Ruta - Economia di comunione relazione definitiva

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Ruta - Economia di comunione relazione definitiva
UNA PEDAGOGIA NUOVA PER UNA «ECONOMIA DI COMUNIONE»
È possibile educare oggi all’economia «di comunione»?
Come e a quali condizioni?
Don Giuseppe Ruta*
«*…+ lo stimolo di novità è tra i più fondamentali bisogni dell’uomo e *…+ la novità è un
bene piuttosto speciale, tanto quanto potrebbe esserlo la verginità o un fiore delicato, e
molto diverso dalle giacenze di magazzino dell’economista. I miei colleghi economisti
sono stati troppo seri e puritani per riconoscere il bisogno che il consumatore ha di
novità, e molti di noi consumatori sono stati altrettanto eccessivamente seri e puritani
per ammettere a loro stessi il desiderio di stimolazione e di novità»1.
1. Premesse d’intesa iniziale
La prima impressione emersa istintivamente, quando mi è stato affidato il tema, è stata quella di
considerare incompatibili e inconciliabili i termini di «economia» e «comunione», di dichiarare
incommensurabili e distanti le realtà che significano. Il primo vocabolo ha suscitato in me, anche in
passato, l’idea di profitto individuale, calcolo, interesse, talora e alquanto «a scapito di»… Mi trovo in
sintonia con una certa disaffezione, giovanile e non, alla politica, che coinvolge in qualche modo
anche l’ambito economico. All’opposto «comunione» ha evocato in me sensazioni di gratuità, di
disinteresse, di altruismo… difficilmente combinabile con la prima sfera semantica. Insomma: a prima
vista, una palese «contraddizione in termini». Quasi un’opposizione tra il mondo dell’utile (economia)
e il mondo dell’in-utile (comunione). Ad aggravare l’imbarazzo, è la specificazione «di» che unisce i
due vocaboli: tale congiunzione al genitivo mi parve complicare ulteriormente le cose. L’analisi logica,
di venerata memoria, sembrò acuire il disagio interpretativo. Spinto dalla curiosità (dal «cur» latino,
dalla ricerca del «perché»), ho cercato di sondare che cosa stesse alle radici di questa inusitata
espressione.
Eppure il termine «economia», da tempo, è stato coniugato a quello di «salvezza» negli studi
teologici e biblici, per cui avrei potuto reagire in modo differente. Andando indietro nella memoria di
studente, la prima volta che sentii l’espressione «economia della salvezza» provocò in me un certo
spaesamento; oggi, nonostante le critiche ad essa sollevate, fa parte del mio bagaglio culturale ed è
da ritenersi di qualche utilità teologica. Qualcuno potrà obiettare: una cosa è un significato
«analogico», ben altra è il significato «diretto» che assume nel nostro caso. Non è il «senso lato»,
bensì il «senso proprio» a non permettere che si azzardino accomodamenti e facili conciliazioni.
Con il tenore di una «sfida», avventurandomi in un terreno di frontiera, inesplorato finora, che
non è di mia competenza e che non sento mio (e così continua ad apparirmi dopo quest’indagine), ho
accostato una succinta letteratura sull’argomento: il pensiero originario dell’«economia di
comunione» (EdC), che scaturisce dal ceppo della spiritualità cristiana 2, e l’affinità sorprendente con
*
Relazione tenuta il 14 dicembre 2011 al Seminario del Ciclo istituzionale dell’Istituto Teologico “San Tommaso d’Aquino”
– Messina: Una profezia per l’economia. Tra crisi e speranza, la via relazionale per il bene comune.
1
T. SCITOVSKY, L’economia senza gioia (1976), Città Nuova, Roma 2007, p. 431.
2
L’EdC è una visione tipica del «movimento dei focolari». Sorta in Brasile nel 1991, fa capo alla fondatrice Chiara Lubich
(1920-2008): cfr. in special modo il volume che raccoglie gli interventi di C. LUBICH, L’economia di Comunione. Storia e
profezia, Città Nuova, Roma 2001. Oltre a svolgere una funzione critica nei confronti delle economie attuali, viene
elaborata una proposta alternativa, con i suoi aspetti fondativi e motivazionali, organizzativi e operativi. Una
1
alcune recenti riflessioni laiche 3, mi hanno guidato, almeno si spera, ad una sufficiente
documentazione per affrontare dignitosamente la tematica in prospettiva educativa.
Un fatto mi ha sorpreso particolarmente: alcuni economisti non si sono improvvisati filosofi o
monitori etici, ma rimanendo ancorati alla scienza dell’economia sono riusciti ad individuare,
mantenendosi equidistanti dall’individualismo e dal collettivismo, alla stessa stregua di Ulisse tra Scilla
e Cariddi, una direzione risolutoria e di equilibrio che ha il suo fulcro nel principio della comunione e
della fraternità. Tale principio «di comunione» diventa un criterio imprescindibile per distinguere le
prassi economiche, in buone e cattive, che aprono o sbarrano il varco al futuro dell’umanità 4. Quel
«di» che fa da ponte tra economia e comunione potrebbe essere inteso in senso epesegetico,
significando addirittura un’identificazione: si potrebbe anche dire «economia che è *che diventa+
comunione». «Economia», d'altronde, nella sua origine semantica, dice riferimento a patrimonio,
casa, famiglia, non solo ai beni materiali ma si estende alla sfera degli affetti e delle relazioni 5.
Su questo orizzonte antropologico ed etico, riferendosi a riflessioni non meno scientifiche di
quanto non lo siano le scienze di economia e commercio, si colloca il presente contributo circa la
possibilità pedagogica di questo nuovo tipo di economia. Alcune domande accompagneranno e
scandiranno la riflessione: l’EdC può essere assunta come un punto di partenza o come un punto di
arrivo? Fino a che punto è opzionale (se ne può fare a meno) o urgente (e, quindi, obbligante)? Con
quali presupposti e condizioni di base? Attraverso quali processi si potrà giungere ad elaborarla e a
praticarla?
