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1. Credenti in comunità (ore 8)
“ La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede
aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva
sua proprietà quello che gli apparteneva,
ma ogni cosa era fra loro in comune.
Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza
della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi
godevano di grande stima. Nessuno infatti tra loro era bisognoso,
perché quanti possedevano campi o case, li vendevano,
portavano l’importo di ciò che era stato venduto
e lo deponevano ai piedi degli apostoli;
e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”.
(At 4,32-35)
La chiesa più bella
Un uomo cercava Dio con grande interesse e impegno. Una notte Dio gli parlò in sogno e gli disse: - Mi
troverai nella chiesa più bella e grandiosa che gli uomini mi hanno costruito in questo mondo. Ti aspetto lì.
Il giorno dopo quell’uomo, pieno di emozione, si mise in cammino alla ricerca di quella chiesa. Si recò nelle
cattedrali più luminose del mondo; entrò nei templi più grandiosi e belli; entrò nelle basiliche più belle e
accorse nelle chiese più famose. Ma Dio non lo trovò. Lo cercò nelle cappelle più raffinate e visitò i santuari
meglio decorati. Ma nessuna traccia di Dio. Forse non aveva capito bene il messaggio e non aveva saputo
vedere Dio dove realmente stava. Fu preso dallo scoraggiamento. Qual era la chiesa più bella e grandiosa della
terra? Quella stessa notte fece di nuovo un sogno, nel quale Dio gli parlò di nuovo e gli disse: - Mi hai cercato
tra le pietre morte, ma io sto sempre tra le pietre vive. La chiesa più bella e grandiosa in cui ti aspetto è quella
fatta da persone che vivono in comunione gli uni con gli altri, facendo in modo che gli ultimi del mondo lì
siano i primi e tutti siano servi di tutti, impegnati a costruire un mondo più giusto e fraterno.
Grazie a quelle indicazioni, il giorno dopo quell’uomo poté trovare Dio nella chiesa più bella e grandiosa che le
donne e gli uomini possono costruire in questo mondo.
Idee per la riflessione
Nel mondo è diffusa la mancanza di dialogo, la ricerca del proprio interesse e vantaggio, la mancanza di
impegno e solidarietà , la ricerca di potere, dominio e influenza, l’avidità di denaro, il successo e il prestigio
sociale, i conflitti, le rivalità e gli scontri, la falsità e la superficialità.
In questo mondo la comunità cristiana deve presentarsi come segno evidente e palpabile che è possibile
vivere in un altro modo, che è possibile costruire un mondo nuovo più umano e umanizzante.
Indubbiamente, questa sarà una delle notizie più belle che possiamo dare agli uomini e alle donne del nostro
tempo, e che insieme renderà credibile la nostra fede.
Bisognerebbe chiedersi seriamente a che cosa serva aver fede, compiere pratiche di pietà, consacrare la vta a
Dio e vivere in una comunità se quando si viene a contatto con i suoi componenti si scopre, con tristezza, che
tra di loro abbondano gli stessi difetti che abbondano tra gli uomini del mondo. La società in cui viviamo ha
urgente bisogno di gruppi di persone che umanizzino il mondo in cui viviamo, tanto disumanizzato. Se non
siamo capaci di servire in questo modo, realmente non serviremo a nulla. Allora il compito di ogni comunità
che voglia essere autenticamente cristiana sarà quello di convertirsi in un caldo focolare di umanità, in una
scuola in cui insegnare con l’esempio a vivere in comunione e fraternità, perché coloro che sono soli,
emarginati o esclusi trovino in noi accoglienza e calore umano; perché coloro che vivono nella povertà o nel
bisogno possano tirare vanti col nostro aiuto e solidarietà; perché coloro che sono infelici e disgraziati trovino
nella nostra comunità un luogo in cui sentirsi e felici e amati.
2. Crocifissi dalla fame e dalla miseria (ore 9)
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere”.
(Mt 25,35)
Il delitto perfetto
Andando per strade dimenticate di questo mondo, mi sedetti a riposare tra alcuni uomini che stavano in un
angolo della strada, e domandai: - Che cosa portate avvolto in quel grande fardello, amici?
Essi, con gesto triste, mi risposero: - Portiamo il cadavere di un uomo che abbiamo trovato, amico.
