chilometri che separano Verona dall’Australia. Come gli altri passeggeri, vengono trasferiti in un centro di raccolta per immigrati e viene assegnata loro una parte di baracca in lamiera, sotto trentotto gradi centigradi e il torrido sole australiano. Non parlano una parola di inglese, nessuno si fa vivo, non hanno da mangiare e in tasca hanno quaranta dollari australiani. Dopo tre giorni passati senza mangiare, riescono a capire, grazie ad altri italiani, che in una parte remota del campo c’è una mensa. Renzo riesce a trovare un litro di latte e due arance per moglie e figlia. Ida non capisce nemmeno cosa le sta succedendo, si sente persa, svuotata. Renzo è completamente abbattuto, depresso, il paradiso sognato sembra rivelarsi un inferno. È seduto sotto il sole, con la testa tra le mani quando l’occhio cade su un pezzo di giornale portato dal vento sotto quella panchina. Il suo futuro sta su quel pezzo de “Il Globo”, testata locale in italiano per italiani: “Cercasi idraulici” è la scritta che lo riempie di nuovo entusiasmo. Proprio li di fianco c'è una cabina telefonica e Renzo vi si lancia dentro; per fortuna dall’altra parte del cavo parlano italiano e Renzo ottiene il lavoro. Il giorno dopo può concretamente iniziare a realizzare il sogno. L’autista dell’autobus che lo riporta da Ida e Gabriella si offre di affittargli il proprio bungalow, una baracca in lamiera che tutte le abitazioni australiane hanno nel giardino, sul retro della casa. Renzo e Ida accettano quasi riconoscenti, non è molto, ma è meglio che vivere nel centro di raccolta, è una casa per loro, e poi quelle persone sembrano così gentili... Sembrano! Dopo una settimana anche Ida trova un lavoro e la moglie dell’autista si offre di tenerle la bambina. Quasi subito però si accorgono che qualcosa non va; quando trovano la casa sottosopra, capiscono che la piccola Gabriella spesso non veniva seguita, ma lasciata dentro il bungalow a temperature inimmaginabili. 35 Storie di gente veneta nel mondo 2 Protestano ma non vedono altre soluzioni. Quando però Renzo torna a casa e si sente dire “Papà, signore botte” è chiaro che lì non è più possibile restare. Renzo si rivolge da ogni parte per trovare un’altra casa in affitto, finché un amico lo consiglia: “Perché pagare un affitto quando puoi comprarti una casa tua?”. A Renzo non pare vero: una casa di proprietà a quei tempi in Italia era un miraggio, ma l’amico gli illustra le procedure da seguire per ottenere il mutuo dalla banca, e così, dopo soli quaranta giorni dall’arrivo in Australia, Renzo fa entrare Ida nella loro prima casa. Per tre anni Renzo lavora di giorno e studia la sera; studia inglese, studia per poter ottenere le licenze idrauliche australiane. Appena ottenute apre la propria ditta: “Arena Plumbing”, “Idraulica Arena” in italiano, in ricordo della sua Verona. Nel frattempo iniziano a pensare a un secondo figlio, ma decidono che questa volta non verrà affidato a nessuno: “Pane e cipolla” dice Renzo a Edda “ma i bambini li guardi te!”. Così Edda lascia il lavoro e arriva anche Christine, la secondogenita. Non solo, per dedicare a tutti lo stesso spazio fanno un accordo, un figlio ogni sei anni, solo quando l’ultimo nato andrà a scuola, Ida avrà il tempo di dedicarsi completamente a quello che verrà. Così dopo altri sei anni arriva Junior, Renzino, il maschietto di famiglia. Ora tutti e tre sono sposati e hanno dato nipoti a Renzo e Ida, e, raccontando la quotidianità delle loro famiglie, in questo video vediamo come i valori di Renzo e Ida, formatisi nella Verona del dopoguerra, si sono trasferiti in Australia e si diffondono attraverso le nuove generazioni. Lavoro, valori cristiani e attaccamento alla famiglia, caratteristiche tipiche del Veneto, contraddistinguono le nuove famiglie “Zanella” in una nazione multietnica nata dall’incrocio di molte culture. L’attaccamento alla famiglia trova la sua forma più significativa nel Wednesday night, il mercoledì sera, giorno in cui, ogni settimana, tutti si riuniscono a casa dei nonni. È il Wednesday Night che riempie la vita di Ida e Renzo e che permette loro di guardarsi indietro e dire: “Ne valeva la pena!”. 36 Inghilterra CIBO PER LA MENTE Una vicentina a Londra La curiosità, l’interesse verso gli altri, la vivacità sono caratteristiche che Maria Carcia Carta ha sempre avuto. Questa sua irrequietezza la porta a mal sopportare la vita in collegio di Vicenza e a cercare presto l’autonomia. Ecco allora che entra ancora giovane a lavorare come segretaria in uno studio legale. L’attività di penalista del titolare lo porta spesso al tribunale di Venezia, lasciando così a Maria il tempo di appagare la propria sete di sapere. È in quello studio che Maria si avvicina a Freud, Jung ed altri studiosi di psicologia: la libreria dell’avvocato le chiarisce definitivamente quale sarà la sua strada. Non potendosi permettere gli studi universitari, cerca di indirizzarsi verso l’opzione infermieristica, ma anche in questo caso la formazione necessaria rimane fuori dalla sua portata. Leggendo un giornale trova la soluzione: in