2. Quattro passaggi obbliganti
Guardando con realismo la realtà odierna e l’innegabile crisi attuale che grava su tutti gli ambiti,
da considerare non solo come impasse ma come «occasione di discernimento e di nuova
progettualità»6, è opportuno prevenire e monitorare culture diversificate, più o meno compatibili,
almeno in fase di partenza, con una EdC. Sia percorrendo la storia socio-economica diacronicamente,
sia confrontando sincronicamente società attualmente viventi nel globo, è possibile costatare punti di
partenza diversificati.
Jean Vanier, il fondatore della Comunità dell’Arca, all’inizio del suo testo più conosciuto e tradotto
nel mondo, così riferisce:
legittimazione magisteriale può essere intravista in BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate. Lettera enciclica sullo sviluppo
umano integrale, 29 giugno 2009, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, 46 [sigla: CiV].
3
Una serie di pubblicazioni per i tipi di Città Nuova recensisce queste voci laiche: cfr. la bibliografia a fine articolo, il già
citato T. SCITOVSKY, L’economia senza gioia (1976); A. SMERILLI, “L’economia senza gioia” di Tibor Scitovsky, in “Nuova
Umanità” 29 (2007) 2/170, pp. 283-291. Inoltre: J. DIAMOND, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi,
Torino 2005; A. SEN, Sviluppo sostenibile e responsabilità, in “Il Mulino” 59 (2010) 4, pp. 554-566; R. REICH, L’infelicità del
successo, Fazi, Roma 2001.
4
Cfr. quanto espresso in CiV dell’attuale Pontefice e il recente documento del PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA
PACE, Per una riforma del sistema finanziario monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a
competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011 [sigla: RSF].
5
L’etimologia è risaputa: οἴκος sta per “casa” intesa nella sua duplice accezione di edificio (in inglese: house) e focolare
domestico (in inglese: home), e νόμος (nomos) che sta per "norma" o "legge" e quindi "regole della casa" ma anche, più
estensivamente, "gestione", "amministrazione" del patrimonio di famiglia.
6
CiV 21; RSF Prefazione.
2
«Nel suo libro Gli Esclusi, René Lenoir parla degli Indiani del Canada: se si promette a un gruppo di bambini
un premio per quello che risponderà per primo a una domanda, si mettono tutti insieme a cercare la
risposta, e poi, messisi d’accordo, la gridano a una voce. Per loro sarebbe intollerabile che uno vincesse e la
maggioranza perdesse: chi avesse vinto si separerebbe dal resto dei suoi fratelli. Avrebbe vinto il premio
ma avrebbe perso la solidarietà. La nostra civiltà occidentale è una civiltà competitiva. Fin dalla scuola il
bambino impara a “vincere”; i suoi genitori sono felici quando è il primo della classe. È così che il progresso
materiale individualista e il desiderio di salire di grado per un prestigio più grande hanno avuto la meglio
sul senso della comunione, della compassione, della comunità»7.
Restringendo lo sguardo ad una particolare cultura o ad una specifica situazione è possibile
osservare strutture e paradigmi più o meno competitivi (cfr. CiV 37), che possono sfociare alla
contrapposizione e alla rivalità, e strutture e paradigmi più o meno collaborativi che possono
registrare effetti, all’inverso, di appiattimento e di livellamento delle individualità. Il primo passo,
importante dal punto di vista educativo, è il rilevamento onesto e quanto più oggettivo della
situazione di partenza, cogliendo condizioni positive e condizionamenti negativi per educare ad una
«economia» umana ed umanizzante.
Occorre aggiungere che a tale visione va affiancata un’avvertenza per la riflessione e la pratica
educativa, oltre che per ogni forma di verifica e valutazione: vi sono delle cause e degli effetti che non
dipendono direttamente dal campo pedagogico… sono autonome, se non proprio indipendenti, come
la situazione di partenza a livello tributario (di quotazioni in borsa, di PIL, ad esempio) o le soluzioni
tecniche per problemi amministrativi concreti… Rimane, comunque il fatto che possono essere
attivati sempre processi formativi atti a motivare e a spingere verso vie migliori e risolutive. Sullo
sfondo di ogni tipo di tecnologia si profilano un’etica, una concezione pedagogica, una visione
antropologica che vanno, di volta in volta, esplicitate e tematizzate.
Tenendo presenti queste iniziali avvertenze, vengono a delinearsi quattro passaggi educativi.
2.1. Dal superamento della logica dei prodotti alla valorizzazione dei processi
«Siamo cresciuti troppo e male». A esprimersi così è Robert Reich che, nel suo libro
Aftershock8, riferendosi all’ultima crisi del 2008, mette in evidenza diseguaglianze e fatica nel
riequilibrare i rapporti economici a tutti i livelli. La società dei consumi ha riempito la nostra vita di
cose e di beni di ogni tipo, come se il cuore umano potesse essere appagato, colmandolo di tante
cose. Non è solo il quantitativo ingente che non riesce a saziare il vuoto, non consente un controllo e
neanche di dare un senso all’esistenza, ma è soprattutto lo stile di passività che ingenera abituandosi
ai prodotti senza conoscerne la catena di produzione, né tanto meno avere la pazienza e la gioia dei
processi per produrli o per procacciarseli. L’economista incompreso e inascoltato Tibor Scitovsky
diagnosticava già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, che l’eccedenza di comfort (beni di
consumo) e la corrispondente riduzione della stimulation (beni di creatività o beni relazionali) avrebbe
7
J. VANIER, La comunità luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 1979, p.17. Cfr. pp. 16-18.
R. REICH, Aftershock. Il futuro dell’economia dopo la crisi (2010), Fazi, Roma 2011. Professore di Politica pubblica presso
l’Università di Berkeley (California), Reich è stato inserito dal “Wall Street Journal” tra i dieci esperti di economia più
influenti degli ultimi decenni. Cfr. in merito: L. BRUNI, Editoriale. Ceto medio e crisi del capitalismo. Noi e le mucche della
finanza, in “Avvenire” 02.08.2011, p. 1.