Sorpreso, domandai: - E sapete di che cosa è morto?
- È difficile rispondere a questa domanda, amico. Mi sembra piuttosto che sia stato un crudele assassino.
Impressionato da queste parole, dopo un breve silenzio, domandai: - E in che modo pensate che sia stato
assassinato? … A percosse, con un coltello, una pallottola?
Risposero: - Non furono percosse, ne un coltello, ne un proiettile che troncò la vita di questo povero uomo.
È stato un delitto molto più perfetto. Un delitto che non lascia traccia.
- Insomma, come lo hanno ucciso? - chiesi interessato.
Mi risposero con calma:
- Come molti da queste parti, quest'uomo è stato ucciso dalla fame, amico.
Idee per la riflessione
I dati sono agghiaccianti: ogni giorno muoiono di fame decine di migliaia di persone nei paesi del Terzo
Mondo, mentre nei paesi sviluppati si vive nell'abbondanza e nello spreco consumista, come se non accadesse
nulla e non si fosse responsabili di nulla. Ma la cosa più triste è che non c'è una volontà ferma da parte dei
governi di risolvere in radice questa situazione (come per molte altre situazioni di povertà, violenza, malattia
…). Danno solo piccoli aiuti, il superfluo, evitano la difficoltà, e lasciano alle povere ONG, associazioni cittadine
e iniziative private risolvere il difficile problema che gli stessi governanti hanno provocato con la loro politica
ingiusta e i loro interessi.
Perchè tagliare alla radice questa silenziosa strage significherebbe rinunciare al livello e stile di vita che
abbiamo nel Primo Mondo, e penso che pochi governi o cittadini sarebbero disposti ad accettarlo. Infondo, i
governanti non sono che il riflesso di quello che è e vuole la maggioranza dei cittadini.
E intanto, milioni e milioni di esseri umani nel nostro mondo, in questi stessi istanti, sono crocifissi dalla fame,
dalla miseria, dalla mancanza di cure sanitarie, ecc. Popoli interi vivono in continua pasquadi crocifissione
sotto lo sguardo indifferente dei loro carnefici. Si ripete un'altra volta in pieno secolo XXI la passione e la
morte di Gesù. La questione è ora di sapere che responsabilità abbia ciascuno di noi in questa passione e
morte di tanti innocenti. Possiamo restare muti, complici, gente che se ne lava le mani, carnefici, cirenei o
Maria ai piedi della croce? In quale posizione stiamo?
3. IL GRIDO DELLA POVERTÀ (ore 11.30)
“ Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Ma guai a voi ricchi, perché avete già la vostra
consolazione”. (Lc 6,20.24)
Lettera di Yaguine e Fodè
Eccellentissimi signori membri e responsabili d’Europa: abbiamo l’onore, il piacere e la grande fiducia di
scrivervi questa lettera per esporvi il motivo del nostro viaggio e della sofferenza che patiscono e bambini e i
giovani d’Africa. Anzitutto, però, vi porgiamo i nostri saluti più rispettosi. Lo scopo è che siate voi il nostro
appoggio e il nostro aiuto. Siete voi, per noi africani le persone alle quali dobbiamo chiedere soccorso.
Vi supplichiamo, per amore dei vostri continenti, per il sentimento che avete verso il nostro popolo e,
soprattutto, per la vicinanza e l’amore che avete per i vostri figli, che amate per tutta la vita. Inoltre, per
amore del vostro Creatore, Dio onnipotente, che vi ha concesso tutte le buone esperienze, le ricchezze e i
poteri per costruire e organizzare bene il vostro continente affinché sia il più bello e ammirabile da tutti.
Signori membri e responsabili d’Europa, è alla vostra vicinanza e alla vostra bontà che gridiamo perché
soccorriate l’Africa: Aiutateci! Soffriamo enormemente in Africa, abbiamo problemi e carenze sul piano dei
diritti del bambino. Tra i problemi abbiamo la guerra, le malattie, la mancanza di alimenti. In quanto ai diritti
del bambino, in Africa, e soprattutto in Guinea, abbiamo una grande mancanza di educazione e di
insegnamento, eccetto che nei collegi privati, dove si può avere un buon insegnamento, ma occorre una forte
somma di denaro per potervi entrare. E i nostri genitori sono poveri e hanno bisogno di alimenti. Tanto meno
abbiamo centri sportivi in cui potremmo praticare il calcio, la pallacanestro o il tennis.
