Nessuno libera i musei dai compagni colonizzatori
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Nessuno libera i musei dai compagni colonizzatori
Nessuno libera i musei dai compagni colonizzatori - A.Agazzani - Libero – 1-10-09 L’estate del 2009 sarà lungamente ricordata negli annali della storia dell’arte italiana. La 53 esima edizione della Biennale di Venezia con l’ingombrante presenza della mostra “Collaudi” al Padiglione Italia, finalmente restituito alla sua centralità originaria, ha scatenato un dibattito attorno al tema dell’arte contemporanea di una violenza paragonabile solo alla varietà e alla dirompenza dei suoi contenuti. La scelta coraggiosa del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi di rimpossessarsi di una sua naturale e originale prerogativa, nominando personalmente Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli curatori del padiglione ha lanciato un segnale molto preciso, riportando l’arte contemporanea nell’agenda di governo e seminando comprensibile panico fra i nani e le ballerine del circense art system più pelosamente modaiolo, saldamente governato da decenni dai figli e nipoti dell’estinto Pci. “Collaudi” ha dimostrato come in Italia l’espressività visiva contemporanea si esprima con una varietà e un rigore pressoché unici, non solo attraverso i linguaggi più estremi (installazioni, video, materiali “anomali”), ma di fatto evidenziando come sia ancora l’odiata (dai guru sinistrorsi) pittura a far da padrona e a rendersi ancora veicolo di espressività varie e profondamente calate nel nostro tempo. La millenaria, italianissima “tradizione del Bello e del Nuovo”, cioè la capacità della nostra arte di esprimere lo spirito dell’oggi in sintonia con i grandi valori del passato, è stata palesata ad alto livello, rapidamente scatenando le ire e gli anatemi di tanti re improvvisamente scopertisi nudi. Indipendenza dalla politica Chi scrive è fermamente convinto dell’indipendenza dell’arte da qualunque sistema politico organizzato, da qualunque schieramento o partito. Ciò non toglie ad essa la prerogativa d’essere strumento politico per eccellenza, veicolo di valori che prescindono da qualunque schieramento. A poco meno di due mesi dalla chiusura della kermesse lagunare, però, qualche riflessione comincia a rendersi necessaria. Innanzi tutto: che seguito avrà una simile, dirompente “azione di governo”? Come potrà incidere, proseguendo in modo adeguato, sulle sorti della politica culturale italiana? A giudicare dalle premesse il peggio pare molto più di un ragionevole dubbio. Il 14 maggio scorso si comincia con le nomine ministeriali del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Quadriennale di Roma, la più importante rassegna artistica italiana dopo la Biennale veneziana, ossia coloro che inviteranno futuri curatori della manifestazione. Il ministro Bondi nomina, accanto ai prestigiosissimi nomi di Duccio Trombadori (colto storico dell’arte e figlio del grande Antonello, ossia colui che, da potente deputato dell’ex Pci, precluse l’ingresso di Burri nella Gam di Roma) e Fabrizio Lemme (illustre avvocato, raffinato connoisseur e prestigiosa firma del Giornale dell’Arte, il foglio che ha condotto la campagna più violenta e pretestuosa contro il Padiglione Italia voluto dal ministro), lo sconosciuto pittore-poeta-performer e quant’altro Georges De Canino, da sempre apertamente e aspramente avverso a questo governo e, più in generale, alla sua azione politica. Sì certo, dopo l’episodio dell’allora ministro Urbani, che nominò il sinistrissimo Francesco Bonami a Venezia al posto nientemeno di Robert Hughes, questo appare acqua fresca. Ma il peggio avviene nei Comuni, col paradosso incomprensibile di quelli dell’arcoriana Lombardia, retta in ogni sua amministrazione centrale dal PdL e da personaggi-simbolo del centrodesta italiano. Ad esempio a Milano, capitale di quel “buon governo” di cui il Cavaliere va tanto orgoglioso, dove l’allora neo assessore alla cultura, lo smagliante Massimiliano Finazzer Flory succeduto a Vittorio Sgarbi, ha avuto, mesi or sono, la brillante idea di organizzare alcuni incontri al Pac sull’arte contemporanea, invitando, nell’anno di Beatrice e Buscaroli alla Biennale, Angela Vettese, Massimiliano Gioni, Germano Celant e Giacinto di Pietrantonio, ossia i generali di quell’armata tutta solidamente sinistrorsa che non ha mai perso occasione per dileggiare al limite dell’insulto il ministro, la “sua” Biennale e le sue creazioni poetiche. Il generalissimo Achille Bonito Oliva Nella stessa Milano, poche settimane or sono, per presentare la grande installazione pittorica di Alessandro Papetti, si sono addirittura spalancate le porte di Palazzo Reale al generalissimo Achille Bonito Oliva, sinistro che più sinistro non si può. Ma non solo, perché a livello regionale, sentendo la necessità improvvisa di dar vita ad un circuito museale, ci s’inventa un progetto dall’esotico titolo “Twister”, che praticamente consente la “colonizzazione” di ogni spazio espositivo pubblico (ben dieci: dalla GAMeC di Bergamo al piccolo Museo d’Arte Moderna di Gazzoldo degli Ippoliti), affidandone il “pensiero” ai soliti noti di sinistra, che impongono le loro altrettanto sinistre scelte, quella del rosso Loris Cecchini in testa (artista che dopo aver rifiutato la Qudriennale di Roma si ritrova misteriosamente esposto alla Galleria del Premio Suzzara). Scelte dalle quali, pare ovvio, sono rigorosamente esclusi tutti gli artisti “avversi”, dai “collaudati” veneziani in giù. Stesso discorso nella Roma di Alemanno, dove sono arrivati Ida Gianelli (alla guida dell’Azienda speciale Palaexpo, che lascerà per motivi personali, mantenendo probabilmente un posto nel cda assieme a Maurizio Baravelli, Marino Sinibaldi e Daniela Memmo d’Amelio) e Luca Massimo Barbero (il pupillo di Massimo Cacciari, alla testa del Macro), altri ufficiali del circense sistema dell’arte gauchista. Ed è di poco fa la notizia, salutata con le fanfare di Mercedes Bresso e dei suoi orchestrali, di Giovanni Minoli alla presidenza del Castello di Rivoli e già s’annuncia la nomina di Andrea Bellini (molto amato dall’assessore del Pd Oliva) alla sua direzione. Probabilmente occorre rassegnarsi al gattopardesco «tutto deve cambiare perché tutto rimanga com’è» e continuare una lotta clandestina da resistenti ad oltranza. Che se non conoscerà il sapore della vittoria, almeno non assaporerà quello della costante, umiliante, presa in giro.