8
3
portato i soggetti individuali e sociali alla passività, all’abitudinarismo, all’assuefazione sino alla noia.
L’evidenza è sotto i nostri occhi9.
Inversamente proporzionale è lo stile del Creatore che affida agli uomini la terra e lascia alla
loro responsabilità di accrescere, proseguire e completare il piano della creazione (cfr. Gen 1,28-30).
«Dio crea l’uomo come il mare crea i continenti: ritirandosi» - così il poeta tedesco F. Hölderlin.
Analoga alla visione biblica, si esprime la sapienza delle grandi religioni:
«Un grande re aveva tre figli, e voleva sceglierne uno come erede. Era in difficoltà perché tutti e tre
erano molto intelligenti, molto coraggiosi. Ed erano gemelli. Avevano la stessa età, per cui era
impossibile scegliere. Per cui, il re decise di chiedere consiglio a un saggio, e il saggio gli suggerì un'idea.
Il re tornò a casa e chiamò i tre figli. Diede a ognuno di loro un sacchetto di semi di fiori, e disse che
sarebbe partito per un pellegrinaggio: “Starò via qualche anno - uno, due, tre anni, forse di più. E per
voi questa è una prova... quando tornerò mi dovrete ridare questi semi. E chi li proteggerà meglio, sarà
il mio erede”. Poi partì per il suo pellegrinaggio.
Il primo figlio pensò: “Cosa dovrei fare con questi semi?”. Li chiuse in uno scrigno di ferro così, quando
suo padre fosse tornato, li avrebbe restituiti così com'erano.
Il secondo figlio pensò: “Se li rinchiudo come ha fatto mio fratello, moriranno. E un seme morto non è
affatto un seme”. Per cui andò al mercato, vendette i semi e conservò il denaro. Pensò: “Quando mio
padre tornerà, andrò al mercato, comprerò dei semi nuovi e gliene ridarò di migliori...”. Il terzo andò in
un giardino e li seminò.
Dopo tre anni, quando tornò il re, il primo figlio aprì lo scrigno. I semi erano tutti morti, puzzavano. Il
padre disse: “Cosa? Questi sono forse i semi che ti ho dato? Avevano la possibilità di fiorire e donare
fragranza alla vita - e questi semi puzzano! Questi non sono i miei semi”. Il figlio insistette nel dire che
erano gli stessi semi, e il padre concluse: “Sei un materialista”.
Il secondo figlio si precipitò al mercato, comprò dei semi, tornò a casa e li diede a suo padre. Il re disse:
“Ma questi non sono gli stessi semi. La tua idea è migliore di quella di tuo fratello, ma non sei ancora
abile come io vorrei che tu fossi. Sei uno psicologo”.
Quando andò dal terzo - con molta speranza e trepidazione: “Che cosa avrà fatto?” si chiedeva - il figlio
lo condusse in giardino dove c'erano milioni di piante fiorite, e milioni di fiori! Il figlio disse: “Questi
sono i semi che mi hai dato. Appena le piante saranno adulte, li raccoglierò e te li restituirò”.
Il re disse: “Tu sei il mio erede. Ecco cosa bisogna fare con i semi!”»10.
Nell’orizzonte educativo che ne scaturisce, si profila una controtendenza che mira a
raggiungere abilità e competenze attraverso articolati processi educativi, superando la logica del
materialismo e del meccanicismo del “tutto e subito”. Anche in questo senso, la sapienza orientale
viene in aiuto quando proclama: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a
pescare e lo nutrirai per tutta la vita»11. Accanto ad essa quella evangelica e spingendo oltre la ricerca,
9
Cfr. il saggio di U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007.
www.raccontiepoesie.org/Zen/I%20semi.htm (05.11.2011).
11
http://it.wikiquote.org/wiki/Proverbi_cinesi. Si può accostare al proverbio cinese la raccomandazione di San Vincenzo
de’ Paoli a Giovanni Parre C.M.: «Vi prego di aiutare i poveri a guadagnarsi la vita, dando loro qualche utensile con cui
lavorare alla mietitura. Potreste raccomandare loro di preparare qualche pezzo di terra, ararlo e concimarlo e di pregare
Dio che mandi un po’ di semente da gettarvi; e, senza promettere ancora nulla, dar loro speranza che Dio vi provvederà.
Vorremmo che anche tutti gli altri poveri che non hanno terra, si potessero guadagnare da vivere, tanto gli uomini che le
donne: dando agli uomini utensili per lavorare, alle donne e alle ragazze delle macchine per tessere della filaccia e della
lana da filare. La Compagnia non intende fomentare la pigrizia dei poveri validi, né delle loro famiglie: perciò non darà loro
se non il necessario per integrare il modesto guadagno del loro lavoro. Quelli che saranno trovati a mendicare durante la
10
4
è un continuo appello ad andare all’essenziale e a ciò che più conta: «Che serve all’uomo conquistare
il mondo intero, se perde la propria vita?» (Mt 8,36).
Una esemplificazione educativa. Se la virtù civile più importante della modernità era l’amore
per il risparmio e l’accumulo di denaro (come non ricordare Paperon de’ Paperoni e il gioco del
Monopoli), oggi nel postmoderno prevale la virtù del consumo e la tendenza allo sperpero 12. Si pensi
alle lotterie e ai giochi televisivi, ai dislivelli nelle retribuzioni tra le varie attività professionali (si noti
le enormi sproporzioni di reddito tra un medico senza frontiere oppure un ricercatore sui tumori e un
giocatore di calcio di serie A). Dai giochi infantili alle imprese dei grandi, la nostra generazione del
«tutto e subito» non conosce più la dinamicità dei processi, della pazienza per pervenire a dei
risultati, ma solo la staticità dei prodotti. I sistemi di trasmissione sociale, economica ed educativa
hanno in comune la costante di dare «prefabbricati», «confezioni», senza coinvolgere nei processi per
giungere a realizzare degli esiti.