Perciò noi, bambini africani, vi chiediamo di fare una grande ed efficace organizzazione in Africa per
consentirle di progredire. Pertanto, se come vedete ci sacrifichiamo ed esponiamo la nostra vita, è perché in
Africa si soffre troppo. Eppure desideriamo studiare, e vi chiediamo di aiutarci per poter studiare in Africa
come voi avete potuto farlo in Europa.
Guinea, Agosto 1999
Yaguine Koita (14 anni) e Fodé Tounkara (15 anni)
I due morirono congelati nel carrello di atterraggio di un aereo che li
portava di nascosto in Europa. Uno di loro recava questa lettera.
Idee per la riflessione
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1948) possiamo leggere: «Tutti gli esseri umani nascono
liberi ed uguali in dignità e diritti» (art. 1); «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a
garantire la salute e il benessere proprio e della famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al
vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari» (art. 25); «Ogni individui ha diritto
all’istruzione» (art. 26).
Ma dei 6.200 milioni di persone che abitano il pianeta, 5.000 milioni sono poveri, e di essi 2.800 milioni vivono
con meno di due euro al giorno e 1.200 milioni vivono in estrema povertà (meno di un euro al giorno) *.
Come si può concludere, in pratica non tutti gli esseri umani sono uguali e non godono degli stessi diritti. La
povertà, la fame, la mancanza di abitazioni degne, la mancanza di scuola, la mancanza di ospedali, i medici e
medicine, i conflitti armati, la mancanza di lavoro e di futuro rende comprensibile che molti vogliano emigrare
nei paesi ricchi, cercando una vita migliore e un futuro.
È curioso, per non dire drammatico, constatare come la vita di una persona dipenda dal luogo del pianete in
cui è nata. La storia di Yaguine e Fodè non è che il riflesso dell’agonia e del grido di soccorso del Terzo Mondo.
Un grido che indubbiamente i ricchi, i potenti e gli agiati di questo mondo non ascoltano né esaudiscono, ma
noi possiamo ascoltarlo ed esaudirlo. È chiaro che noi da soli non potremo cambiare questo mondo ingiusto,
però possiamo fare qualcosa di molto importante e che è a portata della nostra mano: cambiare il nostro stile
di vita, andare controcorrente in questa società consumista, individualista e senza solidarietà, per non essere
complici, e impegnarci, nella misura delle nostre possibilità, alla costruzione di un mondo più giusto, fraterno
e solidale, unendoci a tutti coloro che lottano per lo stesso scopo. Saremo felici se impegneremo in questo la
nostra vita.
5. il Calvario degli esclusi (ore 13)
“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me.” (Mt 25,40)
Bussarono alla mia porta
Me ne stavo tranquillamente riposando nl mio confortevole alloggio, dopo un giorno di lavoro, quando bussò
alla porta un immigrato per chiedere aiuto. Gli dissi quello che tante volte si dice: “Via di qui, non mi
disturbare! Qui non c’è posto per te. Ti diano lavoro nel tuo paese. Più tardi bussò alla mia porta un
mendicante chiedendo aiuto. Gli dissi quello che tante volte si dice: “Via di qui, non mi disturbate! Lavora per
guadagnarti il pane, come fanno tutti, e non contarmi storie”. Poi bussarono alla mia porta un drogato e un
alcolizzato, ma dissi loro quello che tante volte si dice: “Via di qui, non mi disturbate! Se siete in quelle
condizioni è perché lo avete voluto voi. Andatevene!”. Poco dopo bussò alla mia porta un disoccupato
chiedendo aiuto, ma gli dissi quello che tante volte si dice: “Via di qui, non mi disturbare! Se non lavori è
perché non hai voglia”. Alla fine bussò alla mia porta l’Ingiustizia ed entrò con prepotenza nella mia casa senza
che io lo volessi e mi lasciò senza lavoro, senza soldi, senza casa e senza amici, disperato, andai bussando di
porta in porta chiedendo aiuto, ma ricevetti sempre la stessa risposta: “Via di qui, non mi disturbare!”.