Inghilterra cercano giovani disposti a lavorare e studiare contemporaneamente, offrendo vitto, alloggio e studi in cambio del lavoro. Maria non ci pensa un attimo e con un’amica fa le valige e parte per Londra. Ad alcuni mesi dall’arrivo però la situazione non decolla. Maria non ha paura di lavare i pavimenti delle corsie dell’ospedale, nemmeno di dover attendere fino a settanta pazienti da sola; l’obbiettivo però non le sfugge e siccome la formazione non parte, non ha paura di battere i pugni anche a migliaia di chilometri da casa. Si rivolge a sindacati e polizia pretendendo di essere trasferita in un luogo in cui poter realizzare ciò per cui era venuta in Inghilterra. Nonostante la normativa inglese non permettesse agli immigrati di poter cambiare i contratti per i primi quattro anni di residenza nel Paese, riesce a far valere i propri diritti e a far 37 Storie di gente veneta nel mondo 2 rispettare il patto “lavoro in cambio di studi”. Viene trasferita e il suo sogno inizia a diventare realtà. Questa tenacia trova presto riscontro. Dopo il percorso formativo inizia il lavoro effettivo come part-time notturno; presto viene promossa a caposala, quindi passa al lavoro diurno e a dirigere l’intera sezione dell’ospedale di Caybury, nei pressi di Londra. “Ricordo che Maria girava sempre con un foglio e una penna in mano” dice una superiore, “ascoltava e annotava sempre tutto, con qualsiasi persona parlasse, dottori, pazienti o infermieri; penso che questo fosse il modo in cui raccoglieva informazioni che poi usava rendendo molto efficace la sua comunicazione”. La curiosità, la voglia di imparare e di risolvere i problemi degli altri non si perdono nel tempo. Ecco quindi che, quando, negli anni Ottanta si diffondono i nuovi sistemi di approccio e di cura delle patologie psichiatriche, Maria si trova in prima linea. Come altre, anche la legislazione inglese si aggiorna e Maria viene incaricata di studiare, organizzare e diffondere le nuove metodologie. Vengono riconosciute le esigenze individuali del paziente e ne consegue una personalizzazione delle cure, che prima erano standardizzate a seconda della patologia. Bisogna costruire percorsi individuali da caso a caso, vengono istituite comunità esterne all’ospedale e si inizia a riorganizzare un reinserimento dei pazienti nella società. Per Maria inizia una nuova fase di “lotta”. Le persone sono spesso contrarie ai cambiamenti e Maria deve insistere molto per portare lo staff medico ai corsi di aggiornamento: “I più difficili da convincere” ci dice, “erano i medici. Tanto che una volta andai persino a seguire i corsi di filosofia che uno di loro teneva. Vedendomi appassionata, perché già l’avevo studiata, iniziammo un dialogo interessante. Quando capii di aver ottenuto la fiducia del professore gli dissi: senti, io vengo alle tue lezioni, perché non provi a venire ad assistere a quelle che organizzo io? Alla fine cedette e riuscii a convincerlo”. Così la sua carriera procede fino a che arriva il momento della pensione. Lasciato il camicie, una come lei non può stare con le mani in mano. Ecco che oltre a diverse attività di volontariato sempre in ambito psichiatrico, entra a collaborare con Royal College of Nurse, l’istituto di assistenza agli infermieri che l’aveva aiutata al suo arrivo in Inghilterra. Anche qui si distingue, e per non perderla le offrono una posizione conveniente che la terrà occupata ancora qualche anno. Infine accetta la pensione e di godersi la vita, tra ritorni nel suo amato Veneto, e balli alla Casa d’Italia, presso la locale parrocchia dei padri scalabriniani. Nel 2004 torna in Veneto dietro a un invito impossibile da rifiutare: la Camera di Commercio la sceglie per onorarla del premio alla carriera per i vicentini che si sono distinti nel lavoro all’estero. Come dar torto a questa scelta? 38 INDICE Introduzione pag. 5 “Mèrica Mèrica Mèrica, cossa saràla ‘sta Mèrica?” La fuga dal Veneto di fine Ottocento pag. 6 L’emigrazione di ieri e quella di oggi Linee guida per l’utilizzo didattico dei video pag. 9 Nuova emigrazione Last but not least - Un padovano a New York pag. 11 Self-made man Semplicemente veneto - Un padovano a Los Angeles pag. 13 Globalizzati dal 1886 Gelatieri veneti a Vienna pag. 16 Generazioni in progresso Dalla Val Zoldana a Mannheim pag. 19 Noialtri qua a Chipilo pag. 22 L’emigrazione dei veneti di Segusino nella Piana di Puebla, Messico I veneti nella colonia Manuel Gonzáles Zentla, Messico pag. 25 Vivere con la paura I veneti a Caracas, Venezuela pag. 27 Nuovi mercati, nuovi immigrati Un veronese a Bucarest pag. 29 Emigrazione volontaria Un veneto a Sydney pag. 31 It’s Wednesday night Ne valeva la pena! - Una famiglia veronese di Melbourne pag. 34 Cibo per la mente Una vicentina a Londra pag. 37 Luci nel Mondo Direttore Giuseppe Pizzoli Responsabile Paolo Annechini In redazione Paolo Annechini Andrea Sperotti Ha collaborato Francesca Mauli Sede via Duomo 18/A 37121 Verona Tel. e fax 045/8903846 [email protected] www.lucinelmondo.it Autorizzazione del Tribunale di Verona n° 1525 del 11/01/2003