2.2. Riappropriarsi del terzo principio dimenticato
È pressoché condiviso che la società occidentale con i suoi risvolti socio-culturali, economici e
politici sia derivata dalla rivoluzione francese (1789) e dai suoi principi fondamentali (liberté, egalité,
fraternité), anche se si è appurato che si siano affermati in modo esplicito successivamente. Meno
accettata e accertata è la considerazione della sua dipendenza dal ceppo cristiano13, nonostante che si
configuri come sua contrapposizione e come un’inversione di tendenza.
Stando all’ambito economico, parallelamente ad altri ambiti ad essa più o meno correlati,
l’evolversi del fenomeno francese ha di fatto registrato un effettivo sbilanciamento nell’ambito del
trinomio che avrebbe dovuto mantenersi nell’intenzionalità originaria in un sostanziale equilibrio:
l’esaltazione del principio della liberté14 ha di fatto prodotto strutture storiche di individualismo, di
accentramento capitalistico, di sopraffazioni da parte del più forte sul più debole, di sfruttamento
delle fasce più povere; all’opposto, l’esasperazione del principio dell’egalité15 ha storicamente portato
di fatto a forme di collettivismo, di dittature e regimi illiberali, intolleranti e intollerabili. Il principio
più dimenticato e caduto in oblio, purtroppo tuttora trascurato, è il terzo, quello della fraternité16, che
del trinomio costituisce l’ago della bilancia, affinché il primo non si trasformi in soggettivismo e il
secondo non si tramuti in massificazione 17. Afferma l’economista Luigino Bruni:
settimana nelle strade o nelle chiese, o di cui le Dame avranno fatto giusti lamenti, non avranno nulla la domenica
seguente» (http://www.sanvincenzoitalia.it/sanvincenzo/3.htm., 05.11.2011).
12
Cfr. L. BRUNI, Editoriale, in “Nuova Umanità” 31 (2009) 2/182, p.2.
13
Cfr. quanto espresso in: P. CODA, Teologia e antropologia di comunione, in L. BRUNI – L. CRIVELLI (edd.), Per una economia
di comunione. Un approccio multidisciplinare, Città Nuova, Roma 2004, p 17-18 (pp. 13-18); G. RUTA, Il principio trinitario
nella stesura dei programmi IRC, in G. CRAVOTTA (ed.), Linguaggi umani e mistero trinitario. Cultura, didattica e
insegnamento della religione cattolica, Coop. S. Tom., Messina 2001, pp. 147-160. Inoltre: L. BRUNI, Cristianesimo e uso dei
beni tra gratuità e mercato, p. 7.
14
«La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui»: così la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino del 1795. Da essa deriva l’assioma più recente e più comune: «La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri».
15
Il principio di uguaglianza mette in rilievo la dignità di tutti e di ciascuno, senza distinzione e discriminazioni. Ogni
persona ha uguali diritti e uguali doveri di fronte allo Stato.
16
La Costituzione dell’anno III della Repubblica così recitava: «Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate
costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere». Non sfugge la dipendenza dal testo biblico: Tb 4,15.
17
Così B. Suchodolski in M. MENCARELLI – W. KENNETH RICHMOND – B. SUCHODOLSKI, Educazione permanente e democrazia,
Lisciani e Giunti, Castellalto di Teramo 1983. Per quando riguarda l’ottica del lavoro e dell’attività lavorativa si veda il
5
« *…+ il nuovo patto sociale mondiale dovrebbe essere un patto della fraternità dopo l’uguaglianza e la
libertà: queste ultime sono state la grande conquista della modernità, che hanno creato la democrazia, i
diritti…, ma si stanno, da sole, rivelando incapaci di gestire i beni comuni dai quali dipenderà molto, forse
quasi tutto, del presente e del futuro. Liberté ed égalité dicono individuo; fraternità dice invece legame tra le
persone, e senza legami, senza riconoscere che siamo legati perché insistiamo sulle stesse risorse comuni,
non si esce dalla tragedia dei commons»18.
L’EdC, facendo tesoro dell’esperienza di questi ultimi secoli, con i suoi risvolti positivi e
negativi, intende portare il correttivo dello sbilanciamento testé denunciato. Secondo la letteratura
disponibile è possibile accertare una confluenza tra una robusta teorizzazione e realizzazioni
economiche in varie parti del mondo che non solo ne affermano la possibilità o la praticabilità, ma
anche ne esibiscono esiti indicativi e rappresentativi. Non senza limiti e senza rischi. È indubbio che la
specificazione «di comunione» è un richiamo palese al terzo principio dimenticato della fraternità (cfr.
CiV 34)19 che esige nuova mentalità, nuovi paradigmi e nuove forme organizzative 20, ma che fa
riferimento, in ultima analisi, al vangelo cristiano e allo stile delle comunità primitive descritto, con i
suoi chiaroscuri, dagli Atti degli Apostoli, in particolare dei sommari, con quell’indicazione chiara e
forte di graduale e decisa eliminazione dell’indigenza, che oltre di stampo ecclesiale e carismatico, è
anche amministrativo e retributivo: «nessuno, infatti, era tra loro bisognoso» (At 4,34)21.
Ritornando al contesto odierno, è auspicabile non solo rivisitare le radici culturali dell’Europa,
ma anche salvaguardare il trinomio liberté, egalité e fraternité:
saggio di H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana (1958), Bompiani, Milano 1997 e gli studi di L. BRUNI, Il lavoro come
amore. Per una rilettura antropologica del discorso economico, in “Sophia” 1 (2008) 0, 82-92; P. CODA, Teologia e
antropologia di comunione, p.32 (pp. 19-32); L. BRUNI – A. SMERILLI, Benedetta economia. Benedetto di Norcia e Francesco
d’Assisi nella storia economica europea, Città Nuova, Roma 2008, p. 88-92.