Mi vidi obbligato a lasciare la mia terra, e andai vagando da un posto all’altro, ricevendo sempre la stessa
risposta: “Via di qui, non mi disturbare!”. Scoprii l’ostilità che si può suscitare stando al mondo quando sei un
povero escluso, uno che non conta nulla per nessuno. Allora piansi amaramente, disteso in un angolo della
strada, e lì mi addormentai su alcuni cartoni. Quando mi risvegliai, con mia sorpresa mi trovai di nuovo sotto il
tetto della mia confortevole casa, coricato sul mio letto e con il pigiama di sempre, con tutto quello che
credevo di aver perduto da quando nella mia casa era entrata l’Ingiustizia. Che cosa era accaduto? Dopo
essermi rasserenato un poco e aver riflettuto, mi resi conto che tutto era stato un terribile incubo, reale come
la via stessa. Poco dopo bussò alla mia porta un affamato chiedendo aiuto, e senza esitazione aprii la porta
perché quell’uomo si sedesse alla mia tavola e mangiasse con me. Da allora decisi di non continuare a
rendermi colpevole con la mia indifferenza, e la mia porta rimase sempre aperta per poter rendere giustizia ai
miei fratelli.
Idee per la riflessione
Quanta sofferenza, quanto dolore umano c’è nel mondo in cui viviamo. Non siamo consapevoli della quantità
di persone che silenziosamente trascinano croci pesanti senza che nessuno se ne renda conto o muova un dito
per aiutarlo. Il dramma peggiore che può vivere un essere umano è scoprire che il suo dolore, la sua
sofferenza, il suo problema non interessa nessuno, non importa a nessuno, non commuove nessuno, o
semplicemente non è percepito. Einstein disse una volta che viviamo in un modno molto pericoloso, non solo
per le ingiustizie e le malvagità che commettono tanti individui, ma, quello che è peggio, per l‘immensa
moltitudine di persone che restano spettatori e vivono questa ingiustizia senza fare nulla per evitarla o
risolverla. Viviamo realmente in un mondo molto pericoloso, nel quale, senza che ce ne rendiamo conto, con
le nostre azioni, omissioni o stili di via consumista ed individualista, possiamo diventare parte attiva
nell’ingranaggio che provoca o accetta tante situazioni di povertà, esclusione e disuguaglianza sociale. Tutto
questo esige che noi cristiani viviamo con gli occhi ben aperti, per non dimenticare la necessità e la sofferenza
delle persone che stanno sulla strada della nostra vita e bussano alla nostra porta chiedendo aiuto. Nella
misura in cui siamo sensibili alle loro necessità e operiamo in conseguenza, saremo più vicini al Dio di Gesù di
Nazaret. Egli sarà il misuratore più affidabile della qualità della nostra relazione che teniamo con i nostri
fratelli più deboli e bisognosi.
6. Vittime dell’egoismo e della malvagità (ore 14)
“ Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini,
escono le intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi,
adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia,
invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro
e contaminano l’uomo”.
(Mc 7,20-23)
L’arma più temibile
Parlando sulla violenza e la pace, il professore invitò i suoi alunni a disegnare su un foglio l’arma più temibile
che possiede l’essere umano e che, secondo loro, può causare le peggiori distruzioni. Mentre disegnavano, il
professore passeggiava tra i banche osservando che cosa disegnavano. Alcuni disegnavano carri armati,
missili, altri bombe atomiche e cose del genere. Ma poi vide che una ragazza stava disegnando qualcosa che lo
lasciò piuttosto sorpreso. Si trattava del profilo di un cuore.
Non aveva capito l’attività che doveva svolgere? Si avvicinò a lei tranquillamente e le chiese cosa significava
quel disegno.
Rispose: - Quando lo avrò dipinto di nero, sarà l’arma più temibile che possono avere le persone…
Il professore si rese conto che quella ragazzina aveva compreso meglio di tutti ciò che doveva disegnare. Alla
fine il suo disegno fu giudicato migliore di tutti quelli dei suoi compagni. Non c’è nulla di più temibile di un
cuore senza amore.
