Yoon C. Joyce

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Yoon C. Joyce
Michele Rota
Yoon C. Joyce
Yoon C. Joyce è stato, attraverso le sue opere, uno dei protagonisti della mostra
Cineaffetti. Artista eclettico e attore, ha rivolto il suo affetto ai mostri,
interpretando il cinema come arte che infrange i pregiudizi razziali.
L’arte di Yoon C. Joyce, spazia prevalentemente nel mondo cinematografico: ritratti in acrilico che omaggiano
attori come Leonardo Di Caprio e Loredana Cannata, personaggi cult come Il Corvo e Edward mani di forbice, ma
anche musicisti come Bill Conti, compositore della celebre colonna sonora del film Rocky. Oltre alla pittura, il
lavoro artistico di Yoon trova spazio anche nella scultura, dove spiccano le ricostruzioni in viti e bulloni degli Alien
di Ridley Scott.
Se definiamo cineaffetti tutti quegli oggetti che vanno a rappresentare le memorie solide dei film che lo
spettatore ha amato, Yoon si rivela un maestro nell’arte della “cine-affettistica”.
Ma Yoon C. Joyce è molto di più di un artista con una passione smodata per il cinema: Yoon è anche un attore di
fama internazionale. Di origini sudcoreane, viene adottato a soli tre mesi di vita nel 1975 da una famiglia
bergamasca, con la quale trascorre l’infanzia seguendo gli spostamenti professionali del padre tra Europa, Nord
Africa e Arabia Saudita. I suoi primi contatti con il mondo dello spettacolo sono i corsi di recitazione che segue ad
Algeri dal 1985 e a Roma dal 1988. Formatosi poi alla “New York Film Academy”, e successivamente
perfezionatosi al "Centro Teatro Attivo" di Milano, esordisce nel cinema a diciotto anni nella pellicola
indipendente So It’s Better di William Forrest; quattro anni più tardi - nei quali recita, tra gli altri, nel film Nirvana
di Gabriele Salvadores - Martin Scorsese gli affida una parte in Kundun. Successivamente, le sue origini orientali
lo fanno prediligere per numerose parti da caratterista, in genere quelle del mafioso o del criminale cinese, come
nel caso di Liu in Gangs of New York di Scorsese e del maestro d'arti marziali Berserk in The Mark - Il segno della
vendetta, diretto da Mariano Equizzi.
I lavori più importanti ai quali ha preso parte in Italia appartengono tutti agli ultimi anni: uno su tutti, il ruolo di
co-protagonista in Said di Joseph Lefevre. Ha preso parte anche a film come Cemento armato di Marco Mantani e
Mozzarella Stories di Edoardo de Angelis, nonché a fiction tv come Squadra Antimafia e Rex. A detta dello stesso
Yoon, la sua collaborazione a film e fiction italiane è un’attività piuttosto recente, in quanto i ruoli offerti si sono
rivelati più interessanti e meno stereotipati di proposte ricevute in passato, che, come afferma l’attore stesso:
«spesso degeneravano nell’immaginario parodico della figura asiatica rappresentata, per esempio, dal cameriere
cinese con ostentati difetti di pronuncia nel parlare l’italiano». Rivoltandosi a stereotipi e pregiudizi razziali, Il
cinema è diventato per Yoon C. Joyce il suo modo per esprimere la propria lotta contro le barriere mentali, e
insieme il diritto di lottare per la propria espressione e affermazione personale.
La simpatia che l’attore dimostra per i mostri, il piacere di ritrarne tutte le sfumature, i dettagli morfologici, le
particolarità “eroiche”, si iscrivono proprio all’interno di questi presupposti. Ed ecco dunque apparire sulle sue
tele un melanconico Edward mani di forbice in bianco e nero, personaggio-simbolo nell’universo burtoniano della
condizione di dolorosa incomprensione ed emarginazione cui spesso è destinato chi è “diverso”. E come non
pensare alle sue sculture ispirate alle creature extraterrestri di Ridley Scott: Alien in posizione d’attacco, tanto
piccoli quanto aggressivi, che rappresentano la sua energica motivazione e fame di rivalsa in una società nella
quale spesso si è sentito attaccato e svilito.
Se l’arte di Yoon C. Joyce lavora sulla sensazione di diversità, la recitazione diventa la sua missione per dimostrare
come un attore possa «interpretare qualsiasi ruolo che vada oltre ogni tipo di stereotipo»: laddove la società,
sotto certi aspetti, pare dimostrarsi ancora lenta ad accettare a pieno il multiculturalismo, Yoon si dimostra ben
conscio dell’enorme potere comunicativo del cinema, che offre la possibilità di accelerare tale processo.