18
L. BRUNI, L’economia alle prese con i beni comuni. Il caso dell’acqua, in “Nuova Umanità” 33 (2011) 1/193, p. 56. Chi
parlò per primo della «tragedia dei beni comuni [commons]» fu il biologo G. Hardin (cfr. Ididem, p. 48).
19
Cfr. L. ALICI, Il terzo escluso, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004; A.M. BAGGIO (ed.), Il principio dimenticato, Città
Nuova, Roma 2007. Inoltre: L. BRUNI, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, Trento 2007, p. 195.
20
Cfr. S. ZAMAGNI – P.L. SACCO (edd.), Complessità relazionale e comportamento economico. Materiale per un nuovo
paradigma di razionalità, Il Mulino, Bologna 2002.
21
In questo segno non va visto tanto il frutto orizzontale della cooperazione solidale dei ricchi nei confronti dei poveri,
quanto piuttosto il segno della benedizione divina (come fa fede Dt 15,4: «Non ci sia in mezzo a te alcun indigente, perché
Jahvè ti benedirà *…+»), come anche l’attuazione profetica dei tempi messianici. È già rivoluzionario il fatto che i piccoli, i
poveri, gli ultimi sono posti al centro dell’attenzione di tutti i membri della comunità, come lo erano stati per Gesù durante
la sua vicenda terrena, ma la radice di tutto sta nella possibilità di condividere che scaturisce dalla forza della pasqua del
Signore Gesù e dalle molteplici energie scaturite dalla pentecoste. Per la comunità primitiva si tratta di riconoscere e
accogliere pienamente il dono di Dio e di renderlo trasparente, dando visibilità alla propria realtà più profonda: «una
Chiesa di Dio si riconosce dal fatto che non vi sono indigenti tra i suoi membri» (J. DUPONT, Nuovi studi sugli Atti degli
Apostoli, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985, p. 284). Diversa era la tendenza della comunità essenica di Qumran che
ammetteva nel suo ambito soltanto “puri” e “perfetti”: «Nessuno che sia colpito da qualche umana impurità può
partecipare all’assemblea di Dio *…+ Tutti coloro che sono colpiti nella carne, storpiati ai piedi o alle mani, zoppi o ciechi o
sordi o muti o visibilmente imperfetti nel fisico, ovvero un vecchio decrepito che non sa reggersi in piedi nella comunità
riunita, costoro non possono venire a porsi in mezzo all’assemblea *…+» (rip. in J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento.
I. La predicazione di Gesù, Paideia, Brescia 19762, pp. 202-203). Differente è anche la concezione pitagorica e stoica della
condivisione dei beni: cfr. J. DUPONT, Studi sugli Atti degli Apostoli, Paoline, Roma 1971, pp. 867-871, ed anche C. M.
MARTINI, Atti degli Apostoli, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1970. 19898, p. 82.
6
«La sfida della postmdernità sarà quella di tenere assieme questi tre principi, poiché l’umanesimo
occidentale funziona davvero solo se tridimensionale. Invece, la grande illusione dell’umanesimo del
mercato è stato pensare che si potesse salvare qualcosa di autenticamente umano una volta rimossa la
relazione di fraternità, con tutto il suo carico tragico di dolore e di sofferenza. Il “paradosso della
felicità” ci dice sostanzialmente a quale caro prezzo stiamo pagando oggi quel sacrificio della
fraternità»22.
Sempre L. Bruni così conclude richiamando a nuove virtù collettive e comunitarie:
«La storia ha conosciuto molti momenti nei quali comunità, società, popoli sono stati posti di fronte al
bivio che separa la fraternità dal fratricidio, due strade sempre confinanti e intrecciate, dai tempi di
Caino. A volte abbiamo scelto la direzione della fraternità, altre, forse le più numerose, quella del
fratricidio. Oggi il bivio è ancora di fronte a noi, e occorre far di tutto perché la direzione sia quella della
fraternità. È in gioco il futuro stesso della nostra specie, e, grazie a Dio, siamo ancora in tempo»23.
Una esemplificazione educativa. Si pensi alla «paghetta» che i genitori elargiscono ai figli e il loro
modo di investirla24; alla pretesa dei figli e dei nipoti di fronte alla pensione dei genitori e dei nonni: al
di là della mancata esternazione di sentimenti di riconoscenza e gratitudine, si nutre la pretesa di
avere diritto immediato ad un beneficio che è frutto della fatica altrui. È proprio intoccabile questa
forma di peculio familiare che tende alla divisione dei beni anziché alla con-divisione? Quando ai
ragazzi si chiede di essere solidali con i più poveri, la gran parte di essi se ne guarda bene
dall’attingere dalla «paghetta»; ricorre quasi sempre al portafoglio dei grandi. Alla fatica che il mondo
degli adulti affronta perché “tutti” i figli abbiano “tutto”, al diritto palesato ed esercitato di disporre di
quanto si è preteso e ricevuto solo per la soddisfazione personale, non corrisponde per le nuove
generazioni la possibilità offerta e motivata di condividere almeno parte delle proprie sostanze, con
chi è meno fortunato. Come si potrà pervenire, infatti, a «quote di gratuità e di comunione»
nell’economia mondiale (CiV 39) senza educarsi a queste piccole disponibilità e disposizioni?
2.3. Il passaggio dall’economia erotica a quella agapica
Questo terzo passaggio è rapportabile e analogo per alcuni versi al precedente. Muovendo
dall’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI e da altre analoghe riflessioni, è possibile sviluppare
una linea evolutiva che porti da forme di economia immature e di corto respiro a forme più mature ed
equilibrate.