Idee per la riflessione
Nella convivenza umana provoca stragi un cuore che non ama, cioè che non tratta i suoi simili con dignità e il
rispetto che meritano. E un cuore non ama quando è annerito dall’egoismo. Come diventano difficili le
relazioni umane quando c’è di mezzo l’egoismo! Il peggio è che quando l’egoismo domina completamente il
cuore di una persona, le reazioni aggressive o offensive diventano frequenti, e possono giungere fino a
estremi imprevedibili. L’avidità di dominare, di possedere, di imporre la propria verità e di ritenersi superiore
agli altri provoca molteplici conflitti e scontri. Alla fine, si scopre che la radice di tutta la malvagità, aggressività
e violenza si trova in un cuore annerito dall’egoismo, per cui l’altro non conta nulla, ed esiste solo il mio io e la
mia verità. Quante vittime della violenza e della aggressività ci sono nel mondo in cui viviamo. Non c’è nulla di
più degradante e di più umiliante per una persona che l’essere aggredita, maltrattata o sottoposta alla
violenza. E le forme di aggressione verso la persona umana sono tante: dalla parola, da un gesto di disprezzo,
dall’indifferenza, da un atteggiamento ostile, fino all’aggressione fisica estrema. Quante vite ha distrutto e
continua a distruggere l’egoismo umano. Non c’è bisogno di pensare all’orrore delle guerre o del terrorismo
per rendersene conto: lo abbiamo molto vicino a noi! In quante famiglie si vive il dramma del cattivo
trattamento, quante persone vivono amareggiate per l’ostilità dei loro compagni di lavoro, di studio, quante
discussioni e aggressioni verbali nella vita quotidiana, ecc. Viviamo in un mondo aggressivo dove sotto sotto
sembra che si imponga la legge del più forte, la legge dei cuori anneriti. Il nostro compito è di vegliare per
mantenere “limpido” il nostro cuore e metterci a fianco delle vittime, perché l’ultima parola non sia dei
prepotenti e dei violenti, ma della forza salvifica di Dio mediante il nostro aiuto, appoggio e protezione.
8. La scelta del povero (ore 17)
“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6)
Due scelte
Nel 1994 il giornalista Kevin Karter guadagnò il premio Pulitzer di fotografia con una foto fatta in un villaggio
del Sudan colpito dalla fame. Nella foto si poteva vedere una bambina piccola rannicchiata a terra, mezza
morta di fame, e a pochi metri da lei un avvoltoio in attesa. Quella immagine fece tale impressione che girò
per tutto il mondo, riportata da tutti i giornali e da tutte le televisioni.
In una intervista che gli fecero dopo aver ritirato il premio gli chiesero che cosa avesse fatto per la bambina
dopo averla fotografata. Rispose dicendo che non aveva fatto nulla, si era limitato a spaventare l’avvoltoio e
andarsene. La lasciò così come si vedeva nella fotografia. Tale risposta provocò una grande polemica ed egli fu
molto criticato per il suo comportamento. Si giustificò dicendo: “ Nella foto si vede solo quella bambina, ma se
io avessi allargato l ‘obiettivo della mia camera, sarebbero comparse molte persone che stavano nella stessa
situazione. In quei momenti, davanti a quello spettacolo, pensai che non avrei ottenuto nulla aiutando una
sola persona mentre erano cento quelle che stavano agonizzando per la fame in quel luogo. Perciò decisi di
non intervenire e me ne andai senza fare nulla.”
Negli stessi giorni, e come contrappunto alla scelta riferita, un giornalista, in un’intervista che stava facendo a
Madre Teresa di Calcutta, le domandò: “Madre Teresa, qual il segreto per non scoraggiarsi davanti a tante
persone bisognose che ci sono a Calcutta, in India e nel mondo intero?” rispose: “Io non curo mai la
moltitudine, ma una sola persona. Quando finisco con quella, e curo un’altra. E poi un’altra, e un’altra.. se
guardassi le moltitudini, con le sue enormi necessità.. non comincerei mai.”