Due primi tipi di economia sono caratterizzati dall’œrwj (eros) e dalla f†l…a (philia), dal
contratto e dall’alleanza. Questo secondo può differire per una maggiore reciprocità rispetto all’œrwj,
ma sono gravati entrambi dal calcolo e da un narcisismo di fondo. Nel primo l’io cerca
fondamentalmente se stesso, quando si rapporta al tu; nel secondo l’io e il tu cercano il proprio
vantaggio, accordandosi in qualche modo, raggiungendo determinate forme di stabilità contrattuale.
In termini economici:
22
L. BRUNI, L’angelo e l’altro. Riflessioni su comunità e economia, in www.edc-online.org/it/.../doc.../120brunicomunitaeconomia07.html (02.11.2011), p.8; IDEM, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, p. 196.
23
L. BRUNI, L’economia alle prese con i beni comuni. Il caso dell’acqua, p. 59.
24
Ciò che nelle società più semplici avveniva rare volte l’anno (si pensi alla “strenna” natalizia o di capodanno o
dell’epifania) in uso in alcuni contesti culturali come si sia moltiplicata e in qualche modo inflazionata.
7
«L’amore erotico nasce da una povertà, da una indigenza, che si vuole colmare attraverso l’altro; e il
corteggiamento ricorre ad espedienti per raggiungere lo scopo, per soddisfare il desiderio.
Analogamente per il contratto: la relazione contrattuale nasce quando ho una povertà, mi manca
qualcosa che cerco in te (e tu in me), e il processo di contrattazione (basato sulla seduzionepersuasione, come ben affermava Adam Smith) è molto vicino al corteggiamento amoroso, come è
evidente nei mercati non anonimi e personalizzati di tutto il mondo. Come l’eros (inteso come
idealtipo) è un amore che non richiede gratuità, ma è relazione “mutuamente vantaggiosa” senza che
ciascuno sia mosso dal bene dell’altro ma dalla ricerca del proprio bisogno o piacere, così neanche il
contratto ha nel suo repertorio la gratuità ma nasce dal desiderio e dai bisogni»25.
Un mercato improntato a questi due tipi è di contenimento, di natura autoreferenziale e
difficilmente si spinge oltre gli interessi individuali. Un’economia di terzo tipo, improntata all’¢g£ph
(agape), che muovendo dalle condizioni positive della f†l…a e contemperando le legittime esigenze
del pubblico e del privato, squarcia il velo del narcisismo e dell’autoreferenzialità, per aprirsi all’altro,
costituisce l’unica e vera alternativa. Infatti, si accetta di aprirsi “comunque” e “sempre” all’altro
portatore di «ferita e benedizione».
Prova ne sia che l’œrwj non perdona, non tollera assolutamente il tradimento; la f†l…a
perdona fino a sette volte, l’¢g£ph osa perdonare «fino a settanta volte sette» (cfr. Mt 18,22). Se i
primi due termini finiscono, prima o poi, per sbarrare il passo, il terzo lascia aperto il varco alla fiducia
e alla ripresa26. Come afferma L. Bruni: «anche se resta vero che la forma del’amore tipica del
“carismatico” è l’agàpe, occorre sempre tener presente che l’amore agapico è fecondo e
umanamente maturo quando racchiude in sé anche le forme della philìa e dell’eros»27.
Una esemplificazione educativa. Senza distogliere lo sguardo dai grandi, a cui le nuove
generazioni guardano, si pensi anche all’incapacità delle popolazioni meridionali a dar vita a forme
cooperative e di associazioni di profitto che siano corrette e solidali. L’imprenditorialità è quasi
sempre al singolare, quasi mai al plurale. Che dire poi delle forme letali di usura, di profitto illecito e di
speculazione? Sono proprio impensabili le forme di condono del debito altrui, analoghe a quelle
richieste in campo internazionale?
2.4. Oltre l’utile e il nulla. Alla riscoperta della verità, della bellezza e della bontà
Oggi più che mai, senza neppure accorgerci, abbiamo scoperto di avere a casa nostra un
inquilino indesiderato, un «ospite inquietante» - per dirla con Umberto Galimberti28. Pensavamo di
avere raggiunto il massimo dell’utile, il boom economico, e ci siamo trovati di fronte al nulla. All’enfasi
è seguito il disincanto. All’eccesso di beni materiali è subentrato il nichilismo. Abbiamo d’istinto
sbarrato porte e finestre, siamo piombati nel buio. Ma l’ospite scomodo ci è rimasto accanto: ne
sentiamo il respiro e l’alito.
Qualsiasi orizzonte è scomparso alla visione, i valori assoluti non sono più, figure e cose hanno
perso spessore e dimensioni, la realtà si è quasi dissolta per cedere il passo a illusioni e virtualità.
Diagnosi riservata: grossi problemi al campo visivo, glaucoma irreversibile. Si ha l’impressione di
25
L. BRUNI, L’angelo e l’altro. Riflessioni su comunità e economia, p.6.
L. BRUNI – A. SMERILLI, Benedetta economia, p.97.
27
L. BRUNI, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, p. 181.
28
Cfr. il già citato U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007.
26
8
vivere tra ombre, si è perduto il senso, dopo aver cancellati i confini tra vero e falso, tra bello e brutto,
tra buono e cattivo. Viviamo nell’«epoca delle passioni tristi» 29 e ogni forma di amministrazione di
risorse di qualsiasi tipo, personali e materiali, affiora come un’«economia senza gioia» 30. Secondo
Tibor Scitovsky, «noi tendiamo ad indulgere in modo eccessivo al comfort *…+ e quando la
maggioranza sceglie di sacrificare lo stimolo della novità per amore del comfort, la creazione di novità
e la ricerca da parte della minoranza di nuovi modi di raggiungere la vita buona sono entrambe
precluse»31. L’aumento del reddito non comporta una lievitazione della soddisfazione personale e
della felicità oggettiva. Tanto meno queste dipendono dal consumo perché «la felicità di una persona
dipende dalla sua relazione con la felicità dei “vicini di casa” e non dal suo standard di vita in termini
assoluti»32.
Oltre l’utile e, in definitiva, il nulla, è possibile aprire uno squarcio, dopo la notte si può
attendere l’aurora? Esprimiamo un timido “si”, ma ad una condizione fondamentale: spalancando
porte e finestre, per rivedere l’orizzonte nuovo del dono e della gratuità (cfr. CiV 37)33, a cui è da
aggiungere quello della passione 34 che comporta desiderio intenso e anche sacrificio e dono di sé 35. È
l’invito a rompere il guscio del soggettivismo e dell’autoreferenzialità, dell’appiattimento e della
produzione di massa, ad osare per essere di più, attraverso un percorso lento e paziente di
educazione e di autoformazione. Non senza un sussulto di speranza.
29
Cfr. U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, pp. 25-30.
Cfr. il già citato saggio di T. SCITOVSKY, L’economia senza gioia (1976). Una coincidenza da non trascurare è la
contemporaneità della riflessione magisteriale sulla gioia da parte di Paolo VI, in un tempo caratterizzato da difficoltà
personali, oltre che per la comunità ecclesiale e civile: cfr. PAOLO VI, Gaudete in Domino. Esortazione apostolica, 9 maggio
1975, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1975.
31
T. SCITOVSKY, L’economia senza gioia, p. 432. Lo si deve a questo e ad altri studiosi se «oggi la “felicità” è una parola
importante in economia»: cfr. L. BRUNI – P.L. PORTA, Introduzione. Il ragno e la tela, in Ibidem, p. 17.
32
T. SCITOVSKY, L’economia senza gioia, p. 225.
33
L. Bruni ha messo in evidenza come i carismi ecclesiali, anche e non solo dal punto di vista economico, hanno messo in
moto risorse di gratuità: «Carisma – infatti – viene dal greco charis, grazia, che letteralmente significa “ciò che dà gioia”,
che poi è la stessa radice della parola “gratuità”»: L. BRUNI, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, p. 189. Chi di
recente ha esplicitato questo tema generatore in termini teologici è il gesuita C. THEOBALD, La rivelazione, Dehoniane,
Bologna 2006, 20092, a cui si rimanda. In termini di economia e di politica internazionale: J. ATTALI, Breve storia del futuro,
Fazi, Roma 2007. Cfr. anche L. BRUNI, Cristianesimo e uso dei beni tra gratuità e mercato: riflessioni a partire dall’economia
di comunione. Il significato sociale ed economico dei carisma nella Chiesa e nella società, in www.edconline.org/it/pubblicazioni/saggi/italiano/306-cristianesimo-e-uso-deibeni.html 07.07.2006 (02.11.2011), 1-11.
34
Basta vagliare il linguaggio comune o aprire un vocabolario di lingua italiana: il termine «passione» è gravido di tanti
significati, positivi e negativi, ma tutti forti pregnanti e talora contrapposti, se non proprio contraddittori. Tra le molteplici
accezioni, salta fuori un’ambivalenza di questo vocabolo, una continua oscillazione tra un desiderio intenso e profondo
che esprime una tensione, un protendersi verso… e, sull’altro versante, un rischio che può comportare una perdita, un
sacrificio, ovvero il dono incondizionato di sé, continuamente sottoposto alla tentazione di ritrarsi, di buttare la spugna, di
ritornare indietro, di perdita e, talora, di sconfitta. Nel’ambito del pensiero cristiano, «passione» richiama alla memoria e
alla mente il Maestro e Signore, Gesù di Nazareth, che sente l’urgenza del Regno di Dio e dei bisogni più profondi del
cuore degli uomini, e la tenacia di testimoniarli entrambi ad ogni costo, fosse pure a prezzo della vita. Anche in Lui,
soprattutto in Lui, «passione» è congiuntamente desiderio e consegna di sé. «Passione» non è ingiunzione dall’esterno o
comando che promana dalla volontà altrui, ma esigenza tutta interiore, che sboccia dal di dentro, che fa maturare
atteggiamenti profondi e che si esprime in comportamenti coerenti, spingendo all’azione che coinvolge pienamente.
«Passione» è tensione continua ad andare verso gli altri, a donare le proprie energie per il bene degli altri, ad ogni costo,
«fino alla fine», «sino al compimento» (cfr. Gv 13,1).
35
Cfr. L. BRUNI, L’angelo e l’altro. Riflessioni su comunità e economia, in www.edc-online.org/it/.../doc.../120brunicomunitaeconomia07.html (02.11.2011), pp. 1-9, e più diffusamente IDEM, La ferita dell’altro. Economia e relazioni
umane, Il Margine, Trento 2007.
30
9
L’educazione è impresa ardua e difficile 36, «arte delicata e sublime»37 che esige un
atteggiamento di fondo che sappia declinarsi in capacità, competenze, abilità, che sappia coniugare
mente e cuore, interiorità ed esteriorità, intimità e sensorialità, fedeltà e creatività, soggettività e
socialità, immanenza e trascendenza38. Una tensione benefica di base che educhi i soggetti ad essere
in profondità, che educhi alla verità, alla bellezza e alla bontà 39. La bellezza senza bontà e verità è
bruttezza e menzogna; la verità, senza bontà e bellezza, è freddezza e distacco; la bontà, senza verità
e bellezza, è finzione e contraffazione40.
È utopico pensare che questo sia possibile in campo economico?
No. Se si pensa, si decide, si agisce in termini di gratuità, di reciprocità e di dono 41. La vita
«buona», equilibrata ed attiva, l’esistenza virtuosa, l’eudaimonia aristotelica, la felicitas latina42, la
«fioritura umana» (human flourishing)43, «qualità di vita»44 o well-being multidimensionale45, e non
ultima, la beatitudine evangelica trovano in questo senso un loro raccordo e un rilancio per il futuro.