Idee per la riflessione
Nelle testimonianze riferite sopra, troviamo due persone che davanti alla sofferenza umana reagirono in
modo opposto. Una scelse di non fare nulla, l’altra scelse di fare qualcosa. Queste due testimonianze
rappresentano i due tipi di opzione che possiamo fare davanti alle diverse situazioni che ci presenta la vita
quotidiana. Da una parte ci sono le scelte che ci umanizzano quando le prendiamo, e allo stesso tempo
umanizzano le persone con le quali ci troviamo, perché contribuiamo a renderle felici. Cioè, opzioni che ci
fanno comportare in modo umanitario. E dall’altra parte ci sono le opzioni che disumanizzano noi stessi e
anche gli altri, perché contribuiamo alla loro infelicità. Cioè, opzioni che ci fanno comportare in modo
“disumano”. Noi credenti, nella misura in cui facciamo opzioni umanitarie, umanizzanti, nella stessa misura ci
“divinizziamo”, cioè ci rendiamo a immagine e somiglianza di Dio, mostrando l’autentico volto di Dio al
mondo, come fece Gesù di Nazaret. E precisamente nella scelta di offrire la vita per colui che soffre, per il
bisognoso, per il povero, sta il cammino della nostra autentica umanizzazione. Ce l’ha rivelato Gesù con la sua
vita, la sua morte n croce e la sua risurrezione. Cresce come persona soltanto colui che è sensibile al dolore e
alla sofferenza dei suoi simili e vive dedicando la vita ad essi. Il contrario è rendersi disumani. Il cammino è
chiaro, mancano però seguaci risoluti che seguano i passi del crocifisso per risuscitare tutto quello che è
disumanizzato in questo mondo in cui viviamo.
9. LA FORZA dell’AMORE (ore 18)
“Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.
Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, cacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”
(Mt 10,7-8)
La migliore medicina
Nella stanza di un ospedale agonizzava una donna anziana, rimasta senza parenti. Aveva perso la lucidità e la
coscienza, e passava giorno e notte piangendo e singhiozzando sconsolatamente come una bambino. I medici,
non riuscendo a guarire la sua malattia, avevano provato tutti i tranquillanti per calmarla e alleggerire la sua
sofferenza, ma, stranamente, sembrava che non ottenessero alcun effetto. Una sera, un’infermiera in prova
rimase sola con lei, e con sorpresa di tutti, quell’anziana cessò di singhiozzare. Durante le ore che quella
infermiera stette accanto a lei, non si sentì in quella stanza nessun lamento né gemito. Tutto era calma e
silenzio.
Quando uscì dalla stanza, tutti chiesero all’infermiera che cosa aveva fatto, ed essa rispose:
- Nulla di speciale. Semplicemente le ho preso la mano e ho cominciato ad accarezzare le sue guance e le sue
mani, mentre le sussurravo parole all’orecchio.
Quella donna non riprese a singhiozzare. Poco tempo dopo morì in pace, grazie alla migliore medicina che
una persona può ricevere: il «calore umano».
Idee per la riflessione
In questo racconto verace troviamo un esempio pratico della forza dell’amore. Quanto potere risanante e
pacificante possono esercitare nell’animo umano la tenerezza, l’affetto, la carezza, la parola di conforto,
l’ascolto, l’atteggiamento di accoglienza, la donazione gratuita, ecc.
Non ne siamo coscienti, ma ognuno di noi possiede la migliore medicina dentro di sé.
Ne portiamo un armadietto intero, che è in grado di alleggerire e risanare i gravi mali che affliggono e
tormentano lo spirito umano.
Più forte del dolore fisico, o più dolorosa di qualunque perdita o necessità materiale è la sofferenza che
produce nel cuore umano la mancanza di amore, l’indifferenza, il rifiuto e l’egoismo degli altri.
Anche se non sembra, nella società in cui viviamo ciò che più abbonda o che causa maggior dolore è questo
tipo di sofferenza del cuore. Davanti a tanta «freddezza disumana», quante persone vivono in attesa di un
poco di «calore umano». Madre Teresa di Calcutta diceva che una delle infermità più gravi e terribili che possa
soffrire un essere umano, più grave dell’aids e del cancro, è il non sentirsi amato da nessuno.
Gesù di Nazaret è venuto in questo mondo per renderci coscienti della grande forza risanatrice che abbiamo
nel nostre cuore, e per insegnarci a usarla a servizio del prossimo. Noi cristiani siamo in questo mondo
anzitutto per metterla in pratica là dove siamo e con coloro con i quali viviamo, per risanare cuori malati e
sollevare spiriti caduti.
10. L’autentica carità (ore 19)
“Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10,27)
Il mendicante più povero
Durante il tempo natalizio, un multimilionario volle fare un’opera buona, e pensò di offrire al mendicante più
povero della sua città un viaggio con tutte le spese pagate nel luogo del mondo che avesse scelto. Incaricò i
suoi servi a fare la ricerca e la selezione, ed essi li presentarono il mendicante più povero della città. Era un
anziano dall’aspetto affabile, dalla barba bianca e dallo sguardo sveglio e penetrante.
Tutto ciò che possedeva era contenuto in una piccola borsa a mano.
Allora il multimilionario, con aria solenne e voce paterna disse di scegliere il luogo del mondo dove gli sarebbe
sempre piaciuto andare, perché era il regalo di Natale che gli avrebbe fatto.
Il mendicante, pensoso, abbassò lo sguardo al suolo e, dopo qualche momento, gli disse rispettosamente:
- La ringrazio del suo gesto, ma lei non ha denaro sufficiente per potermi portare nel luogo di questo mondo
dove ho desiderato abitare da quando ho l’uso di ragione.
Il milionario, sorpreso, fece una risata e disse:
- Non preoccuparti del denaro. Ne ho tanto che potresti passare tutta la vita a girare il mondo senza fermarti.
Ma il mendicante insistette a dire che non aveva denaro sufficiente per portarlo nel luogo del mondo dove
desiderava abitare. Il multimilionario, già un poco in ritardo, e molto interessato, gli chiese che luogo fosse. Il
mendicante rispose:
- Il luogo di questo mondo dove desidererei abitare è il cuore di uno che mi amasse.
Idee per la riflessione
Amare il prossimo come se stessi implica fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi. E a nessuno
piace che lo facciano per complimento, per compassione o per ottenere qualche vantaggio. Ci piace che
scelgano noi per noi stessi, perché siamo importanti per loro. Perciò esercitano una falsa carità coloro che si
servono del bisognoso per sentirsi a posto, ritenersi buoni, tranquillizzare la loro coscienza o guadagnarsi il
paradiso. Esercitano una falsa carità coloro che danno il loro superfluo facendo sentire inferiore il bisognoso. È
falsa la carità che non cerca, come fine principale, di riabilitare la persona bisognosa perché cessi di esserlo,
perché con i suoi aiuti o toppe finisce per condannarla a essere sempre una persona del bisogno e
dipendente.
Realizza l’autentica carità quella persona che si impegna con il bisognoso e inizia con lui un cammino di
risanamento e di liberazione, oppure collabora in associazioni o progetti umanitari che mirano alla
riabilitazione e alla dignità dell’essere umano. E questo avviene soltanto quando la sofferenza del bisognoso è
entrata nel profondo del cuore della persona, commuovendola e spingendola ad agire. Siamo tutti in grado di
praticare l’autentica carità. Non è necessario possedere denaro, o grandi qualità o doti umane. È sufficiente
avere un cuore capace di amare, sensibile alla sofferenza umana e disposto a occuparsene con tutta l’anima.
Più di qualunque aiuto materiale o economico (che tutti possono dare) quello di cui ha bisogno il povero,
l’emarginato, l’escluso è di essere trattato come persona, essere ascoltato, accolto, compreso nella sua
necessità, essere amato come persona, e non essere sfruttato, umiliato o sottovalutato. Il mondo ha un
grande bisogno di persone che pratichino l’autentica carità, quella che non costa denaro ed è alla portata di
tutti, quella che ci insegnò a praticare Gesù di Nazaret.
11. TESTIMONI DI SPERANZA (ore 20)
“Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli”.
(Mt 5,10)
L’angelo del Burundi
In un ambiente di scontri e di violenza tra due etnie rivali, gli hutu e i tutsi, splende la figura di una donna che
definiscono l’angelo del Burundi. Si chiama Maggui Barankitse e appartiene a una famiglia danarosa di
possidenti tutsi, l’etnia dominante.
Nel 1993 si trovò coinvolta in un massacro quando cercò di proteggere un gruppo di hutu, perseguitati dalle
milizie tutsi che volevano ucciderli. Li nascose nell’edificio dell’episcopato della città di Ruiki, e cercò di
convincerei tutsi a desistere dalle loro intenzioni. Ma non l’ascoltarono, la percossero, la denudarono e la
lasciarono stesa a terra. Gettarono benzina nell’edificio e le diedero fuoco.