Una esemplificazione educativa. Basti riflettere sui giochi infantili sempre meno creativi e
sempre più scontati e deterministici. Senza voler demonizzare la moderna playstation e altre modalità
ludiche telematiche, esse danno la parvenza dell’inedito e della novità, ma risultano oltremodo
ripetitive e compulsive; creano, inoltre, forme di dipendenza e di alienazione da cui è difficile
recuperare bambini e ragazzi, per orientarli a forme ludiche e sportive più collaborative e creative.
3. Conclusione
L’impresa educativa passa attraverso la mente, il cuore, la parola e i gesti di educatori credibili
e veri, come ci richiamano gli Orientamenti pastorali per questo decennio:
36
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Elle
Di Ci, Leumann – Torino 2010, n.36. (Abbreviazione: EVBV).
37
EVBV, Presentazione.
38
«Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo,
intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della
realtà, nonché verso l’esperienza liberante della continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione
della bellezza»: EVBV, n. 13.
39
A più riprese vengono richiamati i “trascendentali” come orizzonte della tensione educativa: cfr. EVBV, nn. 8. 13. 29. 30
*manca il riferimento al “bello”+. 49.54b.
40
« *…+ la libertà diventa schiavitù, la felicità cercata per sé diventa semplicemente edonismo»: L. BRUNI, Cristianesimo e
uso dei beni tra gratuità e mercato, p. 5.
41
« *…] se il lavoro è amore, se è tendenzialmente dono, anche la remunerazione del lavoro può e deve essere intesa
come un dono nella reciprocità: il salario o lo stipendio non può, e non deve, misurare il valore di un lavoratore, ma essere
un premio, un contro-dono. In realtà l’attività umana, soprattutto quando è vissuta come amore, non può essere
“prezzata”, ma solo riconosciuta e ringraziata. Potremmo addirittura affermare che ogni stipendio di chi lavora come
espressione di dono sia considerato come una risposta, e come un incontro di doni»: L. BRUNI, Il lavoro come amore. Per
una rilettura antropologica del discorso economico, p. 89. Lo scopo per cui si lavora non è solo ma anche il salario: «questo
è solo un elemento di un rapporto molto più complesso e più ricco» (p. 90).
42
«Felicità deriva dal latino felicitas che risale alla radice indoeuropea –fe, da cui il greco the, il cui senso primo è quello di
fecondità e prosperità. Da questa radice discende una famiglia di nomi legata insieme alla medesima idea di fecondità»,
quali fetus, filius, femina: cfr. S. NATOLI, La felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano 1995, p. 47.
43
Così M.C. Nussbaum: cfr. M. L. PAGLIONE – M. C. SERAFIM, Quale sviluppo di comunione? L’economia di comunione e la sua
idea di realizzazione umana, in “Nuova Umanità” 32 (2010) 6/192, pp. 708-709.
44
Cfr. G. RUTA, Sacralità della vita, in G. RUSSO (ed.), Enciclopedia di bioetica e sessuologia, Elle Di Ci – Editrice Velar – CIC
Edizioni Internazionali, Leumann (TO) 2004, pp. 1527-1530.
45
Cfr. L. PAGLIONE – M.C. SERAFIM, Quale sviluppo di comunione?, pp. 711-712.
10
«L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è
insieme ricchezza e limite. Ciò lo rende umile e in continua ricerca. Educa chi è capace di dare ragione
della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione educativa è una
vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza
maturata alla scuola di altri maestri. Nessun testo e nessuna teoria, per quanto illuminanti, potranno
sostituire l’apprendistato sul campo»46.
Ogni “impresa” educativa e ogni intenzionalità di formazione, prima o poi, si imbatterà nel
mondo dell’economia. E non solo per reperire le risorse, per avere fondi disponibili e condurre avanti
la mission educativa, ma anche per la rilevanza che essa ricopre per lo sviluppo integrale dell’uomo.
L’economia, come la politica, non va considerata a priori come cosa «sporca», ma come spazio
privilegiato d’intervento per umanizzare questo nostro mondo.
Sebbene con accentuazioni e visioni diverse, da più parti, le più disparate e forse disperate, si
avverte l’esigenza impellente di dare un’anima all’economia, o meglio di restituirgliela, attingendo alla
memoria storica, cogliendo nella comunione le “ferite” del presente, individuando le “feritoie”
attraverso cui scorgere i segni profetici di un futuro diverso e migliore. «L'economia infatti ha bisogno
dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di un'etica qualsiasi, bensì di un'etica amica della
persona»47.
Educare è tutto questo. Infatti, una cosa è nutrire, coltivare, allevare, ammaestrare,
addestrare; ben altra cosa, e molto di più, è «educere», prendersi cura e accompagnare nella crescita
le nuove generazioni, far emergere, tirar fuori risorse e potenzialità talvolta sottocenere, generare
continuamente, rigenerarsi per rigenerare.
Insegnare non è ammannire informazioni o dare indicazioni etiche, bensì iniziare ai segni che
compongono la cultura di oggi, scorgere come se ne è segnati profondamente fino a lasciare il proprio
segno, originale e indelebile.
Al termine, è bene rispondere alle domande poste all’inizio. L’EdC non può essere assunta
come un punto di partenza, nonostante le lodevoli riflessioni e realizzazioni di fatto, ma certamente
va presa in considerazione come punto di arrivo. Sia per la “teoria”, sia per le realizzazioni profetiche
dell’EdC, sia, soprattutto, per le voci laiche concordanti in campo economico, ci sentiamo di affermare
che non si tratta di una scelta opzionale che se ne possa fare a meno, ma di un punto di non ritorno,
urgente e obbligante. Lungo questa riflessione per nulla esaustiva, si sono delineati i presupposti e le
condizioni di base e si sono appena intraviste le traiettorie e i processi attraverso i quali poter
giungere ad elaborare e praticare una EdC, che può accomunare cristiani e laici.
Lungi dall’aver chiuso il cerchio, ci basta averlo indicato e aperto.
46
47
EVBV, n. 29.
CiV, n. 45.
11
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