Asfissiati dal fumo, gli hutu cominciarono a uscire, e di mano in mano che uscivano venivano uccisi.
Quel massacro compiuto sotto i suoi occhi cambiò il destino di Maggui Barankitse. Da quel momento dedicò la
sua vita ai deboli tra le vittime di tanto dolore e miseria. Cominciò a raccogliere i bambini orfani, che avevano
perduto i loro genitori nei massacri dei tutsi contro gli hutu, e le relative vendette (morirono un milione di
persone). Sotto la sua protezione cominciarono a vivere insieme hutu e tutsi.
Si occupò pure dei bambini abbandonati nei numerosi campi di rifugiati. E infine si occupò dei bambini malati,
denutriti, dei disabili fisici e psichici, dei malati di malaria e dei contagiati dall’aids, che sono i numerosi e che
per disgrazia sono condannai a morire perché le imprese farmaceutiche non vogliono dar loro le medicine che
permetterebbero di frenare lo sviluppo di questa terribile malattia.
Con la vendita delle sue principali proprietà e con gli aiuti internazionali, specialmente della Caritas, già nei
primi nove anni poté farsi carico di più di 5.000 bambini (hutu e tutsi) di tutto il paese e costruire 82 case, con
relativi orti, per gli orfani diventati grandi, che hanno formato nuove famiglie interetniche, adottando i loro
compagni più piccoli.
Diversi premi di prestigio mondiale in riconoscimento del suo lavoro umanitario e l’appoggio internazionale
alla sua figura, che risulta molto incomoda ai militari del Burundi, rappresentano una garanzia che la sua vita
sia rispettata nonostante le continue minacce di morte che riceve. L’unica forza di Maggui è l’amore che dona
nel suo costante lavoro di accogliere e reintegrare bambini abbandonati, e nell’impegno di lottare contro il
razzismo e le ingiustizie. Davanti a tutto questo, essa afferma che se non sentisse in sé una forza
soprannaturale si scoraggerebbe, si ribellerebbe o diventerebbe pazza, invece ogni mattina può vedere che
negli occhi dei suoi bambini continua a brillare la Speranza. Confessa che tutte le sere si sente molto stanca,
perché assistere più di 5.000 bambini, pensare al loro presente e al loro futuro, lottare inoltre contro
l’ingiustizia sociale, diventa molto duro. Ma sa che per quei 72 bambini che sono morti tra le sue braccia, per
la sua presenza costante e perché crede in Dio, un giorno la Verità e l’Amore trionferanno. Questa è la sua
lotta; ed è fermamente convinta che il male non dirà mai l’ultima parola.
Idee per la riflessione
Quando una persona è sensibile al dolore e alla sofferenza umana che vede attorno a sè, non può restare a
braccia conserte. C’è qualcosa di molto profondo che la spinge ad agire, pur sapendo che il suo aiuto sarà
piccolo e insignificante. Tutti coloro che hanno cominciato a fare cose apparentemente insignificanti a favore
degli altri, hanno finito per compiere, col tempo e con loro sorpresa, un’opera che ha impressionato tutti per
la sua grandezza. Perché il segreto non sta nella qualità di cose che si fanno, ma nell’amore e nella dedizione
con cui si fanno. L’opera non è mai piccola se viene fatta con amore.
E’ immenso il potere di trasformazione che può avere una persona quando ha saputo incarnare l’Amore Vero,
cioè quando vive lo stile di vita che Gesù è venuto a insegnarci. Quando capita questo, si arriva a fare cose
realmente sorprendenti, miracolose, anche se piccole.
In fondo, si tratta semplicemente di fare quello che ci tocca, quello che Dio vuole che facciano nel breve
spazio della nostra vita, in cui possiamo influire in qualcosa, sapendo che nessuno verrà a fare al nostro posto
quello che dipende da noi. Maggui Barankitse, come tanti altri, ha fatto semplicemente quello che le spettava,
quello che sentì che Dio le chiedeva nella situazione che stava vivendo. La sua testimonianza non viene
presentata perché sia ammirata o imitata, ma perché ricordiamo che anche a ciascuno di noi tocca fare
qualcosa nel breve spazio della nostra vita, là dove ci muoviamo e siamo. Quello che non facciamo
noi...resterà da fare.